Programma EQUAL II째 FASE Codice identificativo: IT-S2-MDL-103 Misura 5.1
Progetto COOPERA Macrofase 5
RICERCA SUI FABBISOGNI DEI RICHIEDENTI ASILO
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Partnership di Sviluppo Kervan (Associazione) - Brunico (capofila) InFormData (Consorzio a partecipazione pubblica) - Lecce Provincia di Lecce Grain (Associazione) - Brunico Acuarinto (Associazione) - Agrigento
Partner Transnazionali Caritas della Regione Salisburgo UniversitĂ di Cracovia e Varsavia
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Premessa .................................................................. . 4 Cap. 1 - Il metodo di ricerca .................................... . 8 Cap. 2 - Le rappresentazioni .................................. 1 4 Cap. 3 - La permanenza ed il disagio ...................... 25 Cap. 4 - Le difficoltà legate al riconoscimento ....... 2 8 Cap. 5 - La realtà nel Salento ................................ 42 Cap. 6 - Le difficoltà della rilevazione ................... 6 5 Cap. 7 - I circuiti dell’accoglienza .......................... 73 Cap. 8 - Il quadro normativo ................................ 77 Cap. 9 - Il quadro della ricerca ................................ 104 Cap. 10 - Conclusioni ............................................. 114
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PREMESSA
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N
ella lotta contro la discriminazione e le disuguaglianze sociali, una particolare rilevanza è attribuita al problema dell’inserimento sociale dei richiedenti asilo. Se infatti le dimensioni del fenomeno sono differenti negli Stati membri, il dato comune alla maggior parte di essi è che
l’accesso al mercato del lavoro dei richiedenti asilo è sottoposto a condizioni molto restrittive o perfino impedito. Attraverso i progetti di valorizzazione delle potenzialità dei soggetti richiedenti asilo si è voluto fare un ulteriore passo in avanti per migliorare la qualità dell’accoglienza e per promuovere nuovi approcci formativi per i richiedenti asilo e i rifugiati in Italia. La presente ricerca rappresenta uno degli aspetti propedeutici di un percorso finalizzato a comprendere le cause, capire l’azione, adottare interventi proficui di valorizzazione delle risorse rappresentate dai richiedenti asilo. Sia le esperienze fatte, sia gli sviluppi normativi del paese, sia la configurazione del fenomeno nonché la tipologia di ingressi alle frontiere italiane, hanno stimolato un sempre più attivo coinvolgimento e presa in carico della questione asilo da parte di tutti i soggetti interessati alla materia. E’ possibile oggi sperimentare modelli di integrazione che possono essere uno stimolo per allontanarsi da una politica di tipo assistenzialista e emergenziale, realizzando servizi e pacchetti integrati di formazione, inserimento socio lavorativo e socio-abitativo rivolti a richiedenti asilo e rifugiati. -5-
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La filosofia della ricerca è quella di sperimentare una ricognizione comparata dei bisogni essenziali dei richiedenti asilo per realizzare un modello di intervento che possa rilevarsi come una terza possibilità, alternativa allo sterile movimento dal basso verso l’alto e viceversa (bottom-up/top-down). Né il processo bottom-up né tanto meno l’imposizione dall’alto attraverso un processo di topdown erano sufficienti, presi separatamente, per sviluppare una programmazione di politiche attive che portasse ad interventi integrati necessari nella gestione dei fenomeni migratori e sociali, ai quali quella dell’asilo appartiene. Il livello territoriale, che a stento esce da interventi contingenti e emergenziali, è quindi limitato se non è sostenuto da programmazioni ordinarie di medio-lungo termine, sostenute da risorse adeguate stabilite in un’ottica di ripartizione non territoriale. Allo stesso modo, “il solo ricercare, in maniera scollegata
dal sistema operativo e gestionale del livello territoriale, non può che frustrare aspettative e bisogni reali ed indurre ad una errata percezione della realtà e delle problematiche”. L’azione di ricerca mira a rendere possibile l’approfondimento delle tematiche di interesse sociologiche, giuridiche, antropologiche, favorendo l’elaborazione condivisa della conoscenza e la definizione comune di metodologie utili per la realizzazione di un’azione di accompagnamento non solo nella progettazione ma anche nell’inserimento socio-lavorativo dei beneficiari. -6-
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Occorre tenere conto che i contesti della ricerca e quelli nei quali hanno operano i soggetti coinvolti direttamente sul campo sono molto diversi: se chi opera sul campo è a contatto diretto con i beneficiari e con gli operatori dei servizi, chi invece svolge la propria azione a livello di ricerca è, di certo, maggiormente chiamato a confrontare percorsi, esperienze e modelli di intervento sull’intero territorio nazionale e non solo. Il tutto senza dimenticare che i modelli di intervento a favore dei soggetti richiedenti asilo sono molto difficile da gestire. Eppure riteniamo che “lo strumento della ricerca e della
ricerca interdisciplinare applicata ai fenomeni sociali complessi ed articolati sia l’unico e il più virtuoso percorso perseguibile per raggiungere l’obiettivo della gestione di fenomeni che per lo più sfuggono alla logica della gestione come quelli migratori e sociali, tra i quali si deve inserire a pieno titolo quello dell’integrazione del richiedente asilo e del rifugiato”.
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Capitolo 1 Il Metodo di Ricerca
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I
l metodo sistemico si pone alla base degli studi e delle ricerche in materia di problematiche sociali e può rappre-
sentare il punto di vista privilegiato da cui guardare ai multiformi fenomeni dell’immigrazione ed ai connessi problemi dell’integrazione tra diversità culturali e alle strategie del dialogo interculturale e interreligioso oggi sempre più necessarie. L’antropologia culturale contemporanea, ad esempio, si basa su tale metodo. Essa può essere considerata come la scienza del dialogo culturale per eccellenza e si pone alla radice stessa del paradigma scientifico delle scienze sociali. e dunque riteniamo fondamentale l’apporto fornito dal metodo sistemico all’interpretazione dei contesti e delle problematiche sociali. La questione della ricerca sociale applicata alle problematiche dei richiedenti asilo, in una prospettiva progettuale di matrice preventiva e finalizzata alla gestione e riduzione dei conflitti sociali ed alla facilitazione del dialogo tra rappresentanti e gruppi culturalmente differenziati, sembrerebbe un classico argomento antropologico e ci si aspetterebbe di trovare varie ricerche antropologiche in merito. Al contrario, l’antropologia culturale e l’etnologia in Italia non sono abbastanza rappresentate nel panorama degli studi sulle tematiche dei richiedenti asilo, che restano assai più spesso legate o alla semplice competenza pratico-applicativa -9-
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o all’approccio sociogiuridico che rischia di ridurre la ricerca a forma alternativa di risoluzione dei conflitti e di tamponamento delle falle che la conoscenza rivela in tali questioni. Al contrario, il nostro tentativo di fornire un quadro chiaro e realistico della realtà salentina si fonda sulla radicalità del sapere antropologico in relazione all’urgenza di approfondire e sviluppare connessioni tra fenomeni di migrazione e integrazione parziale o difficile nei contesti sociali ospitanti. Le parti in cui la ricerca si sviluppa propone alcune questioni generali che abbiamo ritenuto necessarie per inquadrare le tematiche chiave dei fabbisogni e delle rappresentazioni dei richiedenti asilo, ma anche alcuni specifici ambiti di approfondimento che abbiamo ritenuto più utili per evidenziare i disagi culturali e sociali legati alla “situazione di transito” e le problematiche politiche e giuridiche che l’emigrazione pone alle moderne società postindustriali ed alle loro propaggini periferiche territoriali quale può essere considerata la penisola salentina, terra decennale di transito, percorsa da uomini culture, risorse ed occasioni perdute di integrazione reale. E’ così che nella ricerca si approfondiscono questioni legate al conflitto tra orientamenti culturali all’interno dei centri di accoglienza, aspetti critici che, non da oggi, si presentano tragicamente all’attualità e ci si chiede come un progetto di ricerca e d intervento preventivo possa contribuire a interpre- 10 -
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tare e a costruire strumenti di analisi e di risoluzione per tali conflitti. Un secondo aspetto della ricerca approfondisce i diversi contesti in cui le situazioni di disagio dei richiedenti asilo vengono a manifestarsi: luoghi, lingue, modalità culturalmente determinate di porsi di fronte all’alterità ed alla diversità “organica” della terra ospitante. Tali contesti segnano, come è sempre più evidente, in senso positivo o negativo, le dinamiche dell’incontro sociale o della marginalizzazione delle risorse umane e un’indagine attenta sulle forme e i luoghi in cui tale confronto tra culture e prospettive di integrazione sociale e lavorativa viene a realizzarsi si presenta oggi sempre più urgente. A proposito dei contesti e della “partecipazione diretta” come metodo di indagine funzionale ad una analisi di tipo sistemico della realtà occorre ricordare che la neutralità dei contesti della nostra ricerca rischia di fuorviare l’analisi e la messa in atto di quelle buone pratiche che il progetto ambisce a creare. Sarebbe infatti impensabile da un punto di vista antropologico pensare ad un soggetto effettivamente neutrale all’interno di un conflitto, del tutto imparziale rispetto alle parti in causa, anche se è ciò cui in ogni caso l’oggetto a cui ogni ricerca deve comunque tendere. La neutralità si rivela però assurda come richiesta perché è - 11 -
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innegabile che il ricercatore, in quanto soggetto, appartenga ad un determinato contesto culturale e dunque questo condiziona in ogni caso il suo punto di vista, o almeno il punto di partenza delle sue analisi e delle (buone) pratiche da lui messe in atto per spiegare i disagi socioculturali che si trova di volta in volta a fronteggiare. Pertanto la ricerca sui disagi sopportati dai richiedenti asilo nei contesti critici del Salento è stata in particolar modo approfondita nel quadro di un progetto di tipo preventivo. E’ indubbio che i problemi che ostacolano una reale inclusione socio-lavorativa e quelli di base relativi alla riduzione dei conflitti e delle tensioni culturali e sociali, a livello sia di piccole che di grandi comunità di accoglienza, abbiano anche a che vedere con l’esclusione e l’inclusione sociale e che essa è pesantemente connessa alla diversità etnica e culturale. C’è insomma una debolezza profondamente condizionata dall’appartenenza culturale, anche se non può essere considerata come l’unica causa dell’emarginazione. Non a caso infatti l’esclusione sociale dei migranti, dei profughi e di molti rifugiati rappresenta un fattore importante della conflittualità più o meno latente presente nelle nostre città. Una attenta analisi delle politiche di integrazione dei richiedenti asilo dimostra come solo una profonda riformulazione - 12 -
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del sistema di accesso e mantenimento della cittadinanza e la consapevolezza del peso che l’appartenenza culturale riveste sempre di più nella moderna vicenda migratoria possano contribuire al mutamento della vita delle popolazioni migranti nelle moderne società occidentali. Purtroppo, il celebre e fuorviante “scontro di culture” , ammesso che di ciò si tratti, rischia di vanificare il lavoro lento di accettazione e integrazione delle popolazioni migranti con quelle residenziali. La diffidenza e la difficoltà nel riconoscere l’alterità culturale dell’ospitante e dell’ospitato impediscono il riconoscimento delle differenze produttive e dei punti di contatto tra differenti “estrazioni”. Ciò accadrebbe in funzione di un rafforzamento della solidarietà del “noi” contro gli “altri” che sta prendendo forma nell’approccio sistemico delle tematiche pedagogiche e ci fa capire come adoperarsi per l’inclusione delle risorse “altre” sia davvero uno dei nodi centrali del moderno vivere associato, anche nei cosiddetti territori di frontiera, sempre che ciò rappresenti una dizione esatta nel momento in cui un tratto incisivo e pericoloso del processo di globalizzazione, si realizza su scala soprattutto locale.
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Capitolo 2 Le Rappresentazioni
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E
’ opportuno premettere una considerazione: come noto, i Richiedenti Asilo sono coloro che, in fuga dal paese di
origine, hanno richiesto la status di rifugiato, ma non hanno ancora ottenuto risposta. In questa categoria, secondo le definizioni giuridiche, possiamo annoverare anche gli sfollati, cioè le persone che abbandonano il luogo di abituale di dimora ma che non escono dai confini dello Stato; alcuni gruppi di popolazioni colpite dalle guerra e alcuni cittadini della ex Unione Sovietica che non riescono ad ottenere la cittadinanza in alcuno dei nuovi Stati nati dalla dissoluzione della stessa. Tutte queste persone non hanno lo Status di rifugiato, perché rimpatriate o perché non rientrano nella definizione della Convenzione di Ginevra, tuttavia la loro condizione reale è molto spesso coincidente, o quantomeno simile a quella dei rifugiati e per questo necessitano dello stesso tipo di aiuti e interventi. Si potrebbe affermare, con ragionevole certezza, che le persone fuggono dal proprio Paese quando viene meno la sicurezza. Tuttavia quando parliamo di sicurezza a cosa alludiamo veramente? Gli aspetti da considerare sono duplici: ci si sente sicuri al riparo dai pericoli che possono ledere l’integrità fisica ed es- 15 -
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sere protetti da sconvolgimenti improvvisi e traumatici della vita quotidiana. Quindi la perdita dei fattori di sicurezza può essere un processo lento e silenzioso, oppure essere il frutto di una emergenza improvvisa. Le cause possono avere una matrice umana, .oppure possono derivare da fattori naturali. Oppure può scaturire da una combinazione di entrambi i fattori. Peraltro non poca incidenza sulla perdita di sicurezza ha avuto il fattore economico: negli ultimi anni il reddito mondiale complessivo ha raggiunto livelli senza precedenti, ma allo stesso tempo si sono aggravate le disparità economiche, all’interno degli Stati e tra uno Stato e l’altro. Molte Nazioni si sono trovate escluse dal commercio internazionale, non riuscendo ad adeguarsi alla concorrenza crescente, finendo così vittime di un circolo vizioso di ristagno economico, degrado ambientale, impoverimento e in alcuni casi un elevato tasso di crescita demografica. In queste situazioni molto spesso, oltre a dilapidare le risorse naturali sfruttandole senza pietà, creando così le condizioni per disastri ambientali, la risposta degli Stati è consistita in drastiche riforme economiche e trasformazioni strutturali, che comportano un elevato prezzo umano e sociale, nella veste di disoccupazione, calo dei salari, riduzione dei servizi pubblici e aumento delle differenze di reddito. - 16 -
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Tutto ciò non genera direttamente esodi di rifugiati, ma esistono molti indizi a dimostrazione del fatto che i Paesi con un tenore di vita al limite della soglia di povertà sono particolarmente vulnerabili a persecuzioni, conflitti e violazioni dei diritti umani, che obbligano le persone alla fuga, avendo smarrito i riferimenti principali della propria esistenza. E’ evidente che situazioni di estrema povertà generano movimenti migratori a carattere volontario rappresentato da masse di gente che cercano di raggiungere un paese in cui ritengono di poter avere più possibilità, le quali, se non riescono ad entrare con altri mezzi legali, tentano richiedendo l’ammissione come rifugiati. Pertanto povertà e instabilità sociale e politica creano insicurezza e molto spesso generano quei conflitti culturali che, all’interno delle microrappresentazioni dei centri di accoglienza, costituiscono a loro volta una fonte certa di ulteriore e più complessa insicurezza. - 17 -
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Alcuni esempi possono essere utili per dimostrare quanto sia radicato, in queste persone, un senso di profonda e radicata insicurezza che, attraverso passaggi ulteriori si traduce in un sentimento ancor pi첫 pericoloso di diffidenza e soprattutto di sfiducia.
