SETTEMBRE 2014 MENSILE A DISTRIBUZIONE GRATUITA
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LIFE
Val VIBRATA
TERRITORIO CULTURA ECCELLENZE AMBIENTE SOCIETÀ
TERRITORIO CULTURA ECCELLENZE AMBIENTE SOCIETA’
IL "BIANCo" di Angelozzi sposa la canalis
CONFUSI (NOI) E FELICI (LORO)
editoriale
SOVRAPPENSIERO
ALEX DE PALO E’ la politica tentacolare ad attentare alla Costituzione. Lo fa proprio verso quella stessa Carta dentro cui sono scritte le “guarentigie” attraverso cui Palazzo Chigi e Palazzo Madama stabiliscono la libertà di determinarsi i budget e di godere dell’immunità. Così accade che nemmeno alle auto blu si riesce più di tanto a rinunciare. Gli intoccabili non pagano se violano la Magna Carta d’Italia. Perché la Costituzione enuncia principi, non è il Codice penale. Se scorriamo gli articoli ed i principi fondanti impressi dai padri costituzionalisti che vollero un Paese risorto dalle dittature, a misura di uomo e di famiglia, che pensarono all’Italia libera dal conflitto bellico senza più diseguaglianze, ci si accorge che in questi decenni i nostri garanti (sempre loro, i politici) hanno fatto l’esatto opposto. Non era detto che” l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”? Ma dove, ma quando! “La sovranità appartiene al popolo…” Siamo sicuri? Siamo sicuri che quello che subiamo sia davvero ciò che il popolo vuole? “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…”. Mi sembra che oltre a non riconoscerli, lo Stato qualcuno di questi li stia violando (il diritto alla salute ad esempio). “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Forse nei sogni! Se poi leggiamo che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia…” e “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, sbianchiamo. Secondo voi sono diritti garantiti? Per non parlare del “sistema tributario che deve essere informato a criteri di progressività”. Ciò vuole dire che chi più ha più paga. Accade invece che i ricchi siano sempre più ricchi, evasori, impuniti e felici. Gli altri confusi, più poveri ed infelici. Lo Stato, con l’Europa a soffiarci sopra, avanza nella logica aziendalista. Fare profitto, comunque non rimetterci. Chi doveva garantire sopravvivenza a famiglie ed imprese, invece, pensa alla propria, invertendo l’ordine dei ruoli. Le tasse, quando arrivano, sono lineari e quindi, a pagare sono tutti. Pensiamo alle accise sui consumi, benzina, tabacchi ma non solo. Se davvero la sovranità appartenesse al popolo, questo manderebbe la casta a casa e alle patrie galere.
VAL VIBRATA LIFE Anno III Numero 24 DIRETTORE RESPONSABILE Alex De Palo HANNO COLLABORATO Alfonso Aloisi, Supun Asanka, Marco Calvarese, Virginia Ciminà, Martina Di Donato, Noemi Di Emidio, Alessandra Di Giuseppe, Francesco Galiffa, Giordana Galli, Maurizio Lindner, Virginia Maloni, Stefania Mezzina, Michele Narcisi, Nando Perilli, Cinzia Rosati, Paride Travaglini EDITORE Diamond Media Group s.r.l. Via Carlo Levi, 1- Garrufo di Sant’Omero (TE) Tel. 0861 887405 - redazione@diamondgroup.it VAL VIBRATA LIFE Reg. Trib. di Teramo n° 670\2013 GRAFICA Diamond Media Group s.r.l. STAMPA Arti Grafiche Picene s.r.l. PUBBLICITA’ info@diamondgroup.it FACEBOOK Val Vibrata Life Free Press TWITTER @VALVIBRATALIFE RESPONSABILE TRATTAMENTO DATI Dlgs 196/03 Alex De Palo Riservato ogni diritto e uso. Vietata la riproduzione anche parziale
SOMMARIO
Settembre 2014
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PEPE SBARCA IN AMERICA
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IL BRODETTO ALLA GIULIESE
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EROSIONE COSTIERA: VECCHIO PROBLEMA, STESSO FLAGELLO
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SAN GIACOMO DELLA MARCA E I SUOI CODICI
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LE RELIQUIE DEL PAPA A TORTORETO
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AMORE E DESERTO: IL VIAGGIO DOPO IL “SÌ”
22
SCATTI DI FINE ESTATE
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INTORNO A UN CHICCO DI GRANO
27
VAL VIBRATA BABY
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AIUTI DI STATO ALLA REGIONE ABRUZZO
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ANGHIÒ ALL’EXPO 2015
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MARISA PASSAVANTI LA POETESSA DI COLONNELLA
47
IL LINGUAGGIO DEI TATUAGGI
48
COME CURARE LE UNGHIE FRAGILI
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LE PIATTAFORME DELL’ADRIATICO
I FATTI RILEVANTI DELL’ESTATE
08
06 21
L’EROS DI ANTONELLA AIGLE
34
ELISABETTA CANALIS E ALESSANDRO ANGELOZZI, UN VESTITO PER IL “SÌ”
CENTO ETTARI “ SEMINATI” A COZZE
IL FAGIOLO
42
RAFFAELLA MILANDRI PASSIONE REPORTER
45
40
GIULIO FIORE E I CEREALI ANTICHI
È SUCCESSO CHE... LA TRAGEDIA SUI CIELI DI ASCOLI
TERRITORIO
L
’azzurro cielo ascolano veste il colore nero del lutto. Non sarà facile dimenticare il tragico incidente in volo avvenuto il 19 agosto tra due caccia Tornado dell’Aeronautica militare, partiti da Brescia per un’esercitazione Nato e precipitati sulle colline ascolane fra Gimigliano e Casamurana. Erano circa le 16 quando è divampato un vasto incendio, preceduto da un forte boato, udito a parecchi chilometri di distanza. Dai primi rilievi i due velivoli si sono scontrati in volo non lasciando scampo ai quattro militari a bordo. Sono infatti stati trovati carbonizzati i capitani piloti Alessandro Dotto e Mariangela Valentini e i capitani navigatori Giuseppe Palminteri e Paolo Piero Franzese. Errore umano o avaria ormai ha poca importanza. Nel primo caso si passerebbe ad una archiviazione per morte del reo. Nel secondo invece, a meno che l’avaria non sia certamente imputabile al costruttore, si concluderebbe comunque con un nulla di fatto. Secondo l’Aeronautica i due Tornado svolgevano due distinte missioni e non si sarebbero dovuti trovare lì alla stessa quota e allo stesso orario”. I funerali sono stati celebrati a Ghedi (Brescia) la mattina del 2 settembre mentre ad Ascoli Piceno il sindaco Guido Castelli, ha dichiarato lutto cittadino.
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“
TROPPI BLITZ, FLASH MOB DEI VU CUMPRÁ
I
l conflitto fra commercianti ambulanti di varie etnie è deflagrato quest’anno ad Alba Adriatica e a Martinsicuro. A Tortoreto no, perché la concorrenza è marginale. Troppi i blitz contro il commercio abusivo ed anche loro, gli ambulanti stranieri, chiedono di campare. Davanti al Municipio di Martinsicuro, centinaia di Vu cumprà hanno voluto ad ogni costo confrontarsi con il sindaco Paolo Camaioni, il quale non ha potuto fare altro che ribadire il no alla illegalità e alla concorrenza sleale. Stessa cosa ad Alba Adriatica, dove più di 50 ambulanti definiti abusivi hanno organizzato un corteo che è infine giunto davanti al municipio. La richiesta? Allentare i controlli, chiudere insomma un occhio. Il sindaco Tonia Piccioni, ovviamente, non ha potuto accontentarli. In un quadro di convivenza civile, si potrebbero trovare soluzioni accettabili come quella di reperire spazi idonei per gli ambulanti dove poter vendere, con licenza, la merce, in genere “povera” non contraffatta, ovviamente.
