urbanistica online DOSSIER
PREMIO INU LETTERATURA URBANISTICA
2012
a cura di Francesco Domenico Moccia, Marisa Fantin, Enrica Papa
003 Rivista monografica online ISBN 978-88-7603-090-1
INU Edizioni
Sezione 1 I generi della letteratura urbanistica FRANCESCO DOMENICO MOCCIA Il premio letteratura urbanistica 2012 e la prossima edizione 2013 FRANCESCO DOMENICO MOCCIA, MARISA FANTIN, ENRICA PAPA Sezione 2 Il vincitore della sezione monografia GIUSEPPE DE LUCA Il vincitore della sezione inedito FRANCESCO SBETTI, LAURA POGLIANI Il vincitore della sezione articolo su rivista PATRIZIA GABELLINI
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Sezione 3
Estratti segnalazione sezione inedito "Danni bellici e ricostruzione dei centri storici minori sulla Linea Gotica in Toscana: esperienze a confronto " A CURA DI FRANCESCO SBETTI
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Estratti segnalazione sezione inedito "Genova: piani e progetti 1975/2011. Contributi alla ricostruzione dell’immaginario disciplinare" A CURA DI ENRICA PAPA
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Estratti vincitore sezione monografia "Paesaggio, progettazione urbanistica e spazio pubblico" A CURA DI MARISA FANTIN Scheda vincitore sezione articolo su rivista "Il progetto urbano per l'urbanistica sostenibile" A CURA DI ENRICA PAPA Estratti vincitore sezione inedito "HaNoi 2050. Trilogia di un paesaggio asiatico” A CURA DI MARISA FANTIN Estratti segnalazione sezione inedito "Nei territori di Carlo Doglio" A CURA DI FRANCESCO SBETTI
Sezione 4 Le schede delle opere A CURA DI ENRICA PAPA
INDICE
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SEZIONE 1
In questa sezione viene data voce agli organizzatori del premio che presentano una breve introduzione degli obiettivi, delle fasi organizzative ed alcuni riflessioni sullo svolgimento della prima edizione del premio. Inoltre viene presentata una rassegna dei generi della letteratura urbanistica, anche con lo scopo di stimolare autori e lettori a partecipare criticamente alle prossime edizioni del Premio.
In this section a voice is given to the organizers of the award that present a brief introduction of the objectives, organizational stages and some reflections on the conduct of the first edition of the prize. Also is presented an overview of the categories of urban literature, also with the aim of stimulating the authors and readers to participate critically in the next editions of the Prize.
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I GENERI DELLA LETTERATURA URBANISTICA Introduzione Il termine letteratura urbanistica è stato accolto con incomprensione. Tra i maggiori equivoci c’è quello che attribuisce alla letteratura un significato romanzato o poetico e lo ritiene una qualità selettiva degli scritti di urbanistica compresi in quella denominazione. In verità, quando abbiamo lanciato il Premio, con letteratura urbanistica s’intendeva non discriminare tra i testi e tanto meno per le loro qualità letterarie. Per rafforzare quest’ approccio comprensivo, ho incominciato a pensare a quanti generi di letteratura urbanistica esistessero. Non è bastato molto per compilare un elenco nutrito le cui interne articolazioni andrebbero meditate con attenzione e maggiore riflessione componendo famiglie, raggruppamenti, gerarchie, secondo criteri incrociati e molteplici. Per questo compito sarà indispensabile l’apporto degli appassionati della lettura delle opere della nostra disciplina con diversi punti di vista. Per iniziare questo lavoro collettivo, provo a stilare una prima lista, anche qui, correndo il pericolo di lacune e omissioni che spero non siano particolarmente gravi. Poi cercherò di proporre una qualche schematizzazione laddove i nessi sono più solidi ed evidenti. Per una serenità di elaborazione, vorrei tenere a distanza l’ossessione dei nostri giorni per i criteri di valutazione dei prodotti della ricerca, avvertendo il lettore che, per quello scopo, questo lavoro non assume alcuna importanza. Le biografie Inizio dalle biografie perché sono quelle che si sono autodichiarate (naturalmente per la penna degli autori) come genere, mentre tutti gli altri non assumono una medesima autocoscienza o non ne considerano la rilevanza. Con il noto volume “Urbanisti italiani” Paola di Biagi e Patrizia Gabellini si proponevano programmaticamente di formalizzare secondo uno schema – in modo da facilitare anche la comparazione – la descrizione di una selezione delle personalità chiave dell’urbanistica italiana. Secondo la Gabellini, questo genere condurrebbe a una metodologia storiografica della diversità, della scomposizione della disciplina secondo percorsi divaricati o comunque inscritti in storie personali da ricomporre in sintesi con una strategia di “saturazione” attraverso il popolamento di una moltitudine di biografie e la ricostruzione degli intrecci tra di loro (Gabellini 1992, p. 7). Nonostante i propositi di giungere a una conoscenza disciplinare, il metodo biografico fotografa lo stato dell’urbanistica del tempo, la cui costruzione teorica e le cui pratiche professionali erano ancora molto legate a figure emergenti, ciascuna delle quali puntava a distinguere il suo apporto individuale e costruire intorno a sé delle “scuole”, perpetrando l’ambiente della bottega artigiana di
eredità architettonica. Se ne discosta nel gruppo di personalità di quel libro, solamente il tentativo di Astengo di stabilire un linguaggio comune su basi scientifiche. Sebbene le autrici prendano le distanze dalle “biografie-elogio”, non si può separare questo genere da una stagione in cui il “piano d’autore” godeva di particolare popolarità; fenomeno non completamente inscrivibile all’interno di quel movimento di rinnovamento, con le sue richieste di sperimentazione d’innovazioni guidate da pochi e riconoscibili leaders, per reagire a una pratica professionale ormai asfittica e incapace di comprendere e affrontare la nuova fase della dinamica urbana. Specialmente per il contesto in cui le derive comunicative e simboliche assumono un ruolo decisivo nelle retoriche del piano e diventa sempre più spendibile per la sua credibilità una firma famosa. Storie dell’urbanistica Nonostante l’inevitabile intreccio con le storie urbane, si può riconoscere una focalizzazione sull’evoluzione della disciplina, in alcune opere del tutto autonoma, in altre causalmente legata alle condizioni strutturali del momento. Per esprimere meglio la differenza giova richiamare la genealogia di Campos Venuti dove le generazioni dell’urbanistica italiana sono strettamente connesse alle fasi di sviluppo delle città (Campos Venuti 1990). Al contrario, altre storie sono molto più attente ai manifesti, ai movimenti e alle poetiche. Certamente l’investigazione si rivolge alla comprensione della formazione e dell’evoluzione del corpo disciplinare e della sua azione nel contesto determinato. Per questo scopo le direzioni d’indagine possono di volta in volta esplorare quei fattori ritenuti più importanti, il che caratterizza la specifica storia rispetto a tutte le altre. Ci possono essere narrazioni che si prefiggono la costruzione di quadri completi (Sica 1977) oppure assumono prospettive tendenziose ponendosi all’interno di una corrente di pensiero per rappresentarne, anche criticamente, l’evoluzione (Fabbri 1983). Ci sono, all’interno di questa famiglia, tanto testi che s’impongono con rigore storiografico – come se si ponessero la domanda di come siano andate veramente le cose, anche se a tale domanda può venire il dubbio che si possa univocamente dare una risposta – quanto testi che si propongono di imparare dalle vicende trascorse. Questa storia operativa (Tafuri 1968), specialmente nella seconda metà del secolo scorso è stata uno strumento privilegiato d’indagine e di costruzione teorica. Successivamente il filone d’apprendimento attraverso le narrazioni si è sempre più ampliato, parcellizzato, diffuso. La narrazione estende il suo dominio dal racconto che alimenta i saperi comuni, non tecnici, oppure copre le aree più labili e meno codificabili della conoscenza,
esposte al mutamento e all’incertezza maggiore. Le storie sono rigorosamente rivolte al passato ma non si può negare che, nonostante i tanti caveat, sono indagate con l’interesse di prevedere il futuro. Che le conoscenze che se ne ricavano non hanno l’ambizione di assumere un carattere predittivo come, al contrario, pretenderebbe la scienza per le proprie acquisizioni, ne fa un tipo diverso, più debole. Onde la sua fortuna nella fase accattivante delle politiche persuasive quanto tra le discipline che trattano elevate quote d’incertezza in tempi di dominante relativismo e crisi delle certezze. Studi di caso Potrebbero essere inclusi nella precedente categoria delle storie, ma hanno assunto un profilo più netto per la diffusione che hanno avuto nelle ricerche più recenti Il ricorso a loro appare come un’esigenza di esplorare terreni poco noti o perlomeno a bassa codificazione. Perciò vi si ricorre nella tendenza espansiva della pianificazione tesa a conquistare ambiti normalmente trattati da altre discipline. In queste condizioni, come le storie, si muovono in ambienti a bassa densità teorica oppure con la precisa scelta di mantenere comunque bassa quella densità se non di sfuggire del tutto alla guida come alla formulazione di teorie. Pertanto vi si possono notare carenze per quanto riguarda l’osservazione diretta, tantomeno partecipata o ravvicinata, il coinvolgimento della complessità dei fattori interagenti, la contestualizzazione degli eventi, la comparazione dei risultati per una corretta generalizzazione. Per altri versi, lo studio di caso è equiparato, nelle scienze sociali, all’esperimento scientifico delle scienze naturali e si offre come strumento potente di validazione delle teorie (caso storico esemplare, nel campo della sociologia, da cui si trae questo genere, è l’inchiesta dei coniugi Lynd sulla piccola città di Muncie in Indiana diventato una pietra miliare per gli studi di comunità) (Lynd 1929). Piuttosto che sostituire le analisi quantitative, si propone di integrarle con metodi in grado di cogliere elementi complementari senza rinunciare al rigore e all’approfondimento; definisce la sua temporalità in periodizzazioni; esplicita obiettivi e metodi, dichiarandone i limiti (Lieto 2002). Con questi requisiti, lo studio di caso apporta conoscenze pragmatiche utili e può fissare concetti o inferenze in grado di fornire effettivi strumenti per le pratiche. Assumere questi criteri, tuttavia, come determinanti per l’inclusione in questo genere di molti testi, sarebbe troppo ambizioso. Bisogna accontentarsi di descrizioni concluse in unità di tempo e di luogo di vicende significative, assunte in termini emblematici per illustrare una questione rilevante per la disciplina. Nella loro forma più semplice, quando la volontà esplicativa, se non esornativa prende il sopravvento, si riducono all’esposizione di “buone pratiche” la cui funzione retorica si afferma come strumento di diffusione delle politiche, costruzione del consenso e stimolo alla loro applicazione. Oppure, sempre in funzione argomentativa, declinano, nella selezione di luoghi, attori e storie, la critica e l’opposizione a politiche correnti, in
maniera del tutto speculare alle buone pratiche, dimostrando la validità d’ideologie. Trattazioni sistematiche di teorie Nel filone della planning theory, affermato specialmente negli USA, ci sono libri ora anche noti in Italia per merito delle traduzioni nella collana diretta da Dino Borri presso la Dedalo di Bari (Faludi 2000, Forester 1998, Friedmann 1993, Healey 2003). Anch’io ho tradotto, per le edizioni CLEAN, il libro di Alexander (1997) ed ho curato la pubblicazione di una serie di articoli dei maggiori planning theorist del momento su CRU (Moccia 1994, 1994b, 1995, 1995b). Le teorie della pianificazione di quel filone s’inquadrano nella dimensione processuale. Questa ricerca metodologica si concentra sui processi decisionali per discuterli secondi diversi parametri come l’efficacia razionale, la partecipazione democratica, l’integrazione e coesione sociale, la differenza di genere. Questa speculazione intellettuale risente dell’influenza della filosofia delle scienze politiche e sociali, dell’economia e delle scienze dell’organizzazione. L’approccio procedurale nasce e si consolida negli USA venendo a coincidere con la teoria della pianificazione si diffonde in tutti i paesi anglofoni, mentre registra una presenza molto più attenuata in Italia fatta eccezione per alcune personalità, rimaste sempre alquanto isolate come Luigi Mazza, fondatore della rivista Planning Theory Newsletter fin dagli anni ’80, passata all’edizione Sage nel 2002; oppure Franco Archibugi, più spostato sulla pianificazione territoriale a partire dagli anni del Progetto ’80, ma teso a formulare proposte di ancora maggior respiro di modelli razionali da lui denominati planologia (Archibugi 2003). Le questioni metodologiche, nel nostro paese hanno prestato maggiore attenzione alla definizione del piano e alla sua forma, collocandolo all’interno delle istituzioni, della pubblica amministrazione e dei nostri ordinamenti giuridici (Campos Venuti 1967). Altrettanto influenti sugli strumenti urbanistici sono state le politiche urbane e sociali alimentando se non proprio formalizzate teorie urbanistiche certamente delle tendenze o movimenti (Campos Venuti e Oliva 1991). Il dibattito sulla forma del piano ha trovato più che trattazioni ampie e sistematiche, una lunga e meditata conversazione, di cui si è fatto promotore più di ogni altro l’INU, all’interno dei suoi organi e nelle sue iniziative, espressa in una molteplicità di articoli sulle riviste dell’Istituto: Urbanistica e Urbanistica Informazione. Gli stessi volumi dei maggiori protagonisti di questo dibattito si presentano come delle raccolte di scritti brevi (Luigi Mazza 1997 e 2004), piuttosto che ampie trattazioni sistematiche. Un altro gruppo di teorie è rappresentato da quelle che investigano i caratteri sostantivi. Si occupano della città, delle sue dinamiche. Studiano i problemi urbani e cercano soluzioni proponendo nuovi criteri o nuove ipotesi per il disegno e la trasformazione dell’insediamento umano. In questo caso è più appropriato parlare di urbanistica, piuttosto che di pianificazione, pensando a una disciplina che mette assieme lo studio della città con gli strumenti per la sua gestione e il suo cambiamento
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(Secchi 2000). Perciò non bisogna meravigliarsi se le opere di teoria dell’urbanistica contengono tanto discussioni intorno ad argomenti procedurali quanto a quelli sostantivi, che presentino indagini e ricerche come teorie normative e visioni di futuro. Descrizioni Isolare le descrizioni è difficile perché le troviamo per lo più inserite in componimenti di maggiore portata dove più generi s’incrociano e aggiungono l’uno all’altro, perché le descrizioni sono funzionali a sostenere e dimostrare teorie oppure si completano con racconti assumendo spessore temporale (Rasmussen 1972). Descrivere è, in ogni caso, lavoro centrale dell’urbanista in quanto una delle modalità più longeve e diffuse di conoscenza del suo campo d’azione. Spesso costituisce il primo passo della pianificazione perché esplora la materia su cui si deve esercitare. Nella descrizione, il piano cerca anche delle sue legittimità, perlomeno secondo degli approcci che tendono a oggettivare il disegno e scoprire nel mondo esterno quanto potrà accadere nel futuro e quali sembianze potrà assumere. Date le molteplici componenti della città e la varietà di discipline che la includono tra gli oggetti del proprio studio, possiamo trovare molteplici approcci descrittivi ciascuno dei quali metterà in evidenza aspetti attinenti alla formazione culturale dell’osservatore. Per l’urbanista, queste descrizioni appariranno settoriali e potranno contribuire solo in parte alla comprensione del suo oggetto di osservazione. Alcune metodologie soccorrono quelli che s’interessano alla forma della città e la ritengono la specificità della conoscenza urbanistica. Abbiamo strumenti per evidenziare il paesaggio urbano (Cullen 1959), altri che ci fanno comprendere come i cittadini percepiscono il proprio spazio di vita (Lynch 1985). La scuola che si richiama a Muratori (1960), ha sviluppato una fertile tendenza di studi urbani la cui utilità è testata nel recupero delle città storiche per assicurare la permanenza dei caratteri identificativi dello spazio e dei tessuti urbani. Essa deve apporti rilevanti a Rossi (1970) e Aymonino (1970) e incentra la lettura della forma urbana sul rapporto morfologia-tipologia, categorie che ricorrono spesso anche nella normativa urbanistica. Lo spessore ermeutico delle interpretazioni si è andato affermando a mano a mano che esigenze di significazione dello spazio hanno sopravanzato l’utilitarismo funzionalista e la semplice composizione degli interessi (Rykwert 2008, Norberg-Schulz 1983). Con l’allargamento al territorio e al paesaggio entrano nel nostro campo le descrizioni geografiche ( Turri 2002), una disciplina il cui contributo si è costantemente offerto fin dalle pioneristiche opere di Astengo, radicandosi successivamente nel nostro settore (Lanzani 2003, 2011).
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Analisi di politiche urbane Gli scritti appartenenti a questo gruppo potrebbero ricadere nelle precedenti categorie se non si fosse affermata, anche se in limitate porzioni della comunità scientifica, la trasposizione agli studi dello spazio dell’analisi delle politiche. Teorie e metodi
sono compendiati in manuali (Ham, Hill 1995, Meny, Thoenig 1996) ed hanno già trovato diverse applicazioni (Bolocan et al. 1996) particolarmente interessanti per comprendere i processi di implementazione di piani complessi. Chi è, poi, interessato a tener presente la realizzabilità anche nella fase ideativa, allora apprezza il portato di queste ricerche in maggiore estensione. Ciò che rende chiaramente riconoscibile i testi appartenenti a questa famiglia è non solo l’attuazione di un preciso schema di analisi, ma anche la finalità pragmatica. Il fatto deve esser ben circoscritto e riguardare un’azione pubblica in cui sono coinvolti organi di governo, condizionati dai propri ruoli istituzionali e dagli obblighi procedurali dettati dalle normative. Vi saranno impieghi di risorse pubbliche e private e processi decisionali condizionati da vari fattori. Protagoniste delle analisi sono le decisioni alle quali è accordato l’interesse rilevante in ogni fase e sulle quali si esprimo i giudizi e le valutazioni. Perciò questi studi s’inscrivono nell’ambito della gestione delle organizzazioni e sono debitori tanto dell’economia quanto delle scienze politiche. In questo genere è possibile ritrovare un notevole ampliamento degli interessi al di fuori dell’industria edilizia e delle trasformazioni dello spazio urbano. Coinvolgono le politiche sociali, dello sviluppo economico locale, della cultura. Particolare centralità assumono i programmi europei il cui obiettivo si propone l’equilibrio regionale (Moccia 2003). Tuttavia esistono studi molto interessanti rivolti alla comprensione dei processi di trasformazione urbanistica (Bolocan 2003). Esplorazioni dello stato dell’arte. Possono essere il primo passo dell’azione di ricerca e, quindi, incorporate, come capitoli, in testi di maggiori estensioni e includenti altri generi. Assumono anche forma autonoma di articolo indipendente quando prevale l’intenzione di diffondere la conoscenza più aggiornata ritenendola compito sufficiente (Moccia 2006). Poiché si esplicano in rassegne di ricerche, usano le metodologie per comparare e sintetizzare i risultati. Queste possono essere semplicemente narrative che allineano affermazioni complementari, oppure argomentazioni che discutono risultati contrastanti. Metodi più raffinati si richiedono per lavorare su ricerche numerose con variabili dati quantitativi (Light, Pillemer 1984). Questi lavori risultano tanto più efficaci quanto è ben definito e chiaramente circoscritto l’oggetto di studio, avendo come nemico principale la dispersione per la sempre crescente mole d’informazioni facilmente accessibili. Per lo stesso motivo della disponibilità delle informazioni, rassegne centrate ed intelligenti di molti risultati di ricerche sono di grande aiuto per orientare gli studiosi, non solamente per informare un pubblico più vasto. Infatti, bisogna smentire che, in tal caso, si resti inscritti solamente nell’attività divulgativa. Per quest’ultimo scopo, si aggiunge al rigore della rassegna anche quelle forma di comunicazioni di massima accessibilità per la comprensione delle informazioni trasmesse. Una delle maggiori insidie di questo genere si
presenta quando l’autore si avventura in campi disciplinari per lui ignoti, estraendone solamente alcune informazioni riguardanti l’oggetto di studio ma decontestualizzate dalle basi istituzionali di quei saperi specifici. Il pericolo è maggiore quando si tratta di discussioni a carattere teorico e per quelle subculture propense a creare lessici specifici e convenzioni testuali autonome. Invettiva Il mondo della ricerca e dello studio produce testi il cui parametro di valutazione potremmo assumere essere la “verità”, per quanto questo irraggiungibile ideale possa essere desiderato. Giudicheremmo valido e utile ogni testo il quale porta delle informazioni o presenta delle prospettive in grado di ampliare la conoscenza. Le successive discussioni o confutazioni saranno ispirate al medesimo principio avanzando nuove prove o ruotando i punti di osservazione per falsificare e aggiornare quanto in precedenza affermato. Queste dispute richiedono argomentazioni e retoriche, talvolta anche molto ferme o radicali. Si giunge all’invettiva solamente quando non solo l’accusa assume una particolare violenza, ma anche si rivolge contro un soggetto o un gruppo. Così si passa dal mondo del gioco delle idee, dei concetti, delle affermazioni, a quello delle responsabilità e delle colpe. L’invettiva è sempre un’estrema ratio. Scuote situazioni stagnanti in cui si è intervenuti con “mezzi ordinari” senza produrre cambiamento senza neppure aver ottenuto ascolto; oppure lancia allarmi su risvolti particolarmente gravi esercitanti minacce su beni essenziali o su valori fondamentali. Pare abbastanza naturale che, nel caso dell’urbanistica, l’invettiva sia rivolta dal mondo dei tecnici, agli amministratori o comunque a ogni tipo di decisore pubblico per spingerlo con forza a considerare la gravità di vicende in atto oppure l’urgenza di adottare particolari decisioni (Berdini 2000). La forma classica dell’invettiva è la declamazione, rientrando in uno dei modi del discorso e trovando la sua radice nell’espressione orale, prima che scritta, traccia della quale è sempre riconoscibile anche in molto dei testi. Un’altra è l’inchiesta, quando sono i dati e le vicende eclatanti che urlano l’accusa con la loro assurdità. L’intreccio con politica e ideologia si comprende perché, rispetto alla prima, ci si sta muovendo nel campo delle decisioni pubbliche; rispetto alla seconda, si sta disputando intorno alle convinzioni profonde dei lettori. Manuali Preposti alla diffusione delle conoscenze tecniche si rivolgono agli operatori del campo dell’urbanistica, come di qualsiasi altro mondo delle professioni. Il loro vincolo all’operatività detta uno stile pragmatico e positivo. Sempre rilevanti sono i riferimenti normativi con i relativi obblighi. Talvolta questi si prestano a una discussione, sempre è indispensabile un esercizio d’interpretazione. Per il peso che assumono, fanno sì che molti volumi o quote di volumi abbiano un netto profilo giuridico, nella manualistica urbanistica (Colombo et al. 1996). A quel punto, l’esame normativo si adden-
tra in veri e propri studi giurisprudenziali che analizzano sentenze dei Tar non sempre concordanti fin in fondo sulle controversie. Per il versante tecnico, la manualistica tende ad ampliare continuamente i suoi argomenti. In alcuni casi questi esplorano delle frontiere innovative, introducendo nella professione non solamente delle abilità su tematiche consolidate, ma anche aprendone di nuove del tutto inedite (Peraboni 2010). In particolare espansione, negli ultimi tempi, è il versante che coltiva gli interessi di carattere ambientale, vuoi perché si sviluppano in questa direzione, obblighi e normative come la VAS (Brunetta, Peano 2003) vuoi perché è la medesima direzione di nuovi criteri di progettazione urbanistica. La competenza regionale in materia urbanistica si riflette anche sulla manualistica portandola a circoscrivere mercato e lettori all’ambito regionale (Moccia 2006b, Ariete e Moccia 2011). I manuali sono dotati di appendici in cui sono riportati i testi delle leggi, dei regolamenti o delle determine influenti l’argomento trattato. Vi si trovano schede o esempi di progetti, istanze, cronologie di procedure o obblighi. Infatti, il ricorso alle esemplificazioni è frequente come all’elaborazione di modelli o di schemi replicabili, costruiti sui casi tipici. Non va sottovalutata l’importanza della manualistica, cui molti attribuiscono un livello di secondo piano, qualificandola come banalizzazione o semplice divulgazione di saperi che si formano in più elevati contesti. La sua diffusione e la capacità d’influenzare gli operatori diretti, infatti, si potrebbero considerare come quelle che incidono nelle reali trasformazioni del territorio Libri di testo Sarà la velocità con cui muta l’insegnamento dell’urbanistica che impedisce la proliferazione di libri di testo, specialmente nella forma di trattazioni organiche. Vediamo diffondersi più agili dispense, in alcuni casi, solamente fotocopiate o diffuse in via telematica. Molti materiali didattici sono disponibili in appositi siti universitari per gli allievi che frequentano i corsi. L’Università Federico II raccoglie in “federica” delle presentazioni di molti corsi in formato .ppt. Massima espressione di questa diffusione in rete di lezioni è iTunesU. Spesso si adottano come libri di testo delle monografie su argomenti che coprono solamente una parte dell’insegnamento, oppure libri che sono stati scritti per rivolgersi ad un pubblico più vasto degli studenti di un determinato corso di studi. In tal caso non potremmo includerli in questo genere. I requisiti da richiedersi sono quelli di rivolgersi specificamente a lettori studenti e di trattare in maniera organica il programma di un corso o perlomeno di una sua significativa frazione (Papa 2009, Petroncelli et al. 2011, Moccia 2012). I libri di tecnica urbanistica, nel loro genere sono esplicativi di questa definizione perché assumono il compito di un’esplorazione esauriente del programma didattico (Mercandino 2006). Non è del tutto errato dare a volumi che compendiano in maniera così esaustiva e pragmatica, la guida all’attività professionale il nome di manuali, come nel precedente
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paragrafo. Documenti e relazioni di piano Per ultimo, richiamo i testi che costituiscono il corpo stesso della pianificazione urbanistica e territoriale, quelli che molti considerano i più lontano dalla letteratura urbanistica. In realtà solo essi ne fanno parte integrate, al contrario di tutti quanti gli altri individuati nei precedenti paragrafi: testi che discorrono intorno o al contorno dell’urbanistica. Hanno giocato contro di loro alcuni pregiudizi come l’idea di considerare il disegno (e le norme tecniche di attuazione) l’espressione precipua della progettazione urbanistica; l’irrigidimento di questi testi in uno stile burocratico e secondo formati prestabiliti, fortemente condizionate dalle routine e dai procedimenti amministrativi, in quanto rivolti agli enti con i poteri di approvazione; l’obbligo all’oggettivizzazione delle affermazioni e alla dimostrazione della conformità delle scelte a leggi e direttive. Una svolta rispetto a questo stile si è avuta con l’avanzare dell’importanza della comunicazione nel processo di pianificazione. Sempre di più i testi di piano si rivolgono a un vasto pubblico di non addetti ai lavori cercando di trasmettere informazioni e di persuadere. La legislazione regionale promuove la partecipazione dei cittadini in aggiunta all’interazione tra i livelli di governo e alla collaborazione tra gli enti di settore e territoriali, al punto che possiamo già disporre di resoconti in merito (Paba et al. 2009). Assunti come testi letterari, l’esegesi ne ha estratto dei meccanismi comunicativi illuminanti la struttura del piano. Infatti, lo proietta in una narrazione in cui gli attori (protagonisti) non possono celarsi nelle affermazioni di casualità (del tipo “se…allora”) naturale o giuridica, ma devono assumersi la responsabilità delle scelte e delle politiche (Mandelbaum 1990).
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Raggruppamento in famiglie. Questa prima lista di generi letterari, certamente non definitiva né completa, si può articolare in famiglie. I raggruppamenti si determinano in base a criteri. Se consideriamo i generi per le loro finalità, li possiamo distinguere tra quelli che si propongono scopi di carattere educativo da quelli esplorativi. Nel primo gruppo ricadono tutte le ricerche scientifiche e storiche: biografie, storie, studi di caso, descrizioni, analisi delle politiche; nel secondo, i libri di testo, i manuali, le invettive. Anche per le famiglie, bisogna avvertire delle possibili interferenze e della difficoltà a operare tagli netti. Un testo orientato all’esplorazione potrebbe mantenere caratteri divulgativi svolgendo in maniera efficace entrambi i compiti. Perciò più che pensare a raggruppamenti separati è meglio considerare come se i diversi testi si disponessero lungo una linea ai cui estremi sono collocati il livello massimo dell’esplorazione, da una parte e dell’educazione, dall’altra. La differenza tra di loro sarà costituita dal gradiente delle posizioni all’interno di tale geometria. Ci si riferirà a tale immagine per ogni altra distribuzione in famiglie di seguito proposta.