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PERSONE RICHIEDENTI ASILO Richiedenti intervistati
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Mostrano sfiducia generalizzata e non dire-
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zionata Mostrano fiducia eccessiva ed immotivata
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nella possibilitĂ di integrazione Mostrano sfiducia mirata ed usata come strumento di difesa
8
35 30 25 20 15 10 5 0 Mostrano sfiducia generalizzata e non direzionata
Mostrano sfiducia eccessiva ed immotivata nella possibilitĂ di integrazione
Mostrano sfiducia mirata ed usata come strumento di difesa
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Nel territorio salentino sono presenti, come noto, alcuni centri di prima accoglienza e di accoglienza permanente dove i richiedenti asilo vivono una realtà di sospensione e di stasi esistenziale. L’incontro tra operatori sociali, volontari, richiedenti asilo crea un microcosmo di relazioni da cui emergono rappresentazioni soggettive e collettive di sicuro interesse per chiunque voglia aver un quadro preciso dei desideri e dei fabbisogni primari degli ospitati. Antonio e Marinella sono due operatori Caritas che, occasionalmente, frequentano il centro accoglienza di San Foca (Le) e si prestano ad attività di varia natura come intrattenersi con i bambini, svolgere le pulizie nelle stanze, adoperarsi per incontrare le esigenze della gente che si trova nelle condizioni di dover richiedere il riconoscimento di uno status di rifugiato. Entrambi, interrogati riferiscono, di aver avuto notevoli difficoltà nel relazionarsi con gente diffidente e paurosa. “Le menti delle persone” -afferma Antonio- “sono luoghi
angusti, in molti vivono restando ancora con gli occhi fermi ad un passato angosciante, pronti a chiudersi a riccio, in silenzio, ogni volta che un input esterno mina il loro equilibrio”. In questo caso l’equilibrio è fatto di sfiducia, laddove la sfiducia rappresenta l’arma di difesa più efficace e non una - 20 -
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propensione preconcetta od una posizione pregiudiziale nei confronti del nuovo o del diverso. La sfiducia, in un certo senso quindi, è sinonimo di una salvezza metaforizzata e mitizzata come obiettivo ultimo che si sostituisce agli obiettivi di crescita e di integrazione sociale. Laddove si perpetua un circolo vizioso di chiusura e sfiducia si crea un meccanismo deleterio di stasi difficile da scardinare. “Ciò che mi colpisce maggiormente“ -afferma Marinella“è la difficoltà che provo a relazionarmi con gente che non
crede di avere un futuro, oppure ha una visione distorta dello stesso” . “E’ una cosa che provo a prescindere da quello che faccio, mentre opero all’interno del centro”. E’ chiaro che stiamo parlando di una rappresentazione indiretta di alcuni atteggiamenti, di alcune che possono essere considerate come espressioni superficiali di una realtà sottostante che si esprime attraverso segni esteriori. Non credere di poter avere un futuro è una tendenza psicologica che si presta a diverse interpretazioni. In primo luogo, può significare reiterare una disfunzionale rappresentazione del proprio vissuto, oppure duplicare mentalmente l’esperienza del non luogo dei centri di accoglienza - 21 -
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con un eterno presente che si manifesta nelle forme di una assenza di futuro. Ciò che conta, comunque è la presenza di quel muro di gomma rappresentato da una forma di sfiducia radicata, universalizzante con cui si deve fare i conti. Il primo bisogno che emerge è questo ed è un bisogno taciuto: uscire dai rigidi binari della diffidenza e di sfiducia associata ad una forma di fatalismo che è proprio di chi affronta l’esodo, inteso come abbandono ad un destino in cui nulla è consentito modificare. Un atteggiamento largamente diffuso tra i soggetti che richiedono l’asilo, tanto diffuso quanto pericoloso perché induce all’inerzia fatalista , alla disassociazione dal nuovo e possibile contesto. F. N. è di origine curda ed è “di passaggio” presso uno dei centri di accoglienza del territorio salentino. Nel suo paese ha studiato per diventare professore di lingue, prima di fuggire da devastazioni e conflitti. Da qualche tempo si trova nella condizione di dover richiedere lo status di rifugiato e nel frattempo si pone alcuni interrogativi. Si chiede se in Italia ci sia l’opportunità di insegnare la lingua inglese. Non credo che abbia ricevuto risposte all’altezza delle sue aspettative. - 22 -
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Anche se quando è arrivato nel centro era molto entusiasta. Non sapeva in che città andare,quando è arrivato sperava in una facile integrazione nell’occidente evoluto, ma invece ha trovato una fredda accoglienza e un futuro incerto che comunque affronterà. Si potrebbe essere portati a pensare che il compito di un paese evoluto è anche quello di restituire la propria dignità ad un richiedente asilo di 43 anni. E’ questo un chiaro esempio di come ad una larga sfiducia in un futuro di integrazione si sostituisca talvolta una visone distorta dello stesso ed una impossibilità di leggere e decodificare le reali possibilità di relazionarsi con il territorio di accoglienza, di rappresentare per esso una risorsa prima che una emergenza. La trasmissione e il mantenimento della propria identità culturale e professionale viene anche compromessa, poiché il tempo gioca a sfavore di tali situazioni. E il rischio di perdita dell’identità culturale si fa maggiore quando il tempo passato a richiedere asilo diventa metafora temporale delle difficoltà di relazione con le istituzioni, con gli interventi, con i luoghi dell’accoglienza e della integrazione. A tutto ciò si associa la fuga, spesso prima fisica dai paesi di origine e successivamente sociale. - 23 -
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La fuga è l’esperienza caratterizzante la persona che si rifugia. Per lasciarsi alle spalle la violenza, le deprivazioni, la paura di morire, nella speranza di raggiungere una zona sicura dove sistemarsi e aspettare di poter ritornare “alle proprie cose”. Decidere di lasciare tutto non è una decisione facile, nemmeno quando ciò che si lascia è un paese devastato da un conflitto. La fuga infatti significa perdita, perdita del proprio paese, della maggior parte delle proprietà, spesso di membri della famiglia che non vogliono o non possono partire, a volte perdita della cultura, con le abitudini, i riti, le usanze che non sempre si riescono a mantenere lontano da casa.
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Capitolo 3 La Permanenza ed il Disagio
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A
ll’interno dei centri per rifugiati e richiedenti asilo possono trascorrere molto tempo dal loro arrivo, a se-
conda di molti e diversi fattori: i tempi per il riconoscimento dello status, la possibilità di integrazione nel paese ospitante, l’intenzione dei governi rispetto alla loro permanenza, la disponibilità di paesi terzi ad accoglierli, la situazione nel paese di origine, eccetera. La permanenza nel campo profughi per i/le rifugiati/e, sfollati/e, richiedenti asilo non è sempre un’esperienza tranquilla anche se idealmente dovrebbero essere luoghi sicuri. Molti fattori di insicurezza e pericolo si realizzano infatti anche all’interno dei campi. Innanzitutto la composizione della popolazione sfollata o rifugiata è complessa, al suo interno vi possono essere persone appartenenti ai diversi gruppi etnici in lotta, nel caso di persone in fuga da conflitti armati, e in generale si riproducono precedenti divisioni e lotte di potere. Essendo oggettivamente complesso smistare le persone, i gruppi vengono indistintamente inseriti nello stesso centro, creando la possibilità di tensioni e conflitti al suo interno. Ulteriori pericoli per l’incolumità dei profughi possono essere determinati dalla posizione del centro , ad esempio vicino ai confini con i paesi o con l’area di provenienza, o in zone come il territorio salentino ad alta criminalità. - 26 -
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In questi casi non sono rare “incursioni” più o meno esplicite, allo scopo di reclutare gente priva di riferimenti forti, in uno stato di oggettivo disagio personale. La condizione delle persone all’interno dei campi profughi è resa precaria anche dall’indebolimento e dal crollo della struttura sociale e dei suoi sistemi tradizionali di protezione. La carenza o l’assenza di una rete sociale forte, che difficilmente, e solo col tempo, può essere ricostituita all’interno dei campi, pongono i soggetti più deboli in una situazione di vulnerabilità oggettiva, sotto ogni punto di vista. Questa situazione ha serie ripercussioni anche sull’equilibrio e la coesione dei singoli nuclei familiari. Gli adulti, in generale, vivono in quasi tutti i centri una condizione di attesa: - attesa di cibo, indumenti o oggetti che vengono forniti; - attesa di una sistemazione definitiva. Questo senza avere la possibilità di influire sull’andamento degli eventi. E’ comprensibile quanto può essere demotivante e fonte di tensione una simile situazione. Questa sfocia spesso in altre tensioni e conflitti all’interno dei nuclei, che possono degenerare in violenza, oppure porta le persone all’abuso di alcool e/o droghe. - 27 -
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Capitolo 4 Le DifficoltĂ legate al Riconoscimento
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a richiesta di asilo e relativa apertura delle procedure burocratiche che portano alla concessione od al rifiuto
della condizione di rifugiato crea uno iato temporale in cui è possibile intervenire, accogliendo i bisogni di protezione prima che di interpretazione non univoca né unidirezionale dei fabbisogni degli individui e dei gruppi. Per questo motivo con i soggetti e i gruppi aderenti al presente progetto , con i quali collaboriamo e ci confrontiamo da tempo, abbiamo scambiato dati e informazioni, rilette, comparate e quindi rielaborate alla luce di una ricerca in cui cerchiamo di mantenere una doppia visione: globale e specifica di dettaglio. L’inasprimento delle pratiche di espulsione e respingimento; la limitazione di alcuni diritti base per i richiedenti asilo (dallo stesso accesso alla procedura di asilo, all’esercizio di un lavoro, all’utilizzo dei servizi di base); la tendenza alla reclusione degli stessi richiedenti asilo in strutture che ne limitano la libertà personale rappresentano dei punti oggettivamente critici. A ciò si aggiunge una crescente stigmatizzazione dei richiedenti asilo, non più visti come persone in fuga da conflitti e persecuzioni ma come migranti irregolari che con astuzia cercano di aggirare la legislazione dei paesi di arrivo. Quello che emerge a livello internazionale è un quadro in cui da un lato continuano a essere presenti e ad aumentare i - 29 -
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fattori espulsivi - sempre più guerre e sempre più vittime civili soprattutto alla periferia del mondo più ricco - e dall’altro si alzano sempre più barriere che, nel tentativo di fermare le inesorabili migrazioni in corso nel pianeta, respingono coloro che sono in cerca di protezione. Una protezione che oggi necessita di essere aggiornata e ridefinita all’interno del diritto internazionale. I rifugiati cui si riferisce la Convenzione di Ginevra del 1951 - singoli individui perseguitati a titolo personale - non esistono quasi più: sono un’esigua minoranza rispetto a coloro che fuggono dalle “nuove guerre”, vittime di atrocità di massa e di diffuse violazioni di diritti umani.
