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Anno VI - n. 1 gennaio-febbraio 2009

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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale . D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2204 n.46) ar t. 1 comma 1 - DCB - ROMA - 3,50 â‚Ź

Regione Lazio

Il Pasquino Sicurezza, solidarietĂ e razzismo

Migrazione Il nuovo trattato Italia-Libia Da Buenos Aires a Roma alla ricerca delle radici

Crisi economica e immigrazione


editoriale

Il Mediterraneo, una casa comune?

Crisi economica e immigrazione di Maddalena Agrò

Il Pasquino

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di Riccardo Di Vito

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A rimetterci, come sempre, i più disperati di Luca Trinchieri

Da Buenos Aires a Roma alla ricerca delle radici

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di Eugenio Balsamo

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Ancora una volta l’integrazione dei Paesi del Mediterraneo diventa solo una parola vuota. Ancora una volta i Paesi della sponda nord del Mare Nostrum, i Paesi dell’Unione Europea, i Paesi ‘ricchi’, evitano di risolvere il problema dei flussi migratori con politiche di cooperazione mirate e di lungo respiro, preferendo avviare il consolidamento della barriera extraeuropea denominata ‘Frontex’. Che significa tutto ciò? Meno diritti per i migranti, meno possibilità per chi scappa da Paesi in guerra, per motivi politici o economici di poter entrare in Europa e maggiori rischi per riuscire ad entrare comunque illegalmente nei Paesi dell’Unione. Perché non si può fermare la storia e non si può fermare chi vuole vivere. Il trattato Italia-Libia è stato siglato dai due Paesi proprio per impedire questo. Poco importa se i confini tra Libia e i paesi limitrofi come il Niger saranno sigillati. Altre rotte, ancora più pericolose e lunghe, verranno create. Altri modi verranno sfruttati dalla criminalità organizzata per portare il loro carico umano a destinazione. Così allontaniamo solo il problema delegandolo ad altri, non lo risolviamo. In Italia il dieci per cento del Prodotto Interno Lordo è dato da aziende costituite da chi è venuto nel nostro Paese per cercare un futuro migliore. Gli ultimi dati Istat dicono che la nostra popolazione, proprio grazie ai migranti presenti in Italia, ha superato per la prima volta i sessanta milioni. Gli stranieri regolari presenti in Italia sono tre milioni e novecentomila. Tutto questo dovrebbe portare a maggiori riflessioni da parte di chi governa, invece di soddisfare solamente i propri interessi di bottega elettorale con politiche allarmistiche e destinate soltanto a migliorare la repressione e l’erosione dei più elementari diritti umani e civili in cambio di una percezione di sicurezza sovrastimata e data in mano a ronde composte da tanti Charles Bronson della domenica. Il contributo che possiamo dare è minimo, certo, ma è una voce in più per poter ragionare, discutere, confrontarsi e non di certo si unirà al coro di chi, invece, vuole soltanto chiudere gli occhi ed alzare barriere. O peggio, i bastoni.

Anno VI - n. 1 gennaio-febbraio 2009 Direttore responsabile Cristiano Tinazzi Coordinatore di redazione Riccardo Di Vito Grafica Eleonora Maurizi

Regione Lazio

di Cristiano Tinazzi

Editore Cooperativa Altri Sede legale, redazione, amministrazione, abbonamenti, pubblicità: P.za Cola di Rienzo, 85 - 00192 Roma. tel. 0636004654 - www.altri.it email: redazione@altri.it Consiglio d’Amministrazione Umberto Forte (Presidente)

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Registrazione al Tribunale civile di Roma n°267/2004 del 14/06/2004 Impianti Top Color Srl - Pomezia (Roma) Stampa Società Tipografica Romana Srl Stampato su carta senza cloro

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Crisi economica e immigrazione di Maddalena Agrò a crisi economica internazionale, i cui effetti ancora sull’Italia non si sono del tutto dispiegati, sta già comportando ricadute negative sul benessere della popolazione e delle fasce sociali più deboli, fra le quali è compresa anche quella degli immigrati presenti nel Paese. L’aumento della disoccupazione, infatti, si riflette per primo sulle occupazioni meno tutelate, per le quali le aziende hanno meno difficoltà ad interrompere i rapporti di lavoro. È rilevante anche la quota di immigrati che svolgono lavori autonomi e che hanno avviato attività imprenditoriali. Anche su di essi si sta abbattendo l’ondata della crisi, con la conseguente chiusura di molte attività. Quale sarà l’effetto della crisi se da un lato la concessione del permesso di soggiorno è condizionata dall’avere un’occupazione e dall’altro si stanno inasprendo le prescrizioni di legge nei confronti degli irregolari?

