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EDITORIALE Il valore collettivo della distanza
Mensile di informazione politica e tecnica Pubblicazione dell’Associazione professionale di categoria Organo del Gruppo Federtrasporti 356 Anno XXXIX - aprile 2020 Direttore responsabile Daniele Di Ubaldo (d.diubaldo@uominietrasporti.it) Vice direttore Patrizia Amaducci (p.amaducci@uominietrasporti.it) Comitato editoriale Lucia Bergonzoni, Mario Cortelazzi, Roberto Grechi, Paolo Morea, Fabrizio Ossani, Claudio Villa Foto Alfonso Santolero, Francesco Vignali Hanno collaborato Deborah Appolloni (d.appolloni@uominietrasporti.it) Gabriele Bolognini (g.bolognini@uominietrasporti.it) Luca Regazzi (l.regazzi@uominietrasporti.it) Umberto Cutolo, Anna De Rosa, Massimiliano Barberis
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EDITORIALE
IL VALORE COLLETTIVO DELLA DISTANZA
Avevo pensato di scrivere del sito di Uomini e Trasporti, che da aprile si rinnova dopo tanti anni. E delle due sezioni inedite che ospita, due community tra persone unite dal trasporto: una dedicata a tutti i possibili comportamenti con cui incoraggiare la sicurezza stradale, l’altra a far lievitare la troppo striminzita presenza femminile nel settore. Poi la vita è cambiata e le cose preventivate sono scivolate via. Per carità, il sito lo rinnoveremo lo stesso – in smart working, ovviamente – ma scriverne qui, adesso, mi sembra inadeguato. Perché tutto è diventato secondario rispetto a un’esperienza destinata a segnare una pietra miliare nella storia dell’uomo, una pandemia alitata e velocizzata dalla globalizzazione. Perché è vero che anche la famigerata peste nera partì dalla Cina e arrivò a contagiare l’intera Europa, ma allora per coprire l’intero percorso impiegò sei lunghi anni. Oggi il virus ha viaggiato in aereo e in nemmeno sei settimane ha colpito più o meno duramente l’intero pianeta. Dire ora se e come si è sbagliato serve a poco, semmai è urgente capire, terminata l’emergenza, in che modo ripartire. E qualsiasi cura sarà giocoforza condizionata dal fattore dilagante del contagio, costituito dai movimenti globali. Due approcci al riguardo sembrano confrontarsi. Da una parte c’è chi, per proprietà transitiva, è convinto che se il virus è il male e la globalizzazione ha allargato il contagio del virus, la globalizzazione è di per sé stessa il male. Di conseguenza bisogna arginarla restituendo sovranità piena agli Stati nazionali. Segni di questo approccio si trovano in ogni dove. Sono evidenti nei paesi esteuropei, dimostratisi subito rigidi nella chiusura indiscriminata delle frontiere, dimostrando che per loro il coronavirus era una scusa per riuscire a fare oggi quanto avrebbero voluto fare già ieri. Ma si rinvengono anche nell’atteggiamento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, arrivato a ritenere sgradite le terapie di sostegno dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), preferendo individuarne altre squisitamente americane. Dall’altra parte c’è chi insiste sulla necessità di gestire in modo sovranazionale crisi e dopocrisi, per il semplice motivo che il globale lo si argina soltanto con il globale. Lo si predicava rispetto alla crisi ambientale, vale lo stesso per una sanitaria, perché sia aria che virus non conoscono confini. D’altra parte, proviamo a pensare: la Cina, dove tutto è nato, ha confinato il contagio in una sola regione (Hubei), marginalizzandone l’impatto sul resto di una popolazione di 1,4 miliardi di persone; l’Unione europea, popolata da mezzo miliardo di abitanti, non è riuscita a confinare il contagio all’Italia, peraltro popolosa quanto l’Hubei, perché ogni Stato membro ha preferito portare avanti una propria politica. Guardando a domani, quindi, il problema non è di aver avuto troppa Europa, ma di averne troppo poca. Il problema è di creare un meccanismo che eviti agli organismi sovranazionali di