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Tabella 1 - Principali paesi di asilo
Paese Pakistan
Rifugiati ospiti
Rifugiati per 1000 abitanti
1.124.300
7,46
Iran
984.900
15,24
Germania
960.000
11,65
Tanzania
649.000
18,09
Stati Uniti d’America
452.000
1,56
Cina
299.400
0,23
Serbia e Montenegro
291.400
26,98
Regno Unito
276.500
4,60
Arabia Saudita
240.800
9,91
Armenia
239.300
71,94
Italia
12.386
0,21 - 31 -
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Rifugiati in percentuale di presenza ogni 1000 abitanti
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Tabella 2 - Principali paesi di asilo in percentuale progressiva di accoglienza Paese
Rifugiati ospiti
Rifugiati per 1000 abitanti
Armenia
239.300
71,94
Serbia e Montenegro
291.400
26,98
Tanzania
649.000
18,09
Iran
984.900
15,24
Germania
960.000
11,65
Arabia Saudita
240.800
9,91
1.124.300
7,46
Regno Unito
276.500
4,60
Stati Uniti d’America
452.000
1,56
Cina
299.400
0,23
Italia
12.386
0,21
Pakistan
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Rifugiati per 1000 abitanti Arabia Saudita; 240.800; 4% Regno Unito; 276.500; 5%
Armenia; 239.300; 4%
Pakistan; 1.124.300; 21%
Serbia e Montenegro; 291.400; 5%
Iran; 984.900; 19%
Cina; 299.400; 5% Stati Uniti d’America; 452.000; 8%
Italia; 12.386; 0%
Tanzania; 649.000; 12%
Germania; 960.000; 17%
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La mancanza di volontà politica o di attenzione da parte della comunità internazionale alla risoluzione di alcune crisi, unita alla progressiva chiusura dell’accesso ai paesi industrializzati, ha determinato in questi ultimi anni il moltiplicarsi di quelle che vengono definite “protracted refugee situations”. Una protracted refugee situation è una situazione in cui un numero rilevante di rifugiati (gruppi di almeno 25.000 persone) si trova da oltre 5 anni ospitato in un paese e in strutture che avrebbero dovuto fornirgli solo una assistenza temporanea, nella impossibilità di accedere a una qualsiasi soluzione duratura (ritorno, resettlement, integrazione). A giugno 2004, ACNUR monitorava 38 contesti con queste caratteristiche, per un totale complessive di 6.200.000 rifugiati 3 che, pur essendo titolari di uno status che dovrebbe dare loro elevate garanzie di protezione e assistenza, si trovano a vivere da oltre 5 anni con una totale incertezza sul loro futuro. Sono numerosissimi ormai gli esempi in cui campi e simili strutture collettive di accoglienza, che per loro stessa natura dovrebbero essere temporanei, diventano luoghi in cui si trascorrono anni e da cui diventa sempre più difficile immaginare di uscire. Per quanto riguarda l’Italia, ciò che pervade ogni iniziativa in questo ambito è la preoccupazione - smentita clamorosamente dai numeri - che l’Italia, per la sua posizione geografi- 35 -
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ca, possa diventare meta di un flusso incontrollato e ingestibile di falsi richiedenti asilo. Nemmeno durante la crisi dei vicini Balcani i numeri dei richiedenti asilo si sono avvicinati a quelli degli ingressi per altri motivi. Il calcolo è possibile a partire dalle varie sanatorie/regolarizzazioni. Perché nel nostro paese, fatta eccezione per una quota crescente ma sempre piccola di ingressi per ricongiungimenti familiari, di fatto non è consentito alcun ingresso legale. Gli ingressi veri quindi sono calcolabili solo a partire dalle sanatorie e dai decreti flussi, che pure costituiscono delle sanatorie “sotto mentite spoglie”, come dimostrano ampiamente gli ultimi due provvedimenti del governo relativi al 2005. Il dato sugli ingressi ci dice che quelli per richiesta d’asilo continuano a essere una percentuale bassa ed è quindi assolutamente ingiustificata la preoccupazione di chi sostiene che il diritto d’asilo può essere utilizzato prevalentemente in maniera strumentale (da parte di chi arriva in realtà per motivi economici) e quindi costruisce un apparato politico, culturale e legislativo di controllo, che impedisce di fatto l’accesso a questo diritto. Questo approccio, facendo scomparire la figura del richiedente asilo nella massa di coloro che in modo sprezzante - 36 -
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sono definiti “clandestini” - ha consolidato una diffusa criminalizzazione dei migranti che a sua volta è una delle ragioni dell’esclusione sociale, della discriminazione e delle vere e proprie persecuzioni di cui sono vittima tutti gli stranieri indistintamente, e quindi a anche i richiedenti asilo.
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Grafico 1. La tendenza delle domande di asilo in Italia nell’ultimo quinquennio Confronto tra domande di asilo presentate e domande prese in esame negli ultimi cinque anni Presentazione di domande di asilo Esame domande
25000
20000
15000
10000
5000
0 1
2
3
4
5
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Dal grafico si evince come vi sia stata una inversione di tendenza rispetto al primo triennio. Come si evince dal grafico, a partire da un certo momento in poi, il numero di domande prese in esame è stato nettamente superiore a quello delle domande pervenute ed è sintomatico dell’affanno con cui la Commissione ha dovuto “smaltire” negli anni l’accumulo di lavoro sensibilmente aumentato. Peraltro risulta assai complicato non collegare la drastica riduzione dei riconoscimenti dello status di rifugiato a partire dal 2001 e le conseguenze di due avvenimenti di natura profondamente diversa ma con un impatto simile sui fenomeni migratori verso l’Italia: l’attacco alle Torri Gemelle di New York, l’11 settembre 2001, e l’approvazione della nuova legge sull’immigrazione nel luglio 2002. IL primo avvenimento si è posto alla base dell’adozione su vasta scala di una linea fortemente restrittiva basata su una rigida normazione di emergenza che ha fortemente inciso sulla gestione delle politiche migratorie, introducendo anche in Italia maggiori controlli nei confronti dei cittadini stranieri e sulle loro possibilità di soggiorno.
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Domande accolte
2500 2130
2000
1500
1270
1000
555
500
0 2001
2002
2003
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Per comprendere meglio la gravità della situazione, è utile ricordare che durante l’esame della domanda, il richiedente asilo si trova in una difficile condizione di sospensione, nella quale la legge non gli consente neanche di lavorare. Anche i criteri in base ai quali viene deciso il calendario delle convocazioni non risultano chiari. Ci sono persone che aspettano anni e altre che dopo pochi mesi dalla presentazione della domanda vengono chiamate. L’attesa continua ancora dopo l’audizione: nonostante la decisione venga assunta lo stesso giorno del colloquio, spesso passano mesi prima che questa venga notificata all’interessato.
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Capitolo 5 La RealtĂ nel Salento
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L
a provincia di Lecce occupa la parte più meridionale della penisola salentina, e rappresenta la terra più ad
Oriente d’Italia, così da giustificare le definizioni di “terra di confine”, “porta orientale” o ‘balcone sul Mediterraneo, usate per descriverla nelle guide turistiche. Tutto il Salento è luogo tradizionale di incrocio di rotte, altresì ricordato come centro del bacino del Mediterraneo, e ciò un tempo significava ‘centro del mondo. Queste definizioni, per quanto caratterizzate dall’enfasi tipica delle narrazioni agiografiche rivolte ai turisti, denunciano, tuttavia, che nel corso della sua storia questa terra si è trovata al centro di grandi traffici di merci e di persone. Ma si sono anche succeduti saccheggi e distruzioni provenienti perlopiù dal mare; a volte è stata baluardo di difesa, come testimonia la vicenda del cosiddetto ‘martirio di Otranto del 1480 che avrebbe contribuito alla difesa della cristianità occidentale. Le dominazioni che si sono succedute prima dei bizantini, poi dei normanni, con Federico II, hanno anche arricchito l’intera penisola salentina ponendola davvero al centro del mondo. La bellezza di città come Lecce, Otranto, Gallipoli è dovuta al fatto che nella loro storia hanno saputo metabolizzare e migliorare stili architettonici e saper fare provenienti da fuori, importati dall’oriente e assimilati dalle maestranze locali - 43 -
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nella lavorazione dei materiali tipici, primo tra tutti la pietra leccese ancora oggi utilizzata. Proprio l’incontro con gli altri è stata anche fonte di arricchimento economico prima ancora che spirituale. È la storia dei commerci e della competizione con i grandi porti di Napoli o di Venezia dove confluivano i prodotti di pressoché tutto il mondo allora conosciuto. Gallipoli nel XVI secolo era il porto più importante in tutta Europa per il traffico delle olive e dell’olio. La storia di questa terra è in gran parte storia di confronto: con altre terre e con altri popoli; e questo ha comportato elementi negativi e elementi positivi; i primi nella veste del conflitto, delle dominazioni e delle stragi; i secondi in quella dell’incontro e della valorizzazione delle differenze. È soltanto a partire dalla considerazione di questo carattere duplice della storia di questa terra che è possibile riflettere in maniera problematica intorno al concetto di accoglienza dei salentini. Infatti il Salento è uno degli esempi più evidenti di “policentrismo migratorio”, in quanto sono rappresentati tutti i continenti con gruppi consistenti, senza preponderanza di una o poche comunità. Ogni 10 presenze, si possono annoverare 4 europei, 4 africani, 2 asiatici. - 44 -
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La graduatoria delle nazionalità vede al primo posto il Marocco con 158mila presenze, seguito dall’Albania con 144mila e, a distanza, da Romania (75mila), Filippine (64mila) e Cina (57mila). Le aree dalle quali si sono originati i flussi più consistenti sono state l’Europa dell’Est insieme al Sub-continente indiano. Aumentati ultimamente anche i flussi dall’America Latina, in seguito alle difficoltà economiche locali, e dall’Africa Subsahariana, dove la pressione demografica è molto elevata. Si realizza così un quadro etnico multiforme dove le istanze sono molteplici e le risposte rischiano univocità e ridondanza. In questa prospettiva l’attenzione allo sviluppo ed alle tendenze in atto nell’ambiente dei centri di accoglienza è di importanza vitale in questo progetto in quanto si lavora in stretta connessione con tutto ciò che attiene al mondo del lavoro e delle possibili prospettive di inserimento. Il lavoro di ricerca orientato alla descrizione del profilo dell’accoglienza e dei richiedenti asilo è stato sviluppato in due fasi: la prima ha avuto carattere esplorativo, la seconda è stata di approfondimento. La ricerca esplorativa è stata svolta sul territorio salentino ed è stata finalizzata a raccolta delle prime informazioni di - 45 -
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sfondo utili ad organizzare la successiva fase di ricerca. Sono state raccolte informazioni utili alla costruzione di una griglia di rilevazione, alla elaborazione delle chiavi interpretative, e alla individuazione di persone che possono mettere a disposizione tali informazioni, in forma orale oppure documentaria. Coerentemente con le finalità e l’oggetto della nostra analisi, sono state raccolte informazioni utili alla descrizione del tessuto di accoglienza e del profilo dei richiedenti asilo, e alla individuazione delle potenzialità del loro inserimento sociale, oltre che economico, nel territorio di approdo. In particolare durante questa fase sono stati svolti colloqui con personale delle istituzioni interessate al fenomeno (Questura, Prefettura, Provincia e Comune) e personale che anima le strutture di accoglienza sul campo (prima e seconda accoglienza, personale medico e del volontariato). La ricerca sul campo è stata svolta tramite colloqui con operatori dell’accoglienza, avvocati che si occupano dell’assistenza agli immigrati e immigrati (profughi, richiedenti asilo o rifugiati). Inoltre, un colloquio è stato svolto con un magistrato della Procura di Lecce in prima linea nella lotta allo sfruttamento dei traffici di esseri umani. Da queste ricerche, è emerso da subito come la storia degli sbarchi nel territorio di Lecce e, quindi, dell’accoglienza, sia - 46 -
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anche la storia di un continuo adattamento ad una situazione iniziale in cui tutto era affidato all’organizzazione dei singoli. Si è trattato di un processo lento e per nulla scontato che, se da un lato ha messo in luce la buona volontà dei singoli, dall’altro ha anche rivelato contraddizioni e disfunzioni, soprattutto nel rapporto con le istituzioni e con la politica.
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Prima fase “la gestione della “normalità della disperazione” Le coste della provincia di Lecce, ed in particolare la spiaggia della cittadina di Otranto, data la vicinanza con l’Albania, sono luoghi tradizionalmente prediletti per gli sbarchi di persone provenienti dai paesi balcanici e da gran parte delle zone di crisi di tutto il continente asiatico. Fino a circa la metà degli anni ’90 il fenomeno degli sbarchi rientrava in una sorta di gestione della normalità della disperazione, che si consumava tra l’indifferenza dei mezzi di comunicazione e dell’opinione pubblica italiana. Si trattava, prevalentemente, di piccole imbarcazioni che trasportavano gruppi di albanesi, curdi, afgani e, sempre più spesso indiani e cingalesi che sfuggivano alle persecuzioni o a situazioni di povertà. Tuttavia, gli sbarchi erano continui e ponevano problemi di gestione quotidiana al territorio. Quanti allora hanno potuto seguire le vicende parlano di periodi in cui ogni notte sbarcavano trenta o quaranta persone. Le istituzioni locali trascuravano il fenomeno o si appoggiavano completamente ad una rete di organizzazioni del volontariato, parrocchie e gente comune che, alla buona e contando sulla volontà dei singoli, davano un primissimo - 48 -
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soccorso agli sbarcati e cercavano una sistemazione presso le famiglie del luogo, tra Otranto e Lecce. Si trattava, quindi, di un intervento quanto mai disorganizzato e spesso la buona volontà non era sufficiente gestire una situazione drammatica. Un operatore intervistato ha detto: “allora si gestiva l’accoglienza senza avere i requisiti per farlo”. Questo era soprattutto vero nel caso di quanti venivano nel nostro paese sfuggendo da situazioni di persecuzione etnica, personale, o che sfuggivano da teatri di guerra. Si percepiva il fatto che queste persone necessitavano, dopo un primo pasto e dopo un letto, di servizi di assistenza attuati da professionisti, in grado di prendersi carico delle condizioni di salute, psicologiche o delle esigenze di tipo legale.
