INFLUENCED - La pubblicità, dai manifesti ai post di Instagram

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Anno 2500 a.C. circa Ebla (60km sud-ovest di Aleppo, oggi Siria settentrionale) Una tavoletta di argilla viene affissa vicino ad una taverna. Rappresenta una donna con dei seni prosperosi e un boccale di birra, sotto c’è scritto: “Bevi Birra Ebla, la birra con un cuore da leone!” Oggi Camera di un adolescente Una pagina internet aperta sullo schermo riporta quattro diversi banner pubblicitari, precisamente targettizzati grazie alle informazioni carpite dai cookies di navigazione. Uno smartphone ha un’applicazione aperta, instagram, dove una ragazza bellissima e perfetta ti invita ad acquistare una bevanda dietetica. Dal salotto arriva il suono di una televisione accesa durante una televendita di materassi e dalla finestra, la luce di un insegna al neon dà un colore violaceo a tutto l’ambiente. La pubblicità è sempre stata una necessità per il commercio, ma dalla tavoletta di Ebla ad oggi le cose sono cambiate radicalmente, anche se la finalità è rimasta la stessa: creare consenso attorno alla propria immagine per trasformare il pubblico in consumatore. La pubblicità ci circonda in continuazione, dai manifesti, ai giornali e alla televisione, fino ad arrivare a comparire tra le foto dei nostri amici sui social, tramite banner e video promozionali, presenti in ogni pagina web. La pubblicità è da sempre una forma di comunicazione che può includere più livelli di messaggi, e non è volta solamente alla promozione di prodotti o servizi. Lo scopo della pubblicità è quello di stimolare una propensione al consumo o prima ancora un’intenzione all’acquisto. Per efficacia di una pubblicità, si intende quindi la capacità che ha quest’ultima di creare goodwill verso il prodotto (letteralmente: benevolenza, amicizia, simpatia), cioè evocare il desiderio, la convinzione che quel prodotto rappresenti una soluzione valida e desiderabile, anzi la migliore delle soluzioni possibili. 8


Schematicamente si può rappresentare con un soggetto A (l’emittente, il pubblicitario, l’azienda, il brand) che comunica un messaggio ad un soggetto B (noi, tutti noi, più o meno interessati al contenuto di quest’ultimo). Col passare del tempo la forma del messaggio, i canali di comunicazione e il processo di ricezione si sono evoluti, si sono rimpiccioliti, da manifesti pubblicitari a piccole immagini sugli schermi dei nostri smartphone.

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LA STORIA DEL MANIFESTO La storia della pubblicità è molto lunga, non si ha una data precisa in cui fu “inventata”, anche se non mancano ritrovamenti di forme pubblicitarie già nell’antichità, ma il vero punto di svolta nella forma e nella diffusione si ebbe con l’invenzione della stampa.

A destra: Henri de Toulouse-Lautrec, Moulin Rouge: La Goulue (1891). A sinistra: Leonetto Cappiello, Litografia per Cinzano Vermouth Torino. 10


La storia dell’immagine pubblicitaria va ricondotta, almeno inizialmente, alla storia del manifesto, che fu il primo mezzo ad avere delle specifiche caratteristiche pubblicitarie. Il manifesto era già nato prima delle ricerche di Jules Cheret e Lautrec, che ne fecero un riconosciuto mezzo espressivo con proprie regole; ma la programmazione della moltiplicazione dell’immagine (sempre piú rapida con il perfezionarsi delle tecniche di stampa), e il differente rapporto tra immagine e scrittura, sono fatti nuovi rispetto al passato. Anche in America, in Inghilterra, in Italia, sia pur differenziandosi per riferimenti culturali e scelte iconologiche, i manifesti vennero utilizzati, oltre che per la pubblicità per la propaganda. Un’esperienza fondamentale per la storia del manifesto e della pubblicità in generale, è stata quella del Bauhaus (1919) dove furono definiti i rapporti tra arte e industria. Dal clima del Bauhaus usciranno i manifesti scientifico-surrealisti di Herbert Bayer e quelli legati al razionalismo astratto di Moholy-Nagy che influenzeranno prima la grafica europea e poi quella nord-americana. I temi pubblicizzati dai manifesti sono spettacoli, prodotti del progresso industriale, biciclette, automobili, carburanti. La forma estetica è quella dell’avanguardia. La rivoluzione nella grafica del Bauhaus non è semplicemente formale, non è un fatto limitato all’invenzione di alcuni caratteri, all’applicazione di un metodo di composizione che ridistribuisce il testo nella pagina o all’applicazione della fotografia, ma di una vera rivoluzione del valore della scrittura. I caratteri sono progettati in relazione alla loro funzione. Al di là del mezzo manifesto questo è il periodo in cui la pubblicità diventa anche concetto e oggetto di studio tramite numerosi saggi. Da ciò nascono anche le prime pubblicità che devono il loro successo al fatto di essere fuori dai soliti schemi utilizzati fino ad allora, alcuni esempi notabile di pubblicità creative sono invece le rivoluzionarie iniziative di Citroen, nel 1923 tappezzò i palazzi con manifesti che recitavano la frase “Se questa settimana il tempo è bello guardate il cielo” mentre un aereo lasciava impresso nel cielo il suo nome; e nel 1925, quando illuminò la torre Eiffel con 200 mila lampadine che formavano il suo cognome.

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Sempre al 1925 risale uno dei primi trattati di tecnica pubblicitaria, in questo caso scritto da Daniel Stach, che definiva le cinque regole fondamentali di un messaggio pubblicitario. A distanza di un centinaio di anni queste regole sono sempre valide e sono diventate le basi per tutti coloro che si volessero approcciare a questo mestiere, in particolare il messaggio pubblicitario deve:

1. Essere visto, per questo deve essere necessariamente attraente;

2. Essere letto, quindi il pubblicitario deve far si che oltre ad essere guardato sia anche osservate;

3. Essere creduto, non può promettere ciò che non può dare, deve essere veritiero e l’acquirente deve potersi fidare;

4. Essere ricordato;

5. Spingere ad agire e questo il più delle volte si traduce in “comprare”.

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la pubblicità nel secondo dopoguerra Nel dopoguerra si assiste a una inversione di tendenza in campo pubblicitario: se, infatti, fino a quel momento erano stati i governi a indirizzare le ideologie di massa e a determinare la direzione del consenso, nel dopoguerra rinunciano a questa funzione lasciando spazio alla libera iniziativa nel campo dell’immagine e della pubblicità, stimolati dalla tendenza, già operante negli Stati Uniti. Dal manifesto, che era stato ancora nelle due guerre il mezzo principale per la diffusione dell’immagine pubblicitaria, accompagnato fino ad allora solo dalla radio, si passa rapidamente all’uso dei settimanali e dei cartelloni stradali. Con la pubblicità murale la comunicazione si sviluppa e, grazie all’opera di cartellonisti quali Leonetto Cappiello, Adolf Hohenstein, Giovanni Maria Mataloni, Leopoldo Metlicovitz e Marcello Dudovich diventa una vera e propria forma d’arte. In ambito statunitense si cominciano anche a elaborare dei particolari sistemi di persuasione che si avvalevano delle tecniche studiate da sociologi e psicologi.

pubblicità in movimento

L’importanza del manifesto come creatore e diffusore dell’immagine pubblicitaria diminuì moltissimo con l’avvento della pubblicità televisiva. Con la televisione la pubblicità si fa racconto, il messaggio si svolge nel tempo, le immagini non sono più fisse ma mobili, il fruitore non deve solo guardare ma anche ascoltare. L’immediata conseguenza a tutto ciò è che il mondo della pubblicità si arricchisce di nuove competenze; fino a quel momento il fotografo era quasi l’unico collaboratore esterno all’agenzia, che avesse un ruolo di rilievo; adesso, anche registi, producer, creatori di jingle e scenografi assumono ruoli di primo piano. 15


Il set si trasforma ne luogo d’elezione per la pubblicità degli anni ’70 e ’80: più del 50 per cento della spesa pubblicitaria è rivolta infatti al mezzo televisivo, di gran lunga minori sono invece gli investimenti su quotidiani, periodici, affissioni, radio e cinema. Del resto, la televisione, con la sua grande capacità di copertura è senz’altro il mezzo più adatto alla diffusione del messaggio pubblicitario. Ogni mezzo, infatti, viene valutato anche in base al rapporto tra il costo complessivo dell’operazione e il numero di persone che si ritiene possa raggiungere. Nel caso della televisione, anche se i costi sono estremamente elevati, il numero di persone che ogni giorno sono potenzialmente raggiungibili è talmente elevato da compensare largamente le spese. L’efficacia della pubblicità televisiva è inoltre determinata dalla possibilità di arrivare al fruitore non solo attraverso la vista ma anche attraverso l’udito; in questo modo, la possibilità che il messaggio giunga a destinazione si raddoppia. Un’esperienza pubblicitaria che merita di essere trattata a parte in quanto caso unico e limitato all’Italia, è stata quella di Carosello, andato in onda dal 1957 al 1977, che fece entrare in modo stabile la pubblicità nella vita degli italiani. Fu un’invenzione della Rai per regolare la pubblicità televisiva (allora appena agli inizi) cercando una formula che costituisse un punto d’incontro tra le esigenze degli inserzionisti e quella del pubblico. Ogni pubblicità aveva a disposizione 2 minuti e 15 secondi; 135 secondi dovevano essere dedicati a uno spettacolo non pubblicitario e solo gli ultimi 30 secondi al messaggio. L’esperimento si concluse per volere degli stessi inserzionisti che pagavano cifre troppo elevate per l’organizzazione dei Caroselli in confronto al tempo dedicato al vero e proprio messaggio pubblicitario.