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La rapida crescita della disoccupazione avrà come conseguenza il fatto che i migranti regolari, una volta perduto il proprio posto di lavoro, avranno moltissime difficoltà nel trovare un’altra occupazione non potendo così rinnovare il proprio permesso di soggiorno. Regolari che a causa della disoccupazione rischiano, quindi, di diventare clandestini. Cosa faranno se non riusciranno a rinnovare il permesso di soggiorno? Sembra difficile pensare che le persone in questa condizione tornino al proprio Paese d’origine, abbandonando relazioni e contesti sociali intessuti a costo di grandi difficoltà; molto più probabilmente la gran parte deciderà di rimanere in Italia in stato di clandestinità. Nel frattempo il Governo, mediante il cosiddetto ‘pacchetto sicurezza’ approvato

Regolari che a causa della disoccupazione rischiano di diventare clandestini

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L’attuale legge sull’immigrazione crea anche situazioni di svantaggio per i lavoratori in mobilità

dal Senato lo scorso febbraio ed ora in esame alla Camera dei Deputati, sta attivando una serie di misure molto repressive verso i migranti, regolari e non, senza però individuare alcuna misura per sostenere gli stranieri regolari che a causa della crisi perdono il lavoro. Gli immigrati rischiano quindi di trovarsi schiacciati in una morsa, vittime della crisi, impossibilitati a regolarizzarsi, privi dei necessari sostegni all’inclusione, che potrebbe sfociare in un pericoloso stato di emarginazione e disordine sociale dannoso non solo per i migranti stessi, ma per la società nel suo complesso. L’attuale legge sull’immigrazione, inoltre, non soltanto non consente il rinnovo del permesso di soggiorno ai disoccupati, ma crea anche situazioni di svantaggio per i lavoratori in mobilità. Mentre in caso di cassa integrazione il lavoratore risulta ancora occupato e può ottenere il permesso di soggiorno per lavoro, i lavoratori messi in mobilità, pur percependo un reddito (l’indennità di mobilità), risultando senza lavoro e dunque senza un requisito decisivo per il permesso di soggiorno rischiano di non poterlo rinnovare. In assenza di disposizioni chiare, come segnalato in particolare dalla Cisl, la loro sorte è in mano alla Questura di ogni città. Nel complesso la problematica relativa alla connessione fra gli effetti della crisi ed i requisiti necessari al fine di mantenere lo status di migran-

te ‘regolare’è una questione di non poco conto per la tenuta della coesione sociale del Paese, nell’obiettivo di una gestione socialmente inclusiva delle migrazioni. Se questa situazione non sarà disciplinata tempestivamente molti immigrati si troveranno nella condizione, una volta persa l’occupazione, di dover forzatamente diventare clandestini con le conseguenze problematiche che ciò determinerebbe per loro e per la comunità. Innanzitutto da clandestino l’immigrato avrebbe molte più difficoltà nel trovare una nuova occupazione regolare e rischierebbe così di rimanere intrappolato nella marginalità. Serie difficoltà nel mantenere la propria abitazione non potendo rinnovare un regolare contratto d’affitto, nel mantenere a scuola eventuali minori a carico, nell’accedere al servizio sanitario ed altro ancora, con il rischio di non avere altre opportunità di sopravvivenza che il lavoro nero o attività illegali di vario tipo. In un periodo come questo, in cui le polemiche sull’immigrazione irregolare sono particolarmente aspre, occorrerebbe impegnarsi in modo particolare affinché i migranti regolari, che cercano di integrarsi al meglio in Italia, non siano messi in condizione di non avere altra scelta che la clandestinità e, di conseguenza, l’ingresso, spesso senza ritorno, in attività illegali legate in vario modo alla criminalità.

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Questo problema dovrebbe quindi essere affrontato con urgenza dal Governo onde evitare che la situazione, non regolata, sfoci nell’emergenza. Anche perché già negli ultimi mesi si sono verificati ritardi nella concessione di permessi di soggiorno a persone che, avendo tutti i requisiti per ottenerli, ne hanno fatto richiesta. Si stima che ci siano circa cinquecentomila stranieri che sono ancora in attesa di una risposta, con tempi di attesa che possono arrivare anche ad otto-nove mesi. Eliminare il carico di arretrato delle domande di rilascio o rinnovo dei permessi di soggiorno e rendere più efficiente la procedura, contrastando ritardi e malfunzionamenti nella gestione del servizio è oggi, data la situazione, ancor più necessario onde evitare l’aggravio dei problemi che gli immigrati si trovano ad affrontare al fine di una permanenza regolare in Italia. Le proposte giunte dalla politica e dalla società civile per affrontare la situazione del rapporto fra immigrazione e crisi, sono di tipo diverso se non opposto fra loro.

“Nessuno si chiede che cosa succede ai lavoratori stranieri nel momento in cui perdono il lavoro. Sono quattro milioni, sono stati assunti per fare lavori che nessuno avrebbe fatto, e producono il dieci per cento del reddito nazionale” dice Guglielmo Epifani, segretario generale della CGIL, che ha proposto un ‘congelamento’ per due anni della legge Bossi-Fini allo scopo di consentire agli immigrati regolari che hanno perso o perderanno il posto di lavoro di avere il tempo per cercare una nuova occupazione rimanendo tutelati. La questione si lega anche a quella della riforma degli ammortizzatori sociali, che dovrebbero essere estesi anche ai lavoratori flessibili. La riforma degli ammortizzatori sociali necessariamente dovrà essere ampliata anche agli atipici, che oggi ne sono pressoché esclusi, garantendo anche agli immigrati un’indennità che consenta loro di avere un reddito minimo che consenta loro di vivere dignitosamente e mantenere il permesso di soggiorno. Altre proposte volte a salvaguardare gli immigrati dal diventare i primi bersagli della crisi economica sono quelle che, sull’esempio di quanto sta avvenendo anche in altri Stati, prevedono l’incentivazione ed il sostegno al rientro volontario nel paese di provenienza, tramite incentivi monetari accompagnati a progetti di reinserimento lavorativo in loco tramite l’azione delle Ong, lasciando a chi invece vuole restare in Italia tran-

