Osservazioni Uneba a commissione affari sociali su riforma del terzo settore

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UNEBA “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale” (Atti Camera n. 2617) Osservazioni per la Commissione XII della Camera dei deputati dicembre 2014 L’UNEBA, che dal 1950 è la associazione nazionale maggiormente rappresentativa delle istituzioni ed iniziative senza fini di lucro operanti nei settori socioassistenziale, sociosanitario e socioeducativo, esprime il suo apprezzamento per la prontezza e determinazione con la quale la Commissione XII ha dato seguito alla presentazione da parte del Governo del d.d.l. n. 2617 “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale” ed auspica che, dopo precedenti tentativi senza esito, si giunga finalmente ad un assetto giuridico e fiscale, a concrete semplificazioni ed a finalizzate agevolazioni per questo settore, snodo essenziale attraverso il quale passa ogni ipotesi di miglioramento della complessiva qualità di vita delle persone e della comunità. Si esprime innanzitutto un giudizio positivo sui criteri generali alla base della riforma, che appaiono ispirati a condivisibili principi di sussidiarietà, pluralismo e partecipazione; si sottolinea l'affermazione del valore sociale dell'associazionismo, quale espressione dei diritti inviolabili della persona e strumento di promozione della partecipazione dei cittadini alla vita "politica e sociale" e - aggiungeremmo - "culturale" del Paese; è di grande rilievo l'affermazione di principio del riconoscimento di una ampia autonomia statutaria e l'opportunità di ridurre al minimo le prescrizioni amministrative e le disposizioni imperative ed inderogabili, ferma restando la necessità di garantire la trasparenza dell'azione degli enti, i diritti degli associati, la posizione dei terzi. Sui singoli articolo si espongono alcune considerazioni, basate sull’esperienza delle istituzioni aderenti all’UN EBA operanti in ambito sociale e approfondite nel corso del Convegno “La riforma del terzo settore: le idee del Governo, le proposte di UNEBA” (Relatori i professori Maria Vita De Giorgi, Ordinaria di diritto privato nell’Università di Ferrara, Emanuele Rossi, Ordinario di diritto costituzionale nell’Istituto superiore di studi S. Anna di Pisa, Giuseppe Maria Cipolla, Ordinario di diritto tributario nell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale) svoltosi a Firenze il 22 novembre 2014, che tendono a meglio garantire l’attuazione di tali principi. Preliminarmente si espongono alcune riflessioni in ordine alla collocazione delle nuove norme nell’ordinamento giuridico italiano. Collocazione sistematica La disciplina delle persone giuridiche private è attualmente collocata nelle scarne norme di cui al Titolo I, libro II°, cod. civ. ed in numerose leggi riguardanti singole attività

