Il prezzo della passione - Valentina C. Brin

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Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e, se reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti e persone viventi o scomparse è del tutto casuale.


Valentina C. Brin

Il prezzo della passione Un racconto della Obsession saga


Ai miei lettori, che non si sono mai scordati di me. Per avermi dato fiducia, per avermi regalato il loro tempo e le loro emozioni. Per avermi dato consigli e avermi presa per mano in questo primo anno di cammino. Questo racconto è per voi.


Hampshire, Inghilterra. 1715 Ashton Spencer si trovava in un luogo pieno di pace. Non che ci fosse qualcosa di particolare nell'ambiente attorno a lui: i contorni che riusciva a distinguere erano fumosi e indefiniti, e i suoi sensi assopiti riuscivano a coglierne solamente pochi particolari, eppure il suo cuore era permeato da una quiete che non aveva mai conosciuto prima. Sedeva su una vecchia poltrona rifoderata, davanti al fuoco scoppiettante di un caminetto che riscaldava l'intera sala da pranzo – la quinta stanza all'interno di un cottage polveroso che, nonostante tutto, possedeva il calore di una casa. Teneva gli occhi chiusi, la testa appoggiata allo schienale mentre ascoltava il crepitio del fuoco; un momento di serenità che durò soltanto un attimo. Lo avvertì quasi all'improvviso, con un senso d'allarme che lo fece sussultare: un peso gli era caduto dal nulla proprio fra le braccia, distribuendosi sul suo grembo. Quando aprì gli occhi si ritrovò a fissare il volto di una bambina di pochi anni – quattro, forse cinque. Dormiva tra le sue braccia con l'innocenza di chi è venuto al mondo baciato dall'amore, e i suoi capelli... Oh, i suoi capelli erano come fuoco contro il suo braccio, esattamente come la chioma della donna che gli aveva incendiato il cuore. È mia figlia. Lo capì d'istinto. A riconoscerla fu il sangue, lo stesso che si scaldò nelle vene e che prese a galoppare con furia mentre la teneva tra le braccia. Accarezzarle il volto fu una cosa fin troppo naturale. E sprofondare nella poltrona, e nella vita di quella creatura così piccola... Lei arricciò il nasino in una muta protesta e si raggomitolò contro il torace di Ashton. «Papà...» Ha la stessa voce di Eleanor. Aveva anche i suoi stessi occhi, decretò. Fu una consapevolezza strana, quasi una scelta che, in quel momento, suonò decisamente possibile. E non avrebbe potuto che essere così, perché Eleanor era il perno che sosteneva il suo mondo. Gli dava senso e direzione, lo riempiva di colore, di suono, di vita. Lei era... «Lo sai? La mamma è la mia stella polare», mormorò accarezzando i capelli di sua figlia. «Il papà non può trovare la rotta di casa senza di lei.» Quell'idea per un attimo lo angosciò. Fu un istante soltanto, fugace e mutevole, ma bastò per spingere a fondo gli spettri del passato che ancora gravitavano su di lui: lo scorticarono senza possibilità di guarigione, innescando un pensiero insopportabile. Lei non c'è. «Eleanor? Eleanor, rispondi!» Guardò verso il corridoio che dal salone portava verso le altre stanze, ma tutto ciò che riusciva a scorgere era sempre e solo buio. Un'oscurità immobile, fitta e greve, proprio come la sua vita prima che lei venisse a salvarlo da se stesso. Avrebbe voluto alzarsi in piedi e cercarla, ma il peso che teneva tra le braccia era diventato insostenibile. Quando abbassò lo sguardo per prendere in braccio sua figlia e alzarsi, scoprì con sgomento che la bambina non c'era più. Nessuna figlia, nessuna felicità. Nessuna vita senza di lei. «Eleanor, rispondimi! Dannazione, dimmi qualcosa!» Fece per gridare davvero, ormai sull'orlo del panico, quando sentì due palmi piccoli e gentili posarsi sulle sue spalle: scesero piano lungo le braccia e liberarono dal tormento ogni centimetro percorso. Si raccolsero sul suo grembo accogliendo le mani di Ashton, e quando lei si chinò verso il suo collo... Oh, Dio, il sollievo... Gli venne quasi da piangere. «Sveglierai la bambina se continui a urlare.» «Ce l'avevo in braccio fino a un attimo fa», Ashton ribatté con voce emozionata. Cercò di voltare il viso per guardare Eleanor in faccia e allungarle un tenero bacio, ma per qualche strano motivo non riuscì a raggiungerla. «Vieni qui», mormorò afferrandole il polso. La costrinse a sedersi sulle proprie gambe accogliendo il peso della sua schiena con il petto, le braccia strette attorno a lei in una prigione di amore e