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Seconda fase “le emergenze albanesi, dalle piramidi finanziarie alla crisi
del Kossovo” Le vicende interne dell’Albania dalla seconda metà degli anni ’90 in poi sono state decisive nella trasformazione del fenomeno, facendolo entrare nella sua fase emergenziale, da un lato creando situazioni che hanno incrementato il numero degli sbarchi e, dall’altro, impressionando l’opinione pubblica italiana con il “pericolo profughi”. Inoltre, cominciavano ad emergere degli elementi che rendevano ancora più preoccupante il fenomeno. Secondo gli inquirenti, infatti, gli scafisti utilizzavano i gommoni per introdurre in Italia sostanze stupefacenti. In altri casi queste sostanze erano direttamente messe in vendita dagli immigrati che tentavano, in questo modo, di pagare almeno una parte del costo del viaggio, - sempre secondo quanto è dato apprendere dalle testimonianze degli inquirenti. Il primo momento di crisi è stato segnato dal cosiddetto “scandalo delle Piramidi finanziarie”. Nel 1997 in Albania sono venuti al pettine i nodi di un’economia costruita sul nulla e con la forte intromissione delle mafie internazionali. Una sommossa armata, fomentata sulla pelle di gente disperata, determinò la caduta del governo di Sali Berisha e - 50 -
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una spinta per molti ad abbandonare il paese. A partire dal 1998, si sono aggiunti i fatti del Kossovo, che hanno creato un’ulteriore spinta per molti ad abbandonare terre ormai teatro di guerre e di persecuzione. E’ questo l’anno della massima intensità del fenomeno, quando i rintracci sulle coste leccesi superavano le 26 mila unità (dato Procura di Lecce). Di fronte a questi fatti, l’Italia ha reagito in maniera dura e ottusa al contempo, cercando di arginare l’emergenza a Valona, sull’onda di emotività dell’opinione pubblica italiana. Furono istituiti presidi militari e mandate navi sulle coste albanesi e il risultato fu la verifica della totale inadeguatezza di questi strumenti a contenere il fenomeno. Secondo alcuni operatori dell’accoglienza, sarebbe servita allora, da parte delle istituzioni italiane ed europee, la capacità di programmare e gestire i flussi, criteri la cui assenza ha determinato un ulteriore rafforzamento delle reti criminali. Queste, infatti, per decine di migliaia di disperati rappresentavano l’unica speranza per sfuggire al dramma di quelle terre. Per il Salento il periodo dell’emergenza profughi è stato un momento fondamentale, nel quale si è passati da un modello di accoglienza semispontanea ad una sua organizzazione. - 51 -
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Il Ministero degli interni si è attivato con la Prefettura perché facesse da stimolo a questo processo, investendo le organizzazioni del volontariato, sia laiche sia religiose. Il periodo dell’emergenza coincide, quindi, con la nascita dei centri di accoglienza, dapprima il Regina Pacis, di proprietà della Curia vescovile e gestito dalla Caritas Diocesana, quindi del Centro Lorizzonte a pochi chilometri da Lecce, dove il CTM stava realizzando una struttura per il recupero dei tossicodipendenti e di altre categorie di svantaggiati - progetto immediatamente convertito su proposta della Prefettura. Inoltre è sorto nel Comune di Otranto il centro di accoglienza Don Tonino Bello per prestare un primissimo soccorso prima che gli immigrati vengano destinati ad uno dei due centri.
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Terza fase “L’attenuazione del fenomeno” La fase attuale è caratterizzata da un’attenuazione del fenomeno degli sbarchi. Lo spostamento degli sbarchi in altre zone del Sud d’Italia può essere fatto risalire, ad una sommaria ricostruzione, a logiche interne alle organizzazioni mafiose e al differente livello di protezione delle coste da parte delle autorità preposte al controllo, ma gli osservatori privilegiati non sono concordi su questo. In particolare quanti mettono in evidenza le condizioni strutturali connesse alla fine delle emergenze temono anche che questa attenuazione non sia un processo irreversibile e che il fenomeno degli approdi possa riprendere con una intensità ancora sconosciuta in seguito alle vicende in atto in Iraq. La presenza di strutture organizzative nate durante la fase dell’emergenza, e la possibilità di gestire una serie di risorse finanziarie messe a disposizione a livello europeo e a livello statale hanno consolidato le strutture dell’accoglienza, così come anche di interessi, certamente legittimi, tutti interni alla sopravvivenza degli enti e delle organizzazioni che fanno accoglienza. Questo fenomeno ha un aspetto di positività, in quanto garantisce e istituzionalizza i criteri di accoglienza; non sono - 53 -
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tuttavia da sottovalutare alcuni effetti perversi che possono generarsi intorno ad una logica dell’economia dell’accoglienza, laddove più soggetti competono per ottenere lo stesso finanziamento e questo a scapito della gestione integrata e della valorizzazione delle competenze di ciascun attore. Il rischio, tutt’altro che taciuto dagli stessi operatori dell’accoglienza, è quello di disperdere capacità progettuali e di gestione, con la possibilità – peraltro già in atto – di creare delle cesure tra gruppi e organizzazioni differenti che poi vengono assorbite dal conflitto politico particolarmente vivo sul territorio di Lecce.
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Descrizione dell’offerta di accoglienza Il tessuto dell’accoglienza nella provincia di Lecce consiste sia di centri di prima accoglienza sia di centri di seconda accoglienza; questi ultimi sono quelli previsti dal Programma Nazionale Asilo (PNA). Inoltre non mancano tentativi delle istituzioni di allargare il concetto dell’accoglienza a forme di intervento che prevedono la permanenza e la valorizzazione delle esperienze dei richiedenti asilo e degli immigrati in genere, attivando una serie di attività di progettazione. Il più noto e più attivo centro di prima accoglienza nel Salento è “Lorizzonte” ; è situato nel comune di Casalabate, a circa dieci chilometri a Nord di Lecce. Sorge in un’area rurale contornata da uliveti in una masseria nominata “la Badessa” di proprietà della Provincia di Lecce. L’ente gestore dei servizi di accoglienza è l’associazione CTM, che si occupa di interventi di aiuto nelle aree svantaggiate, attraverso programmi di cooperazione internazionale e al servizio delle persone in difficoltà. Dal 1985 opera come ONG ed ONLUS ed ha progetti aperti in Albania, Libano, Repubblica Dominicana ed Ecuador. Un altro settore si occupa di Commercio equo e solidale. Forte dell’esperienza nel campo dell’aiuto umanitario e del volontariato, il CTM ha stipulato una convenzione con la Pro- 55 -
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vincia di Lecce la quale ha ceduto in comodato la struttura per circa venti anni a titolo gratuito; le spese di adeguamento dei locali sono state a carico dell’associazione, almeno nella fase iniziale del progetto, mentre ora tutti gli interventi vengono coperti dalla Prefettura. L’ente di gestione si occupa essenzialmente dei servizi di accoglienza, ossia fornire vitto, alloggio e vestiario agli ospiti per il periodo di permanenza. Per questi servizi utilizza una somma messa a disposizione delle Stato sulla base del numero degli ospiti presenti, pari a circa 18 euro giornalieri corrisposti per tutta la permanenza nel centro. Questa permanenza si protrae per circa un mese, il tempo necessario all’ottenimento di un permesso di soggiorno temporaneo. Il direttore del Centro denuncia che la cifra è esigua per affrontare tutte le spese necessarie al mantenimento. Questo spinge non soltanto ad utilizzare risorse messe a disposizione dal CTM, ma anche ad attivare reti di solidarietà per procurare, per esempio, gli indumenti, con specifiche richieste non soltanto alle famiglie della zona ma anche a ditte produttrici. Una curiosità relativa ai fabbisogni di ordine quotidiano: l’economia della solidarietà provoca le sue impreviste discriminazioni; risulta, infatti, relativamente facile trovare indumenti per l’infanzia dato che i bambini crescono, e i vestiti - 56 -
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si accumulano nelle famiglie che sono ben disposte a darli in beneficenza. Sembra invece che una delle urgenze che tiene impegnata quotidianamente l’amministrazione sia il reperimento di pantaloni e di scarpe per adulti. Per ovviare al problema si fa ricorso all’acquisto presso aziende disposte a fare consistenti sconti per motivi umanitari. Il Centro dispone di circa 500 posti letto divisi in camere in grado di ospitare fino a 10 persone ciascuna. La capacità può essere allargata fino ad arrivare a circa mille unità per fronteggiare periodi di emergenza. Per quanto riguarda invece il concetto di accoglienza allargata, ci si riferisce a tutte quelle forme di intervento e di assistenza ai rifugiati che possono essere attivate dal contesto, anche da attori non usualmente o ufficialmente preposti. Si tratta, insomma, di un concetto che va oltre a quelli di prima e di seconda accoglienza. Qui gli attori principali sono il Comune di Lecce, la Provincia di Lecce, la Prefettura e il Consiglio Territoriale per l’Immigrazione. E’ quindi necessario avere un aggiornamento costante ed attento rispetto a ciò che accade a livello locale al fine di avere nuove idee, nuovi strumenti di confronto, nuovi progetti su cui lavorare senza mai dimenticare a chi ci si rivolge. Tutte le azioni di sostegno e la strategia del tavolo locale - 57 -
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devono tenere conto del particolare contesto territoriale, il Salento, con la presenza di centri di prima accoglienza /centri di identificazione, con conseguente flusso di richiedenti asilo in transito verso altre zone di Italia ma anche di richiedenti asilo che sostano qui. Nelle zone dove sono presenti centri di prima accoglienza/ identificazione è necessaria una azione di orientamento corrispondente ai fabbisogni dei richiedenti asilo. Sarebbe utile, dunque, realizzare un primo orientamento ai richiedenti asilo, rifugiati, e titolari di protezione umanitaria presenti sul territorio salentino e al di fuori dei circuiti di accoglienza, individuazione dei bisogni, informazione sui servizi. La piena realizzazione di posizioni di parità è ostacolata da una serie di circostanza, quali ad esempio: - la marginalizzazione dovuta alla difficoltà di accesso ai canali di informazione; - basso livello di autostima dovuto a fattori culturali e sociali; - difficoltà a conciliare percorsi di formazione e di riqualificazione professionale; - scarsa visibilità delle iniziative sociali esterne; Per un rifugiato l’inserimento socio-lavorativo in Italia presenta difficoltà superiori alle problematiche riguardanti gli - 58 -
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stessi cittadini italiani, come: - il non riconoscimento dei titoli di studio; - la difficoltà nello spendere le qualifiche e le esperienze lavorative precedenti, - la incompatibilità con la flessibilità del lavoro e con i contratti atipici; La cultura lavorativa non offre molti strumenti di comprensione delle regole italiane e spesso avviene all’interno di poche certezze giuridiche e contrattuali. D’altro canto le aziende non hanno punti di riferimento certi quando devono affrontare l’iter anche burocratico per l’assunzione di un lavoratore regolare, all’interno di una sfera di doveri e diritti riconosciuta. Sono, infatti, numerosi e frequenti i casi di contenziosi, spesso di lieve entità, che si aprono in sede lavorativa anche per problemi non collegati al lavoro, ma ad atteggiamenti o comportamenti che non sono compresi quando non vengano addirittura ritenuti offensivi. Pertanto gli strumenti di rilevazione dei bisogni dei richiedenti asilo fanno emergere la convinzione che per una piena attuazione degli obiettivi di integrazione previsti occorra il realizzarsi di almeno tre condizioni fondamentali: - la possibilità di accedere alle informazioni; - la possibilità di accedere alle risorse; - 59 -
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- possibilitĂ di costruire reali percorsi di autonomia personale superando stereotipi negativi e discriminazioni.
ACCESSO ALLE INFORMAZIONI
ACCESSO ALLE RISORSE
PERCORSI DI AUTONOMIA PERSONALE
SUPERAMENTO STEREOTIPI NEGATIVI
SUPERAMENTO DISCRIMNAZIONE
La filosofia del progetto dovrebbe essere quindi quella della rete: esso dovrebbe persegue i propri obiettivi attraverso la creazione di sinergie operative tra gli attori dello sviluppo - 60 -
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(Enti locali interessati e enti privati coinvolti a diverso titolo). Questo approccio costituisce il valore aggiunto di tali strumenti che non intendono sovrapporsi a strutture e/o ai servizi già esistenti ma piuttosto a stabilire delle relazioni di collaborazione con altre iniziative di organizzazioni del pubblico e del privato, anche sociale, al fine di migliorarne l’impatto e l’efficacia sul territorio. Ciò che conta è aumentare l’accesso alla formazione nella prospettiva dell’accesso al mercato del lavoro e più in generale, all’interno della società, di favorire la loro partecipazione ai percorsi di accoglienza e integrazione e di diffondere le loro esperienze. L’obiettivo che si intende perseguire, nello specifico, è quello di offrire, attraverso servizi di informazione che assicurino: - la conoscenza del contesto socio-culturale locale; - la fruizione dei diritti e delle modalità di accesso ai servizi formativo/lavorativi del territorio; - arricchire l’intervento con attività specifiche; - azioni di accompagnamento; - interpretariato; - orientamento; - invii guidati; - 61 -
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La prospettiva di insediarsi in una nuova società sarebbe per i richiedenti asilo un’esperienza di gioia, poiché significherebbe la fine del viaggio, l’uscita dalla situazione di sospensione, il riconoscimento dello status di rifugiato, e l’inizio di una nuova vita. Tuttavia questa prima euforia, dettata dalle speranze si scontra presto con una serie di ostacoli che devono essere superati per riuscire a costruire una nuova vita con successo. Tra questi: - imparare la lingua; - adattarsi a un nuovo clima; - imparare le abilità per ottenere lavoro; - adattarsi ad una società con diversi sistemi legislativi, politici, economici ed educativi; - diversi valori; - diverse abitudini e aspettative. Sono queste difficoltà che ogni persona incontra dovendosi adattare ad un nuovo Paese, indipendentemente dal motivo per cui si trovi in tali circostanze, ma che presentano particolare problematicità per i rifugiati, persone già provate dall’esperienza migratoria e che possono aver sofferto grandi perdite fisiche, economiche, politiche ed emotive, e che si sentono inoltre rifiutate dalla società di origine e aliene alla nuova società.1 1 Sul concetto di alienazione si veda Collana Antropologia cultu- 62 -
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Il periodo post-euforico può essere quindi caratterizzato da depressione e da un senso di mancato benessere. E’ in genere caratterizzato da confusione, da sensazioni di abbandono, disperazione e impotenza. In certi casi gli stress legati a questa esperienza e accumulati in precedenza eccedono la capacità di coping sia degli adulti e dei bambini e sono causa di disturbi mentali, di malessere fisico. Le maggiori difficoltà sono legate alla sfera linguistica e occupazionale. Molti richiedenti asilo hanno problemi ad inserirsi nel sistema formativo del paese di accoglienza e le cause possono essere la lingua, ma anche la scarsa educazione scolastica ricevuta nel paese di origine, e la sospensione del percorso professionale durante il periodo della fuga o del campo profughi. In certi caso la scarsa valorizzazione del periodo che si vive in attesa degli sviluppi burocratici dipende dal fatto che i soggetti sono appartenenti a culture dove l’istruzione e la formazione non è di preminente importanza. La scarsa attitudine a rimettersi in discussione può diminuire l’autostima nei soggetti e ciò insieme a problemi di adattamento in generale, può al rischio di delinquenza o devianza. rale , Milano , 2005 s. edit.. - 63 -
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L’apprendimento linguistico, oltre a influenzare il rendimento scolastico, è fondamentale ai fini dell’inserimento nella società ospitante, poiché conoscere la lingua permette di: - instaurare rapporti; - poter svolgere autonomamente piccole incombenze come acquisti o chiedere informazioni; - poter esprimere i propri sentimenti . L’incapacità di fare tutto ciò può essere causa di frustrazione e può spesso portare a comportamenti devianti. Per quanto attiene alla sfera occupazionale uno dei maggiori problemi, oltre alla difficoltà nella ricerca di lavoro, è la sotto occupazione. In alcuni casi i richiedenti asilo provengono da zone rurali e nelle aree urbane le loro abilità lavorative non hanno sbocchi, si trovano dunque a svolgere attività che richiedono poche abilità e sotto pagate. Anche i rifugiati che hanno ricevuto un’istruzione nel paese di origine e che avevano impieghi di un certo livello, incontrano in genere difficoltà ad avere riconosciute le loro capacità professionali, e sono quindi costretti a svolgere attività di poca professionalità e poco retribuite.