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o specifiche figure che ne regolamentano finalità, controlli, organizzazione, etc. con sovrapposizioni e contraddizioni. Mentre le norme codicistiche appaiono suscettibili di modificazioni relativamente modeste (queste coinvolgono soprattutto il DPR n. 361/2000, specialmente per la parte relativa all’autorizzazione prefettizia che dovrebbe essere sostituita dall’intervento notarile di cui agli artt. 2330-2331, cod. civ.), più incisive sono le modifiche che riguardano il c.d. Terzo settore e la necessità di coordinamento della numerosa e contraddittoria normativa. Per una trasparente collocazione sistematica si sottopone al legislatore l’opportunità di inserire un titolo dedicato agli enti senza scopo di lucro che esercitano attività imprenditoriale nel libro V, dove già sono regolati cooperative e consorzi che scopo di lucro, in senso proprio, non hanno, introducendo - subito dopo il Titolo VI, che disciplina le società cooperative e le mutue assicuratrici - un Titolo VI bis, dedicato agli enti senza scopo di lucro che esercitano impresa. Questa collocazione, fra l’altro, agevolerebbe il coordinamento con la disciplina delle cooperative sociali, che niente hanno a che vedere con gli enti del primo libro, essendo società. La sistemazione nel libro V renderebbe anche più agevole il riferimento, per applicazione analogica od estensiva, a molte norme del diritto societario in tema di amministrazione, controllo e vigilanza. Agli enti non profit che esercitano attività imprenditoriale andrebbe poi interamente applicato il capo I del titolo II del libro V sull’impresa in generale, le cui norme prescindono dal fatto che il frutto dell’attività dia luogo a divisione degli utili, come evidenzia la definizione dell’art. 2082 c.c., che ben può adattarsi anche gli enti non profit. Si perverrebbe così finalmente all’unitarietà del concetto di impresa, indipendentemente da come vengono destinati gli utili dell’impresa stessa. libro V sull’impresa in generale, le cui norme prescindono dal fatto che il frutto dell’attività dia luogo a divisione degli utili, come evidenzia la definizione dell’art. 2082 c.c., che ben può adattarsi anche gli enti non profit. Si perverrebbe così finalmente all’unitarietà del concetto di impresa, indipendentemente da come vengono destinati gli utili dell’impresa stessa. Per la parte relativa alla disciplina tributaria, nella delineata prospettiva di revisione e di razionalizzazione della normativa in vigore, non sembra giustificarsi la previsione (art. 6, comma 1, lett. a) che i decreti delegati debbono procedere alla definizione di “ente non commerciale ai fini fiscali”. Nell’architettura del disegno di legge sembra in tal modo contrapporsi alla definizione generale di enti del Terzo settore di cui all’art. 1, comma 1, una nozione più ristretta valevole solo ai fini fiscali e per la quale andrebbe dettato un regime ad hoc. Una conferma in tal senso si trae, per un verso, dal comma e) dello stesso art. 6 il quale prevede la “razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati in favore degli enti di cui all’articolo 1” (in tal modo rafforzando una sorta di summa divisio tra gli enti del Terzo settore, in generale, e gli enti non commerciali ai fini fiscali di prossima definizione, in particolare; per l’altro, dal comma f) dell’art. 6 il quale riserva alle imprese sociali un regime fiscale specifico. Nonostante gli obiettivi prefissati, il disegno di legge delega si pone nel solco delle scelte asistematiche compiute in passato dal legislatore e tradottesi nell’introduzione di tanti regimi fiscali quanti sono gli enti perseguenti finalità altruistiche (associazioni, fondazioni, Onlus, associazioni di volontariato, cooperative sociali, ecc.). Semmai, a parte le imprese sociali, l’unica discriminazione sostenibile è quella tra gli enti di cui all’art. 1 che non procedono alla distribuzione di utili e quelli (come le cooperative sociali) i quali, per contro, possono anche perseguire uno scopo di lucro soggettivo. Ai primi, si dovrebbe

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applicare un regime fiscale unitario; per i secondi, invece, si dovrebbe procedere alla revisione e razionalizzazione di tutti i regimi fiscali e contabili attualmente in vigore

Titolo del disegno di legge La delega ha contenuti più ampi di quanto risulta dal titolo, interessando tutti i soggetti privati di cui al libro I°, titolo II°, cod. civ. e non solo il terzo settore. Il titolo della legge dovrebbe essere conseguentemente adeguato. Art. 1 I destinatari ed i criteri indicati nel successivo art. 2 non riguardano solo il terzo settore, ma tutti i soggetti di cui al libro I°, titolo II°, cod. civ., qualunque attività essi svolgano e con qualunque finalità (purchè non illecita, ovviamente), nell’ambito dei quali i soggetti di terzo settore costituiscono una specie caratterizzata da particolari requisiti (non lucratività soggettiva, attività, finalità, etc.). Pertanto: nel comma 1,inserire, dopo le parole “della disciplina” le parole “degli enti di cui al libro I°, titolo II° del codice civile e”; nel comma 2, lettera a), sopprimere le parole “senza scopo di lucro” (il codice prende in considerazione i “soggetti” non le “finalità” lucrative o meno, di interesse generale o particolare, etc.; nel comma 1, lettera b), dopo le parole “la disciplina degli enti” inserire le parole “senza scopo di lucro”. Art. 2 Nel ddl vengono indicati principi e criteri di delega indistintamente per le due diverse categorie di soggetti giuridici cui il ddl si rivolge (generalità dei soggetti privati; soggetti di terzo settore). Per non ingenerare confusione ed evitare questioni di legittimità costituzionale sugli emanandi decreti delegati occorre procedere su due diversi piani. Pertanto: nel comma 1: inserire dopo le parole “degli enti privati” le parole “di cui al libro I°, titolo II° del codice civile e degli enti privati” (rigo quinto) introdurre, prima dell’elencazione delle lettere da a) a q): le parole “A) per i soggetti di cui al libro I°, titolo II°” e comprendere sotto questo punto i principi e criteri di delega di cui ai punti a), d), e) (che, pertanto diverrebbero a, b, c), aggiungendo quattro ulteriori punti che riguardano la generalità dei soggetti; introdurre, dopo le lettere di detto nuovo punto 1, relativo alla generalità dei soggetti di cui al codice civile, le seguenti parole: “B) per i soggetti di terzo settore” e comprendere sotto questo punto tutti gli altri principi di delega che riguardano la specifica categoria del terzo settore (e, precisamente, le lettere: b, c, f, g, h, i, l, m, n, o, p, q).