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BANDIERA BLU, TORTORETO DIVENTA MAGGIORENNE
T
P
untuale come ogni anno, anche nell’estate 2014 la costa teramana è stata messa sotto scacco dalla crisi idrica. Martinsicuro, Tortoreto e Giulianova le località più colpite, soprattutto nelle settimane di Ferragosto, quando i rubinetti sono rimasti a secco per molte ore della giornata scatenando proteste infuocate: residenti, turisti, albergatori, amministratori hanno puntato il dito contro la Ruzzo Reti, società che gestisce la rete idrica. A mancare infatti non è l’acqua, ma la capacità degli impianti di convogliare i flussi nelle zone di maggior richiesta. Le polemiche, che hanno arroventato l’estate, hanno spinto Regione, Provincia, Comuni e Ruzzo Reti a riunirsi attorno ad un tavolo per programmare interventi strutturali volti a risolvere l’annoso problema. Sul piatto un progetto di circa 50 milioni di euro (fondi in gran parte ancora da reperire) per ammodernare la rete idrica e renderla efficiente e funzionale.
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foto di Antonio Oddi
MISS ITALIA, È ALBENSE LA REGINETTA D’ABRUZZO
C
ivitella del Tronto ha ospitato la finale regionale del concorso di bellezza nazionale Miss Italia. La modella e indossatrice Maria Di Giminiani, 20 anni di Alba Adriatica è stata proclamata Miss Abruzzo. La giovane ha ricevuto la fascia da Giulia Belmonte, Miss Abruzzo uscente. La fascia di Miss Cinema Abruzzo è andata a Margherita Vantsak, 18 anni, di Montesilvano.
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TERRITORIO
L’ ACQUA C’É, MA LA VIBRATA HA PATITO LA SETE
ortoreto issa la diciottesima Bandiera blu risultando essere, in provincia di Teramo, capofila con il maggior numero di bandiere all’attivo. La località costiera vibratiana si attesta anche fra le più premiate su scala regionale. Come ogni estate, l’evento è stato salutato dall’amministrazione comunale con la festa dedicata alla Bandiera Blu della Fee. La serata è stata rivolta all’ambiente e al gusto: i notevoli risultati conseguiti nella raccolta differenziata (con punte che hanno superato il 70 per cento) e la qualità delle acque di balneazione (i cui valori di enterococchi ed escherichia coli sono stati sempre sotto la soglia minima di legge) hanno consentito la conquista del diciottesimo vessillo della Fee.
GLI “ICEBERG” D’ACCIAIO IN ALTO ADRIATICO Dal 1979 estraggono gas naturale dagli abissi. Abbiamo visitato una piattaforma al largo di Giulianova
S
ono comunemente chiamate le isole d’acciaio dell’Adriatico centrale e classificate come Piattaforme Metanifere “Off-Shore”. Undici in totale quelle che ricadono sotto la giurisdizione del Circondario Marittimo di Giulianova lungo tutta la costa teramana. Moltissime nel tratto di mare tra Ravenna e Pescara. La prima ad essere impiantata è stata quella denominata “Fratello Cluster” (anno di realizzazione 1979) seguita a brevissimo spazio di tempo dalle strutture “Squalo”, “Fratello Est 2” e “Fratello Nord”. Quella che abbiamo osservato da molto vicino è la piattaforma “Eleonora” di proprietà della Adriatica Idrocarburi del Gruppo Eni ancorata tra Giulianova e Tortoreto fin dal 1987 con un collegamento simultaneo a nove pozzi di estrazione di gas naturale che viene poi dirottato attraverso un gasdotto marino alla centrale ubicata a Pineto. La concessione per lo sfruttamento minerario è valida, salvo rinnovi, per ancora quattro anni ovvero fino al 7 luglio 2018. La profondità del mare in quel punto è di 57 metri anche se ne vengono segnalati ufficialmente 60. L’altezza massima sul livello del mare è di 34 metri. Sulle carte nautiche la Eleonora è posizionata
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foto di Alfonso Aloisi
TERRITORIO
ALFONSO ALOISI
a 42°50’22,15’’ di latitudine nord e a 14°09’20,94’’ di longitudine est. La piattaforma Eleonora è distante dalla costa circa 24 chilometri e, come tutte le altre, è oggetto di una specifica ordinanza che vieta la navigazione e la pesca nel raggio di 500 metri per motivi di sicurezza. Ad ogni buon conto, le barche adibite alla pesca sportiva, ma anche i Circoli Nautici prendono come punti di riferimento le piattaforme utilizzate come riferimento per zone di partenza delle gare di pesca d’altura. Nelle parti sommerse delle isole d’acciaio, con il passare del tempo, si sono moltiplicate vaste colonie di organismi marini che rappresentano il menù quotidiano di piccoli pesci che a loro volta fungono da cibo per i grandi predatori dell’Adriatico. Anche i gabbiani frequentano le piattaforme che vengono usate come una sorta di punto di osservazione da cui inquadrare i pesci venuti a pelo d’acqua da catturare. Per motivi di particolare sicurezza, le piattaforme sono provviste di nautofono, avvisatore nautico, consistente nell’emissione di segnale sonoro composto da una nota singola, da utilizzarsi in mare in caso di nebbia o scarsa visibilità. Durante le ore notturne le piattaforme, provviste
di telecamere a circuito chiuso, vengono illuminate per ovvi motivi di sicurezza. L’estrazione del gas è praticamente automatizzata con gestione e controllo da terra. A volte si rendono necessari interventi di manutenzione ed allora si può verificare che i tecnici specializzati debbano risiedere per qualche giorno sulle piattaforme dove c’è comunque possibilità di alloggio. Gli impianti di captazione del gas-metano sono stati realizzati ed approntati non per durare in eterno, ma solo per il periodo di sfruttamento del giacimento presente sotto il mare. Sono quindi strutture che hanno una vita media di 20-40 anni massimo dopo la quale occorre smantellarle, i pozzi chiusi minerariamente e le condotte a mare tolte. Il tutto con un costo non indifferente per il gestore e una ricaduta sulla pesca locale e l’indotto che questa genera. Per le piattaforme si prospetta un futuro incerto. Infatti, con la risoluzione n. 52 l’Italia restringe le concessioni alle piattaforme offshore, dall’altra parte dell’Adriatico il governo croato accende il semaforo verde per la ricerca e l’estrazione in ben 29 aree marine. Come si può ben arguire, la politica croata è in netta controtendenza rispetto ai Consigli regionali di Veneto, Abruzzo, Molise, Marche e Puglia che spingono verso il divieto di ricerche di petrolio e gas e le linee guida della Commissione europea riguardanti Adriatico e Jonio che auspicano “un’economia blu rafforzata, un ambiente marino più sano, uno spazio marittimo più sicuro e attività di pesca responsabili”. Il Comandante dell’Ufficio Circondariale Marittimo
ANNO DI DISTANZA DALLA PROFONDITÀ NUM. POZZI TITOLO COSTRUZIONE COSTA (km) FONDALE (m) COLLLEGATI MINERARIO
ELEONORA
1987
24
60
9
B.C 3.AS
EMILIO
2001
27
85
2
B.C 3.AS
EMMA
1982
36
104
9
B.C 10.AS
FRATELLO CLUSTER
1979
12
19
3
B.C 5.AS
FRATELLO EST 2
1980
13
17
1
B.C 5.AS
FRATELLO NORD
1980
13
23
2
B.C 5.AS
GIOVANNA
1992
38
117
16
B.C 10.AS
SIMONETTA 1
1997
10
17
1
B.C 5.AS
SQUALO
1980
18
70
6
B.C 9.AS
VIVIANA 1
1998
9
20
1
B.C 5.AS
CAMILLA 2
2001
26
80
1
B.C 3.AS
TERRITORIO
DENOMINAZIONE DELLA PIATTAFORMA
di Giulianova Tenente di Vascello Sandro Pezzuto sottolinea: “La presenza di ben undici piattaforme off-shore nelle acque antistanti il litorale provinciale, testimonia l’elevata importanza strategica che riveste l’Ufficio Circondariale Marittimo di Giulianova nel panorama delle Istituzioni Locali, in considerazione del ruolo di unica forza di polizia presente in mare nell’intera provincia di Teramo. In particolare, nei confronti delle piattaforme adibite all’estrazione del gas vengono svolte imprescindibili funzioni legate alla protezione dell’ambiente marino, al controllo sulla pesca marittima abusiva, ai collaudi e ispezioni a bordo nonché di vigilanza e polizia marittima. Grazie all’impiego di una motovedetta classe 800, di un battello veloce Hurracane e di due gommoni, la Guardia Costiera di Giulianova è in grado far osservare le prescrizioni previste nell’Ordinanza n. 66/2013 del 11 settembre 2013 della Capitaneria di Porto di Pescara, la quale prevede: - divieto di transito, ancoraggio, ormeggio e pesca entro il raggio di mt. 500 dal punto di posizionamento delle piattaforme; - divieto di ancoraggio, di pesca a strascico e di qualsiasi per attività che interessi il fondale per 1/4 di miglio (mt. 463) a dritta ed a sinistra delle sea-lines di collegamento. E’ fatta eccezione per: navi appoggio, navi che devono compiere operazioni commerciali, unità per manutenzione, unità per trasporto materiali e persone per l’installazione, dietro preavviso all’Autorità Marittima”.