sollievo. Ma quando tracciò con la punta del naso la linea della sua nuca, quando scese verso l'orecchio e più giù, lungo la mandibola... Oh, questa pelle dolce! La trappola con cui aveva catturato Eleanor gli scoppiò tra le mani; un fuoco che lo bruciò dentro, fino all'ultima fibra del suo cuore innamorato. «È strano averti così vicina e accondiscendente», le mormorò all'orecchio. «Mi piace quando mi assecondi.» È così morbida! Seppellì quel pensiero nel collo di Eleanor prima che potesse sfuggire al suo precario controllo. Baciò la tenera curva sopra la clavicola una, due, dieci volte, mentre le mani scendevano tremanti ad accarezzare ogni parte di lei. Quando arrivò al ventre, però, Eleanor le prese e le costrinse a fermarsi lì, proprio sulla pancia. Poi si voltò a guardarlo, emozionata e radiosa. «Devo dirti una cosa, Ashton.» «Che cosa?» «Temo che a breve dovremo stringerci un po'. Aspettiamo un altro bambino.» * Eleanor White si strinse lo scialle di lana sulle spalle e uscì in giardino. Quel pomeriggio faceva più freddo del solito e il vento che proveniva dal mare portava nella campagna un'umidità tenace. La sentiva addosso da giorni, sopra e sotto la pelle, ma ora era diventata talmente pungente da aggredirle le articolazioni. L'unico che non sembrava risentire del clima era Ashton. Alzarsi dal suo capezzale era stata un'esperienza rinvigorente – “Una seconda nascita”, diceva spesso -, che aveva pervaso il conte di uno strano senso di onnipotenza. Non c'era nulla in grado di farlo desistere. La ferita in via di guarigione, la debolezza muscolare, la stanchezza che lo pervadeva dopo dieci minuti di camminata... Agli occhi di Ashton Spencer erano bazzecole senza importanza, e poco importava quanto Eleanor tentasse di frenarlo: lui era irremovibile. Voleva muoversi e abituare il fisico alla fatica per riacchiappare al più presto i fili recisi della propria vita. Cielo, era così testardo quando si metteva in testa di restare in piedi! Ma io lo sono di più. Se pensa che lo lascerò stare ancora fuori, si sbaglia di grosso. Non con questo freddo. Scese lungo il cortile che costeggiava il giardino, le braccia strette al petto per mantenere il calore e i capelli sciolti che le coprivano il collo. Trovò Ashton poco lontano, seduto sotto un piccolo gazebo circondato da erba incolta. I rampicanti si erano fatti strada lungo la struttura in ferro e l'avevano circondata quasi completamente, in un intrico di foglie che in primavera si riempiva di colore. Quando gli fu vicino, notò che si era assopito. La testa ciondolava di lato, le labbr a erano distese in un sorriso che le riempì il cuore di tenerezza e spazzò via la ferma risolutezza con cui si era messa in testa di affrontarlo. Il volto, però, era pallido. Allungò una mano e gli accarezzò una guancia per saggiarne il calore: la scoprì fredda, proprio come le mani del conte. «Ashton...», lo chiamò dolcemente mentre si inginocchiava davanti a lui. Appoggiò le mani sulle sue gambe, scaldate da una vecchia coperta che Anne gli aveva procurato, e attese che lui aprisse gli occhi. L'unica reazione che ottenne fu un'espressione accigliata. «Ashton, svegliati. Sei gelato.» Soltanto allora fece caso alla vestaglia: nonostante fosse legata in vita, durante l'ora d'aria si era aperta sul torace lasciando scoperta la leggera camiciola e la pelle, che faceva capolino dallo scollo allentato. Ne accostò i lembi e li tenne ben chiusi, poi ne approfittò per allungarsi sulle sue labbra. Vi lasciò un bacio lento e voluttuoso, seguito da un altro e un altro ancora, finché Ashton non cominciò a rispondere. Sentì le sue labbra piene schiudersi e muoversi con pigrizia, i palmi morbidi