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Capitolo 6 Le DifficoltĂ della Rilevazione
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I
n Italia non esistono dati univoci sulla presenza di richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione umanitaria pre-
senti sul territorio nazionale. Le fonti istituzionali divulgano dati spesso disomogenei o addirittura contraddittori, soprattutto quando si cercano di “dare i numeri” sui richiedenti asilo. Gli operatori del settore sono spesso costretti a confrontarsi con cifre che non rispecchiano appieno la realtà. Alle loro difficoltà, si aggiungono quelle degli organismi di controllo: la Corte dei Conti, allo scopo di verificare la gestione delle risorse sull’immigrazione nell’anno 2003, è stata infatti costretta ad adottare metodologie specifiche che ovviassero alle ”difficoltà evidenziate nella precedente rela-
zione di ottenere informazioni e dati univoci dalle diverse strutture del Ministero dell’Interno”. L’assenza di dati certi e attendibili ha ripercussioni gravi sull’intero sistema della protezione, sia in fase di programmazione che in ambito operativo. Vediamone un esempio. Per finanziare programmi in favore di richiedenti asilo e rifugiati, la Commissione ripartisce tra gli stati membri le risorse contenute in uno specifico fondo79. - 66 -
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Una prima dotazione di base, uguale per tutti gli stati, viene annualmente incrementata in modo proporzionale alle statistiche sulle presenze fornite da ogni singolo governo. Come si potrà leggere in modo più approfondito nel capitolo relativo alle risorse economiche80, nel 2004 la Commissione Europea ha abbattuto del 69,05% i finanziamenti FER all’Italia proprio a causa della mancata produzione di statistiche puntuali da parte del Governo. Quello che si conosce con esattezza è il numero di permessi di soggiorno per richiesta di asilo chevengono rilasciati ogni anno, mentre è quasi impossibile sapere quante domande di asilo vengono effettivamente presentate. I motivi di quella che a prima vista appare come un’incredibile contraddizione sono facilmente spiegabili. La presentazione della domanda di asilo non è infatti contestuale al rilascio del permesso di soggiorno: tra una fase e l’altra possono passare anche diversi mesi e verificarsi situazioni che interrompono la procedura e pregiudicano il rilascio del permesso di soggiorno81. In sostanza, non tutte le domande di asilo presentate determinano automaticamente il rilascio di un permesso di soggiorno: di conseguenza i dati relativi ai permessi non sono sovrapponibili a quelli sulle domande e finiscono per falsare in modo sostanziale le informazioni sui richiedenti asilo nell’anno. - 67 -
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Allo stesso modo, sono disponibili informazioni esaurienti sui permessi di soggiorno per richiesta di asilo rilasciati annualmente, ma non su quelli che sono stati emessi nell’anno precedente e che ancora sono in corso di validità . Se la procedura di asilo dura diciotto mesi, un permesso di soggiorno è valido su due anni solari ma viene conteggiato solo il primo anno, quello del suo rilascio. Di conseguenza il richiedente asilo è considerato presente in Italia nel primo anno e non in quello successivo.
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Dati del Min. dell’Interno e di ACNUR a confronto e profili umanitari
Dati del Ministero dell'Interno e di ACNUR a confronto umanitari rifugiati 8.580
6.768
3.806
Acnur
3.936
D/P.S.
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Rifugiati presenti in Italia al 31 dicembre 2005 (stimati)
Paese di Provenienza
Rifugiati
Serbia- Montenegro Turchia Iraq Iran Sri Lanka Repubblica Democratica del Congo Repubblica del Congo Etiopia Albania Sudan Federazione Russa Ruanda Afghanistan Sierra Leone Angola Eritrea Colombia Somalia Togo Camerun Altri
2.213 1.306 1.273 580 459 339 283 282 271 229 211 197 183 158 114 108 104 74 71 70 3.861
Totale
12.386
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Paesi di provenienza
Altri 31%
SerbiaMontenegro 18% Turchia 11%
Camerun 1% Iraq 10%
Togo 1%
Iran 5%
Somalia 1% Colombia 1%
Sri Lanka 4% Eritrea 1%
Repubblica Democratica del Congo 3%
Angola 1% Sierra Leone1% Afghanistan1% Ruanda 2%
Federazione Sudan Russa 2% 2%
Albania 2%
Etiopia 2%
Repubblica del Congo 2%
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I migranti sono costretti a un accesso irregolare in Europa a causa delle forti restrizione per l’ingresso legale. Tra loro molti sono i potenziali richiedenti asilo che vengono di fatto assimilati ai migranti economici, sia nell’informazione dei media che nella normativa adottata dalle istituzioni italiane per contrastare l’immigrazione irregolare. Le priorità della politica italiana (ed europea) rimangono il controllo delle frontiere e la lotta alla “immigrazione clandestina”, piuttosto che la salvaguardia del diritto di accesso alla procedura di asilo da parte di chi in Italia cerca protezione. E’ a partire da questi presupposti che strumenti come i respingimenti, le espulsioni, il trattenimento nei Centri di Permanenza Temporanea sono adottati in modo discrezionale, a scapito della tutela del diritto di asilo.
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Capitolo 7 I Circuiti dell’Accoglienza
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L
a condizione dei richiedenti asilo esterni a programmi di accoglienza è caratterizzata da una forte precarietà e di-
pendente dalle disponibilità dei vari attori territoriali nell’intervenire in loro favore. Le soluzioni abitative che si prospettano -là dove non ci sia l’ospitalità di connazionali- sono spesso inadatte a esseri umani, in condizioni igenico-sanitarie carenti. proprio percorso a ostacoli. Se si è ancora in attesa del rilascio del permesso di soggiorno (dunque in possesso solo del “cedolino” che attesta il prossimo il rilascio) è spesso impossibile trovare posto in dormitori. Questi ultimi, poi, non sempre consentono una permanenza prolungata, sia in prospettive di medio-lungo tempo – costringendo il richiedente asilo a trasferirsi quasi quotidianamente da una struttura all’altra – sia in termini giornalieri, essendo i dormitori aperti solo la notte. In questo caso, come si svolge la giornata di un richiedente asilo costretto a lasciare il centro la mattina presto per potervi fare ritorno solo alla sera? Le giornate sono cadenzate dai ritmi delle mense caritatevoli e dalle possibilità di lavoro in nero. Nessun orientamento sociale, nessuna garanzia di accesso ai servizi, nessuna assistenza per la procedura di riconosci- 74 -
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mento dello status di rifugiato. Le associazioni e gli enti locali, che hanno contribuito alla scrittura di questa pubblicazione, dichiarano in modo unanime che i richiedenti asilo esterni a programmi di accoglienza sono completamente “abbandonati a se stessi”. Il circuito della non accoglienza ha come ulteriore conseguenza i continui movimenti di richiedenti asilo sul territorio nazionale. Gli spostamenti sono causati principalmente dalla ricerca di soluzioni di accoglienza e di opportunità di lavoro in nero. Altre cause sono ravvisabili nella creazione di forti aspettative in determinati territori a seguito di eventi particolari, come ad esempio nel 2004 è accaduto in Campania. Qui si sono recati molti richiedenti asilo (provenienti soprattutto dalla Sicilia) che -a seguito delle audizioni in loco della Commissione Centrale e di un forte movimento di rivendicazione da parte delle associazioni territoriali e soprattutto di auto-organizzazione degli stessi richiedenti asilo- confidavano in un’accelerazione della procedura di asilo. Spostarsi sul territorio per un richiedente asilo vuole anche dire non avere un domicilio stabile e questo comporta il forte rischio di diventare irreperibili, non raggiungibili dalle notifiche per l’audizione con la Commissione Centrale. La mancata audizione comporta a sua volta il diniego per il - 75 -
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riconoscimento dello status di rifugiato.
Motivo di uscita dai progetti territoriali di accoglienza
Rimpatrio volontario
Scadenza termini Allontanamento accoglienza
Abbandono volontario
Integrazione
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Capitolo 8 Il Quadro Normativo
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I PRINCIPI INTERNAZIONALI
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a definizione di rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra, è la seguente: “colui che, a seguito di avveni-
menti verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può e non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. Solo a partire dal secondo dopoguerra il tema dei rifugiati è stato percepito come una questione da affrontare a livello internazionale, in conseguenza dei grandi flussi di esuli che erano stati accolti dall’Europa. Il 28 luglio 1951, fu dunque adottata a Ginevra la Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo Status dei Rifugiati6. Contestualmente venne decisa l’istituzione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), un’agenzia intergovernativa finalizzata alla protezione dei rifugiati. Nella Convenzione di Ginevra del 1951 per la prima volta viene data una definizione generale e internazionalmente - 78 -
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riconosciuta di “rifugiato” e di tutti i diritti che sono conseguenti al riconoscimento di tale status. Secondo l’articolo 1 della Convenzione di Ginevra, sono quattro i requisiti necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato: 1. La fuga dal proprio paese. Il rifugiato – per essere riconosciuto tale - deve essere materialmente uscito dal proprio paese. 2. Il fondato timore di persecuzione. Non occorre soltanto che il timore di persecuzione sia reale, ma anche che questa sia rivolta in modo diretto alla persona che richiede asilo. Lo status di rifugiato è in molti casi negato proprio sulla base della generalizzazione delle cause che hanno indotto alla fuga e alla ricerca di protezione: a essere vittime di una guerra o di una diffusa violazione dei diritti umani sono spesso intere popolazioni e non singoli individui. Il termine “fondato timore”, condizione chiave della definizione, contiene un elemento soggettivo e un elemento oggettivo. Il timore è infatti innanzitutto uno stato mentale, quindi soggettivo. Se in alcuni casi i fatti riportati sono sufficienti ad attestare l’autenticità di tale timore, in molti altri vanno valutate la personalità e la credibili- 79 -
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tà del richiedente. L’elemento oggettivo consiste invece nella valutazione delle affermazioni del richiedente nel contesto del background: andranno conosciute quindi le condizioni nel paese di origine della persona. Rispetto a ciò, in generale, si considera il timore fondato se c’è ragione di credere che la permanenza nel paese di origine è diventata intollerabile per i motivi affermati nella definizione. Il fondato timore è collegato alla persecuzione, che non è definita nella Convenzione e nemmeno in altri strumenti internazionali. Tuttavia all’articolo 33 si può dedurre che minacce alla vita e alla libertà a causa di razza, religione, nazionalità, opinione politica, o appartenenza ad un particolare gruppo sociale, costituisce persecuzione. Inoltre la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, elenca i diritti di base che costituiscono l’integrità e la dignità umana, quindi la violazione di questi diritti, per i motivi di cui sopra, può essere considerata persecuzione. 3. Motivi specifici di persecuzione. La persecuzione, temuta o subita, deve essere operata in ragione di uno dei motivi indicati dallo stesso articolo 1 della stessa convenzione. - 80 -
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A livello internazionale è in corso un dibattito sulla possibilità di rivedere e ampliare le cause di persecuzione. A seconda delle circostanze altri tipi di azioni o minacce possono costituire persecuzione, ad esempio: - Punizione per una violazione della legge, sproporzionata rispetto all’azione commessa - Punizione per una delle ragioni nominate nella definizione. - Restrizioni economiche così severe da deprivare una persona di tutti i mezzi per guadagnarsi da vivere - Sanzioni severe per partenza illegale o permanenza all’estero non autorizzata, se la persona è partita per una delle ragioni della definizione La persecuzione è normalmente associata ad azioni delle autorità di un paese, in certi casi tuttavia queste ultime possono non essere direttamente coinvolte, ad esempio, nel caso di violenza dovuta ad attività dei cosiddetti squadroni della morte. In questo caso si ha un’assenza di protezione da parte delle autorità, che può portare alla persecuzione. La Convenzione specifica cinque cause di persecuzione, che spesso sono combinate: - razza, è da intendersi nel significato più ampio, includendo tutti i gruppi etnici a cui ci si riferisce co- 81 -
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munemente con la parola “razza”, religione, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici proclamano la libertà di pensiero, coscienza e religione. Ciò comprende anche la libertà di cambiare religione e manifestarla in privato e in pubblico, insegnarla, praticarla, eccetera. Alcuni esempi di persecuzione per motivi di religione possono essere: - Proibizione di appartenenza ad una comunità religiosa - Proibizione di culto privato o pubblico - Proibizione di istruzione religiosa - Discriminazione a causa della pratica religiosa o appartenenza a una data comunità religiosa - nazionalità: l’interpretazione del termine non si deve limitare alla “cittadinanza”, comprende infatti l’appartenenza ad una particolare comunità etnica, religiosa, culturale o linguistica - Gruppo sociale: un particolare gruppo sociale comprende solitamente persone con simile background, abitudini o standard sociale. Può essere considerata gruppo sociale, ad esempio, una famiglia, o una classe sociale. Il timore di persecuzione a causa di ciò si sovrap- 82 -
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pone spesso al timore per altri motivi, come razza, religione o nazionalità. - Opinione politica: ultima ragione alla base del fondato timore secondo la Convenzione. Una definizione di questo concetto la si trova nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che all’articolo 19 afferma: Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere. Rispetto a ciò, il semplice fatto che il richiedente abbia opinioni politiche diverse dalle forze al Governo, non è causa plausibile per richiedere lo status di rifugiato. Deve essere dimostrato il timore di persecuzione a causa di tali opinioni, ciò presuppone che: - Le opinioni del richiedente non sono tollerate dalle autorità - Le opinioni del richiedente sono note alle autorità, o sono da queste a lui attribuite - Il richiedente o altri in una simile posizione hanno sofferto o sono stati minacciati con misure repressive. - 83 -
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4. L’impossibilità di avvalersi della protezione del proprio paese di origine. Il richiedente asilo deve trovarsi nella condizione di non potere, né volere rivolgersi alle autorità del suo paese. Questo perché il cosiddetto agente di persecuzione (chi perseguita), può essere direttamente il governo del paese oppure altro soggetto da questi tollerato o non contrastato. Centrale all’interno della Convenzione e dell’intero sistema di protezione dei rifugiati è il principio di non refoulment, in base al quale il rifugiato non può essere respinto o espulso verso «le frontiere dei luoghi ove la sua vita e la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche». La Convenzione di Ginevra sancisce contestualmente anche l’obbligo di ogni rifugiato a conformarsi alle leggi e ai regolamenti del paese in cui si trova. Nel contempo si prevede che ogni stato regoli autonomamente lo status personale del rifugiato, concedendogli il trattamento più favorevole per il godimento dei diritti civili, economici e sociali, nonché il medesimo trattamento accordato ai propri cittadini in materia di istruzione e di assistenza pubblica.