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METTI PEPE NEL TUO PASTO QUOTIDIANO
Mezzo secolo di vendemmie e la storia di un successo oltre oceano per una cantina fra le più blasonate. Ed un’annata finisce all’asta di beneficenza a Wall Street
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© SYMBOL - Photography Luigi Fedeli
PEOPLE
E
midio Pepe è il “signore del vino” e parlare con lui è come bere il suo sidro. Questo elegante signore, classe 1932, rimanda ad un lord inglese: ha portamento e veste raffinato. Un agricoltore che è stato capace di non farsi “ingabbiare” da percorsi prefissati, capace di brillare di luce propria per le scelte che ha fatto, per il coraggio di certe scelte, fondate da certezze che nel passato erano solo sue, e che nel tempo hanno trovato il loro fondamento più assoluto e la condivisione di quanti non si rispecchiavano nei suoi modi e in quelle scelte, e che oggi sono i primi ad applaudire il pioniere del vino. E’ un onore e un piacere parlare con Emidio Pepe. Casa sua e l’azienda, in realtà, coincidono, mentre dal terrazzo si possono ammirare le colline di Torano Nuovo, le vigne. I suoi occhi brillano nel raccontare con vigore e passione difficoltà, gioie e certezze della sua vita. Quali sono le sue certezze a distanza di tanti anni e qual è il valore di un vino che parla all’anima e che compie 50 anni? “Era ed è la cosa più importante: la genuinità. Il mio vino può anche non piacere, ma sulla genuinità posso assolutamente garantire. Sono giunto alla cinquantesima vendemmia con l’entusiasmo della prima e, per la ricorrenza, una bottiglia di
STEFANIA MEZZINA
Montepulciano d’Abruzzo Emidio Pepe del 1964 è stata battuta durante un’asta di beneficienza alla Borsa di New York a favore di Newmark, una scuola per bambini autistici in New Jersey per circa 5000 euro. Si è aggiudicata la bottiglia il CEO della NYSE, Duncan Niederauer, il quale ha incontrato personalmente mia nipote Chiara, (parte attiva dell’azienda Pepe, con la madre Daniela e con Sofia, l’altra figlia di Emidio ndc). A partire da aprile, da un tour iniziato a New York, si sono susseguiti tantissimi eventi per il 50ennale nei luoghi che da sempre considerano un prestigio avere i miei vini in lista. Ad uno di questi appuntamenti si è tenuta anche la presentazione della versione inglese del libro Manteniamoci Giovani, vita e vino di Emidio Pepe di Sandro Sangiorgi alla presenza dello stesso autore”. Vigne, innesti, grappoli che quasi le parlano, per facilitarle certe scelte. E’ stato sempre così nella sua vita? “Il mio amore per l’agricoltura è nato sin da bambino. Seguivo mio nonno Emidio nel lavoro in campagna, e sin da allora mi sono occupato del lavoro
TO
Scopriamone la storia. Quello alla giuliese nasce dalla cultura marinara locale
Q
uello che in gergo culinario viene chiamato brodetto di pesce, o semplicemente brodetto, lu vredòtte nel dialetto di Giulianova, è il piatto simbolo della cucina marinara dell’ Adriatico, in particolare veneta, marchigiana, abruzzese e molisana. Questo piatto è diventato nel tempo una specialità dei migliori ristoranti della costa italiana che guarda verso est; era piatto povero dei pescatori dell’Adriatico che utilizzavano quel pescato che era difficile da vendere a causa della sua bassa qualità, o delle dimensioni del pescato, troppo piccolo, e che addirittura utilizzavano, quando il pescato era insufficiente, dei pesci da scoglio con attaccate alghe e molluschi. Diverse regioni si contendono la paternità della ricetta tra cui Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e marginalmente il Veneto. Da qui la derivazione di diverse scuole di pensiero vere e proprie: in Romagna ed in Abruzzo non è brodetto senza la gallinella, abitualmente chiamata mazzolina in terra romagnola, che nelle Marche è sostituita con il San Pietro. Il brodetto in generale ha come caratteristica l’utilizzo di molte qualità di pesce, almeno nove/dieci: seppie, triglie, sogliole, palombo, rospo, pannocchie o cicale di mare (in romagnolo “canocchie”), scorfano, merluzzo, frutti di mare, calamari, razze, gallinelle, sanpietro, vongole, granchi, cozze e tracine. Nove sono i tipi di brodetto che si rincorrono lungo la fascia costiera adriatica: alla termolese, di Chioggia, romagnolo, alla fanese, di Porto Recanati, alla sambenedettese, alla giuliese, alla pescarese ed alla vastese. Per Val-
in vigna con le rafie, gli innesti e io riuscivo a stare al passo con gli adulti. In quegli anni mio nonno mi insegnava che zappare ciò che sembrava secco in realtà valeva per una piovuta; perchè le radici restavano umide come se avesse piovuto e questa certezza mi ha accompagnato per sempre, anche come metafora”. Lei, contadino, produttore e commerciante? “Ero un agricoltore giovane, facevo parte e ricoprivo cariche pubbliche nel Club 3 P (Provare-produrre-progredire) la mia intuizione fu quella di andare in Olanda negli anni ’60. Avevo 28 anni ed ebbi modo di conoscere grandi aziende che avevano allevamenti di vario genere e che partivano dalla produzione per arrivare alla vendita, mentre in Italia in quegli anni non c’era la filiera completa. Desiderai, a quel punto, creare un mercato del genere”. La sua vita avventurosa e innovativa, nonché da giramondo prese il via da quel punto?
Vibrata Life il nostro brodetto alla giuliese è proposto dallo chef Bruno Di Furia del ristorante Caprice di Giulianova che sottolinea come importante sia il tempo di cottura attorno ai 20 minuti. La base, che va soffritta per pochissimo tempo, è composta da aglio, cipolla, olio d’oliva, peperone verde, prezzemolo, pomodorini “pachino” e peperoncino piccante a piacere. Quindi si aggiungono le seppioline, la tracina (ragnolo), la galinella di mare e il palombo. Cottura per sei o sette minuti. Quindi va aggiunto un mezzo bicchiere di vino bianco oltre alle sogliole nostrane, razze, canocchie (cicale di mare) e scampi. Dulcis in fundo cozze e vongole tenendo il tegame (preferibilmente in terracotta) coperto per quattro minuti. Al termine il tutto va guarnito con fette di pane bruschettato sui bordi interni del tegame.
ALFONSO ALOISI
“Sì. Cominciai a recarmi spesso all’estero: Germania, America e Giappone. La mia idea era di far conoscere a tutto il mondo il Montepulciano, effettuavo degustazioni e vendevo, alla fine degli anni 60; nel 79 a Chicago ero il miglior produttore, tra dieci italiani del Piemonte e della Toscana. In un momento in cui nessuno credeva in questo prodotto. La Regione Abruzzo riteneva il nostro vino da taglio e sosteneva che non fosse adatto all’invecchiamento, che doveva essere bevuto giovane, mentre io lo imbottigliavo e vinificavo in maniera diversa: facevamo così io ed Edoardo Valentini, padre di Francesco”. I festeggiamenti per il 50ennale dell’attività di Emidio Pepe non terminano. Alla vendemmia di settembre 2014, il “signore del vino” e la sua famiglia organizzeranno una festa per onorare una meravigliosa carriera.