scomparire di fronte all’espressione sovrana di un qualsiasi paese che dovrebbe rappresentare (il caso dell’Austria, in tal senso, è esemplare). Il problema è di riuscire a rimuovere quella diffidenza accumulata rispetto a tutto ciò che è collettivo. Missione quasi impossibile. Anche se la storia insegna che, proprio in frangenti tragici, qualcosa si muove. Prova ne sia che le principali esperienze sovranazionali – l’Onu e l’Unione europea – quelle in grado di minimizzare drasticamente l’istinto bellico nel mondo, sono sorte dopo il più grande sacrificio umano del secolo scorso. E allora, mi piace sperare che la triste vicenda del covid-19 ci aiuti a riscoprire cosa significhi solidarietà e condivisione, ma soprattutto a rinvenire traccia di noi nelle espressioni collettive. A sperimentare, per quanto riguarda il trasporto, la forza del dialogo tra vettori e committenti o l’opportunità dell’aggregazione tra simili, unica terapia in grado di frenare quell’emorragia che ha spazzato via dal mercato diecimila padroncini in poco più di sei anni. Una buona palestra in tal senso è il valore biunivoco della distanza, vale a dire il principale strumento eletto per frenare il contagio: serve per un verso a proteggerci e per un altro, eventualmente, a proteggere gli altri. A rendersi nuovamente conto di essere in tanti, proprio quando ci si trova improvvisamente da soli.
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volevo il Camion 24
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DOPOLAVORO PRODOTTO PROFESSIONE SOMMARIO 3 EDITORIALE Il valore collettivo della distanza 14 INCHIESTA CORONAVIRUS L’impatto sul sistema mondiale dei trasporti. Una cicatrice sulla logistica 18 INCHIESTA CORONAVIRUS L’impatto dell’emergenza sul sistema logistico italiano. Le lezioni del contagio 24 IDEE E PROPOSTE Un manifesto di Uomini e Trasporti per aumentare l’occupazione rosa nel settore. Le donne al trasporto: «Apri le porte, stiamo arrivando!» 30 DONNE E TRASPORTI Intervista a Roberta Gili, titolare della Italia Cargo. il femminile che pensa in grande 38 NOVITÀ PESANTI Volvo Trucks rinnova l’intera gamma pesante. Questa è la mia casa 42 ANTEPRIME PESANTI La nuova offerta Cava-Cantiere di Man Trucks. La tradizione non è polvere 46 SOLUZIONI A CONFRONTO Specchi retrovisori. Telecamere o specchi? Questo è il dilemma 49 CARBURANTI Primo distributore LNG a Torino. Metano: anche i francesi gli danno una mano 50 TEST PESANTI Scania G320 Hybrid. La distibuzione a prova di ibrido 53 ANTEPRIME PESANTI DAF CF Hybrid. Due motori per due ambienti 54 TRASPORTO SOSTENIBILE Gli elettrici di Renault Trucks. Produzione in serie la scossa al via 55 NOVITÀ PESANTI DAF CF Electric 6x2. Elettrico al lavoro 56 ALLESTIMENTI De Angelis.Handling Solutions. Una divisione di...solo sterzate 57 ALLESTIMENTI Feldbinder/Kip 60.3. La botte con la mascherina 58 NOVITÀ LEGGERE Mercedes-Benz Vito, restyling 2020. Il nuovo di sostanza 60 ANTEPRIME LEGGERE Volkswagen Caddy, generazione 5. Il quinto passo verso il futuro ALL'INTERNO L'AGENDA DEL MESE NOVITÀ NORMATIVE LE RISPOSTE DEGLI ESPERTI 6 Ministeri & co 8 Legalmente parlando 10 Intorno all’azienda 12 Sicuri e certifi cati 66 L’importante è la salute NON DI SOLO TRASPORTO 62 Recensioni, svaghi, consigli. Musica, libri e fi lm annessi 63 Gli ingialliti dell’ineff abile Ispettore Tirr/22. Alla ricerca degli impegni perduti 64 Me l’ha detto un camionista: Ristorante Hostaria dei Savonarola 65 Voci on the road. 10 domande a… Matteo Perri
COSTI DI RIFERIMENTO: ASPETTANDO L’ANTITRUST