la pubblicità Va online Il decollo del web negli anni ‘90 innescò cambiamenti profondi nella filiera dell’advertising, nei modi di gestire, creare e vendere pubblicità. La nascita sistematica del fenomeno del banner pubblicitario è da 16


attribuire alla nota rivista americana Hot Wired, che iniziò vendendo uno spazio pubblicitario cliccabile alla compagnia telefonica AT&T e spingeva il nostro soggetto B a quella che viene definita “call to action”. Il messaggio era semplice, la grafica basica, ma il banner ricevette un click dal 44% delle persone che visitarono quella pagina. Un’enormità rispetto ai dati attuali, infatti le statistiche odierne affermano che meno dell’1% delle persone che vede un annuncio online vi clicca sopra. Da questo momento in poi si inaugura quella che viene definita la Banner Era, i primi annunci infatti erano pubblicati in forma di banner, che venivano venduti alle aziende intenzionate a fare pubblicità, inizialmente tramite il sistema pay per click, che si trasformò presto in pay per action. Fino ad allora i brand investivano enormi quantità di denaro nelle strategie di marketing tradizionale; nel momento in cui si resero conto dei risultati che potevano ottenere attraverso internet, tutto cambiò. Per esempio, molte attività compresero che un messaggio tramite posta elettronica poteva essere molto più efficace di qualsiasi strategia pubblicitaria tradizionale. Inoltre, era molto più economico. La storia della pubblicità in internet cominciò a rivoluzionare ogni tipo di comunicazione. Già nel 1995 c’erano 16 milioni di utenti che navigavano in internet. Dalle attività più grandi fino ai più piccoli, tutti cominciarono a creare siti web e ad investire denaro nelle strategie di marketing on line con

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l’obiettivo di attirare traffico e potenziali clienti verso i propri spazi digitali. Nel 1997 arrivarono i primi annunci mobile. Si conta che tra il 1995 e il 2000 furono investiti 8,2 milioni di dollari in pubblicità online e fu in questo decennio che cominciò la rivoluzione dei pop up. Dovranno passare ancora alcuni anni prima di vedere la pubblicità comparire nei social network, i primissimi dei quali sono stati YouTube e Facebook. Ciò che offriva Youtube alle attività era promuovere i loro prodotti o servizi attraverso uno dei supporti più amati dai consumatori: il video, e tutto senza la necessità di investire troppo, con conseguente basso rischio. La prima pubblicità a comparire su Facebook invece fu un social ads per promuovere la carta di credito J.P. Morgan Chase. Da allora, con la massiva diffusione dei social network e degli smartphone, la pubblicità tramite social non ha fatto altro che evolversi, fino al punto di permettere a chiunque di diventare un “mezzo” per fare advertising, portando alla nascita degli influencer, che verranno trattati in maniera approfondita nei capitoli seguenti.

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Per concludere questa breve introduzione una considerazione personale: Chiunque può fare pubblicità, anche tra amici consigliandosi un libro, sta involontariamente pubblicizzando un prodotto. Questo perché ormai la pubblicità fa parte di noi, non è più solo un linguaggio bensì la seconda lingua dopo la lingua madre. Questo non deve spaventare, non deve autorizzare a demonizzarla, semplicemente deve farci da monito per ricordarci che, indipendentemente dal numero dei nostri followers, indipendentemente dalla nostra volontà (a volte), qualcuno è influenzato da noi e noi lo siamo da qualcun altro.

Fare pubblicità è unA responsabilità,

dato che tutti possiamo farla,

responsabilizziamoci!

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La voce “Influencer” compare tra i neologismi dell’enciclopedia Treccani solo nel 2017, ma nonostante la breve vita del termine, è una parola con la quale abbiamo a che fare quasi tutti i giorni, in questo capitolo cercheremo di capire chi sono, cosa fanno e come riuscire a fregiarsi di tale appellativo. Con l’avvento dei social network è diventato possibile per praticamente chiunque diventare un personaggio di successo e arrivare ad un pubblico che i mezzi di comunicazione pre-internettiani non avrebbero mai permesso, concedendo la fama e la popolarità a persone che, per chi vuol essere malizioso, non possiedono alcun particolare merito, se non quello di avere un profilo social ben curato e accattivante. Questo pregiudizio è voce di un sentimento che è sempre esistito nei confronti della popolarità, sin dai tempi della televisione: è più facile pensare che chi si trova in una condizione di rilevanza sociale o politica, sia lì per una serie di fortuite circostanze piuttosto che per merito effettivo e reale della persona. Essendo internet l’ultimo arrivato dei grandi media, è logico pensare che, finita l’era degli effimeri divi da reality shows, arrivi l’era degli ancor più effimeri influencer, coloro che basano la loro carriera su un mezzo di comunicazione molto meno solido e meno strutturato di un palinsesto televisivo da milioni di euro, sono per eccellenza i frutti di questa società dove chi è senza merito raggiunge il successo. Cerchiamo quindi di capire cosa è e cosa rende un influencer tale: per prima cosa possiamo dire che influencer non si nasce, si diventa (a meno che tu naturalmente sia figlio di due influencer, in tal caso il tuo destino è già ben avviato). Quelli che ottengono successo in questo campo sono coloro che sono riusciti a creare un personaggio che piace al pubblico dei social, e questo personaggio deve comunicare un messaggio, avere qualcosa da dire, che sia rilevante o che sia futile non importa, l’importante è che sia ben chiaro, nelle forme e negli intenti. Una volta creata una buona fan base di persone disposte ad ascoltarci è come essere i regnanti del proprio piccolo mondo, un mondo incentrato su di noi (o sul nostro lavoro) e sulla nostra vita, che diventa a questo punto una vetrina per mostrarla negli aspetti che più ci piacciono o ci fanno sentire fieri.

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Gli influencer sono ovunque e non parlano necessariamente ai giovanissimi e basta, ne esistono di tutti i tipi, ne troviamo infatti nella moda, nell’arte, nell’hi-tech, nei tutorial, ma anche nella politica e nella cultura, basti pensare ad i partiti nati sui social come movimenti popolari e diventati vere e proprie realtà politiche al governo. Il percorso dell’influencer è un percorso che ha un inizio ma non ha una fine ben definita e può sfociare in qualsiasi cosa, passando per tappe diverse a seconda delle storie personali, ma ciò che accomuna tutte le situazioni in cui una persona è seguita da migliaia di (o centinaia di migliaia di) persone è che, arrivati a questo punto, la propria persona diventa un canale di comunicazione privato, tramite il quale possiamo dire tutto quello che vogliamo, interagire con i nostri followers e fare della propria passione o della propria persona una vera e propria professione. I lavori che è possibile fare tramite social network sono dei più svariati, dalla promozione di brand e servizi esterni, fino alla creazione di qualcosa di proprio che possa diventare una vera e propria realtà aziendale, come avviene negli esempi più famosi. Allora perché una frase che sentiamo indirizzare spesso agli influencer è “trovati un lavoro”? Perché, sembra strano, ma la foto in una posa finta naturale, mentre sorseggiamo un drink in un posto da sogno, è, di fatto, un momento di lavoro.

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Lei è Chiara Nasti, giovanissima pioniera italiana del social marketing, e quello che vedete in foto è equiparabile ad un normalissimo spot pubblicitario. Infatti la seguitissima influencer conta i followers nell’ordine dei milioni, e questa popolarità le permette di ricavare un enorme profitto dal suo vasto pubblico. Facendo un paragone con una pubblicità “classica” che può passare in televisione, l’influencer marketing presenta una cospicua serie di vantaggi: La realizzazione di uno spot pubblicitario, specie se si ha la pretesa che risulti efficace, richiede una sceneggiatura, degli attori, degli operatori e altri mezzi costosi. Mentre per un post di instagram da un profilo personale (diverso è il caso in cui si parla di una campagna pubblicitaria di un brand) richiede al massimo un fotografo o un grafico, anche se nei casi più semplici è sufficiente uno smartphone. Uno spot pubblicitario passa in precise fasce orarie a seconda del pubblico che vuole colpire, ma la percentuale delle persone effettivamente interessate al prodotto che viene proposto è sicuramente inferiore, mentre un post su un social network è per forza di cose più targettizzato, e in maniera naturale. Infatti gli influencer sanno come reagisce il loro pubblico a seconda della proposta, e sono quindi in grado di regolarsi di conseguenza, senza menzionare il fatto che già per il fatto di far parte del pubblico o del seguito di un influencer presuppone che tu ne sia, almeno in parte, già interessato. Tutti possono usare i social network, quindi chi li usa, per quanto famoso, è una persona come noi. Partendo da questo presupposto è inevitabile che una persona che noi reputiamo “vera” ci influenzi molto di più poiché siamo in grado di rivederci, cosa che difficilmente succede nelle pubblicità che vediamo passare in televisione. In conclusione possiamo tranquillamente affermare che l’influencer marketing sta diventando il vero protagonista di questi anni, grazie ai suoi punti di rottura e continuità con la pubblicità tradizionale. Naturalmente anche questo è un mondo tanto nuovo quanto spietato e non è facile riuscire ad emergere quando tutti ci stanno provando, ma chi lo fa si approccia ad una professione totalmente nuova, figlia della società liquida in cui viviamo,

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che sarà il punto di partenza per una revisione totale del modo di intendere e creare la pubblicità che ci passerà sotto al naso negli anni a venire. Ragionando in questa ottica è giusto quindi considerare tutte queste variabili mentre, da genitori, giudichiamo frettolosamente gli idoli dei nostri figli, le loro passioni e i loro interessi, perché i tempi cambiano e la società con essi. Se i nostri padri sono cresciuti con il sogno (realizzabile) del lavoro fisso come punto d’arrivo, la casa e la famiglia come misura del successo personale; la nostra generazione conta molti meno punti fermi, il lavoro (quando c’è) cambia velocemente, si evolve e bisogna stare costantemente sull’onda per essere valorizzati, il successo personale diventa veramente personale (basta saperlo dimostrare), i confini e i riferimenti sociali si perdono e questo basta a creare un mondo in cui fa tutto un po’ più paura, tutto è un po’ più difficile, ma c’è un po’ più di speranza per chi si senta diverso, o per chi abbia qualcosa da dire. Tornando al nocciolo della questione, diamo fiducia a chi, nel proprio piccolo, ci prova a cambiare il mondo, o a reinventarlo, anche se questo ci può sembrare strano o incomprensibile, come un post su Instagram.