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PEOPLE
IL
DET O R B O T A O CHIAM T T E Z Z A U G
ELETTRA E LA CRISI SI MANGIANO LA COSTA TRUENTINA La spiaggia della martoriata Martinsicuro cancellata dall’ultima mareggiata
L
’ erosione costiera al centro delle tribolazioni estive del Comune di Martinsicuro. Mai come nella stagione 2014 il fenomeno ha inciso pesantemente sull’industria delle vacanze, considerando anche i disagi che la cittadina ha subito per via dei lavori antierosione sopraggiunti a ridosso dell’estate. Lavori invocati ed attesi da anni dal Comune, ma che sono stati effettuati con tempistica tale da causare difficoltà a residenti, turisti e balneatori. Tre milioni di euro è il costo dell’intervento, finanziato dalla Regione Abruzzo per sistemare il tratto compreso tra il porto e la Casabianca, con il posizionamento di tre pennelli a mare, la rifioritura
delle 19 scogliere esistenti, la contestuale chiusura dei 18 varchi e la sistemazione degli scoli a mare. La prima fase dei lavori, (tra cui il dragaggio del porto e l’utilizzo della sabbia per il ripascimento morbido di alcuni tratti) proseguita fino a metà giugno, ha rallentato le attività degli stabilimenti balneari, con una tardiva collocazione degli ombrelloni in spiaggia per via di camion e ruspe sull’arenile. Con la sospensione dei lavori il 15 giugno, la spiaggia, già timidamente ricostruita nei tratti maggiormente erosi, ha fatto ben sperare gli operatori turistici che già si apprestavano a lascarsi alle spalle i disagi degli anni passati. E’ però bastata una mareggiata per riportare tutti alla cruda realtà. Il tempo inclemente che ha caratterizzato quasi tutta la stagione estiva, si è mostrato implacabile con l’arrivo del ciclone Elettra: le mareggiate dei primi di settembre hanno cancellato l’arenile in diversi tratti, mostrando l’inefficacia protettiva degli interventi finora eseguiti sul litorale. La zona maggiormente colpita è risultata quella compresa tra lo chalet Eden Gala e la Casabianca, dove le file di ombrelloni sistemate nei due mesi estivi e rimosse in tutta fretta per sottrarle alla furia delle onde, hanno ceduto il posto al mare, tornato impietosamente a lambire gli stabilimenti balneari: l’ennesima mazzata per gli operatori turistici già fortemente provati da una stagione difficile, tra maltempo, carenza idrica e crisi economica. Salvare gli ultimi scampoli d’estate è stato dunque l’imperativo categorico: sull’arenile, seppur ridotto ai minimi termini, sono stati riposizionati alcuni ombrelloni per andare incontro a quanti vogliono godersi il mare e il sole di settembre. Poche file solitarie, spesso collocate quasi a ridosso della strada, con la speranza che questo 2014 rappresenti l’ultimo anno di disagi legati alla spiaggia che non c’è. La stagione estiva si conclude con la ripresa dei lavori antierosione e il ritorno dei mezzi pesanti a condividere l’arenile con gli irriducibili della tintarella. In attesa paziente che le opere strutturali, una volta concluse (nel giro di un mese o poco più), arrestino l’impeto delle correnti marine e restituiscano finalmente la spiaggia, riportando la costa in sicurezza.
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TERRITORIO
CINZIA ROSATI
IL SANTO CHE LOTTO’ CONTRO ERESIE ED IGNORANZA San Giacomo della Marca è venerato a Monteprandone che ne conserva memoria
TERRITORIO
PARIDE TRAVAGLINI
M
onteprandone, oltre ad aver dato i natali ad artisti e studiosi, è conosciuto per essere il paese di San Giacomo della Marca, un personaggio di grande attualità che con la sua attività di predicatore itinerante, ma anche di giurista e di “uomo di pace”, ha saputo porre le basi etiche e civili per una convivenza interculturale che lega, all’interno di un sistema di valori condivisi, moltissime città italiane ed europee. San Giacomo, nacque a Monteprandone nel settembre del 1393 da Antonio Gangale e da Antonia Rossi. Gli fu dato il nome di Domenico. I lavori dei campi e della pastorizia hanno segnato gli anni della fanciullezza del piccolo Domenico. A spese sue provò la durezza del lavoro di mandriano, dopo essere rimasto orfano di padre a 7 anni. Insoddisfatto di quella vita, abbandonò la casa e se ne andò da uno zio sacerdote in Offida, che lo
avviò agli studi, che il giovane proseguì ad Ascoli Piceno e successivamente a Perugia, dove si laureò in diritto civile ed ecclesiastico. L’anno1416, segnò una svolta fondamentale nella vita di Domenico che lasciò la carriera di magistrato e scelse la vita religiosa cambiando il nome in quello di Giacomo. Il 13 giugno 1420 nel convento di Fiesole, dove ebbe per maestro San Bernardino da Siena, fu ordinato sacerdote. Tutti i biografi sono concordi nel testimoniare la grande capacità oratoria di Fra Giacomo da Monteprandone, frutto di innata capacità e di preparazione accurata. E questa sua capa¬cità, la mise a disposizione della Chiesa per il bene delle anime, per tutta la sua vita. Predicò con un linguaggio vivo, ricco di esempi, accessibile a tutte le classi sociali in tanti luoghi delle Marche e dell’Italia Centrale.
foto di Paride Travaglini
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IX-X secolo e di 54 codici del XIV-XV secolo è sufficiente però per parlare di un autentico tesoro di inestimabile valore artistico e culturale, tornato al suo splendore dopo il restauro curato fino al 2012 dall’Opificio delle Pietre dure di Firenze. I Codici, ora esposti presso il Museo di Monteprandone, e conservati in teche per proteggerli dagli effetti delle variazioni di illuminazione e di temperatura, sono una parte di quella “Libreria di San Giacomo”, raccolta nel ’400 dal Santo e comprende Sermoni, Collazioni, Compendi, Cronache, Decretali, Decreti, Dialoghi, Dominicali, Dissertazioni, Epistole, Glossari, Laudi, Letture, Monografie, Quadrigesimali, ecc.. Non mancano opere ed autori di storia romana, autori di letteratura classica, opere di letteratura italiana, opere di letteratura cristiana. Si tratta di 61 volumi oltre una lettera di San Giacomo a San Giovanni da Capestrano, datata Roma 14 dicembre 1455. Molti codici sono straordinariamente miniati e su alcuni si legge ancora il nome della persona che aveva regalato o venduto il libro a San Giacomo, il prezzo ed il luogo di destinazione: “ Loci Sancte Marie Gratiarum Montis Prandoni ordinis Minorum”. Info: URP Monteprandone 0735/710930- Pro Loco Monteprandone 360489535 Bibliografia: San Giacomo della Marca: la vita, i miracoli, le preghiere; San Giacomo a Monteprandone; San Giacomo divino predicatore; San Giacomo e l’altra Europa; I codici della Librerai di San Giacomo della Marca
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TERRITORIO
Combatté fermamente le idee propagandate da numerosi gruppi di eretici, principalmente dai Fraticelli, che attentarono numerose volte alla sua vita. Si espresse contro la bestemmia ed a favore del perdono, del dialogo e della pace. Predicò contro le eresie oltre l’Adriatico e per missioni diplomatiche nell’Europa centro orientale, su incarico di Papa Eugenio IV. Lottò contro la prostituzione cercando di riportare le donne che la praticavano sulla retta via e contro l’usura, non limitandosi solamente a predicare ma cercando di aiutare i poveri chiedendo ai ricchi elemosine. Istituì i “Monti di Pietà” dai quali si ricevevano prestiti senza interesse o a bassissima percentuale. Tra i primi “istituti”ricordiamo quello di Ascoli fondato nel 1458 e di Perugia nel 1462. San Giacomo amava particolarmente i bambini che difese strenuamente dalla cattiveria degli adulti. A tal proposito si ricordano numerosi miracoli operati dal santo a favore di questi ultimi vittime della crudeltà ed insofferenza umana. Il 22 agosto 1449 il Papa Nicolò V concesse a San Giacomo il permesso di erigere un convento francescano nel suo paese nativo, Monteprandone, dedicato alla beata Vergine Maria delle Grazie, nella cui chiesa ancora oggi si conserva una preziosa e venerata formella in terracotta, donata a San Giacomo dal Cardinale Francesco della Rovere. Lasciata la predicazione ufficiale il santo pensava di dedicarsi alla preghiera e allo studio nella pace del convento di Monteprandone, ma una lettera di Papa Sisto IV gli impose di portarsi a Napoli su richiesta di re