Sono anni ormai che si parla – e in qualche modo si attende – che il ministero dei Trasporti approvi i valori di riferimento dei costi di esercizio dell’autotrasporto. In tempi recenti, però, aveva capito che il processo di approvazione era iniziato, ma evidentemente non arriva mai a conclusione. Ma quale procedura deve seguire e soprattutto quali diffi coltà deve aff rontare tale processo? Giuseppe G_Napoli Il ripristino della pubblicazione dei valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio delle imprese di autotrasporto, richiesto al governo dalle associazioni di categoria all’atto del suo insediamento, figura fra i temi prioritari sui quali – in occasione dell’incontro dello scorso novembre – la ministra Paola De Micheli si è impegnata a effettuare gli approfondimenti necessari, allo scopo di definire il conseguente provvedimento. A quanto è dato sapere, la procedura attivata dagli uffici del ministero per dare attuazione all’impegno assunto sta andando avanti speditamente, anche se deve scontare alcuni passaggi ineliminabili: fra questi, la messa a punto di una valida, e possibilmente inattaccabile, metodologia di calcolo dei valori di costo da prendere in considerazione e l’acquisizione sulla stessa del “benestare” da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, anche per verificarne l’aderenza con il parere reso l’8 febbraio 2017, proprio in risposta ad analoga richiesta del MIT. Vale allora la pena di ricordare che, in quell’occasione, l’Antitrust sottolineò l’esigenza che il ministero ponesse in atto «ogni accorgimento necessario a minimizzare il rischio che la definizione dei valori indicativi di riferimento finisca di fatto per condizionare indebitamente la libera contrattazione tra le parti»: infatti, la stessa Autorità ritenne che l’ordinanza con la quale la Corte europea di giustizia aveva già bocciato i «costi minimi di sicurezza» dell’autotrasporto, non fosse tale da legittimare «l’individuazione di valori attraverso metodi e criteri tali da produrre indebite restrizioni della concorrenza, ove sia possibile ricorrere a strumenti meno restrittivi». È in tale ottica che volle indirizzare l’azione del ministero, invitandolo a eliminare ogni riferimento al cosiddetto «costo di organizzazione» e ad aggregare al massimo, con una procedura ispirata alla massima trasparenza e rigore, i valori di costo, da fornire poi sotto forma di forcelle il più possibile ampie. Non possiamo non sottolineare, peraltro, che esistono valori di costo oggettivamente incomprimibili, quali quelli del lavoro dipendente e del carburante, che, da soli, rappresentano ben oltre il 60% del costo totale di esercizio di un’impresa di autotrasporto. Dopo il ricordato parere dell’Antitrust, il passare del tempo e l’avvicendarsi dei governi aveva impedito di dar corso alle richieste sistematicamente ripresentate dalle associazioni dell’autotrasporto, tanto che un autorevole esponente di queste ultime, stigmatizzando l’inerzia delle istituzioni, ebbe a paragonare l’equo compenso riconosciuto a professionisti (come avvocati o commercialisti) ai costi minimi della sicurezza per l’autotrasporto. Va dato, quindi, atto agli attuali vertici ministeriali, di aver ripreso in mano questo complesso dossier con l’intento di individuare una soluzione equilibrata, immune da censure da parte dell’Antitrust, e nello stesso tempo in grado di evitare contenziosi fra gli operatori economici coinvolti. Per di più, l’adozione del provvedimento relativo alla pubblicazione dei costi di riferimento, se condiviso da tutti gli attori della filiera, potrebbe contribuire alla riduzione, se non all’eliminazione, di quell’intermediazione parassitaria che da sempre affligge le imprese realmente impegnate nell’esercizio dell’attività di autotrasporto. E, paradossalmente, la crisi del settore produttivo, innescata dalla stagnazione economica già in corso e pesantemente aggravata dall’emergenza coronavirus, che ha trascinato con sé l’intero sistema dei trasporti e della logistica, potrebbe portare all’instaurazione di un rapporto più sereno fra committenza e autotrasporto, accomunati dalla volontà di uscire dal tunnel nel quale sono piombate le proprie imprese, soprattutto se piccole o medie. In altri termini, anche sulla base