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Nessuno si chiede che cosa succede ai lavoratori stranieri nel momento in cui perdono il lavoro

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Una ‘guerra tra poveri’ esasperata dalla crisi, nella quale gli immigrati potrebbero diventare i capri espiatori

quillità e certezza dei propri diritti anche in caso di perdita del posto di lavoro. Anche il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha spiegato che “nei prossimi mesi la fase recessiva metterà a dura prova l’integrazione”, sia a causa dell’aumento della disoccupazione che per prevedibili tagli alle spese sociali. Il ministro propone di limitare i flussi “per dare un futuro a chi è già presente”, da un lato aiutando gli immigrati nel momento in cui dovessero perdere il posto di lavoro non solo con il reddito ma anche con investimenti formativi, e dall’altro limitando gli ingressi nei prossimi anni. Al momento, però, tali aiuti non si sono concretizzati e, mentre le risorse per l’integrazione si sono polverizzate, passando da cento a cinque milioni, l’unica proposta concreta fatta dal Governo è stata il cosiddetto ‘Pacchetto Sicurezza’, (Ddl 733) che rende particolarmente svantaggiose le condizioni di vita dei migranti nel nostro paese Il pacchetto richiede una tassa di duecento euro per tutte le pratiche re-

lative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, introduce il reato di ingresso e soggiorno irregolare (che dispone un’ammenda da cinque a diecimila euro e prevede la possibilità di rimpatrio immediato), l’arresto fino ad un anno e multe fino a duemila euro per mancata esibizione dei documenti, richiede di esibire il permesso di soggiorno per tutti gli atti di stato civile e rende più complesso (e costoso) l’acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio ed il ricongiungimento familiare ed altre misure, come il trattenimento fino a diciotto mesi nei CIE, il ‘permesso di soggiorno a punti’ ed il registro per i senza fissa dimora, in un disegno, fortemente repressivo in assenza di sostegni adeguati all’inclusione di chi voglia integrarsi onestamente, che sembra improntato su di una ‘guerra tra poveri’ esasperata dalla crisi, nella quale gli immigrati potrebbero diventare, come in parte sta già avvenendo, i capri espiatori di una società in profonda difficoltà economica e sociale. n

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a cura di Riccardo Di Vito

Sicurezza, solidarietà e razzismo L’altro sempre sotto accusa Il clima politico è rovente. Dopo i fatti di cronaca, che hanno coinvolto alcuni immigrati sia come vittime che come carnefici, urge una riflessione seria e profonda, perché si è innescato un meccanismo che sta esasperando i sentimenti dei cittadini. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a raid contro alcuni immigrati, come quello compiuto da una ventina di persone, armate di bastoni e col volto travisato da cappelli, passamontagna e sciarpe, che hanno aggredito quattro clienti romeni davanti al locale Turkish Kebab, in via Carroceto, a Roma, distruggendo la vetrina del negozio. L’aggressione è avvenuta non lontano dal Parco della Caffarella, dove il giorno precedente una ragazzina di quattordici anni è stata stuprata ed il suo fidanzato aggredito da due persone di nazionalità rumena. Il copione si è ripetuto di lì a poco a Osteria del Curato, su via Tuscolana, dove un gruppo di persone ha aggredito un cittadino romeno che passeggiava. Sono arrivati in motorino, lo hanno circondato e picchiato con dei bastoni, secondo quanto raccontato dalla vittima, soccorsa e portata al Policlinico Casilino. Intanto, sulle mura del Parco della Caffarella sono apparsi slogan come ‘Occhio per occhio’ e ‘Rom, vergogna assassini!’, firmati da Forza Nuova, il movimento politico che ha cavalcato l’onda dell’indignazione popolare contro gli immigrati, portando a termine

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News Enti locali Il Comune di Roma taglia i fondi ai Municipi L’immigrazione divide il Consiglio dell’XI Municipio Dopo i recenti fatti di cronaca, si sbloccano i fondi per la messa in sicurezza dei Parchi


Sicurezza, solidarietà e razzismo

un corteo aperto dallo striscione ‘Per voi bestie, nessuna pietà’. «È evidente che si tratta di un segnale molto negativo e pericoloso. C’è chi vuole speculare sulla paura della gente, sulla voglia di riscatto e sulla rabbia e noi dobbiamo dire con chiarezza che non è pensabile di farsi giustizia con le mani proprie» ha commentato il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, durante i giorni delle violenze. A questo clima rovente si è aggiunto il via libera del Governo alle cosid-

dette ronde dei cittadini, che ha visto la discesa in campo del mensile Famiglia Cristiana, il quale in un’editoriale ha espresso la propria disapprovazione al disegno di legge sulla sicurezza approvato a Palazzo Madama. «Il soffio ringhioso di una politica miope e xenofoba, che spira nelle osterie padane, è stato sdoganato nell’aula del Senato della Repubblica», si legge nell’editoriale. «L’Italia precipita, unico Paese occidentale, verso il baratro di leggi razziali, con medici invitati a fare la spia e denunciare i clandestini (col rischio che qualcuno muoia per strada o diffonda epidemie), cittadini che si organizzano in associazioni paramilitari, al pari dei ‘Bravi’ di don Rodrigo, registri per i barboni, prigionieri virtuali solo perché poveri estremi, permesso di soggiorno a punti e costosissimo», ha scritto il settimanale cattolico.

