Il riscatto di Dond

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IL RISCATTO DI DOND

Darra aveva letto ad alta voce le parole dei venerabili anziani, incise sul menhir all’estremità del promontorio. Le aveva già pronunciate migliaia di volte, ma oggi aveva incespicato sull’ultima parte: “…ovvero, il tredicesimo figlio partorito da una donna. Ogni bambino in questa condizione dovrà essere sacrificato a Dond quando giungerà all’età di tredici anni e allora seguiranno tredici anni di buona sorte. Altrimenti, Inniscaul non esisterà più”. Quelle parole erano troppo crudeli. Dond, l’oscuro dio degli inferi, l’aveva prescelta e maledetta al tempo stesso. Era lei l’orribile riscatto di cui parlava l’iscrizione scolpita nella pietra, quella che la gente del posto chiamava il Testamento.

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Lei era una tredicesima figlia e domani avrebbe compiuto tredici anni. I pescatori si sarebbero riuniti nella baia sottostante e Cail l’avrebbe portata in mare aperto a bordo di un coracle, una piccola barca di vimini ricoperta di pelli. Sarebbe saltata in acqua con una pietra legata alla caviglia, davanti agli occhi degli abitanti del villaggio. Dopo il tuffo sarebbe sprofondata sul fondo dell’oceano. Sarebbe morta. Non riusciva a pensare a un peggiore regalo di compleanno. Nel villaggio, nessuno ricordava una donna che avesse dato alla luce un tredicesimo figlio. Le madri sapevano troppo bene a quale destino sarebbe andato incontro. Se arrivavano a dodici figli andavano da Olca, la strega della montagna, che vendeva loro un amuleto magico per non averne altri. 3

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Meb, la madre di Darra, aveva avuto undici figlie femmine, che avevano trovato marito nelle famiglie dei dintorni. Quando rimase incinta per la dodicesima volta

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pregò che fosse maschio. In un certo senso, gli dèi le dettero ascolto. Come raccontò la vecchia strega Olca, Bawn nacque per primo, pallido e sgambettante. Le dita delle mani e dei piedi erano piccole e perfette, i suoi strilli erano acuti e aveva i capelli rossi, promessa di una vita fortunata. Ma due minuti dopo arrivò la gemella che nessuno si aspettava, che nessuno avrebbe voluto. Era piena di rughe, scura e silenziosa. Sua madre la respinse, inorridita. Olca la chiamò Darra, che vuol dire “seconda”. Cail, l’anziano del villaggio, l’accolse. La crebbe nella grande fortezza di pietra sul promontorio, lontano dagli altri abitanti dell’isola, e le insegnò le parole degli anziani: quelle incise sul menhir e altre, tramandate per generazioni. Fin da quando aveva imparato a parlare, Darra conosceva il proprio destino.

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Cail l’aveva preparata. Le aveva assicurato che il suo destino non era cattivo. Non aver paura, le diceva spesso. La morte per annegamento è piacevole. Una lenta passeggiata sott’acqua e poi un improvviso librarsi in volo nella luce. Rinascerai sotto forma di un pesce, di un gabbiano o di una stella, o forse di tutti e tre. Sarai libera dalla forma umana e non più maledetta. Il grande dio del cielo, Lug, sorriderà al tuo passaggio da questo mondo nel Sidhe, l’oltretomba. Darra raggiunse il bordo del promontorio. Il mare sotto di lei era luminoso e scintillante. Il vento le frustava il viso coi capelli. Non voleva diventare un pesce. O un gabbiano. O una stella. Voleva continuare a essere se stessa, Darra. Voleva vivere.

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La maledizione di Dond invase il suo animo. La paura della morte si impossessò di lei. Si sedette sull’orlo della scogliera stringendosi il ventre, nel tentativo di respingere la paura da dove era venuta. Pregò gli dèi, in particolare Lug. Ma il mare si schiantava sugli scogli e il sole scivolava verso ovest. Guardò i suoi raggi allungarsi. Una pista di rosso fuso scintillava sull’acqua. Il suo ultimo giorno sulla terra era quasi finito. Pianse.

