Vedere senza vedere. La parola come narrazione visiva.

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VEDERE SENZA VEDERE La parola come narrazione visiva

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VEDERE SENZA VEDERE

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VEDERE SENZA VEDERE La parola come narrazione visiva

Un progetto di Valentina D’Annunzio


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Ăˆ come se vivessimo in due mondi diversi, ma che condividiamo.

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Indice

1. PARTE TEORICA

2. PARTE PRATICA

ABSTRACT

P.13

INTRODUZIONE

P.15

MOTIVAZIONE

P.17

DOMANDE DI RICERCA

P.21

IPOTESI PROGETTUALE

P.23

1.1 PERCORSO DI TESI Suono e immagine 1.2 IL MIO INCONTRO Storia e considerazioni

P.31

2.1 STATO DELL’ARTE, CONTENUTO Documentari Film Racconti Installazioni 2.2

INTENTO ARTEFATTO

2.3 STATO DELL’ARTE, FORMA Documentari Cortometraggi Animazioni

P.33

P.47

P.63 P.65


3. ARTEFATTO

4. OSSERVAZIONI

3.1 RIPRESE VIDEO Premessa Sinossi Soggetto Motivazioni Note di regia Personaggio Sceneggiatura Storyboard FattibilitĂ

P.75

3.2 SOGGETTIVE ASTRATTE Intenti Processo Prove Domande e risposte e realizzazione

P.109

3.3 DVD Prove e varianti Custodia e CD

P.127

4.1

CONSTATAZIONI FINALI

P.137

4.2

PROSPETTIVE DI RICERCA

P.139

COMMENTO PERSONALE

P.143

RINGRAZIAMENTI

P.145

FONTI Bibliografia Sitografia Filmografia

P.151


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Abstract

Appare semplice, eppure è un atto estremamente complesso. Non ci poniamo molta attenzione; ogni mattina ci svegliamo, apriamo gli occhi ed osserviamo il mondo che ci circonda. Lo facciamo senza pensare. Vedere è un fenomeno tanto complicato quanto dato per scontato. È l’insieme di una ricca interazione fra i sensi, che tra loro si completano e si influenzano in continuazione. La vista è articolata da una serie di elementi che in questa tesi vogliono essere messi in risalto interrogando una persona che, grazie alla sua cecità, “vede” il mondo in modo diverso e di certo non meno interessante. Una visione tanto dissimile quanto analoga alla nostra. Attraverso le sue parole riesce a comunicarci parte di un mondo “nascosto”, che seppure sia il nostro stesso sembra essere un’altro, poiché l’attenzione viene spostata su dettagli differenti da quelli usuali. Conoscere la visione di questa persona, valorizza particolari di una realtà che a volte lasciamo sfuggire. La percezione di una stessa realtà resa diversa, perché, seppur ci si presenti davanti nello stesso identico modo, essa viene letta necessariamente in un’altra maniera. Senza fare uso della vista, l’attenzione cambia e i punti di interesse si focalizzano su caratteristiche alle quali solitamente non poniamo attenzione poiché appaiono irrilevanti. L’intera visione della realtà cambia, e con essa la sua comunicazione. Le parole sono infatti l’elemento legante in grado di far comunicare i due mondi, che in questa tesi vogliono incontrarsi in un punto comune sotto forma di documentario. Quella che avete tra le mani non è una tesi sulla cecità, bensì un prodotto che vuole rendere “visibile” le parole di questa persona, cercando di “tradurre” per i vedenti questa singolare visione del mondo che non fa capo al senso dal quale siamo più dipendenti.


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Introduzione

Non ci pensiamo, guardiamo, vediamo, e non ci pensiamo. Sembra semplice, eppure è un atto incredibilmente complesso; è un esperienza unica ed articolata da tutta un’altra serie di fattori che non sono legati al nostro senso visivo. Il vedere è l’insieme di più elementi che in questa tesi vogliono essere messi in risalto interrogando una persona che, senza poter fare uso della vista, vive esperienze analoghe a chi la vista la possiede; esperienze percettive che si ripercuotono su di essa in maniera semplicemente diversa dalla nostra, e di certo non meno interessante. Il non vedente intervistato, come attestato dai suoi racconti, sperimenta un processo d’immaginazione pur senza vedere; un meccanismo a cui i vedenti più difficilmente pongono attenzione. Una visione singolare che rimane legata al suo modo di percepire il mondo attorno a sé, e che comunica a noi in maniera altrettanto particolare. Il prodotto audiovisivo presentato in questa tesi, intende esporre un “modo di vedere” diverso rispetto quello che i vedenti sono abituati a percepire, poiché frutto di chi non possiede il senso della vista. Verrà infatti intervistata una persona non vedente dalla nascita che, attraverso le sue parole, ci presenterà il suo modo di vedere e di approcciarsi al mondo. Quella che state per leggere non vuole essere una tesi sulla cecità, come d’altra parte non pretende nemmeno d’essere in grado di parlare della vista. L’intenzione 15


rimane quella di voler mostrare quando vedere sia un atto che non si limita allo sguardo, mettendo in risalto di conseguenza la ricchezza della vista che spesso viene data per scontata. Vedere è frutto di una ricca interazione fra i sensi che, servendosi delle parole di una persona non vedente, si vuole mettere in risalto attraverso un documentario che cerca di “tradurreâ€? per i vedenti questa singolare visione del mondo.

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Motivazione

Tutto è iniziato circa 1 anno e mezzo fa. Mi trovavo a Firenze, ed ero sola. Ho iniziato a passeggiare per la città, avrò girato per almeno 7 ore. Mi ero persa. Ad un certo punto mi fermai sul muretto accanto a Ponte Vecchio. Mi ci sdraiai sopra e chiusi gli occhi. La chiamerei un’esperienza multisensoriale, che non ha avuto la vista come principale attore. Immediatamente iniziai ad ascoltare la città, rendendomi conto che non era solo un bellissimo posto da vedere, ma anche da ascoltare. Non a caso quel giorno decisi di uscire di casa senza macchina fotografica, con l’intento di “vivere” Firenze senza dovermi distrarre per raccogliere immagini. Da quel giorno mi resi conto che le città non si caratterizzano solo per ciò che può essere osservato, ma anche per i profumi e per i suoni di cui ogni luogo si riempie… Ho iniziato ad ascoltare i suoni di Firenze, e con essi vedevo la città. Suoni che mi hanno comunicato le caratteristiche più intime. Il rumore di quelle grosse maniglie delle botole, i vecchi negozi di Ponte Vecchio che venivano chiusi, i cigolii dei grossi cancelli. Il gorgheggiare del fiume. Mi alzai e rifeci tutto il giro di Firenze in città vecchia, senza guardare, ma ascoltando. Il profumo del pane appena sfornato, l’uomo che suonava la tromba per strada, i bambini che ridevano e urlavano dall’altra parte della via. Quella musica. Quell’accento fiorentino. L’uomo dei prosciutti che urla 17


dall’altra parte della strada, i passi della gente su quel ciottolato. Un violino. Il cigolare dei grossi portoni, il rimbombo nella chiesa, l’eco del fruttivendolo. Il clacson di quei piccoli bus. Inizia a piovere, le tazze dei caffé nei bar. Qualcuno scarica qualcosa nel fiume. Il click delle macchine fotografiche sul ponte. La gioielleria in silenzio. Quest’esperienza, che ora faccio di continuo, mi fece render conto che la visione avviene anche grazie l’insieme degli altri sensi e che dunque, in un qualche modo, vediamo anche attraverso questo insieme di sensazioni. Mi ha fatto capire che probabilmente non vediamo solo con la vista, ma anche con il suono. Suono che modifica ed influenza ciò che vediamo e che, magari, a volte ci fa vedere più di quello che permette il senso visivo. Capii dunque che vedere è un processo molto più complesso ed articolato di quel che può sembrare; e per questo motivo ne rimasi incuriosita ed affascinata. Mi chiesi cosa caratterizzasse di più Firenze: i suoi monumenti, i suoi profumi, o i suoi rumori? Da quel giorno mi comprai un dittafono, e invece di fotografare registro ciò che voglio ricordare.

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La mia cecitĂ ha un valore in quanto come assenza produce una diversa pienezza. Dante Balbo

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Domande di ricerca

Dal momento che sto svolgendo una tesi in comunicazione visiva, mi sono chiesta come fare tesoro di questa multisensorialità, capace di “far vedere” più in profondità. Mi sono quindi posta una domanda di ricerca che di primo acchito può apparire paradossale: 1. È possibile vedere senza la vista? Paradossale se intendiamo la vista come un senso totalmente autonomo, e per tanto la risposta sarebbe semplicemente: no. Ma l’interazione dei sensi fa sì che essi siano in continuo rapporto tra loro e che qualora dovesse mancarne uno, esso sia compensato dagli altri. Questa è l’esperienza che fa una persona non vedente, sia cieca dalla nascita o diventata. A partire da questo dato si sviluppa una seconda domanda di ricerca: 2. Come si vede senza la vista? La prospettiva della tesi non è quella di visualizzare ciò che un cieco vede, non sarebbe possibile e non ci potrebbe essere nemmeno alcuna verifica al riguardo; è bensì quella di trovare un “terreno comune”, sul quale sviluppare un prodotto visivo indirizzato ai vedenti, con l’intento di mettere in luce distinte modalità di percepire, che possano arricchire l’esperienza visiva. La terza domanda di ricerca, conseguentemente è:

3. Qual è questo “terreno comune”?

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Ipotesi progettuale

L’essere umano vede con il cervello e non con gli occhi, ragion per cui verrebbe da pensare che gli impulsi visivi possano essere evocati anche attraverso gli altri sensi che l’uomo possiede. Non vi è dubbio che sarebbe limitante pensare che la vista sia l’unico senso che ci permette di vedere, ma non è chiaro come e soprattutto cosa vedremmo. Vedere è un atto molto complesso ed articolato, basti pensare al concetto di sinestesia. Eppure è talmente dato per scontato che non ci si pone attenzione. Considerando che l’esperienza e la percezione sono il frutto d’interazioni tra tutti i sensi, regolati dall’intimo della persona, non è assurdo immaginare che anche il suono o l’olfatto siano in grado di evocarci immagini. E lo sono anche nell’esperienza comune di tutti. Comune e soggettiva al contempo, un profumo o un rumore possono evocare immagini ad alcuni in modo diverso che ad altri. Ma il meccanismo è il medesimo. Soffermandosi un attimo a pensare, viene facile immaginare quindi che ogni persona pone attenzioni differenti verso la visone del mondo. È però difficile capire come essa venga percepita e come la realtà circostante possa essere letta senza fare uso del senso a cui l’essere umano fa più riferimento: la vista. Per questo motivo, invece che indagare sull’esperienza sensoriale dei vedenti, vista la paradossalità della prima domanda di ricerca, si è deciso di seguire una via distinta: intervistare una persona non vedente. 23


L’intenzione è quella di relazionarmi con chi la vista non la possiede, per poterle chiedere espressamente “come” essa veda; e cercare in un secondo momento di rendere visibili i suoi racconti. Si cercherà di scoprire il suo “modo di vedere”, la sua percezione del mondo e soprattutto la sua relazione nella realtà visibile. Così facendo si potrà capire se è possibile vedere anche senza fare capo ai nostri occhi, e la speranza è soprattutto quella di farsi un’idea anche sul come la percezione avvenga. Attraverso il continuo dialogo con la persona non vedente, si vorrà riuscire a dare risposta anche all’ultima domanda, ovvero scoprire quale sia questo “terreno comune”. L’intervistato mi racconterà il suo modo di vedere, ed io cercherò di mostrarlo a voi nella maniera più fedele possibile.

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1. parte teorica

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“ Prima di ogni storia,

prima di ogni racconto, al di là di qualsiasi argomento logico, un suono si pone all’inizio di tutte le storie e di tutti i racconti. Ciò che fonda l’origine dell’universo, per quasi tutte le cosmogonie antiche, è il sorgere di una musica, un sibilo, un gemito, che dall’abisso imperscrutabile del nulla genera un’essenza.1 Paolo Repetto


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1.1 Percorso di tesi

Il suono e l’immagine sono elementi diversi, ma complementari. Il suono avviene nel tempo, mentre l’immagine nello spazio. L’immagine dunque si presenta per intero in una sola volta, mentre il suono necessita di una durata temporale per potersi rendere completo. Il suono e l’immagine, pur essendo formati da sistemi di segni differenti, rapportandosi tra loro si intrecciano scaturendo una sinergia che li rende diversamente funzionali e completi. L’interesse iniziale della tesi era difatti quello di voler capire quali tipi di rapporti si instaurassero tra questi tue elementi tanto diversi quanto affini tra loro; ed in particolar modo quanto uno sia in grado di influenzare l’altro, e viceversa. Dal momento che la percezione di un’immagine può essere modificata in base ad un suono che l’accompagna, ci si chiedeva quanto il suono potesse essere in grado di influenzarla a sua volta e, soprattuto, quanto esso sia in grado di evocare “immagini mentali”. Come Michael Chion insegna non si “vede” la stessa cosa quando si sente; non si “sente” la stessa cosa quando si vede.2 La vista è difatti un fenomeno multisensoriale che, attraverso un processo sinestetico, viene influenzata di continuo da tutta una serie di altri fattori sia interni che esterni. Interrogandosi dunque su quanto il suono sia in grado di permettere di vedere e quanto la vista sia condizionata o dipendente da esso, l’attenzione si è spostata verso una persona che, non vedente dalla 31


nascita, è stata in grado di presentarmi il suo modo di vedere; l’uomo non vedente è costretto ad utilizzare il suono per potersi creare un mondo di immagini. Senza fare capo al senso visivo, gli stimoli “visivi” gli vengono comunicati attraverso tutti gli altri sensi che egli possiede. Parlando con questa persona si è sviluppato un ulteriore punto di interesse: il suo modo di comunicare. Questo, essendo un altro sistema di segno, è un altro elemento capace di evocare a sua volta delle immagini visive in chi lo ascolta. Per questa persona, infatti, le parole sono importantissime, poiché unico legame che le permette di confrontarsi con i vedenti. Egli difatti afferma quanto la memoria semantica sia importante per lui, proprio perché gli permette di “vedere” in un qualche modo ciò che gli altri gli comunicano. Allo stesso tempo però, se una parola non è spessa di significato, per lui non significa nulla. «Per me è complicato perché, per confrontarmi con il vostro mondo, sono costretto a dover comunicare in linguaggio visivo tutto ciò che io percepisco, che però è una cosa diversa dalla mia realtà. [...] Il mio mondo è diverso dal vostro, per cui ho bisogno di fare sempre una doppia traduzione: da una parte tradurre il mio mondo nel mondo degli altri, e dall’altra parte ritradurre il mondo degli altri nel mio mondo. [...] L’esperienza dei colori, per esempio, è una decodifica complessa che tenta nel tradurre in parole un’esperienza che io non ho. Per me i colori sono delle parole a cui io, basandomi sul vostro modo di comunicarli, ho dato un significato. Con il passare del tempo ho costruito una mia personale area semantica attorno ai colori, ragion per cui queste parole sono in grado di evocarmi delle cose e delle sensazioni. Però, è un discorso difficile perché… come dire: a livello culturale io lo so che l’erba è verde e il cielo è blu, ma obiettivamente non so cosa sto dicendo. Nel senso, quando io dico blu, so che dico blu; ma lo comunico pur sempre rispetto la mia concezione personale di blu che è diversa dalla vostra, proprio perché si è sviluppata attraverso un modo di pensare al blu differente dal vostro».