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Ho trovato doveroso aprire una piccola parentesi, in quanto persona coinvolta personalmente e attivamente in questo ambiente, per cercare di dare una visione completa del mondo dell’advertising soffermandomi anche sul suo aspetto etico. La pubblicità come la intendiamo genericamente tende ad essere associata solo alla sfera commerciale, ma in realtà stiamo parlando di un mondo enorme, che non è possibile definire in maniera positiva o negativa, bella o brutta, egoistica e utile solo al profitto da una parte e terreno fertile per il progresso umano e sociale dall’altra. Nell’opinione comune chi dichiara di fare pubblicità è visto come “venduto” , o comunque come una persona che cerca di vendere prodotti con il solo fine di guadagnare sulla pelle del cliente. Forse pochi, sicuramente non i più giovani, si ricordano delle “pubblicità progresso”. Dal 1971, Pubblicità Progresso, è una fondazione che dedica il suo impegno alla risoluzione di problemi morali, educativi e civili riguardanti l’intera comunità attraverso campagne pubblicitarie educative distribuite gratuitamente, alcune sono diventate anche molto famose e sono rimaste impresse nei ricordi di moltissime persone. Sebbene la fondazione continui ad operare indipendentemente, si può dire che il concetto di “pubblicità progresso” si sia evoluto e sia stato adottato dagli influencer. Non è certo una novità che le persone con un grande seguito si dedichino a lanciare messaggi positivi per il mondo, per l’ambiente o per la società, vedi ad esempio attivisti storici come Bono degli U2, Fela Kuti, Neil Young, John Lennon; sembra che adesso si sia diffuso un sentimento di consapevolezza circa l’essere celebri. La disinformazione ed il sensazionalismo che si sono creati intorno alla figura dell’influencer hanno contribuito a definirla in maniera erronea, un soggetto frivolo e superficiale, a prescindere dal fatto che fosse vero o meno. C’è da rassegnarsi però davanti al fatto che, ad oggi, chi ha più followers riesce ad essere ascoltato, quindi quando esiste un messaggio da veicolare, sono loro il nuovo mezzo a cui il soggetto A di cui sopra, fa riferimento.

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Sebbene si parli di pubblicità in riferimento a brand, loghi e prodotti, a volte la popolarità di un marchio può essere sfruttata per scopi morali, e chi meglio dei nativi digitali può parlare ad un giovane pubblico dei nuovi problemi sociali nati con l’avvento dei social network?

Tra i tanti casi, prenderò in esempio la Coca Cola, uno dei marchi più conosciuti al mondo, che durante il 2019, tra le tante campagne lanciate, è stata protagonista durante il mese del Gay Pride, e nel mese di dicembre durante l’annuale raccolta per il Banco Alimentare. Analizzerò i post pubblicati da un amico e collega, Emilife, che conta un milione e mezzo di followers e che ha preso parte ad entrambe le campagne sopra citate.

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Poco dopo aver fatto coming out sui social, ha affiancato la campagna “love unites” con la quale Coca Cola è scesa in strada durante il Gay Pride di Milano nel giugno del 2019. Nei giorni precedenti Emanuele aveva parlato dell’evento nelle sue stories mostrando il kit (maglia e bottiglie brandizzate per l’occasione) che aveva ricevuto, esortando i suoi follower a partecipare all’evento. Analogo è il caso del “Coca Cola Christmas Village” tenutosi nel dicembre 2019. Anche in questo caso Emanuele aveva mostrato il kit ricevuto spiegando i fini dell’evento. Insieme ad altri influencer è stato il volto di questa giornata che ha visto protagonista il Banco Alimentare, al quale era possibile donare ricevendo in omaggio un gadget Coca Cola. In entrambi i casi, la buona riuscita degli eventi è stata mostrata attraverso instagram stories, per fornire al pubblico una visuale in primissima persona anche a chi non ha potuto partecipare. Centinaia di giovani hanno accolto l’invito dei loro beniamini e hanno preso parte attivamente a due dei tanti eventi che sono stati organizzati quest’anno e che grazie alle possibilità economiche dei grandi brand internazionali, hanno spinto importanti messaggi sociali, coinvolgendo le persone a nuove realtà che altrimenti sarebbero state ignorate.

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Un altro esempio ce lo fornisce Giulia Valentina. Famosa influencer dal profilo impeccabile che la ritrae sempre in eventi mondani e in posti esotici, che condivide con il suo vasto pubblico (quasi) tutta la sua vita, dalle informazioni più futili fino a campagne di enorme importanza, come quella in collaborazione con la onlus Anlaids, per la cura e la prevenzione dell’HIV. Anche in questo caso furono centinaia le persone che dopo le sue stories acquistarono in farmacia o fecero in ospedale, il test dell’HIV. Da spettatrice, fu una delle campagne che più mi impressionarono per la loro potenza ed efficacia. Pochi mesi dopo, Giulia è diventata ambasciatrice dello IEO, l’Istituto Europeo di Oncologia che, oltre che della cura dei tumori, si occupa della ricerca scientifica dedita a migliorare le metodiche di diagnosi e di cura di ogni forma di cancro. Parlandone sui social, mostrando da vicino l’ospedale e intervistandone alcuni dottori, alcuni suoi followers si sono interessati a tal punto di diventare volontari. Gli esempi da fare sarebbero centinaia, ma spero che questi siano bastati a ripulire almeno un po’ la figura dell’influencer dall’aura di superficialità e frivolezza che lo ha sempre contraddistinto. Questa breve parentesi spero possa essere utile per inquadrare ancora meglio la nuova e talvolta criptica figura dell’influencer. L’apparenza non definisce l’operato e l’etica di una persona, questo vale anche e soprattutto per chi lavora sul web. Non si giudica la buona fede di un soggetto basandosi sul numero di viaggi che fa durante l’anno o sul costo degli abiti che indossa, dobbiamo accettare, conoscere, capire ed apprezzare le nuove prospettive che l’informatizzazione ci propone, l’influencer marketing è una di queste. La pubblicità può avere un’etica, basta non fermarsi all’apparenza. 31


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Per quanto la materia “pubblicità” sia insindacabilmente un argomento estremamente vasto e dai confini molto nebbiosi, possiamo almeno provare a riassumerla in poche e semplici parole chiave. Banalmente la prima parola che ci verrà in mente sarà “estetica”. Fare pubblicità è un’arte e i pubblicitari, a volte, sono veri e propri artisti, che con trovate geniali ci lasciano senza parole. Ma andiamo oltre, cerchiamo di capire la materia, di interessarci, di approfondire, di esaminarla a 360 gradi.

Qual è il vero scopo ultimo della pubblicità? La fidelizzazione. Noi, come consumatori, siamo infatti fedeli a chi cerca di giocare con i nostri bisogni e i nostri desideri. Per quanto possa sembrare improbabile, per testimoniare la veridicità di questa affermazione possiamo, banalmente, controllare il nostro portafoglio. Quanti hanno al suo interno almeno una tessera fedeltà? Che sia di un super mercato, di un piccolo negozio della vostra città, una grande catena estera, o magari una gelateria, perfino il parrucchiere, non fa differenza, è un meccanismo talmente intrinseco nella nostra economia che non ci facciamo nemmeno caso. Questo per dimostrarvi ancora una volta che l’influencer marketing e le sue dinamiche sono solo l’evoluzione di una società basata sul consumo e sulla conseguente, necessaria, pubblicità. Fiducia e fedeltà, ecco i pilastri per chi oggi vuole fare una pubblicità che dia dei frutti. In un mercato fatto di concorrenza spietata e pop up che spuntano come funghi, l’unico modo per rimanere a galla e fare dell’advertising efficace è il marketing relazionale, ovvero abbattere quello che viene definito un marketing verticale (sintetizzato come messaggio giusto tramite canale giusto

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tramite canale giusto per la persona giusta, giusto una volta) in favore di un marketing orizzontale, ovvero un marketing che comunica su più fronti, creando diversi punti di contatto. Ma definiamo meglio il termine relazionale che a primo impatto sembra un po’ utopico da associare a qualcosa di così astratto come la pubblicità. Il nostro Soggetto A (colui che pubblicizza) deve instaurare una sorta di “amicizia” con il Soggetto B (cliente finale), avvicinarlo gradualmente a sé mostrandosi il più trasparente possibile, per dare modo al cliente di provare fedeltà e fiducia nei confronti del brand. Questo processo non è né facile né veloce, prendiamo in esame il famoso proverbio

non accettare le caramelle dagli sconosciuti per fare un esempio: Ve ne state spaparanzati sul divano dopo una dura giornata a scrollare la home di uno dei vostri social preferiti, foto di un gatto, foto di un tramonto, foto di un bacio e poi vi vedete apparire la foto di un giovanotto con una felpa appariscente, non è la prima volta che vedete quella faccia, ha un’aria simpatica e poi la sua felpa vi piace, che vi costa seguirlo? Niente, e quindi ecco che diventate suoi followers. Il giovanotto vi tiene compagnia a fine giornata con le sue stories, vi fa vedere i bei posti che visita, le belle scarpe che indossa, tutti i giocattolini tecnologici che ha, e come per magia vi affezionate a lui, quasi come ci si affeziona ad un amico. Un giorno il giovanotto dice nelle sue storie “Oggi ho assaggiato delle caramelle buonissime, dovreste provarle” ed ecco che lo stomaco vi inizia a brontolare, improvvisamente avete voglia di caramelle, che magari non vi è mai nemmeno passato per la mente di provare, però quanto vorreste provare quei dolcetti che il vostro amico di Instagram dice di mangiare a palate. Il giorno dopo, mentre andate a lavoro, vi fermate al tabaccaio vicino casa per prendervi un pacchetto di queste famigerate caramelle ed ecco che, magari a venti o trent’anni, avete accettato quelle caramelle, da cui vostra madre vi aveva messo in guardia. 35