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Il sole affondò in un trionfo di viola. «Darra» disse una voce fioca accanto a lei. Saltò in piedi, asciugandosi le lacrime. Un giovane, a pochi passi di distanza, era accovacciato accanto al menhir. Al villaggio, nessuno aveva il permesso di salire sul promontorio. Le sue lacrime avevano forse evocato un dio? «Chi sei?» disse, respirando a fatica. «Sono… Sono…» Il giovane arrossì. Per essere un dio, era piuttosto nervoso. Aveva le lentiggini, mani ruvide, intensi occhi verdi con ciglia chiare e una zazzera di capelli arancioni. «So chi sei!» esclamò Darra, mentre un’intuizione le affiorava alla coscienza. «Sei Bawn, vero?» A volte, dal promontorio, aveva scorto i capelli rossi di Bawn sulle barche al largo. Si diceva che fosse il più fortunato dei pescatori. Le

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sue nasse tornavano sempre a casa piene. Spesso lei aveva provato un intenso desiderio di incontrarlo, ma era il riscatto maledetto di Dond e le era proibito scendere alla baia fra gli abitanti del villaggio. Il ragazzo annuì. «Darra» disse. «Ti ho visto, a volte. Eri qui, in piedi. Una semplice ombra scura sul promontorio. Mi sono chiesto spesso come fossi, da vicino». «Anch’io» disse Darra. Si guardarono a vicenda in silenzio. Poi le labbra di Bawn si contrassero verso l’alto in un mezzo sorriso. Darra cercò di ricambiare il sorriso, ma le sue labbra si incurvarono e si ritrovò a piangere. «Incontrarti adesso, proprio alla fine» singhiozzò. Lui si avvicinò e la prese per un braccio. «Darra» sussurrò. «La mia altra metà».

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«Oh, Bawn. Mi sei mancato, anche se non ti ho mai conosciuto. Ci si sente soli quassù. Non ho nessun altro che Cail, l’anziano. È sempre gentile, ma quello che ho sempre desiderato è una vera casa. Un caminetto, musica nelle serate d’inverno, vecchi, giovani… Una madre, delle sorelle… E un fratello!» «Eccomi qui» disse Bawn. La circondò con le braccia.

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«Non potevo lasciare che giungesse domani senza vederti. Ma non sapevo quanto dolore avrei causato a me stesso». La strinse più forte. «Se potessi scambiarmi con te lo farei. Non ho mai chiesto di essere il primo gemello». «Né io la seconda. Vorrei non essere mai nata. Com’è mia madre?» domandò Darra. «Quella che chiamano Meb? Sarà lì, domani, a vedermi mentre me ne vado?» Bawn scosse la testa. «Non so. È confusa. La gente dice che dimostra vent’anni più della sua età. Mi vuole bene, Darra; e finge che tu non esista. Ma, se vuoi saperlo, non passa giorno senza che pensi a te. Il suo amore per me è sbagliato, in un certo senso. Mi ama troppo. Ma niente di quello che faccio è giusto. Si arrabbia se le nasse sono vuote, se mi strappo un vestito o se mangio

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facendo troppo rumore. A volte penso che vorrebbe che fossi te». «È ora di cena» gridò una voce. «Nasconditi!» disse Darra. «È Cail, è venuto a riportarmi nella fortezza. Se ti trova sono guai. Hai infranto la legge di Inniscaul venendo qui, lo sai». Bawn annuì. Si accovacciò dietro il menhir.

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«Resterò qui» sussurrò. «Resterò qui stanotte. Accanto al Testamento. La mamma crederà che sono uscito a pesca. Veglierò su di te. E pregherò Lug».

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«Credevo che stessi parlando con qualcuno» disse Cail durante la cena. «Infatti. Parlavo col grande dio del cielo, Lug. È venuto da me stasera». Per essere una che non aveva mai detto bugie, Darra scoprì che le era facile mentire. Sbriciolò il suo pane d’orzo nella zuppa di pesce fumante e se ne portò una cucchiaiata alla bocca. Ma faceva fatica a deglutire e rimise il cucchiaio al suo posto. «Stai già cominciando il passaggio» disse Cail. «Verso il Sidhe, il regno delle fate e degli dèi. Sembri persino un po’ trasparente». Poi scosse la sua testa saggia. «Darra» disse. «Annegare…»

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«Lo so, lo so. Annegare è facile. Come bere un bicchier d’acqua». Ridacchiò, poi rise finché le lacrime si fecero strada sulle sue guance. Cail le mise una mano sulla spalla. «Questa è una notte solenne». Sospirò. «Ma non devo dimenticare. Sei ancora giovane».