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1.2 Il mio incontro

Lo vedevo arrivare da lontano. Stavo in silenzio aspettando che arrivasse più vicino. Lo guardavo mentre si avvicinava, rimanendo un po’ incredula. Teneva il bastone bianco sotto braccio; non lo usava e camminava in bilico sul marciapiede. Ammetto d’essermi un po’ spaventata; volevo avvertirlo di fare attenzione, ma non ho fatto in tempo a dire alcuna parola che era già arrivato. Si avvicinò e, senza che io parlassi, mi porse la mano: – Valentina? Piacere io sono Dante – Ciao Dante, sì, sono io. Piacere. Ha trattenuto un attimo la mia mano nella sua; e mi ha fatto strada verso il portone del suo posto di lavoro. Tirò fuori le chiavi e nel mentre mi disse: – Allora Valentina, voglio che tu sappia da subito che io ho un grosso e serio problema… Io sono rimasta in silenzio, perché un po’ spaesata. Non sapevo come comportarmi e soprattutto cosa rispondergli. Non mi aspettavo avrebbe mai detto una cosa del genere. Per fortuna ha continuato subito aggiungendo: – ... mi dimentico delle luci! Sono scoppiata in una risata, e su questa battuta è iniziata la nostra avventura. Un incontro che si è narrato nel corso di un tempo maggiore delle aspettative, fino a diventare frutto del mio progetto di tesi. Storia in continuo sviluppo che probabilmente non terminerà insieme al documentario prodotto, ma (spero) continuerà anche nei giorni a venire.

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Il racconto riportato nella pagina a fianco, è un testo scritto qualche mese fa, riguardo un sogno che mi ha fatta svegliare un insegnamento nuovo. Quando, quella mattina, ho aperto gli occhi ho iniziato a guardarmi attorno in maniera diversa. Ho avuto paura, quella notte. Immediatamente mi sono domandata quale sia la vera realtà; mi sono chiesta, e mi chiedo tutt’ora, cosa sia il buio e dove si scateni la visione. Mi chiedo se dovessi diventare cieca, come inizierei a guardare i mondo e come ne percepirei gli ambienti. Che forma prenderebbe il mio pensiero, e dove sposterei la mia attenzione. Dove e quali sarebbero le cose a cui darei più valore. Probabilmente tutto si sposterebbe su altri interessi. Mi chiedo dove dovessi finire con la mente, in quale mondo mi troverei. Come inizierei a sognare. L’idea mi terrorizza. Probabilmente, quella di perdere la vista, è la paura più grande che ho. Lo è perché, avendo l’esperienza del vedere, saprei di conseguenza cosa andrei a perdere; ma se non conoscessi questo processo e avessi da sempre vissuto nell’oscurità, probabilmente tutto sarebbe diverso. Siamo tutti così dipendenti dalla vista, che senza nemmeno rendercene conto ne abusiamo a dismisura. Per cui mi dico: iniziamo a cercare di vedere, di vedere davvero! E facciamolo chiudendo gli occhi. Ogni volta che parlo con Dante, mi rendo conto che è come se entrambi vivessimo in due mondi diversi, ma che condividiamo. Abbiamo una visione delle cose completamente differente, seppure ci si presentino davanti nello stesso identico modo. Io, per esempio, non avevo mai fatto caso ai marciapiedi per la città, mentre per lui sono essenziali. Non gli piace muoversi con il bastone, preferisce non usarlo. La prima volta che l’ho visto arrivare avevo paura stesse per inciampare, mentre poi mi spiegò che lui si ambienta così: cammina con un piede contro il marciapiede utilizzandolo come linea guida, come fosse il confine di una mappa; i marciapiedi lo indirizzano e lo portano dove lui vuole, egli conosce la città in base alle strade, mentre io le conosco solo in base al nome che gli è stato dato. Mi diceva, infatti, che non gli piace la zona di Paradiso-Lugano, perché non ci sono marciapiedi e quindi si sente perso. Ed io che trovo 35


così bello passeggiare al Lungo Lago! Lo stesso discorso vale nei posteggi. I grandi piazzali per me significano senso della libertà… personalmente, in mezzo ad un grande prato, io mi metterei a correre. Per lui invece significano paura, perché si sente spaesato senza luogo e senza tempo. Senza confini, lui si perde. La percezione della notte è anche molto differente; per me quel silenzio significa pace, per lui invece significa terrore perché senza riferimenti sonori. Mentre il giorno per me significa casino, per lui significa sicurezza. Mi resi conto che Dante pone attenzione a cose diverse dalle mie, e soprattutto mi ha fatto rivalutare molti elementi a cui io prima non davo valore. Infondo ognuno di noi pone attenzione verso ciò che gli serve. Un altro esempio potrebbe essere l’esperienza fatta durante una giornata di sole in cui Dante ed io decidemmo di fare una passeggiata per chiacchierare un po’. Siamo vicini di casa; abito a Pregassona da più di 10 anni, eppure quel giorno scoprii un posto tutto nuovo. Non facendo capo alla vista, le attenzioni erano cambiate e si sono spostate su altri riferimenti. Le scelte si modificarono e l’esperienza diventò automaticamente un’altra. «Da quando sono diventato cieco, ho imparato a leggere tra le righe». Franco Cavani Dante ed io ci siamo incontrati per la prima volta il 16/09/2014 alle 20:30, proprio per parlare di questa tesi. Io non sapevo nulla di lui e lui non sapeva nulla di me. Semplicemente lo conoscevo di vista, perché da bambina lo vedevo suonare il pianoforte in Chiesa. In quei momenti mi annoiavo tantissimo (io nemmeno volevo andarci in Chiesa!) e lui diventava la mia fonte di attenzione. Lo ammiravo, perché vedevo quanto suonasse con l’anima e non con le mani. Non guardava i tasti, guardava il vuoto. Chissà cosa vedeva, mi chiedevo. Dopo anni ed anni l’ho finalmente conosciuto e rimasi estremamente colpita quando, dopo sole 2 ore di chiacchierata, ci siamo salutati e, con una frase detta, mi sono resa conto che aveva capito a pieno la mia persona. Così gli ho chiesto sorpresa come avesse fatto e lui mi ha detto che si era creato un’immagine ben chiara di me, e me l’ha descritta. Era praticamente tutto giusto. Ne sono rimasta molto toccata. Per due ore 36


abbiamo parlato di lui, perché ero io quella interessata al suo mondo, mentre alla fine della serata era lui a sapere molte più cose di me. Dalla direzione delle onde sonore, mi diceva, ha capito la mia statura, dal rimbombo dei miei passi ha capito la mia andatura, dal mio modo di parlare ha capito parte della mia cultura, dalla vibrazione della mia voce ha capito la mia personalità. Il mio profumo mi ha etichettata. Ogni momento di silenzio diventava parola; quando non parlavo perché lo guardavo ammirata sorridendo, lui non si preoccupava. Quando invece lo guardavo, sempre in silenzio, ma con espressione dubbiosa, mi chiedeva quale fosse la mia preoccupazione. Ha capito che persona sono, più di molte altre che mi circondano da anni. Come se mi avesse letto dentro. Come se, senza il bisogno di dare un peso all’apparenza visibile, abbia solo percepito l’essenziale. È come se sentisse la personalità delle persone, proprio perché non le vede. Mi ha letto dentro. Mi chiedo se lo stesso discorso si ripercuota sulla visone del mondo e della realtà. Conosce il mondo in base alla sua oggettività? Sicuro no, ma senza dubbio non è influenzato dai nostri stessi stimoli che sono per la maggior parte visivi. La vista è difatti da sempre riconosciuta come facoltà sensoriale privilegiata, “alta”, poiché direttamente collegata con il cervello e fonte delle sue rappresentazioni.3 Ricordo ancora quando, subito dopo averlo salutato la prima volta, sono tornata a casa cercando di guardare come lui. Ho fatto la strada socchiudendo gli occhi ed ascoltando i rumori. Avevo già fatto un esperienza simile a Firenze, certo; ma questa volta gli occhi li tenevo chiusi, ed era tutto diverso. Mentre prima cercavo solo di porre attenzioni differenti rispetto la vista, ora cercavo di abolirla totalmente muovendomi di conseguenza in maniera differente; di attraversare la strada con gli occhi chiusi, per esempio, non ne avevo il coraggio. Sentivo le foglie che si muovevano sugli alberi. Un vento leggero, piacevole. Un silenzio a volte distrutto dal rumore di qualche macchina che mi passava da parte. Lì aprivo gli occhi, avevo paura. Camminavo molto piano, e la tentazione di porgere in avanti le mani era molto forte. Sono inciampata un po’ di volte. Riaprivo gli occhi subito. Sulla soglia di casa dovevo trovare la chiave del portone, anche lì ho 37


aperto gli occhi per riconoscerla nel mazzo. Una volta arrivata in camera mia decisi di riprovarci sul serio e mi misi una benda intorno gli occhi. Dovevo solo andare in bagno, era una tratta minima, pochi metri: il percorso che più conosco perché lo faccio di continuo. Lo so a memoria, perché lo percorro ogni notte. Pensai che sicuro quello sarei riuscita a farlo ad occhi chiusi. A metà strada mi sono tolta la benda per paura, perché sapevo che le scale erano vicine. Il tappeto sotto i piedi mi aveva fatto capire dove mi trovavo, lo sapevo benissimo, eppure la paura era troppo grande. Quando ho tolto la benda mi sono messa a ridere, perché le scale erano ben lontane! Si è messo a ridere anche Dante, quando gliel’ho raccontato. Immediatamente mi è sorto spontaneo chiedergli se non ha paura di non vedere... insomma, volevo capire se avesse paura del buio. Mi sembrava una domanda tanto normale quanto sciocca; perché drasticamente pensavo che le soluzioni fossero solo due: o non può aver paura del buio, o vive di continuo nel terrore! La sua risposta mi ha colpita, perché inaspettata. Ripensandoci adesso mi sento molto ingenua rispetto quello che avevo immaginato, perché ora la riposta pare talmente ovvia: «Certo che ho paura del buio! Di non vedere no, perché vivo in questo stato da sempre, per cui… Però della notte sì, ho paura. Non so come spiegarlo: di giorno le case mi sorridono, mentre la sera gli ostacoli diventano minacciosi. È molto diverso il giorno dalla notte, è un buio diverso. Di notte mi mancano riferimenti sonori. Tutto cambia, di notte! Cambia la temperatura, cambiano i profumi, cambia la percezione degli spazi… tutti i suoni della città, cambiano». Ironicamente, ho la sensazione che Dante veda più di me. Probabilmente perché per lui diventa importante guardare più in profondità, e lo fa attraverso tutti gli altri sensi che ha. Una volta ho azzardato nel chiedergli se vorrebbe la vista, se non gli manca non vedere. Mi ha risposto che le ragioni per cui la vorrebbe sarebbero quelle legate al volersi sentire più indipendente in certe occasioni e che, soprattutto, a volte gli viene una gran voglia di poter leggere un libro tenendolo tra le mani ma non può farlo. In quei momenti la vorrebbe, 38


la vista; ma per il resto, non sapendo cosa gli manca, ha detto che sta bene così. Lui ci vede comunque. A modo suo, ma ci vede. Conosce il mondo che gli serve e ci convive senza problemi. Trovo che lo stesso concetto si ritrovi anche in tutti noi, perché ognuno di noi guarda il mondo a modo suo. Ogni persona vede ciò che ha bisogno e soprattutto come lo ha bisogno. È inevitabilmente; tutti vediamo le cose in maniera diversa, perché ognuno di noi porta con sé la sua personale esperienza; abbiamo una nostra reale visione soggettiva del mondo. Dante mi ha parlato molto spesso di immagine acustica, spiegandomi che la sua visione è in gran parte basata sui suoni che lo circondano e, soprattutto, nella rifrazione acustica del suono che gli permette di percepire le dimensioni degli ambienti. Degli spazi e non solo, perché ha una percezione molto precisa anche delle persone. Ricordo benissimo il momento in cui, senza dubitare nemmeno un attimo, mi ha messo la mano sulla fronte dicendo che sapeva benissimo che la mia fronte fosse lì. Era precisissimo. Subito ho iniziato a pensare che, non avendo la vista, avesse gli altri sensi più sviluppati dei nostri per riuscire a compensarla. È intervenuto subito sostenendo che «Non è questione di avere sensi più sviluppati, ma è la necessità di porre attenzione a cose diverse per potermi costruire un mondo. Lo devo fare per forza, ho bisogno di crearmi un’immagine del mondo perché altrimenti non potrei viverci; e sarei sempre disorientato! Per cui, per orientarmi nel mondo, ho bisogno di usare tutto quello che ho. Per esempio, per conoscere la dimensione di una stanza, a te è sufficiente guardarti intorno mentre io ho bisogno dell’eco delle pareti che mi indicano quanto è grande. E lo stesso vale per gli oggetti: se davanti a te c’è un divano, lo vedi e lo sai riconoscere; io invece devo, prima di tutto percepirne la presenza, e poi mi ci devo sedere sopra per scoprire se è un divano di pelle, di stoffa, rigido, morbido… capisci? Sono obbligato a prendere in considerazione fattori diversi dai tuoi cercando di cogliere tutti gli aspetti del mondo. Per esempio, non penso che per te sia molto importante la rifrazione acustica, mentre per me è fondamentale. Sono interessi diversi. Io, per sapere dove sono, devo per forza di cose sentire i rumori, gli odori, conoscere 39