di quella che sarà la decisione ministeriale sui costi di riferimento dell’autotrasporto, è forse giunto il momento di sperimentare forme di collaborazione verticale fra clienti e fornitori dei servizi, fondate su principi e valori condivisi, soprattutto sotto il profilo dell’etica e dell’ecologia, oltre che sulla comune responsabilità di garantire trasparenza al mercato della logistica. Anche sulla base di quella che sarà la decisione ministeriale sui costi di riferimento dell’autotrasporto, è giunto il momento di sperimentare forme di collaborazione verticale fra clienti e fornitori dei servizi, fondate su principi e valori condivisi, soprattutto sotto il profi lo dell’etica e dell’ecologia
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SE IL COVID-19 INFETTA I CONTRATTI DI TRASPORTO
Con l’emergenza coronavirus i traffi ci sono andati in tilt e gli stop e le code subiti dai nostri camion ai confi ni o ai porti, ci impediscono di lavorare al meglio. In questi casi di oggettiva diffi coltà non c’è una maniera per tutelarsi o magari una clausola da aggiungere nei contratti o sui DDT per non restare esposti a eventi impossibili da controllare? Matteo F_Bologna L a diffusione del Covid-19 e le misure emergenziali adottare per arginarlo impattano inevitabilmente sul settore dei trasporti, non solo a livello operativo, ma anche legale e, nella specie, contrattuale. In un contesto così mutevole e così esposto all’incertezza del futuro, la certezza del diritto può comunque offrire dei punti fermi, pur nella consapevolezza della variabilità interpretativa e applicativa che il fenomeno susciterà in una prossima casistica giurisprudenziale. La disposizione attorno a cui ruota ogni riflessione giuridica è l’art. 1256 c.c: «L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile». L’impossibilità sopravvenuta delle prestazioni per effetto del factum principis (più nota come «forza maggiore») è riscontrabile per: eccessiva onerosità sopravvenuta; sopravvenuta mancanza di interesse a ricevere la prestazione; sopravvenuta impossibilità di ricevere la prestazione; sopravvenuta impossibilità temporanea di eseguire la prestazione; sopravvenuta impossibilità definitiva di eseguire la prestazione. In tali casi, dunque, il vettore non si può ritenere responsabile dei danni che la committente possa subire per una mancata esecuzione della prestazione o per un ritardo dovuto a un’oggettiva impossibilità temporanea. La giurisprudenza, poi, ha chiarito che la forza maggiore deve essere un impedimento assoluto, non superabile in alcun modo, frutto di un avvenimento straordinario e imprevedibile. Il coronavirus, definito a livello sanitario come una pandemia, può considerarsi giuridicamente un’epidemia e, come tale, configurare a tutti gli effetti una causa di forza maggiore. Secondo la (scarsa) giurisprudenza in materia, gli elementi dell’epidemia (intesa come «malattia contagiosa che colpisce a un tempo stesso gli abitanti di una città o di una regione») sono: il carattere contagioso; la rapidità della diffusione e la durata limitata del fenomeno; il numero elevato di persone colpite, tale da destare notevole allarme sociale e correlativo pericolo per un numero indeterminato e notevole di persone; un’estensione territoriale di ampiezza tale da interessare un territorio vasto da meritare il nome di regione e, di conseguenza, una comunità abbastanza numerosa da meritare il nome di popolazione (T. Bolzano 13.3.1979). Gli effetti giuridici del coronavirus sui contratti di trasporto in corso devono essere esaminati caso per caso, tenendo conto delle specifiche circostanze di viaggio, della misura di incidenza del fenomeno emergenziale su tutto o parte della prestazione, dell’assenza di soluzioni alternative per l’adempimento, della portata del testo contrattuale e della legge a esso applicabile. In generale, per il nostro ordinamento, se la prestazione è