Un altro modo con cui si possono raggruppare i generi è quello che dipende dall’approccio. Possiamo avere tre tipi di approccio: 1) storico, 2) teorico, 3) professionalizzante. Nel primo ricadono le storie e le biografie, nell’approccio teorico, trattazioni sistematiche di teorie, ma anche studi di caso, specialmente se sono costruiti come validazioni di teorie, allo stesso modo delle descrizioni o delle analisi di politiche. Tutto questo insieme si riconosce anche come articoli e presentazioni di lavori scientifici. Al terzo gruppo appartengono i manuali, mentre i libri di testo, potrebbero avere uno sbilanciamento o verso le teorie o verso le abilità professionali. Queste articolazioni ci portano a considerare come, al modificarsi dei criteri con i quali si costruiscono le famiglie, possono essere riconfigurati i medesimi generi, all’inizio dati per scontati. Perciò il percorso che va dalla definizione dei generi alle aggregazioni in famiglie non è lineare. Al contrario, determina dei circoli di retroazione che incidono sui generi, li dividono e riaggregano forse in altri generi diversi. Conclusioni. Quest’articolo ha preso le mosse dalla confutazione di un’idea della letteratura urbanistica limitata a quei testi di urbanistica che assumono valore “letterario”, uno stile narrativo più raffinato. Si è voluto affermare un’interpretazione più comprensiva, quasi totalizzante. Fa parte della letteratura urbanistica qualsiasi testo il cui argomento riguarda l’urbanistica. Non si sono presi in considerazioni, solo per semplificare l’esposizione, altre espressioni del pensiero nel settore, oggetto di prodotti multimediali, per i quali sarebbe necessaria un’ulteriore trattazione. La rassegna condotta mette in evidenza come si può scrivere d’urbanistica secondo diversi modi e come ciascuno di essi svolge un certo ruolo nella costruzione delle conoscenze e nella guida delle azioni. Un tale discorso dovrebbe legittimare le diverse espressioni e confutare gli atteggiamenti restrittivi. Abbiamo anche osservato come ogni genere sfugga a delle precise delimitazioni e che esistono testi che si pongono a cavallo di uno o più generi. In aggiunta, la stessa coerenza interna di ciascun genere appare alquanto problematica e non è possibile tacere delle fughe verso componenti eterogenee e ibride. Non sarebbe da escludere una maggiore precisione normativa dei generi e di un loro effetto benefico nel migliorare i testi e le altre espressioni comunicative che in essi ricadono. Sebbene questo non sia il compito di quest’ articolo, qui e là si sono adombrate delle espressioni critiche e valutative che facevano intendere come si ritenesse desiderabile attenersi a determinati requisiti per la massima efficacia del lavoro. Anche il breve esercizio di raggruppamento in famiglie ha mostrato come si possa rivelare attività aggiuntiva di ridefinizione dei generi e di esplorazione di altri loro requisiti la considerazione di altri fattori come quello del pubblico cui i testi si rivolgono o degli approcci che utilizzano. Introducendo tutti questi parametri rispetto ai modi
di scritture, in realtà si fanno delle riflessioni sull’attività cognitiva nel nostro settore e si possono dare, da questo punto di vista poco esplorato, contributi alla sua efficacia.
FRANCESCO DOMENICO MOCCIA
Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Napoli Federico II
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IL PREMIO LETTERATURA URBANISTICA 2012 E LA PROSSIMA EDIZIONE 2013 La prima edizione 2012 del Premio INU Letteratura Urbanistica nasce con l’intento di creare un appuntamento annuale per sostenere e dare voce agli autori e stimolare i lettori delle opere nel campo dell’urbanistica. Il premio, che per ciascuna edizione si conclude con la “Giornata INU della Letteratura Urbanistica” vuole in termini più generali essere eco dello stato della produzione letteraria tematica ed occasione di riflessione sulle modalità editoriali e più in generale di comunicazione della letteratura urbanistica. Il premio da spazio agli autori e alle opere attraverso un bando articolato in diverse sezioni: migliore monografia, contributo su volume collettivo, articolo di rivista, inedito e nuovi linguaggi multimediali. Il premio da inoltre spazio ai lettori e in particolare ai soci INU, che attraverso una votazione on line possono esprimere la loro preferenza per alcune sezioni del premio. In questo modo la designazione dei premiati è quanto mai aperta e trasparente. All’opera inedita vincitrice inoltre il premio offre l’opportunità, abbastanza rara nel panorama attuale di crisi del settore dell’editoria, della pubblicazione da parte di INU Edizioni. La partecipazione alla prima edizione del premio ha in parte risposto agli obiettivi iniziali, con l’adesione e l’invio di 22 tra monografie e libri collettanei e di 8 articoli di rivista. Al contrario per la sezione “nuovi linguaggi multimediali” sono state inviati esclusivamente 2 cortometraggi. Per quanto riguarda le votazioni, gli iscritti INU hanno inviato 134 questionari, esprimendo le loro preferenze per le sezioni monografie e libri collettanei ed articoli di rivista. I vincitori per queste due sezioni del premio sono Alberto Bottari con l’opera “Paesaggio, progettazione urbanistica e spazio pubblico. Un territorio per il progetto e la didattica” edito da Aracne Editrice nel 2012 e Maurizio Russo con l’articolo “Il progetto urbano per l'urbanistica sostenibile” edito da Urbanistica Informazioni n. 233/234 nel 2010. Per la sezione inediti sono state ricevute 13 opere, tra le quali la giuria del premio ha decretato come vincitore Matteo Aimini, con il testo dal titolo “HaNoi 2050. Trilogia di un paesaggio asiatico” e segnalato Stefania Proli con l’opera dal titolo “Nei territori di Carlo Doglio”; Giulia Fiorentino con l’opera dal titolo “Danni bellici e ricostruzione dei centri storici minori sulla Linea Gotica in Toscana: esperienze a confronto”; Luca Salvetti con l’opera dal titolo “Genova: piani e progetti 1975/2011. Contributi alla ricostruzione dell’immaginario disciplinare”.
In particolare la commissione assegna il “Premio INU Letteratura Urbanistica – miglior inedito” a Matteo Aimini, con il testo dal titolo “HaNoi 2050. Trilogia di un paesaggio asiatico”. L’opera costituisce un contributo alla comprensione delle città orientali, caratterizzate da elevata dinamica urbana. Particolarmente apprezzata dalla commissione è la ricchezza delle informazioni, l’originalità del soggetto e dell’esposizione. L’opera inoltre è caratterizzata da un approccio originale alla descrizione e da una ricchezza documentaria e iconografica. Si ritiene che possa costituire uno stimolo alla apertura di orizzonti per gli urbanisti italiani. La commissione inoltre segnala le seguenti opere: Stefania Prioli con l’opera dal titolo “Nei territori di Carlo Doglio”. Il lavoro risulta interessante per la scelta dell’argomento, focalizzandosi sulla figura significativa di Carlo Doglio, rimasto per molti anni nel silenzio. Il testo presenta una biografia approfondita e curata in grado di tratteggiare il profilo dell’urbanista in maniera convinta, in una veste editoriale definita. Giulia Fiorentino con l’opera dal titolo “Danni bellici e ricostruzione dei centri storici minori sulla Linea Gotica in Toscana: esperienze a confronto”. L’opera riporta un’analisi storica e interessante. Del lavoro è stato apprezzato soprattutto il confronto europeo e la metodologia di ricerca della schedatura. Luca Salvetti con l’opera dal titolo “Genova: piani e progetti 1975/2011. Contributi alla ricostruzione dell’immaginario disciplinare”. Il testo presenta una documentazione particolarmente accurata, che ha le potenzialità di diventare un saggio storico rilevante. La giuria ha inoltre stabilito di non assegnare alcun premio per la sezione "nuovi linguaggi multimediali", a causa dell'esiguo numero di partecipanti, che si spera potranno crescere negli anni. La prima edizione del premio si è conclusa con la Giornata della Letteratura urbanistica il giorno 15 dicembre 2012 a Napoli, appuntamento che si è articolato intorno alle premiazioni e in cui hanno trovato spazio momenti di riflessione su temi attuali dell’urbanistica. Alla giornata hanno partecipato Patrizia Gabellini, direttrice della rivista Planum, il direttore della collana editoriale Alinea Giuseppe De Luca e due membri del comitato editoriale INU Laura Pogliani e Francesco Sbetti oltre ai responsabili della organizzazione del premio Francesco Domenico Moccia, Marisa Fantin ed Enrica Papa. L’esperienza del primo anno costituisce il punto di partenza per migliorare e restituire qualità alle prossime edizioni del premio ed estendere il coinvolgimento ad un numero crescente di autori e di lettori.
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La seconda edizione del premio Letteratura Urbanistica 2013, ha preso spunto dell'edizione precedente per migliorare in termini qualitativi. Alcune differenze sostanziali caratterizzano la prossima edizione. Innanzitutto il premio si è dotato di un prestigioso comitato scientifico. I membri sono: Paolo AVARELLO, Università degli Studi Roma Tre; Roberto BUSI, Università degli Studi di Brescia; Maurizio CARTA, Università degli Studi di Palermo; Arnaldo Bibo CECCHINI, Università degli Studi di Sassari; Paolo COLAROSSI, Università degli Studi di Roma La Sapienza; Paola DI BIAGI, Università degli Studi di Trieste; Corrado DIAMANTINI, Università degli Studi di Trento; Giuseppe FERA, Università Mediterranea di Reggio Calabria; Luisa FONTANA, Fontana Atelier – Global Architecture; Alex FUBINI, Politecnico Torino; Paolo FUSERO, Università G. d'Annunzio di Chieti-Pescara; Giuseppe LAS CASAS, Università degli Studi di Basilicata; Francesco Domenico MOCCIA, Università degli Studi di Napoli Federico II; Corinna MORANDI, Politecnico di Milano; Manuela RICCI, Università degli Studi di Roma La Sapienza; Francesco SELICATO, Politecnico di Bari; Francesco VENTURA, Università degli Studi di Firenze; Luca ZEVI, Architetto, urbanista. Il ruolo chiave del Comitato scientifico sarà quello di validare la votazione della giuria dei lettori. Infatti la votazione avverrà in due step successivi. Il primo cui saranno invitati a partecipare tutti gli iscritti INU, ed una seconda fase il cui il Comitato scientifico voterà tra le prime dieci opere che hanno superato la prima selezione. L'obiettivo è da una parte di innalzare la qualità del risultato finale, dall'altra di dare massima diffusione alle opere meritevoli tra gli addetti ai lavori. Un'altra novità introdotta nell'edizione 2013 consiste nell'associare la Giornata dedicata alla premiazione al Congresso INU, che svolgerà a Salerno nel mese di ottobre. In questo modo sarà assicurata massima partecipazione da parte degli iscritti INU anche nella fase finale del premio. Tutte le info per partecipare alla prossima edizione sono pubblicate sul sito INU.
FRANCESCO DOMENICO MOCCIA
Dipartimento di Urbanistica Università degli Studi di Napoli Federico II
MARISA FANTIN
Presidente INU Veneto
ENRICA PAPA
Dipartimento di Ingegneria dell'Impresa Università degli Studi di Roma Tor Vergata
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SEZIONE 2
In questa sezione viene dato spazio ai premiati attraverso la voce di alcuni esponenti del mondo accademico che presentano le opere vincitrici. In particolare viene riportato, come avvenuto nel corso della Giornata della Letteratura Urbanistica 2012, un breve intervento che delinea alcuni tratti distintivi delle opere. I brevi articoli della sezione quindi corrispondono ai tre premi assegnati: il premio per la migliore monografia, il premio per il miglior articolo su rivista ed il premio per il migliore inedito. Le opere vengono rispettivamente presentate da Giuseppe De Luca, Patrizia Gabellini e Laura Pogliani con Francesco Sbetti.
In this section, space is given to the winners through the voice of some academics that present the winning works. In particular, as occurred during the Day of Planning Literature, 2012, a brief speech is reported that outlines some distinctive features of the works. The short articles in the section therefore correspond to the three awards: the award for the best monograph, the award for the best journal article and the prize for the best unpublished. The works are presented respectively by Giuseppe De Luca, Patrizia Gabellini and Laura Pogliani with Francesco Sbetti.
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IL VINCITORE DELLA SEZIONE MONOGRAFIA
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È possibile rilanciare il disegno urbano di parti significative della città esistente, avvicinandolo il più possibile al progetto urbanistico, senza con ciò farne perdere riconoscibilità e ruolo? O meglio è possibile tentare di definire un’alleanza strategica tra i “difensori” del disegno urbano e i “tutori” della progettazione urbanistica nelle pratiche pubbliche di trasformazione della città contemporanea? Sono questi i temi entro cui prende corpo il volume di Alberto Bottari. Il nodo entro cui viene esplorata questa alleanza è il sistema degli spazi aperti. Come noto lo spazio aperto, unitamente a quello degli spazi costruiti, contribuisce alla definizione dello spazio urbano nella sua complessità. La qualificazione del tessuto urbano avviene anche attraverso la rete degli spazi aperti: un sistema di spazi liberi in continuità fisica e relazionale che dialoga con il costruito, restituisce senso sociale, urbano e qualità di paesaggio. Era questa una condizione fondamentale nel disegno degli spazi pubblici nella città storica tale da condizionare la forma degli spazi privati. Condizione ribaltata nella città contemporanea, dove il disegno degli spazi privati ha finito per essere elemento condizionante di quelli pubblici, tale da essere troppo spesso considerato marginale e secondario sia nella progettazione architettonica che nelle stesse norme urbanistiche. Partendo da questo assunto Bottari propone di far appello al progetto di riqualificazione degli spazi aperti per ridare senso all’intero spazio urbano. Un’accurata ri-progettazione con gli strumenti e le tecniche dalla progettazione paesaggistica degli spazi aperti pubblici, semipubblici e privati esistenti nella città contemporanea, specialmente in quella recente delle periferie figlia del progetto moderno o in quella estesa e porosa di figlia della dispersione insediativa, è infatti l’unica strada che può garantire la creazione di una identità spaziale e sociale e una diversa qualità dell’abitare. Per spazi pubblici l’A. intende il sistema della mobilità urbana, strade, piazze, marciapiedi, parchi e giardini, parcheggi e l’insieme degli elementi che costituiscono la scena urbana (facciate, pavimentazioni, oggetti e attrezzature). Per spazi aperti semipubblici intende soprattutto i cortili e gli spazi pertinenziali degli edifici. Per spazi aperti privati intende principalmente i giardini e gli spazi aperti di proprietà. L’insieme costituisce la trama che dà senso all’insediamento e che costituisce la base della sua “forma” di paesaggio aperto. Ri-disegnare gli spazi nella città esistente significa anche ri-scoprire la storia della sua stratificazione, i segni duraturi ancora presenti, la trama generatrice degli assetti fisici. Significa anche ri-scoprire la “lentezza” come metodo dell’osservazione del dettaglio, del particolare, delle relazioni fra gli
oggetti e gli spazi, con le persone, alla ricerca dei fulcri dell’organizzazione dello spazio aperto. In poche parole un metodo di disvelamento in un prospettiva di ri-progettazione. La rilevanza del volume è proprio questa: la sua proiezione verso il “fare”. Lo sforzo, cioè, di dimostrare la praticabilità di un approccio metodologico fondato sul progetto di riqualificazione dello spazio pubblico. Il volume è, difatti, una sorta di manuale implicito, anche nella sua organizzazione tripartita. Una prima parte definisco come “metodo” di lettura e interpretazione, significativamente titolata «Tracce della costruzione della città, tipologia edilizia e forma urbana, per una descrizione del territorio ed un progetto di riqualificazione dello spazio pubblico». Una seconda parte che definisco come “metodo della ricomposizione”, anche questa significativamente titolata «Una “Città-Parco”: percezione e progettazione dello spazio pubblico». Ed infine una terza dove vengono esposti gli elementi costitutivi del progetto a mo’ di «Appendici», che trattano le diverse scale del progetto dello spazio aperto, o meglio del trasferimento degli approcci e degli orientamenti dal livello generale: la città, al livello del micro-intervento locale: quello particolareggiato, fino alla definizione dei regolamenti edilizi che incidono sull’edificio. Il tutto è chiuso con delle schede bibliografiche di sintesi che danno conto del lavoro svolto, ma anche indicano la strada di possibili approfondimenti. L’interesse della proposta è la “giusta dimensione” degli interventi che l’A. identifica in quella «microurbana»: una dimensione intermedia tra il livello della pianificazione urbanistica e quello del progetto di architettura; dimensione che dovrebbe costituire l’aggancio tra il sistema degli spazi aperti della città colti nel loro insieme e la progettazione di dettaglio più prossima alla quotidianità. L’A. non lo cita, ma l’approccio che propone è molto vicino al cosiddetto Landscape Urbanism (cfr. C. Waldheim, eds, The Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press 2006) che suggerisce il superamento della tradizionale distinzione tra architettura, urbanistica e paesaggio, coniugando le caratteristiche dello “sguardo” sistemico e dinamico tipico dei paesaggisti, con il rigore delle analisi dei fattori economici e sociali propri dell’urbanistica, fino ad unirli al linguaggio proprio dell’architettura. Ed è altrettanto vicino alla scuola statunitense di Urban Design (cfr. J. Barnett, An Introduction to Urban Design, Harper & Row, New York 1982) che propone un approccio unitario tra urbanistica, architettura del paesaggio, ingegneria e architettura nella progettazione della città contemporanea. Nonostante possiamo considerare il volume come un testo seminale in Italia. Il primo che affronta la
questione della riprogettazione dello spazio urbano in una prospettiva di paesaggistica integrata nella pianificazione urbanistica e nella progettazione architettonica. Il testo è l’esito anche di un percorso professionale e didattico assai lungo svolto presso il Politecnico di Torino, dove è attivo un consistente numero di studiosi e ricercatori da anni impegnato nello studio di “come fare paesaggio” nell’urbanistica operativa e nei molteplici interventi di settore che modificano il territorio e gli insediamenti umani, in genere ispirati da obiettivi e criteri estranei a preoccupazioni paesaggistiche. Il volume è fortemente influenzato da questa scuola.
GIUSEPPE DE LUCA
Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio Università degli Studi di Firenze
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IL VINCITORE DELLA SEZIONE INEDITO Matteo Aimini, HaNoi 2050 Trilogia di un paesaggio asiatico
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Nella Sezione Inediti la Giuria ha valutato i 13 testi pervenuti. Nel complesso si tratta di testi molto variegati, sia nella forma che nel merito. Infatti in alcuni casi sono articoli piuttosto brevi, di taglio quasi giornalistico; in altri casi la natura del prodotto è quello di una sintesi di lavori alle cui fonti si fanno rapidi cenni; in altri casi invece una ricca documentazione ed una robusta argomentazione costituiscono il supporto di testi molto maturi. Anche l’oggetto dei lavori è piuttosto disomogeneo, perché vengono illustrati, con diverso grado di approfondimento, sia temi e questioni generali, sia casi studio, relativi a città, territori e vicende storiche, sia profili di figure eminenti della cultura italiana moderna. E’ oltremodo opportuno che la prossima edizione del Premio fornisca qualche griglia di preselezione, per consentire una maggiore omogeneità dei prodotti candidati. Come si può ben capire, la Giuria si è innanzitutto soffermata nella discussione di criteri generali, per potersi districare tra la varietà di forme e di temi e individuare collegialmente una prima selezione di materiali. L’humus Inu, in cui tutti noi giurati siamo cresciuti, ci ha consentito di ritrovare un primo filo d’Arianna per guidarci nella lettura e valutazione, ponendo al centro della nostra attenzione le modalità di costruzione dei paesaggi umani e di governo dei fenomeni territoriali complessi. Lo stesso humus tuttavia non ha reso né facile né immediata la selezione, perché ci siamo riconosciuti tutti molto sensibili nel soppesare ed apprezzare le complicate interpretazioni dei testi, le diverse sfumature dei rimandi storici e culturali, la multiforme attrattività dei linguaggi e delle rappresentazioni ed il loro possibile successo editoriale. Inevitabile è stato il confronto interno sulla possibilità di delineare uno specifico nella letteratura urbanistica, che sappia alludere, suggerire, magari appassionare. Alcune questioni e domande sono ritornate con maggiore frequenza, e tra queste: qual è il valore aggiunto della ricerca o delle riflessioni contenute nel testo, tale da motivare l’interesse per una nuova pubblicazione, nel panorama assolutamente ridondante della pubblicistica contemporanea, di settore e non? Qual è il prodotto culturalmente rilevante per il lettore esperto, soprattutto per il lettore vicino alla cultura e tradizione Inu? Dove ritrovare la vicinanza ai temi trattati dall’Inu, e al tempo stesso come apprezzare uno scarto che possa introdurre nel dibattito quegli enzimi di criticità, di distanza fertile, persino di freschezza che consentono la crescita e l’evoluzione della ricerca? Un premio infine è stato assegnato, e tre menzioni speciali. Il testo di Matteo Aimini “HaNoi 2050. Trilogia di un paesaggio asiatico” si è aggiudicato
il premio Inu 2012, le segnalazioni sono state attribuite ai testi di Stefania Proli, Giulia Fiorentino e Luca Salvetti: rispettivamente “Nei territori di Carlo Doglio”, “Danni bellici e ricostruzione dei centri storici minori sulla Linea Gotica in Toscana: esperienze a confronto” e “Genova: piani e progetti 1975/2011. Contributi alla ricostruzione dell’immaginario disciplinare”. Per il contributo sulla metropoli asiatica la Giuria ha trovato un consenso unanime al proprio interno, condito da qualche dubbio. Non certo sulla ricchezza iconografica del testo, sulla cura editoriale, sul sapiente dosaggio di temi e questioni che attengono al recente, talora dolorosissimo passato, e al suo molto discutibile presente. E neppure sulla consapevolezza critica che l’autore dimostra nel trattare con leggerezza ed agilità i materiali più propriamente di interesse architettonico e urbano: disegni, immagini, progetti, proposte, evoluzione socio-economica e demografica, crescita urbana. I dubbi che hanno permeato il giudizio della Giuria sono innanzitutto relativi alla nostra capacità critica, perché ci siamo chiesti se a questa scelta non è imputabile una buona dose di fascinazione esotica e di provincialismo urbanistico. Del resto, da Marco Polo agli anni ’40, l’Oriente ha notoriamente ispirato racconti e alimentato una variegata letteratura, mentre oggi è motivo di curiosità per il modello economico in larga espansione, per una piramide demografica simile a quella italiana del dopoguerra, per un fermento urbano fonte di suggestione e non troppo velata invidia da parte di professionisti ed accademie. Innegabile però è anche la sensazione di ingiustizia e angoscia per le guerre coloniali e civili che hanno attraversato il paese fino a pochissimi decenni or sono, per le devastazioni subite dalla popolazione, dagli insediamenti, dai paesaggi, ed infine lo stupore per il potente bisogno di demolizione e nuova urbanizzazione che attraversa in modo percepibile e violento il paese. E’ da questo bisogno che parte il racconto urbanistico del testo premiato, per ripercorrere le fasi della storia urbana trascorsa: la chiave di lettura utilizzata per indagare il fenomeno Hanoi, attuale e del prossimo futuro, ci è parsa la più intrigante e ci ha sciolto molti dubbi. Infatti, è consapevolezza comune che il Vietnam sta galoppando verso uno sviluppo molto occidentalizzato, con alti tassi di crescita della popolazione (da 1 milione di abitanti nel 1980 ad oltre 6 milioni oggi) e del PIL (pari al 7% annuo), ma altrettanto noto è il rischio fortissimo, pressoché la certezza, che molta memoria si stia perdendo, probabilmente in modo intenzionale. Quasi ad esorcizzare un passato difficile nascono come funghi gli oltre 350 progetti di sviluppo nella sola Hanoi, per circa un miliardo di dollari di investimenti (la fonte dei dati è naturalmente il testo premiato)
e si fa strada l’idea della ulteriore densificazione di un tessuto che già “vanta” spazi ridottissimi per l’abitare, con una media di 1900 ab/kmq (circa dieci volte tanto Milano). Così le parole di Rem Koolhas cercano di nobilitare un modello di crescita spaventoso e ancora ignaro della bolla immobiliare che altrove è già scoppiata: “ La modernizzazione è la nostra droga più potente. Dal momento che non siamo responsabili, dobbiamo diventare irresponsabili”. Parole che provocatoriamente cancellano il senso profondo della nostra modernità, cioè il contributo che la tradizione di architettura e urbanistica europea e soprattutto italiana ha affidato al mondo. Noi siamo responsabili e proviamo, pur con tante incertezze, debolezze e soprattutto insuccessi, a sostenere e praticare la cura e l’attenzione per l’ambiente costruito, per la nostra identità fisica anche materica, racchiusa nelle pietre e nei mattoni, per la storia del tessuto urbano e delle sue sedimentazioni e modificazioni. Saper riconoscere che il patrimonio civile sta nelle cose e nelle nostre città e che governare le trasformazioni è la sola via per conservarle nel loro fluire e sapersi adattare alla realtà: questo è il messaggio forte di Giovanni Astengo. Il progetto è creativo, ma non distruttivo, perché è radicato nell’esistente e ne trae forza e continuità; la manipolazione e trasformazione sono inevitabili, ma all’interno di un sistema di valori partecipato e trasparente, che coinvolge e non travolge la collettività. Per tutte queste ragioni ci è parso giusto premiare un testo che per reazione ci fa riflettere sulle potenzialità e valore della nostra cultura e sulla necessità che essa contamini le radici di uno sviluppo sempre più globalizzato.
LAURA POGLIANI
Direttore di Urbanistica Dossier
FRANCESCO SBETTI
Direttore di Urbanistica Informazioni
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IL VINCITORE DELLA SEZIONE ARTICOLO SU RIVISTA Maurizio Russo, Il progetto urbano per l’urbanistica sostenibile, Urbanistica Informazioni, nn. 233/234, 2010
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Il testo di Maurizio Russo è il primo di un nutrito pacchetto di contributi raccolti nel servizio dal titolo La sostenibilità nelle pratiche della progettazione urbana, curato da Francesca Calace e pubblicato sul numero doppio 233/234, 2010, di Urbanistica Informazioni. Il contesto entro il quale si colloca è importante per apprezzarne la specificità. L’introduzione della curatrice, con l’insieme degli scritti opportunamente accostati, tratteggia le grandi questioni connesse con un approccio sostenibile alla progettazione urbana mettendone in evidenza la dimensione pervasiva e transcalare, tale da suggerire che il futuro sostenibile non dipenda tanto da saperi e tecnologia quanto da volontà politica e visione del futuro. Dato questo sfondo, il testo di Russo si concentra sul progetto urbano, in quanto “pratica morfogenetica degli insediamenti umani … trait d’union tra sostenibilità e urbanistica tradizionale” e sulla densificazione, “forma ben delineata e coesa”, due aspetti tra i più dibattuti da urbanisti e architetti negli ultimi anni. Alcuni progetti e realizzazioni di rinomati architetti contemporanei costituiscono il serbatoio degli esempi cui Russo fa riferimento per costruire una mappa di soluzioni volte alla realizzazione di nuovi insediamenti sostenibili. Entro questo frame, sottolinea la centralità del quartiere per modificare in maniera sostanziale le prestazioni della città e adattarla alle nuove condizioni (“la scala del quartiere … consente di gestire … consumo idrico ed energetico, inquinamento acustico, raccolta differenziata dei rifiuti, discriminazione sociale”), inserendosi in un filone di ricerche che negli anni recenti hanno polarizzato l’attenzione sulla importanza della “prossimità”. Questo restringimento del cannocchiale è un modo ricorrente di trattare la questione urbana, come si può constatare ripercorrendo i grandi riferimenti dell’urbanistica moderna, forse anche perché risponde alla necessità di riduzione/trattamento della complessità. E’ a questa scala che si sono quasi sempre tradotte le idee di città. Non è dunque un caso che Russo, commentando le soluzioni adottate da Richard Rogers per l’insediamento integrato di Lu Zia Sui a Shangai, richiami gli schemi ottocenteschi di Hebenezer Howard (“sistemi passivi” di sfruttamento delle condizioni geo-climatiche locali). Facendo questo, però, mostra anche come sia opportuno rivisitare e rimettere insieme alcuni insegnamenti, talvolta trascurati e spesso sottaciuti, della lezione moderna. Ricordo, per esempio, quello di Tony Garnier sulla progettazione dello spazio aperto, in parte migrato nelle soluzioni
divulgate da Le Corbusier. Intendo dire che, sotto traccia, questo testo invita (a mio modo di vedere, molto opportunamente) a riusare e attualizzare tanta parte dell’esperienza progettuale moderna, evitando la tendenza a “saltare”, proprio in nome della sostenibilità, questa stagione urbanistica e architettonica per cercare soluzioni e suggerimenti nella città europea premoderna, oppure nelle tradizioni costruttive locali che, in diverse parti del mondo, hanno dovuto fronteggiare scarsità di risorse e condizioni climatiche avverse. In questo senso, il “nuovo” del progetto urbano (rispetto a quello degli anni Ottanta e Novanta) non si riconoscerebbe solo nella diversa concettualizzazione dei problemi (sostenibilità come capacità di futuro), ma anche nell’assemblaggio delle tante tecniche utili alla sostenibilità, a prescindere dalla diversa provenienza disciplinare o esperienziale, e di individuarne l’evoluzione tecnologica. Il progetto urbano che viene delinato è “nuovo” anche per l’assunzione consapevole della scarsità di risorse. Ne consegue un’ottica di risparmio, ma anche un modo di trattare acqua, energia e rifiuti che potremmo definire di generale riciclo, e l’applicazione ad aree già urbanizzate che presuppone la preparazione del suolo (si richiamano ad esempio le modalità di disinquinamento adottate nel progetto di Renzo Piano e Michel Corajoud per Sesto San Giovanni). La densificazione viene proposta come corollario del progetto urbano sostenibile in quanto garantisce l’efficienza del sistema di trasporto pubblico e l’alta pedonalità, la possibilità di mix funzionale grazie a sovrapposizione di usi e prossimità, il risparmio di suolo, l’efficienza delle reti tecnologiche. La densificazione si è progressivamente affermata come la strada maestra, in particolare quella ottenuta con sviluppi in altezza, una volta superato lo shock per la vulnerabilità dei grattacieli a seguito dell’attacco alle Torri gemelle di New York e rimossi i problemi di abitabilità connessi a questo tipo edilizio (passati in secondo piano a fronte dei tanti vantaggi), così che oggi appare obiettivo ampiamente condiviso. Tuttavia, per non cadere nel solito tranello della ricetta valida ovunque e comunque, oltre a ricordare che gran parte della città esistente non potrà essere densificata e che differenti forme di sostenibilità dovranno essere praticate per i diversi tipi di pattern urbani, vale la pena considerare anche i limiti della densificazione, utilmente indicati da Petter Naess nel suo testo Crescita economica, sviluppo urbano e sostenibilità ambientale (pubblicato in D. Moccia, a cura di, Abitare la città ecologica/Housing Ecocity, Clean, Napoli 2011). Studiando il caso di Oslo, l’autore mette in luce gli impatti negativi sulla vegetazione
e sugli ecosistemi in quanto le aree verdi hanno dovuto cedere il passo ad asili e scuole in quartieri dove la densificazione ha indotto l’aumento degli abitanti rendendo insufficienti le attrezzature esistenti, rimarcando che, “Se guardato dal punto di vista della salute pubblica, questo non è uno sviluppo sostenibile” (p.62). Effetti “isole di calore” e livelli di inquinamento atmosferico e acustico, tipici delle zone centrali delle aree metropolitane, rendono necessarie compensazioni e severe misure di regolazione del traffico. La conclusione, ponderata, è che “… vengono normalmente rotte meno ‘uova’ ambientali dalla densificazione che dallo sprawl, anche se è innegabile che la densificazione abbia un impatto negativo sulla salute e sull’ambiente” (p. 68).