le percezioni tattili, eccetera. Sono tutta una serie di dettagli a cui io non posso non fare caso; se qualcuno mi dice “lì c’è un divano”, io ne so quanto prima: ovvero nulla. Finché chiaramente non ci entro in contatto, ed allora in quel momento a me interessano dettagli a cui voi, magari, non ponete attenzione perché non importanti. Chiaramente li percepite, ma probabilmente sono meno rilevanti rispetto quanto lo sono per me». Ed effettivamente, a pensarci bene, a me interessa poco, per esempio, sapere di quanti scalini è formata una scala, mentre Dante li ha sempre contati e ne conosce il numero a memoria. Eravamo nel suo ufficio e me li ha detti tutti. (Mi riferisco chiaramente a quelli in cui si imbatte quotidianamente, perché altrove credo gli serva saperlo quanto noi). Grazie a questa sua particolare attenzione verso i dettagli, trovo molto interessanti i suoi testi. A lui piace tantissimo scrivere e mi ha fatto leggere alcuni dei suoi racconti, che sono per lo più fiabeschi. Tra quelle righe non mancava alcun riferimento visivo. Leggendo, immaginavo tutto quello che veniva raccontato e lo vedevo bene, lo immaginavo tutto. Eppure era raccontato attraverso tutti i sensi tranne che quello visivo. Mi ha fatto provare lo stesso esperimento attraverso un’esperienza che ricordo benissimo ancora adesso; eravamo nel suo ufficio e mi ha detto: – Vieni con me, ti porto in un posto… Al che ho preso tutte le mie cose, mi sono messa la giacca e sono andata con lui. Dopo aver fatto quei 13 scalini, siamo entrati nella prima stanza a destra. Era tutta buia perché le luci erano spente, io ero titubante. Lui mi invita ad entrare: – Allora non vieni? – Sì sì arrivo, scusa è che qui è tutto buio! – E allora? – Allora non ci vedo! – Ma come no? Io ci vedo! Scoppiando a ridere gli ho risposto senza pensarci troppo: – Sì, beh… però in questo caso tu ci vedi più di me! Mi ha fatto poggiare le cose a terra e mi ha invitata a sdraiarmi sul lettino. Ed io che speravo non avesse visto che mi ero portata dietro tutto, mi sentivo in imbarazzo per la figuraccia. Una volta sdraiata mi ha detto di 40


chiudere gli occhi e mi ha raccontato una storia. Era un racconto molto semplice. Mi ha portata in un grande prato con al centro un grosso albero sotto il quale mi ha fatta sdraiare per riposare. La storia era solo questa, ma l’ho vissuta in maniera straordinaria. Non so come abbia fatto, ma attraverso le sue parole è riuscito addirittura a farmi sentire i profumi della corteccia e l’erba bagnata sotto i piedi. Non avevo solo immaginato, era qualcosa di più. Mi sentivo di averlo vissuto davvero. Ero lì! Sotto quell’albero. Sdraiata su quel prato, percependo quel leggero venticello fresco. L’erba che si muove. Quel verde rilassante. Lo ricordo perfettamente ancora adesso che lo scrivo. La descrizione di ogni sensazione, di ogni rumore, di ogni profumo, di ogni percezione e di ogni emozione mi hanno fatto dimenticare di essere su quel lettino in quella stanza buia, e mi hanno portata in un posto incredibilmente ampio e colorato. Questa è l’esperienza che a mia volta voglio portare su schermo, per poterla presentare anche a chiunque altro sia interessato al tema della comunicazione che va al di là delle strutture visive. Ci tengo a ripuntualizzare infatti, che la tesi non vuole trattare il tema della cecità, bensì proporre in maniera visiva un modo diverso di vedere. Si vuole “tradurre” per i vedenti il modo di vedere di un non vedente che, di conseguenza, ha sviluppato un personale processo di comunicazione attraverso un linguaggio formato dalle nostre stesse parole. Non è un prodotto che tenterà invano di parlare di un linguaggio universale, in quanto non sarebbe possibile e nemmeno fonte di interesse per questa tesi; si svilupperà bensì un documentario su questa persona che, tramite le sue parole, sia in grado di comunicarci la sua tanto reale quanto singolare visione del mondo. Si cercheranno di “tradurre” queste sue parole che, attenendosi all’intervista, prenderanno forma visiva sullo schermo. Cercando di farlo nella maniera più fedele possibile, si vorrà offrire a chi guarda un documentario che presenta il modo di vedere di questa persona, in maniera tanto fedele quanto d’altra parte di impossibile rappresentazione reale del suo vero modo di percepire il mondo.

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2. parte pratica

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Il colore Bianco, di Albert Einstein4

Un giorno, camminando in campagna, un cieco passò vicino ad una cascina ove un contadino stava accudendo agli animali del cortile. Il cieco era immerso nei suoi pensieri ed era ossessionato dal problema del Bianco. Egli conosceva il nome di quel colore ma per quanti sforzi facesse non riusciva a comprendere cosa potesse significare. Sicché si fermò, si rivolse al contadino e così gli parlò: - Buon Uomo, Lei che è così pratico delle cose della terra, mi potrebbe spiegare cosa è il Bianco? - Beh, rispose il contadino, E’ facile: il Bianco è il colore delle penne del Cigno! 44


- Il colore delle penne del Cigno? Io so cosa sono le penne, disse il cieco, ma non so cosa sia il Cigno. - Ha presente un’oca? Ebbene il Cigno è come un’oca, ma molto più grande e con il collo lungo ed adunco. - Con calma: posso immaginarmi un’oca grande ed anche un collo lungo, ma non riesco proprio a capire cosa sia “Adunco”. Il contadino, forse spazientito, si avvicinò al cieco e gli disse: - Stia bene attento. Così dicendo gli prese un braccio con ambedue le mani e mantenendolo ben teso aggiunse: - Vede, così è dritto. Quindi colle mani piegò il braccio del cieco in maniera che assumesse una curva simile a quella del collo del Cigno. - e così è “Adunco”! Il cieco si concentrò sulla forma del braccio per percepire il concetto, quindi sorrise come pervaso da una illuminazione e disse: - Grazie, ho capito... 45


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2.1 Stato dell’arte, contenuto

Dal momento che si affronta il tema della cecità, il primo passo è stato quello di informarsi sul che cosa è già stato fatto in merito e su come essa fino ad ora sia stata mostrata. Si prenderanno in considerazione più che altro film, in quanto il video sarà lo stesso strumento di comunicazione sviluppato in tesi. L’intenzione qui è quella di offrire una visione generale che permetta di far capo a buoni esempi, che dalla cecità vista come sinonimo di paura diventa una cecità in qualche modo positiva; un percorso che quindi indirizza verso quello che è l’intento del prodotto di tesi.

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Visione generale

Ho potuto notare che per la maggior parte dei casi visionati, la cecità è stata vista come elemento di mancanza o di terrore, ed è stata sfruttata spesso come metafora di buio e di assenza.

Si pensi per esempio al film di Richard Fleisher “Terrore cieco”, thriller del 1971 in cui Mia Farrow interpreta una ragazza diventata cieca da poco. La sua oscurità la porta nel vivere in una casa in cui avvengono vari delitti, che le rimangono ignoti; convive per un giorno intero con la sua famiglia ormai composta da cadaveri, senza saperlo. Dopo averlo scoperto inizia la parte di maggior terrore, in cui lei cerca di andare alla scoperta del killer, e lui fa altrettanto con l’intento di uccidere lei. La paura di non vedere è l’elemento principale e di angoscia con cui lo spettatore guarda il film. La cecità è dunque sfruttata sia per amplificare il terrore di lei che rimane al buio, sia (soprattutto) per creare paura nello spettatore che ben vede tutto quel che succede nella scena, senza poter far nulla ma anticipando molti pericoli; soprattutto legati all’inseguimento del killer. Noi vediamo indizi, che lei non vede. 49


Una delle scene che più mi è rimasta impressa è quella in cui la protagonista va in cucina cercando un coltello, e si trova nel camminare a piedi nudi accanto a dei cocci di vetro. Lei non lo sa, ma noi percepiamo il dolore anticipando il suo; che chiaramente non può prevedere. La stessa paura scaturita dalla cecità la troviamo ne “Il gatto a nove code” di Dario Argento, altro giallo-thriller del 1971. Solo nominando il nome del regista dovrebbe scaturire l’intera drammaticità del prodotto; un continuo susseguirsi di momenti di tensioni alternati all’ironia, che portano lo spettatore ad essere in una continua alterazione di emozioni volte al voler risolvere un enigma. Il protagonista qui è un ex-giornalista cieco, che si imbatte nel voler scovare l’assassino di un caso a lui caro. In questo caso le uniche persone a provare paura verso la cecità siamo noi che guardiamo, mentre il cieco convive senza problemi nella sua oscurità che a volte diventa pericolosa anche se lui non se ne rende conto. Egli appare come un uomo colto e sveglio che non si sente limitato da nulla, anzi, è la chiave salvatrice per risolvere questo caso che senza di lui non andrebbe in porto. La fonte usata per creare ansia nello spettatore è proprio quella della cecità che, anche se per il protagonista non lo è, qui diventa sinonimo di paura. Viene qui d’obbligo agganciarci al romanzo di José Saramago “Cecità”; opera che nel 1995 ha ricevuto il “Premio Nobel per la letteratura portoghese”. “Cecità” è difatti un saggio che sì parla di cecità, ma è sfruttata più che altro come metafora per mostrare l’istinto di sopravvivenza dell’uomo mettendo in luce allo stesso tempo la sua fragilità, accompagnata da una critica verso la società moderna in cui viviamo. Interessante caratteristica del saggio, è quella di non avere alcuna informazione dei personaggi, se non caratteristiche fisiche che li contraddistinguono che vengono sfruttate per nominarli. Non conosciamo difatti nessun nome, se non l’etichetta che Saramago gli dà; come per esempio il vecchio con la benda nera, il ragazzino strabico, la ragazza dagli occhiali scuri… La storia narra di una città che viene avvolta da un’epi50


demia insolita: una cecità bianca. Inizia da una persona, e piano piano si espande verso l’intera città per poi avvolgere l’intero mondo; nessuno ne capisce il motivo e la causa, e soprattutto perché questa cecità invece di essere nera è bianca. Interessante dunque percorre le pagine del libro trovandosi in un’oscurità che in realtà è abbagliante. Un buio metaforico che si contraddistingue dalla solita convenzione sociale, già solo per questa particolarità. I ciechi vengono portati in un ex manicomio. L’unica persona a non diventare cieca è la moglie del medico protagonista, che dunque è in grado di vedere tutto quello che succede e cerca in tutti i modi di gestire la situazione, senza però poter dire che non è stata contagiata altrimenti sarebbe stata uccisa. Questo perché il manicomio è circondato e gestito da guardie che (inizialmente vedenti) hanno il compito di tenere intrappolati i ciechi che man mano aumentano, con il compito di ucciderli in caso cercassero di scappare. Gli esseri umani vengono trattati come bestie rinchiuse in una squallida gabbia. Il manicomio si riempie sempre di più fino a raggiungere una situazione invivibile, sia per la mancanza di cibo, che di spazio, che di igiene. I ciechi sembrano essere diventati della spazzatura rinchiusa dietro le mura di una prigione. È impressionante quanto leggendo le parole di Saramago, si ne riescano a percepire tutti gli odori e tutte le puzze, e soprattutto quanto riesca ad evocarci immagini cariche di disgusto; quasi ne sentivo i sapori in bocca. La situazione degrada pagina per pagina trattando temi che fanno capo alla violenza, alla distinzione di potere tra le classi sociali, alla disparità dei sessi. Il messaggio più simbolico, a mio parere, lo esprime l’unica donna vedente: Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che, pur vedendo, non vedono.5 Dal libro ne è stato tratto, nel 2008, il film “Blindness-Cecità” diretto da Fernando Meirelles. Personalmente trovo che la trasposizione su pellicola non sia degna di portare lo stesso valore del saggio, in quanto secondo me, non sono stati messi in risalto le giuste chiavi di lettura per poterne concepire la genialità del racconto. Seppure ci sia ua grande interpretazione di Julianne Moore nelle vesti della moglie del medico, il film non riesce ad essere allo stesso livello del libro. Nel 51


film, personalmente, non traspare la vera poetica del saggio e sono stati messi in risalto dettagli meno rilevanti rispetto altri che sarebbero stati fondamentali per toccare la vera profondità del messaggio. Tralasciando quest’aspetto, però, l’ho trovato molto interessante dal punto di vista stilistico visivo, che può essere fonte d’ispirazione per la trasposizione della cecità anche nel mio prodotto. Sotto quest’aspetto l’ho trovato riuscito ed abbastanza fedele all’opera di Saramago, anche se (come sempre succede) non era come lo avevo immaginato leggendo il libro. Il richiamo della cecità bianca è presente quasi in ogni frame del filmato. Forse addirittura fin troppo. Ne riporto alcuni passaggi che trovo suggestivi per il mio prodotto:

Con un messaggio in netta contraddizione ai precedenti, abbiamo il pensiero del capitano Consolo in “Profumo di donna” che si esprime in È una fortuna essere ciechi, perché i ciechi non vedono le cose come sono, ma come immaginano che siano.6 Film del 1974 diretto da Dino Risi, tratto dal romanzo di Giovanni Arpino “Il buio e il miele”. Film da Premi Oscar di cui ne è stato fatto anche un remake nel 1992 sotto la regia di Martin Brest, con Al Pacino che veste i panni dell’ex capitano diventato cieco. Qui il personaggio è uomo affascinante che, grazie alla sua cecità, riesce ad aumentarne il carisma. È difatti un uomo capace di attirare a sé le donne, giocando con gli altri sensi che possiede; il gioco che fa più spesso è quello di indovinarne il profumo, ma non solo. Un velo di ironia copre tutto il filmato, che presenta un uomo che nonostante la cecità non perde alcun piacere; tra i 52


più grandi vi sono per l’appunto le donne, l’alcool, e le Ferrari. È incredibile la scena in cui lo si vede al volante ed accelera a più non posso.

Rimaniamo incantati dalla bellezza di questo modo di atteggiarsi, che sembra prender valore grazie alla sua mancanza. Ci pare un uomo felice quanto altrettanto misterioso. Ai nostri occhi fiero ed orgoglioso di sé, fino al punto in cui il mito crolla vedendolo armato di pistola nel tentativo di uccidersi; svelando il suo vero stato d’animo: Quale vita?! Io non ce l’ho una vita! Io sono al buio qua, Charlie! [...] 7. Interessante il richiamo musicale che ricorre nel film, riprendendo il brano “La violetera” che troviamo in “Luci della città” di Charlie Chaplin. Film del 1931 in cui la protagonista è la famosa fiorista cieca che Charlot cerca in tutti i modi di conquistare. Tra i più bei finali nella storia del cinema, abbiamo la fiorista che riesce a riacquistare la vista ed il vagabondo che riesce a conquistare lei; il momento in cui i due si incontrano e lei lo vede per la prima volta, è tra i finali più memorabili ed emozionanti di tutti suoi film. Ogni volta che lo guardo, penso al fatto che Chaplin abbia girato questo film quando il sonoro nel cinema era già nato, ma per sua personale scelta decise di non usarlo. Sono sicura che le parole avrebbero rovinato quel momento così commovente. Il risultato è encomiabile, tanto che lo fece diventare uno tra i capolavori della storia cinematografica. Con questo film si può considerare finita l’epoca del muto.