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L’accompagnò alla sua camera da letto, una soffitta con un lucernario come finestra. «Dormi, cara Darra» disse. «Non ti preoccupare. Sarò con te fino alla fine. Mi prenderò cura di te come ho sempre fatto». Le fece una carezza sui capelli scuri e scomparve. Lei entrò nel letto e rabbrividì, riluttante a spegnere la sua candela solitaria. Guardò la fiamma e pensò a Bawn, là fuori a vegliare su di lei. La cera sgocciolò. Uno spiffero venuto dal lucernario fece bruciare lo stoppino più rapidamente e con una fiamma più luminosa. Sbadigliò. Gli occhi le si fecero pesanti. Sul punto di addormentarsi udì la candela crepitare, poi una raffica di vento che quasi la spense. Iniziò ad avere paura. La fiamma tornò a essere viva con un forte tremolio, sventolando 18

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e sibilando come una vela in alto mare. Si guardò intorno, poi verso il soffitto. Non era la fiamma a sventolare, ma un merlo bello e grande, che scese in volo attraverso il lucernario. Le sue ali venate di blu erano grandi archi che colpivano l’aria della camera con tale impeto che i capelli le svolazzarono intorno alla faccia. Si posò sul montante del letto, accanto alla sua testa. 19

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Il merlo la fissò. Lei lo fissò. La testa del merlo si piegò di lato. Il suo becco cinguettò. «Lug» disse Darra. «Lug oppure Dond. Quale dei due?» Dal suo sguardo, sembrava che l’uccello stesse scegliendo: Lug o Dond, il dio del cielo o quello dell’oltretomba, luce o oscurità? «Be’, tu sei scuro, no?» disse Darra. «Quindi devi essere Dond». Allora il merlo parlò. Il suo becco non si mosse, ma lei udì nella testa le sue parole. Erano parole calme, ma Darra non sarebbe riuscita a dire se la voce fosse quella di un uomo o di una donna. Nelle parole c’era una musica, come il canto di tutti gli uccelli dell’isola messi insieme. «No» disse l’uccello. «Non sono Dond». «Lug, allora?» «Lug, se lo dici tu». 20

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«Sei venuto a salvarmi?» «No. Ciascuno può salvare soltanto se stesso». «Ebbene, se non puoi salvarmi, puoi forse aiutarmi a trovare un modo per sfuggire al mio destino?» «Dobbiamo tutti seguire il nostro destino, Darra. Ma neppure io so per certo quale sia». «Ma io sono il riscatto di Dond. Questo certamente lo sai».

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«Si dice che tu sia il riscatto di Dond» convenne l’uccello. «Ma c’è un destino oltre il destino: anche gli dèi possono vedere infrangersi i loro destini, a volte. E poi c’è un’altra questione». «Quale?» «La piccola questione della verità». «Verità?» L’uccello annuì. «Sono venuto per mostrartela». Lei lo guardò negli occhi acuti e vide la propria faccia riflessa, le sopracciglia scure corrucciate, i capelli scompigliati. Era come annegare nella 22

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propria immagine. Si sentì sprofondare nella vitrea acutezza dell’occhio, come tuffandosi in una pozza d’acqua gelida e immobile. Il mondo stesso si ribaltò, le si rovesciò lo stomaco e un grande flusso di luce l’attraversò. Anziché osservare l’occhio, stava guardando fuori dal suo interno. Era entrata nel merlo. Prima di riuscire a comprendere che cosa fosse successo, il merlo decollò dal montante del letto e volò via attraverso il lucernario. Darra perse l’equilibrio e barcollò nella rotondità dell’occhio.

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Nel giro di pochi secondi sentì l’aria gelida della notte. Vide una luna color mandarino fluttuare sopra la montagna, e nel mare aperto il crepuscolo estivo ritirarsi verso ovest. L’uccello si posò sul menhir. Bawn era ancora lì, avvolto in un manto di pecora, e russava.

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«Darra» mormorava fra sé nel sonno. «Darra». «È una buona cosa avere due occhi, vero?» disse il merlo. Picchiettò dolcemente Bawn sul collo, col suo becco.

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Il fratello si riprese. Guardando negli occhi dell’uccello, vide Darra che lo osservava da un occhio e il proprio riflesso nell’altro. «Sto sognando» disse, pizzicandosi un braccio. «No» disse l’uccello. «Questo è al di là dei sogni». «Al di là dei sogni?» disse Bawn. «Al di là del tempo, al di là del destino» rispose l’uccello. «Al di là…» Bawn si fermò e fissò il riflesso di Darra. «Che cosa ci fai lì dentro?» disse. Darra ridacchiò. «Bawn» gridò, salutandolo con la mano dall’occhio del merlo. «Non avere paura. Ci porterà al di là dei nostri destini». Il ragazzo si sfregò incredulo gli occhi assonnati e, fissando l’altro occhio del merlo, presto si trovò a sprofondare nel

