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ANCHE IO VOLEVO IL CAMION Intervista a Luciana Ferrone. Della forza e del coraggio
di Elisa Bianchi
Oggi guida un’azienda di successo, è presidente di CNA-Fita Abruzzo e vicepresidente nazionale della sezione Impresa Donna. Ma nella vita e nella carriera di Luciana Ferrone sono stati tanti i momenti difficili, resi tali da ragioni diverse. Compreso l’essere donna in un mercato altamente maschile. Tante prove rivelatesi una sorta di palestra. Per temprarsi e per imparare la giusta direzione di marcia
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Non tutte le storie a lieto fine devono avere una scarpetta di cristallo, alcune hanno grossi magazzini e una flotta di camion. I tempi cambiano – per fortuna – e abbiamo compreso ormai da tempo che non è una bacchetta magica a trasformare i sogni in realtà, ma il coraggio e la forza di andare avanti, nonostante tutto. La protagonista di questa moderna storia di successo è Luciana Ferrone, fondatrice e Ceo della L. Transport Spa, presidente del Comitato Imprenditoria femminile della Camera di Commercio Chieti-Pescara, vicepresidente nazionale CNA Impresa Donna, presidente regionale Cna-Fita Abruzzo, ma anche donna determinata e mamma. Per raccontare la storia di Luciana Ferrone serve fare un salto nel passato, più precisamente nel 1983, «Quando – racconta Ferrone – 24enne e con due figlie molto piccole non sapevo come arrivare a fine giornata. Un solo stipendio era troppo poco per andare avanti, non c’era abbastanza per il latte, figuriamoci per i giocattoli». Il “plot twist”, come si direbbe in gergo, la svolta a sorpresa, arriva in un giorno qualunque, quando Luciana Ferrone si mette in macchina insieme alle figlie per cercare aiuto nella famiglia di origine. «Stavo guidando quando mi fermai per dare precedenza a una macchina. A bordo una famiglia: mamma, papà e il bambino alle loro spalle. Erano felici, sereni, belli. Quel momento è ancora impresso nella mia mente, perché fu l’istante in cui davvero presi coscienza della mia situazione. Guardandoli mi domandai: “Dove sono finiti i miei sogni? È possibile che io non riesca a comprare un gioco alle mie figlie?”. Capii che dovevo darmi da fare per cambiare la situazione». E la situazione, in effetti, cambiò nel giro di breve. «Il giorno successivo incontrai una conoscente che mi propose di iniziare a lavorare nella sua azienda di spedizioni e trasporti. Io avevo voluto studiare lingue all’università e non conoscevo nulla di trasporti, ma decisi di provarci. Quell’esperienza durò quattro anni durante i quali cercai di imparare tutto quello che potevo». Poi il salto. La Ferrone apre la sua prima azienda insieme a due soci e tutto sembra andare per il meglio, fino a quando un socio «maschilista, arrogante e prepotente mi spinge ad andarmene e ricominciare di nuovo tutto da capo. È stata dura, ma non potevo perdere la serenità e il rispetto per me stessa e allora lasciai tutto e ricominciai con un’azienda solo mia». Anche questa volta, però, non fila tutto liscio. «Sono riuscita a ricostruire con fatica e con il grande sostegno morale della mia famiglia una nuova realtà, ma un gruppo di aziende concorrenti nel territorio e capitanate dalla mia vecchia azienda tentò di fermarmi organizzando
L’azienda guidata da Luciana Ferrone ha ormai più di vent’anni di vita, fattura oltre 30 milioni di euro, dispone di 150 veicoli di ultima generazione e si avvale di quattro sedi operative: una a Pescara, due in provincia di Piacenza (Castel San Giovanni e Sarmato) e una nel pavese.