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IL CONTESTO COMUNITARIO Nell’arco degli ultimi si è assistito a un progressivo fenomeno di armonizzazione delle politiche sulle migrazioni da parte degli stati membri dell’Unione Europea. Le linee di tendenza adottate sono state due. Da un lato, la previsione di limitazioni restrittive ai nuovi arrivi: programmazione dei flussi migratori; regole e procedure per l’ingresso e per l’allontanamento dai territori degli stati; incoraggiamento al rientro volontario nei paesi di origine. Dall’altro, un orientamento più liberale nei confronti degli immigrati di lunga permanenza o di seconda generazione, privilegiando comunque i cittadini degli stati membri ed escludendo -sin dal principio- i cittadini stranieri degli stati terzi. Tra i temi che si sono alternati nel dibattito in Europa sulle politiche dell’immigrazione, un ruolo specifico è stato giocato dal diritto di asilo. Nel corso degli ultimi dieci anni, infatti, sono stati emanati provvedimenti comunitari volti a disciplinare in modo comune l’accesso alla procedura di asilo, lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria e, infine, l’accoglienza e l’individuazione degli stati competenti a conoscere le singole istanze di asilo. - 85 -
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Rispetto a quest’ultimo elemento, vale qui la pena di richiamare il problema dei cosiddetti “Rifugiati in orbita”, cioè di quei richiedenti asilo che venivano continuamente rimbalzati da uno stato membro all’altro, senza che nessun paese riconoscesse la sua competenza ad accoglierlo ed eventualmente garantire la sua protezione. In tale ottica a partire dal Trattato di Amsterdam, l’Unione Europea si è impegnata a raggiungere l’obiettivo di una politica comune nei campi dell’immigrazione e dell’asilo. Il trattato disciplina tali materie in modo approfondito, inserendo disposizioni specifiche che vanno a costituire il “primo pilastro” dell’Unione Europea, determinando il passaggio dal metodo intergovernativo all’applicazione del diritto comunitario “sovranazionale”. È stato previsto un periodo transitorio di cinque anni (scaduto il 30 aprile 2004) prima della integrale armonizzazione delle procedure comunitarie. Il 15 e il 16 ottobre 1999, a Tampere, il Consiglio Europeo tenne una riunione straordinaria sulla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione Europea. Seppure il documento conclusivo del vertice era di carattere meramente orientativo e non prescrittivo, alcune sue disposizioni contenevano un mandato formale alla Commissione, da esercitarsi entro scadenze precise. - 86 -
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La conclusione 4 stabiliva infatti l’obiettivo di “una Unione
Europea aperta e sicura, pienamente impegnata a rispettare gli obblighi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e gli altri rilevanti strumenti sui diritti umani, in grado di rispondere ai bisogni umanitari sulla base della solidarietà”. Nella conclusione 13, tale obiettivo era ulteriormente dettagliato nella creazione di un sistema comune, basato sull’applicazione della Convenzione di Ginevra e soprattutto sul rispetto del principio di “non refoulement”. Nel 2003, fu emanata la Direttiva Europea recante “nor-
me minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri”. In essa sono indicate disposizioni specifiche in materia di accoglienza e di assistenza sanitaria, è stabilito il regime di tutela a cui hanno diritto le persone portatrici di esigenze particolari (come i minori o le vittime di tortura) e infine stabilisce il diritto di ricorrere alla giurisdizione ordinaria nazionale contro possibili dinieghi del riconoscimento dello status di rifugiato. L’anno successivo, il Consiglio approvò una Direttiva Europea recante “norme minime sull’attribuzione, a cittadini di
paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”. - 87 -
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Questa direttiva stabilisce i criteri per il riconoscimento dello status di rifugiato, nonché per l’accesso alla protezione sussidiaria in favore di coloro che, pur non avendo i requisiti per essere riconosciuti come rifugiati, non possono rientrare nel proprio paese in quanto correrebbero il rischio di subirvi un “danno grave”. Contestualmente il Consiglio decise di riconoscere la possibilità che l’agente di persecuzione fosse non statale: in conseguenza di ciò, lo status di rifugiato poteva essere ottenuto anche da quel richiedente asilo che era stato perseguitato da soggetti differenti dallo stato. Infine, la direttiva conteneva un riferimento esplicito a quegli atti di persecuzione fondati sull’orientamento sessuale come elemento caratterizzante di un gruppo.
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LA NORMATIVA IN MATERIA DI DIRITTI UMANI Adottata dalle Nazioni Unite nel dicembre 1948, era una dichiarazione di intenti senza effetto vincolante. Ciò non ne sminuisce tuttavia il valore, in quanto è stata la prima volta in cui una comunità organizzata di Nazioni ha stabilito un codice di condotta per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, a cui ogni persona, in tutto il mondo, ha diritto senza discriminazione alcuna. In questa Dichiarazione altri tre articoli sono particolarmente importanti per i rifugiati: - l’articolo 13 che afferma la libertà di movimento e residenza, e di lasciare e rientrare in qualsiasi paese; - l’articolo 14, dove viene esplicitamente dichiarato che “ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” e aggiunge che tale diritto può essere negato se la persona è ricercata per reati non politici o azioni contrarie ai principi delle Nazioni Unite; - l’articolo 15 che afferma che ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. - Gli articoli da 22 a 27 prendono in considerazione i diritti economici, sociali e culturali. - I tre articoli conclusivi stabiliscono il diritto “ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le li- 89 -
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bertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati” ( art. 28), i doveri di ogni individuo verso la comunità (art. 29) e infine il divieto ad interpretare parti della Dichiarazione “nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuni dei diritti e delle libertà in essa enunciati.” ( art. 30). A tale documento se ne sono aggiunti altri che, in modo diretto od indiretto presentano una notevole importanza per la materia dei rifugiati. Tra questi rivestono notevole importanza i seguenti : - Patti Internazionali sui Diritti Umani (1966) - Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (1965). L’importanza di tutti questi strumenti per la protezione dei rifugiati consiste innanzitutto nel principio che i diritti umani si applicano a tutti, chiunque ne beneficia: cittadini, stranieri, richiedenti asilo, sia legalmente che illegalmente presenti sul territorio di uno Stato. Deroghe al godimento di tali diritti sono permesse solo in casi eccezionali e in ogni caso alcuni diritti non sono derogabili. Inoltre i rifugiati sono in tale condizione proprio a causa di violazioni dei diritti umani, quindi si può affermare - 90 -
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che la protezione dei rifugiati consiste in un certo senso, nel restituire a queste persone i diritti di cui sono state deprivate, nonché nell’azione per far sì che il rispetto dei diritti umani sia “ricostruito” nel paese di origine. Un secondo elemento che chiarisce l’importanza degli strumenti presi in considerazione in relazione ai rifugiati, è il concetto di persecuzione. Come accennato nel primo paragrafo, questo concetto non è definito nella Convenzione di Ginevra e in nessun altro strumento relativo ai rifugiati, il punto di riferimento è costituito dalle dichiarazioni sui diritti umani, in quanto al violazione di tali diritti costituisce esempi concreti di persecuzione. In particolare la violazione dei diritti inderogabili (già elencati sopra). Per poter reclamare lo status di rifugiato tale violazione deve essere comunque legata ad una delle ragioni menzionate nella definizione. Infine, rilevante è il riconoscimento dell’asilo come diritto umano fondamentale : “Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” (art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani). Tale articolo è la pietra miliare della protezione internazionale dei rifugiati, comprende la garanzia per i rifugiati a non - 91 -
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essere respinti e la possibilitĂ di rimanere nel territorio permanentemente o in attesa di una soluzione alternativa.