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proprio riflesso, come aveva fatto Darra. Darra sentì Bawn accanto a lei, una presenza calda e confortante. Agganciò il proprio braccio a quello del fratello. «Siamo in partenza» disse l’uccello. Si alzò in volo dal menhir e volteggiò sopra il promontorio. Nella luce fioca videro le candele del villaggio nella baia sotto di loro e uno scorcio della rocciosa forma di ostrica che era l’isola di Inniscaul. Al di là di quella, oltre l’acqua, c’era Eriu, il grande continente verde che pochi avevano visitato, una catena montuosa che faceva loro da protezione. L’uccello scese in picchiata. La vista svanì. L’unica cosa che riuscivano a vedere era il villaggio che si avvicinava rapidamente.

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Siobhan Dowd Siobhan Dowd è vissuta a Oxford con suo marito, Geoff, prima di morire tragicamente nel 2007, all’età di quarantasette anni, a causa di un tumore. Era straordinaria sia come scrittrice che come persona. Prima della sua breve carriera di autrice, Siobhan ha diretto il programma “Freedom to Write” [Libertà di scrivere, N.d.T.] a New York ed è stata inserita nella lista delle cento persone irlando-americane più importanti per la sua attività contro la censura a livello globale. Tornata nel Regno Unito, Siobhan ha lavorato per il PEN International ed è stata co-fondatrice di un programma che porta gli autori nelle scuole, nelle carceri, nei riformatori e nelle comunità di recupero. Il primo romanzo di Siobhan, A Swift Pure Cry (di prossima pubblicazione in Italia), ha vinto il premio Branford Boase e il premio Eilis Dillon, ed è stato finalista per la Carnegie Medal e per il Booktrust Teenage Prize. Il suo secondo romanzo, Il mistero del London Eye, ha vinto il NASEN & TES Special Educational Needs Children’s Book Award. Nello stesso anno Siobhan è stata nominata come uno dei venticinque scrittori britannici del futuro dalla catena di librerie Waterstone. In Italia il romanzo ha vinto il Premio Andersen 2012 come miglior libro oltre i dodici anni. Il terzo romanzo di Siobhan, Crystal della strada, è stato finalista del Guardian Award e del Costa Book Award.

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La bambina dimenticata dal tempo, ultimo romanzo completato in vita, è stato il primo libro a ricevere postumo il grande riconoscimento della Carnegie Medal. Sette minuti dopo la mezzanotte, un romanzo basato su un’idea incompiuta di Siobhan, è stato scritto da Patrick Ness e illustrato da Jim Kay. Ha vinto sia la Carnegie Medal che la Kate Greenway Medal nel 2012. Nei suoi ultimi giorni di vita, Siobhan ha costituito The Siobhan Dowd Trust, una fondazione che ha lo scopo di portare i libri e la lettura a bambini e ragazzi svantaggiati. È stato l’ultimo atto di una persona che ha dedicato gran parte della propria vita agli altri. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito www. siobhandowdtrust.com. Pam Smy Pam Smy ha studiato illustrazione alla Anglia Ruskin University, dove ha terminato il master in illustrazione di libri per l’infanzia nel 2004. Ha illustrato, fra gli altri, libri di Julia Donaldson, Linda Newbery e Arthur Conan Doyle. Pam è docente al master di illustrazione di libri per lìinfanzia alla Anglia Ruskin University. Espone di frequente le sue incisioni, spesso come componente del collettivo di artisti Inky Crows, di cui è fra i membri fondatori. Vive a Cambridge.

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IL RISCATTO DI DOND Titolo originale: The Ransom of Dond First published in Great Britain by David Fickling Books, a division of Random House Children’s Publishers UK A Random House Group Company Text copyright © Siobhan Dowd, 2013 Illustrations copyright © Pam Smy, 2013 The right of Siobhan Dowd and Pam Smy to be identified as the author and illustrator of this work has been asserted in accordance with the Copyright, Designs and Patents Act 1988. For Dane Shelton and Ness Wood with thanks for their help and support Per l’edizione italiana: © uovonero 2014 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, memorizzata su supporto informatico o trasmessa in qualsiasi forma e da qualsiasi mezzo senza un esplicito e preventivo consenso da parte dell’editore. uovonero via Marazzi, 12 26013 Crema www.uovonero.com libri@uovonero.com Per scaricare il catalogo aggiornato: http://goo.gl/kiju3j collana i geodi /11 1ª edizione: novembre 2014 Stampato in Italia da Rubbettino Print ISBN 978-88-96918-31-9

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