Ferdinando di Aragogna. Nonostante San Giacomo fosse ormai in avanzata età e in cattive condizioni di salute obbedì immediatamente all’ordine del Papa e nella primavera del 1473 raggiunse Napoli, dove predicò fino alla sua morte avvenuta alle ore 7:00 di giovedi 28 Novembre 1476. Dal 2001, il corpo incorrotto del Santo è custodito presso il santuario di Monteprandone. San Giacomo, istituì nel Convento di Santa Maria delle Grazie di Monteprandone una ricca ‘libreria’ , o raccolta di libri per l’istruzione dei religiosi del suo stesso paese, dei confratelli delle Marche e di quanti avessero sentito, come lui, lo stimolo per gli studi. San Giacomo era nemico dichiarato dell’ignoranza e sentiva la necessità di un continuo aggiornamento culturale; “proclamava di non sapere se non studiare e nella sua biblioteca fece posto anche ai classici pagani” e nonostante i continui impegni religiosi e politici, trovava il tempo per la ricerca e la raccolta di nuovi libri e di nuovi autori illustri. Anche se molti libri, come scrive il suo primo biografo Fra Venanzio- se li era scritti lui poveramente per non fare molta spesa, quando l’opera o l’autore era importante, non esitava a sborsare un buon prezzo. Della biblioteca istituita da San Giacomo della Marca, arricchitasi anche dopo la sua morte fino a raggiungere più di 700 pezzi, oggi rimane solo una minima parte. La presenza di un codice del
CONSACRATI A MARIA SANTISSIMA E SAN GIOVANNI PAOLO II Giulianova e Tortoreto salutano il quarantennio della Chiesa di San Pietro Apostolo e l’intronizzazione delle reliquie del Papa più amato
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MARCO CALVARESE
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’estate cattolica della costa teramana ha un filo conduttore che mai negli anni si è reciso e neppure leso, ogni anno puntualmente rinforzato dalla fede, dalla devozione e dalla tradizione popolare dei luoghi dove si onora la figura di Maria Santissima attraverso riti religiosi e ludici che richiamano numerose persone. Particolarmente sentite in questa stagione 2014, i festeggiamenti svoltisi nella parrocchia della Natività di Maria Vergine di Giulianova Lido, in onore di Maria Santissima del Portosalvo, e in quella del Sacro Cuore di Tortoreto Lido, in onore della Madonna del Mare Assunta in cielo, entrambe segnate da un momento rilevante e storico: il quarantennio della consacrazione della chiesa San Pietro Apostolo a Giulianova e l’accoglienza e solenne intronizzazione delle reliquie di San Giovanni Paolo II a Tortoreto. Bisogna tornare indietro nel tempo fino agli anni Trenta per comprendere la storia della chiesa giuliese, fortemente voluta da don Raffaele Baldassari parroco dell’allora Borgata Marina per accogliere i sempre più numerosi e crescenti fedeli. Un sogno portato avanti con fede e insistenza per 30 anni ma realizzato da don Ennio Lucantoni che, dopo aver superato numerose traversie, il 16 agosto 1964 posa la prima pietra assieme al suo predecessore e l’allora vescovo della diocesi di Teramo-Atri, Stanislao Amilcare Battistelli. Bisogna attendere però il 1969 per vedere l’inizio dei lavori che termineranno 5 anni dopo, permettendo che la cerimonia solenne di consacrazione a San Pietro Apostolo si svolga il 29 giugno 1974, presieduta da Abele Conigli, vescovo della diocesi di Teramo-Atri. Quaranta anni dopo quella storica consacrazione, don Ennio Lucantoni, parroco della Natività di Maria Vergine, è tornato ad invocare il Signore per “un nuovo inizio che risponda alle sollecitazioni del Santo Padre e al piano pastorale della nostra Diocesi ...una nuova stagione di fede, speranza e
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carità, come un nuovo innesto nell’albero fruttifero di Gesù”. Con il cuore in mano il sacerdote si è rivolto ai fedeli confessando come “il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza; ma possiamo dirlo tutti che ci è stato vicino e ci ha dato forza ed ora continua a camminarci affianco per un nuovo inizio urgente nella nostra comunità parrocchiale” e, ripercorrendo la storia, ha aggiunto quanto sia stato importante il contributo di quella provvidenza che, attraverso i vescovi, i sacerdoti ed i benefattori, gli sono restati vicini. “Quarant’anni or sono il Signore manifestò la sua particolare vicinanza nella realizzazione di questo tempio materiale che per me, giovane ed inesperto, sembrava uno scoglio insormontabile”. L’edificazione a Giulianova della chiesa consacrata a San Pietro è coincisa in passato con un nuovo inizio nella vita di fede, scandito da una fioritura di giovani attirati da Gesù soprattutto attraverso Comunione e Liberazione e don Giussani che hanno segnato un forte slancio missionario e la fioritura di molti movimenti ed associazioni quali Azione Cattolica, Cursillos, Scouts e tante altre. “Il segreto della vitalità pastorale è la preghiera, la testimonianza di tante anime buone ...il Signore mi ha fatto incontrare tanti Santi, nella vita ordinaria vissuta in modo straordinario ...nomi fissi nel cuore ...continuano ad intercedere per noi”. Anche nelle parole del vescovo della diocesi di Teramo-Atri, Michele Seccia, si è letta la gioia nel celebrare l’anniversario della consacrazione di una chiesa, un modo per aggiungere forza all’essere Chiesa di mattoni vivi ispirata alla solidità di Pietro ma anche missionaria pronta a testimoniare e annunciare come fatto da Paolo. “Noi pietre vive ci sentiamo impegnati come Pietro e Paolo, disposti ad andare lontano, non solo geograficamente ma soprattutto culturalmente? Il segno della Croce è il segno della vittoria del bene sul male, di Dio che ama gli uomini ...le pietre si mettano in cammino e diventino concretezza nel bisogno, presenti nel mondo non come maggioranza ma come lievito
foto di Marco Calvarese
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...amore, solidarietà, riconciliazione, questi i doni che dobbiamo fare per costruire ponti e non confini”. Una data, quella del 29 giugno, che da oggi accomuna la storia della parrocchia giuliese a quella del Sacro Cuore di Tortoreto, dove proprio nella stessa data si è svolta nella chiesa di Santissima Maria Assunta l’accoglienza delle reliquie di San Giovanni Paolo II. “La nostra comunità oggi è in festa perchè abbiamo creato un piccolo Vaticano nella nostra parrocchia”, sono state le prime parole del parroco padre Grzegorz Oczos, più semplicemente padre Gregorio che, assieme al vicario parrocchiale padre Krzysztof Drogos (padre Cristoforo), ha dato il benvenuto all’Arcivescovo Edward Nowak, Segretario della Congregazione Vaticana per le cause dei Santi, che ha accompagnato le reliquie ed ha pregato assieme ai tanti fedeli radunatisi per l’occasione. L’ Arcivescovo ha sottolineato la “grande gioia nell’introdurre la reliquia di Giovanni Paolo II nella vostra chiesa”, ricordando di aver avuto la grande fortuna di conoscere e stare molto vicino a Karol Wojtyla, già dai tempi del Concilio Vaticano II, quando lui era un giovane studente ed il futuro Papa dal 1978 al 2005 un giovane vescovo. “Giovanni Paolo II ha proposto con grande convinzione alla società contemporanea la misura alta della vita cristiana ordinaria”, sono state le parole dell’arcivescovo che ha evidenziato come parlare di santità oggi non sia cosa semplice, visto che la parola Santo sembra indicare qualcosa di troppo lontano e richiamare il concetto di eroismo, di eccezionalità, di distanza dalla quotidianità. “Accostandoci alla scrittura ci viene detto che la santità riguarda ogni uomo, l’appello alla santità non è rivolto a pochi privilegiati ma ad ognuno di noi. In ogni persona è iscritta la chiamata perchè il Santo possa affiorare. Dio bussa alla porta della nostra vita”. Un momento solenne come quello del 15 agosto 2014 quando, durante i festeggiamenti in onore
della Madonna del Mare Assunta in cielo, si è svolta la Solenne Intronizzazione delle reliquie di San Giovanni Paolo II in una cappella appositamente realizzata nella chiesa di Santa Maria Assunta in Tortoreto Lido. Cerimonia presieduta dal Cardinale Domenico Calcagno, Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e Vescovo emerito di Savona-Noli, e partecipata da numerose personalità, religiose, politiche e civili.