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L’EVOLUZIONE LEGISLATIVA IN MATERIA DI ASILO IN ITALIA
Il diritto di asilo è garantito dall´art. 10 della Costituzione “secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Ma, dal 1948 ad oggi, lo Stato italiano, pur avendo ratificato Convenzioni internazionali in materia, non ha approvato una normativa nazionale organica. I richiedenti asilo ed i rifugiati comunque sono presenti e continuano ad arrivare, a causa di conflitti e mancanza di libertà democratiche. L´assenza di una legge organica sull´asilo rende molto precario lo status del richiedente e del rifugiato, costretto a lunghi tempi di attesa, spesso privo di aiuti sociali e, negli ultimi anni, sottoposto ad un alto numero di dinieghi. L’Italia, avendo ratificato la Convenzione sullo status di rifugiato del 1951 è vincolata a rendere effettive le fondamentali garanzie per i diritti dei rifugiati in esso contenute, incluso il diritto di non essere rinviati in un paese in cui rischiano la persecuzione per i motivi indicati nella Convenzione stessa. - 93 -
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Tra l’altro, la Convenzione sui rifugiati proibisce agli Stati di imporre sanzioni ai rifugiati sulla sola base della loro presenza irregolare sul territorio. E’ a partire da questo principio che si sono sviluppate le regole elaborate dall’UNHCR in materia di detenzione dei richiedenti asilo, le Linee guida riviste sui criteri e gli standard relativi alla detenzione dei richiedenti asilo, emanate dall’agenzia nel 1999. Queste linee guida definiscono la detenzione dei richiedenti asilo come “intrinsecamente indesiderabile” e stabiliscono che essa sia limitata a circostanze eccezionali e decisa caso per caso. Tale principio si applica, a maggior ragione, ai gruppi vulnerabili, tra cui i minori richiedenti asilo, accompagnati e non. Con specifico riferimento ai minori, l’UNHCR ha inoltre emanato le Linee guida sulla protezione e la cura dei minori rifugiati e le Linee guida sulle pratiche e le procedure riguardanti i minori non accompagnati richiedenti asilo. Questi documenti individuano precise limitazioni alla pratica della detenzione applicata ai minori. Le Linee guida del 1994, in particolare, sottolineano che la detenzione possa essere “molto dannosa per i minori rifugiati” e deve quindi “essere usata solo in quanto provvedimento di ultima risorsa e per la durata più breve possibile”. - 94 -
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Le Linee guida inoltre raccomandano che misure di protezione e assistenza siano tali da assicurare il rispetto degli standard internazionali ogniqualvolta dei minori si trovino in detenzione. Le Linee del 1997 sottolineano invece che “i minori non dovrebbero essere tenuti in detenzione. Ciò è particolarmente importante in caso di minori non accompagnati”. “Ogni sforzo dev’essere compiuto”, affermano le Linee guida, affinché essi vengano rilasciati dalla detenzione e collocati in altro alloggio appropriato. Se ciò risulta impossibile, deve essere realizzata una sistemazione in locali adatti per i bambini e per le loro famiglie. L’approccio basilare di un tale programma dovrebbe essere di assistenza e non di detenzione”. A oltre cinquant’anni dalla ratifica della Convenzione sui rifugiati e nonostante l’inclusione del diritto di asilo tra i principi fondamentali della propria costituzione, l’Italia è ancora carente di una legislazione organica in materia di asilo e le previsioni interne applicabili in tale materia sono molto al di sotto della maggior parte degli standard menzionati. A livello regionale l’Italia è membro del Consiglio d’Europa ed è vincolata dalla Convenzione Europea sui diritti umani e le libertà fondamentali del 1950. Oltre a vietare il rinvio forzato di persone verso un paese in cui esse siano a rischio di tortura e trattamenti crudeli inuma- 95 -
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ni e degradanti, la Convenzione Europea vieta la privazione della libertà che non sia conforme a procedure prescritte dalla legge e in casi specifici, che includono, tra le altre cose, l’arresto legittimo o la detenzione di una persona allo scopo di prevenire un ingresso non autorizzato nel paese, o per dare effetto a un ordine di espulsione. Questo trattato sancisce inoltre il diritto di ogni persona di essere informata circa le ragioni della privazione della libertà e di contestare la legittimità del provvedimento davanti a un tribunale. Il Consiglio d’Europa ha emanato diverse raccomandazioni che fanno riferimento anche ai minori migranti e richiedenti asilo in detenzione. Queste includono la Raccomandazione
del 2001 del Commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa sui diritti degli stranieri che desiderano entrare in un paese membro del Consiglio d’Europa e sull’applicazione di ordini di espulsione, come anche le Linee guida su tutte le fasi del procedimento di rinvio forzato adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nel maggio 2005. In quanto Stato membro dell’Unione Europea, l’Italia è infine vincolata delle norme emanate a tale livello. Nelle materie dell’asilo e dell’immigrazione, integrate nel - 96 -
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Trattato delle Comunità europee e oggetto delle competenze attribuite alle istituzioni dell’Unione Europea a partire dal Trattato di Amsterdam del 2004, forza vincolante è riconosciuta a regolamenti, direttive e decisioni, che prevalgono sulla legislazione nazionale. Per i richiedenti asilo un particolare rilievo assume la Diret-
tiva europea recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri del 27 gennaio 2003. Tale Direttiva è per molti aspetti insoddisfacente, ad esempio in relazione all’accoglienza materiale di richiedenti asilo alla frontiera e in detenzione; essa tuttavia contiene alcuni obblighi specifici relativi al diritto dei richiedenti asilo a essere informati sulle condizioni di accoglienza e sulla protezione dei soggetti vulnerabili, tra cui i minori. Altrettanto rilevanti sono alcune disposizioni della Diretti-
va europea recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato del 1° dicembre 2005, in particolare quelle riferite alle garanzie procedurali, di rappresentanza legale e di assistenza previste per i minori non accompagnati e quelle riguardanti l’accertamento dell’età. Se rispettato, l’insieme degli standard internazionali e regionali assicurerebbe un adeguato trattamento dei migranti e richiedenti asilo ed eviterebbe, nella maggior parte dei casi, che un periodo di detenzione sia applicato ai soggetti a scopo - 97 -
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esclusivo di controllo dell’immigrazione. Nel 2002 il Parlamento approva la cosiddetta Legge BossiFini che, nell’ambito di una modifica complessiva del Testo Unico sull’Immigrazione, ha finito per apportare integrazioni e modifiche anche all’unico articolo sopravvissuto della Leg-
ge Martelli. In tema di diritto di asilo, questa legge ha scelto di intervenire pesantemente sulla disciplina esistente, piuttosto che prevedere una riforma organica delle procedure relative al riconoscimento dello status di rifugiato. Con ampio ritardo, il regolamento di attuazione della Legge Bossi-Fini è stato pubblicato solamente nel dicembre del 2004 e sarà pertanto effettivamente applicabile a partire dal 21 aprile 2005. Tale legge modifica la normativa precedente, riunita nel decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Le modifiche introdotte dalla legge intendono sia rafforzare le misure di contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani, sia favorire l’inserimento dell’immigrato che risiede e lavora regolarmente in Italia. Con queste modifiche, la legge Bossi-Fini è intervenuta su numerosi punti del Testo Unico. Ecco qualche esempio: - 98 -
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- Rilascio del permesso di soggiorno. In materia di soggiorno, la legge prevede che siano rilevate le impronte digitali a tutti i cittadini stranieri che richiedono o rinnovano il permesso di soggiorno o di cui non è possibile accertare in altro modo l’identità. Estende a sei anni, e non più cinque, il periodo al termine del quale è possibile richiedere la carta di soggiorno (art. 9). - Lavoro per gli stranieri in Italia. Con la legge BossiFini, sono state avviate procedure di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari ed è stato introdotto un nuovo documento, il contratto di soggiorno assimilabile ad un contratto di lavoro (art. 6), che in futuro verrà rilasciato direttamente da un ufficio di nuova istituzione, lo Sportello Unico per l’Immigrazione. - Procedimento di espulsione e immigrazione clandestina. A questo riguardo, le novità più rilevanti sono l’immediata operatività dell’espulsione per chi non è in regola (in luogo della semplice intimazione a lasciare il territorio) e un inasprimento delle pene per chi favorisce l’ingresso illegale di stranieri (artt. 11 e seguenti). - Alcune disposizioni della legge in materia di espulsione dovranno tuttavia essere modificate. - Lo scorso 15 luglio, infatti, due sentenze della Corte Costituzionale hanno dichiarato illegittimi gli articoli - 99 -
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relativi all’assenza di garanzie di difesa per il cittadino espulso e quelli relativi all’arresto obbligatorio per coloro che si trattengono o rientrano sul territorio italiano, nonostante l’ordine del questore di lasciare il Paese. - Richieste d’asilo. La normativa ha inserito una procedura semplificata per la domanda di asilo (art. 32) ed istituito Commissioni Territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato, coordinate da una apposita Commissione Nazionale per il diritto d’asilo. Pertanto soprattutto in relazione alla disciplina in materia di asilo la legge introduce quattro grosse novità in materia di asilo. - L’istituzione dei centri di identificazione, all’interno dei quali viene coattivamente trattenuta la quasi totalità dei richiedenti asilo in attesa dell’esito dell’esame della loro domanda. - La doppia procedura di asilo: semplificata per i richiedenti asilo trattenuti all’interno dei centri di identificazione, ordinaria per i richiedenti asilo “a piede libero”. - L’istituzione di 7 commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato (a Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone, Trapani). - La mancanza di un ricorso sospensivo avverso il diniego di riconoscimento dello status di rifugiato. - 100 -
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La Legge n. 189/2002 ha previsto inoltre l’istituzione di un Sistema Nazionale di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati e di un Fondo Nazionale sulle Politiche dell’Asilo. Per alcune considerazioni su questi aspetti, si rimanda a capitoli successivi del presente rapporto. In termini generali, le disposizioni contenute nella Legge Bossi-Fini risultano gravemente peggiorative del quadro normativo preesistente. La disciplina che ne risulta appare farraginosa e a tratti incoerente: più che frutto di un intervento legislativo approssimativo e frettoloso, tali caratteristiche sembrano finalizzate a precisi obiettivi di natura politica, tesi da un lato a svuotare di effettività l’esercizio del diritto di asilo, dall’altro a declamare l’assoluta discrezionalità dell’amministrazione nell’assumere comunque le decisioni che ritiene più opportune, senza risultare vincolata da procedure o da controlli sulla legittimità del proprio operato. - 101 -
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LA NORMATIVA REGIONALE Nel quadro dei principi generali, è affidato alle istituzioni locali il compito di concretare la realizzazione dei programmi politici di accoglienza e di integrazione sociale degli stranieri, di contrasto a ogni forma di discriminazione, di promozione di programmi promossi in funzione della valorizzazione delle diverse identità linguistiche e culturali della popolazione del luogo e delle comunità straniere. Si può ben vedere quindi come le regioni possano contribuire in maniera assai rilevante a garantire effettività all’esercizio del diritto d’asilo. La consapevolezza di tale potenziale importante ruolo delle regioni (reso ancor più evidente dalla mancanza di una legge nazionale organica in materia di diritto d’asilo) è stata pressoché assente negli anni passati e ha iniziato a emergere solo di recente. Ciò non deve stupire qualora si pensi che, nonostante la centralità del ruolo delle regioni in materia di integrazione sociale degli stranieri a esse attribuito, solo poche regioni si sono dotate di specifiche disposizioni di legge in materia. Un’interessantissima esperienza concreta di realizzazione di interventi integrati a livello regionale a sostegno dell’accoglienza e della protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati è data dai cosiddetti “protocolli” regionali per la tutela del diritto d’asilo. - 102 -
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L’idea del protocollo è quella di dotare il territorio di un piano regionale di interventi per i rifugiati che, nel rispetto delle reciproche competenze, metta insieme, in un tavolo di programmazione, l’amministrazione regionale, gli enti locali, altri soggetti istituzionali, gli enti e le associazioni di tutela, il forum del terzo settore, i sindacati. Il protocollo è finalizzato ad armonizzare gli interventi a favore dei richiedenti asilo e dei rifugiati nel territorio regionale, a sostenere percorsi comuni di formazione degli operatori e personale della pubblica amministrazione, a completare un monitoraggio delle presenze sul territorio e degli interventi realizzati, a concordare modalità di adozione di programmi specifici di tutela, a promuovere la diffusione di interventi di sensibilizzazione pubblica sul tema del diritto d’asilo con particolare attenzione all’organizzazione di eventi per la giornata mondiale del rifugiato.
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Capitolo 9 Il Quadro della Ricerca
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l quadro della ricerca a proposito delle questioni attinenti i richiedenti asilo è vario ed articolato quanto alle tematiche
trattate ed agli argomenti che sono stati sviluppati. Un rapporto dell’UNHR prende in considerazione le pratiche di trattamento applicate in anni recenti a migranti e richiedenti asilo all’arrivo e nei periodi successivi, in relazione al trattamento ed alla considerazione dei fabbisogni dei soggetti ed esamina le caratteristiche di tali prassi alla luce degli obblighi dell’Italia in materia di diritti umani. In particolare, sono state esaminate le situazioni di migranti e richiedenti asilo nell’immediatezza e dopo l’arrivo alla frontiera marittima, essendo questa la fase del processo migratorio durante la quale la maggior parte dei soggetti rivela i propri disagi maggiori. La coerenza dell’analisi ha inoltre suggerito di rivolgere l’attenzione al trattamento dei richiedenti asilo nel periodo successivo, andando a coprire un arco temporale abbastanza ampio. Punti cruciali dell’analisi sono: - il trattamento dei richiedenti asilo e la considerazione dei relativi bisogni; - le modalità di trasferimento verso e tra luoghi di accoglienza o detenzione; - la legittimità delle procedure di restrizione della libertà - 105 -
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personale; - le caratteristiche legali e strutturali dei luoghi dell’accoglienza; - la condizione ed il trattamento dei soggetti minori e richiedenti asilo; - gli aspetti specifici dell’accoglienza e del trattamento dei minori non accompagnati. Sono state raccolte decine di testimonianze provenienti da migranti, richiedenti asilo e rifugiati che risiedono in Italia dopo aver trascorso un periodo di detenzione all’arrivo. Sono stati ascoltati: - minori non accompagnati; - minori giunti all’interno di nuclei familiari; - adulti appartenenti a nuclei familiari; Le storie riportate sono state raccolte presso i centri , tranne che per un numero limitato di casi, rispetto ai quali la fonte delle testimonianze è espressamente citata. I nomi attribuiti ai minori non sono quelli autentici e la nazionalità non viene menzionata, come anche il momento dell’arrivo e della detenzione, per proteggere la sicurezza degli interessati. Peraltro il quadro delle ricerche presenta anche un impulso dettato dall’attività svolta tra le ONG, che hanno conosciuto - 106 -
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le condizioni di diversi richiedenti asilo nel periodi di “sospensione”. Tra essi, gli operatori dei centri diurni, delle comunità di accoglienza per immigrati e dei centri di accoglienza per nuclei familiari. Sono state anche raccolte molteplici dichiarazioni di persone che, a diverso titolo, hanno avuto accesso alle strutture di accoglienza negli ultimi mesi, tra cui parlamentari, avvocati, operatori di ONG, giornalisti e altri professionisti. È stata svolta una missione di ricerca che ha toccato le città di Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta e Crotone e che ha incluso interviste ad avvocati, rappresentanti di ONG, singoli attivisti e professionisti che hanno avuto accesso continuativo o ripetuto ai centri di detenzione della Sicilia e della Calabria. Il lavoro di ricerca ha tenuto conto delle posizioni espresse dai rappresentanti delle autorità competenti in documenti formali e dichiarazioni pubbliche e delle raccomandazioni ed informazioni contenute nei rapporti di organizzazioni intergovernative ed enti di ricerca. È stata portata avanti una costante raccolta e analisi delle notizie provenienti dagli organi di informazione nazionali e locali. Il rapporto si è infine giovato del parere di esperti del settore e delle informazioni provenienti da ONG e coordinamenti - 107 -
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operanti in Italia nel campo della tutela dei diritti di rifugiati, migranti stranieri, tra cui: - l’Associazione Antigone, - l’ARCI, - l’Associazione di studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), - la Caritas Italiana, - il Centro Astalli, Jesuit Refugee Service, - il Consiglio italiano rifugiati (CIR), - il Consorzio italiano di solidarietà, - il Coordinamento romano minori stranieri, - Medici senza frontiere-Missione Italia (MSF), - il Servizio rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e alcuni dei gruppi afferenti alla Rete antirazzista nazionale. Inoltre, molteplici e coerenti ricerche svolte e commissionate in parte dall’Organizzazione delle Nazioni Unite si concentrano sulle condizioni e sulle iniziative di accoglienza e trattamento delle emergenze e dei bisogni verso e tra centri di accoglienza, effettuati con mezzi diversi. Molte sono le ricerche ripetute e coerenti riferite a modalità di trasferimento dei richiedenti asilo attuate tra il gennaio 2002 ed il dicembre 2005. - 108 -
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Tali ricerche riguardano, tra l’altro: - studi e dati sulla mancata informazione verso i richiedenti asilo circa l’approdo ad un reale percorso di integrazione - studi e dati sulla inadeguatezza e insufficienza dei percorsi di analisi delle esigenze e dei percorsi comunicativi; - studi e dati sulla inadeguatezza delle modalità e dei tempi di “sospensione” in considerazione delle condizioni fisiche e psicologiche dei soggetti; - studi e dati inadeguatezza delle modalità e dei tempi di sospensione in relazione a soggetti che versano in particolari situazioni di necessità; - difficoltà dei migranti trasferiti nel comunicare bisogni essenziali agli operatori che vigilano su di loro; - mancanza di personale qualificato tra gli operatori impegnati durante la permanenza. Accanto alle ricerche sulla presenza delle garanzie sulle condizioni di accoglienza e programmazione di un percorso di “sospensione“ funzionale all’integrazione, gli standard di ricerca delle organizzazioni internazionali definiscono il trattamento dei richiedenti asilo, stabilendo un insieme di diritti essenziali che vanno ad aggiungersi al diritto alla dignità e all’integrità fisica e mentale. - 109 -
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Questi includono: - il diritto all’assistenza legale; - il diritto all’assistenza medica; - il diritto ad avere contatti con l’esterno; - il diritto all’istruzione. Risultano essere molto interessanti gli sviluppi di una indagine condotta sui Centri di Permanenza Temporanea (CPT), da MSF-Missione Italia che aveva già rilevato la presenza di richiedenti asilo all’interno di queste strutture e denunciato con forza l’esistenza di centri senza uno status giuridico definito già allora chiamati “ibridi” ove si trovano tuttavia trattenuti richiedenti asilo. Nell’indagine svolta lo scorso anno sulle condizioni di vita e di salute dei lavoratori stranieri stagionali è emerso che circa il 25% dei lavoratori visitati aveva presentato domanda di asilo, quasi il 7% aveva già ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Si è visto cioè come spesso i richiedenti asilo siano costretti ad affrontare un nuovo viaggio, un lungo cammino per l’Italia in cerca di alloggio e di mezzi di sostentamento, diventando in molti casi una risorsa fondamentale per la nostra economia: manodopera a basso costo, facilmente reperibile, che non vanta diritti sindacali. Più in generale si può affermare come molti spunti interessanti per la ricerca e gli studi attorno ai temi dei richiedenti - 110 -
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asilo provengano anche dal mondo accademico ed universitario. Non sono poche le strutture che si dedicano ad attività finalizzate a valutare gli aspetti legati ai �traumi culturali� ed alle conseguenze dirette che gli stessi possono avere sulle reali potenzialità di integrazione dei soggetti nel territorio di accoglienza.