PATRIZIA GABELLINI
Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Politecnico di Milano
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SEZIONE 3
Questa sezione è dedicata alle opere vincitrici, di cui si riporta oltre alle informazioni bibliografiche, un breve abstract, l'indice ed alcuni estratti. Oltre alle tre opere vincitrici delle tre sezioni (monografia, articolo su rivista ed inedito), nell'edizione 2012 sono stati assegnati anche tre segnalazioni per tre inediti di giovani ricercatori. Anche a queste opere è dedicato una spazio, al fine di darne visibilità ed incentivare le case editrici a voler pubblicare le opere più meritevoli.
This section is dedicated to the winning works and, in addition to bibliographic information, a short abstract, table of contents and excerpts are reported. In addition to the winners of the three sections (monograph, journal article, unpublished), in the 2012 edition were assigned to three young researchers unpublished works three recommendation prize have been assigned. For these works is also dedicated a space in order to give them visibility and to encourage publishers to publish the most deserving works.
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ESTRATTI VINCITORE SEZIONE MONOGRAFIA Alberto Bottari, 2012 Paesaggio, progettazione urbanistica, spazio pubblico ARACNE editrice S.r.l. Indice Prefazione di Attilia Peano PRIMA PARTE Tracce della costruzione della città, tipologia edilizia e forma urbana, per una descrizione del territorio ed un progetto di riqualificazione dello spazio pubblico 1. Introduzione 2. Didattica e formazione: orientamenti pedagogici per la progettazione urbanistica 3. Didattica del piano, retorica urbanistica, metafore e paesaggio 4. Ricerca storica, progettazione e riqualificazione 5. Problemi di scala e di livello nell’osservazione e nella descrizione tipologica e morfologica 6. Elementi per una tassonomia della forma urbana 7. Una classificazione della maglia e dell’isolato urbano 8. L’osservazione alla scala microurbana 9. Confine e limite nella città 10. Tipi edilizi come traccia e permanenza di rilievo storico 11. Maglia, isolati e tessuto urbano ed edilizio: una ricognizione di casi esemplari 12. Paesaggi della periferia: visioni e approccio narrativo al progetto 13. Elementi di rilievo paesaggistico e ambiti di rilievo paesistico come riferimento per il progetto 14. Percezione e analisi del territorio nel contributo di Sociologia Urbana al Laboratorio 15. Orientamenti e obiettivi del progetto 16. Unità paesistiche e ambiti di interesse paesaggistico, per il progetto di riqualificazione 17. Linee–guida del progetto 18. Temi e progetti fra scala urbana e microurbana 19. Cartografica catastale, tracce storiche del territorio e progettazione urbanistica 20. Percezione e organizzazione dello spazio pubblico: dimensione urbana e locale del progetto Note Illustrazioni della Prima Parte SECONDA PARTE Una “Città–Parco”: percezione e progettazione dello spazio pubblico 1. Introduzione 2. Una “Città–Parco”, per un nuovo rapporto di chi abita la città con il territorio 3. Un manifesto e un lessico per una grammatica della percezione della “Città-Parco” 4. Simboli grafi ci e verbali per la rappresentazio-
ne di elementi di rilievo identitario e di riferimento pratico nella città parco 5. L’approccio di “Trama Verde / Città–Parco” nella lettura di altri casi: piazze e parchi a Barcellona 6. Potenzialità di progetto nei casi di studio del Parco Stura e dell’area della stazione ferroviaria della Torino–Aeroporto di Caselle–Ceres 7. Gli ambiti di trasformazione previsti dal Piano Regolatore: uno “schema–guida” per il progetto del verde attrezzato residenziale 8. “Spazio di transizione” e “corte tessuto” nell’urbanistica torinese: il caso del viale con controviali 9. Tutela e valorizzazione del paesaggio urbano: esperienze internazionali e approccio di “Città– Parco” Illustrazioni della Seconda Parte » TERZA PARTE Appendici Tecniche Introduzione Appendice tecnica A Schede di lettura per “Città–Parco” 1. Introduzione 2. Estratti da A. Rapoport 3. Approfondimenti Appendice tecnica B Istruzioni per l’individuazione e la rappresentazione delle tracce storiche 1. Premessa 2. “Permanenze” e “tracce” storiche, attinenti la periferia in quanto territorio un tempo rurale 3. “Permanenze” e “tracce” storiche attinenti la periferia in quanto territorio urbanizzato Note Appendice tecnica C Caratteri morfologici e paesaggistici alla scala di dettaglio: trasformabilità e tutela, secondo i tipi di intervento edilizio previsti dalla Legge Urbanistica della Regione Piemonte 1. Regolamentazione edilizia e urbanistica, per la tutela del patrimonio di un territorio 2. Indicazioni di metodo per un abaco dei tipi d’intervento, nel progetto di riqualificazione 3. Integrazioni e modifiche legislative, in materia di contenuti e procedure per gli interventi edilizi 4. Utilizzazione della tabella e dell’abaco 5. Abaco dei tipi d’intervento Appendice tecnica D 1. Introduzione 2. Organizzazione del testo e approccio al progetto di riqualificazione dello spazio pubblico 3. Diversi modi di lettura e d’uso: testo o ipertesto 4. Una possibile organizzazione per passi successivi delle indagini e dell’elaborazione delle proposte progettuali Illustrazioni della Terza Parte
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QUARTA PARTE Bibliografia 1. Introduzione 2. Classificazione per parole chiave 3. Schede bibliografiche
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Abstract Basato su una pluriennale attività didattica svolta dall'autore, il volume illustra gli aspetti di metodo, le pratiche e gli esiti, nell'affrontare a livello didattico un tema fondamentale per la città odierna: una maggiore qualità dello spazio pubblico, secondo un approccio alla progettazione urbanistica e al progetto urbano che tiene conto di diverse dimensioni e "scale", secondo cui si sviluppa il complesso delle relazioni - di natura percettiva e conoscitiva- fra utenti della città e realtà materiale dell'ambiente costruito. Si propone una strategia di progetto - denominata "Città-Parco" (o "Trama Verde/Città-Parco") - che individua priorità e gerarchia delle scelte, e fulcri progettuali a diverse scale (urbana e locale), di volta in volta tradotti in obiettivi specifici, in risposta alle problematiche presenti nei singoli casi di studio. Nell'organizzazione dello spazio pubblico ciò si traduce nella individuazione e definizione di elementi che costituiscono un riferimento di natura pratica e simbolica a livello locale in un'ottica che potremmo definire al tempo stesso antropocentrica e antropologica. Essa attribuisce forte influenza sia sui processi di formazione della conoscenza, sia sulle pratiche di costruzione e uso dello spazio e nella definizione di un territorio a "impronte" ancestrali e inconsce, culturali, tradizionali, consuetudinarie e della moda, che nido no su preferenze e comportamenti. Ciò si traduce in esigenze e abitudini di tutela delle sfere del privato, mediando con la sfera pubblica attraverso filtri di varia natura, nella ricerca di sicurezza e di riservatezza, ma anche di apertura verso l'esplorazione di nuove risorse e di nuova conoscenza. Il volume ha sia le caratteristiche del manuale, sia quelle del testo organico. Esso può quindi essere utilizzato in quanto illustrazione progressiva di un metodo, a partire dalla identificazione e interpretazione degli elementi della realtà materiale per arrivare alla produzione di elaborati che ne rappresentano gli esiti conclusivi e proposte di intervento. D'altra parte l'organizzazione dei materiale del testo può sollecitare anche una lettura di tipo più trasversale e non unidirezionale. Le varie parti di cui esso si compone hanno infatti una loro relativa autonomia. Estratti Processi cognitivi e azioni dirette sulla realtà materiale sono alla base della costruzione di un rapporto dell'individuo con altri individui e con la collettività - e più in generale dell'individuo con il contesto urbano e territoriale. Se spostiamo l'attenzione sul quadro delle discipline dell'architettura e dell'urbanistica e sulle loro pratiche, analisi e progetto di territorio e di città costituiscono impossibile corrispettivo di questi processi ed azioni, allorché si propongono trasformazioni dell'assetto fisico ed organizzativo del territorio, che richiedono una armonizzazione reciproca: fra innovazione, recupero e manutenzione della città esistente, prospet-
tive di ulteriore trasformazione, in un contesto che deve poter garantire costantemente un buon esercizio dei diritti dei singoli e della collettività nell'uso dello spazio e nello sviluppo delle attività aprendo contemporaneamente a opportunità di crescita materiale e culturale. Compito della conoscenza è consentire un progetto delle azioni e delle trasformazioni territoriali che risponda. Queste finalità, contribuendo all'accertamento delle criticità, dei problemi, delle opportunità ed alla ricerca di soluzioni. ....... Con riferimento alla nozione e ai contenuti della progettazione urbanistica noi prenderemo in considerazione due possibili orientamenti a nostro avviso egualmente legittimi, del pensiero e della pratica del progetto per la città- oltre che della didattica del progetto medesimo. Ci si può rivolgere alla costruzione degli strumenti di piano ed di programma, e quindi alle regole per formulare ed eseguire progetti e alle procedure per indirizzare o guidare (in forme strategiche o operative) le azioni volte a valorizzare (in senso lato) il territorio e la città. D'altra parte la progettazione urbanistica può avere come contenuto ed obiettivo l'esplorazione e la valutazione della "progettualità possibile" o virtuale, cioè dei diversi modi o delle diverse scelte di trasformazione che potrebbero svilupparsi nel territorio e nella città, a diverse scale di intervento, ad opera di una molteplicità di attori e coinvolgendo diversi soggetti. Essa dovrebbe inoltre studiare il rapporto che questa progettualità vi può e deve avere con le azioni di governo del territorio e la varietà di mezzi che ne caratterizzano l'implementazione - giocando un ruolo significativo all'interno di un processo di studio e anticipazione di alternative e implicazioni per la pianificazione, in particolare per la costruzione dei suoi strumenti. In ogni caso ciò che accomuna i due approcci è la concezione del progetto di architettura e di città come contributo alla costruzione di un territorio. È perciò operazione che presuppone un'attenzione forte sia a ciò che preesiste e costituisce l'ambiente del progetto, sia alle nuove relazioni di tipo funzionale, estetico e sociale, che tramite l'intervento vengono potenzialmente a stabilirsi. Nelle pagine seguenti cercheremo di sviluppare un discorso di metodo concernente la progettazione urbanistica, con particolare attenzione a questo secondo approccio - di particolare interesse per una didattica in ambito universitario grazie al suo potenziale di rilevante apertura verso un'integrazione dei diversi saperi, e dei differenti apporti disciplinari, per la formazione del progettista che opererà sul territorio e nella città, come architetto oltre che come urbanista. L'ambito di riferimento di un discorso sul metodo della progettazione deve inquadrarsi in un profilo curricolare, e riferirsi ad un modello e ad un insieme di obiettivi formativi, che oggi prevedono di preparare un tecnico secondo almeno due livelli diversi di specializzazione: attrezzato come architetto, ma contemporaneamente abbastanza ben disposto e sensibile, se non con competenze professionali specifiche, nei confronti dell'urbanistica. A questo livello si pongono anche dei quesiti di natura "etica" (con conseguente pratiche sotto
il profilo dei "contenuti pedagogici", cioè dell'orientamento della formazione) concernenti cioè ruolo e compiti del tecnico. Questi sono tuttavia più evidenti se ci riferiamo alla figura dell'urbanista - in relazione ad una sempre più marcata esigenza di sviluppare forme di pianificazione democratica, e di coinvolgimento partecipativo nel progetto. In merito al quesito di fondo circa l'influenza che può avere, su forme e contenuti della didattica, l'idea di una collocazione del tecnico nell'ambito di una pianificazione di orientamento "democratico" piuttosto che esclusivamente o prevalentemente "tecnocratico", riteniamo che una "formazione responsabile" debba concorrere a costruire una figura non solo di tecnico consapevole e responsabile, ma anche di intellettuale - cioè di persona capace di riflettere sulle ricadute che le proprie azioni hanno nella società. Ciò perché, come urbanista e come architetto, essa è chiamata a dialogare con parti della società la cui articolazione e diversificazione tendono ad aumentare. ..... Nelle pagine che seguono si vuole illustrare un metodo che è frutto di un'esperienza didattica pluriennale. Nel tempo essa è nata spostando il ulcero centrale delle attività da un interesse esclusivamente rivolto alle procedure della costruzione ed ai contenuti del piano regolatore urbanistico, alla prevalente esplorazione delle opportunità per la riqualificazione urbana delle aree più marginali. L'approccio alla progettazione urbana si colloca nell'alveo della strumentazione urbanistica e della regolamentazione edilizia vigenti - in un quadro in evoluzione degli strumenti di trasformazione della città verso forme diciamo più complesse, non tralasciando la possibilità di un suo sbocco anche in varianti migliorative del Piano. L'attenzione non si limita alla pianificazione fisica: in una esercitazione propedeutica e attraverso il contributo parallelo della Sociologia Urbana, essa viene rivolta anche al ruolo che risorse sociali, economiche e finanziarie possono sviluppare per la qualità dell'habitat, nel quadro di una progettazione integrata e attraverso il coinvolgimento di una pluralità di attori. …….. Ci limiteremo qui, per ora, a prendere atto degli sviluppi tecnici e pratici di una possibile interpretazione di tipo esperto – proponendo un possibile schema di classificazione applicabile al caso della forma urbana torinese, e al suo schema a isolati. La sua caratteristica e il suo interesse risiedono nel fatto che essa considera e implicitamente mette in luce quegli aspetti della conformazione dell’isolato che, in rapporto a diverse fasi della crescita dei tessuti urbani torinesi e dell’espansione della città sul territorio, sono stati prodotti dall’interferenza fra un processo pianificato, uno di costruzione insediativa che testimonia la presenza di interessi e attori anche diversi da quelli istituzionali, e le diverse preesistenze consolidate (concernenti l’infrastrutturazione del territorio agricolo, i suoi insediamenti, le forme e le rigidità della proprietà testimoniate dalla trama fondiaria, i vincoli stessi della pianificazione, il mercato ecc.). si propone di utilizzare la classificazione tipologica che sarà qui illustrata, allo scopo di meglio individuare e descri-
vere alcune differenze e caratteristiche (nel modo di costruzione e consolidamento della maglia e dell’isolato urbani), di una porzione della periferia ovest in Torino, interpretabili come permanenza materiale nella forma della città, delle tracce di una fase urbanistica ed edilizia sufficientemente caratterizzata dalla sua storia ed evoluzione. Questa classificazione deve essere considerata non definitiva, suscettibile cioè di adattamento ed eventuali successive articolazioni, qualora il lavoro di analisi diretta sulla cartografia storica e sul terreno lo suggerisca. Essa inoltre è stata esplicitamente costruita con riferimento alla realtà di alcuni settori urbani, e non testata nella generalità delle periferie torinesi. ….. Questi descrittori sono correttamente interpretabili e applicabili alla lettura di parti del tessuto e dell’impianto urbano, solo se è sempre tenuto presente il riferimento a una realtà materiale che è risorsa costitutiva di una realtà territoriale. Essi partecipano cioè di un sistema di rappresentazione, di un possibile racconto, che riguarda sia gli esiti sia il divenire delle azioni e delle relazioni che sono contemporaneamente il prodotto e il sostegno d’interessi e progetti dei diversi soggetti e attori, che popolano questa realtà e contribuiscono a modificarla.
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SCHEDA VINCITORE SEZIONE ARTICOLO Maurizio Russo, Il progetto urbano per l’urbanistica sostenibile, Urbanistica Informazioni, nn. 233/234, 2010 Abstract Questo articolo di Maurizio Russo, pubblicato su Urbanistica Informazioni n. 233/234 (settembre dicembre 2010), mostra come la sostenibilità ambientale trovi la sua massima potenzialità di affermazione alla scala del progetto urbano, piuttosto che del singolo edificio. È infatti la forma stessa dell’insediamento a rendere possibile lo sfruttamento di fonti energetiche differenziate presenti in ambito urbano. Il primo elemento di riflessione ad essere posto in evidenza è il concetto di “densificazione”. Come è noto, una forma ben delineata e coesa della città può consentire una migliore copertura da parte del sistema di trasporto pubblico, riducendo la necessità di utilizzare mezzi privati. Inoltre, la sovrapposizione o prossimità di funzioni diverse può limitare ulteriormente gli spostamenti a quelli che possono essere effettuati a piedi o in bicicletta, anche a beneficio della qualità del l’aria. Successivamente sono presentati alcuni progetti di autori consacrati, tra cui Richard Rogers, Renzo Piano e Michel Corajoud, che consentono di delineare una panoramica completa delle tecnologie attive e passive per lo sfruttamento di risorse comunemente presenti, anche in forma combinata, nei territori urbani e metropolitani. Tra le fonti passive ricordiamo l’esposizione solare e ai venti prevalenti, la vegetazione finalizzata al raffrescamento, la captazione e il riciclo delle acque; tra le fonti attive, la produzione energetica locale e la trigenerazione, la produzione di energia da biomasse e da rifiuti, lo sfruttamento della geotermia, il solare termico e fotovoltaico. In conclusione, attraverso i progetti presentati si mostra come la pianificazione sostenibile richieda una visione fortemente integrata, che tende a combinare significati simbolici e culturali con tecniche variegate e risorse locali di prossimità, che solo la scala del progetto urbano è in grado di articolare adeguatamente.
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Estratti La progettazione urbana è ormai strettamente associata, almeno concettualmente ai principi e alle pratiche della sostenibilità ambientale. Non solo - e non tanto - perchè le nuove tecnologie energetiche sono oggi parte integrante della struttura degli (pannelli solari, materiali, tecniche costruttive), ma soprattutto perchè la forma stessa dell'inse3diamento è essenziale per sfruttare le risorse rinnovabili, riciclate o prodotte localmente nella città contemporanea. In questo senso il progetto urbano,
inteso come pratica morfogenetica degli insediamenti umani, può essere considerato come il trait d'union tra sostenibilità e urbanistica tradizionale. Un promo risultato di questa evoluzioe disciplinare è il concetto di "densificazione", di cui oggi molto si parla. Com'è noto, una forma bel delineata e coesa della città può consentire una migliore copertura da parte del sistema di trasporto pubblico, riducendo la necessità di utilizzare mezzi privati. Inoltre la sovrapposizione o prossimità di funzioni diverse può limitare ulteriormente gli spostamenti a quelli che possono essere effettuati a piedi o in bicicletta, anche a beneficio di una migliore qualità dell'aria. Ulteriore vantaggio della compattezza urbana è l possibilità di riservare ampie porzioni di suolo al verde pubblico attrezzato, oppure di conservare uno stretto rapporto con aree agricole e forestali, vicine o interne alla città.
ESTRATTI VINCITORE SEZIONE INEDITO Matteo Aimini, Hanoi 2050 Indice Prologo 1°Episodio Libero Mercato Metropolitano, Condizione, Apertura, Fenomeno, Moltiplicazione, Ibridazioni, Scenari Immaginari 2°Episodio La Parigi del Tonkino, Periodo Eroico, La città mondiale, Esperimento, Appropiazione, Colonial Wonderland, Seconda ondata, Regione, Fuga, Archivio Centrale n°1 3°Episodio Leningrado Tropicale, Disurbanismo, Alternativa, Nuove scale, Savoir Faire, Leningrado, Inizio Una storia Emblematica, La statua della liberta cambia stato Bibliografia Abstract Questa progetto narrativo nasce da un profondo errore. L’errore di voler psicoanalizzare i territori di una Metropoli Tropicale, di comprendere a tutti i costi il motivo del magnetismo che essi esercitano. Di svelarne le più recondite perversioni e le più sfrenate ambizioni. Indagando i difficili rapporti tra una madre russa troppo premurosa ed un padre padrone francese eccessivamente autoritario. Finendo inevitabilmente stritolato in un interminabile flusso di coscienza, disegnato da tradimenti, delusioni, amori promiscui, abbagli, cambi di rotta, conflitti, paradossi e tristi fughe. I progetti degli ultimi cento anni di Hanoi, sono come un immagine sfuocata nelle torbide acque di un placido stagno asiatico. Pensieri fisici, personalità e ideologie provenienti da molte nazioni vengono qui ricomposti a forza, tradotti e rielaborati nel paesaggio della Metropoli Tropicale. Delineando nuovi e complessi scenari urbani. L’ossessiva e vorticosa indagine di questo scritto è mirata a ricostruire l’enorme quantità di riflessioni in merito all’architettura, le forme urbane ed il paesaggio che si sono avvicendati, sovrapposti e scontrati in un moto di eterno ritorno. Il collante di queste molteplici storie sono i differenti piani temporali, ogni epoca si trascina il proprio personale bestiario di uomini,utopie, progetti, stili e teorie. Ognuna di queste categorie è stata scandagliata, vivisezionata e ricomposta con il preciso intento di carpirne l’essenza. Osservandone poi le ricadute in termini reali sulla città. Un processo
affetto da una bulimia nervosa verso ogni forma di costruito abbozzato, disegnato o già realizzato. Quando si ha la possibilità di cogliere una massa urbana nell’attimo della sua genesi, potendone verificare gradualmente la sua crescita,passo a passo, diventa come un ossessione. L’ossessione per i territori esplosivi . Durante la narrazione appaiono progetti e discussioni apparentemente non pertinenti al caso specifico di Hanoi. In realtà sono contributi critici indiretti e subliminali che riprendono alcuni rapporti specifici di quotidiano interesse : città-paesaggio, uomo-territorio. Il progetto narrativo è una rocambolesca performance in tre episodi. Estratti Spaccato Per un occidentale in visita di piacere, tutto ciò è invisibile. Hanoi rappresenta solo un punto di passaggio verso altre mete e tutta la vita a portata di turista si concentra in 1kmq di affascinante inferno. Grappoli di visitatori in sandali e canottiere, visibilmente spaesati si aggirano ciondolando per il quartiere centrale delle 36 strade, in cerca della nostalgia coloniale e dei segni della guerra. Inebetiti dai clacson dei motorini e paonazzi in volto dal calore, sono continuamente tampinati dalle venditrici ambulanti, immutabili icone della città, da sempre presenti e rese dolcemente immortali dai disegni degli studenti dell’école des Beaux Arts de l’Indochine nel 1929. Tra loro vi sono i Walking Restaurant, dispositivi informali di spazio pubblico. Donne che con i loro bilancieri e cesti, contenenti pentoloni di zuppa e sgabellini, trasformano i marciapiedi in ristoranti temporanei. Venditrici di frutta e ortaggi vari, riconoscibili dal loro cappello di paglia a punta e dalla mascherina di stoffa sul volto, sgambettano tutto il giorno su e giù per le strade della città. Una mappa disomogenea, che mostrerebbe le più differenti condizioni di vita nei villaggi rurali, nei quartieri informali, sovietici o contemporanei che siano. Ci troveremmo quindi a percorrere delle strade che dal centro portano verso i limiti urbani, attraversando un edificato mutoide, che ci disorienta sia per la contorta vastità che per la totale esasperazione della sua discontinuità. Pedinamento Immaginando di seguirle a fine giornata, rigorosamente in sella ad un motorino nel traffico di Hanoi, con ogni probabilità rincaseremmo con loro in diversi punti al margine della città. Deduzione Si potrebbe quindi cercare di delineare un principio di discontinuità, per certi aspetti assolutamente visibile e meno intuibile per altri. Un teorema na-
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scosto, dedotto empiricamente, che lega in maniera inscindibile tre variabili. A. Carattere temporal-cronologico. Il motorino è una macchina del tempo mono-utente, in grado di condurci in un’ora circa, da un tessuto medioeval-corporativo del centro, attraverso un remoto periodo coloniale, per essere repentinamente sopraffatti dalla bonsai city interrotta dai vibranti aggetti abusivi dei quartieri sovietici. Sprofondando, ancora una volta, nella città informale per riemerge drasticamente in fronte ad una torre di trenta piani, che apre la vista a molte sue gemelle. Sparuti parafulmini in fase proliferativa, che segnano il fragile confine tra urbanità ed un paesaggio agricolo fine anni ‘40. Una specie di time-line cinematografica alterata, una sceneggiatura ricca di colpi di scena, rapida nelle svolte e nei mutamenti. B. L’estrema varietà degli scenari spaziali presenti allo stesso tempo e nello stesso luogo. Una scenografia istantanea, un programma urbano basato sulla spontanea diversità del contesto. Una coesistenza in uno spazio impossibile (improbabile) di un largo numero di mondi frammentati49, secondo la definizione suggerita da D.Harvey a proposito del concetto di eterotopia. Paragonabili a micromondi, questi frammenti vivono di vita propria, ciascuno con le proprie regole, in un cacofonico disordine linguistico. C. Particolari livelli di densità. Hanoi è riconosciuta come una delle città più affollate del pianeta.50 Nel 2008 la densità nei distretti urbani era di circa 272 persone per ettaro fino ad un massimo di 404 nel centro storico. Considerando che città come Hong Kong ne contano 370, Parigi 86 e Londra 62, si può facilmente percepire la portata del fenomeno. La regista dello sviluppo urbano è la densità, che articola un enorme picco nel centro e macchie di leopardo, sparse a seconda dei frammenti che si incontrano. Intuibile anche ad occhio nudo, la scarsità di spazi pubblici dove la percentuale di parchi urbani si stima ammonti a circa lo 0.3% di tutta la superficie urbana. Nel centro il rapporto tra parchi e abitanti è di 1.5mq, mentre nei distretti periferici si riduce a 0.05mq. Un evidente paradosso se si considera che edifici ad alto potenziale contenitivo permetterebbero di liberare più suolo per possibili spazi di decompressione, rispetto alla difficile e compatta situazione del centro.