accarezzarle le guance e la sua lingua disegnarle con malizia i contorni della bocca. «Ti sei svegliato, finalmente», mormorò in un soffio. «Se mi baci così non posso certo continuare a dormire. Sarebbe tempo sprecato.» Eleanor sorrise. Gli accarezzò i capelli dietro la nuca e gli diede un ultimo, timido bacio prima di rialzarsi e di tendergli la mano. «Vieni, ti aiuto a metterti in piedi.» Ashton si accigliò. «Non ho intenzione di rientrare.» «Sei in giardino da un'ora, tra poco è pronta la cena.» «Tornerò dentro quando sarà servita, allora.» Ashton si strinse nelle spalle. Poi le sorrise, un'espressione furba che equivalse a una dichiarazione di guerra. «È perfetto.» Pazienza. Respira e abbi pazienza. «Ashton...» Eleanor rimarcò, ma il conte non sembrò affatto disposto a collaborare. Guardò la mano che lei gli tendeva e, in rigoroso silenzio, incrociò le braccia al petto. Poi sollevò gli occhi su di lei, lentamente, il mento alto e un sogghigno impertinente. Una risposta. Un simbolico, eloquente rifiuto. Dio se era insopportabile, quando la sfidava così! Eleanor portò le mani ai fianchi e sostenne il suo sguardo con ferma determinazione. «Sappi che non ti assisterò quando sarai a letto, sofferente per il raffreddore.» «Quindi mi lascerai morire?» Ashton si portò una mano al volto, il pollice che sosteneva la mandibola e l'indice che gli nascondeva le labbra. I suoi occhi, però, brillavano. «Può darsi.» «Che bugiarda!» Eleanor non ribatté. Si chinò a raccogliere la coperta dalle gambe di Ashton, una decisione che si rivelò controproducente: il conte le afferrò il polso prima che potesse allontanarsi e la costrinse a restare ferma, mentre con l'altra mano le catturava la nuca. Poi si chinò su di lei. Incollò le labbra al suo orecchio e lì, con quella bocca dolce e tremenda a un soffio dalla pelle, Eleanor sentì il respiro di Ashton infrangersi su di lei, caldo e ricolmo di intenzioni viziose. «Dovrei punirti per aver osato mentire al tuo padrone.» «Ashton, per favore...» Dovette chiudere gli occhi per costringersi a non cedere, mentre le parole di quell'uomo scendevano attraverso il sangue e le accendevano lo stomaco. Lo immaginò sorridere, machiavellico e trionfante; un'immagine che si adattava perfettamente al diavolo redento che incarnava. «Per favore, cosa? Dillo.» «Per favore, entra in casa.» «Risposta sbagliata.» Ashton le spostò i capelli di lato e iniziò a lambirle la pelle tenera sotto l'orecchio. «Avresti dovuto dire: “Per favore, toccami.”» Quando sentì la punta umida della sua lingua, Eleanor sussultò. Si allontanò da lui e dalle sue intenzioni torbide, la coperta tra le mani. Lo guardò contrariata, un'espressione che non fece minimamente vacillare la sfrontatezza con cui la studiava. «Sei ancora convalescente, Ashton.» «E allora?» «E allora lo sai che non puoi toccarmi!» «Oh, per piacere!» il conte sbottò alzando gli occhi al cielo. «Sono costretto a letto tutto il santo giorno, non ho nulla da fare e non sono nemmeno a casa mia. E tanto per rendere il soggiorno più piacevole, la mia promessa sposa non mi permette neppure di sfiorarla! Toglimi anche il brandy e avrai fatto di me un uomo molto annoiato.» «Ti sto lontano perché non ti accontenteresti di un semplice tocco» Eleanor osservò. Affrontò il conte con pazienza, quasi si stesse rivolgendo a un bambino testardo; una constatazione che lo costrinse a capitolare con un sorriso di mesta sconfitta. Il guizzo d'orgoglio che gli riempì lo sguardo, però, fu fin troppo palese. «Come mi conosci bene, mia bella Eleanor...» Lei non ribatté. Si limitò a sorridere e a raccogliere la piccola vittoria che aveva guadagnato su