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DUE CUORI NEL DESERTO SPINTI DA UN PISTONE
Viaggio di nozze mozzafiato per Emanuele Ferretti e Martina Negro che, in nome dell’amore, hanno sfidato il Sahara
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CINZIA ROSATI
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n quadro, una moto, un amore. Sono gli ingredienti principali di una storia condita di audacia e determinazione, passione ed intraprendenza: è la storia di Emanuele (Manè) Ferretti e Martina Negro nei loro viaggi in sella ad una moto. Perché galeotta è stata la passione per i motori tra questi due ragazzi che da 8 anni macinano chilometri di vita insieme. Lui di Acquasanta Terme, ma residente a Martinsicuro, lei di Alba (Cuneo), si conoscono sul web e si incontrano per la prima volta nel 2006 a Londra, dove lei lavora. E’ subito amore e decidono di non vivere lontani l’uno dall’altra. Dopo un periodo universitario a L’Aquila, Martina si trasferisce a Martinsicuro, dove con Emanuele condivide la passione per il volo (parapendio e paramotore) e le moto, con i viaggi in fuoristrada con la Honda Transalp. Alcuni compiuti dal solo Emanuele, nel deserto della Libia nel 2007, tra le lande desolate dell’Islanda nel 2010, tra i territori impervi di Serbia e Montenegro nel 2011. Altri insieme a Martina, come i due viaggi in Tunisia.
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L’Africa è da sempre nel cuore di Emanuele: «Da bambino - afferma – osservavo con stupore un’immagine presente nel negozio di un barbiere ad Acquasanta, raffigurante le piramidi nel deserto con in primo piano un uomo con la moto. Quell’immagine vista così tante volte era entrata nella mia mente e alimentava il desiderio di visitare quei luoghi. Crescendo, con la passione per le moto ho coltivato anche quel sogno, che alla fine sono riuscito a realizzare». Nel 2007 Manè si organizza con alcuni motociclisti e va in Africa, mentre Martina resta a casa per motivi di lavoro. I due sono però in costante contatto e l’apprensione è alta quando, a causa di una brutta caduta nel deserto libico, Emanuele si fracassa una scapola. Ma nonostante il dolore e le difficoltà di guida, percorre circa 1000 chilometri in mezzo a dune alte anche 100 metri. «Ogni motociclista che fa viaggi estremi – spiega - sa che deve affrontare completamente solo le difficoltà lungo il tragitto. Per questo è necessario gettare sempre lo sguardo oltre l’ostacolo, non soffermarsi sul problema che si pone davanti, ma
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riuscire a vedere oltre, per arrivare alla soluzione. Come nel motociclismo, così anche nella vita». Emanuele riesce a portare a termine il viaggio nonostante le difficoltà fisiche e, una volta rientrato, già pensa al prossimo giro, da fare stavolta con la sua Martina. E così nel Natale del 2008 si riparte: destinazione Tunisia. Percorrono circa 3000 chilometri, che però toccano solo marginalmente le zone desertiche. Una mancanza che sentono di dover prima o poi colmare. Passa qualche anno e, tra un volo in parapendio e un’uscita in moto, i due nell’aprile 2013 si sposano. A questo punto Emanuele, dopo tanti viaggi estremi, propone alla sua donna un viaggio di nozze tradizionale: la classica crociera o una vacanza a Sharm El Sheikh, in un villaggio turistico. Oppure, tornare in Tunisia per curare quel “mal d’Africa” che sempre più spesso avverte. «Alla sua proposta sono seguiti attimi di silenzio – afferma Martina - ma poi non ho avuto dubbi sulla risposta. Il deserto ci chiamava e dovevamo tornarci in moto». Esattamente un anno dopo, per l’anniversario di matrimonio, programmano l’itinerario a bordo della nuova Africa Twin. Ma il percorso non comincia sotto la buona stella: uno dei compagni di viaggio, appena sbarcata la moto al porto di Tunisi, cade e si fa male ad un ginocchio, tanto che è costretto a tornare in Italia. Proseguono in tre, ma appena avventuratisi nel Sahara, l’Africa Twin di Emanuele e Martina ha dei problemi. Dopo aver smontato e rimontato il mezzo più volte, anche in mezzo alle dune sabbiose, Manè si rende conto che il tragitto non può essere affrontato in quelle condizioni, a causa di un guasto piuttosto serio. Il viaggio di nozze sembra dunque andare a monte: il deserto non può essere sfidato sulle due ruote. Eppure nel momento di maggiore sconforto e delusione, la solidarietà della gente locale, e la possibilità di affittare un quad, risvegliano l’entusiasmo: Martina può finalmente vedere il Sahara e i suoi orizzonti mozzafiato. Viaggiano per chilometri nel “nulla” assaporando l’infinito degli spazi aperti, visitando un fortino, scovando un’oasi con un pozzo che regala acqua gelata: tra risate, emozioni, gioia ed euforia. Nonostante la moto faccia ritorno a casa a bordo di un pick up, anche stavolta lo sguardo della coppia è andato oltre l’ostacolo, catturando la felicità di ogni momento affrontato insieme. L’Africa per ora ha avuto solo un arrivederci, poiché all’orizzonte già si intravede una nuova visita: stavolta anche dal cielo. Nel prossimo viaggio, infatti, oltre alla moto, Emanuele e Martina porteranno anche due paramotori.
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Foto - Video - Grafica
Il futuro appartiene a chi crede alla bellezza dei propri sogni.
TALENTO ROSA FRA GLI SCAFFALI L’abruzzese Antonella Aigle ed i successi editoriali È “Paradiso” uno degli ebook più venduti
MARTINA DI DONATO Come ti sei avvicinata alla scrittura? “In realtà prima del mio primo libro non avevo mai scritto. Poi durante una stagione estiva, lavorando in un hotel ho avuto l’idea. Sono tornata a casa e ho buttato giù i primi capitoli, forse la mia fantasia era stimolata da quello che accadeva attorno a me. Successivamente ho cercato una casa editrice e ho avuto la conferma da parte della Damster di Modena. Da lì il mio libro ha preso vita e da lì non mi sono più fermata”
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ntonella Aigle, al secolo Antonella Ricci, è una scrittrice di Martinsicuro che ha visto il suo primo libro, dal titolo “Paradiso”, trionfare sul portale Amazon nel novembre 2013. Il suo libro d’esordio, infatti, è entrato a far parte dei libri più venduti in versione ebook. Il suo talento inaspettato ha rapito tutti dando il via a un percorso in discesa e ad una vera esplosione di idee che una dopo l’altra invadono la sua mente. Da poco è uscita la sua ultima creazione “Ultima fermata in paradiso” edito dalla casa editrice Damster di Modena, considerato uno spinoff a tutti gli effetti. La storia è quella di Anita e Carlo, due amanti che hanno raggiunto l’apice del benessere confrontata con quella ancora aspra di Giovanni e Adele. Un romanzo più complesso del primo e sicuramente con meno erotismo. A fare da sfondo alle storie di Antonella è lo scenario delle colline abruzzesi. Il libro ha già avuto un acclamato successo, confermando il talento di Antonella Aiegle. Una scrittrice quasi per caso che ha scalato la vetta del successo, arrivando anche al salone del libro di Torino, in un batter d’occhio e quasi con sorpresa.