Terrain inoccupé La superficie emersa del pianeta è di circa 149 milioni di kmq di cui 128 di aree rurali, 3.5 di aree urbanizzate (ovvero solo il 2.4 % della superficie terrestre) in cui si concentrano circa 3 miliardi di abitanti, quasi la metà degli abitanti del pianeta. Le città sono quindi degli ipercondensatori che con la minore quantità di superficie ospitano il maggior numero di persone, in una spietata equazione inversamente proporzionale. Possiamo definire le città come minoranze etniche territoriali? Le minoranze da sempre sono oggetto di un accanimento investigativo, per la loro stravaganza, per la forza con cui si preservano, per la capacità che hanno di sopravvivere e reinventarsi. Su di loro si sperimentano gli effetti dell’ antropizzazione e si cerca di preservare i loro meravigliosi pro-dotti etnici. Gli antropologi che le studiano, ne tracciano i lineamenti e i loro comportamenti, così come gli architetti si dedicano a registrare quei fenomeni parziali e apparentemente privi di significato che i territori (urbani) in costante mutazione presentano. La nostra epoca segna definitivamente l’inversione di tendenza tra urbano e rurale: nel 2050, probabilmente, le popolazioni residenti nelle aree metropolitane supereranno di gran lunga quelle presenti nei territori rurali, ma non è chiaro il modo in questa transizione possa accadere. Nonostante la cura di pianificatori e architetti nell’analizzare la “minoranza città”, non sappiamo se coltivare ottimismo per il futuro urbano o gestire segretamente lo sconforto, in particolare modo per gli scenari che si prospettano nelle metropoli tropicali. Viviamo purtroppo un momento di urbanità scissa dalla propria identità, che demanda solo ed esclusivamente all’economia il disegno e il proprio sviluppo. Terrain Vague Ignasi de Solà-Morales ben manifesta il suo interesse per la forma dell’assenza nei paesaggi della metropoli contemporanea europea e nord americana, nell’espressione Terrain Vague. La condizione che esprime è la contrazione, lo stallo, l’abbandono e il riuso. Le architetture come malati terminali situate al margine o nel centro dove solo investimenti mirati e contenuti le possono salvare. Una risorsa limitata che non prevede l’errore, generalmente ben coperte da una rete di infrastrutture, hanno un aspetto solido ma malconcio, grigio, colorato solo dai graffiti dello zoning. Inevitabili espressioni di una nefasta congiuntura economica.
Fragili Confini La massima espressione di questo principio è nei bordi della città, dove risiede la vera natura di Hanoi. Lo scontro Tradizione Vs Moderno, Urbanità Vs Agricoltura e Linea Vs Volume estruso. Se posizionassimo la superficie edificata di Hanoi in una Ocean Chart di Carroll, la città ci apparirebbe come una grande isola, il cui fronte occidentale, sottoposto a chissà quale agente atmosferico, è molto frastagliato e complesso. Quasi un disegno frattale. In verità questa linea di costa è in costante espansione, una scogliera non compatta che aggredisce i territori agricoli secondo azioni di smangiamento, inserzione, accerchiamento ed erosione.
Terrain Liquide Nella metropoli tropicale dove il progresso è famelico, i territori sono in forte espansione, assaliti da un movimento frenetico, gene-ralmente liberi o saturati sono comunque aperti a nuovi utilizzi, crisalidi situate al margine, in centro o nella regione, ricevono in-vestimenti privati o pubblici a profusione. Sembrano estendersi in maniera illimitata e le loro infrastrutture sono in divenire. Uno stato liquido, malleabile alle esigenze, prevalentemente di tinta verde e in grado di evitare, con rara abilità, ogni tentativo di azzonamento. La condizione di terreno liquido si verifica quando lo stato agricolo cambia per diventare incerto,
non più capace di esprimere le sue potenzialità in attesa della mutazione finale. Dati di fatto . Micro villaggi Tra il 1994 e il 1999, la popolazione nei comuni rurali appartenenti alla città-provincia di Hanoi è cresciuto del 65% (da 400.000 a oltre 625.000 persone). L’apertura del mercato capitalistico, il definitivo smantellamento delle cooperative agricole di tipo socialista, la conseguente ridistribuzione delle superfici agricole a soggetti privati, ha dato il via al processo di urbanizzazione informale dei villaggi rurali. Aumentando di fatto la popolazione residente, singole famiglie o interi villaggi hanno iniziato a sviluppare un’agricoltura di tipo intensivo, curando l’artigianato locale e scegliendo anche l’occupazione industriale. Il definitivo consolidamento di questa situazione avviene nel 2006, quando lo stato decide che la sorte dei terreni agricoli spetta alle migliaia di municipalità e alle numerose province. Decreta così l’inizio del boom del mercato immobiliare in tutte le aree periurbane della città, ponendo definitivamente fine al paesaggio agricolo puro. Si apre così una nuova era di territori liquidi. “L’unica distinzione esistente tra urbano e rurale è gradualmente sfumata in uno scenario di spazi porosi o di irregolare sviluppo geografico sotto il comando egemone del capitale e dello stato”. MetroRurale La combinazione tra il principio di discontinuità, fragili confini e i Terrain Liquide, creano la miscela per definire ciò che avviene al bordo della città e nel sistema regione. E’ l’inizio della condizione territoriale definibile come MetroRurale. Una campagna che in futuro sarà densamente urbanizzata, ma talmente definita che sarà impossibile non riconoscerla come tale. Un possibile sistema ibrido, un nuovo tipo di paesaggio che mescola artificiale e naturale, in una probabile dicotomia dai risvolti non scontati. MetroRurale è un concetto ambiguo poiché dentro di sé trascina due anime distinte in perpetuo conflitto. Metropoli ruralizzata o metropolizzazione del rurale? Linea del Fronte “Non ha senso piazzare edifici in mezzo alle risaie, nessuno mai si presenterà!” Tuonava alla fine degli anni ‘90 un architetto australiano coinvolto nella progettazione dei primi edifici alti di Hanoi. Oggi il problema non si pone più. La prima manifestazione della potente condizione metro rurale avviene in una prima fascia di circa 3km, al bordo della città, dove si verifica una bizzarra convivenza di situazioni che si ricompongono in un collage sfrenato. Il numero di progetti già approvati, in fase di realizzazione o terminati, è sbalorditivo. “Un significativo numero di progetti, 744 in totale, sono in corso [...]. La maggior parte delle proposte di sviluppo interessano l’area a ovest della città, tra la terza e la futura quarta circonvallazione. Alcune invece si collocano nella vecchia provincia di Ha Tay.
Le varie proposte includono un ampio spettro di sviluppo alle varie scale e una consistente varietà funzionale. Il 50% dei progetti presentati pare sia inferiore ai 50ha. Molti hanno già ricevuto l’autorizzazione preliminare [...].” La modifica permanente del paesaggio agricolo è schiacciante ed è proprio qui che MetroRurale afferma il suo campo di battaglia. Dove simultaneamente avvengono fenomeni di auto costruzione, realizzazione di edifici simbolici, costruzioni di isolati ex-novo e nuovi quartieri satellite. Schegge a scala variabile che mettono a dura prova la superficie su cui atterrano. ciascuna ad uso residenziale ed una terza più alta di settanta piani, adibita ad uffici e hotel. Un basamento con funzioni miste e commerciali unisce i tre corpi. Introverso rispetto ai principale assi viari, vi è un ameno parco, posto ai piedi delle torri e dotato di spazio pubblico duro, con un piccolo laghetto ed una serie di chioschi, immerso in una rigogliosa vegetazione tropicale. La superficie totale dei piani è di circa mezzo milione di metri quadrati, è il quinto edificio più grande al mondo. Al di là delle cifre, questo progetto non è semplicemente un insieme di torri, ma rappresenta l’offerta di un nuovo prototipo di vita, una specie di micromondo. Chi vive nella torre residenziale può attraversare il centro commerciale alla base per poi prendere l’ascensore e recarsi comodamente al lavoro nella torre degli uffici. A pranzo può, se vuole, giocare con i propri figli nel parco sottostante. Godendosi poi un tramonto mozzafiato nella prua dell’edificio, comodamente seduto sul divano di casa propria, contemplando da un lato la mite campagna e la disordinata urbanità dall’altro. Alta densità nuovi modelli di vita.
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ESTRATTI SEGNALAZIONE SEZIONE INEDITO Stefania Proli Nei territori di Carlo Doglio Indice Introduzione Vagabondo dell’intelligenza Un approccio autobiografico La scoperta del territorio Urbanistica vagabonda Situazioni L’ingresso nella comunità degli urbanisti Olivetti scholar La Sicilia di Danilo Dolci Incontri Anarchia e organizzazione del territorio Misura e sviluppo Partecipazione e decentramento Derive L’equivoco dell’urbanistica italiana Un nuovo programma per l’urbanistica: la fionda sicula Municipalismo artigiano Sguardi Conversazioni con Franco Ferrarotti Conversazioni con Joseph Rykwert Conversazioni con John Papworth Leggere Carlo Doglio Cronologia Regesto degli scritti Illustrazioni
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Abstract Carlo Doglio (1914-1995) non si è mai occupato di pianificazione urbanistica in senso stretto. «Pianificatore autobiografico», «intellettuale umanistico», urbanista «libertario», «eretico» ed «eccentrico», gli appellativi a lui associati si devono ai suoi continui sconfinamenti nella politica e alla molteplicità dei ruoli ricoperti «senza alcun tipo di pregiudizio del confine disciplinare». Tuttavia la sua attività è profondamente legata al mondo dell’urbanistica, disciplina che unisce i suoi ambiti di ricerca e che accoglie la sua volontà di predisporre una nuova organizzazione sociale basata sulla cooperazione e sull’azione collettiva volontaria. A questo fine insegue i luoghi in cui si sta attuando il cambiamento, prendendo parte a veri e propri progetti sociali accumunati, seppur in diversa misura, dalla prospettiva dell’edificazione di una nuova società. È a Ivrea negli anni in cui la comu-
nità sembra poter essere assunta come un vero e proprio modello di organizzazione del territorio; è protagonista dei dibattiti dell’INU in un periodo, quello della Ricostruzione, in cui l’urbanistica è una disciplina impegnata nell’affermazione del primato della società civile su quella statuale; da Londra segue la costruzione delle nuove città, esperienza con cui la pianificazione urbanistica sembra poter dar forma ad una nuova società basata sui principi del decentramento; è a fianco di Danilo Dolci quando in Sicilia si avvia un piano di sviluppo «dal basso» incentrato sulla partecipazione diretta degli abitanti. Da anarchico, la sua peregrinazione è guidata da una costante insoddisfazione nei confronti di un modello di società portato a escludere l’uomo dalle scelte; un disagio che a suo avviso può essere invertito e che in ambito urbanistico si traduce nella possibilità di leggere il processo di pianificazione «dal basso verso l’alto». In un periodo in cui l’urbanistica ufficiale è impegnata a sperimentare attraverso il piano regolatore le finalità e i contenuti degli strumenti urbanistici e ad avviare la stagione delle grandi (seppur mancate) riforme, Doglio si muove su altre direzioni. Sostiene che le potenzialità della tecnica decadono se a essa non viene associata una «scoperta del territorio», ovvero una presa di coscienza che passa attraverso il riconoscimento del ruolo di ciascun attore all’interno della società, di una consapevolezza della propria presenza all’interno di una riconosciuta comunità, di un ritrovato «senso del luogo». Ripercorrendo la sua biografia e i suoi scritti, è dunque possibile riconoscere alcuni territori fondativi: spazi univoci che egli ha costruito all’interno della disciplina e che ci permettono di proporre un ragionamento di carattere più generale su quelle tecniche della pianificazione incentrate sul carattere volontario dell’azione sociale; un’opportunità per comprendere meglio il significato di alcune parole, oggi centrali per la disciplina, quali cittadinanza, sostenibilità, sussidiarietà, partecipazione. L’autore dichiara che il testo inviato è originale, non è mai apparso online su alcun sito web né pubblicato su alcuna rivista ed è il frutto del proprio ingegno. Estratti L’ingresso nella comunità degli urbanisti Nel corso dei cinque anni trascorsi a Ivrea, muovendosi all’interno di un disegno politico e culturale in cui il territorio risulta essenziale crocevia dello scambio fra gli uomini, gli organismi politici e la fabbrica, Carlo Doglio inizia a rapportarsi in maniera diretta e con continuità all’urbanistica. L’occasione per investigare il passaggio dal programma politico all’organizzazione spaziale è
offerta dalla ben nota esperienza del Piano Regolatore Generale, con cui Adriano Olivetti, inserendo «l’urbanistica nella natura, e la politica e il potere dentro l’urbanistica», decide di portare avanti la sua operazione culturale. (…) L’esperienza di Ivrea si presenta quindi come un contesto ideale per indagare il rapporto fra «sviluppo umano» e «sviluppo tecnico», prendendo parte ad un esperimento in cui, attraverso il primato della comunità, Doglio riesce a far incontrare due tradizioni a lui molto care, quella regionalista e quella di matrice anarchica. (…) Oggetto delle sue preoccupazioni è la responsabilità che l’expertise dell’urbanistica può e deve assumersi nell’intervenire sulle relazioni che legano l’individuo e i diversi gruppi sociali alla produzione e al consumo di beni e servizi. (…) In un periodo, quello del secondo dopoguerra, in cui il lavoro degli intellettuali cerca un collegamento con le masse popolari attraverso una revisione sostanziale dei linguaggi e dei temi nella prospettiva di avanzare politiche comuni, anche Carlo Doglio alimenta progressivamente dentro di sé la consapevolezza che per dar vita ad un modello di società imperniato sui valori comunitari sia innanzi tutto necessario dar voce a quelle forme sociali portatrici di tali principi. (…) Queste tematiche sono riprese nelle riflessioni che accompagnano la sua partecipazione alla redazione del piano urbanistico di Ivrea. Come ben noto, l’incarico per l’elaborazione del piano viene assegnato ad un gruppo di architetti e ingegneri diretto da Ludovico Quaroni, cui si affianca, in un secondo momento, una vasta équipe di specialisti (sociologi, economisti, pedagogisti, agronomi). In qualità di segretario del Gruppo, a Doglio spetta la stesura dei verbali degli incontri, delle relazioni sullo stato dei lavori, della scrittura di articoli su quotidiani e riviste, della comunicazione dei risultati parziali in occasione di incontri pubblici o congressi. (...) Il primo incontro rilevante con i temi della pianificazione territoriale e urbanistica è dato dallo studio dell’esperienza della Tennessee Valley Authority, importante esemplificazione di pianificazione regionalista in un contesto di gestione territoriale “liberistico”; e, da parte italiana, dalle sperimentazioni che Quaroni, insieme a Luigi Piccinato, in quel periodo stava delineando a Matera nella sua stretta attività di collaborazione con Adriano Olivetti, in particolare le riflessioni su spazio abitativo e comunità insediata, da svolgere, secondo le metodologie delle scienze sociali, con il coinvolgimento della popolazione. (…) Doglio, che in questo tipo di approccio riconosce i temi dell’analisi urbana individuati da Geddes e riproposti attraverso l’affermazione dell’uso dell’indagine come ricerca di una legittimazione sociale prima ancora che un mezzo per orientare le scelte urbanistiche, segue con particolare passione l’articolarsi delle vicende. Di fatto inizia da subito a ricoprire nel gruppo il ruolo di «esperto improprio» occupandosi, prima, dell’organizzazione con Francesco Brambilla (insieme a Luciano Giovannini
e Delfino Insolera) di un’unità di ricerca sociologica per uno studio sulla struttura edilizia di Ivrea e successivamente, con l’allargamento del territorio d’indagine a tutto il comprensorio dell’eporediese, del coordinamento fra il gruppo di pianificatori e il nuovo team di specialisti incaricato di redigere le analisi preliminari al piano, fungendo da anello di collegamento con le iniziative di tradizione sociologica e architettonica. L’indagine sulle abitazioni e le famiglie di Ivrea viene vista come un passo decisivo per instaurare quel contatto con la popolazione da cui, attraverso l’apporto sperimentale di più sottili metodi di ricerca, avrebbe dovuto conseguire quell’approfondimento sull’ambiente umano e naturale che costituisce il cardine di un processo di pianificazione incentrato sulla dimensione critica. Carlo Doglio è infatti consapevole che, al di là dei risultati raggiunti, con i lavori per il piano di Ivrea si stesse compiendo un importante salto epistemologico nella «ragion d’essere dell’urbanistica»: «da statica […] in dinamica; da costruzione in organizzazione; da opera di uno o più specialisti in intervento collettivo». (…) Per Doglio l’«approccio regionalista» avrebbe infatti permesso di affrontare il problema delle città insieme a quello dello spopolamento delle campagne, da intendere non soltanto come un problema di produzione di beni, ma anche come un’occasione per mutare quelle condizioni di insediamento che hanno portato i giovani a distaccarsi dalla terra, riportando la popolazione al vertice della scala degli elementi che compongono il processo di pianificazione. (…) (…) Nella «comunità naturale» canavesana, Doglio ritrova (…) in Lewis Mumford un importante punto di riferimento comune fra il suo pensiero e quello di Olivetti, una chiave interpretativa importante che lo porterà ad individuare proprio nella dimensione comunitaria uno dei principali momenti dell’urbanistica, «l’unico posto», scriverà in seguito, «dove si può vedere in pratica che può esistere un socialismo occidentale federalista e che molte idee urbanistiche, sociologiche, di servizio sociale etc. possono uscire dal limbo degli interessi accademici o reazionari per aiutare la “novità”» (1958d, p.70). Ivrea si presenta infatti come un’occasione per indagare le tecniche necessarie per conseguire uno sviluppo di “misura umana”, un tentativo di applicare la «comunità concreta», sinonimo di identità fini e mezzi, in un contesto avanzato di progresso. Qui sperimenta la pianificazione urbanistica come mezzo privilegiato per governare il rapporto fra uomo e territorio, come quella tecnica che, «uscendo dall’ambito della cultura, dell’accademia, per passare in quello dell’azione» (1953e), trova nello sforzo razionale di coordinamento inserito all’interno del progetto di ricostruzione culturale nell’ambito della regione, un punto di appoggio concreto. (…) Una seconda chiave per la ricostruzione sociale del territorio viene riconosciuta da Doglio nell’approccio interdisciplinare: «la pianificazione è per sua natura una scienza o una tecnica di un tipo che si potrebbe dire collettivo, destinata a riunire
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nuovamente, attraverso il nesso dell’equipe, quelle specialità che sono state separate dalla divisione del lavoro». La pianificazione viene dunque assunta come un valore in sé; per il suo carattere interdisciplinare e comprensivo, per la sua capacità di sintesi e di relazione essa è la dimostrazione che si può usare la tecnica anche per scopi non orientati meramente al profitto. In questo senso, all’interno del gruppo di Ivrea, Doglio verrà riconosciuto come l’«esperto più interdisciplinare»; è infatti in questo periodo che si convince dell’importanze del dialogo con tutte le altre discipline; in particolare la geografia, ma anche la psicologia, l’economia, la sociologia, come parte delle capacità di sintesi dell’urbanista. (…) Ripercorrendo le sue riflessioni si può rilevare come queste siano pervase da un criticismo di fondo che, nonostante il riconoscimento dell’aspetto sperimentale e culturalmente innovativo dell’esperienza canavesana, egli comincia a maturare fin dai primi mesi di lavoro nei confronti del modo in cui alcuni componenti del Gruppo affrontano il passaggio dalla “scientificità” dell’analisi alla progettualità. In particolare, a fronte di riferimenti culturali molto espliciti e chiari, basati (seguendo l’insegnamento di Patrick Geddes, Pëtr Kropotkin e di Lewis Mumford) sull’idea di regione come struttura decentrata di comunità autosufficienti, i risultati ottenuti con il piano si erano rivelati piuttosto insoddisfacenti, dimostrando l’assenza del trasferimento di questi principi nelle scelte progettuali. Individua perciò la necessità di affiancare a tale approccio un «momento correttivo»: l’adesione al territorio, ovvero, seguendo il filone inaugurato da Geddes, la necessità di calarsi nell’ambiente, di cogliere lo «spirito del luogo» come garanzia di una valutazione il più possibile inclusiva. Al di là delle criticità rilevate nel corso dell’esperienza, Ivrea rimane un punto chiave per la formazione urbanistica di Doglio, il territorio in cui acquisisce alcune prime importanti “verità”. Innanzi tutto la duplice importanza del momento dell’indagine, sia per i cittadini che per gli specialisti: da un lato come presa di coscienza del proprio ruolo all’interno della società e come vero momento di partecipazione al farsi della comunità di cui si è membri; dall’altro come processo di conoscenza preliminare e propedeutico al momento dell’interpretazione attraverso un processo collettivo di immersione con il luogo. (…) A Ivrea, inoltre, Doglio inizia a vedere l’urbanistica come quel momento operativo incentrato sul lavoro di gruppo, sull’indipendenza dalla politica, sull’iniziativa diretta; una disciplina, dunque, con forti responsabilità politiche e sociali. Per tale motivo secondo Doglio l’attività dell’urbanista non può limitarsi nella predisposizione dei documenti di piano, cadendo nel rischio di una svolta procedurale risolta come momento di allocazione dei servizi «dall’alto», che non è sinonimo di decentramento e di responsabilità. (…) Un elemento che Doglio critica duramente durante tutto l’arco dell’esperienza è infatti il primato del piano come documento finale di sintesi, sottolineando al con-
trario la debolezza di modelli formali che, se non adeguatamente supportati ne territorio, rischiano di rimanere vani. A Ivrea, infine, Doglio si convince dell’inesistenza di un univoco modello di pianificazione attraverso cui “interpretare” il territorio. Passare il tempo in un luogo, immedesimarsi in quel luogo non è sufficiente: è necessario il contributo della comunità, quello che Doglio chiamerà «moto sociale». Terminata l’esperienza del piano di Ivrea, Doglio viene incaricato di ripercorrere criticamente i lavori per il piano in un articolo da pubblicare sulla rivista Comunità. Negli appunti per la stesura del testo, è possibile ritrovare quel senso di insoddisfazione che lo porterà gradualmente ad allontanarsi, intorno alla metà degli anni ’50, dall’Olivetti. Ripensando alle diverse fasi del processo di pianificazione, Carlo Doglio sceglie inizialmente di intitolare il racconto Un tentativo di pianificazione urbanistica su scala umana: nonostante gli sforzi, anche da lui riconosciuti, per la redazione di un piano che si facesse interprete della comunità canavesana facendo emergere lo «spirito del luogo», l’esperienza per Doglio non rimane che un «tentativo» incompiuto di pianificazione. Si tratta della conseguenza, amara, dovuta non solo all’incapacità, da parte degli urbanisti, di trasferire gli schemi economico-sociologici nel piano, ma anche e soprattutto alla mancanza di una generale «coscienza del perché» avvalersi di tali metodi nuovi. In questi appunti di Doglio è possibile intuire con un certo anticipo quella «perdita di fiducia nel rapporto tra analisi e progetto» per cui, fra la comunità degli urbanisti, «si infrangerà anche l’illusione di poter produrre un “piano democratico”», e per cui egli sentirà la necessità di cercare le sue risposte fuori dall’Italia.