Ashton, ben consapevole che la tregua sarebbe durata ancora per poco. Per rimandare il momento del prossimo scontro – ovvero quando avrebbe dovuto convincerlo di nuovo a rientrare -, si mise a piegare la coperta. «Quando sono venuta a svegliarti stavi sorridendo nel sonno. Cosa stavi sognando?» «Oh, una cosa bellissima.» La voce di Ashton era morbida, quasi nostalgica; un tono dolce che su di lui suonava decisamente raro e che la costrinse ad alzare lo sguardo. Lo trovò rapito dal ricordo di chissà quali immagini, il volto sereno. Felice. Una vista a cui non era abituata, non quando si trattava di Ashton Spencer. «Ho sognato la vita che vorrei. Io, te, una figlia con i tuoi stessi capelli. E un altro bambino in arrivo.» Lo sguardo di Ashton divenne dritto, determinato, forte di tutte le cose che gli erano state imposte e da cui si era sottratto in nome del loro amore. «Voglio sposarti subito. Domani.» «Ashton...» «Non voglio aspettare un minuto di più. Ogni attimo trascorso su questa terra senza averti accanto come mia moglie è un istante che non vale la pena di essere vissuto.» «È troppo presto, sei ancora ferito.» «Quante volte devo ripeterti che non ho più paura della vita? Guardami Eleanor, sono quasi morto!» esclamò scostando la vestaglia e sollevando la camiciola: bende immacolate gli fasciavano l'addome nel punto in cui il colpo del duca era penetrato, una vista che le costrinse il cuore nella morsa di ferite ancora troppo fresche. «Non voglio vivere un altro giorno a metà. Voglio sentire il vento sulla faccia e le tue labbra sulla pelle, voglio il tuo sapore sulla bocca. Desidero la vita che ho visto in sogno», Ashton continuò richiudendo la vestaglia. «Avvicinati subito o sarò io ad alzarmi, che tu lo voglia oppure no.» Eleanor tentennò. «Se ci sposassimo domani, tu vorresti la tua notte di nozze.» «Mi sembra chiaro. Adesso vieni qua, per favore.» «Non ci sposeremo domani. Non prima che tu ti sia completamente ristabilito. Devo saperti in forze, devo sapere che quella ferita si è rimarginata completamente e...» E che non ti porterà di nuovo via da me. Avrebbe voluto dirgli che non era stato lui a imbrattarsi le mani con il sangue della persona che amava. Non era lui che sentiva ancora quell'odore ferroso sulla pelle, quasi fosse un pericolo non del tutto superato. Invece restò in silenzio a sostenere lo sguardo implorante di Ashton, la sua angoscia, la sua paura. Ogni cosa che esplose in lui all'improvviso. Che cosa ti prende, amore mio? «Vieni qua» Ashton ripeté, la voce resa tremante da un nodo di emozioni. «Ho bisogno di un contatto. Voglio solo... desidero soltanto abbracciarti.» Ed Eleanor non protestò. Gettò la coperta per terra e lo raggiunse, malattia e cura per l'esistenza del conte come soltanto lei poteva essere. Fece scorrere le mani sulle sue spalle e lungo la schiena, e quando lui le circondò la vita con le braccia e le appoggiò la fronte contro il ventre, Eleanor si chinò chiudendolo in un caldo abbraccio. «Mi vuoi dire cosa ti preoccupa?», mormorò baciandogli i capelli, ma Ashton non accennò a volerla lasciare. Strinse la morsa con cui l'aveva intrappolata tra le braccia e restò così, fermo e fragile, a farsi guarire ancora una volta da lei. «A un certo punto del sogno eri scomparsa. Ti chiamavo, gridavo il tuo nome, ma tu non rispondevi e...» Lo sentì respirare profondamente e catturare il suo odore un attimo prima che allentasse la presa. Ashton restò così, con le mani sulla sua vita e il capo chino, gli occhi che le nascondevano tutto: pensieri, emozioni, paure... Tutto. «Non riuscivo ad alzarmi dalla poltrona in cui ero seduto, Eleanor. Eri sparita dalla mia vita e non potevo fare nulla per porvi rimedio.» «È stato soltanto un incubo», cercò di rassicurarlo. Si inginocchiò davanti a lui e gli prese la testa tra le mani, costringendolo a guardarla. Dio, l'angoscia che trovò nei suoi begli occhi grigi... Quando guariremo da tutto questo dolore? «Io sono qui, Ashton.» «E se tu dovessi cambiare idea? Se non volessi più sposarmi per non mettermi nella condizione di rinunciare al titolo? Dio, Eleanor, so come la pensi a riguardo e...»