Cosa si prova ad intervenire ad un festival importante come il festival del Libro di Torino? “E’ molto emozionante e per questo devo dire grazie a Mimmo Minuto e alle persone che mi sono state vicine durante la stesura e la pubblicazione” Il tuo primo libro è un libro erotico, il secondo, invece, tratta temi più delicati, spesso più duri e crudi. Da dove prendi spunto per tracciare le vite ed i percorsi dei tuoi personaggi? “ Sicuramente ogni personaggio ha un profilo psicologico ben tracciato e definito, ma non so da dove prendo ispirazione. Quando scrivo non so cosa farà il mio personaggio subito dopo, cerca di intrecciare la storia passo dopo passo, quindi potrebbe succedere di tutto. Come in “Ultima fermata in paradiso”, lì ci sono davvero tante prospettive psicologiche, diverse da quelle presenti nel primo romanzo”. Quali sono i tuoi progetti? Stai lavorando a qualcosa in particolare? “Sono da poco uscite due antologie: ‘Arcani maggiori vietati ai minori’, edita da Damster e curata da Vittorio Xlater e ‘Peccati di gola’, in cui sono inseriti tre miei racconti. Inoltre sto lavorando al mio terzo e anche al mio quarto romanzo. Ma non smetto di essere Antonella”.
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E’ cambiata in qualche modo la tua vita? “Assolutamente no. Continuo a svolgere il mio lavoro e a scrivere quando ho tempo, anche se spesso è dura fermarmi. Ho sempre amato dialogare con le persone, ancora di più quando posso parlare con loro di qualcosa che amo tantissimo, quindi sono sempre molto contenta quando mi invitano a presentare i miei libri”.
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SCATTI DI FINE ESTATE 1; 2; 3; 4; 7 - foto di Expo S - Supun Asanka
5; 6 - foto di Maurizio Lindner
INTORNO A UN CHICCO DI GRANO TERRITORIO
Dal granaio alla tavola
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FRANCESCO GALIFFA
ino alla metà del passato secolo l’economia della famiglia contadina dipendeva quasi esclusivamente dalla produzione del grano. Una parte era destinata a coprire gli oneri della trebbiatura (2-3% della quantità prodotta), gli affitti degli artigiani (sarto, ciabattino, fabbro, ecc.) ed anche dei professionisti (veterinario e medico). Una piccola porzione era offerta poi alla Chiesa come atto di ringraziamento per il buon esito del raccolto, un gesto che ricorda quello che gli antichi solevano fare in onore della dea Cerere: in una domenica collocata tra la fine di luglio e l’inizio d’agosto, le donne si recavano in chiesa per depositare ai piedi dell’altare una canestra di grano. Il frumento costituiva anche il contributo dei contadini per l’organizzazione delle feste religiose e, dal Secondo Dopoguerra, di quelle dei partiti politici; un piatto di grano, inoltre, rappresentava l’elemosina elargita ai frati “cercatari” e ai mendi-
canti, i quali, in segno di riconoscenza, recitavano “do diasille e nu requiammaterna pe l’anime sante de lu Pergatorie”. Assolti questi impegni, il capofamiglia stimava il fabbisogno alimentare per l’intero anno e decideva la quantità da destinare alla vendita, che, generalmente, non era molto elevata; col denaro ricavato, comunque, si potevano fare diversi acquisti (abbigliamento per tutti i membri della famiglia e biancheria per la dote delle figlie da maritare) o per l’azienda (animali o attrezzature). Anche l’alienazione di una quantità limitata, comunque, forniva risorse finanziarie importanti perché il valore del frumento nel passato era molto più alto dell’attuale. Nel mercato settimanale di Nereto, 1 tomolo di grano era quotato ducati 1,80 a gennaio e 2,10 maggio, mese in cui cominciava a scarseggiare. Se confrontiamo queste cifre con il costo della mano d’opera nello stesso periodo (la giornata lavorativa
La “carticina”. (Museo della Civiltà contadina di Controguerra)
Il pane di una volta. (Azienda agricola “Le Gemme” di Villa Rosa di Martinsicuro)
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“Lu retrocene” in funzione. (Mulino Di Giovannantonio) assegnata nella famosa “tessera” in uso durante la Seconda Guerra Mondiale. Per completezza d’informazione è necessario informare il lettore che da una quantità simile di grano si ricavavano circa 145 kg di farina. La farina è stata per millenni la materia prima basilare per la preparazione di numerosissimi piatti, frutto della fantasia e dell’abilità delle donne di casa; un decennio fa, chi scrive e i suoi alunni della Scuola Media di Controguerra hanno raccolto parecchie ricette in un apprezzato e ormai introvabile volumetto intitolato “Acqua&Farina”. La prima riguardava il pane, alimento così indispensabile da essere in cima alle richieste contenute nel “Pater noster”: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano».
Antico mulino della famiglia Di Giovannantonio.
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di un operaio impegnato a piantare “pascelli” nel 1825 era retribuita con 1/10 di ducato) abbiamo una percezione ancora più precisa del valore del grano. Questi rapporti rimasero sostanzialmente immutati sino agli anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale: una giornata di lavoro in campagna, ricorda un vecchio fabbro di Nereto, era retribuita con 4 lire e un quintale di grano era venduto ad 80. La maggior parte del grano era conservato per il sostentamento della famiglia e, pertanto, era accuratamente e gelosamente conservato in ambienti idonei (v. scheda). Prima di portarlo al mulino era conciato e pure lavato. Fino a 60-70 anni fa mulini erano, per la maggior parte, azionati dall’energia idraulica e, pertanto, erano collocati lungo i corsi dei fiumi (v. scheda); per il trasporto dei sacchi si usava il carro trainato dai buoi e per raggiungerli si doveva percorrere spesso un lungo tratto di strada. A confermare la rilevanza del ruolo sociale di queste strutture, le vie che conducevano ai mulini erano quelle curate con più attenzione dalle amministrazioni comunali. Il consumo annuale di grano per persona variava di molto tra le varie categorie sociali. Da un attento esame del “Ruolo del dazio sul macino” del Comune di Corropoli relativo al 1837 si desume che esso si attestava in media intorno ai 4 tomoli pro capite, con una punta massima di 6 e una minima di 2. I contadini erano, in genere, quelli che avevano una maggiore disponibilità (5 tomoli in media), mentre i piccoli “artigiani”, come le filatrici, si dovevano accontentare di 2. Le classi più povere, per soddisfare le esigenze alimentari, sopperivano alla carenza di grano con il mais, la cui farina era mescolata, “appiecata”, con quella del cereale più pregiato per realizzare pasta e pane. Poiché un tomolo corrispondeva a 46 kg circa, i nostri antenati nel 1800 consumavano, in media, intorno ai 184 kg di grano pro capite, quantità riscontrata anche in altre statistiche e in linea con la quota
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IL MULINO AD ACQUA Se oggi la farina può essere comodamente acquistata in un supermercato, fino a circa 2000 anni orsono si poteva ottenere solo con l’uso di strumenti domestici o ricorrendo a strutture più grandi, le cui macine erano girate dalla forza degli schiavi o degli animali. Dal I secolo a.C. i nostri antenati ebbero la geniale intuizione di usare l’acqua come energia e lungo i corsi dei fiumi e dei torrenti cominciarono a diffondersi mulini che utilizzavano questo bene naturale. La presenza diffusa sul territorio europeo dei mulini ad acqua si ebbe, comunque, solo dopo l’anno Mille, quando la stabilità politica e la relativa prosperità economica provocarono una notevole crescita demografica, con il conseguente aumento del fabbisogno alimentare. Se nell’economia feudale il Signore era proprietario dell’acqua e, conseguentemente, dei mulini, in quella comunale cominciò a prendere corpo il concetto di uso pubblico delle risorse e quella del mugnaio divenne un’attività “artigianale”; l’uso delle acque era rigidamente regolamentato e soggetto a tassazione, in quanto dalla sua utilizzazione se ne poteva ricavare un guadagno. In provincia di Teramo, che fino alla creazione di quella di Pescara si estendeva sino all’omonimo fiume, nel censimento del 1869 se ne contavano 291, di cui 232 erano ancora in funzione durante la Seconda Guerra Mondiale. Quelli in attività oggi sono pochissimi; ne segnaliamo uno facilmente raggiungibile, situato sulla sponda destra del fiume Tordino, in Località Casemolino di Castellalto. Fu costruito da Gregorio Marcozzi nei primi anni del 1800, periodo in cui il Governo Francese rilasciò numerose concessioni per la costruzione di nuovi mulini. Dal 1930 la struttura è passata nelle mani della famiglia Di Giovannantonio, una dinastia di mugnai. Oggi Mario, un signore dall’età indefinita e parco di parole, segue con andamento flemmatico l’andare lento di due mulini a pietra azionati dalla corrente elettrica, collocati nelle vicinanze del vecchio mulino ad energia idraulica. Quest’ultimo, dopo alcuni anni di abbandono, è tornato a funzionare, seppur per finalità didattiche, per merito del figlio Luigi, dinamico e affaccendato in mille iniziative. Il visitatore si trova di fronte una struttura perfettamente funzionante. Nel piano inferiore, collocato sotto il livello della strada, sono ospitati due apparati motore, costituiti da una serie di “palelle”, una specie di cucchiai, ancorati a “lu retrocene”, l’albero motore che mette in movimento le macine collocate nei locali sovrastanti. Ad attivare il tutto è l’acqua, captata dal fiume attraverso un formale lungo 4 km e accumulata nel “bottone”; liberata, investe con forza le “palelle” ed aziona l’intero sistema. I mulini sono due, uno riservato esclusivamente alla molitura di frumento e l’altro utilizzato per macinare mais e legumi, destinati soprattutto all’alimentazione degli animali. Oltre alla struttura produttiva, Luigi ha reso vivibili anche gli ambienti adibiti ad
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abitazione della famiglia del mugnaio, con i relativi annessi, come il forno (funzionante) e il pollaio (oggi usato come magazzino). Una bella struttura da visitare e far visitare, soprattutto ai bambini.