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Osservazioni rispetto all’attuale elencazione di criteri e principi (a – q): lettera e): prevedere che la fase costitutiva si concluda per atto pubblico notarile senza l’intervento della pubblica amministrazione come avviene per i soggetti di cui al Libro V cod. civ. cui potrebbe essere fatto riferimento per quanto applicabile; è dubbia la percorribilità di stabilire normativamente un “adeguato rapporto” tra mezzi propri e indebitamento; lettere f), i), m): si tratta di materie che debbono essere lasciate all’autonomia dei soggetti giuridici i cui statuti e regolamenti dovranno adattare le indicazioni di legge alle proprie realtà; lettera f): il principio di democraticità, in sé condivisibile, non è automaticamente trasferibile a tutti i soggetti giuridici (es. le fondazioni). La riserva di disciplina differenziata non sembra sufficiente a garantire la specificità degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (nelle normative ONLUS e impresa sociale il legislatore ha ritenuto di dover esplicitamente escludere gli enti di confessioni religiose con i quali lo Stato abbia stipulato accordi o intese); lettera h): sembra improprio parlare di distinzione tra gestione istituzionale e gestione imprenditoriale: tutti gli enti si danno una struttura imprenditoriale (organizzazione di mezzi per realizzare con efficienza, efficacia, economicità un fine); è preferibile usare il termine “commerciale” da distinguere dai fini istituzionali; lettera i): l’organizzazione dei controlli interni prescinde dal fatto che l’ente impieghi risorse pubbliche (per la verifica del loro impiego varranno i rapporti stabiliti con l’ente pubblico interessato); lettera m): sembra troppo invasivo dell’autonomia dell’ente (se mai si potrebbe prevedere per i soli amministratori), specialmente in assenza di pubblici finanziamenti; lettera o): è un punto delicato in quanto coinvolge competenze legislative regionali, ma è lo snodo attraverso il quale passano il ruolo del Terzo settore e i suoi rapporti con gli enti locali. La generica “valorizzazione” prevista nella lettera o) è insufficiente a garantire una co-presenza del Terzo settore nella fase della programmazione (si confermerebbero le attuali forme di mera consultazione praticamente senza ricadute sul decisore) e il coinvolgimento nella decisione; sarebbe bene che la co-presenza avvenisse anche in sede di valutazione degli esiti e dei risultati. Di grande importanza prevedere modelli omogenei su tutto il territorio nazionale per quanto riguarda autorizzazioni, accreditamenti, procedure di affidamento; lettera q): la struttura di missione per il coordinamento delle azioni di promozione e di vigilanza è inadeguata in quanto per sua natura struttura temporanea per la realizzazione di un dato obiettivo. Si auspica la costituzione di una Agenzia del Terzo settore dotata di precise competenze e titolare di poteri determinati e con effetti vincolanti (ad es. in tema di fiscalità di settore). PER UNA MIGLIORE INTELLIGENZA DELLE PROPOSTE SI ESPONE L’ART. 2 COME VERREBBE MODIFICATO A SEGUITO DEI PREDETTI EMENDAMENTI E CONSIDERAZIONI (le modifiche proposte sono riportate in carattere neretto e sottolineate): Art. 2. Principi e criteri direttivi generali 1.I decreti legislativi di cui all'articolo 1 disciplinano la costituzione, le forme organizzative e di amministrazione e le funzioni degli enti privati di cui al libro I°, titolo II°, del