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Un diverso approccio alla cecità lo troviamo in “Rosso come il cielo”; film del 2005 di Cristiano Bortone, che narra la storia di un bambino che per un incidente perse la vista all’età di 10 anni. Spostato in un istituto per ciechi, il piccolo vive dapprima vedendo solo luci e colori ed in seguito rimane al buio totale. Lo vediamo ribelle, che non accetta il cambiamento e che si rifiuta di imparare le cose come gli altri bambini. Durante la lezione butta per terra la tavoletta per scrivere in brille ed il maestro lo incita dicendo Hai cinque sensi Mirco, perché ne vuoi usare uno solo? 8

Da quel momento il bambino inizia a porre una particolare attenzione verso i suoni che lo circondano e, incapace di usare la macchina braille, si impegna nell’utilizzo di un registratore riuscendo ad inventare delle favole sonore. Man mano riesce a coinvolgere sempre più studenti dell’istituto fino al raggiungere un risultato ammirevole. Guardando il film diventa piacevole farsi trasportare insieme al bambino in questo mondo sonoro al quale spesso non poniamo attenzione, unicamente perché dotati di senso visivo. Mirco ne coglie la magia e la regala a tutti gli altri. Il film è tratto dalla storia reale di Mirco Mencacci, che è ora considerato uno dei miglior montatori del suono del cinema italiano. Ecco dunque che la cecità, in questo caso, è stato un limite imposto che ha portato al raggiungimento di benessere nato ironicamente dalla perdita del senso visivo. Anche in questo film vi sono alcune immagini che raffigurano il modo di vedere di Mirco all’inizio della sua cecità, quando ancora riusciva 54


a percepire alcune luci e colori; immagini che possono essere di ispirazione per il documentario di questa tesi. Personaggio che invece vive senza dolore la sua cecità è Virgil, protagonista del film “A prima vista” del 1999 diretto da Irwin Winkler. Il film è tratto dal racconto del neurologo Oliver Sacks “Vedere e non vedere”, uno dei 7 racconti racchiusi nel suo omonimo saggio “Un antropologo su Marte”. Viene raccontata la vera storia vera di quest’uomo nato quasi completamente cieco e che, incitato dalla sua fidanzata, si sottopone ad un’operazione nel tentativo di acquistare la vista. Devo ammettere che questo saggio è stato uno dei primi stimoli che mi hanno portata all’interessarmi al mondo dei non vedenti. L’ho letto per la prima volta 2 anni fa, e rimasi colpita nello scoprire, molto ingenuamente, che offrire la vista ad una persona cieca potrebbe significare complicargli la vita. (Mi riferisco chiaramente alle persone cieche dalla nascita). Leggere questa storia, mi ha fatto render conto che vedere è un fenomeno complesso composto da una serie di fattori di cui uno prevalente è senza dubbio la vista; ma se questo senso non è mai stato utilizzato per riuscire a vedere, allora esso viene sostituito dagli altri sensi ed una persona cieca impara a vedere il mondo con quelli che gli rimangono. Se da sempre, una persona, ha imparato a vedere con il tatto, i suoni, gli odori eccetera, si è automaticamente costruito un mondo fatto di questa sinergia tra i sensi privi della vista; in automatico, se a questa persona viene data la vista in un secondo momento, essa non sa come usarla. Come nel caso di Virgil che, a sorpresa di tutti, riuscì effettivamente ad acquistare la vista, eppure sembra non vederci. La sua famiglia ne rimase colpita ed era sicura che in realtà l’operazione fosse andata male. La verità era invece che, come gli spiegò il medico, Virgil dopo l’operazione riusciva a vedere, ma semplicemente non sapeva cosa stava vedendo; doveva imparare a vedere con la vista. Vedeva, ma non conosceva questo mondo per cui non riusciva a capirlo. Può darsi che avesse in larga misura riacquistato la vista, ma chiaramente l’uso degli occhi, il guardare, era ben lontano dall’essere una cosa naturale, per lui; aveva ancora molte delle abitudini e dei comportamenti di un uomo cieco.9 Ed effettivamente è un processo del tutto logi55


co; per riconoscere una mela Virgil doveva annusarla, toccarla… solo tenendola tra le mani poteva vederla, perché per lui la mela era quello frutto che al tatto si percepiva in quel modo. Non aveva alcun riferimento o immagine visiva della mela. Iniziò quindi delle vere e proprie lezioni per imparare a vedere con la vista, che però gli complicarono l’esistenza. Soprattutto per quanto riguardava il concetto di distanza, che proprio non riusciva a concepire facendo capo unicamente alla vista. Altrettanto complesso era concepire la prospettiva. [...] gli riuscisse difficile collegare le forme visive delle colline con le percezioni tattili che aveva sperimentato camminandovi sopra in passato.10 La sua mente era confusa, quasi preferiva il mondo di prima perché per lui molto più semplice; i colori però lo avevano subito attratto, ne rimase incantato. Non riusciva a capire cosa fossero, ma gli piaceva la sensazione che essi gli davano. Ad ogni modo, qualsiasi forma che poteva percepire al tatto, per lui non aveva alcuna corrispondenza con quella visiva, ragion per cui doveva basarsi unicamente sulla sua memoria. Tutto il suo mondo andò in confusione e doveva cercare dunque di fondere in maniera funzionale il suo mondo al nostro; proprio perché: [...] da una vita intera stiamo imparando a vedere: un mondo che non ci viene dato, ma che noi costruiamo attraverso un susseguirsi incessante di esperienza, categorizzazione, memoria, riconversione.11 Nel film emerge in larga misura quanto Virgil vivesse bene nella sua cecità e volesse continuare a viverci. È difatti un massaggiatore che piace molto alle donne e che con il suo charme (di cui gran merito è dato dalla cecità), non ha problemi con il rapportarsi con la gente. Il suo mondo attira molto la giovane donna che in seguito diventerà la sua fidanzata, che lo spingerà poi nel sottoporsi all’operazione. Virgil è molto titubante, ma alla fine decide di tentare. Riacquisterà un benessere morale unicamente quando perderà nuovamente la vista tornando a vivere nel suo mondo cieco; la sua bella quotidianità. Virgil è dunque un esempio positivo del vivere la propria mancanza, perché non percepita come tale. Rimane senza alcun dubbio, a mio parere, considerare il fatto che la cecità sia vissuta in maniera 56


positiva unicamente perché era la sua normalità; oserei affermare in parere personale che se una persona dovesse perdere la vista nel corso della vita, la vivrebbe in tutt’altra maniera. Vorrei accennare al momento in cui Virgil, nel film, apre gli occhi per la prima volta, dopo l’operazione. Per me è stata la scena più memorabile e significativa del filmato: si percepisce solo dolore, la luce gli fa male e le persone paiono paurose. Un po’ di spaesamento e lo sentiamo dire impaurito che qualcosa dev’essere andato storto, perché quello che gli sta accadendo non poteva voler dire vedere. Le immagini qui riportate sono quelle prese da quel preciso momento, in cui viene rappresentato il suo modo di vedere.

La cecità è stata sfruttata anche in maniera comica, lo vediamo per esempio nel film “Hoollywood Ending”di Woody Allen. Commedia del 2002 in cui il protagonista è interpretato dallo stesso Woody Allen (che in realtà sembra interpretare la sua stessa biografia). Un’opera a mio parere geniale, che tratta la cecità per mettere in risalto una realtà. Il protagonista è Val Waxman, un regista di successo ormai fallito, a cui viene offerto un film che gli avrebbe ridato il successo. Val accetta l’incarico seppur inizialmente un po’ titubante perché offerto dalla sua ex moglie che sta per sposarsi con il produttore di alto calibro di questo film. La sera prima delle riprese, però, Val diventa cieco ed in presa al panico vuole abbandonare tutto. Il suo agente però lo convince a non dire nulla mantenendo l’incarico, perché ha in mano un film di alto livello. Val viene quindi convinto nel dirige il film da cieco. 57


Le comiche iniziano in un susseguirsi di gag divertenti causate dalla sua cecità. Nel corso del film si viene a scoprire che la sua cecità in realtà è una cecità isterica, per cui psicologica e quindi curabile. Il film termina con Val che riacquista la vista e può vedere finalmente il suo girato. Rimane vergognato dal prodotto che è senza dubbio mal riuscito, ma viene comunque fatto uscire nelle sale. Le critiche sono negative e Val si sente rassegnato; l’unico beneficio tratto da quest’esperienza è stato quello di riavvicinarsi alla ex moglie. Vi è però, come nella maggior parte dei suoi film, il buon finale a sorpresa: il film è stato criticato in maniera negativa a New York, città in cui è stato prodotto, ma inaspettatamente ha ricevuto numerose critiche positive ed apprezzamenti dalla Francia, posto in cui si trasferirà con la sua ex moglie per ricominciare una vita da grande regista. Il film si chiude sulle parole di Val che, riferendosi alla ex moglie, le dice Senti… ma lo sai che sei bellissima? Ogni marito dovrebbe diventare cieco per un po’ 12. La cecità è dunque usata come metafora per porre attenzione sull’importanza delle cose e delle persone che molto spesso significano molto per noi, ma a cui non poniamo attenzione. Solo perdendole, ne riscopriamo il valore.

Un’altra scena divertente quanto altrettanto emozionante è quella che troviamo ne “Il favoloso mondo di Amélie”, film del 2001 scritto e diretto da Jean-Pierre Jeunet. Vi è una parte in cui Amélie incontra un cieco per strada e, prendendolo di sorpresa sottobraccio, gli fa percorrere la città descrivendogli tutto ciò che accade attorno a loro che lui non può vedere. Sembra essere lo stesso lavoro che si vuole fare in questa tesi, ma che qui viene svolto nella maniera opposta; nel documentario di tesi infatti l’autore sarà il cieco che raccontarà il mondo circostante, esponendo dettagli a noi vedenti che senza di lui potremmo non cogliere.

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Su questo stesso concetto si basa un progetto lanciato dalla città di Lugano e messo in luce durante il LongLake Festival Lugano 2015. Il progetto è stato chiamato “Sight”13 e ha come protagonista delle postazioni poste in vari punti della città, in cui si trova un telefono. Si può alzare la cornetta ed ascoltare testimonianze di persone cieche, sia dalla nascita che diventata, sul loro modo di vedere. Gli spettatori sono dunque invitati nel percorre le strade della città, guardandole con un arricchimento nuovo. Infine si vuole citare una pubblicità della CocaCola14, che sfrutta il buio per parlare di identità. Dopo aver visto questo video, ho immediatamente pensato alle mie stesse parole riguardanti le etichette che noi diamo alle persone, e che Dante invece non aveva dato. Non si possono valutare le persone per il loro aspetto esteriore, perché vorrebbe dire etichettarle, e CocaCola sostiene che le etichette servono solo per le lattine. La pubblicità inizia con un esperimento: 6 persone di varie nazionalità e con caratteristiche identitarie differenti, vengono messe sedute allo stesso per parlare tra loro. La stanza però è totalmente buia, ragion per cui nessuno di loro riesce a vedere gli altri, ma si conosceranno unicamente tramite le proprie parole. Quando si accendono le luci le reazioni sono emozionanti, ed iniziano a parlare di quanto successo. Gli viene comunicato di guardare sotto la prorpria sedia dove trovano una scatola. Al suo interno vi sono due lattine che portano la scritta “Labels are for cans not for people.”

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Note: 01. Paolo Repetto, “La visione dei suoni”, p.11 02. Michel Chion, L’ audiovisione. Suono e immagine nel cinema”, p.07 03. Stefania Antonioni, “Vedere il profumo”, p.99 04. http://www.geagea.com/31indi/31_14.htm 05. José Saramago, “Cecità”, p.276 06. http://www.cavazza.it/vedereoltre/2009-1/Sito_colombini.html 07. Martin Brest, “Scent of a Woman”, min.01:59 08. Cristiano Bortone,“Rosso come il cielo”, min.24:25 09. Oliver Sacks, “Un antropologo su marte”, p.171 10. Oliver Sacks, “Un antropologo su marte”, p.173 11. Oliver Sacks, “Un antropologo su marte”, p.167 12. Woody Allen, “Hollywood Ending”, min.01:43 13. http://longlake.ch/eventi/27375-sights--4/ 14. http://tv.liberoquotidiano.it/video/11808477/Coca-Cola--lo-spot-al.html

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“ Voi avete una visione

«televisiva» del mondo, mentre io ce l’ho «radiofonica». Ma va benissimo, io nemmeno la vorrei quella visiva, perché io vedo così: attraverso i suoni io guardo il mondo. E lo vedo benissimo.

Dante Balbo 61


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2.2 Intento artefatto

Nel progetto di tesi l’intento è quello di non presentare la cecità come assenza di un qualcosa o in tono negativo, in quanto non sarebbe in sintonia con il pensiero del soggetto, ma bensì estrapolarne la parte positiva trattandola come una particolare pienezza; una mancanza che scaturisce un valore. Si vorrà mostrare la cecità unicamente come un modo di vedere diverso; sfruttando la comunicazione visiva per riuscire a mostrare una visione della realtà differente da quella con cui conviviamo. Il soggetto non sarà tanto la persona cieca o la cecità, bensì la sua visione particolare delle cose.

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2.3 Stato dell’arte, forma

Nella prima parte di stato dell’arte, in cui sono ricordati solo gli esempi più rilevanti per l’intento progettuale, ci si è voluti fare un’idea generale sul come è stata presentata la cecità o come è stata presentata una persona cieca a livello più che altro concettuale; a seguire invece vi è una ricerca che raccoglie stimoli visivi e tecniche che possono essere utili per potersi indirizzare verso un’idea di realizzazione e carattere visivo da dare al progetto.

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Visione generale

Tutti gli esempi che vengono qui riportati (tranne l’ultimo), sono progetti trovati su “Vimeo”, ragion per cui verrà segnalato il nome dell’autore come trovato sulla sua pagina. Inizialmente vengono presi in considerazione dei documentari su persone non vedenti, che servono dunque per potersi fare un’idea di riprese o approcci con cui potersi confrontare, mentre a seguire verranno presentati alcuni video in cui si è trovata interessante la presentazione stessa della cecità legata alla creazione di effetti visivi.

Sulla pagina del “The New York Times” è stato trovato il documentario “Notes on Blindess”. Il progetto ha come protagonista la storia di John Hull, uomo che perse la vista con il tempo. Dopo essere diventato completamente cieco, l’uomo registrò su videocassette il suo diario, materiale preso e sfruttato per creare il documentario. Ad accompagnarci nel suo racconto abbiamo dunque la sua voce narrante originale, accompagnata da riprese in parte originali ed in parte ricostruite per supportare le parole. Dalle riprese emergono 67


le sensazioni del personaggio, che il più delle volte si sofferma nel voler cogliere elementi in cui esso si perde nel voler percepire il mondo circostante. Interessante le riprese e la fotografia adottata nel documentario prodotto dalla “Brigade Visual Support”. Un documento che con carattere entra nell’intimità di questa persona, che dettaglio per dettaglio impariamo a conoscere. Viene preso come buon esempio per l’utilizzo delle inquadrature, che con ordine ci presentano e mettono in risalto elemento imortanti per conoscere questo personaggio tanto insolito quanto comune. Vengono messe in risalto le mani, il modo che ha di muoversi, il gesticolare, il modo di vestire, il modo di porsi. Si riportano qui di seguito inquadrature trovate più interessanti, che potrebbero essere da stimolo anche per il documentario di tesi.