ESTRATTI SEGNALAZIONE SEZIONE INEDITO Giulia Fiorentino Danni bellici e ricostruzione dei centri storici minori sulla Linea Gotica in Toscana: esperienze a confronto Indice 1. La guerra in Toscana 1.1 L’inizio delle operazioni belliche in Italia ed il coinvolgimento della Toscana 1.1.1 La battaglia di Firenze 1.2 Combattimenti sulla Linea Gotica 1.2.1 Il territorio a ridosso della Linea Gotica 1.2.2 La costruzione della Linea Gotica 1.2.3 L’attacco alleato al passo del Giogo 1.3 Bilancio delle distruzioni Appendice I: Cronaca dei bombardamenti aerei 2. Il dibattito sulla ricostruzione in Italia 2.1 Il restauro dei monumenti danneggiati dalla guerra 2.2 Città storica e ricostruzione 2.2.1 “I Convegno nazionale per la ricostruzione edilizia” 2.3 Linee guida per il coordinamento della ricostruzione 3. Confronto con l’Europa 3.1 L’apparato amministrativo 3.2 La ricostruzione delle città: esperienze a confronto Appendice II: La Charte de l’Architecte Reconstructeur (1941) 4. La ricostruzione del patrimonio monumentale in Toscana 4.1 Provvedimenti preventivi e protezione antiaerea 4.2 Il ruolo degli Alleati 4.3 Il ruolo della Soprintendenza ai Monumenti e del Genio Civile 4.3.1 “Relazione sui danni sofferti a causa della guerra dal patrimonio artistico monumentale della provincia di Firenze” 4.3.2 I Soprintendenti ai Monumenti in Toscana 4.4 La ricostruzione del ponte a Santa Trinita: progetti a confronto 4.5 Il Camposanto monumentale di Pisa: gli studi di Sanpaolesi per la copertura e sull’impiego del cemento armato 4.6 Schede monografiche di analisi SCHEDA TEMATICA 1: I “restauri” degli uffici tecnici comunali Torre dell’orologio, Borgo San Lorenzo SCHEDA TEMATICA 2a: La costruzione del nuovo Chiesa San Giovanni Battista, Firenzuola
SCHEDA TEMATICA 2b: La costruzione del nuovo Chiesa San Antonio da Padova, Mercatale di Vernio SCHEDA TEMATICA 3: Il nuovo che non piace Torri-porta, Vicchio Appendice III: L’attività dell’UNPA (Unione nazionale protezione antiaerea) Appendice IV: “Treaty between the United States of America and the other American Republics” Appendice V: I danni al patrimonio monumentale delle province toscane nel resoconto ufficiale alleato Appendice VI: Lo stanziamento dei fondi da parte dello Stato Italiano Appendice VII: La protezione del patrimonio nella guerra moderna 5. La ricostruzione del tessuto urbano in Toscana 5.1 Il D.L.L. 154/1945 “Norme per i piani di ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra” 5.1.1 Iter formativo dei piani 5.1.2 Organi di controllo 5.1.3 I progettisti: il ruolo della scuola fiorentina 5.1.4 Aggiornamenti e modifiche al D.L.L. 154/1945 5.2 I piani di ricostruzione “in mostra” 5.2.1 L’Italia all’Esposizione di Parigi 5.2.2 I piani di ricostruzione al IV Congresso nazionale di urbanistica 5.3 Esperienze di restauro urbano in Toscana: 5.3.1 Firenze: la ricostruzione del tessuto attorno a Ponte Vecchio 5.3.2 Pisa: il piano di ricostruzione e l’apposizione del vincolo per il controllo della ricostruzione 5.3.3 Recenti esperienze di intervento per alcuni vuoti urbani causati dalla guerra Appendice VIII: La stima dei danni da parte del Genio Civile Appendice IX: Inchiesta presso i sindaci dei comuni che adottano un piano di ricostruzione Appendice X: Provvedimenti legislativi per gli interventi su immobili privati 6. Casi di studio 6.1 Il metodo delle schede monografiche 6.2 Analisi dei piani di ricostruzione 6.3 La provincia di Firenze: 6.4 La provincia di Lucca 6.5 La provincia di Prato 6.6 La provincia di Arezzo Appendice XI: La ripresa dell’attività edilizia nelle relazioni della Banca d’Italia Conclusioni Postfazione APPARATI I. Fonti archivistiche II. Bibliografia ragionata III. Note biografiche IV. Appendice documentaria
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Abstract In seguito ai danni causati da eventi catastrofici, come la guerra, o da eventi naturali, come i terremoti, frane e alluvioni, torna acceso il dibattito su quale sia il modus operandi più adeguato per intervenire nei centri storici sinistrati. La ricerca approfondisce la ricostruzione di alcuni centri storici minori nei pressi della “linea Gotica” in Toscana, analizzando in che modo, ed in quale misura, nell’ambito dell’esperienza della ricostruzione post bellica, siano contenute le premesse al processo di formalizzazione che ha portato all’emanazione della Carta di Gubbio nel 1960. Nello specifico si analizza in che modo i vari protagonisti abbiano posto la propria attenzione ai caratteri costruttivo del luogo ed alla continuità storica, quanto la popolazione e le amministrazioni locali abbiano disposto di strumenti decisionali. Come scelta metodologica di analisi si assume la dicotomia esistente tra tessuto e monumenti, ritenendo che nei centri storici minori, il tessuto residenziale sia stato ricostruito come era dal punto di vista dell’impianto planimetrico, in quanto delimita un diritto incontrovertibile, cioè la proprietà, e dal punto di vista architettonico mediante la citazione di forme e caratteri del luogo. Nei confronti degli edifici di interesse storico-artistico, l’atteggiamento è stato improntato al procedere caso per caso e non ha risentito dell’eco del dibattito sviluppatosi in quegli anni tra modernisti e conservatori. La ragione delle scelte improntate ad una ricostruzione in chiave moderna, non vanno cioè ricercate nell’ambito ideologico, ma si deve tener conto dell’entità dei danni ed anche di ragioni di carattere economico. Si vuole dimostrare che le scelte urbanistiche ed architettoniche allora compiute, viste in prospettiva storica, hanno avuto una considerevole ricaduta in termini di degrado urbano, sociale ed economico: in diversi casi hanno cancellato l’assetto storicamente consolidato dei centri storici, compromettendo una chiara leggibilità dei tessuti edilizi originari. Scegliendo di non ricostruire alcune emergenze architettoniche come torri e mura, porte di ingresso alla città, sono andati perduti i caratteri storiciarchitettonici propri di quelle città: in taluni casi, non trovando un accordo tra ricostruzioni in stile e progetti di ispirazione moderna, si è convenuti a soluzioni ibride, che hanno finito per scontentare tutti. Dati i lunghi tempi di attuazione e le ristrettezze economiche, parte delle previsioni non hanno trovato un’aderente realizzazione, generando nel tessuto un senso di “non finito” e uno spazio pubblico di scarsa qualità. Estratti
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Confronto con l’Europa L’apparato amministrativo Negli anni in cui in Italia si dibatteva su come affrontare la ricostruzione, anche in Europa si palesavano gli stessi interrogativi, con la differenza che nelle altre nazioni, già prima della conclusione degli eventi bellici, aveva avuto inizio un processo di pianificazione e progettazione mediante specia-
li apparati amministrativi ed erano stati emanati provvedimenti specifici per la ricostruzione. Così, al termine del conflitto, di fronte al comune problema di porre rimedio alle ingenti distruzioni, i paesi europei apparvero diversamente preparati al compito da svolgere. Come termini di paragone con la situazione italiana vengono analizzati gli apparati amministrativi preposti alla pianificazione in Francia e in Germania, le quali affrontarono la ricostruzione in due diversi contesti economici e politici. In Francia, dopo l’invasione tedesca della parte settentrionale, il neo costituito Governo Vichy (1940-44) – profittando dell’esperienza legislativa, finanziaria e tecnica maturata dopo il primo conflitto mondiale – mise in atto una politica della ricostruzione fatta di provvedimenti e apparati amministrativi ben strutturati. Già nel 1940 lo Stato assunse le spese di sgombero delle aree distrutte per le quali si prevedeva di redigere un piano urbanistico ed emanò la prima legge sui danni di guerra; l’anno successivo venne istituito il Commissariat à la Reconstruction e promulgata la Charte de l’architecte Reconstructeur, (…). (…) Nel 1944, all’indomani della liberazione, ristabilito il Governo e l’apparato statale canonico, le prerogative prima attribuite al Commissariato della ricostruzione vennero affidate al Ministère de la Reconstruction et de l’Urbanisme, una struttura centrale che coordinava e gestiva la ricostruzione di tutte le città a livello generale e particolareggiato. (…). L’istituzione (…) consentì allo Stato di assumersi tanto l’onere finanziario quanto la gestione diretta delle politiche urbane. Nella Germania nazista l’inizio della ricostruzione si può far coincidere con il 1943, anno in cui venne emanato il Decreto del Führer sulla preparazione della ricostruzione delle città bombardate (Wiederaufbau). Il decreto (…) è, di fatto, una conversione del Programma di interventi urbanistici celebrativi della ristrutturazione delle città tedesche (1937, Neugestaltung der deutschen Städte), condotto senza sosta anche in periodo bellico, adeguato alle prospettive di una ricostruzione totale delle città. Venne creato presso il Ministero diretto da Speer un Gruppo operativo per la ricostruzione delle città bombardate (Arbeitsstab) che si stabilì a Berlino, come unico centro di orientamento e di coordinamento per i piani di ricostruzione di 42 città. (…) L’Arbeitsstab ebbe un vero e proprio ruolo di indirizzo, tanto che promosse una campagna di ricerche per mettere a punto, ad esempio, norme grafiche unificate per la cartografia dei danni bellici. Tuttavia a fine ottobre 1944, con il paese accerchiato e prossimo all’invasione, Goebbels vietò il proseguimento dell’attività di pianificazione; gli architetti dell’Arbeitsstab si dispersero e, filtrando attraverso le linee alleate, ciascuno rientrò nella città d’origine in attesa di poter riprendere l’attività interrotta. (…) Dopo la capitolazione dei Reich, nei cinque anni cruciali che vanno dal 1945 al 1949, la mancan-
za di un governo centrale e di una politica generale, non impedì che la ricostruzione iniziasse, partendo dal basso, dagli Stadtbaurat, (…) seguendo un cammino diverso rispetto a quello centralista dell’esperienza francese. Esemplare, sotto questo punto di vista, è il caso di Berlino, dove Scharoun, direttore del settore edilizio dell’amministrazione comunale berlinese, coordinò tra il 1945 e il 1947 tutti gli interventi per ripristinare le normali condizioni di vita, nonché i primi sforzi per dotare la città di un piano. La ricostruzione delle città: esperienze a confronto Diversamente dall’Italia, dove nonostante l’acceso dibattito tra modernisti e conservatori, si è, poi, giunti a soluzioni compromissorie, in Europa coesistono esempi di ricostruzione à l’identique, tanto per gli edifici monumentali quanto per le città, esempi di conservazione dei ruderi a perenne ricordo dell’evento, costruzione di nuove città che profittano della tabula rasa causata dalla guerra. (…) Il bisogno di appoggiarsi alla storia, di cercare la propria forza e identità nel passato – tutte condizioni che la ricostruzione della città “com’era, dov’era” ha confermato – ha origine nell’Ottocento, quando il bisogno romantico di coltivare il passato era alimentato dalla particolare situazione politico economica delle nazioni non ancora indipendenti (…) e da uno sviluppo sociale stentato. (…) Anche in Francia non mancano esempi di ricostruzione à l’identique, come Saint Malo, in Bretagna, e Gien, nella valle della Loira, pure se inseriti in un quadro generale in cui coesistono (…) anche altri atteggiamenti. St. Malo, che ha perduto circa l’80% del patrimonio immobiliare, in gran parte nel nucleo storico, venne ricostruita secondo il progetto dell’urbanista Brillaud de Laujardière, il quale, nell’affrontare il tema della ricostruzione della cittadella fortificata, applicò lo stesso principio della massima “conservazione” tanto ai monumenti (…), quanto alla città storica, della quale restava pochissimo e dove solo ruderi e muri isolati segnavano ancora la trama del tessuto urbano. (…) gli edifici che conservavano strutture verticali anche minime, vennero ricostruiti sur place à l’identique e tenuti fuori dal meccanismo del remembrement. A livello di tessuto qualche margine di miglioramento e trasformazione venne lasciato per sopprimere vicoli troppo stretti, assicurare un miglior soleggia mento ed aereazione. Per quanto riguarda l’aspetto architettonico, i quattro fronti urbani della cittadella, del cui sviluppo progettuale fu incaricato l’architetto Louis Arrêtche, vennero trattati come altrettante facciate e disegnati nei dettagli fino alla scala edilizia. Per assicurare l’unità d’insieme furono utilizzati obbligatoriamente: ardesia per i coperti e pietra grigia a vista, a spacco, per le murature. Una sintesi dell’intervento compiuto a Saint Malo è quella di Robert Auzelle, secondo il quale: “il risultato ottenuto è solo parzialmente soddisfacente nel senso che, essendo stato rispettato il profilo antico, è rimasta una specie di illusione di Saint Malo”. (…) È singolare il fatto che lo stesso urbanista di Saint Malo fu incaricato anche del progetto di
Caen, distrutta al 70%. In questo caso, diversamente da quanto aveva messo in atto nella cittadella bretone, sottopose i quartieri centrali a un esteso processo di remembrement: il piano prevedeva il ridisegno completo della rete viaria e la creazione di spazi verdi e spazi pubblici dei quali il maggiore è costituito dal parco del castello. L’intervento nel centro storico, invece di puntare a ricreare l’ambiente originario e lo scenario di contorno, consistette nel liberare la chiesa di Saint Jean e il Castello dalle case che lo circondavano e nel creare spazi verdi di rispetto. Per quanto riguarda Gien, la preoccupazione degli architetti fu quella di “ricostruire l’atmosfera propria di questo centro, non copiando più o meno fedelmente il passato, ma utilizzando i materiali locali, studiando le pendenze dei tetti e facendo eseguire da artigiani, eredi delle tradizioni regionali, dei mosaici di mattoni e pietra delle facciate tipici della zona.” (…) Anche in questo caso, piuttosto che di una ricostruzione, rigorosa e filologica, si tratta di un tentativo di ricreare un “ambiente storico” a cornice del castello che viene ricostruito in maniera apparentemente fedele. (…) In un’altra cittadina francese, Rouen, il compito di realizzare una composizione urbanistica di cornice, in questo caso della cattedrale, fu affidato a Jacques Gréber. Analizzando la semplicità del partito architettonico degli edifici ricostruiti sul lungofiume è evidente come le intenzioni dell’architetto siano state quelle di trovare un compromesso tra continuità (tipo di copertura, materiali, altezze di gronda) e moderno, lasciando però al monumento sullo sfondo il ruolo dominante. Analoghe esperienze caratterizzano anche la ricostruzione in Germania, dove coesistono ricostruzioni caratterizzate dalla conservazione di alcuni luoghi simbolici in un più ampio progetto di modernizzazione, come nel caso di Hannover, e ricostruzioni nelle quali si è optato per il ripristino integrale del tessuto storico come nel caso di Munster. La cittadina di Münster, nella Renania settentrionale, nella quale, a causa dei bombardamenti, fu distrutto circa il 90 % del centro storico, è il prodotto di un processo di ricostruzione avviato dal 1945 e completato nei primi anni Sessanta. Nel maggio 1945 la città cominciò a riorganizzarsi sotto l’amministrazione provvisoria del Comandante militare britannico: lo sgombero delle macerie si svolse con il Piano di emergenza che divideva la città in sedici distretti, ciascuno con un architetto responsabile del recupero e della gestione dei materiali. Questo provvedimento, unitamente al divieto fino al 1947 di effettuare qualsiasi intervento edilizio, consentirono di limitare il mercato nero e l’autocostruzione incontrollata. Intanto la pianificazione generale e quella per il centro storico procedettero parallelamente per tutto il 1946, restituendo su cartografia la situazione d’anteguerra con ogni documento disponibile: catasto, foto aeree, elenchi, anagrafe, ecc. Alla fine del 1946 questo lavoro consentì di presentare la prima bozza del piano generale, che per il centro storico prevedeva la conservazione dell’antico impianto urbanistico. In realtà, come si evidenzia
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mettendo a confronto le piante del centro storico del 1939 con quella del 1980, le trasformazioni sono numerose e riguardano: allargamenti, rettifiche, diradamento del tessuto edilizio. (…) Anche la città di Hannover, come Munster, alla fine della guerra presentava una distruzione pari al 90%, con oltre 1.600 case a graticcio dell’antico nucleo medievale completamente perdute. In questo caso il piano di Hillebrecht (1958) previde per le 32 case a graticcio superstiti, disseminate nel centro, lo smontaggio e la ricomposizione in un’unica Traditionsinsel (isola di tradizione) a costituire il quadro ambientale del Duomo, del nucleo storico e del superstite teatro Ballhof. Non restando sufficienti partiture murarie o resti materiali per una ripresa anche parziale dell’antico tessuto, si cercò di conservare alcuni caratteri qualificanti come quelli dell’edilizia tradizionale, conferendogli quasi un valore identitario simile a quello normalmente attribuito ad un monumento. Il resto della città fu sottoposto ad un generale ridisegno urbano. Volendo ricercare un comune denominatore per tale diversità di approcci, non essendo possibile mettere in rapporto queste scelte urbanistiche e architettoniche semplicemente con la percentuale di distruzioni riportate (in quanto si aggirano tutte al di sopra del 70%, con picchi che raggiungo anche il 90%), (…) sembra quasi che nelle cittadine sia più facile e giustificabile propendere per una ricostruzione à l’identique al fine di ricreare uno scenario o una cornice per alcune emergenze architettoniche, mentre nelle città di medie dimensioni, mettendo in primo piano i crescenti fenomeni di concentrazione urbana, si predilige un riassetto funzionale e la ricerca di un compromesso tra tradizione e rinnovamento.
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ESTRATTI SEGNALAZIONE SEZIONE INEDITO Luca Salvetti Genova: piani e progetti 1975/2011. Contributi alla ricostruzione dell’immaginario disciplinare Indice Introduzione. L’oggetto della ricerca, le categorie impiegate, il percorso e le operazioni d’indagine, la struttura della tesi Parte I. Attualità dell’urbanistica genovese. Dalla vision dell’Affresco per il porto e la città di Genova al nuovo Piano Urbanistico Comunale 2011 Capitolo 1. Dalla prima versione dell’Affresco del Renzo Piano Building Workshop al Progetto Waterfront: 2004/2006 1.1. L‘Affresco di Renzo Piano per il waterfront genovese: l’approccio ‘ricettivo’ di un progetto che si è messo in ascolto e ha dialogato con la storia urbanistica della città 1.2. Caratteri distintivi della struttura e costituzione dell’Affresco, emergenti da una sua ‘genealogia’ e dal quadro sinottico dei principali dati qualitativi e quantitativi 1.3. Le direttrici strategiche fondamentali dell’Affresco: i 20 punti che esprimono nel loro insieme lo spirito della visione di Renzo Piano, cosa si propone di governare 1.4. L’innovazione dell’Affresco come esito di una continua operazione di revisione, tra accumulazione e sintesi di precedenti immagini progettuali sedimentate a livello locale 1.5. Aspetti caratterizzanti il processo di passaggio dall’Affresco al Progetto Waterfront. Nella crescente articolazione della rete degli attori coinvolti, il ruolo dell’Agenzia W&T 1.6. Alcuni denominatori comuni all’origine di due esperienze – PRG’80 ed Affresco/Progetto Watefront – che conducono a motivare la scelta della periodizzazione ‘1975-2011’ 1.7. Al principio di una nuova stagione amministrativa, il rapporto tra Progetto Waterfront e programma della Sindaco come elemento chiave per l’avvio della redazione del PUC 1.8. Un approfondimento sul programma della Sindaco: il richiamo all’immagine della cittàporto, la riapertura al Progetto Waterfront ed il diretto coinvolgimento di Renzo Piano Capitolo 2. Verso il nuovo PUC-Piano Urbanistico Comunale: 2007-2011. I quattro anni che hanno preceduto l’approvazione del piano 2.1 L’origine, la composizione ed i compiti affidati alla struttura tecnico-urbanistica dell’Urban Lab comunale in previsione dell’adozione degli Indirizzi di Pianificazione 2.2 Il Quaderno n.1 come testimonianza
dell’attività svolta dall’Urban Lab con la guida di Renzo Piano: linee blu, verde, rossa ed i primi progetti su sei ‘Ambiti di Trasformazione’ 2.3 Il Documento degli Obiettivi e le fasi della sua redazione preceduta da alcuni report intermedi e dal Key Diagram elaborati da Richard Burdett dopo l’ingresso in Urban Lab 2.4 L’approccio macrourbanistico del Quaderno n.2 ed il riconoscimento nella Val Polcevera e nella Val Bisagno di due assi di sviluppo: sequenze di nodi in una molteplicità di reti Parte II. Riflessi progettuali di tre principali problematiche genovesi: lineamenti per una storia di temi urbanistici connessi ai sistemi produttivo, portuale ed urbano Capitolo 3. La promozione di un sistema economico e produttivo innovativo e diversificato 3.1 La grande crisi industriale di trent’anni fa a Genova: interpretazione delle cause e degli effetti sugli equilibri funzionali tra strutture produttive e città 3.2 La crisi del sistema economico-produttivo genovese, la redazione del PRG’80 e del ‘Piano programma 1978/1981’: interferenze, processo, chiavi interpretative 3.3 Le strategie del PRG’80 e la città autosufficiente: riconferma della vocazione industriale ed opposizione ai processi di terziarizzazione interna 3.4 La direzionalità come risorsa contro la crisi industriale? I tre interventi di Via Madre di Dio, San Benigno e Corte Lambruschini e la qualità della terziarizzazione a Genova 3.5 I temi della rigenerazione urbana, riconversione e reindustrializzazione: dal progetto ‘Utopia’ alla ‘Technocity’ di Sestri P., da ‘Viva Genova’ al progetto ‘Spazio Impresa’ 3.6 Il PTC degli insediamenti produttivi della Regione Liguria: il tema della dismissione e riconversione per 16 aree del ‘Distretto di trasformazione del Ponente Genovese’ 3.7 Dall’avvio del processo di revisione del PRG’80 al PUC2000: inediti percorsi tecnici per il riuso di risorse territoriali post-industriali. I casi delle aree di San Biagio e Fiumara 3.8 Da ‘vertice del triangolo industriale’ a ‘città delle alte tecnologie’: modelli insediativi per un rinnovato sistema economico e produttivo. Il Technology Village agli Erzelli Capitolo 4. L’incremento della competitività del porto di Genova a livello europeo 4.1 Fasi della pianificazione portuale genovese: la prima, dal PRP’64 sino alla svolta degli anni’80. Grandi rivoluzioni tecnologiche nei porti e differenziate logiche pianificatorie 4.2 Lo spartiacque dell’anno 1984 ed il progetto di riforma del porto di Genova che anticipò
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la nuova portualità italiana, mutando il rapporto tra pianificazione portuale ed urbana 4.3 Proposte parallele al processo di ristrutturazione del sistema portuale genovese: il ‘Progetto Pilota dei porti liguri’ e l’immagine progettuale della ‘zona franca’ di Genova 4.4 La progettazione del porto di Prà-Voltri: dal lay-out originario alla piena operatività. 4.5 Interventi complementari e ricerca di nuovi spazi operativi: distripark ed interporto 4.6 Il PRP’99 e l’interpretazione di Genova come ‘base logistica integrata’. Nuovi segnali di crisi dal porto: i limiti delle sue infrastrutture e la necessità del decentramento portuale Capitolo 5. Il rafforzamento della relazione della città con il mare e con il suo porto storico 5.1 Il tema della rivitalizzazione del waterfront e del porto storico di Genova: modelli ed intuizioni, dal dopoguerra alla riscoperta della sua vocazione urbana nei primi anni’80 5.2 Inquadramento generale delle attività progettuali analizzate: nuclei formali e concettuali dei progetti ed ambiti del bacino del ‘porto storico’ interessati 5.3 L’Expo’92 come pregiudiziale per la trasformazione del porto storico: le principali immagini del progetto di Renzo Piano e l’avvio della fase post-grande evento 5.4 L’evoluzione del tema della valorizzazione del porto storico mediante la rievocazione della proposta di J. Portman ed il definitivo affidamento a R. Piano dell’operazione Expo 5.5 Giancarlo De Carlo per il recupero della relazione tra porto e città: dallo Studio Organico d’Insieme per Pré alla progettazione di Darsena, ‘porto antico’ 5.6 Un percorso tra i programmi per la trasformazione degli ambiti tra Ponte Assereto e i Molo Vecchio: linea di continuità tematica con la riconversione del porto storico 5.7 ‘Grandi eventi’ e progetti urbani nell’esperienza genovese: dopo l’Expo’92, la riconnessione città-porto storici s’intreccia con la riqualificazione dello spazio pubblico
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Parte III. Genova 1975/2011: dalla biografia progettuale alla ricostruzione dell’immaginario disciplinare. Un compendio ed alcune premesse contestuali Capitolo 6. Antefatti alla pianificazione urbanistica dell’ultimo trentennio: piani e progetti, dal secondo dopoguerra alla metà degli scorsi anni Settanta 6.1 Gli inizi di Genova nella pianificazione urbanistica generale: il PRG’59. Un ‘baricentro’ tematico nelle sue vicende urbanistiche, dal dopoguerra alla fine degli anni Settanta 6.2 I provvedimenti urbanistici che interferirono con il PRG’59: dal Piano regolatore delle zone centrali della città al Piano di Ricostruzione, ai riflessi genovesi del Piano Fanfani 6.3 Gli studi per la revisione del PRG’59: la Commissione Astengo ed i 4 schemi territoriali a confronto con il PRP’64, con i progetti ILRES e Wachsmann, con il PEEP del 1963 6.4 Stasi e ripresa nell’aggiornamento del
PRG’59. L’esperienza della ‘Commissione Tintori’: esiti ed influsso della sua ‘Relazione di Sintesi’ nel contesto genovese 6.5 La seconda fase di stasi e la definitiva ripresa della revisione del PRG’59: il passaggio dal ‘Piano dei servizi’ alla prima versione del nuovo PRG, adottata nel 1976 Capitolo 7. Biografia progettuale di Genova ed immaginario disciplinare 1975/2011: guida alla lettura delle mappe di sintesi, con alcune ipotesi sugli sviluppi del prossimo decennio 7.1 Note esplicative sulle formule comunicative impiegate nei prospetti sinottici: un orientamento per la loro consultazione 7.2 Commento alla Mappa dell’Immaginario Disciplinare: com’è stato sondato il campo d’indagine secondo tre distinti livelli di discorsività, comunicazione ed interpretazione 7.3 Elementi di riflessione sugli sviluppi futuri dell’immaginario disciplinare genovese dalla IX Biennale della Città e degli Urbanisti Europei Tavole fuori testo Mappa temporale di sintesi: fasi, soglie, attori ed eventi progettuali Individuazione delle aree urbane e portuali di trasformazione e grande progettualità Mappa dell’immaginario disciplinare di Genova, dal 1975 al 2011 Conclusioni. Caratteri distintivi dell’evoluzione dell’immaginario disciplinare genovese: cause determinanti per un campione rappresentativo di sette immagini progettuali di sintesi 1.La condizione di ‘permanenza’ nella concettualizzazione progettuale dei luoghi urbani e portuali 2.Alcune motivazioni: ‘lunga durata’, condizione geografica ed insediativa, valore identitario 3.La forza delle rappresentazioni progettuali alla base della prevalente ‘continuità’ 4.Sette immagini progettuali di sintesi 5.Una ragione di ordine superiore: la relazione simbiotica tra due ‘Esseri’, Città e Porto Abstract L’oggetto della ricerca è la descrizione e l’interpretazione del percorso evolutivo dell’immaginario disciplinare di Genova, ricostruito mediante una ‘storia dei temi progettuali’. L’esplorazione del tema di ricerca è stata condotta sui piani ed i progetti per la città ed il porto di Genova, considerati in un arco di tempo più che trentennale: dal 1975 ad oggi. Sono state individuate – anche cartograficamente – delle aree urbane e portuali che definiamo di “trasformazione e grande progettualità”. Su queste aree è stato attuato l’esercizio di lettura dei temi di matrice urbanistica. La trattazione è strutturata in tre parti. La Parte Prima è organizzata in 2 capitoli che si addentrano nell’attualità urbanistica genovese, facendo riferimento rispettivamente all’Affresco/Progetto Waterfront di Renzo Piano ed al processo di redazione del PUC2011. La Parte Seconda del testo è suddivisa in 3 capito-
li, orientati a trattare: a) le criticità nella trasformazione, rinnovamento e sviluppo del sistema produttivo genovese; b) i temi progettuali legati all’incremento della competitività del porto di Genova; c) i temi progettuali derivanti dall’insufficiente valorizzazione dell’affaccio a mare ed ai problemi connessi alla limitata accessibilità e fruibilità di lunghi tratti del waterfront urbano. La Parte Terza si caratterizza sia per un focus sugli antefatti del periodo compreso tra il secondo dopoguerra ed i primi anni Settanta; sia perché vi sono esposti in forma sinottica i dati inerenti la Storia urbanistica della città e gli elementi caratterizzanti l’immaginario disciplinare genovese. Il livello di sintesi descrittiva ed interpretativa raggiunto con la Parte Terza è simboleggiato da una Mappa Temporale di Sintesi e da una Mappa dell’Immaginario Disciplinare. La tesi che sosteniamo conduce a riconoscere una condizione di ‘permanenza’ e ‘continuità’ nella concettualizzazione progettuale dei luoghi urbani e portuali che contraddistingue l’evoluzione dell’immaginario disciplinare genovese. Con questo studio si propongono alcune risposte ai quesiti inerenti le cause di una tale caratteristica permanenza che il sistema città-porto genovese pare presentare. Se si può quindi parlare di un’inerzia peculiare dell’immaginario urbanistico locale, ritengo che questa si debba ricondurre per una parte non secondaria al potere costruttivo, alla “forza delle rappresentazioni” di cui l’immaginario stesso si compone. Altre motivazioni alle condizioni di permanenza delle immagini progettuali possono essere individuate: a) nella ‘lunga durata’ dei processi decisionali; b) nell’influenza delle condizioni insediative e geografiche uniche di Genova; c) alla scarsità di risorse in termini di spazio, che ha certamente contribuito a mantenere l’interesse su alcune aree piuttosto che su altre. Con le Conclusioni si è inteso analizzare questi elementi costitutivi, descrivendoli nei loro caratteri essenziali mediante la sintesi di “Sette Immagini Progettuali”. Estratto Ciò che dovrebbe da subito emergere è come una delle ipotesi preliminari - sulle quali si fonda questo lavoro - sia riferibile alla volontà di dimostrare le caratteristiche peculiari del sistema di pianificazione genovese e la specificità del contributo che l’esperienza di Genova ha offerto in materia di urbanistica e planning all’evoluzione disciplinare, in un panorama quantomeno italiano se non internazionale. Tale ipotesi introduce al conseguente interrogativo, incentrato sulla qualità di un tale apporto specifico, che si ritiene valutabile in riferimento all’introduzione di nuovi modelli di comportamento, di tecniche più avanzate, di strumenti e di procedure capaci di favorire la sedimentazione di un percorso innovativo e di concorrere all’evoluzione dell’immaginario progettuale di un contesto. Un sicuro elemento di interesse, lungo il percorso che ha compiuto la città di Genova dal secondo Novecento ad oggi. è rappresentato dall’elevato grado di paradigmaticità dei suoi eventi proget-
tuali e dei processi storici ad essi collegati. Tanto che Genova e la sua storia urbanistica ed urbana possono essere un buon punto di partenza per avviare una serie di riflessioni che riguardano anche altre città-porto della realtà contemporanea. Cittàporto che sono sempre più delle vere e proprie gateways, nelle quali la densità di idee e scenari ha generato un ricco immaginario disciplinare e collettivo. In esse, la città contemporanea trova degli straordinari ‘banchi di prova’ per tentare di immaginare e ripensare se stessa, il suo ruolo ed il suo futuro. L’ipotesi di lavoro che è stata utilizzata nel riordinare ed elaborare il vasto materiale raccolto nella fase di indagine è dunque sintetizzabile nella constatazione in base alla quale Genova può essere definita come un ‘laboratorio attivo d’innovazione’. Lo è stata per la tecnica industriale e portuale. E crediamo non sia ancora sufficientemente considerata la rilevanza dell’autonomia del percorso intrapreso a Genova, per ciò che concerne la progettazione architettonica e la gestione urbanistica della città. Entrambe contraddistinte da una sorta di ‘esplosione dell’immaginario’ e da una straordinaria progettualità che hanno interessato il caso genovese nell’arco temporale analizzato. La ‘straordinarietà’ della stagione urbanistica genovese avviata dai primi anni Ottanta, la forte intenzionalità che ha guidato processi difficili, sono testimoniate da molteplici azioni e documenti: dal primo recupero del Porto Antico nel 1992 al diffuso impiego dei cosiddetti ‘programmi complessi’ – PRU e PRUSST su tutti – nella seconda metà degli anni Novanta; dall’assegnazione di diversi ‘grandi eventi’ – Mondiali di Calcio nel 1990, Expo Colombiana nel 1992, Forum g8 nel 2001 e Capitale Europea della Cultura nel 2004 – all’accesso alle risorse finanziarie dei programmi comunitari – Resider II, Urban I e II; dalla revisione degli strumenti di regolamentazione urbanistica ordinaria – PRGPiano Regolatore Generale del 1980 e PUC2000 – alla redazione di documenti antesignani di svolte normative maturate successivamente a livello nazionale – quali il PRP-Piano Regolatore Portuale del 1999 o, in grado minore, il Piano Strategico della Città del 2002; dall’Affresco del Renzo Piano Building Workshop al nuovo PUC2011. Genova ha costituito quindi un’arena privilegiata per portare all’attenzione di amministratori, operatori e tecnici i temi di riflessione inerenti la necessità di rinnovare l’immaginario disciplinare ed i sistemi di intervento nella città. A differenza di altre realtà, Genova sino dai primi anni Ottanta ha offerto un quadro urbanistico per molti aspetti più avanzato. Starebbero a dimostrare questa constatazione alcune iniziative quali – ad esempio - l’elaborazione di un Piano Territoriale di Coordinamento per le aree industriali dell’Area Centrale Ligure, che stabilì criteri per accelerare l’iter di approvazione dei progetti di intervento, attraverso il loro inserimento in variante al piani regolatore comunale. Genova è stata anche una delle prime città metropolitane ad essere individuate ai sensi della Legge 142 del 1990 ed il capoluogo ligure si è configurato inoltre come una città pilota per verificare la funzionalità di nuovi strumenti decisionali
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quali la cosiddetta ‘conferenza dei servizi’ - Legge 373 del 1988, inerente la ‘Realizzazione dell’Esposizione Internazionale specializzata Colombo 92’ - o ‘l’accordo di programma’. Genova nell’arco temporale di nostro principale interesse si conferma luogo di eccezione, anche per la straordinaria offerta potenziale in risorse di aree ed immobili, che mai come nel corso degli ultimi trent’anni si è resa disponibile per l’attivazione di processi di razionalizzazione in cui si è tentato di integrare rinnovo urbano e ristrutturazione. A partire dai primi anni Ottanta, tutti i comparti della città – da quello portuale ed industriale, a quello infrastrutturale ed insediativo – sono stati investiti da ipotesi ed attività di recupero, riuso, restauro e riqualificazione cosicché a Genova è attribuibile una sorta di primato e vocazione peculiari nel campo della ‘trasformazione per riutilizzo’. In riferimento ai programmi di rigenerazione Genova rappresenta certamente uno dei casi più interessanti a livello nazionale. Infatti, oltre ad essere stata tra le prime città italiane ad accedere diffusamente ad una tipologia di programmazione urbana complessa, il capoluogo ligure ha potuto usufruire per l’attuazione dei programmi stessi di ingenti risorse finanziare provenienti quasi contemporaneamente da differenti fonti. Tra queste se ne possono riconoscere almeno tre, di diversa natura ed origine, tutte però orientate a rinnovare e trasformare la città. In primo luogo si ebbe il contributo finanziario riversato sulla città dalle Partecipazioni Statali, prima della loro definitiva chiusura. In seconda battuta non si dovrebbe certamente trascurare il sostegno offerto dalle risorse provenienti dai programmi comunitari, in particolar modo di quelli orientati verso le aree siderurgiche in crisi ed i centri storici. Infine un ruolo sempre più determinante hanno assunto i cosiddetti ‘grandi eventi’ sopra menzionati, che hanno consentito il realizzarsi di interventi straordinari proprio grazie all’istituzione ed impiego della ‘conferenza dei servizi’. Andrebbe infine osservato come Genova si sia affermata per il carattere dei processi decisionali in essa messi in atto, nel nuovo scenario economico che si venne a prefigurare dall’inizio degli anni Novanta a seguito del processo di dismissione delle attività produttive tradizionali. Configurandosi, nella pratica, come uno dei più importanti centri urbani in cui si sperimentò la diffusione ed il rinnovamento del rapporto di collaborazione tra soggetti pubblici e soggetti privati nella gestione della trasformazione programmata del territorio. Un secondo grande elemento di intesse emergente da uno studio incentrato su Genova è certamente costituito dai caratteri territoriali unici ed eccezionali del contesto genovese. Per motivare tale affermazione ed individuare le cause essenziali di questa ‘eccezionalità’ potrebbe risultare un buon punto di partenza rievocare alcuni dei connotati più emblematici che alla città possono essere attribuiti. (…) Si dovrebbe anche ricordare che l’attuale territorio comunale - della cosiddetta ‘Grande Genova’ - fu costruito attraverso due successivi ampliamenti amministrativi: il primo risalente al 1876, il secon-
do collocabile nel 1926. Da allora la città è infatti un aggregato di numerosi ex-comuni autonomi – riorganizzati prima in delegazioni, poi in circoscrizioni ed ora in nove municipi – che in diversi casi sono stati centri urbani di una certa rilevanza nel corso del XIX secolo. In particolar modo Sampierdarena, Cornigliano e Sestri Ponente assunsero a partire dalla seconda metà dell’Ottocento un ruolo industriale di rilievo, tanto che Sampierdarena giunse addirittura ad essere definita la ‘Manchester Italiana’. Pegli lungo la costa di ponente e Nervi a levante assunsero sempre nello stesso periodo storico una crescente importanza turistica. Gli excomuni annessi hanno mantenuto una riconoscibile identità, nonostante l’inevitabile omologazione conseguente all’unificazione amministrativa. Il policentrismo è per questi motivi tuttora un carattere saliente della struttura territoriale di Genova, anche se il fenomeno della conurbazione ha operato una saldatura dei diversi centri, tanto che la città appare sempre più come una costruzione lineare lungo le valli e lungo la costa, con un ampio corpo al centro: quello del Porto Storico e dell’adiacente nucleo antico, nonché del centro urbano e della città ottocentesca. Negli scorsi anni Sessanta, Genova fu anche definita - dal sociologo Luciano Cavalli - come « una città divisa », a causa della distribuzione delle classi sociali sul territorio in aree ben precise: la città operaia concentrata a ponente, lungo la foce del Polcevera; la città borghese, commerciale ed amministrativa nel centro; nelle zone di levante i borghi marinari e turistici. Se dalla fine degli anni Ottanta appare improprio parlare di città divisa in classi sociali, si può comunque parlare di città divisa in quartieri con caratteri fisico-sociali assai differenziati, nei quali si riflette quella che è stata - fino a pochi anni fa - la stratificazione sociale dei residenti. Il mantenimento di una struttura territoriale policentrica non ha quindi impedito che nel tempo si venisse a formare ed a consolidare una forte gerarchizzazione economica e sociale all’interno dei confini comunali allargati. Alla città di Genova è certamente possibile attribuire il carattere di luogo di eccezione anche perché la sua immagine ed identità contemporanee sono l’esito di un ‘artificio’ che continua a rinnovarsi nel corso del tempo. Genova è città artificiale per eccellenza che, in un percorso quasi millenario, ha raggiunto un grado di affinamento delle proprie strutture e funzioni tale da potersi veder attribuito l’appellativo di « sismografo ultrasensibile che registra ogni vibrazione del vasto mondo »: questa è almeno l’espressione utilizzata nei suoi confronti dallo storico francese Fernand Braudel. Come si è anticipato, l’azione dell’artificio a Genova è ben individuabile in riferimento alle due componenti fondamentali della sua identità urbana. Da un lato, quella riferita alla sua struttura ed organizzazione territoriale, ci restituisce la realtà di una città che è riuscita ad appropriarsi del mare solo attraverso un pervicace perseguimento, ricavando un porto le cui opere sono l’emblema di un’ingegnosità sperimentata lungo i secoli: dal bacino del Mandraccio alla diga foranea del Duca
di Galliera, dai bacini di Sampierdarena all’aeroporto, dalla Fiera Internazionale del Mare al porto container di Voltri. Nondimeno si rivelò faticosa la conquista delle colline e dei monti estesi immediatamente a ridosso del nucleo storico della città, rimasto praticamente invariato sino alla metà dell’Ottocento. Quando la città si aprì inevitabilmente verso l’esterno, ed esplose anche demograficamente, l’artificio si rese urgente e necessario anche in terraferma. Ponti viari e viadotti ferroviari ed autostradali, gallerie e terrapieni per attraversare ed aggirare - a monte ed a mare - il centro città, hanno contribuito a costruire una storia progettuale davvero densa, in cui è significativo e conseguente che la figura professionale di riferimento si identifichi sempre più in quella dell’ingegnere, legata ad una cultura tecnica più che artistico-architettonica. In effetti uno degli aspetti che maggiormente concorre a definire la cultura urbana genovese è proprio la sua componente ‘ingegneresca’ e ‘navale’. Non andrebbe infatti trascurato che la vocazione qualitativa della città è anche indotta da funzioni di scambio e di relazione globale, esigenze soddisfatte tramite un fitto e complesso sistema di trasporti marittimi e comunicazioni terrestri che concorrono a definire Genova come una ‘grande infrastruttura’. È anche per questo suo essere una ‘grande infrastruttura’ che il rapporto fra ambiente e sviluppo urbano ed economico è sempre stato caratterizzato a Genova da una tensione dialettica, un equilibrio precario - quasi da ‘stato limite’ – divenuto nel corso dei decenni una costante della situazione genovese. È un argomento plausibile affermare come Genova sia una di quelle città che fanno eccezione rispetto alla generalità dei casi. I modelli teorici di organizzazione della struttura urbana non sono applicabili se non in minima parte, condizionati come sono dal preesistente e dalla morfologia - non solo orografica - del terreno. Giancarlo De Carlo sottolineava come Genova fosse una città particolare: « perché appartata e un po’segreta ». Una di quelle città portuali che sono nate su un impianto relativamente semplice, complicandolo progressivamente dall’interno con il trascorrere dei secoli e mentre si sviluppava il confronto con l’uso. « Una realtà difficile da modernizzare »: così lo scrittore americano Henry James descriveva la Genova di fine Ottocento in Italian Hours. Ed è da notare come James arrivò a Genova proprio nel 1878: cioè all’epoca in cui la città stava tentando uno straordinario sforzo di modernizzazione, realizzando il progetto Parodi per l’ampliamento del porto. A Genova, in un spazio esiguo, contraddistinto da una linearità frammentaria piuttosto che dalla continuità delle grandi estensioni areali, si addensano – rivelandosi estremamente stratificate e resistenti al tempo - relazioni strutturali e materiche di difficile comprensione, se affrontate mediante una chiave di lettura ricomposta con mediazione esclusivamente intellettuale. Genova deve essere visitata, percorsa e vissuta per essere studiata e compresa. Per tali motivi - se una conclusione è deducibile dalle molteplici definizioni ed interpretazioni che del
contesto genovese sono state fornite – dovremmo essere portati ad osservare come esistano città che debbono essere progettate ‘sul posto’. Genova è emblematica di tale categoria e le immagini progettuali che a Genova possono essere proposte, sedimentandosi nel suo immaginario disciplinare, devono essere ricercate direttamente sul campo.