uno sciopero contro di me. Picchettarono uno stabilimento industriale chiedendo che non venisse inserito un nuovo fornitore, ossia la mia azienda, sostenendo che il mio ingresso avrebbe fatto perdere loro delle committenze. Una scusa, chiaramente. Io ero un’azienda di trasporto come tante altre, ma se non fossi stata io, se non fossi stata una donna, questo non sarebbe successo. Dopo una notte trascorsa a vagare in macchina e a riflettere sul da farsi, alle cinque del mattino rientrai in ufficio e inviai un fax a tutti i vertici dicendo che me ne sarei andata di mia spontanea volontà. Piangevo, sapevo che così facendo stavo ponendo fine ai miei sogni, ma non vedevo altre soluzioni. Contro ogni aspettativa, quel fax li spiazzò. Capirono che sarebbe potuto diventare un caso sociale, a quel punto la loro decisione fu obbligata. Non fui espulsa, ma al contrario mi fu dato molto più credito lavorativo. Fu la dimostrazione di come noi donne dobbiamo sempre lottare per farci riconoscere delle cose che per gli uomini sono scontate». Lei una volta ha scritto che «essere donna l’ha penalizzata», ma oggi la sua è una storia di successo. Com’è riuscita a trasformare una situazione di svantaggio in un punto di forza? Una donna per dimostrare di valere deve fare tanto di più rispetto a un uomo, deve metterci più grinta, più volontà, più determinazione, ma l’unico modo per dimostrare valore è attraverso la competenza, perché quando si è preparate anche l’uomo più ostile non può che prenderne atto. Allora come oggi, l’imprenditoria femminile è un po’ osteggiata e a volte, dobbiamo ammetterlo, anche per colpa nostra, perché il cambiamento, la rivoluzione, deve partire in primis da noi donne. All’epoca aveva due figlie piccole. Com’è riuscita a bilanciare la vita privata con una situazione lavorativa così complessa? Il problema è che le donne imprenditrici non sono tutelate tanto quanto le dipendenti pubbliche, perché un’imprenditrice non può permettersi di assentarsi dal lavoro per un anno in caso di maternità. O si ha un aiuto in famiglia o un’attività che permette di pagare una baby-sitter, altrimenti è veramente difficile, come fu nel mio caso. Il Governo non ha mai veramente preso in carico questa situazione e questo significa tagliare le gambe all’imprenditoria femminile. Bisogna lavorare sul contesto sociale, garantire pari sostegno a tutte le donne. Nella logistica le imprese “in rosa” stanno aumentando e i dati sono incoraggianti, anche se nel complesso le donne sono ancora una percentuale ridotta. Come favorire il loro ingresso nel settore? È fondamentale lavorare sul passaggio generazionale. Come Camera di Commercio Chieti-Pescara, per esempio, abbiamo recentemente presentato uno studio realizzato dal Dipartimento di Economia dell’Università di Chieti-Pescara. Si tratta di un’analisi del contesto regionale, nazionale ed europeo sulle attività emergenti e sugli ambiti nel quale può essere più proficuo fare impresa. L’obiettivo è spiegare alle donne che ci sono tanti campi in cui si potrebbe fare business, come per esempio nel settore logistico, in cui oggi mancano tante figure professionali, dagli operatori logistici agli autisti. Ci aspettiamo che questo studio possa fornire alle donne che vogliono fare impresa un aiuto e un orientamento concreto. Più donne autotrasportatrici, potrebbe essere una soluzione plausibile al problema della carenza di autisti? Assolutamente sì, soprattutto nel contesto odierno in cui la distribuzione è più capillare e radicata nel territorio. Il trasporto ha bisogno di essere modernizzato, dobbiamo superare la figura stereotipata dell’autista. Un autotrasportatore deve essere visto come una figura professionale, altamente qualificata e che lavora per un settore che è il motore del mondo. È importante che il Governo recepisca questo messaggio perché solo così potremo formare nuovi professionisti e migliorare il servizio, che è quello che fa la differenza tra un’azienda e l’altra. La formazione però ha un costo e i costi, in questo momento, stanno lievitando sotto più fronti. Se il dilemma è investire o risparmiare, da imprenditrice, quale strada sceglierebbe? Gli aumenti sono sotto gli occhi di tutti, dal costo del carburante al costo stesso degli autisti e, se parliamo di aziende serie che rispettano le normative, sappiamo che se non chiediamo il giusto corrispettivo non possiamo andare avanti. Per la mia azienda ho fatto una scelta: non lavorare più per chi non riesce a garantirmi una cifra consona. Penso sia arrivato il momento che le aziende di autotrasporto impongano sul mercato le tariffe a forcella. Dobbiamo accettare che se una volta per fare dieci chilometri serviva una cifra, oggi quella cifra è aumentata. Solo così potremo ridare professionalità a tutta la filiera. Ultima domanda. A distanza di anni da quell’episodio in macchina, farebbe di nuovo la stessa scelta? Non saprei immaginare una vita diversa.