Mike Ritche ci racconta una storia commovente, in cui la cecità del figlio porta il padre al volersi avvicinare alla visione del bambino per poter vivere nella sua stessa sintonia. La sua visione è stata rappresentata, a mio parere sfruttando il mare anche in maniera metaforica, in questo modo.

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Pixel Noizz ha interpretato e rappresentato la cecità come un susseguirsi e sovrapporsi di segmenti, che in alternanza riempiono e svuotano lo spazio.

Un lavoro trovato molto interessante e suggestivo, è un progetto trovato sulla pagina di Andy Galletly, montatore del video che ha come autore Craig Murray. In esso la cecità è stata mostrata attraverso la deformazione di una città, sia per quanto riguarda la parte visiva che sonora.

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Arrivando infine all’astrazione più totale, in cui abbiamo un film estremamente evocativo: “Blue” di Derek Jarman. Film del 1993 costituito da un unico fotogramma blu (l’International Klein Blue) e da suoni e parole dello stesso Jarman. Un film che venne considerato come il suo testamento filmico. La colonna sonora del film è composta da Simon Fisher Turner ed il soggetto del filmato diventa la parola stessa del regista, che racconta la sua vita e la sua filosofia artistica. Un documentario estremamente suggestivo che attraverso suoni e parole ci evoca immagini visive presentandoci la vita del regista. L’opera è stata girata, nello stesso momento in cui Jarman diventò cieco...

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3. artefatto

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3.1 Riprese video

In questo capitolo si entra nel vivo del progetto, esponendo gli intenti e le scelte apportate per sviluppare l’artefatto. Vengono mostrati tutti i passaggi volti alla produzione del documento visivo, dalla progettazione alla sua realizzazione. L’intero progetto è nato grazie alle parole di Dante, che man mano hanno arricchito le mie idee progettuali. Il fatto di averlo prima conosciuto e solo in un secondo momento aver deciso di trasformarlo nel mio soggetto di tesi, è stato rilevante proprio per concepirne il progetto. Scoprire il suo mondo ed il suo modo di approcciarsi ad esso, è stata un’esperienza che mi ha molto toccata emotivamente, e che dunque mi ha portata nel voler scoprire sempre più cose legate al suo modo di vedere. Per cui ci siamo dapprima incontrati un po’ di volte unicamente per il piacere di parlare, e solo dopo vari mesi è scattata la voglia di svilupparne un documento visivo in merito. Persona interessante ed adeguatamente arrichente in prospettiva di una tesi in comunicazione visiva; sia per quanto riguarda il suo modo di vedere, sia del suo modo di comunicare. Una volta deciso di svilupparne un documentario, si avevano già le conoscenze necessarie per poterlo concepire. Sia dal punto di vista concettuale che di contenuto.

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Premessa

Il documentario che si andrà a realizzare, ha come scopo quello di mostrare la cecità come un modo diverso di vedere. Non si vuole affrontare il tema della cecità vista come una mancanza, o vista come fonte di paura ed in maniera negativa, in quanto non sarebbe in sintonia con il pensiero del soggetto. Dante difatti afferma che per lui la cecità ha un valore, in quanto come mancanza porta ad una diversa pienezza. Ragion per cui si vorrà far trasparire quest’aspetto facendone risaltare il valore aggiunto.

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Sinossi

Conoscere una persona che vede il mondo in modo diverso, ci aiuta a percepire dettagli di una realtĂ che a volte lasciamo sfuggire.

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Soggetto

Un personaggio di cui conosciamo solo le mani e la bocca, si prepara una tazza di caffè ed inizia a viaggiare con la mente. I suoi pensieri ci vengono comunicati dalla sua voce narrante che ci trascina con lui nel suo mondo. Un modo fatto di parole, da suoni e da colori; come egli ci mostra. La sua ammirazione per le parole, ci porta ad entrare in dettaglio in quella che racchiude il significato di “mercato”. Un mercato tanto uguale quanto diverso da quello visto comunemente dalla gente. La sua visione particolare ed i suoi gesti insoliti, ci trascinano accompagnati dalle sue parole in questo mercato apparentemente surreale, che è però intrinseco in lui. Finito il viaggio, ne verrà finalmente mostrato il volto sulle sue stesse parole che affermano quanto la sua cecità lo porti a poter comunicare un mondo che altrimenti non potrebbe essere comunicato.

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Motivazioni

La fascinazione creata dalla conoscenza di questa persona, mi ha portata al voler presentare la sua visione al mondo anche ad altre persone, dimostrando quanto vedere sia un atto assolutamente complesso e soggettivo per ognuno di noi. Soprattutto quanto sia articolato e formato anche da tantissimi altri fattori che non sono legati alla vista, quali i suoni, gli odori, la cultura, l’esperienza… e dall’altra parte anche quanto spesso non ci rendiamo conto che anche noi vedenti, vediamo senza la vista in molte situazioni. Il suo racconto e la sua percezione del mondo mi hanno talmente colpita, che ho deciso di dare visione alle sue parole con l’intento di far vivere la stessa sensazione da me provata parlando con lui, a chiunque si ritrovi con il mio documentario tra le mani. L’intento qui non è parlare di cecità o mostrare una persona non vedente, è già stato fatto molte volte. Qui si vuole presentare il suo punto di vista, cercando di comprendere il suo modo particolare di vedere. È la voglia di provare ad entrare nel suo mondo intrinseco nel suo pensiero, che si è creato nel tempo e che continua a crearsi attraverso i nostri stessi stimoli (tranne chiaramente quelli visivi), ai quali a volte non poniamo attenzione. Ci si vuole far raccontare la sua realtà, e sfruttarla come stimolo per poter trasferire in maniera visiva una stessa realtà tanto uguale quanto diversa dalla nostra. Il soggetto difatti non dovrà tanto essere la cecità come tantomeno Dante, bensì la sua stessa visione particolare del mondo. 83


Tra le tante, la caratteristica che più mi ha colpita è stata quella di non percepire alcuna mancanza di visione parlando con lui; le sue parole erano complete. Al suo mondo non sembrava mancare nulla, e attraverso la sua comunicazione riusciva a farmi immaginare tutto, quasi a vedere di più. L’immagine non era mai assente, nelle sue parole. Questo è il motivo che mi spinge nel voler mantenere ignota la sua identità fino alla fine, per non dichiarare da subito la sua cecità mostrandone dunque solo un modo diverso di vedere. Senza svelare questa differenza da subito, si porrà più attenzione al significato importante delle sue parole, che sono uguali alle nostre ma utilizzate in maniera diversa, che ci mostrano e ci permettendo di vedere il nostro stesso mondo sotto un altro punto di vista. Proprio i racconti, e il linguaggio verbale, sono il “terreno comune” sul quale impostare un confronto tra percezione di un non vedente e un vedente. Non per tradurre in immagine visiva quanto da lui percepito (la cosa a mio avviso risulta semplicemente impossibile), ma per riportare la qualità delle associazioni verbali, in relazione alle immagini, in un prodotto video. Il nostro modo di percepire e pensare si fonda, attraverso tutti i sistemi di segni che utilizziamo, su paragoni, associazioni, analogie. Su tale argomento, tradizionalmente, se ne è occupata la retorica, e questa, intesa come arte delle associazioni, appartiene ad ciascun uomo per comunicare.

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“ La parola per me

se non è spessa di significato, non significa niente. Dante Balbo

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Note di regia

Si vuole entrare nell’intimità di questa persona, senza farne percepire la presenza della videocamera. Il personaggio dovrà rimanere nascosto, per cui le inquadrature saranno giocate tra inserti e silhouette, che siano in grado di dare un’idea della persona, ma non dichiarata. Cambieranno invece le inquadrature nel mercato che saranno girate a camera a mano facendone percepire così i movimenti irregolari, per poter entrare più in sintonia con il soggetto che cammina nel mercato spostando la sua attenzione di continuo, travolto da impulsi sonori, olfattivi e soprattutto da tutte le voci ed i movimenti delle persone. In generale il documentario sarà formato da due ambientazioni; la prima che funge da base narrativa e la seconda da suo pensiero. Il documentario sarà difatti ambientato in uno spazio chiuso ed intimo, luogo in cui il soggetto si chiude per suonare il pianoforte e per farsi un caffè lasciandosi andare tra i pensieri che sentiremo in voce over. A volte però dovrà renderci più partecipi e dunque lo vedremo parlare dritto in camera portarci con lui in questo luogo che egli definisce come straordinario: un mercato. Il mercato sarà la seconda ambientazione, in netta contrapposizione alla prima. Qui il soggetto verrà stimolato da impulsi esterni che interagiranno con lui e che vedremo avvolgerlo in un esperienza ai suoi occhi fantastica. Da lì in avanti ci sarà un continuo scambio tra le riprese del reale e quelle del suo pensiero. Tutte le informazioni che ci dirà, saranno le chiavi di lettura per poter comprendere come dover guardare il suo mercato; 87


a partire dalle frasi iniziali, fino alla descrizione dei colori che ci fornirà tra uno stacco e l’altro. Per entrare nella sua visione, però, non basta ascoltare le sue parole che ci aiutano a capire dove la sua attenzione si pone, bensì si vorrà entrare in soggettiva rendendo visibile il suo immaginario. Non si vorrà banalizzare il lavoro con delle scene nere, in quanto andrebbe innanzitutto a cadere l’intera sorpresa, ed in secondo luogo sarebbe molto poco interessante e controproducente. Ed è lui il primo ad affermare che non si sente al buio. Si chiederà dunque a lui stesso che cosa stava immaginando in determinate situazioni e si cercherà di riportarle visivamente su schermo in maniera più fedele possibile, quanto allo stesso tempo per forza di cose frutto della mia interpretazione personale. L’intento non è quello di mostrare il suo modo di vedere, in quanto sarebbe impossibile, bensì quello di sfruttare le sue parole per crearne delle immagini che mostrino un modo diverso di guardare il mondo, basato sulla sua particolare visione della realtà. Per lo stesso motivo l’intero video sarà in bianco e nero: perché non si vuole macchiare di colori che fanno parte della nostra realtà, la sua realtà. I colori utilizzati saranno dunque solo quelli da lui dettati che troveremo nelle soggettive astratte. Importante sempre ricordare che non si vuole far capire da subito che il soggetto sia una persona non vedente (e dunque in primo luogo mai cadere negli stereotipi del bastone bianco e degli occhiali neri), in quanto si vuole mostrare solo il suo modo di vedere che ai nostri occhi apparirà a volte diverso dal nostro. Lo stesso gioco avverrà nella visione dei suoi gesti che potranno sembrare tanto normali quanto insoliti rispetto i nostri. Ragion per cui il video sarà composto da continui salti temporali e spaziali che da una parte offriranno più informazioni quanto dall’altra confonderanno il più possibile lo spettatore; mostrando un personaggio che potrebbe apparire come uno scrittore molto interessato alle parole? Oppure un pianista che cerca di tradurle in suoni? Ad un certo punto potrebbe apparire anche come un pittore che cerca di tradurre le parole in colori... Approfittando anche del fatto che la persona parla con il nostro stesso linguaggio e dunque utilizzando la parola vedere e guardare allo stesso modo di una persona vedente, si vuole render dubbiosi gli spettatori fino a portarli man mano nella chiarezza sempre 88


più nitida. Per rimanere nel gioco dell’incertezza, l’inizio del video sarà introdotto da una sua particolare caratteristica: quella di non voler utilizzare il bastone bianco. Si aprirà dunque la scena con il dettaglio dei suoi piedi che camminano contro il marciapiede per potersi orientare. Agli occhi di chi guarda potrà essere un dettaglio che può attirare attenzione sul personaggio come allo stesso tempo un dettaglio che sfugge, ma che probabilmente prenderà risalto la seconda volta che si guarderà il filmato. Si vuole mostrare dunque questa persona come un soggetto pensieroso e misterioso, ma con anche quel tocco di ironia che a volte emerge in qualche risata. Man mano, da alcune sue parole e da alcuni suoi gesti, si potrà intuire che la persona è cieca, ma lo si dichiarerà solo alla fine mantenendo un certo livello di incertezza durante tutto il filmato. Quando finalmente la sua dichiarazione avverrà e si parlerà dunque di cecità, lo schermo sarà nero per la prima volta, mostrando l’effettiva sua sensazione di buio in cui vive. Sarà però solo un’assenza di interpretazione visiva, magari più fedele alla realtà, ma meno adeguate alla sua visione; in quanto si ritengono più vere le immagini astratte che il nero reale. Perché è vero che Dante vive nel buio, ma è altrettanto vero quanto egli sostenga il contrario: «No, per me il nero non esiste, io non vedo nero, non so nemmeno cosa voglia dire vedere nero! Il buio per me esiste quanto non esiste, perché non so cosa sia; a livello visivo. Il buio per me è l’assenza del suono, lì mi sento al buio. Altrimenti no. Non posso nemmeno dire che vedo nero, in quanto in realtà proprio non vedo, perché mi manca il senso visivo. E in realtà non so nemmeno cosa voglia dire vedere come voi. Però penso… penso a tantissime cose. Vedo, ma a modo mio. Non mi sento al buio, perché la mia visione è piena di associazioni, ricordi, immagini, parole, emozioni, colori… » Questo stesso buio gli permette dunque di poter vivere in un posto straordinario ogni volta che si trova in un mercato. Un posto che prende vita dalle situazioni reali circostanti, ma che si sviluppa all’interno del suo pensiero. Un posto dunque che è comune a tutti, ma che diventa straordinario dal momento che viene visto attraverso la sua particolare esperienza. Un posto intrinseco nella sua mente, che si vuole condividere con voi. 89


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Personaggio

Dante Balbo, psicoterpeuta, non vedente dalla nascita.