Non riuscì a proseguire. Il timore gli annodò le parole sulla lingua e le lasciò lì, a marcire sotto l'assalto di una paura irrazionale. Ma lei vedeva la profondità della sua angoscia, oh se la vedeva! Era incisa nel modo in cui il conte abbassò la testa, nella disperazione con cui si abbandonò alle carezze delle sue mani; nel trasporto con cui sussurrò il suo nome una, due, cinque volte, con gli occhi chiusi e lo strazio che si mischiava al sollievo. Una condanna speculare a quella che provava lei. «Non vorrei che tu rinunciassi al titolo, è vero. L'ultima cosa che voglio è rovinarti la vita.» «Dio, rovinarmi la vita?!» Ashton guaì incredulo. «Mi hai visto, Eleanor? Hai visto cos'ero, prima di te?! L'unica cosa che potrebbe rovinarmi la vita sarebbe perderti.» Le prese le mani e se le portò al volto. Ne baciò la pelle, ne respirò il profumo. Le tenne a contatto con le labbra per minuti interminabili, gli occhi chiusi mentre combatteva contro i propri demoni. «Sposami.» «Ashton...» «Sposami. Domani. Ho bisogno di sapere che sei mia e che se andrai in capo al mondo per scappare da me, avrò il diritto di inseguirti finché le mie gambe potranno muoversi e il mio cuore batterà.» «Ma io non ho intenzione di scappare da te.» Per un attimo le venne quasi da ridere e quando Ashton la fulminò con lo sguardo, Eleanor si alzò in piedi e arretrò di un paio di passi per guardarlo meglio. «Ti sposerò perché è quello che voglio. Perché sei l'uomo che amo e con cui voglio stare fino alla fine dei miei giorni. Ma ti sposerò alle mie condizioni.» «E sarebbero?» «Quella...», rispose indicando l'addome, dove c'era la ferita. «... deve guarire completamente.» Ashton storse il naso, una reazione che Eleanor era pronta ad affrontare con una seconda opzione. Incrociò le braccia al petto, lo sguardo fermo. «Oppure possiamo sposarci domani, ma la notte di nozze verrà rimandata. Su questo non transigo.» «Figurarsi! Non avresti nemmeno dovuto proporre una simile assurdità. Dovrò assolutamente punirti per questo.» Eleanor sorrise. Prese la gonna e mimò un piccolo inchino. «Quando volete, signor conte.» «Attenta Eleanor White, non mi sfidare. Le piccole pezzenti come te le mangio in un boccone.» Lei rise. Una risata cristallina e piena che incupì lo sguardo di Ashton, riportando su di loro una nuvola di pensieri che non si era mai allontanata. Lo guardò appoggiare il gomito sul bracciolo, le dita che accarezzavano pigre il labbro inferiore. Non era ancora convinto. «Cosa devo fare per farti capire che non me ne andrò mai? Che non ho la minima intenzione di lasciarti?», gli domandò con un sorriso rassicurante. Lui però non rispose. Sollevò un sopracciglio con lentezza e la squadrò sornione, mentre mille significati gli attraversavano lo sguardo, perennemente fisso sul suo corpo e nei suoi occhi. E allora sì che Eleanor capì. Quel mascalzone! Conosceva fin troppo bene quello sguardo rapace: gli colorava il viso ogni volta in cui Ashton voleva qualcosa da lei. Qualcosa che non contemplava l'innocenza e che aveva a che fare con il suo corpo; con lei sotto di lui. L'aveva ingannata. «Non penso proprio», ribatté trattenendo il respiro. Ashton però fu irremovibile. «Tira su la gonna. Subito.» «Ashton...» «Subito, Eleanor.» Non obbedì. Lo rimproverò con un'occhiata sbieca, le braccia immobili lungo i fianchi. Un messaggio: “Non ho intenzione di prestarmi a questo gioco”. Ashton però non si arrese. Abbassò lo sguardo e sospirò, ma non fu che un attimo : tornò ad affrontarla con la miglior maschera da uomo prostrato che possedeva, un commediante fatto e finito. Se non l'avesse amato così tanto, probabilmente l'avrebbe strozzato con le sue stesse mani. «Non vuoi aiutare un povero gentiluomo a trovare un po' di pace?»


«Si potrebbe dire di te qualunque cosa, ma non che tu sia un gentiluomo.» «Attenta, Eleanor. Se mi costringi ad alzarmi da questa sedia sarà peggio» l'ammonì severo, gli occhi ridotti a due pozze di desiderio corrosivo che percorsero il suo corpo lentamente, senza lasciarle scampo. La stava divorando. «Allora?», continuò a sollecitarla. «Se mi accontenti, credo che potremmo anche trovare un punto d'accordo. Potrei assecondarti e rientrare in casa. Se tu asseconderai me per primo, ovviamente.» «Gesù!» Eleanor sbuffò. Per un attimo l'idea di rifiutarsi la punzecchiò. Sapeva perfettamente che Ashton non si sarebbe fermato alla gonna, e l'ultima volta in cui l'aveva vista nuda risaliva