“Ma non è stato uno sconosciuto a darmele, ne ha parlato quel giovanotto che seguo su Instagram” Ed ecco che il processo di promozione e fidelizzazione del cliente ha funzionato su di noi, in maniera quasi inconscia. Ma analizziamo meglio questo caso, lasciando fuori esemplificazioni triviali. Un’azienda che vuole vendere un prodotto, valido o meno che sia, prima deve avere la certezza di poterlo vendere. Per avere una sicurezza in più, negli ultimi anni, ci si affida agli influencer di cui tanto abbiamo parlato fin ora. Persone, semplici, che probabilmente ripeteranno ai loro ascoltatori almeno una volta al giorno che si sono creati da soli, che chiunque può farlo, se lo vuole veramente, e tutto questo con lo scopo di farvi entrare a far parte della loro fan base, quella che molto probabilmente loro chiamano una seconda famiglia. Affrontando l’argomento da un punto di vista esterno, sembra un processo finalizzato solo al guadagno, ma è doveroso premettere che chiunque si trovi in una posizione di celebrità sul web lo deve quasi sempre al proprio talento e alle proprie passioni, che lo rendono una persona interessante, da seguire e prendere come modello, per questo fidelizzare il proprio pubblico è il più delle volte fatto senza malizia, gli Influencer, che generalmente sono giovanissimi, hanno molto spesso la necessità di creare un piccolo spazio (piccolo si fa per dire, a volte arriva a contare milioni di utenti) dove raccontarsi ed esprimersi, il fatto che chi li segua sia molto spesso disposto a “cedere”, nell’accezione più positiva del termine, dipende da loro solo nella misura in cui riescono a rendersi interessanti e coinvolgenti nei confronti del loro pubblico, fattori che devono per forza di cose crescere in maniera spontanea. Riassumendo al massimo, un personaggio che cerca di diventare famoso sul web, per quanto possa usare le più mirate strategie di crescita per i propri profili, se non ha qualcosa di unico da dire, che può essere a livello umano, a livello artistico o creativo, o a livello puramente estetico; è impossibile che lo diventi con successo. Se, al contrario, troviamo una persona che ha delle forti passioni che vuole condividere, e nel farlo riesce ad intrattenere e a coinvolgere pubblico grazie al suo talento o alla sua 36


simpatia, è facile che, con perseveranza, riesca ad ottenere il successo, che magari non stava nemmeno inseguendo disperatamente. Da questo punto di vista internet è ancora un media molto meritocratico rispetto a quelli tradizionali, e chi riesce ad avere un buon grip su una fetta di pubblico è perché quest’ultimo lo segue con piacere e, molto spesso, lo prende come punto di riferimento a livello personale, di conseguenza è inevitabile provare stima nei suoi confronti. Per quanto parlare di marketing possa conferire un aspetto subdolo a chi cerca di metterlo in pratica, è necessario che si scinda il personaggio dalle strategie (pubblicitarie o meno) che mette in atto secondo i suoi bisogni e secondo le sue possibilità. Torniamo a noi e ai giovani influencer che seguiamo e dai quali ci facciamo spesso attrarre. La fan base, dicevamo, è in soL’autenticità: stanza l’insieme di persone che si qui torniamo al discorso del affeziona ad un determinato per“se l’ho fatto io potete farlo sonaggio pubblico sostenendolo anche voi”, dobbiamo ricore ascoltando cos’ha da dire. darci che tutti i personaggi pubblici che seguiamo ed ammiOvviamente una fan base solida riamo sono in ogni caso esseri deve avere almeno tre colonne umani, chi più e chi meno beneportanti per durare nel tempo: stante, ma comunque umano.

LA COSTANZA: tranne che per alcuni fenomeni virali ma temporanei o star internazionali, una fan base ha bisogno di essere annaffiata, se non ogni giorno, molto spesso per permettere alle sue radici di espandersi ed ai suoi fiori di sbocciare.

LA LUNGIMIRANZA: riprendendo la prima parte del capitolo, fidelizzare un pubblico o un cliente non è da considerare una cosa veloce, si deve mettere in conto un lavoro di mesi o addirittura anni, chi ha fretta farebbe bene a rinunciare in partenza. 37


Parlando in cifre, Gartner (una famosa azienda di consulenza strategica) afferma che in media il 65% del business aziendale deriva da clienti che già hanno comprato da te e addirittura che attirare un nuovo cliente costa cinque volte di più rispetto a mantenerne soddisfatto uno già affiliato. È comprensibile, quindi, che le aziende cerchino di andare sul sicuro facendo promuovere i loro prodotti a chi ha già un pubblico fidelizzato. Adesso però passiamo ai fatti, vediamo insieme qualche esempio di fan base. Partiamo con una vecchia conoscenza, Giulia Valentina, che molto spesso ha parlato con i suoi followers dei libri che leggeva, arrivando al punto di creare un book club nel quale spediva ad alcuni utenti selezionati un libro che l’aveva particolarmente impressionata dando loro la possibilità di scrivere a mano sul libro stesso un pensiero, un commento. Questo le ha senz’altro permesso di avere una certa influenza sul suo pubblico in materia di letture. Inizialmente consigliava i libri che le erano particolarmente piaciuti postandoli sul suo profilo ed utilizzando l’hashtag #GVBOOKS grazie al quale si poteva risalire in ogni momento ai libri di cui aveva parlato.

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La voce “Influencer” compare tra i neologismi dell’enciclopedia Treccani solo nel 2017, ma nonostante la breve vita del termine, è una parola con la quale abbiamo a che fare quasi tutti i giorni, in questo capitolo cercheremo di capire chi sono, cosa fanno e come riuscire a fregiarsi di tale appellativo. Con l’avvento dei social network è diventato possibile per praticamente chiunque diventare un personaggio di successo e arrivare ad un pubblico che i mezzi di comunicazione pre-internettiani non avrebbero mai permesso, concedendo la fama e la popolarità a persone che, per chi vuol essere malizioso, non possiedono alcun particolare merito, se non quello di avere un profilo social ben curato e accattivante. Questo pregiudizio è voce di un sentimento che è sempre esistito nei confronti della popolarità, sin dai tempi della televisione: è più facile pensare che chi si trova in una condizione di rilevanza sociale o politica, sia lì per una serie di fortuite circostanze piuttosto che per merito effettivo e reale della persona. Essendo internet l’ultimo arrivato dei grandi media, è logico pensare che, finita l’era degli effimeri divi da reality shows, arrivi l’era degli ancor più effimeri influencer, coloro che basano la loro carriera su un mezzo di comunicazione molto meno solido e meno strutturato di un palinsesto televisivo da milioni di euro, sono per eccellenza i frutti di questa società dove chi è senza merito raggiunge il successo. Cerchiamo quindi di capire cosa è e cosa rende un influencer tale: per prima cosa possiamo dire che influencer non si nasce, si diventa (a meno che tu naturalmente sia figlio di due influencer, in tal caso il tuo destino è già ben avviato). Quelli che ottengono successo in questo campo sono coloro che sono riusciti a creare un personaggio che piace al pubblico dei social, e questo personaggio deve comunicare un messaggio, avere qualcosa da dire, che sia rilevante o che sia futile non importa, l’importante è che sia ben chiaro, nelle forme e negli intenti. Una volta creata una buona fan base di persone disposte ad ascoltarci è come essere i regnanti del proprio piccolo mondo, un mondo incentrato su di noi (o sul nostro lavoro) e sulla nostra vita, che diventa a questo punto una vetrina per mostrarla negli aspetti che più ci piacciono o ci fanno sentire fieri.

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Fu a metà del 2017 con il libro “Cuccette per signora” di Anita Nair che le venne l’idea di dare il via al suo book club virtuale che presentò così:

Come ho spiegato nelle stories di oggi, mi farebbe piacere cominciare una sorta di book club virtuale: quando finisco un libro, anzi che darlo a una mia amica che farà finita di leggerlo, lo userà come sotto bicchiere o se lo piazzerà sul comodino per far vedere ai suoi ospiti che anche lei legge, lo manderò a una di voi (guai se fate così pure voi). Il primo è “Cuccette per signora” di Anita Nair. Se vi piace leggere e vorreste riceverlo commentate questa foto! Le condizioni sono: metterci meno di un mese a leggerlo, essere disposti a spedirlo alla prossima persona che vi comunicherò.

Un’idea semplice che ha ammaliato tante giovani ragazze che si sono proposte sotto il post sopra citato per ricevere e leggere il libro consigliato da Giulia. Negli anni sono stati diversi i libri che hanno popolato i suoi book club virtuali, il più conosciuto (forse perchè è stato fatto nel suo periodo di maggiore crescita) è senz’altro quello di “Ragazze Elettriche” di Naomi Alderman.