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Sceneggiatura

Non si ha una sceneggiatura vera e propria, in quanto l’intero discorso sarà creato per intero dal soggetto. Per questo motivo la sceneggiatura è stata scritta unicamente fino al momento in cui interverrà la parola, dopodiché è stata stilata una serie di domande da porre durante l’intervista, in modo da ottenere il discorso voluto, ma creato dalle sue risposte spontanee. Saranno fatte nell’ordine in cui si crede di montare il video. Per cui dapprima saranno domande più generali fino a toccare il dettaglio dei colori. Si ha già un’idea di risposta creata da tutti i discorsi fatti fino ad ora, ma mai registrati appositamente per questo lavoro. Gli sarà da subito chiesto di rispondere alle domande in maniera più generale possibile, senza mai accennare al fatto che lui sia una persona non vedente. Ricordando invece alcune frasi dette in passato, gli si chiederà di ridirle tale e quali, come per esempio tra le più importanti quella che verrà utilizzata come frase finale: «Per me la cecità ha un valore, in quanto come assenza produce una diversa pienezza.» Oppure si ricorda la prima volta che mi ha parlato della sua importanza verso le parole: «Per me le parole sono importantissime; la memoria semantica, il significato e soprattutto lo spessore delle parole è importante. Per me la parola se non è spessa di significato non significa nulla». E qui da subito si era agganciato ai colori: «Anche i colori per me sono parole, a cui ho dato un significato in base al vostro utilizzo e alla mia esperienza. Mi sono creato un mondo semantico attorno ai colori… vuoi sa93


pere cos’è il blu? Per me il blu è al tatto è una crema densa… il blu è come il suono dell’eco nell’acqua… è il riposo in un posto caldo… è… il blu è…» qui subito io gli ho detto che era interessante perché a noi il blu fa pensare alla sensazione di freddo, mentre è il rosso ad evocarci una sensazione di calore, e lui ha risposto subito «No, certe volte il blu è freddo, ma solo quando è lucido. Altrimenti è morbido, no? Perché… No! No, no il rosso è troppo caldo! Il rosso è caldo vivo! È caldo da scottarsi… è… il rosso è come la corrente che passa nella pelle…» Quando gli ho chiesto del giallo è scoppiato in una risata «Il giallo?! Il giallo è una crema molto meno densa del blu, dal punto di vista tattile. Il giallo è un po’ come un gioco, il giallo è divertente, è… è come la faccina che strizza l’occhio con la lingua di fuori! Oppure come quei vestiti africani a pois; con tutte quelle palle colorate. Il giallo è così, penso». E da qui era scaturita un’ulteriore domanda per chiarire una mia grande incertezza, ovvero quella di capire come potesse parlare di immagini. Non riuscivo a capire come era possibile che lui mi parlasse di un mondo visivo se non lo vedeva, perché mi accennava a strutture o oggetti in maniera assolutamente naturale come se li vedesse, e non riuscivo a comprenderne il processo. Mi ha risposto che per lui è un continuo processo di traduzione, dal nostro mondo al suo «No, no, io non vedo nulla. Io sto traducendo in linguaggio visivo quello che percepisco. Che però è una cosa diversa dalla mia realtà. E faccio molta fatica a codificare il vostro mondo al mio e il mio al vostro in continuazione, ma devo farlo per poterci vivere! Non so come dire… quando io penso al mercato, se devo essere sincero, ho in mente la mia esperienza personale di camminare su di un asfalto irregolare, con la sensazione dell’aria intorno… con l’ombra acustica delle bancarelle più o meno alte con le tendine o senza, con i profumi dei vestiti, del salame, del pollo, delle spezie, dell’incenso, del formaggio e del… non so… o del niente quando ci sono i gioielli… cioè, capisci cosa voglio dire? Ecco, tutto questo insieme, io lo chiamo mercato e probabilmente assomiglia un po’ al mercato che vedi tu, solo che tu lo vedi dal punto di vista visivo e io lo vedo più che altro dal punto di vista acustico. Ma non potrei definire il mercato in una parola sola, perché per me il mercato è tutto questo».

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Storyboard

Lo stesso discorso si ripercuote sulla stesura dello storyboard; che è stato realizzato unicamente per la parte iniziale di intervista, mentre per quella del mercato sono stati stilati gli intenti da tenere in considerazione durante le riprese, accompagnati da qualche idea di inquadratura. Essendo, le riprese al mercato, riferite più che altro all’esperienza stessa, è possibile sì pianificarne i contenuti, ma non prevederne tutte le azioni. Si cercherà dunque di coglierne più dettagli possibili, tenendo sempre ben presente che l’obiettivo non è quello di far vedere il mercato, ma unicamente i dettagli di esso costituiti dai gesti e dal camminare di Dante, che non dovrà mai apparire né per intero né tantomeno in volto. A seguire la sceneggiatura accompagnata dalla lista di domande che si porranno a Dante durante l’intervista; e successivamente lo storyboard dell’intervista di cui, all’ultima scena rappresentata, seguiranno le riprese del mercato.

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1. EST. STRADA - SERA Dante cammina con i piedi contro il marciapiede. Avanza fino ad un portone e lo apre con le chiavi. 2. INT. CORRIDOIO - SERA Attraversa il corridio in silenzio. Sale le scale. Ed entra in una stanza. 3. INT. SALA CAFFÉ - SERA Dante si prepara il caffé. E si siede al tavolo concedendosi un momento di riflessione. (VOICE OVER) DISCORSO DI DANTE RIGUARDO IL SUO MODO DI VEDERE, DETTAGLI IMPORTANTI 4. INT. SALA PIANOFORTE - SERA Dante si siede davanti alla tastiera. Un attimo di pausa ed inizia a suonare. (IN) MUSICA SUONATA AL PIANOFORTE PENSANDO AD UN MERCATO 5. INT. SALA CAFFÉ - SERA (VOICE OVER) DISCORSO DI DANTE RIGUARDO IL SUO MODO DI VEDERE: COS’È UN MERCATO Si perde nei pensieri, immaginando un mercato... (OFF) RUMORE CUCCHIAINO CHE GIRA IL CAFFÈ NELLA TAZZINA

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Qui di seguito le domande che si porranno:

01.

Descrivimi il tuo mondo. Da cosa è composto?

02.

Qual’è la tua percezione della realtà? Come vedi?

03.

Ti manca la vista, cosa non ti manca?

04.

Che rilevanza hanno per te i suoni? Quanto ti permettono di vedere?

05.

Tutte queste immagini che mi descrivi, cosa sono nella tua mente?

06.

Ricordo gli scritti che mi avevi fatto leggere. Non mancava nulla del senso visivo. Per cui mi chiedo quanto siano importanti e che significato abbiano per te le parole… il tuo modo di comunicare.

07.

Cosa sono per te i colori?

08.

Descrivimi il blu.

09.

Descrivimi il rosso.

10.

Descrivimi il giallo.

11.

Mi parli spesso del marrone…

12.

Cosa sono per te le persone? Come e cosa guardi di loro?

13.

C’è una relazione tra i colori ed i sapori, i suoni, gli odori, e le persone?

14.

Non hai paura di non vedere? Cos’è per te il buio?

15.

E che cos’è il nero? E il bianco? La luce?

16.

Cosa significa per te la cecità? Come la vivi? 97


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Camera fissa PRIMO PIANO

Dante cammina contro il marciapiede.

SCENA 1

passi SUONO DIAGETICO IN

A

Camera fissa INSERTO

Dante apre la porta.

porta SUONO DIAGETICO IN

B

Camera fissa MEZZO BUSTO

C

porta SUONO DIAGETICO IN

Silhouette Dante che entra.


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Camera fissa PRIMO PIANO

Dante sale le scale.

passi SUONO DIAGETICO IN

D

Camera fissa MEZZO BUSTO

Dante sale le scale.

corrimano SUONO DIAGETICO IN

E

Camera fissa MEZZO BUSTO

Dante entra nella stanza senza accendere la luce.

passi SUONO DIAGETICO IN

F


100

Camera fissa INSERTO

Dante prepara il caffé.

SCENA 2

caffé SUONO DIAGETICO IN

A

Camera fissa MEZZO BUSTO

Dante si siede al tavolo.

SUONO DIAGETICO IN

B

Camera fissa INSERTO

C

VOICE OVER

tazzina SUONO DIAGETICO IN

Dante gira il caffé con il cucchiaino.


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Camera fissa PRIMO PIANO

D

tazzina SUONO DIAGETICO IN

Dante gira il caffé con il cucchiaino, e si perde nei pensieri.

Camera fissa INSERTO

E

tazzina SUONO DIAGETICO OFF

Dante gira il caffé con il cucchiaino, e si perde nei pensieri.

Camera fissa PRIMO PIANO

F

tazzina SUONO DIAGETICO IN

Dante gira il caffé con il cucchiaino, e si perde nei pensieri.


102

A

pianoforte SUONO Camera fissa DIAGETICO IN PIANO AMERICANO

Dante suona il pianoforte, (Pensando al mercato).

SCENA 3

Camera fissa INSERTO

B

pianoforte SUONO DIAGETICO IN

Dante suona il pianoforte, (Pensando al mercato).

Camera fissa INSERTO

C

pianoforte SUONO DIAGETICO OFF

Dante suona il pianoforte, (Pensando al mercato).


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Camera fissa SOGGETTIVA

D

pianoforte SUONO DIAGETICO IN

Dante suona il pianoforte, (Pensando al mercato).

E

Camera fissa pianoforte SUONO PRIMISSIMO PIANO DIAGETICO OFF

Dante suona il pianoforte, (Pensando al mercato).

Camera fissa CAMPO LUNGO

... mercato

pianoforte SUONO DIAGETICO IN

F Dante suona il pianoforte, (Pensando al mercato). Da qui inizia la visione del mercato...


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Fattibilità

Le riprese nel mercato saranno girate nel mercato di Luino sia per una questione di fattibilità organizzativa sia per una questione di efficacia del prodotto. È difatti un mercato abbastanza grande e sempre pieno di gente, che dunque permetteranno una maggior interazione tra le persone oltre che un ricco tappeto sonoro. Si girerà a camera a mano e con due microfoni: una “perche” che seguirà il personaggio per registrarne i suoni ambiente, ed un “cravattino” per registrarne il racconto del soggetto. Dante avrà il compito di dire tutto quello che vede e come lo vede, dagli stimoli sonori a quelli olfattivi a quelli percettivi… Chiaramente non passeggerà da solo per il mercato, ma con una persona che lo accompagnerà sottobraccio per una questione di maggior sicurezza e fattibilità. È lui il primo ad avermi detto che da solo al mercato non ci andrebbe mai, perché troppo complicato. Per cui ci sarà una persona che aiuterà Dante nel muoversi, io che lo seguirò con la macchina fotografica per le riprese, e R. Studer che ci seguirà con la “perche”. Si chiederà a Dante non solo di esporci tutti i suoi punti di attenzione, ma anche di interagire con i venditori e di parlare anche della visione della gente che lo circonda. Verrà in seguito tagliato e montato l’intero audio per crearne una narrazione, che si impegnerà nel raccontare una storia il più ricca possibile di caratteristiche particolari verso questa sua singolare visione di mercato.

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Le riprese in casa invece, saranno tutte studiate per crearne una narrazione che crei supporto all’intero documentario. Essendo non vedente si è consapevoli da subito che le riprese saranno da gestire in maniera non convenzionale, comunicando con lui attraverso punti di attenzione diversi. Sarò io a dover cogliere i suoi gesti e movimenti per soddisfare i miei intenti progettuali, attraverso le indicazioni che io gli darò all’inizio di ogni ripresa; queste saranno però riferite unicamente all’azione della scena e non alla scenografia o fotografia che dovrò gestire in maniera autonoma da lui. Queste scene saranno girate nel suo ufficio, in cui si troverà sia la possibilità di poter fare il caffè sia di suonare la tastiera. Essere in un luogo a lui famigliare è chiaramente la ragione principale, per questioni di comodità e per poter rendere la situazione il più gestibile possibile. Allo stesso tempo è il luogo in cui ci siamo sempre incontrati, ragion per cui anch’io ho la conoscenza necessaria per poter immaginare le inquadrature delle scene e riuscire stilare uno storyboard su di un luogo che già conosco.

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“ L’assenza della vista

mi costringe, in un qualche modo, a leggere il mondo in maniera diversa. Dante Balbo

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3.2 Soggettive astratte

Come già accennato, all’interno del filmato vi saranno delle riprese in soggettiva; offrire il punto di vista del soggetto è difatti il maggior punto di interesse del documentario ed anche l’elemento che lo caratterizzerà. Le soggettive però, come già accennato, non vorranno essere nere, perché prive di carattere, scontate, ed anche non oneste verso il soggetto. L’intento è quello di voler mostrare, o meglio render visibile nella forma in cui vi è la possibilità, la visione di questa persona. Non vi è alcun dubbio che sarà impossibile poter trasferire su schermo la sua reale percezione del mondo, e non è nemmeno questo l’obbiettivo. L’intenzione è quella di riuscire ad offrire nella maniera più fedele possibile la visione del suo mondo che è, per forza di cose, basata sulle sue stesse parole. Queste sue parole saranno trasformate immagini per renderle visive.

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Processo

Il processo di realizzazione è avvenuto per fasi. La prima è stata quella in cui ci si è resi conto che mancava qualcosa alle soggettive, mancava una forma. Non potevano essere nere. Dopo aver fatto qualche ragionamento in merito, si è capito che se l’intenzione era quella di presentare il suo punto di vista, allora bisognava entrare nella sua mente e riuscire a rendere visibile il suo immaginario. Non era sufficiente sentirci raccontare gli stimoli ricevuti, ma bisognava conoscere anche il suo pensiero. Occorreva sapere cosa immaginava mentre passeggiava per quel mercato. Per questo motivo ho preso immediatamente in mano il telefono ed ho scritto a Dante per chiedergli quali immagini, emozioni, sensazioni, ricordi o colori abbinerebbe all’esperienza fatta al mercato. Ero, ammetto, molto speranzosa ed allo stesso tempo anche molto fiduciosa della sua risposta; conoscendolo mi aspettavo un’interessante e altrettanto poetica sua opinione in merito, e soprattutto con un’interessante visone di colori che non volevo perdere; ho voluto sfruttare la fortuna di aver conosciuto una persona cieca dalla nascita che mi parlasse di colori. Soddisfando le mie aspettative, la sua risposta è stata talmente articolata ed interessante che ho capito che la strada da percorrere era quella. Ragion per cui si è sviluppato di conseguenza tutto un processo di traduzione del suo mondo fatto di parole in immagini visive. Alle pagine seguenti la sua risposta.

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Prove

Dopo aver fatto le prime prove con delle riprese di mucche a cui veniva cambiato il colore abbinandone quello dettato da Dante, ci si è resi conto che in realtà nelle sue “visioni” nulla doveva essere rappresentato in maniera figurativa. Perché è vero che Dante ha pensato a delle mucche, ma è anche vero che in realtà le sue mucche non sono come le nostre in quanto le percepisce in maniera differente, proprio perché non le ha mai viste. Ha una concezione e visione di mucca differente dalla mucca “reale” che noi vediamo. Per questo motivo si è iniziato a distruggere l’immagine rendendola irriconoscibile, se non nei movimenti.

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Domande e risposte

Appena mi sono sentita sicura del processo e del risultato, ho spiegato a Dante che mi sarebbe servito fare lo stesso lavoro per per ogni minima situazione. Ragion per cui mi sono fatta dire quale immagine e colore ha abbinato ad ogni suono, odore, gusto, o persona incontrata. Il mio lavoro è stato di conseguenza quello di cercare di trasferire nella maniera più fedele possibile le sue parole in immagini. Nelle pagine seguenti sono riportate in ordine: la situazione da rappresentare, la sua risposta, un frame della ripresa video riferente l’immagine detta, ed infine un frame della ripresa modificata. Le riprese sono state girate in base alle proprie possibilità e disponibilità; spesso si è cercato di ricreare una situazione simile. Per esempio, se si parla di persone e non si ha il filmato originale, si è filmato in un secondo momento altra gente per cercare di rievocare le stesse sensazioni e movimenti similari. Nel caso dei personaggi con cui è entrato in contatto, è stata sfruttata la loro stessa immagine per poter abbinare il colore nella situazione reale.