Il ministro dell’Interno Roberto Maroni, chiamato direttamente in causa dall’editoriale, ha contrattaccato: «Sono profondamente indignato e offeso dalle deliranti dichiarazioni di Famiglia Cristiana che accusa me, il Governo e il Parlamento Italiano di approvare vere e proprie leggi razziali. E’ un attacco di violenza inaudita nei toni e nei contenuti, - dice tanto più inaccettabile in quanto si fonda su presupposti palesemente falsi. Per tutelare la mia onorabilità e quella della carica che ricopro - ha concluso il ministro ho deciso quindi di dare mandato ai miei legali di agire in ogni sede civile e penale per contrastare questa aggressione premeditata da parte di chi usa consapevolmente la violenza di affermazioni false per combattere chi ha opinioni diverse dalle proprie». Nel clima rovente è entrato anche il Consiglio nazionale della Federazione degli Ordini dei medici, sostenendo che i loro aderenti che segnaleranno gli immigrati irregolari potranno essere sanzionati dagli Ordini professionali di appartenenza per aver violato il Codice deontologico. Con un documento, votato all’unanimità dal Consiglio, riunitosi a Roma, si è ribadito nero su bianco il «forte dissenso all’emendamento al Ddl sulla sicurezza che abroga il divieto per i medici di denunciare alle autorità gli immigrati irregolari che si rivolgono, per essere curati, alle strutture sanitarie pubbliche».

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News Enti locali

realtà, perché mette in discussione troppe certezze, prima tra tutte, la famiglia. Molto più semplice scaricare tutte le colpe sul parafulmine straniero. Più l’altro è colpevole, più siamo innocenti noi. Restano tante domande appese, ignorate. Se la nostra legge considera un’attenuante commettere dei crimini sotto l’effetto di droghe, la colpa è dei rumeni? Se i nostri magistrati considerano normale mandare a casa chi ha appena stuprato una donna, la colpa è dei rumeni? Ed è colpa loro anche se la mamma di un ragazzo di Nettuno, complice di un rogo umano, dice che il suo figlioletto sedicenne è un ragazzo di buon cuore traviato dai più grandi? Nessuno assedia le auto della polizia, nessuno ha fame di linciaggio quando ai domiciliari viene portato ‘un bravo ragazzo’ italiano che ha stuprato per scommessa, che ha bruciato un uomo per gioco. Nessuno chiede conto alla classe politica di una legge per cui uno stupro vale meno di tre anni di carcere, quindi vale la libertà condizionale; e di un’altra legge che ritiene impossibile la custodia cautelare quando il reato di cui si è accusati prevede la condizionale.

Il Pasquino

Nel documento si legge che la procedura di segnalazione «è in netto contrasto con i principi della deontologia medica, espressi in particolare dal giuramento professionale e dall’art. 3 del codice deontologico, che impongono ai medici di curare ogni individuo senza discriminazioni legate all’etnia, alla religione, al genere, all’ideologia, di mantenere il segreto professionale e di seguire le leggi quando non siano in contrasto con gli scopi della professione». Quella che stiamo vivendo è la psicosi di un tempo malato, dove la peggiore violenza diventa etnica, dove il branco che distrugge la vita di una ragazza non è giudicato per ciò che ha fatto, ma per il luogo da cui proviene. Eppure, gli stupri e le aggressioni non hanno nazionalità, a meno che vogliamo far finta di non vedere i giovani e benestanti stupratori di capodanno, a base di pasticche e alcool, o gli aggressori romani, che hanno colpito onesti lavoratori immigrati. In oltre tre quarti delle violenze sessuali lo stupratore ha le chiavi di casa, secondo i dati ufficiali. Pare che noi non possiamo vedere questa

Il Comune di Roma taglia i fondi ai Municipi l taglio delle risorse per i Municipi di Roma, in clima di piena crisi economica, colpisce prima di tutto la cultura. Numeri alla mano, questo è un dato di fatto. «Abbiamo avuto un taglio di risorse sulla cultura di oltre il 50%» - dichiara Valentina Grippo, assessore alle politiche culturali del Municipio Roma III. «Sono a rischio il tavolo di promozione della cultura scientifica e le attività culturali pomeridiane nelle scuole». Anche Rocco Stelitano, presidente del consiglio del X Municipio af-

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ferma che «il decimo Municipio è colpito profondamente dai tagli della giunta Alemanno. Siamo passati da 130.000 euro, stanziati sulla cultura, a 20.000, e questo impedisce di programmare qualsiasi attività di un certo valore nell’ambito del territorio». Della stessa idea è Giulio Pelonzi, vice presidente della commissione cultura: «Quello che si va profilando nei bilanci culturali dei municipi è un de profundis. Dai primi dati pervenuti e da quelli che continuano a giungere - ag-

giunge Pelonzi - si ha l’impressione netta dell’impossibilità per i municipi di Roma di approntare una politica culturale degna di questo nome». Il presidente del Municipio Roma XI, Andrea Catarci, fa un riepilogo della situazione e mette in luce altre problematiche. «Nel caso del Municipio XI la Giunta Comunale intende ridurre dell’80% i fondi per le iniziative culturali (da 122.000 a 20.000€), affermando il proprio centralistico monopolio; intende azzerare tutte quelle voci che contribuiscono a sviluppare la comunicazione, l’informazione e la sinergia con la comunità territoriale. Ma ancor più grave risulta il taglio dell’Assi-