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Vi chiederete, però, cosa c’entra questo esempio con la fidelizzazione e la fan base di cui parlavamo prima, adesso ci arriviamo. L’ultimo book club di Giulia Valentina è stata sponsorizzata dalla casa editrice Longanesi che le ha permesso di creare un nuovo club con l’ultima uscita di Donato Carrisi, “La casa delle voci”. Dato che le regole dei suoi book club prevedono che siano selezionati solo una decina di utenti, molti di quelli che non sono stati scelti si sono comprati il libro di cui tanto avevano sentito parlare. La casa editrice, in questo caso, ha investito in una sponsorizzazione che ha dato modo al libro di avere una visibilità certa sugli schermi di utenti che sapevano con certezza essere interessati al prodotto. Questo è un esempio delle migliaia di sponsorizzazioni andate a buon fine che un influencer propone al suo pubblico, adesso però prendiamoci un piccolo spazio per analizzare un caso in cui la fiducia della fan base è stata tradita.

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Durante il 2019 la youtuber e instagrammer Rosalba è finita nell’occhio del ciclone per aver sponsorizzato un sito truffa che vendeva cuffie wireless. La ragazza annunciò nelle sue storie un’offerta imperdibile per delle cuffie bluetooth che ammetteva di aver provato e che, però, fece vedere solo tramite schermo del computer (lasciando intendere di non averle mai effettivamente possedute). Come è frequente tra i personaggi dei social, Rosalba diede ai suoi followers un codice sconto che prometteva l’80% di sconto sul prodotto. La sponsorizzazione passò, più o meno inosservata, sugli schermi dei suoi followers come tante altre che circolano nelle stories Instagram ogni giorno, alcuni utenti comprarono le cuffie, altri skipparono le storie, apparentemente l’episodio si conclude con lo scadere delle stories di Rosalba. Qualche settimana dopo Gianmarco Zagato, un altro youtuber e instagrammer, ha realizzato un video in cui provava ad acquistare da una serie di siti che gli avevano proposto collaborazioni ma che aveva precedentemente rifiutato perché secondo lui poco affidabili. Tra i siti in questione c’era anche Bastafili.com, esattamente il sito che vendeva le cuffie sponsorizzate da Rosalba. Gianmarco acquistò le “ePods” scontate dell’80% per scoprire due settimane dopo che il sito era stato cancellato.

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Il caso non è di certo passato inosservato agli occhi dei siti web che trattano di gossip social (e non solo) e Rosalba si è trovata ad affrontare un processo mediatico che la vedeva colpevole. Le stories di scuse hanno salvato il salvabile, quel che è certo è che dovrà riacquistarsi pian piano la fiducia del suo pubblico che si è sentito preso in giro e, ciò che è peggio, effettivamente truffato. Per concludere:

La pubblicità, senza un pubblico che si fida di chi la fa, non funziona.

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Purtroppo è ancora necessario spiegare alle vecchie generazioni chi è Chiara Ferragni, cosa fa, perché non è vero che deve trovarsi un lavoro. Poche settimane dopo aver iniziato a lavorare a questa tesi, mi sono trovata coinvolta in una discussione tra adulti che commentavano l’imminente uscita del film Unposted di Chiara Ferragni. Nonostante le critiche ricevute alla 76esima edizione del Festival di Venezia che accusavano di vaquità in primis il film e poi la sua protagonista, il docu-film “Chiara Ferragni: Unposted” ha chiuso la tre giorni di programmazione nei cinema con incassi tutt’altro che vacui: 1,6 milioni di euro. Gli incassi ottenuti al cinema però sono solo una piccola parte del reale valore economico del film “Chiara Ferragni: Unposted”. Infatti, secondo quanto analizzato da Launchmetrics il biopic della influencer italiana ha generato in soli sette giorni un giro d’affari di quasi 10 milioni di dollari, circa 8,6 milioni di euro. La domanda che sostanzialmente mi fu posta durante quella discussione fu “in quanto persona più giovane e più al passo coi tempi, perché dovrebbe interessarci un documentario sulla vita di Chiara Ferragni?” Ho deciso di dedicarle un capitolo di questa tesi che potesse spiegare perché è un vero e proprio caso mediatico e che, se adesso io faccio questo tipo di lavoro sui social (e anche nella vita quotidiana), è perché lei ha creato un nuovo ramo della pubblicità che fino ad una dozzina di anni fa non esisteva. Quindi si, parliamo di numeri, ma parliamo anche di altro, di tutto quello che c’è dietro a quelle lunghe serie di zeri.

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Nonostante per Chiara sia difficile definire che lavoro fa quando le viene chiesto da persone che non hanno dimestichezza con i social, lei si definisce “imprenditrice digitale”. È amministratore delegato della sua azienda TBS Crew e quello che prima era solo un blog, The Blonde Salad, adesso è un sito per metà tratta di moda e per metà si dedica all’e-commerce.

TBS crew rappresenta talent nativi digitali, Chiara è il talent principale, ambasciatrice di brand di moda e consulente di marketing digitale. Sandrine Crener-Richard, docente di economia ad Harvard, sostiene che The Blonde Salad sia un interessante esempio di un innovativo modello di business. Partiamo dal principio. Chiara ama scattare foto di ciò che fa e nel 2009 si accorge di voler condividere questi momenti di vita, non solo con i suoi amici, ma con un pubblico più ampio e inizia a a pubblicarli su vari social in voga in quegli anni. Con il passare del tempo, ispirata da blogger americani che seguiva, ha sentito la necessità di dare una “casa propria” alle sue foto e apre con il fidanzato Riccardo Pozzoli il blog The Blonde Salad. Già all’età di 22 anni aveva un team di dieci persone, sue coetanee, che lavoravano per le: la TBS Crew.

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Nel febbraio 2010 arrivano i primi inviti alle sfilati della MFW, che la consacrano nel mondo della moda e successivamente in quello della stampa che iniziò a parlare dei blogger. Nonostante i commenti negativi che le auguravano di restare in auge solo per pochi mesi, il suo lavoro dava frutti e adesso è nelle prime file delle sfilate di ogni fashion week.

Ha ridefinito i confini della moda e del fashion business. Moira Forbes¹

Tutti conoscono Chiara Ferragni e ne sono affascinati perché è entrata in un mondo e lo ha fatto suo da protagonista. Alberta Ferretti²

¹ Moira Forbes in Chiara Ferragni Unposted, Elisa Amoruso, Memo Films (2019) ² Alberta Ferretti in Chiara Ferragni Unposted, Elisa Amoruso, Memo Films (2019)

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Nel 2011 Vogue la incorona Blogger of the Moment, con oltre 1 milioni di visite sul blog e 12 milioni di impression mensili. Da quel momento l’ascesa è inarrestabile: nel 2013 il blog raggiunge 1,6 milioni di followers su Instagram, e diventa anche un eBook. Nel 2014 Chiara viene premiata per il terzo anno consecutivo con il Bloglovin’ Award dalla piattaforma americana di aggregazione dei feeds in ambito lifestyle. Nel 2013, Chiara apre la sua seconda società, Chiara Ferragni Collection, disponibile in più di 400 rivenditori in tutto il mondo, con 10 negozi fisici sparsi nel globo e due piattaforme di e-commerce. Nel 2019 il brand ha collaborato ad una linea make up per Lancome. Il logo è il famosissimo occhio che Chiara ha disegnato quasi per gioco e che oggi è cucito su abiti, scarpe e chi più ne ha più ne metta! CFC produce un indotto di circa 40 milioni di euro e da lavoro a più di 80 persone, Chiara è l’imprenditrice dietro le sue aziende e la sua imprenditorialità ha costruito il successo dei sui brand!

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Oggi Chiara Ferragni ha un seguito impressionante come influencer: più di 18 milioni di seguaci su Instagram. Non è solo una blogger di successo, ma è anche una macchina imprenditoriale sorprendente: case study ad Harvard, è stata inserita dal Financial Times tra i protagonisti femminili del lusso digitale; è anche presente nella classifica «30 under 30» di Forbes e, come se non bastasse, la Mattel e la Trudi, case produttrici di giocattoli e peluche, ha dedicato alla blogger una Barbie ed una bambola di pezza con le sue sembianze. 53


Se questi numeri non bastassero per convincere i più scettici, un dato che fa riflettere è quello dell’engagement che il suo matrimonio con il rapper Fedez che è stato pari (se non superiore) a quello del matrimonio reale tra Harry e Meghan. Questo ci fa capire che per quanto una solida monarchia possa essere influente, Chiara ferrigni, con le foto dei suoi outfit e i suoi viaggi da sogno, può tenergli testa.