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SEZIONE 4
Questa sezione è dedicata a tutte le opere presentate al premio per la sezione monografie, la sezione articoli su rivista, la sezione nuovi linguaggi multimediali e la sezione inediti. Si riporta per ciascuna di queste un breve abstract con le relative informazioni bibliografiche. Per ciascuna sezione, le opere sono ordinate in ordine alfabetico.
This section is dedicated to all the works submitted for the prize for the sections monographs, journal articles, the section new multimedia languages and the section unpublished. It is reported for each of these a short abstract with the relevant bibliographic information. For each section, the works are arranged in alphabetical order.
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LE SCHEDE DELLE OPERE Le monografie Alberti F., Garramone V., Jogan I. (a cura di), Ripensare la montagna nel web 3.0, Franco Angeli, 2012
"Ripensare la montagna nel web 3.0" restituisce una sintesi dei risultati di una ricerca su una piattaforma web, per la gestione della conoscenza su di un’area pilota nelle dolomiti bellunesi e del dibattito che a questa è seguito. Un libro che indica come fare un diverso uso delle tecnologie informatiche e dei sistemi di gestione dei databases “geografici”; che ci segnala best practices ed eccellenze anche in luoghi e situazioni impensati; che suggerisce che anche gli audiovisivi ed i social network possono essere usati per far emergere le istanze locali ed individuali; che ci racconta che le montagne si stanno ripopolando di nuovi “montanari”; che indica come l’architettura tradizionale possa aprire soluzioni innovative in ambito sia della conservazione dei saperi locali che del risparmio energetico; che mostra i valori naturalistici e la loro azione di conservazione della biodiversità più come risorse che come vincoli, ecc… Nel volume, viene posta l’enfasi sull’importanza delle basi di conoscenza, in generale, ma nello specifico sulla sperimentazione di una “enciclopedia dei saperi territoriali”, disponibile gratuitamente sul web e strutturata ontologicamente attraverso modi “wiki” semantici. Un sistema aperto che può essere consultato, interrogato ed implementato. Un’occasione per raccogliere e restituire informazioni, dati e conoscenze necessarie allo sviluppo, alla partecipazione e al decision making di un’area montana in generale. «La rinascita della montagna richiede grosse dosi d’innovazione, non solo tecnologica, ma anche regolativa e presuppone un cambiamento nel modo stesso di conoscere, concepire e praticare la montagna». Il volume offre un suo contributo a sostegno di queste speranze e finalità.
Andreassi F. La città evento. L'Aquila ed il terremoto: Riflessioni urbanistiche, Aracne Editrice, 2012
Le città sono tradizionalmente colpite da traumi di origine naturale o umana che ne modificano l'aspetto fisico e le condizioni di vita. Questo libro analizza l'evoluzione urbanistica di una città ciclicamente sottoposta al processo di demolizione e ricostruzione a seguito dei periodici eventi sismici che la colpiscono nel tempo, non ultimo quello che nel 2009 ha interessato l'Abruzzo e l'Aquila in particolare. Le derivate trasformazioni urbanistiche sono rappresentative delle priorità espresse dalla società contemporanea, deformata nei suoi valori anche dagli strumenti di comunicazione di massa ed individuale che, per loro natura, vivono del quo-
tidiano. In tali occasioni il transitorio ed il provvisorio diventano un valore pretestuoso grazie al quale si modifica il territorio urbanizzato secondo principi ed obiettivi funzionali alle esigenze dell'oggi. Nasce così la città evento che accoglie al proprio interno tutte le manifestazioni sociali ed individuali senza alcuna remora nei confronti del passato e della programmazione del futuro. Trasforma i significanti in "eventi urbani" ripetibili che si sostanziano in atti reinterpretativi del contesto che causano forme e funzioni innovative con la sola finalità autorappresentativa. La città evento crea nuove città per nuove socialità; successivamente senza alcuna remora le abbandona quando non sono più utili. In tali occasioni il transitorio non è più un disvalore, ma uno strumento del progetto, così come la televisività e la telegenicità degli interventi.
Coppola E. (a cura di), Urbanistica comunale oggi. L’innovazione nella pianificazione urbanistica comunale: esperienze di piano a confronto, Liguori Editore, 2012
L’innovazione che la disciplina urbanistica ha subito in questi anni, soprattutto a causa dell’attuazione delle leggi urbanistiche regionali, ha prodotto un certo smarrimento nell’elaborazione dei piani comunali. Le 16 esperienze comunali descritte nel libro attraversano l’Italia da sud a nord avendo nella Campania un luogo di osservazione privilegiato e sono state raggruppate secondo quattro tematiche di analisi: “Cooperazione intercomunale” (il Fortore beneventano, la provincia bolognese, Corso Marche a Torino), “Documenti strategici e strutturali” (Sassano, Mirabella Eclano, Ancona, Siena, Feltre), “Approcci al territorio e alla comunità” (Ottaviano, Lodi e Monopoli, S. Benedetto del Tronto, Cava de Tirreni, Montecorvino Rovella) e “Questioni attuative” (Lamezia Terme – Catanzaro, Vallo di Diano, Villaricca e Castellammare). Questi piani, nati in contesti regionali diversi, presentano linguaggi comuni non solo da un punto di vista rappresentativo-formale ma anche contenutistico. L’articolo propone, inoltre, un raffronto tra tre diverse leggi urbanistiche regionali - Lombardia (L.R. 12/2005), Veneto (L.R. 11/2004) e Campania (L.R. 16/04) – e approfondisce questioni di problematicità, soprattutto in relazione alla dimensione campana, rappresentate dalla pianificazione associata e dal ruolo della pianificazione comunale nei cosiddetti “piccoli comuni”. Gli spunti offerti vogliono rappresentare uno stimolo alla pianificazione oltre a testimoniare come l’attivazione – ma soprattutto la conclusione - di un piano possa rappresentare uno strumento essenziale per la crescita e lo sviluppo di un comune. Tra i contributi del volume anche l'articolo di Emanuela Coppola dal titolo “L’attuale stagione urbanistica dei piani comunali: innovazioni e criticità"
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Costa E. Itinerari mediterranei. Simboli e immaginario fra mari isole e porti, città e paesaggi, ebrei cristiani e musulmani nel Decameron di Giovanni Boccaccio, Città del Sole Edizioni, 2011
Primo volume de I Quaderni di DeU, che si affiancano, integrandola, alla collana DeUrbanistica. Strumenti di confine, basati sulle contaminazioni culturali, i Quaderni intendono coprire spazi interstiziali fra discipline e saperi diversi legati a città, ambiente, territorio e paesaggio, per meglio comprendere la dimensione culturale dell'Urbanistica. In questo suo mirabile lavoro, Enrico Costa, preside di corso di laurea di Urbanistica (Università di Reggio Calabria) compie un itinerario tra i luoghi del Decamerone di Boccaccio. Un viaggio nella società mercantile del Trecento, paragonabile a una società multietnica e multiculturale fortemente integrata. E di essa, proprio nel momento in cui il globo cominciava a superare i limiti del mare Mediterraneo, Boccaccio, nel Decamerone, fornisce la massima espressione letteraria, quasi a rappresentare il momento di svolta, una cerniera, fra Medio Evo e Rinascimento. A metà tra libro di viaggio, mémoire, saggio geografico, il lavoro di Costa si nutre di suggestioni letterarie, cinematografiche, sociologiche e antropologiche, divenendo una vera e propria miniera di saperi, sapientemente intrecciati in una "contaminatio" scritta per il gusto della scrittura, con la voglia di guardare il reale con occhi partecipi, e di narrarlo con voce inalterata dalla separatezza di saperi e culture.
Di Paola A., La città del petrolio: pianificazione urbanistica in Libia e città nuove (1970-2000), Alinea Editore, 2011
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Lo studio delle trasformazioni territoriali e della pianificazione urbanistica in un paese in via di sviluppo come la Libia, assume importanza nel panorama italiano e internazionale poiché affronta tematiche poco conosciute, soprattutto per l’esiguità delle fonti. Il volume mostra come la Libia presenti specificità che la pongono in una posizione di grande interesse. Lo sfruttamento delle risorse petrolifere a partire dal 1959, ha determinato tassi di crescita economica e conseguentemente forti dinamiche di inurbamento, tra le più sostenute del continente africano. La strategia insediativa, proiettata all’anno 2000 (ma in corso d’opera fino al 2005), si è incentrata sui principi del decentramento metropolitano, tramite la fondazione di nuove città e del riequilibrio tra città e campagna. Le aree in cui si sono sviluppate le città nuove sono infatti in gran parte desertiche, anche se destinate a crescere rapidamente a causa dello sviluppo repentino dell’industria estrattiva. Le “città del petrolio”, Ras Lanuf e Marsa el Brega, in particolare, con la costruzione delle moschee, del suk, delle unità abitative, dei colori, delle forme e anche per un certo “spontaneismo” dell’ambiente urbano, hanno assunto progressivamente, l’aspetto e i caratteri degli aggregati urbani fondati in epoche precedenti. Inoltre, i modelli derivanti dalla tradizione hanno ricoperto un ruolo preponderante, indice questo di una persistenza della cultura locale, che va ben
oltre le possibili contaminazioni culturali e oltre le apparenti trasformazioni esteriori, ma è destinata a prevalere, imprimendo i segni propri della civiltà libica che assume caratteri distintivi anche all’interno della più vasta cultura musulmana
Fazia C. I nuovi contesti della governance urbana. Città, territorio e ambiti complessi, Edizioni Le Penseur, 2012
Il libro affronta le questioni relative al delicato nesso tra aspetti sociali e urbani: una contaminazione reciproca (tra sociologia e urbanistica) che lega settori sì diversi ma solidali negli obiettivi e nei loro “mandati sociali”, vale a dire qualità della vita e qualità urbana. I pensieri scientifici della sociologia urbana hanno dato impulso ad un approccio innovativo volto a favorire il dialogo e ad affrontare le questioni riguardanti le nuove aspettative di città, ad avviare confronti e discussioni declinandone l’utilizzo anche in funzione di un’idea di costruzione condivisa della città futura. Per realizzare la città come "luogo" funzionale e dei diritti urbani occorrono spazi urbani adeguati e localizzati in modo ottimale, occorre tradurre in termini concreti volontà politico-amministrative legate al diritto all'equità, occorre assicurare l'equilibrio fra diverse e contraddittorie esigenze, e di questo l'urbanistica deve farsi carico. L'urbanistica non è solo una disciplina riservata agli esperti. Occorre coinvolgere la collettività in tutti i processi di trasformazione della città e del territorio con azioni di comunicazione, animazione, consultazione ed empowerment: graduando e differenziando le modalità e il portato delle azioni partecipative, e degli esiti. La "costruzione" partecipata della città e del territorio si attua, infatti, con modalità e con esiti diversi in relazione ai contesti della governance in cui viene praticata, e porta comunque con sé gli effetti positivi derivanti dall'argomentazione pubblica delle scelte tecniche e politiche, grazie (anche) alle quali i luoghi in cui viviamo si trasformano, avvicinandosi o allontanandosi da una certa idealizzazione di città.
Garramone V., Aicardi M. (a cura di), Democrazia partecipata ed electronic town meeting. Incontri ravvicinati del terzo tipo, Franco Angeli, 2011
Dopo Paradise l'OST? i curatori del volume ritornano sul "luogo del delitto" per una nuova indagine sui processi partecipativi, focalizzando l'attenzione sull'Electronic Town Meeting (ETM), una modalità di deliberazione collettiva in grado di coinvolgere contemporaneamente centinaia di persone attorno ad uno stesso tema. Con l'ETM le discussioni spontanee delle piazze ("incontri del primo tipo") e le assemblee istituzionali ("incontri di secondo tipo") evolvono in un "incontro del terzo tipo" capace di praticare l'ascolto attivo, far emergere preferenze, elaborare proposte e strutturare strategie condivise, in tempo reale e in sedi differenti, attraverso l'ausilio della tecnologia. Il volume, attraverso una prospettiva interdisciplinare, costituisce la prima analisi corale sullo strumento e fornisce spunti utili per lo studio, l'organizzazione, la progettazione e la valutazione dell'ETM. Il letto-
re viene accompagnato nell'universo delle arene deliberative a partire da una pratica centenaria di autogoverno locale oggi rivisitata dalle innovazioni tecnologiche e culturali del XXI secolo. La raccolta propone contributi di accademici, professionisti della partecipazione (tra cui Luigi Bobbio, Rodolfo Lewanski, Giancarlo Paba, Avventura Urbana) e il punto di vista inedito di politici e funzionari che hanno scelto di introdurre la sperimentazione di questo metodo in Italia. Con la raccolta Paradise l'OST? , il volume costituisce un dittico attraverso cui i curatori indagano le tecniche e le modalità di partecipazione nell'Italia contemporanea, a partire da due tra gli strumenti più innovativi e fertili del settore: l'Electronic Town Meeting e l'Open Space Technology. Il testo raccoglie anche il contributo di Vito Garramone dal titolo ""Comunità parlanti. Esercizi e spazi di democrazia non gerarchica ma aperta e popolare".
Graziani A. G. Guida alla stima della VAS. Prevalutazione della sostenibilità delle scelte di piano con indicatori omogenei ai parametri urbanistici, Maggioli Editore, 2012
L'asincronia che si verifica in genere tra Piano e VAS rende la valutazione ambientale inefficace perché quasi sempre in ritardo rispetto ai tempi utili per proporre realistiche alternative al Preliminare di Piano: problema acuito dalla insufficienza delle strutture tecniche di molti Enti pubblici nel confronto con la flessibilità della nuova normativa. Elaborato sulla base di esperienze di lavoro sul territorio, questo nuovo volume fornisce un metodo di prevalutazione del grado di sostenibilità dello stato di fatto e dei futuri assetti derivanti dalle previsioni di piano. L'utilizzo di indici quantitativi derivati da parametri di facile manovrabilità nell'ambito della disciplina urbanistica, rende agile il processo di valutazione. Nel dettaglio della seguente trattazione, la guida spiega come intervenire in tempo utile ai fini di una effettiva integrazione della VAS nel processo di Piano. Il testo, dopo un inquadramento metodologico e di fondo generale basato sull'Indice di Biopotenzialità Territoriale - Bte e l'indice US di sostenibilità delle destinazioni d'uso del suolo quali strumenti per una valutazione di massima dello stato di salute ecologica del territorio e della sua probabile evoluzione indotta dall'attuazione di un piano urbanistica, propone un "set" di indicatori di uso concreto. Il testo propone quindi (dimostrandone l'utilità anche attraverso la descrizione di alcuni casi concreti) "un metodo di prevalutazione quantitativa del grado di sostenibilità delle condizioni e delle trasformazioni del territorio (....) con un procedimento di calcolo facilmente leggibile dal personale tecnico e amministrativo del comuni interessati dal processo Pgt - VAS
Mariano C. Governare la dimensione metropolitana. Democrazia ed efficienza nei processi di governo dell'area vasta, Franco Angeli, 2011
La città contemporanea negli ultimi decenni ha continuato a crescere anche se in misura diversa rispetto al passato.Le nuove dinamiche di tipo socio-
economico hanno determinato una nuova configurazione dei nuclei urbani, diventati poli attrattori di funzioni pregiate rispetto al loro intorno territoriale e in grado di stabilire relazioni territoriali decentrate sul territorio. Un dato abbastanza evidente è che allo stato attuale questa nuova dimensione fisica della città contemporanea entra in conflitto con la dimensione istituzionale, corrispondente alla delimitazione amministrativa dei confini comunali, e rende difficile la sua definizione per il determinarsi di situazioni di conflittualità e resistenze reciproche tra i diversi livelli istituzionali coinvolti. I modelli in corso di sperimentazione in alcune città europee evidenziano situazioni dove il problema del governo metropolitano è stato affrontato con soluzioni istituzionali rigide e forti e la creazione di livelli di governo a elezione diretta, situazioni in cui esistono solo autonome sperimentazioni dal basso con reti di cooperazione e coordinamento che si formano tra municipalità, agenzie di governo a vari livelli e i soggetti privati, e infine situazioni in cui coesistono le due componenti di livello di governo, il modello autoritativo unitario e la componente volontaria. Il libro propone, a partire dall'analisi del ritardo della situazione italiana, una riflessione sulla crescente complessità del governo territoriale e sull'individuazione della forma di governo metropolitano idonea a garantire l'efficienza delle strutture interne e la competitività esterna, attraverso un approccio strategico ai temi dello sviluppo e della promozione economica.
Marino A., Tamburini G. (a cura di) Città nascenti. I borghi del Fucino, Gangemi Editore, 2010
Il volume illustra i primi passi del lavoro di riordino e valorizzazione dell'Archivio professionale di Marcello Vittorini riconosciuto, nel 2007, di rilevante interesse culturale dal Ministero per i beni e le attività culturali. I materiali raccolti nella pubblicazione descrivono le prime esperienze a metà degli anni '50, quando a capo del Servizio Urbanistica ed Opere Edilizie dell'Ente Fucino progettò e realizzò complessi scolastici e borghi agricoli. Sono “città nascenti” che costituiscono la prima occasione per Vittorini di mettere in atto la sua visione sulla città e sull'abitare. Insediamenti accentrati dotati dei servizi essenziali strutturati intorno alla comunità per creare un ambiente di vita associata “per divenire pienamente uomo e non soltanto individuo”. Un tessuto abitativo compatto che si apre in spazi di sosta e di incontro dove la complessità e varietà dell'ambiente urbano, caratterizzato da strade articolate, animate da scarti irregolarità e piegature, è ottenuta attraverso le variazioni nel meccanismo aggregativo di un unico tipo edilizio. Una semplice casa unifamiliare a due piani dotata di spazi esterni di pertinenza, basata su criteri di economicità e funzionalità tenendo conto delle norme tecniche per zone sismiche di prime categoria. Queste città di fondazione post fasciste, poco note, vengono documentate con un interessante materiale per maggior parte inedito. Il libro, che si avvale del contributo della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia dell'Aquila, comprende due saggi di inquadramento ad opera dei curatori,
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Angela Marino e Giulio Tamburini, una antologia dei testi presenti in archivio che illustrano la questione della bonifica e dei nuovi insediamenti del Fucino, oltre ad un testo inedito di memorie di Marcello Vittorini del 2009 sui suoi esordi.
Nuzzolo A. (a cura di), Politiche della Mobilità e Qualità delle Aree Urbane, Alfredo Guida Editore, 2010
L’individuazione della strategia ottimale richiede la conoscenza dei fenomeni che sottendono alle dinamiche urbane e le interazioni che esistono tra economia, territorio, ambiente, da una parte, e le politiche della mobilità, dall’altra. In altri termini, occorre conoscere quali sono le tessere del “mosaico” che è possibile riposizionare, e soprattutto quali impatti può produrre tale modifica sulla mobilità, sull’ambiente e sul sistema produttivo. Questo libro vuole offrire un contributo in tal senso e vuole essere uno strumento a supporto della definizione degli obiettivi e dell’individuazione delle strategie ottimali. Esso è il frutto di una ventennale attività di ricerca, didattica e consulenza del Laboratorio di Progettazione dei Sistemi di Trasporto dell’Università di Roma “Tor Vergata”, di cui fanno parte Agostino Nuzzolo, Umberto Crisalli, Pierluigi Coppola, Antonio Comi e Luca Rosati. A questa si è aggiunta più recentemente l’esperienza di amministratore del Comune di Napoli, in qualità di Assessore alla Mobilità, di Agostino Nuzzolo. Il capitolo 1, a cura di Agostino Nuzzolo e Pierluigi Coppola, approfondisce le relazioni tra i tempi e i costi di spostamento in città e il benessere dei cittadini. I capitoli 2 e 3, a cura di Pierluigi Coppola, analizzano le interazioni tra l’accessibilità e lo sviluppo del territorio, da una parte, e tra i costi del trasporto e il sistema economico-produttivo di un’area, dall’altra. Successivamente, sono analizzati i costi “esterni” del trasporto, in particolare quelli ambientali nel capitolo 4, a cura di Antonio Comi, e quelli legati all’incidentalità stradale nel capitolo 5 a cura di Agostino Nuzzolo. Nel capitolo 6, a cura di Antonio Comi, viene analizzato il fenomeno della distribuzione urbana delle merci e vengono illustrati alcuni casi di studio. Nel capitolo 7, a cura di Agostino Nuzzolo, si riporta una disamina delle politiche della mobilità che a livello europeo vengono raccomandate per lo sviluppo sostenibile delle città L’ultimo capitolo, infine, a cura di Umberto Crisalli, è dedicato agli ITS (Sistemi Intelligenti di Trasporto) che costituiscono la frontiera per la gestione del sistemi di trasporto e il supporto alle politiche di mobilità
Pividori R. La valutazione delle aree edificabili e soggette a esproprio, Il Sole 24ORE, 2012
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L'opera si pone la finalità di dare una risposta completa e analitica a tutte le problematiche correlate alla valutazione delle aree edificabili e contiene, nella sua interezza, il "Sistema Analitico" per il calcolo del valore delle Aree Edificabili, riportato su semplici fogli di calcolo excel, modificabili e stampabili. Le principali problematiche affrontate riguardano: il regime dei suoli - una corretta valutazione e riflessione sul valore dei suoli edificabili
consente una equa redistribuzione del valore della rendita di posizione; l’espropriazione e valutazione conseguente - nel momento in cui il valore di mercato è assunto come valore di riferimento, si impone di definire i limiti analitici di tale concetto per evitare i condizionamenti di un mercato “non ordinario”; l’attuazione dei piani particolareggiati di iniziativa pubblica -l’acquisizione delle aree e degli immobili possono rappresentare un ostacolo irrisolvibile per l’attuazione dello stesso Piano; il libero mercato immobiliare - le analisi puntuali riferite al valore degli immobili mal si adattano a un mercato in cui, in particolare nelle aree centrali, vige il principio della domanda e dell’offerta svincolate da analisi sul tipo edilizio e metodologie progettuali specifiche; le problematiche tributarie - i tributi locali hanno amplificato la questione del valore delle aree edificabili facendolo diventare un problema quotidiano (imposta I.C.I.). Inoltre si è approfondito l’aspetto Amministrativo-Gestionale dei Piani Regolatori, Piani Particolareggiati e interventi Diretti e approfondito la metodologia progettuale-operativa con particolare riferimento alle problematiche economico-gestionali degli immobili e dei Suoli edificabili.