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stenza Alloggiativa (da 140.000 a 70.000€) e del Sostegno alle Famiglie (da 77.000 a 44.000€). Ma è in generale la scelta di confermare gli importi per gli interventi sociali a essere assolutamente non condivisibile. Alla faccia dello slogan: ‘Roma riparte’, i Municipi vengono amputati di indispensabili funzioni e, anziché svilupparne le caratteristiche di Governo Locale, si persegue l’obbiettivo di ridurli a semplice appendice del Campidoglio. È evidente che di fronte alla situazione data su questi temi in Consiglio Comunale daremo battaglia affinché venga ripristinato un budget serio per la programmazione culturale nei territori». n

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Il Pasquino

L’immigrazione divide il Consiglio dell’XI Municipio l 17 febbraio, nella sala consiliare dell’XI Municipio, ha avuto luogo un acceso consiglio municipale sul tema dell’immigrazione, partito dalla proposta di mozione della consigliera del PD, Floriana D’Elia, per esprimere solidarietà verso Navtej Singh Sidhu, l’indiano trentacinquenne picchiato e bruciato a Nettuno lo scorso 31 gennaio. Terminata la lettura della mozione della consigliera D’Elia, che ha sottolineato l’ondata xenofoba in corso in Italia e, nello specifico, nella città di Roma, il consigliere dell’opposizione Foglio, capogruppo del PDL, prima della fase di

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dichiarazione di voto, ha preso la parola, confermando la solidarietà da parte dell’opposizione all’uomo barbaramente picchiato e al quale è stato dato fuoco, ma redarguendo la maggioranza di evitare inutili e ridondanti strumentalizzazioni del caso, in quanto la solidarietà verso un gesto del genere, logica e dovuta, deve però avvenire prescindendo dalla nazionalità. Le parole del consigliere Foglio hanno così scatenato un acceso dibattito, con tema centrale l’immigrazione nel suo complesso, uscendo poi fuori anche dal tema della solidarietà allo sfortunato indiano.

La maggioranza, dalle parole del consigliere Bertolini, ha sottolineato come la vicenda di Nettuno altro non sia che la conseguenza di una società ormai degenerata, una ferita aperta di una società in balìa della televisione, che non riesce più a distinguere tra i reali valori e quelli fasulli. Le parole di Bertolini hanno però trovato il consigliere PDL Perissa in forte contra-

sto. Sempre ribadendo le inutili strumentalizzazioni su casi del genere, Perissa ha affermato di non condividere le posizioni della maggioranza sulla totale degenerazione della società, bensì un problema risolvibile “a valle” con degli accurati controlli ed una maggiore presenza di forze dell’ordine. Al termine del dibattito, la proposta di mozione è stata poi votata a maggioranza dalle forze del Consiglio, ma, al momento della dichiarazione di voto, il consigliere Perissa ha mostrato tutto il suo disappunto, dichiarando di abbandonare l’aula e rinunciando così al voto. n

aree adiacenti le Cisterne Romane. Nel parco di Veio sarà allestita una centrale operativa e realizzato un sistema di trasmissione dati verso la Centrale. Inoltre verranno installate 4 postazioni di videosorveglianza e verranno acquistati 20 palmari per la visione remota delle immagini nella Sala operativa in dotazione al personale di vigilanza. Infine nell’ente RomaNatura sarà completata l’illuminazione della strada di accesso a Villa Mazzanti e sarà ripristinato l’accesso, con l’installazione di un cancello, alla Riserva di Monte Mario. Inoltre sarà realizzata una recinzione di 200 metri, un sistema di illuminazione fotovoltaica e un

cancello di accesso alla Riserva dell’Insugherata. «Si tratta di interventi importanti da parte della Regione – ha affermato l’assessore Daniele Fichera - ma c’è da fare un investimento tecnologico sulle strutture che mettono in condizione di intervenire rapidamente. Mi aspetto questo stanziamento ulteriore per la sicurezza nel decreto del governo perché oggi la situazione è che la Regione finanzia la centrale operativa della Questura di Roma». Zaratti, invece, ha puntualizzato che «le recinzioni saranno aperte durante le ore del giorno mentre di notte i parchi verranno chiusi per non far entrare nessun no».

Dopo i recenti fatti di cronaca, si sbloccano i fondi per la messa in sicurezza dei Parchi ecinzioni, illuminazione, videosorveglianza: sono i sistemi di sicurezza che la Regione Lazio mette in campo per tre parchi di Roma: il parco dell’Appia Antica, il parco di Veio e l’ente RomaNatura. Per tale progetto la Regione ha finanziato nel 2008 con 1,4 milioni di euro gli interventi per la riqualificazione e la messa in sicurezza di questi parchi. Hanno presentato gli interventi, in una conferenza congiunta, gli assessori alla Sicurezza e all’Ambiente, Daniele Fichera e Filiberto Zaratti. Metà dei fondi sono stati stanziati per la demolizione e la bonifica degli insediamenti abusivi mentre i restanti saranno utilizzati per la mes-