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Chiara Ferragni è l’influencer italiana più pagata al mondo. Nella classifica globale dei più ricchi di Instagram, che raccoglie i profili che guadagnano di più con un singolo post, l’imprenditrice digitale di Cremona è al 43° posto, ma al 1° se restringiamo la cerchia al nostro Paese. Per sponsorizzare un prodotto sul suo profilo le aziende pagano fino a 58.300$ a post. Al terzo posto, poi, trovaiamo il marito Fedez che viene pagato più di 28.000$ a post. Sebbene i loro social basterebbero a mantenerli con un tenore di vita milionario, come abbiamo visto i loro introiti vengono anche e soprattutto dalle attività che svolgono dietro lo schermo degli smartphone dai quali li spiamo. Il marchio Chiara Ferragni, proprietà della sua società Serendipity (di cui Chiara è unica proprietaria), vale 36,2 milioni di euro ed è in espansione: previsti il lancio di collezioni di occhiali, denim, cosmetici e l’apertura di nuovi flagship store. La società, attiva nello sfruttamento dei diritti, ha registrato 1,4 milioni di fatturato. Tbs Crew, invece, ha un giro d’affari di 3,2 milioni di euro in crescita. Per gli ottimi risultati ottenuti nel 2018 Chiara Ferragni ha premiato i suoi dipendenti con un bonus da 3.440€

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È innegabile che CF ispiri ogni giorno centinaia di persone, per la maggior parte giovani donne che si ritrovano faccia a faccia col futuro e con la fantomatica strada da prendere, non così semplice da definire. A tal proposito ci tengo a dire la mia su una particolare frase che Chiara ripete spesso per motivare i suoi followers: “qualsiasi cosa tu voglia fare la puoi fare veramente da sola”. Credo che nell’odierno panorama dell’advertising, specie sui social, l’autenticità sia uno dei requisiti base, purtroppo però non sempre essere trasparenti è sufficiente a raggiungere gli scopi preposti. A volte la mancanza di mezzi o liquidità, la mancanza di contatti all’interno di un particolare ambiente, tagliano le gambe alla maggior parte delle persone che provano ad emergere facendo uso solo della loro autenticità e delle loro doti. Nonostante questo, che dico con cognizione di causa facendo parte di questo mondo e ricevendo spesso domande sul come farsi notare e quindi crescere sui social, apprezzo i messaggi positivi che Chiara non si stanca mai di comunicare a chi la segue. Nel documentario sulla sua vita sono stati inseriti interventi di suoi followers proveniente da tutto il mondo che spiegano come e quanto, Chiara, sia un esempio per loro. Vedere i loro sorrisi e i loro occhi pieni di speranza abbatte tutti gli scetticismi e fa riflettere su quanto questo lavoro, seppur nuovo e ancora non ben definito, possa portare a qualcosa di buono! Chiara e le influencer hanno accorciato la distanza tra il mondo della moda e il pubblico. Con il passare degli anni, oltre ad essere “dichiaratamente pagine pubblicitarie viventi” come sostiene Marchetti, capo redattore Vanity Fair Italia, gli influencer hanno creato piccole comunità di persone ispirate da loro. Chiara con la sua naturalezza è stata la prima e adesso continua a dominare questo panorama.

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Sebbene inizialmente la pubblicità sui social abbia corso liberamente in sconfinate campagne prive di regole, agendo di fatto in una zona grigia della normativa sulla pubblicità, di recente è stata la FTC, Federal Trade Commission, ad esprimersi in modo piuttosto chiaro al riguardo, iniziando a notificare le forme controverse o ingannevoli di influencer marketing e creando una guida (endorsement book) per la corretta realizzazione dei post pubblicitari di celebrities e influencer. Un utente deve poter riconoscere un post sponsorizzato da uno fatto volontariamente dal creator, ecco perché gli influencer devono seguire alcune piccole e fondamentali regole per fare pubblicità legalmente su Instagram. Il creator deve necessariamente inserire la dicitura “Pubblicizzato da...” taggando il brand in questione (Un po’ quello che succede nelle fiction tv o in altri programmi in cui vediamo all’inizio la scritta in sovrimpressione «In questo programma sono stati inseriti dei prodotti a scopo commerciale»), tuttavia non tutti i casi sono uguali e per questo motivo sono stati creati degli hashtag che indicano in modo più preciso possibile che tipo di collaborazione ci sia tra influencer e brand/sponsor, vediamoli meglio.

#AD

Il più utilizzato e il più discusso, in questo caso l’influencer ammette di percepire un compenso per creare un post e/o delle stories parlando di un determinato prodotto o servizio. È l’hashtag che viene utilizzato anche genericamente, quando la promozione che viene mostrata sia in una zona grigia tra le varie categorie sotto elencate e quindi ci si trovi in dubbio su quale sia la forma corretta di renderla nota.

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#GIFTED Questo hashtag si utilizza quando il brand, di sua spontanea volontà o definendo preventivamente un accordo, omaggia l’influencer di un prodotto, utilizzando questo hashtag si dichiara di non ricevere nessun compenso monetario all’infuori del prodotto mostrato.

#SUPPLIED Questo hashtag viene utilizzato più o meno come il precedente ma per la sponsorizzazione di servizi (come per esempio viaggi) che vengono forniti dal brand all’influencer. Anche questo esclude il compenso economico.

#AFFILIATE Questo hashtag deve essere utilizzato quando, attraverso l’utilizzo di un determinato codice sconto da parte degli utenti, l’influencer percepisce dal brand una percentuale sulla vendita. 61


Le stories, la funzionalità di Instagram che indubbiamente sta venendo utilizzata maggiormente nell’ultimo periodo, non sono esenti da queste regole. Se per i post gli hashtag devono essere inseriti nella descrizione, per le stories (dove il testo è formattabile) devono essere ben visibili, in contrasto con lo sfondo e di dimensioni modeste; tag e hashtag sponsorizzanti non devono essere nascosti da altro testo o emoticon. Giusto qualche anno fa, a metà del 2017, l’AgCom (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) intervenne con un comunicato raccomandando a VIP, creator e influncer l’uso dei sopracitati hashtag specifici per rendere più chiara e trasparente la partecipazione ad attività sponsorizzate e di influencer marketing. A mettere nero su bianco l’immediato aumento dell’utilizzo di questi hashtag fu Buzzoole (una piattaforma di connessione fra brand e creator) che nel 2018 stabilì che in soli 5 mesi (febbraio-giugno) gli hashtag furono 55mila da parte di 15200 account e che hanno generato 42 milioni di interazioni sui social media.

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I settori nei quali si è riscontrato il maggior uso degli hashtag “ad” e “adv” sono l’abbigliamento (scarpe comprese) per il 35%, il beauty (cosmetici, profumi) per il 22%, accessori (gioielli e orologi) il 13% e Food & Beverage 12%.

Il raggiungimento di una maggiore trasparenza è sempre stata una battaglia condotta dall’Unione Nazionale Consumatori e del suo presidente Massimiliano Dona che dichiara “Siamo soddisfatti nel verificare come vi siano influencer scrupolosi che utilizzano l’hashtag #ad, ma d’altro canto sono ancora molti coloro che trascurano questa regola. La strada per una totale trasparenza è ancora lunga e passa attraverso iniziative di monitoraggio utili per rafforzare la compliance alle nuove esigenze di rispetto dei consumatori” ³. L’Antitrust accoglie le segnalazioni degli utenti che possono interagire con loro tramite posta (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Piazza Giuseppe Verdi 6/A – 00198 Roma), tramite email (protocollo. agcm@pec.agcm.it) o tramite il form che si trova online. Sebbene l’unione faccia la forza, l’Antitrust non ha occhi ovunque e quindi, per concludere, ribadisco l’importanza della trasparenza per l’influencer marketing.

Un influencer che si attiene alle regole rende l’advertising più sano. ³ Massimiliano Dona, Influencer e trasparenza, Wired, 2018, https://www.wired.it/attualita/media/2018/07/23/influencer-trasparenza-adv-ad/

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Fino a questo punto ho parlato di chi fa pubblicità sui social e di chi la segue, è giusto e meritevole parlare anche della parte prettamente pratica, ovvero come saper creare un contenuto pubblicitario su Instagram. Come per qualsiasi cosa, è opportuno cominciare con una ricerca su ciò che dobbiamo promuovere, è infatti necessario studiare il terreno e questo vale a dire approfondire il brand, la concorrenze e, ovviamente, il pubblico al quale si rivolgerà la campagna pubblicitaria. Il pubblico a cui ci rivolgiamo prenderà il nome di target, letteralmente bersaglio, ovvero tutte le persone alle quali voglio rivolgermi, sapendo fin dall’inizio che si tratta di persone già interessate all’argomento, o ancora in potenza di diventarlo. L’influencer costruirà il suo pubblico in base a quelli che sono i contenuti che porta abitualmente sul suo profilo, per esempio, un profilo di un food blogger, dedicato interamente al cibo, ai ristoranti e sporadicamente ai viaggi per includere le cucine estere, risulterebbe un po’ forzato nella sponsorizzazione di un paio di scarpe. Sebbene sia compito anche del brand selezionare il soggetto che promuoverà il suo prodotto, cercando uno sponsor che risulti pertinente all’oggetto o al servizio che vuole promuovere, l’influencer deve mantenere la sua integrità etica evitando il più possibile di cedere a sponsorizzazioni che potrebbero far storcere il naso a chi le recepisce, in altre parole, ciò che porta sul suo feed dietro compenso non deve esulare troppo da ciò che proporrebbe abitualmente ai suoi utenti. Come abbiamo approfondito nei capitoli precedenti, la fiducia è ciò che sta alla base dell’influencer marketing, ma nonostante sia la colonna portante di questa attività c’è da tener presente la sua fragilità: può infatti sgretolarsi in qualsiasi momento, basta una parola fuori luogo o un post sbagliato. Per questo motivo il creator deve essere in grado di valutare attentamente le proposte che riceve per poter essere sicuro di non apparire agli occhi di chi lo guarda come un, gergo social, “marchettaro”. Una volta esserci assicurati di avere il pubblico adatto e percepire un determinato tipo di messaggio, sarà opportuno valutare l’obietto finale della sponsorizzazione che è stata proposta. Usualmente le sponsorizzazioni hanno come scopo quello di far conoscere 66


un nuovo brand che si trova da poco sul mercato e ha bisogno di allargare velocemente e proficuamente il suo bacino di potenziali utenti, altrimenti ci sono anche i casi in cui nomi già affermati e già largamente conosciuti abbiano bisogno di far conoscere un nuovo prodotto o servizio, o magari di testarne le potenzialità. Esistono anche molti casi in cui grosse multinazionali si sono affidate agli influencer e alla pubblicità social con il fine di promuovere campagne sociali o artistiche, che patrocinano senza ottenere nessun vantaggio economico o di vendite, ma risultano necessarie per far circolare il nome dell’azienda e avere un grosso riscontro in termini di visibilità e positività dell’immagine. Infine si renderà necessario valutare anche la veridicità delle informazioni che mi sono state fornite, richiedendo (qualora ce ne fossero) dei campioni dei prodotti per essere sicuro di promuovere qualcosa che effettivamente gradisco e poi si potrà procedere alla sponsorizzazione vera e propria. Questo è il processo che, di norma, un influencer che opera in buona fede dovrebbe seguire. Quando ricevo la mail di un brand che mi propone una collaborazione devo tener presente che, con molta probabilità, quella proposta sarà anche nelle caselle di posta di tanti altri creator, forse più conosciuti di me. Questo può essere un fattore da tenere in considerazione quando mi viene fornito un codice sconto che, una volta usato dal cliente, mi frutterà una percentuale; se il mio concorrente crea una sponsorizzazione più accattivante della mia, probabilmente il pubblico tenderà ad usare il suo codice piuttosto che il mio, rendendo così inutile la mia sponsorizzazione. E dunque come uscire da questa situazione?