Pulselli R.M. La città in movimento. Come esplorare la cinetica dei sistemi urbani, LARIS Editrice, 2011 Le città sono in incessante attività, in continua evoluzione, mai in equilibrio. Gli elementi fisici e la popolazione che li occupa sono sempre in movimento nello spazio e nel tempo. In questo contesto, siamo portati a considerare le città come strutture lontane dall’equilibrio, con dinamiche proprie che si sviluppano nel tessuto urbano in modi articolati e complicati. Oggi questa percezione sta prendendo piede: la cinetica della città è al suo primo stadio. "La Città in Movimento" illustra un approccio di studio ispirato alla landscape ecology e rivolto ad investigare le proprietà cinetiche e di autoorganizzazione delle città contemporanee. Concetti e teorie offrono spunti di riflessione che trovano immediato riscontro in un’applicazione concreta, un’indagine delle dinamiche della mobilità nell’area metropolitana della Toscana Centrale. In particolare, metodi e risultati che sono esposti nel libro riguardano la ricerca e la sperimentazione di una tecnica di monitoraggio delle dinamiche urbane basata sulle tecnologie di telecomunicazione mobile. L’obiettivo è quello di dimostrare come le Information and Communication Technologies (ICT) rappresentino un’opportunità per reperire informazioni sul funzionamento di sistemi territoriali vasti attraverso l’elaborazione di dati statistici real-time e come queste possano essere utilizzate per migliorare la nostra capacità di gestione e pianificazione dei sistemi urbani.
Regione Emilia Romagna, Farnè E., Fucci B. (a cura di), Paesaggi in divenire. Convenzione Europea del Paesaggio e Partecipazione: i progetti sperimentali di PAYS.MED.URBAN, Maggioli Editore, 2011 “Paesaggi in divenire” racconta l’esperienza di
quindici progetti sperimentali, riguardanti paesaggi urbani e periurbani, sviluppati nell’area mediterranea in attuazione dell’art.6 della Convenzione Europea del Paesaggio. Sono affrontate differenti problematiche quali la qualificazione e gestione degli spazi aperti, con particolare attenzione alle funzioni paesaggistiche, ambientali, sociali e culturali dell’agricoltura periubana; la qualificazione paesaggistica e/o la progettazione di nuove aree industriali affinché risultino attrattive per la localizzazione delle imprese della new economy; il miglioramento paesaggistico dei punti di accesso alle città; l’integrazione paesaggistica di nuovi quartieri residenziali in aree urbane periferiche; la qualità visiva ed ambientale della frangia urbana, di interfaccia tra edificato urbano ed aree libere non costruite. Le attività coordinate dalla Regione Emilia-Romagna (capofila dell'attività sperimentale) e sviluppate da Elena Farnè e Barbara Fucci delineano ognuna delle azioni pilota sul piano metodologico, fornendo indicazioni e strumenti operativi per identificare le problematiche di ogni area, mappare gli stakeholders locali, definire gli obiettivi ed i programmi di lavoro di ogni processo, monitorarne lo stato di avanzamento e gli esiti. Ogni progetto è strutturato quindi secondo un’impostazione condivisa fra le quattordici regioni europee coinvolte: partendo dalle analisi sullo stato dell’arte del paesaggio locale e dalla valutazione delle dinamiche di trasformazione, si è operata la mappatura degli interessi in gioco, la definizione degli obiettivi di qualità paesaggistica, lo sviluppo delle proposte progettuali ed infine l’assunzione di impegni e la diffusione dei risultati. Queste azioni sono state perlopiù svolte con le amministrazioni locali che hanno contribuito attivamente nel coinvolgimento dei portatori di interesse di ogni territorio.
Renzoni C., Il progetto '80. Un'idea di Paese nell'Italia degli anni Sessanta,Alinea Editrice, 2012 Punto culminante e al tempo stesso simbolo della crisi della programmazione economica nazionale degli anni Sessanta, il "Progetto '80" rappresenta il tentativo più ambizioso, nell'Italia del secondo dopoguerra, di immaginare uno scenario delle trasformazioni territoriali legate allo sviluppo. Il documento, redatto nel 1969 da un gruppo di esperti attivi presso il Ministero del bilancio, disegna un'Italia al futuro imperniata su un radicale ripensamento dei sistemi metropolitani e ambientali. L'immaginario del testo e delle carte che lo accompagnano affonda le proprie radici nelle precedenti esperienze della programmazione ma coglie anche con anticipo alcuni temi di dibattito divenuti in seguito centrali, come la questione della diffusione urbana o della tutela e valorizzazione delle aree di pregio. Sistemi urbani, parchi, attrezzature diventano la spina dorsale di un paese chiamato a rispondere ai bisogni di una nuova società di consumatori. Il volume ripercorre in maniera sistematica la storia dell'elaborazione, della pubblicazione e dell'impatto di un documento troppo spesso letto solo sotto il segno dell'utopia fallita, rivisitandolo e riposizionandolo nel dibattito delle politiche di respiro nazionale. Chiude il libro
un'intervista a Giorgio Ruffolo, uno dei protagonisti di quella stagione, che torna a riflettere sul suo significato e le sue eredità.
Russo M., Il progetto urbano nella città contemporanea. L'esperienza di Salerno nel panorama europeo, CLEAN Edizioni, 2011
Il libro di Maurizio Russo prende spunto dalla riqualificazione urbanistica della città di Salerno, avviata da Oriol Bohigas nei primi anni Novanta, per tracciare un quadro completo delle questioni di governo urbano nelle città attuali. Il libro è diviso in due parti: nella prima parte il progetto urbano è inteso come strategia di sviluppo o posizionamento (“vision”) della città nel suo complesso; nella seconda parte, come intervento concreto su parti urbane delimitate. Nelle conclusioni è mostrato come questi due aspetti del discorso urbanistico siano inscindibili tra loro, e debbano sempre marciare di pari passo nei processi di pianificazione urbana. Tale discorso è sviluppato alla luce della letteratura specialistica prevalente negli ultimi anni e di numerose esperienze urbane, tra cui Helsinki, Zurigo, Bilbao, Sesto San Giovanni, Reggio Emilia, oltre che Salerno. È inoltre rivolto uno sguardo al passato con una sorprendente rivalutazione dell’urbanistica moderna, quella di Le Corbusier e della Carta d’Atene, purché affiancata ai valori della città tradizionale. L’effetto è una “città ibrida”, aperta al paesaggio ma che conserva i vantaggi della vicinanza e della piccola scala. Il libro, riccamente illustrato con 600 immagini, si chiude con un elenco di sei “doveri” – o buoni princìpi urbanistici – per il governo della città contemporanea: dovere di conoscenza; dovere ecologico; dovere di progettare la complessità; dovere di comunicazione, partecipazione e governance; dovere di coesione, bellezza e competitività urbana; dovere di buona amministrazione.
Selicato F. Rotondo F., Progettazione urbanistica. Teorie e tecniche. Mc Graw Hill, 2010
In questi ultimi anni il dibattito disciplinare si è notevolmente spostato sui temi del progetto ambientale e dell’ecologia del paesaggio, cercando di integrare alcuni dei principali “concetti nomadi” delle discipline ecologiche nei processi di formazione dei Piani. Stabilito che l’acquisita coscienza ambientale ed ecologica costituisce un patrimonio culturale da approfondire e da non trascurare, appare utile, riprendere il dibattito sui caratteri insediativi, per meglio definire quella che si può denominare la “matrice insediativa” dei tessuti edificati. Sulla necessità di riportare in primo piano il dibattito sugli elementi strutturanti del progetto urbano, siano essi di matrice ambientale che di matrice insediativa, all’interno di un rinnovato connubio fra Piano e progetto, il volume intende focalizzare l’attenzione, a partire dal rilevante bagaglio culturale che la disciplina urbanistica ha costruito. L’obiettivo che ci si pone è dunque quello di rileggere e riorganizzare i materiali del
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progetto in relazione alle nuove sfide progettuali che urbanisti ed architetti dovranno affrontare nella pratica professionale. Per questa ragione particolare attenzione è posta nella capacità di comunicare, in maniera chiara e comprensibile, il modo secondo cui i materiali del progetto concorrono a dare senso all’organizzazione dello spazio, senza disconoscere quella complessità di relazioni entro cui prende forma e si concretizza il progetto urbano. In questo itinerario concettuale e metodologico una parte di rilievo è riservata alla rappresentazione, affidata a schematizzazioni grafiche col chiaro intento di evidenziare, di volta in volta, i caratteri salienti e costitutivi del progetto. Il disegno è inteso come chiave interpretativa del progetto, strumento di verifica e controllo dell’idea progettuale, sintesi di quel bagaglio di conoscenze che occorre possedere per saper progettare.
Terrana A. (a cura di) Guida alla lettura. Piano Territoriale Paesistico Agrigento. Tematiche paesaggistiche. Guida alla lettura Lussografica Caltanissetta, 2009
Il Volume presenta la sintesi del progetto ed i contenuti ritenuti più significativi dei piani d’ambito che riguardano il territorio provinciale e vuole mostrare un percorso, l’esperienza e la sperimentazione di una pianificazione in continua evoluzione perché nel tempo sono cambiati approcci, metodologie, forme e contenuti. L’Amministrazione dei Beni Culturali, in questi ultimi anni ha avvertito la necessità di elaborare un progetto complessivo in questo territorio provinciale, consapevole di intervenire in un contesto di grande valore ambientale, ma anche in un territorio fortemente antropizzato, di cui va ricostruita un’identità tenendo conto anche dei rilevanti interessi economici che sul territorio si sono creati. L’emanazione della Convenzione Europea del Paesaggio ha proposto con forza la questione paesaggistica come elemento di riferimento per la costruzione di uno sviluppo territoriale sostenibile, in base alla considerazione delle innumerevoli funzioni svolte dal paesaggio sul piano culturale, ecologico, ambientale, sociale ed economico; sulla sua capacità di orientare l’insediamento, le trasformazioni del territorio rurale, la progettazione delle infrastrutture e i nuovi assetti fruitivi. Il piano paesaggistico si candida a svolgere un ruolo di rilievo nell’ambito territoriale provinciale, poiché nei contenuti riesce a prospettare visioni integrate di salvaguardia, di recupero, di riqualificazione e di sviluppo, e a individuare le potenzialità di territori giudicati privi di valore o di identità, esclusi dai tradizionali e consolidati circuiti economici e fruitivi o che presentano valori dispersi nel territorio.
Terrana A. (a cura di) Paesaggio in attesa. Temi del Piano Territoriale Paesistico Agrigento, Lussografica Caltanissetta, 2009
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Il testo, dopo una prima rappresentazione generale sul tema del paesaggio e della metodologia della pianificazione paesaggistica, introduce con la fotografia il senso del paesaggio nella vita perso-
nale e collettiva di ognuno di noi, i modi e i meccanismi della percezione in relazione ad esso come strumento di comunicazione. Ci siamo sforzati di documentare i paesaggi che apprezziamo di più, quelli che offrono aspetti di naturalezza, o che mostrano una ricca e chiara presenza di segni storici, di significative tracce di culture, di nessi leggibili tra struttura ed uso del suolo; quelli che denotano il modo equilibrato in cui l’intervento umano si è rapportato a fenomeni ed elementi naturali; le pianure coltivate e i versanti consolidati con particolari tecniche agricole; i pendii terrazzati per le colture agricole e i borghi arroccati sulle alture; ma abbiamo anche proposto, “immagini detrattorie della natura”, secondo le aspirazioni e i modelli culturali negativi del nostro tempo, secondo assetti in cui è evidente l’incapacità dell’uomo ad inserirsi nei cicli della natura sulla base della comprensione dei suoi processi. Per far ciò, ci siamo avvalsi di classificazioni e selezione di centinaia d’immagini raccolte e di contributi grafici e testuali, con lo scopo di accostarci gradatamente alla conoscenza, all’organizzazione grafica di schemi che hanno permesso il ragionamento e il rilevamento di ciò che può essere atteggiamento generico dell’uomo o, invece, sentimento, ricordo, emozione personale, proiettato nella lettura della pianificazione paesaggistica. Una rappresentazione scientifica volta alla presentazione del paesaggio agrigentino, in un racconto prevalentemente fotografico, attraverso appunti, sequenze d’immagini e tavole grafiche dimostrative, dove si sintetizzano gli aspetti salienti emersi e i contributi più rilevanti del percorso conoscitivo del lavoro svolto nella pianificazione.
Tomasetti F., Cambiare Rimini. De Carlo e il Piano del Nuovo Centro (1965 1975). Maggioli Editore, 2012
Il libro narra la storia della relazione tra Rimini e Giancarlo De Carlo: tra una città, intesa come spazio e società, ambiente costruito e cittadini, e un famoso architetto, professore e uomo di cultura. De Carlo incontra e frequenta Rimini in un decennio in cui la città rallenta la sua crescita quantitativa e riflette su se stessa e sul suo futuro: alla crescita quantitativa ora si deve sostituire la qualità, che significa anzitutto riqualificazione della città e della zona turistica. De Carlo accetta la sfida ad una sola condizione: il Comune deve condividere la sua scelta ideale e culturale di fondare il processo di pianificazione sulla “partecipazione” dei cittadini, ed agire di conseguenza come nei fatti avviene fino alle elezioni amministrative del 1970. Ai tradizionali protagonisti dell’urbanistica (amministratori, tecnici… e speculatori) si aggiungono quindi centinaia di cittadini, di tutti i ceti ed età, professori e studenti, operai e intellettuali, abitanti del centro e del forese, intercettati in decine di incontri e riunioni nell’Arengo, nelle case del popolo, nelle parrocchie, nelle scuole ed addirittura nella discoteca l’Altro Mondo. La storia del Piano è dunque il racconto di questo esperimento sociale e culturale ancor prima che urbanistico che vede De Carlo alla testa di una azione volta a informare, formare, orientare, educare, ed anche convincere ed ammaliare decine e centinaia di riminesi sulle sue teorie
della città applicate a Rimini e sulla necessità civica di una responsabile partecipazione dei cittadini alle scelte per il futuro di Rimini. La partenza è ottima ma poco dopo tempo, con il cambio di amministrazione la spinta iniziale si esaurisce fino a spegnersi: il Comune non prosegue nel programma di partecipazione e De Carlo protesta inutilmente: il Piano diventa il “suo Piano”, che sconta quindi la mancata verifica con la cittadinanza.
Vergano A., Caruano A. (a cura di), Smart Planning Per le Città Gateway in Europa - Atti della IX Biennale delle Città e degli Urbanisti Europei, INU Edizioni, 2012
"Smart, green, inclusive": in questo neologismo il tema della sostenibilità urbana si intreccia con quello della tecnologia ambientale e della ICT applicate alle città. L'obbiettivo è promuovere una pianificazione intelligente, che limiti l'uso di risorse non riproducibili, trovi alternative al consumo di suolo e promuova lo sviluppo sostenibile. Partendo da queste parole chiave, il testo raccoglie i materiali del convegno «Smart planning per le città gateway in Europa. Connettere popoli, economie e luoghi», articolato in tre sessioni plenarie e in sei workshop tematici: 1) Città Porto: la dimensione multipla della pianificazione spaziale; 2) Pianificazione integrata dei corridoi di trasporto europei; 3) Il ruolo strategico delle città gateway in Europa; 4) Città regione globali e Macro regioni in Europa; 5) Smart Cities e sviluppo urbano sostenibile; 6) Immigrazione e nuovi abitanti nelle città gateway. Tra i contributi del volume anche l'articolo di Luca Salvetti dal titolo: “Pianificazione coordinata CittàPorto: le prime sperimentazioni della ‘Commissione Astengo’. Soluzioni tecniche per lo sviluppo portuale genovese” che si riferisce ad alcune risposte agli esiti dell’attività della Commissione Astengo (1963- 1965), istituita dal Comune di Genova per la revisione del PRG approvato nel 1959.
Gli articoli su riviste Di Chio A., Borrelli M., Borrelli E., Un ponte metropolitano a Napoli Capodichino, in TeMA - Journal of Land Use Mobility and Environment, vol.3 n.4/2010
Uno dei temi più dibattuti in riferimento al passaggio di una nuova infrastruttura in un paesaggio, più o meno antropizzato, riguarda i rischi della possibile distruzione di quest’ultimo. Alcune volte, però, questi interventi costituiscono una vera e propria occasione per riqualificare ambiti urbani degradati anche estesi. In questo spirito si è operato con il progetto del completamento di un ponte, rimasto incompiuto per quasi cinquanta anni a Napoli, in un quartiere che nel tempo ha perso identità e ruolo urbani, fino al completo degrado fisico e sociale. Il progetto di completamento dell’asse di collegamento tra lo svincolo Napoli-est della tangenziale, il quartiere 167 di Secondigliano e la Circumvallazione esterna prevede la costruzione del collegamento con Viale Comandante Umber-
to Maddalena a partire dall’attuale interruzione dell’opera in corrispondenza della spalla esistente e la sistemazione delle aree esterne pertinenziali. Questo asse di primaria importanza per la viabilità cittadina insiste su un’area sensibile della città, per storia e morfologia, e può rappresentare una concreta occasione di recupero di essa, recupero urbano e recupero funzionale, con effetti indotti positivi che si irradiano all’intero quartiere e oltre. L’obiettivo del progetto proposto è far si che il completamento del ponte esistente rappresenti un elemento di qualità urbana, oltre che la tessera mancante di un importante mosaico di viabilità metropolitana. In questo senso il ponte può diventare un prezioso elemento del paesaggio urbano metropolitano.
Fistola R., Gallo M., La Rocca R.A., Mobilità veicolare, emissioni inquinanti e impatti sulla salute pubblica, in TeMA - Journal of Land Use Mobility and Environment vol.2 n.02/2009
L’articolo approfondisce il tema degli impatti della funzione mobilità e dei conseguenti effetti delle emissioni inquinanti sul sistema urbano. Il contributo innovativo è riconducibile all’individuazione delle infrastrutture stradali “critiche” sulle quali intervenire con priorità al fine di ottimizzare i livelli di sicurezza riferiti alla tutela della salute pubblica. I risultati riportati nell’articolo si riferiscono ad un progetto di ricerca più ampio, finanziato dalla Regione Campania, che si è posto l’obiettivo di valutare gli effetti delle emissioni inquinanti, in particolare del PM10, sulla salute umana alla scala regionale, provinciale e comunale. In particolare, l’articolo presentato, si riferisce all’ambito urbano di Benevento proponendo una metodologia di individuazione delle infrastrutture viarie critiche dal punto di vista ambientale, sulle quali è necessario agire anche attraverso politiche di limitazione del traffico veicolare. Alla base del lavoro vi è la considerazione che gli effetti inquinanti abbiano una elevata correlazione con la morfologia del tessuto dei centri urbani ed in particolare con la struttura fisica della rete viaria. È, quindi, possibile individuare all’interno di un sistema urbano alcuni “canali critici” che per la particolare conformazione fisica non sono in grado di supportare alcun tipo di traffico veicolare se non compromettendo notevolmente i livelli di sicurezza della salute umana. Le “aree di pericolosità”, caratterizzate da un’alta concentrazione di canali critici, individuano sul territorio gli ambiti urbani nei quali concentrare gli interventi per una gestione ottimale della mobilità veicolare urbana. La fase sperimentativa è stata implementata dalla progettazione di un sistema informativo geografico (GIS) orientato ad un duplice obiettivo: da un lato, consentire l’individuazione delle aree ad elevata pericolosità attraverso l’overlay dei piani informativi (sia alla scala territoriale che a quella urbana); dall’altro permettere la selezione dei “canali critici” e la successiva individuazione delle zone urbane a rischio, attraverso il supporto di procedure automatizzate e implementabili in altri contesti urbani.
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Frigau F., Pusceddu P., Housing Sociale : la dimensione politica del progetto, in Territorio n.62/ 2012 Nell’autunno del 2010 il Comune e la Facoltà d’Architettura di Alghero partecipano alla Manifestazione d’interesse per progetti pilota di Housing Sociale indetta dalla Regione Sardegna. Il bando è una prima risposta alle nuove disposizioni nazionali , introdotte dalla Finanziaria del 2008 e dal cosiddetto Piano Casa, in materia di Abitare Sociale. La costruzione della proposta rappresenta l’occasione per una ricerca sul rapporto tra politiche abitative e politiche urbane; sul ruolo della Casa nella costruzione della città pubblica. Gli elementi innovativi sono diversi, primi fra tutti l’utilizzo dei fondi immobiliari etici ed il coinvolgimento dei privati nella costruzione di valori pubblici. I rischi sono noti e richiamano alla responsabilità politica nella definizione di un progetto comune per la città contemporanea; inducono a innovare il ruolo del progetto. La riflessione allora è sulla dimensione politica del progetto, ciò che lo rende strumento di conoscenza del territorio, sintesi delle sue complessità e mai subordinato alla politica o mera applicazione della stessa; una piattaforma in grado di attivare sinergie, dinamiche economiche e sociali, in sintesi capace d’innescare processi di vita urbana.
Mariano C., Il ruolo dei piccoli comuni nel processo di costruzione della identità metropolitana, in Planum. The Journal of Urbanism, n.25 vol.2/2012
La tradizione italiana di forte autonomia degli enti locali e la resistenza verso forme di aggregazione in nuovi livelli di governo, rende difficile il percorso di costituzione della città metropolitana prevista dalla legge 142/90. Il fenomeno della cooperazione intercomunale, per la gestione associata di alcuni servizi, costituisce un interessante terreno di sperimentazione per costruire le relazioni di cui la dimensione metropolitana ha bisogno, creando così le condizioni dal basso per la costruzione della città metropolitana al di là di quella che verrà individuata come forma più idonea di governo metropolitano. In tal senso può contribuire, in maniera significativa, la tendenza, già molto consolidata in Italia, da parte dei comuni ad associarsi, in forma autonoma, per proporre strategie, politiche e interventi, dando vita ad una forma di auto-governo (unioni di comuni, associazioni di comuni) in grado di aggregare il sostegno di tutti i soggetti coinvolti nel processo di definizione della vision del territorio metropolitano.
Salvetti L., Politiche e piani per la modernizzazione del Cairo, in Territorio n. 50/2009
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L’articolo propone la descrizione delle principali esperienze di pianificazione della capitale egiziana predisposte nel corso degli ultimi 150 anni. Materia di discussione sono i modelli di crescita della città e di sviluppo economico promossi dalle ideologie di pianificazione impiegate sullo sfondo di un contesto politico contraddistinto da una rilevante instabilità. A tal proposito l’articolo, pur anti-
cipando di due anni la cosiddetta ‘Rivolta del Nilo’ esplosa nel gennaio 2011, può aiutare a comprendere l’incoerenza di alcune scelte pianificatorie del recente passato. Scelte che hanno favorito il profondo squilibrio urbano e sociale contro il quale sono divampate le proteste della ‘primavera araba’ egiziana. L’articolo è suddivisibile in due sezioni. Nella prima si illustra il primo contatto diretto tra i modelli della tradizione millenaria cairota e la moderna disciplina urbanistica europea. La seconda sezione dell’articolo si incentra sui piani del secondo Novecento, valutati in riferimento alle loro prerogative di contrasto all’emergenza demografica ed alle contraddizioni della crescita urbana. Si propone quindi una rassegna di quattro diverse esperienze di pianificazione. La prima riguardante l’avvio delle politiche di pianificazione nell’epoca di Nasser. La seconda esperienza analizzata è quella dell’introduzione del concetto spaziale di Greater Cairo Region nello Schema Direttore del 1970’. Il terzo caso proposto è quello del Master Plan del 1983, che tentò d’innovare la politica di decentralizzazione avviata con le new towns. Infine, con l’ultimo paragrafo, si è introdotti al passaggio al nuovo millennio, contraddistinto dalla revisione del Master Plan degli anni Ottanta.
Salvetti L., La ‘Commissione Astengo’ per la revisione del Prg di Genova del 1959: testimonianze da preservare, in Territorio n. 59/2011 L’articolo presenta la ricostruzione della rilevante esperienza progettuale della ‘Commissione Astengo’ per la revisione del piano regolatore di Genova del 1959. Una sperimentazione racchiusa nell’arco temporale di un biennio, che diede inizio ad un processo di pianificazione ventennale, conclusosi nel 1980 con l’approdo ad un nuovo PRG. È essenziale evidenziare come l’articolo racchiuda anche gli esiti di una riflessione sorta intorno al ritrovamento – da parte dell’Autore - di un importante deposito documentale che al lavoro di quella Commissione è riferito. Un deposito di cui in questo scritto si descrive ed interpreta l’importanza, mediante il riconoscimento della sua consistenza, accresciuta nel valore da documenti autografi e materiali di studio riconducibili ad Astengo. Più specificamente l’articolo è strutturato in tre sezioni. La prima riguarda la ricostruzione della vicenda della Commissione Astengo (1963-1965) nel contesto urbano di riferimento. La seconda sezione si incentra invece sulla descrizione ed interpretazione del valore del giacimento. La valutazione è svolta considerando dapprima la consistenza documentale nel suo complesso. Successivamente ci si addentra nell’articolazione del lavoro svolto dalla Commissione che trova pieno riscontro nei materiali rinvenuti, inerenti sia gli otto settori d’indagine. Infine, la terza ed ultima sezione presenta le ipotesi di ricerca a sostegno della tutela della documentazione. Vi si sostiene che l’opera di catalogazione del materiale documentale ritrovato possa contribuire all’arricchimento della biografia progettuale della situazione genovese ed il riconoscimento dell’attualità di un’esperienza di pianificazione quale quella della ‘Commissione Astengo’.
Salvetti L., La biografia progettuale della città: 1975-2011, in Urbanistica Informazioni n.241/2012
L’articolo si propone di seguire e svolgere tre percorsi di ricerca paralleli mediante i quali ricostruire la ‘biografia progettuale’ della città di Genova, emergente a partire dall’anno 1975 dal suo specifico contesto urbano/portuale, economico e sociale. Più specificamente, nel primo paragrafo si rievocano eventi progettuali connessi a temi urbanistici orientati a trattare le difficoltà nella trasformazione, rinnovamento e sviluppo del sistema produttivo genovese e la conseguente perdita di competitività economica della città. Il secondo paragrafo si incentra su quei piani e progetti volti a risolvere le criticità da cui discende la perdita di competitività del porto di Genova. Eventi progettuali al cui centro è stata posta la costruzione delle strategie di pianificazione e gestionali tese a compensare la scarsa disponibilità sia degli spazi da destinare alla logistica delle merci, sia dei moli e delle banchine atti a soddisfare le esigenze dei traffici e delle attività portuali. L’ultimo paragrafo è invece riferito agli eventi progettuali che si sono confrontati con il tema dell’insufficiente valorizzazione dell’affaccio a mare ed ai problemi connessi alla limitata accessibilità e fruibilità di lunghi tratti del waterfront urbano genovese. Da tali criticità deriva un’evidente perdita di competitività turistica della città ed una relazione ancora da rinsaldare tra città e porto storici. Con questo scritto si è inteso fornire una griglia temporale e tematica di riferimento, in base alla quale contestualizzare correttamente le attività progettuali e di pianificazione rilevate.