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Situazione

Risposta Dante

01. Vestiti e stoffe: rumore della carta e profumo della stoffa

Il rumore della carta mi fa pensare a dei negozi, perché nei centri commerciali ci sono sempre tutti questi suoni dei sacchetti della gente... Il profumo della stoffa invece era blu indaco e marrone carta da zucchero

02. Scarpe: rumore delle scatole e profumo della pelle

Il rumore delle scatole era un colore di erba bruciata, come un verde asciutto, ruvido. Era un colore secco. Il profumo della pelle invece mi fa pensare agli animali, in particolare ai cavalli. (approfondimento al n.14)

03. Tenda: rifrazione acustica e rumore della tenda

Il rumore della tenda mi ha fatto venire in mente un ricordo: ho immaginato dei burattini in mezzo a dei sacchi di juta. Quindi un marrone di legno grezzo, non lucido. Come una corteccia. Un giallo autunnale, non vivace, ma scuro invernale.

04. Signora con carrello: rumore delle ruote sull’asfalto

Ho pensato al ferro, al grigio ferro. E poi ho pensato ai treni, al rumore delle rotaie dei treni... come se il carrello della signora si amplificasse e diventasse lo sferragliare di questo treno merci. Mi aveva divertito!

05. Uomo e radio sullo sfondo: voce uomo e suono radio

L’uomo aveva una voce tranquilla e pacata, per cui direi che era di un bel blu e rosso caldo. Perché sai che che per me il blu è un colore caldo! Mentre la radio era di un azzurro stridente ed un verde molto acceso.

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Ripresa video

Modifica

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Situazione

Risposta Dante

06. Signora con buon profumo: odore di sapone

Ah sì, sì, sì! Quel profumo era senza dubbio giallo chiaro e azzurro.

07. Sardine: odore delle sardine

Verde, ovviamente! E puoi metterci anche un po’ di viola. Sì perché è un colore che salta... verde e viola direi.

08. Venditore dei prosciutti: voce dell’uomo e sapore del prosciutto

Lui era un insieme di arancione morbido e di giallo chiaro. E a sprazzi aveva anche del grigio, perché aveva quella voce rauca. Mentre il prosciutto è giallo crema.

09. Venditore dei salami: atteggiamento uomo e sapore del salame al peperoncino

Nella calma marrone è intervenuto quell’uomo esuberante, direi che era come delle macchie di giallo o di verde intenso. Il salame piccante invece era verde lucido e a tratti viola, perché non lo capivo bene. E sai che io il viola non riesco a collocarlo.

10. Signora del luogo: voce della donna che diceva “prova, prova!”

Lei era grigia e gialla. Non so perché, ma il grigio mi fa sempre pensare a quelle gonne lunghe, come dei grembiuli. E per me lei era così.

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Ripresa video

Modifica

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Situazione

Risposta Dante

11. Venditrice dei formaggi: atteggiamento donna e tatto e sapore formaggi

Lei era una signora davvero molto gentile e carina. Era gialla perché allegra, ma anche con delle macchie di lilla, se per lilla intendi un colore vivo, ma non prepotente. Il formaggio è giallo e marrone. Un giallo carico, ma molto tenue; un po’ come la terra.

12. Bambino che piange: urla del bambino

Blu elettrico, assolutamente. Non è il blu tranquillo e della calma, qui il blu si trasforma in un blu potente, forte, e violento; un blu che spacca.

13. Montaggio di un gazebo: rumore dei tubi vuoti

Tra quei rumori c’erano tutti i colori; in particolare però risaltavano il rosso e il verde vivace.

14. Vestiti, scarpe e borse: profumo della pelle

Il profumo della pelle mi fa pensare automaticamente agli animali. In particolare immagino il cortile di un castello con dei cavalli che si preparano a partire per la caccia. La pelle profuma di rosso e a tratti è blu.

15. Uomo che suona con la sega suono musica

Ah... sì, che bello! Quella musica era la tranquillità del mare. Ed era di un blu e giallo acceso. Un blu forte, calmo e profondo che mi trasportava tra le note, accompagnato da quel giallo vivace delle onde.

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Ripresa video

Modifica

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3.3 DVD

Il documentario verrà presentato su DVD, in quanto si vuole rendere più vendibile il prodotto offrendone un supporto concreto. La custodia permette infatti di poter suggerire di primo acchito uno stimolo visivo verso chi guarda, permettendogli da subito di farsi un’idea del contenuto. La sinossi, la scelta delle immagini e la grafica adottata sono mezzi per poter comunicare in parte il contenuto del prodotto, nella misura in cui serva da stimolo per visionare il filmato. Quello che in questo determianto caso si vuole suggerire, è la presenza di un’intervista accompagnata da un qualcosa che non si riesce ad identificare. Si vuole proporre difatti un primo spiraglio di visione verso le soggettive astratte, lasciando così che si crei la curiosità nel voler capire cosa esse siano. Non dovranno però essere dichiarate per forza di cose come contenuto, in quanto a prevalere dev’essere l’idea che il filmato sia per lo più composto da riprese che ci presentino un personaggio. Il titolo e la sinossi, abbinate alle immagini riportate, dovranno dunque sembrare tanto chiare quanto allo stesso tempo il contrario, creando così curiosità a riguardo.

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Un posto straordinario

Un posto straordinario

Conoscere una persona che vede il mondo in modo diverso, ci aiuta a percepire dettagli di una realtà che a volte lasciamo sfuggire.

TESI DI LAUREA IN COMUNICAZIONE VISIVA SUPSI DI TREVANO, CH MODULO U700, A.A. 2015

UN POSTO STRAORDINARIO Un documentario di VALENTINA D’ANNUNZIO

Relatori FRANCO CAVANI RICCARDO STUDER

Durata: ca.13 min Lingua: Italiano

MOV - Compressione H264 Risoluzione 1024x576 px

Colore

Presentato da SUPSI | DACD | CV

16:9 PAL

SUPSI DACD CV PRESENTA VALENTINA D’ANNUNZIO CON L’AIUTO DI FRANCO CAVANI, RICCARDO STUDER “UN POSTO STRAORDINARIO” CON DANTE BALBO DANTE BALBO, VALENTINA D’ANNUNZIO RIPRESE E MONTAGGIO VALENTINA D’ANNUNZIO RIPRESE AUDIO RICCARDO STUDERMUSICA DANTE BALBO PROGETTO TESI DI LAUREA IN COMUNICAZIONE VISIVA “VEDERE SENZA VEDERE. LA PAROLA COME NARRAZIONE VISIVA” SUPSI LUGANO - CH RELATORI FRANCO CAVANI, RICCARDO STUDER RESPONSABILI DAVIDE GRAMPA, LAURA MORANDI, LUCA MORICI, CARLO VINTI COPYRIGHT SETTEMBRE 2015 UN FILM DI

SCENEGGIATURA

di Valentina D’Annunzio con Dante Balbo

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Un posto straordinario

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Il rosso è caldo vivo; è caldo da scottarsi! Il rosso è come la corrente che passa nella pelle.

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Dante Balbo

- UN D OCUM ENT ARIO DI V A LE N

No! Il rosso è “ …troppo caldo!

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, ISIVA

Il blu è... come il rumore dei suoni nell’acqua; è l’eco di un ricordo. È come il riposo in un posto caldo.

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al tatto è “ Ilunablucrema densa.


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4. osservazioni

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4.1 Constatazioni finali

Al termine di questa ricca esperienza, si possono trarre per concludere due principali considerazioni: 1. La parola è l’elemento che, in questo caso, lega e mette in rapporto questi due mondi e 2. Il “terreno comune” è insito nel meccanismo di associazioni mentali che avvengono durante l’atto di vedere. Tenendo presente che anche le parole sono a loro volta associazioni. Dall’intervista emerge difatti quanto Dante sia avvolto in un continuo rapporto di immaginazione, scaturito soprattutto da suoni e profumi, che lo portano ad associare determinate “immagini” ad altri stimoli sensoriali. Le “immagini” pensate sono legate in particolare modo a suoi ricordi e quindi, evidentemente, sono sempre frutto della sua personale esperienza sia culturale che di vita personale. Le associazioni di Dante, che vengono prodotte tramite un proprio sistema di segni, sono senza dubbio differenti dalle nostre, ma i meccanismi sono gli stessi. Ecco dunque la conferma che vi è un’analogia tra vedente e non vedente nel pensiero associativo; di cui anche le parole fanno parte.

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4.2 Prospettive di ricerca

Quella che è stata appena proposta è solo un’inizio di quella che potrebbe essere la continuazione di un progetto più grande. Dopo queste prime considerazioni in merito, sarebbe interessante continuare lo studio verso i rapporti che che legano la persona non vedente al mondo dei vedenti. Le ricerche sull’importanza della parola e sull’uso del linguaggio che permette di comprendere tra questi due mondi, potrebbe essere uno degli ulteriori argomenti da approfondire successivamente; magari in prospettiva di progetti che riescano a mettere in relazione la visione di più persone non vedenti tra loro.

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Il viola è un colore che non riesco a collocare; lo so che è un incrocio tra il rosso e il blu, ma proprio non riesco a capirlo. È un colore molto strano e a sé stante. A pensarci un po’, però... se il blu è un colore calmo ed è il colore della notte, ed il rosso è la passione e l’eccitazione, allora il viola è quella via di mezzo. È un colore del passaggio. È come.. ecco sì, il viola potrebbe essere il colore del bagnasciuga. Sai, quando sei sulla spiaggia...e cammini sulla riva, e hai i piedi nell’acqua, però di fatto sei sulla spiaggia, e c’è l’acqua che ti bagna i piedi; però non sei ancora in acqua perché sei sulla spiaggia, ma in realtà non sei più sulla spiaggia perché oramai hai l’acqua ai piedi... ecco, quello lì secondo me è il viola: è un colore che non sa dov’è. Dante Balbo

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Commento personale

Questa tesi è nata da un susseguirsi di scoperte e continue nuove idee da voler sviluppare. Una curiosità portava ad un’altra che a sua volta ne trascinava con sé un’altra ancora; continuò così fino al punto di essersi resi conto di aver fatto un grosso giro di 360°, che infine è tornato al punto di partenza. L’ultima fine è diventata quindi il nuovo inizio che già era nascosto nei primi intenti di tesi, ma che ancora non era sufficientemente chiaro per poterlo vedere. Dopo tutto questo lungo percorso, il risultato è stato quello di aver realizzato un prodotto che ha racchiuso in sé tutti gli interessi nati durante il tragitto. La ricerca è quindi stata essenziale per avermi portata al raggiungimento di quel che volevo ottenere: il documentario che avete tra le mani. Tutti i cambi idee sono stati quindi estremamente favorevoli alla riuscita, perché senza di essi non avrei mai raggiunto quest’ultima. Ma d’altra parte mi hanno fatta trovare in grande difficoltà quando ero quasi al termine della tesi, ed ho dovuto “ricominciare” il progetto; la situazione è stata un po’ scomoda: il tempo e le energie rimaste per lo sviluppo del nuovo lavoro erano oramai scarse e la consegna era ben troppo vicina per riuscire a concretizzare un artefatto ed un dossier progettuale del livello che avrei voluto. Mi sono quindi sentita, per mia stessa colpa, in obbligo nel dover fare una scelta: o dedicare le mie ultime energie al prodotto, o al dossier progettuale. La scelta è caduta sul prodotto. Seppure io abbia cercato di dare il “massimo”, il dossier non è 143


del livello che avrei voluto raggiungere; in quanto sono consapevole del margine di approfondimento che esso permetterebbe. D’altra parte però, mi sento comunque contenta dei risultati ottenuti, proprio perché frutto di tutti gli insegnamenti ricavati da quest’esperienza; che è stata in realtà molto più ricca di quel che sono riuscita a concretizzare su carta. Sono riuscita, però, ad esporla nel video-documentario di cui mi sento molto appagata; non ho alcun dubbio che tutto il tragitto percorso sia servito per arrivare qui. È stata un’esperienza da cui ho imparato tantissimo, soprattutto dagli sbagli. (Per lo stesso motivo riporto in bibliografia i libri più importanti letti durante il percorso di tesi che, anche se non sono più stati citati in queste pagine, sono comunque stati essenziali nel concepirne il progetto). Il tema è considerato come un intresse a cui non porre una fine; penso difatti che svilupperò ancora qualcosa in merito. L’artefatto invece è chiaramente considerato concluso per quel che ci si era predisposti di fare. Una caratteristica che difatti mi lascia contenta del risultato, è quella di poter considerare il mio video-documentario autonomo, che non ha bisogno di ulteriori supporti per potersi far comprendere. L’intero progetto riesce quindi, a mio modesto parere, a presentarsi completo grazie al solo filmato. Allo stesso tempo, però, non mi sento ancora completamente sazia, e probabilmente continuerò nella progettazione di documentari affini a questo. Grazie a quest’occasione, ho infatti scoperto la bellezza del documentario che apre infinite possibilità di narrazione, a cui prima, ingenuamente, non avevo mai posto attenzione. In generale rimango quindi soddisfatta del video. Ci sono, come ogni volta, dettagli che forse avrei trattato in un altro modo, ma credo sia normale non sentirsi mai completamente soddisfatti, e per come la penso io va benissimo così; perché quando ci si sentirà raggiunti, vorrà dire che ci si fermerà. Dante sorrideva emozionato quando gli ho mostrato il lavoro terminato. Vederlo così felice, mi ha fatto provare un brivido talmente grande che in un attimo si sono sconfitte tutte le sofferenze affrontate durante la tesi. La soddisfazione più grande è stato questo risultato.