a quando gli si era concessa sotto il tetto di Collingwood, durante la notte in cui avrebbe dovuto ucciderla. Ma esporsi così, come una volgare prostituta, e farlo davanti ai suoi occhi velati d'impazienza... «Allora? Questa gonna?» «Oh, e va bene!» sbottò, le guance arrossate per la vergogna. Afferrò la stoffa del vestito, ma non andò oltre. Restò immobile, a sostenere lo sguardo esigente del conte. «Devi promettermi una cosa, però.» «Tutto ciò che vuoi.» «Che non mi toccherai.» Per un attimo Ashton chiuse gli occhi in un moto di insostenibile sofferenza, la mascella contratta. Soltanto allora Eleanor si rese conto che la sua mano destra si trovava sull'inguine, proprio sopra il cavallo dei calzoni. E strofinava. «Va bene. Ora ti prego, alza la gonna.» Ed Eleanor lo fece. Sollevò l'orlo sopra le caviglie coperte dalle calze, con il cuore in gola e un calore insopportabile tra le gambe. Restò così, ferma ed esposta, il mento alto e il volto in fiamme mentre si lasciava divorare dallo sguardo impaziente di Ashton. Come se fossi già nuda. «Ancora. La voglio molto più su di così, Eleanor» il conte aggiunse con voce roca, e per un attimo lei pensò che sarebbero finiti distesi l'uno sopra l'altra sull'erba, a sciupare la promessa e quel desiderio corrosivo che non aveva mai smesso di tormentarli. Eppure obbedì. Raccolse la gonna fino a scoprire le ginocchia e il bordo delle calze che le fasciavano le cosce, mentre il cuore pompava, pompava, pompava così forte che d'un tratto temette potesse esploderle. La voce di Ashton uscì in un rantolo spezzato dall'eccitazione. «Non è ancora abbastanza.» «Non hai avuto ciò che volevi?» «Oh, amore mio...» Il conte abbozzò un sorriso che esasperò il tormento scritto sul volto. Le sue mani erano strette sul cavallo dei calzoni, a cercare di placare un'erezione sempre più evidente e dolorosa. «Se prendessi ciò che vorrei, ti assicuro che a quest'ora tu staresti sopra di me e io dentro di te, invece a separarci c'è una distanza insopportabile. Perciò ti prego, tira su quella dannata gonna. Lascia che ti guardi.» Buon Dio... Eleanor cedette. Capitolò con un sospiro pieno d'ansia ed eccitazione, la testa in subbuglio. Non vide altro che Ashton. Mentre sollevava la gonna e la sottoveste in vita, scoprendo il ventre piatto e il triangolo di ricci rossi tra le gambe, tutto ciò di cui fu consapevole era lo strazio che sconvolgeva il volto del conte. Il modo in cui si umettava le labbra, quasi pregustasse un banchetto che non avrebbe potuto consumare, e i suoi occhi pieni d'amore che la guardavano come se fosse la cosa più preziosa che possedeva... Oh, cielo, la frenesia con cui le sue mani premevano contro le cosce... Tutto in Ashton Spencer era aperto a lei. Ogni sospiro, ogni senso, qualunque pensiero gli attraversasse la mente. C'era soltanto lei a riempire la sua esistenza. «Sei bellissima.» «Ora tornerai in casa?» «Non ce la faccio», Ashton ammise in un rantolo, lo sguardo perduto. La fissò quasi stupito, come se si fosse reso conto soltanto in quel momento di quanto fosse impegnativa la promessa che le aveva fatto: non toccarla... Dio, era troppo anche per lei!


Ma è convalescente. È quasi morto per quella ferita. Restò a guardarlo mentre si alzava lentamente in piedi, il volto contratto dal dolore. Un uomo testardo che non si sarebbe mai arreso. «Ashton, per favore, fatti aiutare!», supplicò in apprensione. Lo raggiunse, pronta a sostenerlo, ma lui glielo impedì. La mantenne a distanza con un braccio giusto il tempo di rialzarsi con le proprie forze, orgoglioso come solo lui sapeva essere, e quando la guardò... Dio, il desiderio palpitante che Eleanor gli lesse negli occhi! Fu talmente violento che gli esplose in faccia, cancellando ogni freno. L'istante successivo, il conte fu su di lei. Tuffò le mani tra i suoi capelli di fuoco fino a riempirsi i pugni e poi li tirò, costringendo Eleanor a sollevare il volto per accogliere le sue labbra roventi. La baciò una, due, dieci volte, in un miscuglio di labbra, lingue e sentimenti al quale non poteva in alcun modo sottrarsi. E quando Ashton spinse le sue mani sotto la gonna, oh cielo, l'ingordigia con cui risalirono lungo le sue cosce! «Mi chiedo come abbia potuto dimenticare...», lo sentì sussurrare contro il suo orecchio con il fiato corto, ed Eleanor fu costretta a chiudere gli occhi per mantenere la lucidità. «Che cosa?» «Che tu mi accendi il sangue», Ashton ammise appoggiando