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codice civile e degli enti privati che, con finalità ideale e senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività d'interesse generale, di valorizzazione della partecipazione e di solidarietà sociale, ovvero producono o scambiano beni o servizi di utilità sociale, anche attraverso forme di mutualità con fini di coesione sociale, anche al fine di identificare una normativa promozionale, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi generali: A) Per la generalità dei soggetti di cui al libro I°, titolo II°, del codice civile:

a) (ex a) riconoscere e garantire il più ampio esercizio del diritto di associazione e il

b) c)

d)

e)

f) g)

valore delle formazioni sociali liberamente costituite, ove si svolge la personalità dei singoli, quale strumento di promozione e di attuazione dei princìpi di partecipazione, solidarietà, sussidiarietà e pluralismo, ai sensi degli articoli 2, 3, l8 e 118 della Costituzione; (IDENTICO) (ex d) assicurare, nel rispetto delle norme vigenti, la più ampia autonomia statutaria, al fine di consentire il pieno conseguimento delle finalità dell’ente e la tutela degli interessi coinvolti; (IDENTICO) (ex e) riorganizzare e semplificare il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica secondo le modalità di cui al libro V° del codice civile e disciplinare il relativo regime di responsabilità limitata degli enti riconosciuti come persone giuridiche, nel rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi e di tutela dei creditori, anche attraverso il rispetto di un adeguato rapporto tra i mezzi propri della persona giuridica e il suo indebitamento complessivo, mediante adeguate forme di pubblicità; (nuovo) prevedere una disciplina degli obblighi di trasparenza e di informazione anche dei terzi mediante l’obbligo di inserimento di speciale sezione nel Registro delle persone giuridiche private di tutti gli atti fondamentali dell’Ente; (nuovo) attribuire all’autorità giudiziaria ordinaria il compito di vigilanza sugli atti e sull’attività delle persone giuridiche private, anche con poteri di promozione d’ufficio su istanza del pubblico ministero, e definire le ipotesi di nullità o di annullabilità degli atti; (nuovo) introdurre nei confronti degli amministratori delle persone giuridiche private ipotesi di reato societario compatibili con l’attività e finalità delle stesse; (nuovo) prevedere una disciplina delle modalità di svolgimento dell’attività amministrativa degli enti con recepimento delle disposizioni compatibili di cui al titolo V° del codice civile, in quanto compatibili.

B) Inoltre, per i soggetti di terzo settore senza scopo di lucro: a) (ex b) riconoscere e favorire I'iniziativa economica privata, svolta senza finalità lucrative, diretta a realizzare in via principale la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale o d'interesse generale, anche al fine di elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali; (IDENTICO)

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b) (ex c) individuare le attività solidaristiche e di interesse generale che caratterizzano gli enti del Terzo settore, ai fini dell'identificazione di normative promozionali; (IDENTICO) c) (ex f) definire forme e modalità di organizzazione e amministrazione degli enti ispirate ai princìpi di democrazia, eguaglianza, pari opportunità, partecipazione degli associati e dei lavoratori e trasparenza, correttezza e di economicità della gestione degli enti, prevedendo appositi strumenti per garantire il rispetto dei diritti degli associati, con facoltà di adottare una disciplina differenziata che tenga conto delle peculiarità della compagine e della struttura associativa, della natura delle fondazioni e della normativa in vigore per gli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato abbia stipulato accordi o intese; d) (ex g) prevedere il divieto di distribuzione, anche in forma indiretta, degli utili e del patrimonio dell'ente, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 4, comma 1, lettera d); (IDENTICO) e) (ex h) definire criteri e vincoli di strumentalità dell'attività d'impresa eventualmente esercitata dall'ente rispetto alla realizzazione degli scopi istituzionali e introdurre un regime di contabilità separata finalizzato a distinguere la gestione istituzionale da quella imprenditoriale commerciale; f) (ex i) prevedere una disciplina degli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e d'informazione nei confronti degli associati e dei terzi, differenziati anche in ragione della dimensione economica dell'attività svolta e dell'impiego di risorse pubbliche; g) (ex l) individuare specifiche modalità di verifica dell'attività svolta e delle finalità perseguite; (IDENTICO) h) (ex m) disciplinare gli eventuali limiti e gli obblighi di pubblicità relativi agli emolumenti, ai compensi o ai corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati; (IDENTICO) i) (ex n) riorganizzare il sistema di registrazione degli enti e di tutti gli atti di gestione rilevanti, secondo criteri di semplificazione, attraverso la previsione di un registro unico del Terzo settore, anche al fine di favorirne la piena conoscibilità in tutto il territorio nazionale; (IDENTICO) l) (ex o) valorizzare il ruolo degli enti nella fase di programmazione, decisione e valutazione di esito, a livello territoriale, relativa anche al sistema integrato di interventi e servizi socio-assistenziali nonché di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale e individuare criteri e modalità omogenee su base nazionale per l'affidamento agli enti dei servizi d'interesse generale, per le autorizzazioni, convenzioni ed accreditamenti improntati al rispetto di requisiti minimi di qualità e impatto sociale del servizio, obiettività, trasparenza e semplificazione; m) (ex p) prevedere strumenti che favoriscano i processi aggregativi degli enti; (IDENTICO) n) (ex q) prevedere che il coordinamento delle azioni di promozione e di vigilanza delle attività degli enti di cui al comma 1, finalizzato ad assicurare I'uniforme e corretta osservanza della disciplina legislativa, statutaria e regolamentare ad essi applicabile, sia assicurato, in raccordo con i Ministeri competenti, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, anche mediante l'istituzione di un'apposita struttura di missione, con le modalità di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, autorità definendone i compiti di vigilanza ed indirizzo anche in