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Ringraziamenti

Il ringraziamento più grande va da subito al mio relatore Franco Cavani, per aver creduto in me sin dal primo giorno. Lo ringrazio per la pazienza che ha avuto nel sopportarmi tutti questi mesi tra crisi e lamentele, continui momenti euforici e continui cambi idee. Lo ringrazio per non avermi mai fatta accontentare, ma avermi sempre spinta ad andare oltre e fare di più. Grazie per aver avuto un’aspettativa sempre più alta. Lo ringrazio per essere riuscito a farmi tornare sulla giusta strada quando stavo per perdermi, di continuo. Lo ringrazio per avermi fatto arrivare al raggiungimento di quel che volevo ottenere, anche a costo di qualche litigio benevole. Grazie per avermi fatta cadere per poi essere riuscito a rialzarmi. “Quando ti affezioni ad un’idea, devi cambiarla”. E soprattutto lo ringrazio per tutti gli insegnamenti dati in 3 anni; che in gran parte si ripercuotono su quelli di vita. È una persona di cui le parole rimarranno presenti in tutto il mio futuro in maniera particolare. Per cui grazie Cavani, perché ricorderò per sempre il tuo “D’Annunzio!” con forte emozione. Ti ho fatto impazzire, lo so; ma ce l’abbiamo fatta. Il mio correlatore Riccardo Studer per tutto il tempo dedicatomi sia per la produzione che per la post-produzione del filmato. La continua gentile disponibilità nell’aiutare, sia sul set che in post-produzione, è stata di fondamentale importanza per la riuscita del prodotto. Lo ringrazio per avermi detto le giuste paro145


le nel momento del bisogno. Grazie per avermi aiutata così tanto, forse anche più di quel che avresti dovuto. Grazie per esserti sempre reso disponibile senza alcuna restrizione, anche a costo di svegliarsi alle cinque e mezza del mattino per andare al mercato. Tra i ringraziamenti più importanti vi è chiaramente quello rivolto a Dante Balbo, per la sua continua gentile voglia di accompagmarmi nel suo mondo. È stata un’esperienza che non dimenticherò mai, in particolar modo perché con essa ho conosciuto una bellissima persona. Lo ringrazio per tutto il tempo dedicatomi e per la grossa pazienza avuta nei miei confronti. Non dev’essere stato facile sopportarmi nel mio continuo “È l’ultima volta, lo giuro”, che però non lo era mai. E tu ogni volta lo sapevi, ma non ti sei mai tirato indietro. Ho molto ammirato il tuo generoso entusiasmo e la grande voglia di aiutare. Per cui grazie Dante perché senza di te questo lavoro non sarebbe potuto nascere; ti ringrazio per avergli dato vita e soprattutto per aver deciso di averlo fatto crescere mettendoti in gioco. Michele Amadò per avermi dedicato del tempo quando avevo bisogno di chiarirmi le idee. Lo ringrazio per l’ammirevole gentilezza portata nei miei confronti e per l’importante aiuto bibliografico datomi ad inizio tesi. Grazie Michele, i tuoi aiuti e consigli sono sempre stati molto importanti per sviluppare il mio progetto. Ringrazio la mia famiglia per il sostegno e la pazienza portata nei miei confronti durante questi mesi. Il primo grazie va alla mia sorellina Cristina di 6 anni, per tutti gli insegnamenti che mi ha dato e soprattutto per aver sopportato una sorella che a volte non aveva la testa per giocare con lei. Gigliola per le frasi di conforto e Jenny per la treccia con la Nutella di mezzanotte. Ed in particolare ringrazio mio papà, per non aver mai dubitato di me ed avermi sempre dato la carica per andare avanti. Soprattutto lo ringrazio per la grossa possibilità che mi ha dato nell’avermi regalato questo percorso formativo di Bachelor avendomi sempre sostenuta. Da sempre. Grazie papà, per quel giorno in cui mi ha detto “Sono fiero di te, continua così”. Mi hai dato l’emozione giusta per affrontare il futuro che mi aspetta. 146


Un ringraziamento va ovviamente anche tutti i miei compagni di classe per la fantastica esperienza vissuta insieme, dalle risate ai momenti di crisi. L’aver vissuto questa storia come vita comune. Un percorso pieno di su e giù, incredibilmente accrescitivo ed emotivo. Assolutamente significativo e pieno di momenti di vita. Tre anni vissuti in compagnia di una famiglia che porterò per sempre con me, ovunque io vada. In particolare ringrazio Thiago Espiandola per essere sempre stato disponibile nell’aiutare ed essermi sempre stato accanto in tutti questi anni, Dewisss Prior per la compagnia di routine e tutti i favori soprattutto quelli riguardanti il mio futuro londinese, Giulia Villa per le lunghe chiacchierate e per avermi sempre ascoltata, grazie per non avermi mai detto “no” quando chiedevo aiuto. Valentina Berger per tutti gli aiuti e i gentili favori tecnici, Alice Giambonini per avermi bastonata più volte bloccando i miei momenti di euforia, Diana Iennaco per avermi invece tirata su di morale nei momenti di crisi, Laura Ludovica Buccinnà per averci accompagnato al mercato durante le riprese, Marina Oliveira per essere sempre stata presente nel momento in cui avevo bisogno di parlare (sia di questioni scolastiche che personali), Lara Pilcante per la compagnia delle tre del mattino e Leonardo Signori per non avermi mai capita. E ancora Alessandro Serravalle, Edy Radice, Rebecca Guzzo, Valentina Meldi, Stefania Barbarotto, Valentina Lokumcu; ed infine le assistenti Jessica Gallarate e Michela Vögeli per avermi sostenuta moralmente nel momento di grossa crisi. Non posso non ringraziare in specifico Ylenia Bruzzese, Alexia Chiapuzzi, Diana Iennaco, Yana Zucchetti e Dewis Prior, per l’avermi letteralmente salvata quando ormai ero con l’acqua alla gola, regalandomi senza esitazione alcune riprese video che mi sono servite per realizzare le soggettive astratte del mio documentario. Ed un ringraziamento speciale va a Sabrina Tambani per la sua ammirevole gentilezza che ha avuto nei miei confronti; grazie per il tempo che mi hai dedicato e per avermi aiutata spontaneamente nella fase di ricerca fornendomi idee e libri utili. Non mi conoscevi, 147


eppure sei sempre stata disponibile nell’aiutarmi. Ho molto ammirato questa tua lodevole e sincera gentilezza. Nicla Borioli, Hubert Eiholzer, David Induni e Laura Massa per il tempo dedicatomi offrendomi un grossissimo aiuto nella fase progettuale, quella dell’inizio, in cui dovevo capire cosa fare. Davide Grampa per avermi invece “sgridata” quando ne avevo bisogno. Ringrazio Jean Soldini e Adriano Pitschen per gli importanti aiuti bibliografici, e Chiara Pollaioli per avermi fornito il libro di Sergio Cigada ormai introvabile. Ed un grazie generale va a tutte quelle persone che si sono interessate al mio lavoro e in un qualche modo mi hanno suggerito aiuti tramite frasi dette, idee, spunti o fonti consigliate, fascinazione per il progetto, fiducia in me. In particolare faccio i nomi di: Riccardo Ambiveri, Jonas Bianchi, Andrea Bocci, Aris Dotti, Timothy Hofmann, Reza Khatir, Martina Jacoma, Luca Morici, Nikita Merlini, Mario Pagliarani, Jason Pagnamenta, Lucia Regazzoni, Elia Schneider, Federico Soldati, Boris Tarpini e Matteo Vegetti. Ed in particolare Giulia Galli per quell’importante chiacchierata notturna. E da ultimo, ma non di importanza, ringrazio anche chi ha giudicato il mio lavoro in maniera negativa; perché le critiche servono a migliorarsi ed andare avanti. Le critiche servono a risolvere; perché è solo grazie alle delusioni che non ci si accontenta. Infine ringrazio te, che pur non essendoci più riempi le mie giornate; da quando mi hai salutata ti porto con me. Ti ringrazio per darmi la forza di andare avanti, i tuoi insegnamenti mi accompagnano da una vita; lo hanno fatto in quella passata e lo faranno in quella futura. Un enorme grazie dunque a tutti voi per avermi sostenuta nello sviluppo di questo intenso lavoro. È nato con voi. È nato grazie a voi.

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Bibliografia consultata

Libri

Stefania Antonioni, “Vedere il profumo. Polisensismo pubblicitario e sociologia visuale”, tratto da “In altre parole. Idee per una sociologia della comunicazione visuale”, a cura di Patrizia Faccioli, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2001 Daniele Barbieri, “Guardare e leggere. La comunicazione visiva dalla pittura alla tipografia”, Carrocci Editore, Roma 2011 Pierre Boulez, “Il paese fertile. Paul Klee e la musica”, a cura di Paule Thévenin e Guillemette Denis, Leonardo Editore, Milano, 1989 Lelio Camilleri, “Il peso del suono. Forme d’uso del sonoro ai fini comunicativi”, MIST Edizioni, Toscana, 2014 Roberto Calabretto, “Lo schermo sonoro. La musica per i film”, Marsilio Editori, Venezia, 2010 Michel Chion, “L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema”, a cura di Dario Buzzolan, Lindau edizioni, Torino, 2001 Sergio Cigada, “Sull’autonomia dei valori fonetici nella poesia”, Editrice vita e pensiero, proprietà letteraria riservata, Milano, 1969 Giorgio de Cricco e Francesco Paolo Di Teodoro, “Itinerario nell’arte. Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri”, Volume 3, Zanichelli Editore, Bologna, 2005 Umberto Eco, “La struttura assente. La ricerca semiotica e il metodo strutturale”, Bompiani Editore, Milano, 1968

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Michel Foucault, “Questo non è una pipa”, a cura di Roberto Rossi, Fata Morgana edizioni, Milano, 1988 Vassilij Kandinskij, “Il suono giallo. E altre composizioni sceniche”, a cura di Gabriella Di Milia, Abscondita SRL Edizioni, Milano, 2002 Wassily Kandinsky e Arnold Schönberg, “Musica e pittura”, a cura di Jelena Hahl-Koch, Abscondita SRL Edizioni, Milano, 2012 Ingeborg Kohn, “Charlie Chaplin. La stella più luminosa del cinema muto”, Portaparole Edizioni, Roma 2005 Maurice Merleau-Ponty, “Il visibile e l’invisibile”, a cura di Pier Aldo Rovatti, Studi Bompiani, Gallimard edizioni, Parigi, 1964 Maurice Merleau-Ponty, “L’occhio e lo spirito”, a cura di Anna Sordini, Gallimard edizioni, 1964 Bruno Munari, “Design e comunicazione visiva”, Laterza editori, Roma-Bari, 2009 Paolo Repetto, “La visione dei suoni. Arte - Musica”, Il Nuovo Melangolo edizioni, Genova, 2013 Dina Riccò, “Sentire il design. Sinestesia nel progetto di comunicazione”, Carrocci Editore, Roma 2008 Murray Schafer, “Il paesaggio sonoro”, a cura di Nemesio Ala, Ricordi LIM Edizioni, Milano, 2006 Oliver Sacks, “Un antropologo su marte”, a cura di Isabella Blum, Adelphi edizioni, Milano, 2010 Oliver Sacks, “Musicofilia”, a cura di Isabella Blum, Adelphi edizioni, Milano, 2012 José Saramago, “Cecità”, a cura di Rita Desti, Giacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2010

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Articoli

Luca Barra e Simone Carlo, “Sound and the City. Schermi, stazioni e paesaggio sonoro urbano”, Dottorato di ricerca in Culture della Comunicazione, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2009 Dina Riccò, “Sinestesia della musica. Interscambi fra immaginazione sonora e rappresentazione visiva”, Articolo pubblicato in Horus Musicus, Numero 14, aprile-giugno 2003 Marshall McLuhan, “Un dialogo diretto con il gran sacerdote della cultura pop e il metafisico dei media”, Intervista di Playboy, a cura di Luca Barra, Playboy magazine, marzo 1969 Alessandra Giuriola, “Blind blind blind. Il tema della cecità nella letteratura, nel cinema e nel teatro dalla seconda metà del Novecento ad oggi”, Tesi di laurea in Filologia e Letteratura italiana, Università Ca’ Foscari, Venezia, relatore Alessandro Cinquegrani, 2012 “Progetto Grafico” n.6, anno 3, giugno 2005, Periodico dell’Aiap, Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva

Tesi

Giulia Galli, “Audio-Vedere”, Tesi di Bachelor in Comunicazione Visiva, SUPSI, relatore Andreas Gysin, correlatore Riccardo Studer, 2012 Daiano Lazzarotto, “La forza del suono e il suo potere nella trasmissione della notizia”, Tesi di Bachelor in Comunicazione Visiva, SUPSI, relatore Federico Jolli, correlatore Vito Robbiani, 2012 Sabrina Tambani, “I gesti della musica. Visualizzare l’invisibile per scoprire le forme della musica sinfonica”, Tesi di Bachelor in Comunicazione Visiva, SUPSI, relatore Andrea Bocci, correlatore Franco Cavani, 2013

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Sitografia

BUIO IN SALA, di Silvia Colombini http://www.cavazza.it/vedereoltre/2009-1/Sito_colombini.html (ultimo accesso 13/08/2015)

LIBERO TV, “Niente logo, Coca Cola, lo spot al buio: mette intorno al tavolo il rocker, il disabile e l’islamico” http://tv.liberoquotidiano.it/video/11808477/CocaCola--lo-spot-al.html (ultimo accesso 17/08/2015)

LONGLAKE FESTIVAL LUGANO, “Sights. Installazione urbana - Percorso a piedi nella città di Lugano” http://longlake.ch/eventi/27375-sights--4/ (ultimo accesso 12/08/2015)

VIMEO, pagina di Andy Galletly https://vimeo.com/3024144 (ultimo accesso 13/07/2015)

VIMEO, pagina di Brigade Visual Support https://vimeo.com/99585787 (ultimo accesso 13/07/2015)

VIMEO, pagina di Mike Ritchie https://vimeo.com/32701348 (ultimo accesso 13/07/2015)

VIMEO, pagina di Pixel Noizz https://vimeo.com/6332147 (ultimo accesso 13/07/2015)

VIMEO, pagina di The New York Times https://vimeo.com/84336261 (ultimo accesso 13/07/2015)

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Filmografia

Film

“A prima vista” (“At first sight”), Irwin Winkler, Produzione USA, Genere sentimentale, 1999 “Cecità” (“Blindness”), Fernando Meirelles, Canada, Brasile, Giappone, Genere drammatico, 2008 “Blue”, Derek Jarman, Produzione Regno Unito, Genere drammatico, 1993 “Hollywood Ending”, Woody Allen, Produzione Stati Uniti, Genere commedia, 2002 “Il favoloso mondo di Amélie” (“Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain”), Jean-Pierre Jeunet, Produzione Francia, Germania, Genere commedia sentimentale, 2001 “Il gatto a nove code”, Dario Argento, Produzione Italia, Francia, Germania Ovest, Genere giallo, thriller, 1971 “Luci della città” (“City Light”), Charlie Chaplin, Produzione USA, Genere commedia sentimentale, 1931 “Profumo di donna”, Dino Risi, Produzione Italia, Fenere drammatico, 1974 “Rosso come il cielo”, Cristiano Bortone, Produzione Italia, Genere drammatico, 2005 “Profumo di donna” (“Scent of a Woman”), Martin Brest, Produzione Stati Uniti, Genere drammatico, 1992 “Terrore cieco” (“See No Evil”), Richard Fleisher, Produzione Gran Bretagna, Genere thriller, 1971

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Documentari

“Blind”, Mike Ritchie, 2012 “Notes on Blindness”, The New York Times, 2014 “Blind Guy”, Brigade Visual Support, 2014

Animazioni

“Blind”, Andy Galletly, 2009 “Blindness”, Boris Labbé, 2001 “Blindness”, Pixel Noizz, 2000

Pubblicità

“Labels are fot cans, not for people”, Coca-Cola del Medio Oriente, 2015

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VEDERE SENZA VEDERE La parola come narrazione visiva Tesi di Bachelor in Comunicazione visiva di Valentina D’Annunzio Relatore Franco Cavani Correlatore Riccardo Studer © 2015 SUPSI

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Un progetto di Valentina D’Annunzio

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