Nuovi linguaggi multimediali 5 minuti di recupero. Un'occasione per ripensare la crescita urbana 2A+P/A (Gianfranco Bombaci e Matteo Costanzo), Angelo Grasso, TSPOON (Nina Artioli, Alessandra Glorialanza, Eliana Saracino) Oggi l'Italia è chiamata ad affrontare una grande sfida: ripensare lo sviluppo e la crescita urbana. Il video indaga attraverso l'analisi e la rielaborazione di dati strategici, il fenomeno del consumo di suolo e le possibili strategie per il suo contenimento. Oggi è possibile osservare il nascere di nuove strategie di conversione del nostro habitat, dei luoghi in cui viviamo, delle case in cui abitiamo, in base ad una progressiva trasformazione e riconfigurazione della città. Partendo da un'analisi delle strategie progettuali del riutilizzo e della trasformazione delle strutture urbane, è possibile definire nuovi modi per ripensare lo sviluppo e la crescita delle città contemporanee, secondo alcuni nuovi principi capaci di rispondere alle istanze, non più posticipabili, di sostenibilità sociale, economica ed ambientale. Le linee guida sulle quali si imposta questo approccio sono riconducibili a tre obiettivi
principali: -Risparmio di suolo: grazie alla strategia del riuso di strutture urbane si possono ipotizzare processi di crescita e sviluppo urbano senza espandere la città con un ulteriore consumo di suolo naturale. -Rigenerazione urbana: riconfigurare edifici obsoleti o dismessi con nuove funzioni permette di riattivare aree urbane degradate. -Contenimento energetico: interventi di retrofitting su strutture esistenti permettono di ottimizzare la prestazione energetica e massimizzare l’uso di fonti di energia rinnovabile. L’obiettivo che questa ricerca vuole raggiungere è quello di mostrare, nel breve tempo di un video, una sintesi delle modalità con cui si potrebbe affrontare questa grande sfida che il nostro paese è chiamato a compiere nei prossimi anni. Allo stesso tempo, la ricerca intende avviare un dibattito su come il raggiungimento di tali obiettivi sia non solo necessario, ma anche un’occasione di rilancio dell’economia in questo momento di crisi internazionale. Il video indaga attraverso l’analisi e la rielaborazione di dati strategici, la condizione del patrimonio edilizio italiano. Questi dati sono stati dedotti dallo studio di una serie di recenti dossier e report prodotti dagli osservatori più attenti alle dinamiche di trasformazione del nostro paese. All’analisi dei dati è affiancata l’individuazione di una serie di casi studio capaci di rappresentare la complessità delle strategie necessarie per attivare processi di rigenerazione del territorio. La ricerca è stata commissionata dal Padiglione Italiano della 13a Mostra Internazionale di Architettura di Venezia ed esposta nella sezione Re-Made in Italy. Video di:2A+P/A (Gianfranco Bombaci e Matteo Costanzo), Angelo Grasso, TSPOON (Nina Artioli, Alessandra Glorialanza, Eliana Saracino) Ricerca dati ed illustrazioni: Gabriele Acciai, Giulia Gabellini, Consuelo Nuñez Ciuffa, Francesco Pizzorusso, Roberta Serra Animazioni e Montaggio: Claudio Esposito Sound design: Procreate Lab Ricerca dati ed illustrazioni:Gabriele Acciai, Giulia Gabellini, Consuelo Nuñez Ciuffa, Francesco Pizzorusso, Roberta Serra. Animazioni e Montaggio:Claudio Esposito http://www.youtube.com/watch?feature=player_ embedded&v=h0egwgTr1D8#
Pordenone è... Punti di vista e immagini in trasferta Comune di Pordenone Monia Guarino, Antonio Saracino, Francesca Codogno
“Pordenone è……..Già: com’è la città in cui oggi vivi o abiti? E' questa la domanda rivolta a un centinaio di persone di passaggio nella piazza centrale di Pordenone, dove, dalla mattina alla sera del 6 settembre (2012), una sedia è stata messa a disposizione di tutti: grandi e piccini, italiani e stranieri, abbienti e meno abbienti, occupati e disoccupati hanno potuto prendere “posizione”, sedendosi e raccontando il proprio punto di vista, per condividere spontaneamente un’idea di Pordenone oggi. C’è chi ha scritto una parola, chi un pensiero o una preoccupazione, chi anche ha
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cercato di “mimare” e rappresentare con gesta l’anima di questa particolare cittadina. L’idea della sedia è nata da precedenti soprallu ghi partecipati (definiti “piazzate”) realizzati nel periodo di agosto con gli abitanti di alcune aree “sensibili” della città: è capitato che qualche anzi no, nel durante dell’attività in loco, chiedesse una sedia perché il proprio racconto sui problemi e le opportunità di Pordenone sarebbe stato “molto lungo e articolato”. Da quel momento “questa sedia” ha girovagato per la città e sottolineato con la propria presenza alcuni luoghi significativi, dove è proprio la comunità che propone a chi governa il proprio contributo (conoscitivo e ideativi) per condividere un miglioramento. La sedia è poi giunta in “piazza” per aprire finestre sulle vedute di tutti. E’ scaturito così questo particolare prodotto multimediale, definito “social trailer”: “social” perché condiviso e aperto ai contributi di una comunità intera, e “trailer” perché pro-muove, anticipandolo, un film di prossima uscita: il Nuovo Piano Regolatore di Pordenone Questo primo social trailer “Pordenone è…” ha aperto e avviato la prima fase di analisi (giugnodicembre 2012) del percorso di partecipazione dedicato alla redazione del nuovo strumento urbanistico; mentre un secondo social trailer, “Pordenone sarà…” in corso di realizzazione con il coinvolgimento di bambini e ragazzi, aprirà e avvierà la seconda fase di progettazione (gennaio-dicembre 2013) che si concluderà a teatro con lungometraggio interattivo e di comunità (il film appunto) dedicato al Piano Regolatore. La scelta dei linguaggi multimediali è nata da una precisa considerazione: il Piano s’intromette nella quotidianità di una comunità e ne caratterizza la qualità di vita, la sua espressione, dunque deve poter raccontare i principi, i sogni e le aspirazioni che il cittadino “di oggi” propone all’abitante di “domani”, manifestando con la forma urbana la cultura della città. http://www.youtube.com/watch?v=EfVwbH_ml-o
Inediti Perequazione urbanistica e art. 23 della Costituzione: la necessità di una norma di legge statale Stefano Bigolaro; Giuseppe Piva
Al termine “perequazione urbanistica” si riconduce ormai, nella prassi, una variegata pluralità di modi nei quali i Comuni compartecipano ai benefici derivanti dalle loro scelte pianificatorie. Invocando la perequazione (o istituti che ad essa in qualche modo si riconducono), vengono infatti introsotti nelle pianificazioni urbanistiche locali contenuti diversi per ciascun comune, e più o meno presentabili, a seconda della sensibilità urbanistica o della “sfrontatezza” di ciascuna amministrazione; ma contenuti spesso del tutto estranei alla perequazione come, in senso prorpio, dovrebbe essere intesa (cioè come ripartizione di oneri e diritti tra i proprietari degli immobili interessati da un intervento, e non tra i proprietari e il Comune).
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S-composizione di un quartiere modello: Hammarby Sjöstad, Stockholm
Monica Cauduro
La relazione buona architettura/buona società è un leitmotiv che si rincorre nel corso dei secoli dell’urbanità, da sempre le città servono a proteggere dai pericoli esterni e dai pericoli interni, da sempre si cerca di controllare e proteggere la società con il disegno della città. Spazi costruiti e ambienti socio-culturali hanno una reciproca influenza. Ma davvero una buona architettura è portatrice di una buona società? Non è piuttosto una buona società che fa un buon disegno urbano? Quanto è buona architettura? Quanto cultura? E’ possibile esportare soluzioni architettoniche riuscite in qualsiasi società? Si deve esportare anche la cultura? Cosa vuol dire buona società? E buona architettura? Si prova a dare una risposta a queste domande partendo dalla semplice quotidianità, da quello che tutti i giorni significa abitare la città, abitare gli spazi costruiti, quegli spazi dove, a volte, prevale il disagio delle difficoltà. Si parla di periferie, perché è nelle periferie che più si sono concentrati gli sforzi utopici di realizzare pienamente la relazione buona architettura / buona società, è proprio negli slanci utopici degli anni ’50 - ’70 che si provano soluzioni differenti, soluzioni che mettono al centro il disegno urbano, soluzioni che sono pensate per il tipo di società che le occuperà. E spesso sono proprio queste utopie a mettere a dura prova la quotidianità, spazi progettati e costruiti senza davvero pensare a chi li dovrà abitare, a volte mancano infrastrutture, altre volte quello che manca è una varietà, quasi che l’omogeneità degli edifici debba necessariamente riflettere l’omogeneità della composizione sociale di chi li abita. Il disagio sociale più o meno manifesto, reso evidente dai resoconti della cronaca cittadina, è il risultato di queste politiche. Hammarby Sjöstad è un nuovo quartiere sostenibile, un quartiere progettato con le intenzioni di farne delle linee guida per gli interventi futuri. Sostenibilità ambientale, ma anche sociale ed economica. Pensato come un ecosistema capace di chiudere i cicli energetici e dell’acqua, senza dimenticare i rifiuti che spesso costituiscono criticità, in questo caso i rifiuti urbani diventano risorsa energetica. Scomporre un quartiere particolarmente riuscito, preso a modello nella letteratura internazionale e nei progetti di molte municipalità non solo svedesi, nelle sue componenti architettoniche e sociali, significa scavare nel passato della Svezia alla ricerca di quegli elementi che lo distinguono nella sua svedesità.
Lo spazio delle ombre la struttura di una casa ad Ahmedabad come elemento di lettura del territorio indiano Maria Eleonora Maccari
Il dialogo tra uomo e natura, il cui risultato, siamo soliti definire come paesaggio antropizzato, si manifesta attraverso l’esaltazione della natura, della sua sacralità e del suo insostituibile valore di riferimento per chi ha la abita o la attraversa. Interpretare e capire il territorio è forse il primo fondamentale passo verso una corretta progettazione che sia in grado di supportare l’azione umana nel suo fare costruttivo.
La progettazione è un insieme di principi che mettono in relazione tra loro i materiali fisici della città e del suo territorio in funzione delle diverse possibilità percettive legate a tutti e cinque i sensi. Kevin Lynch nel suo The sensed Landscape parte dal concetto che “la qualità sensoriale di un luogo è costituita dall’interazione della sua forma e chi la percepisce”. E’ attraverso la lettura degli elementi che costituiscono il tessuto della città, che ricostruiamo la stratificazione culturale che si è sedimentata secondo logiche temporali lentissime, sconosciute all’accelerazione dei fenomeni della contemporaneità. Partendo dall’analisi percettiva dei luoghi attraversati e vissuti si cerca di sviluppare un metodo di comprensione che cerca di connettere tutte le componenti che danno corpo allo spazio in cui ci muoviamo e che ci permette conseguentemente di utilizzare la ricerca e l’osservazione come base essenziale della progettazione.
No concept. Architettura ibrida per la città-arcipelago Giacomo Magnani; Serena Maioli
La ricerca si muove da una critica al diffuso metodo progettuale che presuppone un appiattimento delle molteplici forme urbane e architettoniche in un’immagine simbolica e iconica: il concept. Pur possedendo un’efficace immediatezza comunicativa, esso arriva ad esprimere il progetto (o un particolare contesto) tramite un’operazione di sottrazione (e non sintesi) delle varie componenti in gioco. No concept significa al contrario progettare tenendo conto della complessità del contesto e fare della conflittualità uno strumento di disegno dell’architettura. L’obiettivo diventa quindi sperimentare l’applicabilità e l’efficacia di metodi ibridi (teorico‐pratici, induttivo‐deduttivi) per l’analisi e la progettazione nella città complessa, definita “città arcipelago”, prendendo in prestito il modello teorizzato da Oswald Mathias Ungers. Il lavoro possiede pertanto un approccio sperimentale, teso alla verifica dei contenuti teorici nelle forme urbane reali: per questo abbiamo voluto dotarci di un “dove” oltre che di un “come”, eleggendo il porto interno di Rotterdam come caso‐studio. Importato da una realtà densa di pressioni sociali ed economiche come quella americana, l’edificio ibrido emerge nel panorama architettonico odierno come soluzione ad una serie di tematiche attualissime quali l’accessibilità, il mix programmatico, la flessibilità funzionale e la sinergia di un grande contenitore di funzioni con la città storica . Ibrida non è solo struttura spaziale ma anche il processo: la funzione dell’ibrido infatti è mettere a sistema, e quindi controllare, un numero elevato di variabili, dalla molteplicità di stakeholders coinvolti nella trasformazione, sia pubblici che privati, alla dialettica tra contesti urbani diversi. La città complessa non ha bisogno solo di un manufatto architettonico che funzioni al proprio interno ma soprattutto di un’architettura vitale nel tempo: affinché questo avvenga l’ibrido si deve avvalere di strategie urbane che supportino lo sviluppo della comunità e l’integrazione del nuovo manufatto nel tessuto urbano in tutte le sue fasi, dall’ideazione alla realizzazione.
Politiche per la riqualificazione delle periferie urbane Proposte per l’integrazione e l’attuazione del Programma Integrato di Intervento Montecity-Rogoredo (Milano) Simone Manni
Non si può più pensare di definire la periferia in maniera univoca: si è passati dal concetto di margine urbano a quello di marginalità urbana, rintracciabile anche nelle aree più interne della città. Al fine di indagare lo spazio e il tempo in cui la periferia si è formata, è sembrato opportuno partire dal caso francese, da sempre un modello di riferimento per la promozione e la definizione di politiche urbane, stanziamenti appositi e agenzie specializzate e passare al contesto italiano, in cui il dibattito degli anni ’80 ha portato alla previsione di strumenti “area-based” e integrati per la rigenerazione urbana delle periferie, caratterizzata da degrado fisico, urbanistico e sociale. Le politiche, orientate secondo il principio di negoziazione e non più appannaggio dello Stato (deregulation), si sono caratterizzate per alcuni elementi di “innovazione” tra cui il carattere integrato degli interventi e la capacità di produrre soggetti pèiù che atti di pianificazione. Si apre in quegli anni una stagione nella quale la Regione Lombardia e nello specifico Milano svolgono un ruolo di capofila nella sperimentazione di strumenti di programmazione negoziata e complessa, tra cui spiccano i PII, gli strumenti attuativi più utilizzati per importanti operazioni di trasformazione e riqualificazione urbana volte a colmare la distanza tra centro e periferia. Se come premesso, le periferie sono realtà molto più sfaccettate di quanto appaia da una lettura superficiale, per rispondere a tale complessità è stata necessaria una definizione “non convenzionale” che facesse emergere le principali “famiglie” di periferie della realtà milanese. E’ seguita la scelta di un caso studio, un quartiere alle porte della città, Milano Santa Giulia, formatosi su un ex area industriale oggetto di un Programma Integrato di Intervento dal futuro incerto, pertanto scelto quale esempio di “spazio in attesa”. E’ stato fondamentale, per capire perché tutto si è fermato, scomporre quanto più possibile il problema di tale spazio, al fine di trovare le risposte specifiche. Come? Ricostruendo l’evoluzione del quartiere, con particolare attenzione al contesto, alle potenzialità e criticità di carattere ambientalepaesaggistico, infrastrutturale e insediativo e alle reciproche interrelazioni; individuando la mancanza di integrazione prevista dalle norme (solo pubblicizzata nel progetto); elaborando di conseguenza uno scenario strategico alternativo, che rimettesse in ordine le competenze, gli attori, i ruoli dal punto di vista dell’organizzazione delle operazioni. La proposta è stata articolata in due livelli di intervento: uno a scala “macro”, individuando il ruolo e il peso del quartiere nel contesto e uno a scala “micro”, elaborando un masterplan che definisce le linee di forza del progetto, i principi che ne hanno guidato l’elaborazione e le azioni progettuali per superare l’attuale “condizione” di periferia. L’ultima verifica è una domanda: è possibile ora parlare di integrazione?
La riqualificazione dell'ex area Cantoni di Legnano: una storia infinita Ambrogio Luigi Montoli
È la narrazione di una tipica storia italiana, in cui sono coinvolti diversi attori: amministratori pubblici, investitori, società immobiliari, professionisti di valore, i quali, per un lunghissimo periodo (19832012) si sono cimentati attorno alla riqualificazione di un’area ex industriale di una piccola città del nord Italia (Legnano in provincia di Milano). Città di lunga tradizione industriale, Legnano ha contribuito alla storia dello sviluppo economico italiano fin dalla metà dell’Ottocento, ed è stata attraversata da una lunga vicenda durata più di un quarto di secolo per la definizione e l’attuazione di un progetto urbanistico e ambientale che ha riguardato una vasta area industriale dismessa di 110.000 mq circa, a ridosso del centro storico cittadino. Il Master Plan prevedeva la reintegrazione dell’area nel tessuto urbano circostante ricostituendo la permeabilità veicolare e pedonale in direzione nord-sud, ripristinando il tracciato storico del fiume Olona in direzione est-ovest. Lo schema urbano che ne derivava era costituito da tre comparti: 1. un comparto nord a destinazione residenziale; 2. un comparto centrale direzionale e terziario che si candidava a diventare il nuovo centro della città; 3. un comparto sud destinato a nuovo parco urbano che integrava e completava il sistema dei parchi esistenti. I fatti e il loro susseguirsi hanno stravolto identità e cultura senza esprimere, alla fine di un lungo percorso, né un’azione esemplare né un risultato meritevole di senso e valore per la città e il suo futuro. Anche l’azione politica degli Amministratori è stata contaminata da situazioni di illegalità che hanno anche determinato l’intervento della magistratura, e le varie coalizioni succedutesi al governo della città, non sono riuscite a cogliere l’opportunità di ripensare il futuro della città. Gli operatori privati che hanno concorso ala realizzazione fisica delle varie opere, sono stati coinvolti in procedimenti concorsuali. L’area oggetto di riqualificazione situata nel centro storico della città, per dimensioni e per storia, avrebbe richiesto una particolare attenzione sia nella visione strategica, sia nel coinvolgimento dei cittadini nelle logiche e nelle modalità per la riqualificazione. Alla fine di un lungo cammino, non si può certo parlare di valorizzazione, anzi, quanto realizzato e finalmente concluso, non ha creato una nuova condizione urbanistica ma, soprattutto, non ha apportato alla città condizioni migliorative della vita cittadina. Unico risultato, la rimozione di un’area che aveva toccato livelli estremi di abbandono e di degrado, in cui la città ha dovuto subire anche la morte di cinque immigrati bruciati vivi. Anche il Maser Plan che era stato proposto da R. Piano, su incarico della proprietà dell’area, non è stato coerentemente e completamente realizzato essendo stato in parte modificato in corso d’opera, processo facilitato dalla rinuncia dell’esecuzione da parte dello stesso architetto.
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Il contributo dell’urbanistica per uno sviluppo sostenibile Alessandro Rigoselli
La questione dello sviluppo sostenibile è oggi uno dei temi al centro dell’attenzione generale. tuttavia proprio questa definizione, sviluppo sostenibile, contiene delle implicazioni inaspettate e profonde che vanno al di là delle semplici apparenze e che pertanto con il presente lavoro si è ritenuto necessario approfondire. l’idea stessa di sviluppo sostenibile , ben lungi da quel concetto di sviluppo (giustamente rifiutato dalla cultura contemporanea) che sino a qualche decennio fa poteva comunemente confondersi con quello di un progresso tecnologico che associava immagini di tecnologia futuribile a comodità facili e domestiche in una sorta di spontanea finalità radiosa quanto vaga di armonia con la natura “sottomessa” e “soggiogata”, è oggi l’interrogativo più pressante che la società umana si pone. Ormai è chiaro che la necessità di conservazione dell’ ambiente e di proteggere la vita vanno di pari passo con il miglioramento dell’ambiente medesimo in cui essa si sviluppa e poi con la soluzione dei grandi problemi sociali. Ma questa sorta di linea programmatica comune ed evidente si scontra con la difficoltà ulteriore di fare chiarezza per procedere fattivamente nell’ambito di problematiche differenziate ma relazionate tra di loro, per cui l’angolo di approccio dello studio risulta di volta in volta parziale ed unilaterale : sociale, politico, economico, culturale , scientifico, ecc.; tale suddivisione della questione rende alla fine impossibile una sintesi unitaria ed una univoca direzione risolutiva.
Pianificare oggi in Italia a livello comunale. un primo bilancio d’efficacia dei “nuovi” piani urbanistici comunali articolati in disposizioni strutturali e programmatiche Simona Rubino
La ricerca affronta il tema della pianificazione comunale, focalizzando l’attenzione sul cosiddetto “piano sdoppiato”, modello di piano che, soprattutto dopo la sua presentazione al XXI Congresso Inu di Bologna del 1995, ha trovato un utilizzo sempre più largo in Italia, andando a sostituire sostanzialmente il tradizionale prg. Lo sforzo che ci si è proposti, quindi, è stato quello di redigere uno studio scientifico in grado di analizzare l’effettiva efficacia di tale approccio innovativo, rispetto all’approccio tradizionale, tenendo conto dei diversi contesti politici e territoriali. Quali siano le sue debolezze, soprattutto nel passaggio dalla fase strutturale a quella programmatica del piano, e le sue qualità, quali i punti critici e i punti di forza sono quesiti ancora molto dibattuti cui questo lavoro ha voluto approfondire provando, nei limiti del possibile, a fornire qualche proposta risolutiva. Simili questioni e obiettivi si articolano nell’elaborato di ricerca in quattro parti distinte. La prima parte approfondisce gli aspetti metodologici sui quali si fonda e si è sviluppato il lavoro. La seconda parte costituisce sostanzialmente il quadro teorico di riferimento, approfondendo e, in
un certo senso ridefinendo, il concetto di efficacia del piano ed indagando a livello nazionale, nelle varie sfaccettature, il modello di piano urbanistico comunale articolato in disposizioni strutturali e programmatiche. Un’analisi dettagliata di come il modello di piano sdoppiato si sia diffuso, sviluppato e applicato sull’intero territorio nazionale in maniera molto eterogenea. Infatti, il modello di piano articolato in una doppia componente strutturale e programmatica rappresenta oggi, nonostante le sue debolezze e punti critici, lo strumento maggiormente utilizzato per il governo del territorio locale sull’intero territorio nazionale. Il largo ricorso al suddetto modello negli ultimi due decenni è stato il motivo principale che ha indotto la presente ricerca ad analizzarne i contenuti, la forma e la diversa applicazione sul territorio italiano, reputandolo lo strumento maggiormente adatto ad un’analisi di efficacia del piano che tenga conto dei temi emergenti che contraddistinguono il panorama disciplinare attuale. La terza parte approfondisce due casi di studio, Prato in Toscana e Cava dei Tirreni in Campania, mettendo in evidenza come, a partire dal medesimo modello di piano, questo si strutturi e si sviluppi in maniera differente in base anche al contesto – legislativo, politico, sociale, economico – in cui va ad operare. La quarta parte, infine, comprende delle considerazioni riflessive in merito allo stato della pianificazione urbanistica comunale in seguito all’applicazione e all’utilizzo del modello di piano comunale a doppia gittata.
Turisti e urbanisti Silvia Serra
Approfondendo le questioni relative alle trasformazioni turistiche e al loro rapporto con il tema dell’urbano e la pianificazione, emerge chiaramente come un’attività di trasformazione territoriale, ambientale ed economica come il turismo, necessiti di un confronto con l’urbanistica in particolare, alla ricerca di un quadro di coerenza complessivo che, per semplicità, possiamo chiamare piano. Nella sintesi metaforica del rapporto tra ‘turista’ e ‘urbanista’, si intende quindi approfondire la relazione e le integrazioni possibili tra turismo e urbanistica. Secondo Remy Knafou, geografo francese, creatore e direttore dell’ Equipe di ricerca MIT (Mobilités, Itinéraires,Territoires), il turismo non è un’attività o una pratica, un attore, uno spazio o un’istituzione: è l’insieme di tutte queste cose messe a sistema. E questo sistema comprende turisti, luoghi, territori, pratiche, leggi, valori. Allo stesso modo anche Jean-Didier Urbain (2003), in qualità di sociologo, decostruisce l’onnipresente modello culturale che al viaggiatore – ancora capace di ‘sperimentare l’autenticità’ – vuole contrapporre il turista alla ricerca di simulacri esotici, ritenendo con un certo senso dell’ironia e con indubbio anticonformismo, che il turista è così divenuto un personaggio imprigionato in un doppio vincolo: ossessionato dall’idea di evitare ‘i posti turistici’, di conoscere davvero i luoghi in cui si reca, di non fare come fanno tutti, si trova in ultima analisi a non poter andare là dove in effetti va, a non poter fare ciò che in effetti fa.
Se partendo da questo sguardo specifico sul turismo e sul turista, si considera anche la riflessione specifica di Bernardo Secchi (1996) - dove per urbanistica intende non tanto un insieme di opere, di progetti, di teorie o di norme unificate da un tema, da un linguaggio e da un’organizzazione discorsiva, tanto meno intende un settore d’insegnamento, bensì le tracce di un vasto insieme di pratiche: quelle del continuo e consapevole modificare lo stato del territorio e della città - può dunque essere interessante interrogarsi sul rapporto tra turismo, territorio e urbanistica. Nella realtà infatti, in quella che è una relazione concreta con i luoghi, il turismo lascia tracce profonde nello spazio divenendo generatore di forme di urbanità, che spesso sfuggono alle regole della città consolidata o tradizionalmente intesa e per le quali è necessario definire criticità e politiche di intervento. E’ chiaro che la tecnica urbanistica ha costituito il necessario strumento di attuazione degli insediamenti turistici, ma gli obiettivi si sono fortemente divaricati, producendo una sorta di reciproca diffidenza che sta alla base di molti atteggiamenti ancora dilaganti. «Lo sviluppo del turismo di massa ha creato per lo più la “città che non c’è” e, in questo senso è il prodotto dell’ antiurbanistica». (Oddi, 2011). Jean-Didier Urbain affermava agli inizi degli anni Novanta che la città stesse funzionando ormai come “antidestinazione” (1993, p. 143). E ancora più recentemente i “luoghi” del turismo, in cui le distanze geografiche vengono misurate ormai in termini temporali, vengono sintetizzati dentro la metafora dell’Anticittà (Boeri, 2011). Così è avvenuto che, paradossalmente lo sviluppo turistico abbia spesso costituito un pericolo per l’assetto del territorio e non è solo la dimensione urbana ad essere minacciata, quanto quella territoriale che l’urbanistica come disciplina legge nel suo spessore complesso (il palinsesto di Corboz, 1998 e Secchi, 2000). Proprio questa dimensione territoriale ha segnato l’attuale distanza, anche disciplinare, tra turismo e urbanistica. In questo quadro di analisi si inserisce l’approfondimento di quello che fu nel 1963, un primo dibattito scientifico in Italia sul rapporto tra turismo e urbanistica, al quale presero parte tra gli altri E. Rogers, L. Quaroni, M. Tafuri, De Carlo, nell’ambito di un seminario di studi di ‘Italia Nostra’ intitolato le Coste e il turismo (8-9 novembre 1963). Infine, con l’obiettivo di una critica prospettica, verrà sviluppato il confronto tra la legislazione di riferimento per il turismo e quella di riferimento per l’urbanistica, approfondendo le evoluzioni disciplinari, le convergenze e alcune esperienze che trovano espressione in un approccio territorialista.
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DOSSIER urbanistica online Rivista di cultura urbanistica e ambientale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica Anno 2 Giugno 2013 Editore: INU Edizioni Iscr. Tribunale di Roma n. 3563/1995; Iscr. Cciaa di Roma n. 814190 Direttore responsabile: PAOLO AVARELLO Codirettori: LAURA POGLIANI E ANNA PALAZZO Coordinatore della redazione: Servizio abbonamenti: MONICA BELLI inued@inuedizioni.it Consiglio di amministrazione di INU Edizioni: M. FANTIN (presidente) D. DI LUDOVICO (consigliere delegato) F. CALACE, G. FERINA
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I generi della letteratura urbanistica FRANCESCO DOMENICO MOCCIA Il premio letteratura urbanistica 2012 e la prossima edizione 2013 FRANCESCO DOMENICO MOCCIA, MARISA FANTIN, ENRICA PAPA Il vincitore della sezione monografia GIUSEPPE DE LUCA Il vincitore della sezione inedito FRANCESCO SBETTI E LAURA POGLIANI Il vincitore della sezione articolo su rivista PATRIZIA GABELLINI
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Estratti vincitore sezione monografia "Paesaggio, progettazione urbanistica e spazio pubblico" A CURA DI MARISA FANTIN -
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Scheda vincitore sezione articolo su rivista "Il progetto urbano per l'urbanistica sostenibile" A CURA DI ENRICA PAPA
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Estratti vincitore sezione inedito "HaNoi 2050. Trilogia di un paesaggio asiatico” A CURA DI MARISA FANTIN Estratti segnalazione sezione inedito "Nei territori di Carlo Doglio" A CURA DI FRANCESCO SBETTI
Estratto segnalazione sezione inediti "Danni bellici e ricostruzione dei centri storici minori sulla Linea Gotica in 7 Toscana: esperienze a confronto " A CURA DI FRANCESCO SBETTI
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Estratti segnalazione sezione inedito "Genova: piani e progetti 1975/2011. Contributi alla ricostruzione dell’immaginario disciplinare" A CURA DI ENRICA PAPA Le schede delle opere A CURA DI ENRICA PAPA