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sa in sicurezza delle aree verdi. In particolare nel parco dell’Appia Antica sarà realizzata una recinzione metallica nell’area di via Tacchi Venturi fino a Cessati Spiriti, mentre saranno messe in sicurezza, con delle grate in rete metallica e con l’installazione di un cancello, le

Nessuno osa mettere il naso nella famiglia, dove la violenza è più sottile e più tragica, perché in quel caso un uomo abusa di chi gli ha regalato la sua fiducia e la sua vita, perché spesso nella sua atrocità coinvolge dei bambini, perché non di rado a chiudere la bocca della donna sono sen-

timenti come paura, vergogna, senso di colpa che si aggiunge allo strazio. Si dice spesso che bisogna spiegare ai figli la gravità di certi gesti, ma bisognerebbe prima spiegarlo alle madri e ai padri e poi spiegare che ‘certi gesti’ non hanno colore né razza. n

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MIGRANTI

A rimetterci, come sempre, i più disperati di Luca Trinchieri

ooperazione nel controllo dell’immigrazione clandestina in cambio della costruzione di infrastrutture per cinque miliardi di dollari. Questa è la sostanza alla base del trattato tra Italia e Libia firmato ad agosto 2008 e ratificato lo scorso diciotto febbraio dal parlamento italiano. Un’approvazione quasi bipartisan - contrari solo Idv, Udc e i radicali eletti nelle file del Pd - che ignora, o finge di ignorare, le drammatiche conseguenze che esso avrà sui migranti di transito in Libia verso il sogno europeo. Il trattato, in realtà, è molto ampio: da un lato chiude l’eterno contenzioso legato al passato coloniale, dall’altro rinnova la cooperazione in campo economico, industriale, energetico e politico. Ma la ragione principale dietro le pressioni italiane per l’adozione del testo è stata senza dubbio quella di ottenere da Tripoli uno sforzo nel controllo dell’immigrazione clandestina. Nulla di nuovo, apparentemente: nelle poche righe dell’articolo 19 si richiama semplicemente al rispetto dei patti già esistenti, e in particolare di un’intesa raggiunta a dicembre 2007 con cui sarebbe dovuto diventare

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Il nuovo trattato Italia-Libia delega ai poliziotti libici di fermare i migranti che attraversano il nord-Africa verso l’Europa. Intanto i flussi continuano a crescere e si differenziano, scegliendo percorsi sempre più pericolosi. 11

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Come un uomo sulla terra al 2003 l´Italia e l´Europa chiedono alla Libia di fermare i migranti africani. Ma cosa fa realmente la polizia libica? E qual è il destino di chi tenta di raggiungere il nostro continente? Come un uomo sulla terra, documentario di Andrea Segre, ricostruisce la violenza dei contrabbandieri e le sopraffazioni della polizia, la realtà dei luoghi di detenzione e le deportazioni collettive. Dando voce alle sofferenze di chi ha vissuto queste esperienze sulla propria pelle, e mostrando senza reticenze il lato oscuro dei patti tra Italia e Libia.

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Contrastare le partenze via mare dalle coste libiche non risolve quindi la questione. Allontana semplicemente la tragedia dai nostri occhi

operativo il pattugliamento congiunto delle coste libiche per intercettare le imbarcazioni di immigrati diretti in Italia. Un impegno che Gheddafi non ha mai messo in pratica, fiutando nel successivo cambio di governo a Roma la possibilità di rilanciare la posta in gioco. E ci è riuscito: per assicurarsi il suo sostegno, ora l’Italia realizzerà in Libia progetti infrastrutturali per una spesa complessiva di cinque miliardi di dollari in vent’anni. Il trattato lo definisce un risarcimento per l’occupazione coloniale, ma anche sotto questo profilo si era giunti più volte ad un’intesa che sembrava definitiva. Il leitmotiv dei rapporti con Tripoli è lo stesso da anni. Roma ha cercato di coinvolgere la Libia nel più ampio progetto di ‘esternalizzazione’ delle frontiere che ha investito i paesi del Nord Africa nell’ultimo decennio. In pratica una delega a questi Paesi nel controllo dei flussi migratori. In quest’ottica, a partire dal 2003 il governo italiano ha fornito alla Libia addestramento e materiale per rafforzare il controllo dei confini; ha finanziato decine di voli charter per il rimpatrio di immigrati illegali dalla Libia ai Paesi di origine; ha costruito almeno tre campi di trattenimento di immigrati in territorio libico. Gheddafi ha capito di avere il coltello dalla parte del manico, e ha utilizzato il controllo dei flussi migratori come merce di scambio per uscire dall’isolamento internazionale in cui il suo Paese si era trovato negli anni novanta. Come un rubinetto da aprire e chiudere per