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materia tributaria, al cui funzionamento si fa fronte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Art. 4 Nel comma 1: lettera a): “il raggiungimento di impatti sociali positivi misurabili” quale condizione per l’acquisizione della veste di impresa sociale appare quanto mai indeterminato e di difficile valutazione; perplessità anche sul coinvolgimento di dipendenti, utenti, stakeholders; Tutta la lettera a) dovrebbe comunque essere demandata agli statuti; lettera b): netta contrarietà all’adozione obbligatoria della figura di impresa sociale (cosa altro vuol dire altrimenti la “revisione dell’attuale disciplina dell’attribuzione facoltativa”?). Sarà nella autonoma decisione delle associazioni e delle fondazioni adottare o meno la qualifica di impresa sociale a seconda della sua utilità rispetto ai propri fini istituzionali; lettera d): se ne comprende la motivazione (attrazione di mezzi e risorse in attività con finalità di interesse generale), ma ne discende la conseguenza che in questi casi l’impresa sociale diverrebbe del tutto estranea al Terzo settore; lettera d): la materia è del tutto estranea all’oggetto del ddl e la lettera è da abrogare (la materia è ben disciplinata dalla legge n. 328/2000 e riguarda, comunque, il complessivo modello di welfare); lettera f): norma non chiara: le “imprese” e le “amministrazioni pubbliche” o soggetti appartenenti a tali enti? E quale è il motivo del divieto? Come si raccorda con l’art. 4 del D. Lgsl.vo n.155/2006? lettera g): non sono indicati i criteri e le finalità del coordinamento della disciplina delle ONLUS e delle imprese sociali e già attualmente le ONLUS, se lo ritengono opportuno, possono assumere la figura di impresa sociale. Art. 6 Premesso che le norme appaiono almeno in parte vanificate dalla invarianza finanziaria prescritta dall’art. 7, si espone quanto segue: Nel comma 1: sostituire le parole “degli enti del terzo settore” con le parole “degli enti di cui all’art. 1” (rigo quarto) e aggiungere dopo le parole “fiscalità di vantaggio” le parole “e compensativa” (rigo settimo); Inoltre: lettera a): sopprimere le parole “definizione di ente non commerciale ai fini fiscali connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall’ente”;

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sostituire le parole “tassazione agevolativa” con le parole “tassazione compensativa unico per tutti gli enti di cui all’art. 1 e conseguente soppressione di ogni altro regime fiscale agevolativo”; sopprimere, al termine, le parole “e dell’impatto sociale delle attività svolte dall’ente”, in quanto difficilmente misurabile e fonte di contenzioso;

lettera c): sopprimere la parole “determinazione del relativo limite di spesa in coerenza con le risorse disponibili”, in quanto l’apposizione di un tetto di spesa scoraggerebbe i comportamenti dei contribuenti che non avrebbero certezza dell’esito della propria scelta ed è in contrasto con la ratio del 5 per mille (destinazione per fini di interesse generale con conseguente indiretto beneficio anche per la finanza pubblica); lettera f): per le imprese sociali non è espressamente prevista alcuna agevolazione o semplificazione fiscale e, anzi, sembrerebbero escluse data la delimitazione di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo che parla solo di enti di terzo settore. Se, come sopra proposto, si estende la portata dell’art. 6 a tutti gli enti di cui all’art. 1, il problema viene superato essendovi comprese anche le imprese sociali, altrimenti la possibilità di una normativa di vantaggio deve essere esplicitamente affermata nel punto 2) della lettera f); lettera i): appare troppo indeterminato il criterio – “migliore definizione” - per la revisione dei concetti di attività istituzionale e attività connesse (modifica della tipologia delle attività? ampliamento o riduzione? rapporto quantitativo o qualitativo tra attività istituzionali e attività connesse?).

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