ancora possibile, ma è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, la parte che deve eseguirla può domandare la risoluzione del contratto, salvo che l’eccessiva onerosità non rientri nella sua normale alea (art. 1467, commi 1 e 2, c.c.). Applicando tali principi nella realtà dei trasporti, si tratta di verificare se le lunghe soste degli automezzi alle frontiere o ai punti di carico, la ridotta disponibilità dei parchi veicolari, la messa in atto di protocolli di sicurezza nell’espletamento dei servizi o altre circostanze dettate dall’emergenza e dai correlati precetti normativi, impongano al vettore un sacrificio economico che rientra nella normale alea contrattuale o se denotino uno squilibrio tale da legittimare il rifiuto a eseguire la prestazione se non in presenza di un adeguamento tariffario. Il concetto di «eccessiva onerosità» non è definito dal legislatore ma, secondo dottrina e giurisprudenza, va valutato alla stregua di criteri rigorosamente oggettivi e distinto dalla mera difficoltà di adempimento. Anche se, a differenza dell’impossibilità, l’eccessiva onerosità sopravvenuta non fa cessare in automatico il vincolo contrattuale, ma va accertata e la risoluzione dichiarata in giudizio. Così, contratti quadro di trasporto a lunga durata potrebbero legittimare una revisione tariffaria per ridefinire equamente le condizioni del contratto (art. 1467, comma 3, c.c.). Diverso è il caso dei trasporti (spot o di lunga durata) da eseguire in vigenza dell’attuale situazione di emergenza: in tal caso, lo scenario in cui operano i contraenti è già definito e il vettore, se accetta la prestazione nei termini convenuti, non potrà invocare l’art. 1256 c.c. a meno che non sopraggiungano nuovi imprevedibili fattori. Qui l’imprevedibilità va valutata in modo oggettivo alla luce della situazione attuale, nel senso che – come insegna la giurisprudenza – l’impossibilità nell’adempimento contrattuale non può essere invocata se il factum principis sia «ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione». Il Covid-19 viene adesso menzionato nei contratti di trasporto mediante stipulazione di accordi che, con la previsione espressa di tale emergenza, esonerano il vettore da eventuali ritardi o inadempimenti. Naturalmente è una clausola modulabile con la libera autonomia contrattuale delle parti e consente di dare ai contratti un’agognata certezza, specificando che ogni rischio Covid-19 è causa di forza maggiore e che, per esempio, può sospendere un rapporto per un certo periodo o, per contro, prevedere maggiorazioni di tariffe.
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COSA ACCADE QUANDO SI DICE «NO» AL FISCO
Tutta questa procedura entra in stand by in epoca di Covid-19. Perché rispetto agli adempimenti e ai versamenti fiscali in scadenza il 16 marzo, scatta una sospensione per tutti i contribuenti che dura poco (fino al 20 marzo) per chi ha ricavi superiori a 2 milioni e fino al 31 maggio per tutti gli altri Le imposte vanno pagate a scadenze precise. Però può capitare, per contingenze critiche o per emergenze come quella scaturita dalla diff usione del coronavirus, di non riuscire a pagare nei tempi. A quel punto quali scenari si prospettano in concreto? Gianna P_Ancona L a risposta è articolata e prevede diversi casi. A questi, poi, a causa del Covid-19, se n’è aggiunto un altro sotto forma di proroga. Ma procediamo con ordine. La prima possibilità è il ravvedimento operoso. Chi non ha pagato può sanare il ritardo pagando una maggiorazione per sanzioni e interessi. Le sanzioni variano, a seconda del ritardo, fino a un massimo del 5%. Gli interessi sono marginali e pari, dal 2020, allo 0,05% annui. Nel caso di mancato pagamento con ravvedimento operoso, l’Agenzia Entrate invia comunicazione d’irregolarità. Tale comunicazione è un avviso bonario con sanzione 10% da pagare entro 30 giorni. In alternativa, nello stesso