ottenere nuove concessioni. Così, a fronte di un impegno nel contrasto dell’immigrazione ogni volta promesso e disatteso, Tripoli ha visto abbattersi progressivamente barriere formali e sostanziali (l’abolizione dell’embargo sulle armi) nei sui rapporti con l’Europa. La scelta di diventare l’ennesimo gendarme delle frontiere europee non ha finora prodotto i risultati attesi da questo lato del Mediterraneo. Il 2008, al contrario, ha registrato un record di arrivi lungo le nostre coste meridionali. Tuttavia il processo di ‘esternalizzazione’ sta avendo conseguenze drammatiche sulla vita dei migranti. Sotto le pressioni italiane ed europee, la Libia ha radicalmente invertito la tradizionale politica di apertura e accoglienza nei confronti degli immigrati africani, che sono sempre più oggetto di maltrattamenti e abusi da parte di trafficanti e autorità di polizia, spesso complici delle medesime reti di sfruttamento. In risposta alla chiusura delle frontiere meridionali libiche, che ha colpito anche circuiti migratori regionali come quello tra Niger e Libia, i tragitti nel deserto si sono fatti più lunghi e pericolosi, mentre migliaia di migranti ogni anno sono deportati dalle città del nord verso il deserto, dove vengono detenuti in attesa di essere espulsi; o addirittura di essere rivenduti agli stessi trafficanti, alimentando un circolo vizioso e, talvolta, mortale. Contrastare le partenze via mare dalle coste libiche, come previsto dal nuovo trattato Italia - Libia, non risolve quindi la questione. Allontana semplicemente la tragedia da sotto i nostri occhi. E condanna chi scappa da guerre e persecuzioni al paradosso che per poter richiedere asilo politico deve prima riuscire a sopravvivere al deserto, ai soprusi dei poliziotti libici e alla traversata per mare - arrivando clandestinamente a Lampedusa - perché Tripoli non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato. Allo stesso modo, il rafforzamento dei controlli a sud della Libia non fa che riprodurre lungo quella linea di confine le stesse tensioni e le stesse tragedie che si cercano di evitare nel Mediterraneo. Delocalizza l’aspetto più violento delle nostre stesse politiche, ma non per questo ci solleva dalle nostre responsabilità. n

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di Eugenio Balsamo

ARGENTINA

Da Buenos Aires a Roma alla ricerca delle radici l complesso fenomeno delle migrazioni ha, fra le sue molte sfaccettature, anche il caso delle ‘migrazioni di ritorno’, quando gli emigranti decidono, cioè, di tornare nei Paesi d’origine. In Argentina, Stato che nel secolo scorso ha accolto milioni di emigranti, ad esempio, dopo la crisi politico-istituzionale del 2001, i flussi migratori hanno incominciato ad andare in senso contrario. La Direzione Nazionale per le Migrazioni ha censito la fuga di più di novantamila argentini nel solo 2002 e da quel momento il flusso, anche se meno rilevante negli anni seguenti, non si è mai arrestato. Le principali destinazioni erano e sono: Spagna, Italia, Stati Uniti e il vicino Brasile, forte della sua maggiore stabilità e performance economiche. Il dirigersi verso Spagna e Italia, cioè, verso le terre natali di bisnonni, nonni e genitori, aiutati dalla facilità linguistica nel primo caso e in entrambi dalla possibilità di sentirsi più a casa, grazie alla cittadinanza spagnola o italiana ottenuta ius sanguinis, condizione prevista dalla legislazio-

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L’immigrazione argentina di ritorno. Un fenomeno poco osservato e che dovrebbe avere maggiore attenzione


La classe dirigente sembra ancora cieca su un fenomeno che potrebbe sdoganare l’Italia nel club dei Paesi moderni e multiculturali

ne dei due Paesi. È di certo un’immigrazione più silenziosa rispetto a quella delle comunità romena, nordafricana, e albanese nella Penisola. E lo è evidentemente per i numeri decisamente meno importanti, ma anche perché le affinità culturali ed etniche sono forti. Spesso, inoltre, ci si affida alle famiglie di origine, riscoprendo parentele lontane e basate su un forte sentimento di adesione alle emozionanti vicende dell’emigrazione che ha segnato, in periodi diversi, la quasi totalità delle famiglie italiane. L’associazionismo degli immigrati di ritorno nel nostro Paese è ancora molto povero, sia di numeri che di contenuti. Questo accade anche perché la classe dirigente, a livello centrale e periferico, sembra ancora cieca su un fenomeno che potrebbe sdoganare l’Italia nel club dei Paesi moderni e multiculturali. È chiaro che il clima di caccia alle streghe che si respira di certo non aiuta gli italiani ad afferrare l’opportunità di un arricchimento sociale e morale. Se il modo di intrecciare proficue relazioni sociali è quello di indossare pettorine colorate nelle ore notturne, è evidente che siamo sulla cattiva strada. Tra le forme di aggregazione attualmente presenti, merita di essere citata quella che possiamo definire ‘mista’. Ci si riferisce, nella fattispecie, alle associazioni italoargentine, compagini al cui interno operano volontari di entrambi i Paesi. Se non ci pensa la macchina statale a stimolare rapporti di amicizia tra i popoli, verrebbe da dire, ci pensano direttamente loro. Associazioni di questo tipo, difatti, non hanno il solo fine istituzionale di fare conoscere un popolo, la sua cultura, la sua storia e così spiegare al Paese ospitante perché sono costretti a lasciare la terra di origine. Cercano, al contrario, attraverso le loro iniziative, di lavorare sul terreno della conoscenza reciproca, finalizzata non ad avvicinare due Paesi (compito che spetta alla sfera delle diplomazie) bensì a stringere due popoli sulla tolleranza dell’indispensabile vivere comune. E proprio questo è, da poco più di un anno, lo scopo dell’Associazione socioculturale italo-argentina (Ascia, www.italoargentina.blogspot. com), sita a Castellamare di Stabia, noto centro del problematico napoletano. E ciò con il valore aggiunto che ha come riferimento due Paesi che, fino a poco più di mezzo secolo fa, di partenze e arrivi ne hanno conosciuti a milioni. Del resto, spiega il presidente Carlos Omar Bustamante, «noi argentini siamo figli della barca e genitori dell’aeroplano». Diverse sono le ambizioni di questo ar-