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LE RECENTI RICERCHE IN ITALIA Attraverso i dati, le storie e l’analisi dell’esperienza sul campo, ICS (Consorzio italiano di solidarietà) racconta quanto accaduto in Italia nel 2005, quando la legge Bossi-Fini ha iniziato ad avere una sua applicazione. I dati che ICS presenta ne L’Utopia dell’Asilo descrivono un quadro inquietante. 9.346 domande di asilo inoltrate alle Commissioni esaminatrici nel 2005, contro le 14.189 del 2004 e le 15.179 del 2003. Nel 2005 almeno 8 richiedenti asilo su 10 sono stati trattenuti nei centri di identificazione, dove chi chiede di essere riconosciuto rifugiato viene molto spesso detenuto per la seconda volta, dopo essere stato già trattenuto illegittimamente in quelli che ipocritamente vengono chiamati “centri di primo soccorso”. Una ricerca statistica di spessore e sicuro interesse è stata svolta dal Consiglio Italiano per i rifugiati (Cir), una organizzazione indipendente che ha elaborato i dati del Ministero degli Interni. Dal 2004 al 31 dicembre 2005 le richieste di asilo sono passate da 14mila a 13mila. Tuttavia, nel 2005 sono state esaminate molte più domande rispetto all’anno precedente: 14.590 contro 9.019.. Diminuiscono gli status di rifugiati concessi e lo fanno in proporzione:883 contro 781 ed aumentano ii permessi rila- 112 -
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sciati per motivi umanitari. Però da una statistica successiva sull’evolversi del periodo trascorso in Italia, nelle more del processo di riconoscimento dello status di rifugiato, si evince che di umanitario questi permessi spesso hanno soltanto il nome perché durano solo una anno, non garantiscono le garanzie di percorsi costruttivi previsti implicitamente dal diritto di asilo. La stessa coordinatrice del Cir, Fiorella Rathaus afferma come questi permessi rappresentano la negazione sostanziale della possibilità di intraprendere percorsi di crescita conformi alla dignità civile e sociale dell’uomo. Secondo le le stime le lungaggini burocratiche sono paralizzanti almeno nell’80 percento ed impediscono di tutelare i soggetti in rispetto dei loro fabbisogni. E quelli che riescono ad ottenere il diritto di asilo poi si ritrovano nel 78 percento dei casi in una condizione di isolamento, senza conoscere la lingua, senza alcun processo di integrazione.
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Capitolo 10 Conclusioni
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L
a comprensione del vissuto migratorio passa necessariamente attraverso la lettura delle condizioni di partenza,
nonché delle ragioni che motivano tale scelta di vita. Condizioni diverse all’origine comportano, anche se non automaticamente, situazioni differenziate nel paese ospitante, quanto meno sul piano del vissuto dell’esperienza migratoria. Molto spesso i richiedenti asilo e i rifugiati giungono nel paese ospitante con un iter formativo concluso ma difficilmente questo gli viene riconosciuto L’attività principale dell’accoglienza dovrebbe tendere all’integrazione sociale intesa come acquisizione di quegli strumenti necessari per muoversi autonomamente all’interno della vita pubblica e in relazione alle istituzioni sociali della vita pubblica e in relazione alle istituzioni sociali italiane, affrontando il quotidiano con un percorso di inserimento personalizzato che, partendo dalle condizioni iniziali, li renda il prima possibile autonomi nel perseguimento delle proprie scelte soggettivamente determinate. Il primo passo di questo cammino risulta essere quello dell’apprendimento della lingua italiana, abilità indispensabile per prendere parte alla vita sociale del nostro paese. I richiedenti asilo incontrano, probabilmente maggiori difficoltà rispetto ad altri migranti determinate dal repentino di- 115 -
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stacco dal proprio ambiente, l’arrivo in un paese sconosciuto, spesso non scelto. La mancanza della conoscenza della lingua italiana, la marginalità dei circuiti amicali, la difficoltà di trovare reti di sostegno presso le comunità di appartenenza, che spesso non esistono nelle nostre città, unite all’incertezza dei diritti e delle procedure legate al permesso di soggiorno per ”richiesta d’asilo”, portano i richiedenti asilo ad un vissuto di impotenza e provvisorietà nel determinare la loro vita. Questo, spesso, rischia di compromettere tutto il processo di integrazione, trasformando il periodo di permanenza nel centro di accoglienza in una sorta di limbo temporale, dove attendere passivamente la decisione definitiva sul loro status. In tale ottica la formazione professionale è da considerarsi come un ottimo strumento sia per i percorsi di integrazione di richiedenti asilo e rifugiati, che per l’acquisizione o la riqualificazione di competenze che potrebbero essere spese anche in Paesi differenti dall’Italia (nel caso di richiedenti asilo che, non ottenendo lo status di rifugiato, siano costretti al rimpatrio o scelgano di rimpatriare essendo cambiate le condizioni che ne hanno determinato la fuga). Per affrontare l’argomento della formazione professionale conviene partire dalla definizione dell’UNESCO: “La formazione professionale è quella formazione che ha per oggetto lo - 116 -
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sviluppo delle attitudini individuali, delle conoscenze e delle competenze richieste per l’esercizio di un impiego o di un mestiere”. In questa definizione appare subito immediata la centralità della persona nel percorso di formazione che è a servizio della persona stessa e dei suoi reali bisogni. Per i richiedenti asilo, poi, non deve in alcun modo essere utilizzata in maniera fine a se stessa come mezzo per impiegare il tempo di attesa dell’audizione con la commissione. L’avvio di un percorso di formazione/possibile integrazione deve tenere conto -in maniera preventiva- dei background della persona e quindi partire dalla ricostruzione di competenze, capacità, attitudini e aspirazioni al fine di individuare quali siano i bisogni formativi dell’individuo, per poi rispondere agli stessi. Non sempre un corso di formazione professionale è la risposta ideale ai bisogni formativi. È necessario, dunque, valutare se siano più efficaci altri strumenti di sostegno alla persona, come: - Certificazione delle competenze - Riqualificazione professionale - Corsi di lingua italiana per acquisizione di linguaggio tecnico - Tirocini formativi - Brevi esperienze di stage. - 117 -
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Per quanto riguarda le singole operazioni, che sia un operatore dell’accoglienza o dell’integrazione, ha sostanzialmente il compito di fornire al richiedente asilo e al rifugiato gli strumenti idonei per agire autonomamente e fare delle scelte consapevoli. Gli operatori stessi non devono mai sostituirsi al beneficiario/utente, né nelle azioni, né nelle scelte. Gli obiettivi degli interventi in relazione ai fabbisogni dei soggetti possono riassumersi in alcune parole chiave: - Informare il beneficiario/utente sulle offerte formative presenti sul territorio. Questo presuppone un lavoro iniziale di mappatura delle opportunità di formazione e successivi aggiornamenti periodici; - Orientare il beneficiario/utente nella costruzione di un percorso di formazione personalizzato; - Accompagnare il beneficiario/utente nella ricostruzione e nella individuazione di competenze, capacità, attitudini e aspirazioni; - “Contrattare” con il territorio (enti di formazione, enti locali, regioni, sindacati) per promuovere e sostenere l’accesso di richiedenti asilo e rifugiati. Questo tipo di azione presuppone un lavoro a seconda dei singoli casi, mentre un lavoro più sistematico e strutturale è riservato ad altri attori -tendenzialmente enti e non singolisecondo una logica di coordinamento e di lavoro di rete. - 118 -
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I percorsi di accesso al mondo del lavoro sono sempre più oggetto di studio, di riflessione e di intervento sociale. La moltiplicazione dei “lavori possibili”, la parcellizzazione dei saperi e delle esperienze, e nello stesso tempo le maggiori difficoltà di accesso e mantenimento del posto di lavoro e dei relativi diritti, rendono sempre più necessari interventi di orientamento e accompagnamento al lavoro, nonché percorsi di riqualificazione professionale o di riconoscimento di titoli e competenze. Ciò riguarda in maggior misura i cittadini richiedenti asilo, espressione di una contraddizione complessa, spesso lacerante: portatori di diritti, di saperi e di competenze, nella necessità/opportunità di ricominciare una vita nuova nel paese di arrivo, e di fatto esclusi dal mondo del lavoro per un periodo di tempo indefinito. Altro problema resta infatti quello di monitorare con attenzione la condizione dei richiedenti asilo per verificare che la formazione abbia luogo e che il periodo non si trasformi in sfruttamento delle loro competenze. Il problema dello sfruttamento del lavoro è uno dei profili più delicati legati all’adozione di molti interventi, rispetto al quale vari progetti hanno segnalato casi problematici; l’arma che i progetti hanno utilizzato per contrastare tale fenomeno è costituita in via preventiva da una definizione rigorosa nel progetto formativo di obiettivi e modalità di intervento. - 119 -
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In molte zone l’attivazione di interventi di valorizzazione del periodo di “sospensione” finalizzati alla formazione ha portato alla realizzazione di dinamiche virtuose a livello locale con la costituzione di reti e partenariati tra istituzioni, enti di formazione, associazioni che lavorano per l’accoglienza, imprese e associazioni di categoria. Questo ha consentito il perseguimento di obiettivi ulteriori rispetto all’attivazione delle azioni, con una progettazione dell’accoglienza e dell’integrazione a livello territoriale di più ampio respiro. I dati sulla presenza straniera, confrontati con quella dei richiedenti asilo, servono quindi a mettere in evidenza i settori di attività e i servizi di riferimento da cui sono partiti molti Tavoli locali nella definizione di un progetto specifico di intervento, nel tentativo di non rafforzare il diffuso malinteso che non distingue tra richiedenti asilo, rifugiati e lavoratori immigrati. L’inserimento formativo o lavorativo prima del richiedente asilo e poi del rifugiato, richiede una particolare attenzione per la condizione specifica di esilio di queste persone, e di distacco spesso brutale dai contesti originari di attività e di relazioni sociali. Un ostacolo alla programmazione degli interventi è rappresentato dalla precarietà della situazione del richiedente asilo in Italia; come è noto, infatti, il permesso di soggiorno di - 120 -
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breve durata legato alla richiesta di asilo non è riconosciuto valido per svolgere attività lavorativa. Inoltre, il rischio del respingimento della domanda di asilo rende aleatorio e poco sostenibile nel tempo qualsiasi reale percorso di integrazione. In questo senso, ogni tipo di intervento deve prevedere misure di sostegno per l’inserimento lavorativo e formativo dei richiedenti asilo, pur a fronte di una serie di vincoli. L’elemento che dovrebbe unire tutti i progetti territoriali è il lavoro di rete che ciascun soggetto promotore dovrebbe intraprendere. La realizzazione di un percorso integrato di inserimento lavorativo per una categoria di persone con vincoli e con esigenze complessi richiede un allargamento della rete ad attori diversi: dagli enti che svolgono attività di formazione professionale, alle associazioni di terzo settore, alle organizzazioni datoriali, fino alle agenzie per la casa ed il lavoro ed ai servizi sociali sul territorio.
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A cura del gruppo di studio
InFormData Consorzio a partecipazione Pubblica - Lecce -
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