La parola d’ordine è:

creatività

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Certo, anche il tempismo vuole la sua parte, però spesso il cliente può essere incerto su un prodotto e titubare sul suo acquisto, ciò che lo renderà sicuro e intenzionato a comprare dipenderà da ciò che io gli mostrerò. La pubblicità crea falsi bisogni, o almeno così si crede sin dalla sua nascita, la verità è che sedurre lo spettatore, fargli scoprire un prodotto che non conosceva, descriverglielo dettagliatamente e indurlo a comprarlo non è per forza di cose un’attività fatta in nome del mero profitto. Alcuni degli esempi che ho fatto nei precedenti capitoli, come per esempio la promozione del nuovo libro di Donato Carrisi, non sono casuali, sono esempi che mi hanno particolarmente colpito in veste di consumatore e mi hanno portata a raggiungere l’obiettivo finale, l’acquisto. Per questo ho deciso di rifletterci sopra e portarli ad esempio di operazioni di influencer marketing riuscite. Seguendo questo ragionamento risulta quindi evidente che l’influencer e la pubblicità che opera attraverso di lui, non siano necessariamente creatori di falsi bisogni, ma perché al giorno d’oggi in cui tutto ci passa sotto gli occhi con una frenesia destabilizzante, ci capita di lasciarci dietro qualcosa che magari, senza neanche saperlo, desideravamo. Un post ben fatto, con un messaggio valido, e la fiducia che riponiamo nel creator che lo fa, possono portare quel bisogno ad uscire dal nostro subconscio e diventando così consapevoli di voler acquistare un determinato prodotto o servizio. Quindi, un buon consiglio da tenere sempre a mente è quello di studiare la concorrenza, prendere spunto da ciò che fanno, analizzare (per quanto possibile) la riuscita delle loro sponsorizzazioni, capire come creare una buona call to action e valutare la sua efficacia. Adesso un esempio di un post sponsorizzato che, secondo me, ha tutti i requisiti sopraelencati. 68


Nel 2019, l’influencer Camihawke è stata invitata da Magnum durante il Festival di Cannes per un evento sulla spiaggia. Come si può evincere dal tag inserito alla fine della descrizione, Camilla ha percepito un compenso per parlare del brand sui suoi canali social, il tocco “di classe”, quella piccola differenza che mi ha portato a prestare attenzione al suo post e non a quelli delle altre influencer che avevano partecipato all’evento, è stata la descrizione che potete leggere di seguito.

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Invece di focalizzare l’attenzione sul prodotto fine a se stesso, Camilla ha optato per il racconto di una storia, la storia alla quale la fa pensare quel gelato. Ha raccontato di quando mangiava con sua nonna (personaggio già conosciuto e amato dai suoi followers) il Magnum, facendo leva sull’emotività del suo pubblico, ma senza malizia. Ho apprezzato la scelta di Camilla, credo che abbia raccontato una parte di se servendosi di una sponsorizzazione, risultato ben diverso dell’influencer che ha scelto di postare una foto con un gelato in mano elogiando la sua bontà senza aggiungere altro. Tutto è soggettivo, però, magari qualcuno preferisce un altro tipo di pubblicità. Fatto sta che poche ore dopo, passeggiando sul lungo mare, mi è venuta voglia di un Magnum! Finita l’introduzione alla costruzione morale di una sponsorizzazione, passiamo ai fatti, mettiamo le mani in pasta, creiamo un post. Nel creare un post devo tenere presenti alcuni fattori importanti. Innanzitutto, creare un contenuto significa essere interessanti sia nella foto che nella descrizione, partiamo dalla foto. Instagram ha un layout d’insieme che propone le anteprime delle foto quadrate, si possono caricare foto in 4:5 o 5:4 senza che venga tagliato niente quando il post appare nella home, ma nella visualizzazione complementare verranno tagliati gli eccessi. Prima regola d’oro, lavorare in formato quadrato per non permettere ad Instagram di rovinare la foto. In generale si seguono le principali linee guida della fotografia, come per esempio la regola dei terzi e ci si può avvalere di programmi di editing per rendere la foto più attraente. La griglia a tre colonne di Instagram a volte è utilizzata per effetti visivi particolari, il caso più lampante è quello di Ema Stokholma che riporto di fianco. 70


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Si può giocare con la disposizione dei post, ma è un vincolo che in caso di post sponsorizzato potrebbe aggiungere delle difficoltà alla realizzazione.

Seconda regola d’oro: rendere la foto il più naturale possibile, inserire il prodotto da sponsorizzare in modo naturale, per non prendere in giro il pubblico e per non farsi prendere in giro da quest’ultimo, come è successo quest’estate a Katia Pedrotti che con disinvoltura ha photoshoppato su una foto decisamente fuori contesto la confezione di un rinomato te dimagrante, prese in giro e insulti non si sono fatti attendere. Una volta stabilita l’estetica del post, si dovrà pensare alla descrizione da allegargli. Scrivere una descrizione non è così facile come sembra, ci sono alcuni fattori da tenere di conto per crearne una efficace e accattivante.

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L

a descrizione di un post ha un limite di caratteri, la sintesi è tutto.

L

a tecnica del “continua nei commenti” è un azzardo, il pubblico che scrolla la home non sempre è propenso a sprecare click per leggere qualcosa di lungo.

P

roprio perchè il pubblico tende a snobbare ciò che è scritto, va attratto! Si può ricorrere a copy in stampatello oppure all’uso di colorate emoji per dividere i vari periodi. È concesso cedere a qualche giro di parole ma il messaggio principale deve essere diretto ed immediato.

U

n post sponsorizzato deve sempre avere l’hashtag di riferimento ben in vista.

S

i possono aggiungere altri hashtag “di tendenza” ma meglio non strafare.

I

link inseriti nella descrizione di un post non sono cliccabili, esteticamente e funzionalmente è importante ricordarsi di non utilizzarli, piuttosto indirizzare il pubblico alle stories dove (chi ha raggiunto i 10k followers) può aggiungere lo swipe up che permette di visitare un determinato sito scorrendo in su con l’indice sullo schermo.

L

a cosa più importante per una descrizione è indurre lo spettatore alla call to action, ovvero, va invogliato a commentare, lasciare like, visitare il sito del brand, ecc...

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La call to action è l’obiettivo finale di chi lavora sui social, tenere alte le interazioni è fondamentale, sia per creare la fan base di cui ho parlato nei precedenti capitoli, sia ad avere dei buoni insight (numeri e dati riguardanti il proprio account) da proporre alle aziende in caso di richieste di collaborazione. Concludo con la scelta dell’orario che sembra essere un dato sempre più preso in considerazione dai creator. Parto col dire che qualche anno fa, Instagram, mostrava sul feed i post in ordine cronologico, questo vuol dire che se io influencer analizzavo la concorrenza capendo quale erano gli orari di pubblicazione degli altri potevo giocare d’anticipo prevedendo chi e cosa avrebbe potuto pubblicare. Attualmente i post di Instagram non appaiono più in ordine cronologico, bensì seguendo un algoritmo che consente ai post che ricevono più visibilità nei primi minuti di pubblicazione, di apparire per primi sulla home. Scontato ribadire che questo algoritmo ha letteralmente tagliato le gambe a tutti i piccoli account in crescita favorendo però la creazione di fan base solide che possano esser pronte a interagire non appena un dei creator già affermati (che quindi probabilmente hanno avuto il piacere di crescere quando ancora si pubblicava in ordine cronologico) carica qualcosa. Ogni influencer ha un orario e/o giorno di pubblicazione che predilige e ricorda il più possibile al suo pubblico, come stabilirlo però? I metodi sono sostanzialmente due: chiedere al proprio pubblico o attenersi ai dati insight che Instagram offre ai profili creator/aziendali.

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In linea di massima, nessuno pubblica la mattina, chi ha un pubblico giovane tende a pubblicare nel post pranzo/primo pomeriggio (dopo che i ragazzi finiscono scuola, prima che inizino i compiti) mentre chi parla ad un target un po’ più adulto tenderà a pubblicare nel tardo pomeriggio se non dopo cena. Ovviamente se si ha un profilo seguito da più nazionalità si devono prendere in considerazione anche i vari fusi orari, anche in questo caso Instagram fornisce dati percentuali su i paesi che seguono di più un determinato profilo creator/aziendale.