Carlos Bustamante

gentino classe 1955 e, tra queste, cercare di difendere la propria cultura di nascita attraverso le più diverse manifestazioni: dalla musica alla poesia, al teatro alla letteratura fino all’immancabile gastronomia. E fare leva su questi fattori per rimarcare i punti di contatto tra il vivere argentino e quello italiano. Non ci sarebbe luogo più adatto, se si considera che, da decenni, in tutta l’Argentina gli italiani vengono identificati come ‘tanos’. Quando toccavano il suolo infatti, ai funzionari del porto i napoletani, alla domanda “Di che nazionalità sei?” invece che italiano rispondevano “napoletano”, successivamente abbreviato in ‘tano’ e poi esteso a tutti gli italiani. Studi recenti hanno confermato che la particolare cantilena dello spagnolo argentino è così perché nel tempo influenzata dal modo di parlare dei partenopei. Ma in realtà, l’ambizione dell’Ascia è quella di divenire punto di riferimento nell’Italia meridionale. Al tempo stesso l’associazione fornisce assistenza alla comunità degli argentini residente nei comuni dell’area napoletana. Tante sono le iniziative organizzate e sostenute e tra queste merita di essere segnalata Memoria y desaparecidos che nel mese di maggio si onorerà, tra le altre, della presenza delle Madri di Plaza de Mayo. Abbiamo chiesto a Carlos Bustamante un parere sull’essere immigrati ‘particolari’ nel nostro paese. In Italia l’immigrazione più visibile è di origine africana e asiatica. Tra questa si nasconde quella cosiddetta identitaria, cioè più vicina alla cultura italiana per sangue e religione, come quella sudamericana. Questo aiuta a sentirsi più integrati o no? «In parte aiuta perché permette di ‘mimetizzarsi’ nella popolazione italiana, anche se spesso capita anche a noi di essere inclusi nel girone degli ‘extracomunitari’. Nonostante eventi spiacevoli che possono comunque verificarsi, come argentini ci sentiamo bene integrati nel tessuto italiano».

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L’area del napoletano, nonostante le note difficoltà, è un luogo, per cultura e vivacità, che aiuta a sentirsi parte integrante del tessuto sociale? «Con i napoletani tutto sembra più facile forse perché qui si vive ancora il dramma del dovere emigrare nel nord del Paese. C’è comprensione, insomma. E poi, guardando agli aspetti più terreni, ci unisce la passione per il pallone (Maradona prima e Lavezzi ora)». Lo scopo delle associazioni come la sua è anche quello di avvicinare i due Paesi facendoli reciprocamente conoscere. Il sistema, però, pare non funzionare. Quali sono le mancanze del settore pubblico al riguardo? Stimola l’associazionismo e poi lo abbandona a se stesso? «Molti dei nostri associati sono italiani e non hanno parenti in Argentina. Fanno parte del sodalizio perché innamorati del nostro Paese o addirittura del tango. Ciò consente che l’interscambio culturale sia più intenso e appropriato. Quanto al settore pubblico, il più delle volte si limita al ruolo di spettatore indifferente, sia a livello di stato centrale che di enti locali». Come giudica le dichiarazioni del presidente Berlusconi sulla triste vicenda dei voli della morte? «Come argentino mi sento ferito nel sentir parlare ironicamente di una tragedia che ha colpito un intero popolo. Anche perché gli argentini, in precedenza, hanno potuto contare sulla solidarietà italiana pubblica, privata e della giustizia del vostro Paese. Direi che solo chi non avverte il minimo rispetto della vita e dei diritti umani possa qualificare come ‘belle giornate” i giorni più dolorosi della nostra storia. È spiacevole che chi conduce il destino di un popolo possa esternare concetti tanto offensivi e che, casualmente, avvenga proprio mentre la giustizia italiana stia sollecitando l’estradizione dell’ammiraglio Massera che con Berlusconi ha condiviso l’esperienza della P2. In definitiva, i familiari dei desaparecidos argentini e di ori-

La fermata della metro a Plaza Italia a Buenos Aires e sullo sfondo la statua di Garibaldi. La toponomastica ricorda il nostro passato da migranti

gine italiana considerano l’uscita del premier altamente lesiva». Quali sono, a suo avviso, i punti essenziali per rafforzare i rapporti tra Italia e Argentina? «In linea generale le relazioni tra i due Paesi sono buone. Ma al di là di questo chiedo con forza che l’Italia abbia un’altra visione e un altro comportamento con i migranti, con gli ‘altri’, con le culture differenti. E che non dimentichi mai il suo passato di terra di emigrazione e che anche fra chi partiva molti non erano ‘onesti lavoratori’. Gli italiani d’Argentina non furono costretti a rinunciare alla propria cittadinanza, né a frequentare classi separate perché poveri di vocabolario spagnolo. Non si videro negare l’accesso all’edilizia popolare perché non argentini, né un posto in fabbrica perché prima c’erano gli argentini». Sembra che l’Italia stia progressivamente dimenticando il suo passato. n

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