la fronte contro la sua. «Lo vedi? Cerco di trascinarti in questo tipo di giochi e questo è il risultato.» Le afferrò un polso e guidò la sua mano verso il cavallo dei pantaloni, proprio sull'erezione che palpitava al di sotto del tessuto. La costrinse a restare immobile e a soccombere sotto la calda durezza del suo desiderio. «Non hai idea di ciò che sto per fare.» «Ashton...» Non la lasciò continuare. La spinse verso la sedia che occupava fino a pochi istanti prima ed Eleanor fu come burro tra le sue mani. Si lasciò guidare con il cuore in gola, l'eccitazione che le squassava le membra e la prosciugava di qualunque forza. Opporsi fu impossibile. Lasciò che Ashton si inginocchiasse davanti a lei non senza qualche difficoltà. Gli permise di sollevarle la gonna fino in vita, di schiuderle le gambe e di posarle sopra alle sue spalle larghe. Esposta, bagnata, sacrificata. A lui. «Che intenzioni hai?», gli domandò. Avrebbe voluto risultare provocante e mandarlo in pezzi come il conte stava facendo con lei, ma quella tenue risolutezza si sciolse non appena Ashton la guardò negli occhi. Teneva le mani sopra le sue gambe, il volto premuto contro l'interno coscia in una carezza intima e bollente. E lo sguardo... Oh, quello sguardo straziato dal desiderio! «Non dovrei toccarti, Eleanor. Non dovrei nemmeno guardarti per sopravvivere, perché quando ti ho davanti perdo ogni controllo. Ma come posso farlo, se mi basta averti vicina per desiderare di infilarmi sotto le tue gonne?» «È semplice», ribatté lei. «Scegli di soccombere.» Cercò di mantenere il contatto visivo con Ashton, ma quando lo vide chinare la testa capì di essere perduta. Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito quando lui le baciò la pelle tenera della gamba. E quando il contatto si fece più audace, nel momento in cui sentì i denti di Ashton pizzicarle la carne tenera proprio sotto l'inguine... Oh, quando succhiò! «Ashton!» «Dio, sei così bagnata!», lo sentì mormorare. Poi lo vide alzare il volto e cercarla, gli occhi annebbiati da un'eccitazione che gridava per trovare sollievo, esattamente come lei. «Mi perdonerai se infrango la promessa?» La risposta di Eleanor fu un semplice cenno affermativo. Non seppe fare altro che questo, e abbandonare la testa contro lo schienale della sedia, gli occhi chiusi. Invischiata in una struggente attesa. «Non ce la faccio più. Toccami, ti prego.» «Solo se mi sposerai domani.» All'inizio credette di non aver sentito bene. Aspettò di sentire le mani di Ashton tra le gambe, lì


dov'era maledettamente bagnata ed esposta a lui – al suo sguardo, alle sue carezze, alla sua lingua e a tutto ciò che lui le avrebbe fatto. Per quanto aspettasse, però, il conte non si mosse. «Ashton?», lo chiamò sollevando la testa: lo trovò immobile tra le sue gambe, intento a guardarla in faccia. Aveva il volto stravolto dall'eccitazione, i lineamenti contratti dalla sofferenza che gli scuoteva l'erezione, ma la determinazione che rendeva saldo il suo sguardo andava in una direzione completamente diversa. Fu allora che comprese: Ashton aveva davvero pronunciato quella frase! «Stai scherzando, spero!» Lui corrugò le sopracciglia, contrariato. «Eleanor, guardami. Sono inginocchiato tra le tue gambe con una dannata voglia di raccogliere il tuo sapore con le labbra. Ti sembra che possa scherzare in un momento del genere?» «Ashton, per favore...» Non lasciarmi in questo stato! Lui però non ebbe pietà. Continuò a tormentarla con quelle mani che, appostate a una manciata di centimetri dalle grandi labbra, sembravano in grado di corroderle l'anima. Strinse: sulla carne, sulla testardaggine di Eleanor, su quel gioco che li vedeva fronteggiarsi in una delicata costruzione di equilibri. Cinque polpastrelli affondati nella morbidezza della sua pelle. «Sposami. Fa' che domani tu possa diventare mia moglie.» Eleanor sbuffò. Ricacciò la testa indietro, i capelli che scendevano lungo lo schienale come una cascata. «Gesù, se avessi saputo che eri il genere di uomo in grado di usare ricatti sessuali per mettere un anello al dito di una donna...» «Ti saresti innamorata comunque di me», ribatté Ashton con un sorrisetto arrogante. Poi fece sgusciare un dito tra le pieghe bagnate della sua intimità, strappandole un sospiro deliziato. «E adesso smettila di fare la testarda, Eleanor White. Quel ruolo è mio.» Per rimarcare il concetto – o forse il potere che aveva su di lei in quel momento - risalì