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Diversamente dalla televisione, in cui determinati contenuti vengono indirizzati ad apposite fasce orarie, su Instagram si può pubblicare sempre, a prescindere da ciò che si pubblica. Un esempio calzante è quello di Fumetti Brutti, famosa fumettista che tratta principalmente di sessualità, servendosi di disegni espliciti (che censura per evitare segnalazioni). Yole pubblica ogni giovedì alle 14:00, salvo eccezioni, e lo ha messo nero su bianco nella bio del suo profilo; il suo pubblico sa quando e dove trovarla, è riuscita a creare un appuntamento al quale ogni volta si presentano migliaia di fan!

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Da pochi mesi, Instagram ha introdotto nelle stories la possibilità di aggiungere un countdown che una volta pubblicato darà modo a chi lo attiva (cliccandoci sopra) di ricevere una notifica una volta terminato il conto alla rovescia! Ricapitolando:

creare un buon post non è facile o quanto meno non è immediato come può sembrare.

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Prima di concludere questa panoramica sull’influencer marketing, vorrei approfittare dell’inizio del nuovo decennio per dare un’occhiata a ciò che si prospetta accadere nel mondo dell’advertising e sui social. Il modo di fare marketing, dal 2000 ad oggi, si è notevolmente evoluto. La differenza sostanziale rispetto al marketing classico è sicuramente l’attenzione che le aziende hanno iniziato a rivolgere agli influencer per comunicare e promuovere i propri prodotti. I dati presenti su Buzzoole (una piattaforma di influencer marketing) stabiliscono che, in Italia, il 53% delle aziende ha ancora un approccio poco maturo, ma l’83% dei soggetti che hanno preso parte a queste statistiche ha dichiarato di voler investire in questo tipo di comunicazione. Si prevede che, a livello mondiale, la spesa destinata all’influencer marketing crescerà fino a toccare la cifra di 10 miliardi solo nel prossimo anno. 80


Sebbene nell’immaginario collettivo sia dato per scontato che gli anni a venire si porteranno dietro un approccio più conscio verso questo mondo, è importante e necessario prevedere (o almeno provarci) i trend che brand e creator dovranno tener d’occhio in questo primo anno del nuovo decennio. È innegabile che la competizione tra gli influencer aumenti ogni giorno a vista d’occhio, chiunque possieda uno smartphone può crearsi un canale social, diventare virale e trasformare quello che fa in un vero e proprio lavoro nel giro di poche settimane. Come emergere in questo campo? La verità è che, banalmente, a pagare saranno la professionalità e la creatività che i creator impiegheranno nel loro operato. Studiare come differenziarsi e agire di conseguenza, adattarsi alle nuove piattaforme che dominano il mercato (ne parleremo meglio a fine capitolo), capire i nuovi format che funzionano, aggiornarsi sia materialmente che personalmente e cercare di essere il più possibile adatti alle esigenze delle aziende; sono tutte operazioni chiave che chi conosce bene e dall’interno il mondo del social marketing deve tenere ben chiare per poter continuare a lavorar bene e non finire affossato in questo mondo vorace e frenetico. Considero doveroso fare un piccolo esempio che ha fatto parlare molto negli ultimi mesi del 2019 e che esprime perfettamente il concetto di “adattarsi alle esigenze delle aziende”. Come ho già detto, acquistare popolarità sui social è diventato facile, tutto sta nel definire come si è acquisita e come s’intende gestirla. Giovanni Zummo è un giovane ventiquattrenne con origini palermitane che ha spopolato nell’ultimo anno su YouTube con il suo canale dedicato principalmente al make up. Giovanni, che non si è mai definito un professionista ma un semplice make up lover, ha iniziato il suo progetto truccandosi davanti alla telecamera e recensendo prodotti che comprava di tasca sua. Sempre nel 2019 è nata una nuova azienda cosmetica, Cosmyfy, un progetto pensato per il web (ma ora in vendita anche da Ovs), che si fa strada attraverso i social networks. 81


Al centro la creatività delle “Icon”,ovvero gli youtubers che firmano linee di cosmetici. S’incontrano per la prima volta in un video di Giovanni in cui recensisce la prima creatura di Cosmyfy, la palette Iconica, una palette alla quale hanno lavorato 16 influencer. Giovanni nel suo video fa una recensione molto sincera, forse troppo per gli standard di un mondo social abituato al “tutto bellissimo”.

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Il cosiddetto flame (traducibile in polemica) che si è creato successivamente ha reso molto visibile il video del ragazzo che ha iniziato ad acquisire molti followers in poche ore. L’intramontabile efficacia del gossip non è di certo passata in osservata agli occhi di Giovanni che ha iniziato a recensire sempre più aspramente i prodotti della suddetta casa cosmetica. Non tutti i prodotti venivano “bocciati” nei suoi video, ma c’è da dire che il sensazionalismo dei titoli (più comunemente definiti clickbait) attirava un sacco di pubblico interessato più alle recensioni negative sul brand che alla resa dei prodotti di make up. Col passare dei mesi, Giovanni ha incentrato la maggior parte dei sui video sul fare gossip, aggiungendo nuovi format al suo canale come “Il pattume di YouTube” (in cui spettegolava dei recenti scandali tra influencer) e continuando le sincere recensioni nei confronti dei prodotti firmati Cosmyfy (e non solo); questo ha portato nuovi iscritti ma ha decisamente fatto diminuire le aziende interessate a collaborare, un canale non sempre “politically correct” e estramente

polemico non è ben visto dai brand, che solitamente tendono ad affidarsi a persone che mandano messaggi positivi. A fine anno Giovanni ha fatto un video che ha lasciato un po’ scontento il pubblico. Nel video spiega che il suo format più seguito “Il pattume di YouTube” non sarà più presente sul suo canale perché, a detta sua, il suo pubblico non era più interessato al motivo principale che lo aveva spinto ad aprire il canale, ovvero il make up, bensì al puro gossip. I suoi video di trucco venivano visualizzati decisamente meno rispetto a quelli in cui spettegolava su trucchi o influencer a lui poco simpatici, e secondo le statistiche la maggior parte di chi guardava i suoi video non era iscritto al suo canale. A qualcuno in particolare queste motivazioni sono sembrate poco veritiere, quel qualcuno è Red Lilium (Anna, la fidanzata del noto youtuber Mr. Flame) che ha espresso la sua opinione in un video che Giovanni ha fatto rimuovere per violazione di copyright e successivamente ripubblicato da Anna con qualche censura.

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Nel video, la ragazza spiega che a parer suo la scelta di Giovanni è stata una mera scelta di marketing dato che il suo personaggio sui social non rispecchiava il prototipo di influencer voluto dai brand. In effetti, dopo la sua scelta di rimuovere questo format, Giovanni ha notevolmente abbassato i toni e introdotto molte più sponsorizzazioni/collaborazioni nei suoi video. Questo esempio conferma il ragionamento sulla questione “adattarsi alle esigenze delle aziende”, un fenomeno implicito e che il clamore di questo caso ha reso ben visibile al pubblico. Continuiamo valutando quelli che si prospettano i nuovi trend del 2020. Le aziende che hanno già sperimentato azioni di Influencer Marketing hanno capito che un impatto significativo sugli obiettivi di business richiede un approccio always-on, vale a dire progettare attività coerenti con il piano strategico di comunicazione in grado di coprire tutto l’anno. Rilevante sarà anche l’automazione, infatti la crescita della maturità delle aziende andrà di pari passo con l’evoluzione delle tecnologie a supporto dell’Influencer Marketing. Nel 2020 il mercato sarà pronto per soluzioni in grado di automatizzare e ridurre la complessità delle varie fasi dell’I.M. Alcune sono fornite da Buzzoole stesso, altre sono molto popolari tra gli influencer e chi li segue, come Ninjalitics, un sito che offre la possibilità di monitorare l’omogeneità della crescita del pubblico, le varie interazioni e i vari insight, tutto al fine di fornire a chi ne ha bisogno un profilo veritiero dell’influenza effettiva che ha un creator sul suo pubblico.

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Sempre ricercate e consigliate la credibilità e la trasparenza di cui abbiamo approfonditamente parlato nel capitolo 2, soprattutto all’alba dell’inarrestabile invasione dei BOT utilizzati per gonfiare le performance social. Infine parliamo dei nuovi lidi nei quali l’influencer marketing è sbarcato. Ogni anno nascono nuovi spazi di opportunità per creator e aziende, siano essi rappresentati da piattaforme social o da nuovi formati di contenuto. Difficile prevedere cosa accadrà nel 2020, ma sicuramente continuerà a crescere l’attenzione verso i video. In particolare nella forma di video brevi e creativi, come quelli resi popolari dal social network cinese TikTok, e quelli in presa diretta come i live streaming che caratterizzano Twitch e Mixer, che si stanno gradualmente aprendo anche a contenuti per non gamer. Le piattaforme più grandi come Facebook e Instagram saranno pronte per il social commerce, di conseguenza è probabile che dagli influencer ci si aspetterà anche la capacità di stimolare acquisti diretti. 87


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CONCLUSIONE Come illustrato nel corso della mia tesi, il mondo dei social e nello specifico quello dell’influencer marketing ha ancora tanti angoli bui per il pubblico. La mia speranza è che il nuovo decennio porti con se più consapevolezza e riesca, da una parte a far luce su temi ancora non del tutto assimilati dagli spettatori, e dall’altra che porti gli influencer a responsabilizzarsi sempre di più per riuscire a offrire un advertising chiaro e sincero. Con questa tesi ho voluto principalmente abbattere lo stereotipo di “influncer fannullone”, in quanto io stessa coinvolta lavorativamente sui social, perché credo che sia importante ricordare sempre che il mondo sta cambiando, si sta evolvendo e con lui anche i mestieri.

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