lasso di tempo, può essere richiesta rateizzazione trimestrale (per un massimo di 8 rate se l’importo è inferiore a 5.000 euro, di 20 se è superiore). Nel caso in cui non si provveda al ravvedimento operoso e neppure al pagamento della comunicazione d’irregolarità, la pratica passa all’Agenzia Riscossioni, ex Equitalia, la quale invia cartella di pagamento con sanzioni pari al 30% (e non il 10% come da avviso bonario). Oltre alle sanzioni si pagano anche oneri di riscossioni pari al 3%. Pervenuta la cartella di pagamento occorre agire entro 60 giorni: pagare, richiedere la rateizzazione o fare ricorso contro la cartella di pagamento. La rateizzazione prevede un piano mensile di 72 rate. Per debiti inferiori a 60.000 euro è sempre concessa e non è necessario allegare alcuna documentazione; per debiti superiori, affinché la rateizzazione sia concessa, è necessario rispettare alcuni requisiti che variano a seconda del soggetto richiedente (soggetto privato, ditta individuale, società di persone, società di capitali). È soggetta, invece, a particolari requisiti da documentare nel caso di debiti superiori a 60.000 euro. Se non si è in grado di sostenere un piano di 72 rate, a determinate condizioni previste dall’Agenzia riscossioni, è possibile richiedere un piano straordinario in 120 rate mensili. Attenzione: se la condizione economica peggiora e il piano di rateazione non è decaduto si può richiedere una proroga ovvero un allungamento dei tempi di pagamento. La proroga può essere concessa una sola volta, previa richiesta motivata. Cosa succede se, ricevuta la cartella, il pagamento viene effettuato dopo i 60 giorni? Si paga di più perché gli oneri di riscossione salgono dal 3% al 6%. Cosa succede se non si fa nulla (quindi né si paga, né si provvede alla richiesta di rateizzazione, né a impugnare entro 60 giorni dal ricevimento della cartella di pagamento)? Le procedure di riscossione vanno avanti. L’Agenzia Riscossioni, però, ha tempistiche e adempimenti da rispettare prima di procedere al pignoramento dei beni o dei conti correnti. Attenzione: l’ultima chiamata da parte dell’Agenzia Riscossioni è rappresentata dall’intimazione di pagamento. Una volta pervenuta l’intimazione di pagamento, il contribuente non potrà più aspettare. Per non vedersi pignorati i propri beni entro 5 giorni dalla notifica dell’intimazione di pagamento dovrà effettuare il pagamento oppure dovrà richiedere la rateizzazione. La semplice richiesta della rateizzazione blocca le procedure esecutive dell’Agenzia Riscossioni. Tutta questa procedura entra in stand by in epoca di Covid-19. Perché rispetto agli adempimenti e ai versamenti fiscali in scadenza il 16 marzo, scatta una sospensione per tutti i contribuenti che dura poco (fino al 20 marzo) per chi ha ricavi superiori a 2 milioni. Per chi invece nel periodo di imposta precedente a quello in corso alla data di entrata del decreto-legge del 16 marzo (non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel momento in cui andiamo in stampa) ha ottenuto ricavi o compensi non superiori a 2 milioni di euro, sono sospesi i versamenti da autoliquidazione che scadono nel periodo compreso tra l’8 marzo e il 31 marzo 2020 relativi a: • ritenute alla fonte di cui agli articoli 23 e 24 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, e alle trattenute relative all’addizionale regionale e comunale, che tali soggetti operano in qualità di sostituti d’imposta; • all’Iva (annuale e mensile); • alle addizionali Irpef; • ai contributi previdenziali e assistenziali, e ai premi per l’assicurazione obbligatoria. I versamenti sospesi dovranno essere effettuati, senza applicazione di sanzioni e interessi o in un’unica soluzione entro il 31 maggio 2020 oppure mediante rateizzazione fino a un massimo di 5 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di maggio 2020. Attenzione: chi ha già versato non può chiedere rimborso.