fino al clitoride: lo tormentò con movimenti circolari, leggeri e costanti; carezze che la innalzarono verso un piacere progressivo e le strapparono di tutto – gemiti, contegno, difese. «Oh, Dio!» «È un sì?» Eleanor non rispose subito. Si coprì le labbra con entrambe le mani e strinse, strinse, strinse finché non sentì dolore, perché Ashton le era appena entrato dentro. Con due dita. Fino. In. Fondo. «È un sì?! Dimmelo, Eleanor.» La sua risposta si perse nell'aria nell'esatto momento in cui Ashton ruotò il polso e ritirò la mano. Avrebbe voluto mandarlo al diavolo - perché, diamine, non poteva sfruttare una simile circostanza per manipolarla! -, ma quando le dita del conte affondarono di nuovo tra le sue gambe fradice, oh, la tortura che innescarono mentre l'artigliavano! Non ce la faccio. Ashton afferrò uno dei polsi di Eleanor e la costrinse a liberare le labbra. Era ancora dentro di lei, la mano seppellita nel calore dei suoi umori, e la guardava con un piglio spazientito che stemperò completamente la sua debole indignazione. «Gradirei una risposta.» «Adesso?!» «Adesso.» Eleanor chiuse gli occhi. Aveva il fiato corto, il ventre in fiamme e i pensieri che bruciavano in un rogo di piacere e frustrazione. Ragionare con lucidità le risultò proibitivo, così fece l'unica cosa alla sua portata: prendere tempo. «Sei pressante», mormorò, le parole mischiate all'ennesimo mugolio di piacere. «Non è vero, sono solo molto determinato.» E, come se volesse supportare le proprie parole con le azioni, Ashton operò un'altra stoccata che le strappò un gemito violento. Poi si allungò sopra di lei, la bocca contratta in una smorfia di fastidio mentre i muscoli dell'addome sostenevano il peso di quell'azione. Raccolse dalle sue labbra ciò che restava di quel vagito appassionato - tracce viziose, tremiti di un piacere non abbastanza


impetuoso per portarla all'orgasmo. Fu un bacio leggero, riverente. Un contatto che nel cuore di Eleanor suonò come un'implorazione, e all'improvviso continuare a rifiutare la proposta di quell'uomo divenne impossibile. «Mi lascerai in pace se accetterò?» «È difficile fare previsioni. La mia forza di volontà è debole quando si tratta di te», Ashton ammise. Ritirò la mano con cui l'aveva accarezzata tra le gambe e per quei pochi, infiniti secondi continuò a guardarla negli occhi, lo sguardo pieno d'amore e sincerità. Non fece nulla. Non la penetrò, né l'accarezzò; smise il tormento e il gioco, depose i ricatti, gettò via qualunque cosa non fosse l'amore che provava per lei: quello lo tenne così stretto che gli invase gli occhi e li rese liquidi ed emozionati. Un'intensità di sentimenti a cui Eleanor faticava ad abituarsi, quando si trattava di Ashton Spencer. Così abbassò il volto, sconfitta e sopraffatta. «Non mi stai più toccando. Perché hai smesso?» «Perché non hai ancora accettato», il conte sogghignò. Sollevò la mano ancora lucida dei suoi umori e se la portò alle labbra. Ne aspirò l'odore forte, gli occhi chiusi come se pregustasse ciò che sarebbe avvenuto se non si fosse fermato. Gli bastò uno sguardo per denudarla di ogni forza residua. «Allora Eleanor, domani diventerai mia moglie?» «Va bene», cedette con un sospiro. «Ma niente notte di nozze.» Ashton sorrise trionfante. Si alzò in piedi lentamente per evitare movimenti bruschi che potessero procurargli nuovo dolore, lo sguardo rapace che la inchiodava sulla sedia. Il cielo coperto di nubi e il vento che soffiava sulla campagna avrebbero intirizzito chiunque, uomo o donna che fosse, ma lui non sembrava sentire nient'altro che lei. Solo e soltanto lei, proprio com'era sempre stato. Disfò il nodo che teneva chiusa la vestaglia senza mai smettere di mangiarla con gli occhi ed Eleanor lo guardò con il cuore in gola e le gambe ancora aperte, pudica ma svergognata, mentre il conte scioglieva anche quello che allacciava i calzoni in vita. «Direi che le condizioni possono terminare qua. Non ho più voglia di giocare», Ashton sentenziò trattenendo il tessuto tra le mani – l'unica cosa che impedì ai calzoni di scivolare a terra. Allungò un braccio verso di lei, che lo guardava sconfitta da una struggente attesa, e le insinuò tra le labbra il dito con cui l'aveva penetrata. Fu ardito, sfrontato. Determinato. Pronto a pagare il prezzo della loro passione. «Preparati, Eleanor: da adesso si fa sul serio», dichiarò. Poi, finalmente, mollò la presa.


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