LA CONSERVAZIONE DEL GRANO «Buona parte del grano doveva essere tenuto in serbo fino a luglio dell’anno successivo e bisognava conservarlo nelle migliori condizioni possibili. Chi possedeva una casa spaziosa, dotata di molti vani, ne destinava uno proprio a questo scopo; esso era situato al piano superiore, dove gli ambienti erano più asciutti. Il grano era svuotato dai sacchi e sparso sul pavimento. Per conservarlo e proteggerlo meglio, soprattutto se all’atto della trebbiatura era un po’ umido, il contadino lo disinfettava col solfuro, acquistato al Consorzio Agrario in fiasconi da 10-15 litri. Sigillava con colla e strisce di carta gli infissi, lasciando aperta solo mezza porta; proteggendosi bene le vie respiratorie, versava il prodotto in un annaffiatoio e lo spargeva sul grano; chiudeva ermeticamente, infine, anche l’altra metà dell’apertura. All’interno della stanza si sprigionava un gas che soffocava tutti gli animaletti presenti. A volte, approfittava dell’occasione per disinfettare anche gli indumenti di lana. Lasciava chiuso l’ambiente per una quindicina di giorni; poi apriva gli infissi e faceva arieggiare bene il locale. Chi disponeva di meno spazio era costretto ad ammassare il frumento in contenitori, collocati spesso in stanze adibite anche ad altri usi: potevano essere ospitati pure nella camera da letto. In circolazione ce n’erano diversi tipi: coloro che se lo potevano permettere, avevano un “arcò” o un “casciò”, contenitori di legno molto alti, capaci di accogliere anche venti quintali; la loro costruzione richiedeva gli attrezzi e l’arte del falegname. Un contenitore più “povero” era la “carticina”, un cilindro realizzato artigianalmente usando canne spaccate e incrociate.» (AA.VV. “Il tesoro dei nonni”, Istituto Comprensivo di Colonnella, Colonnella 2005, pp.93-94)
ILLUSTRAZIONI DI GIORDANA GALLI
el mondo ci sono le terre ed i cieli Non sono divisi in scaffali Nel mondo ci sono le fiabe e le arti Non sono divise in reparti Nel mondo c’è un nido che è la tua classe uscendo non trovi le casse
Nel mondo ci sono maestri un po’ maghi ci sono, non solo se paghi Nel mondo il sapere che vuoi si conquista nel supermercato si acquista e allora rispondi con una parola com’è che la vuoi la tua scuola?
(Bruno Tognolini)
RITAGLIA E COLORA
CHI BEVE L’ACQUA DI SANTA SCOLASTICA TROVA MARITO I “miracoli” della fontana di Corropoli che farebbe scendere il latte al seno fra leggenda e rito
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el cuore della nostra vallata c’è un luogo che nei secoli è divenuto sacro per le donne incinte e quelle in tempo da marito. A Corropoli, infatti, vi è una fontana da cui pare scorrere un’acqua miracolosa, è la fontana dedicata a Santa Scolastica. Facciamo un passo indietro lungo di secoli. La leggenda racconta che mentre si svolgeva un pellegrinaggio in cui veniva portata in processione Santa Scolastica, la statua era divenuta talmente pesante da impedire di continuare il cammino. In seguito si decise di creare in quel luogo una chiesa in onore della santa, sorella di San Benedetto. Da allora ogni anno si svolge un pellegrinaggio in cui le donne nubili chiedono di riuscire a trovare marito. Il rito si compie girando tre volte attorno alla chiesa tenendo una pietra in mano e recitando la seguente formula: “ Santa Scolastica mia tre volte te lo dico, l’anno prossimo non farmi tornare senza marito”. Fonti dirette testimoniano che erano sempre le donne più anziane di casa a voler andare in pellegrinaggio, costringendo così le giovani di casa ancora nubili a parteciparvi. Mentre le puerpere scendevano nella vicina fontana per bere l’acqua miracolosa per la formazione
del latte. Molto probabilmente l’accostamento tra l’acqua ed il latte materno ha una valenza simbolica. L’antropologo abruzzese Emiliano Giancristoforo, colloca questo rito in una delle tante credenze magico-religiose che collega l’acqua , elemento vitale dell’uomo, al latte materno, linfa vitale per l’infante, garanzia della sua vita. In molti altri riti, comunque, l’acqua assume un ruolo centrale come simbolo di purificazione. Nel Cristianesimo è utilizzato per il santo sacramento del Battesimo. Nella cultura popolare molte potevano essere le motivazioni per cui una donna incinta non produceva latte o lo perdeva subito dopo la nascita del bambino, come ad esempio l’assunzione di un alimento errato; folletti che di notte indispettivano le partorienti, ma anche problemi reali come la scarsità di cibo che segnava la vita della civiltà contadina del passato. E’ una credenza prettamente abruzzese ed umbra, quella che accomuna Santa Scolastica al seno femminile. La motivazione sarebbe un martirio subito dalla donna, in cui le sarebbero stati strappati entrambi i seni. La Santa viene invocata anche per i fulmini. Ci sono altre sante venerate in Abruzzo e collegate al rito del latte materno, ovvero Sant’Agata nel pescarese e nel chietino e Sant’Eufemia. Bibliografia: Emiliano Giancristoforo, “Le padrone del latte”. Incontri n.68/2001
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MARTINA DI DONATO
IMPRENDITORIA
AREE SVANTAGGIATE, ALL’ ABRUZZO GLI AIUTI DI STATO La giunta regionale individua quelle in crisi del Teramano ALESSANDRA DI GIUSEPPE
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a Giunta Regionale, presieduta da Luciano D’Alfonso e dagli Assessori Di Matteo, Lolli, Mazzocca, Paolucci, Pepe e Sclocco, con delibera 468 dell’8 luglio scorso, ha individuato le aeree territoriali candidate agli Aiuti di Stato per il periodo 2014-2020, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 3, lettere a) e c) del Trattato UE. La Commissione, infatti, ai sensi dell’articolo 107 comma 3 del TUE, può considerare compatibili con il mercato comune gli aiuti di Stato concessi per favorire lo sviluppo economico di determinate aree svantaggiate all’interno dell’Unione Europea (aiuti di Stato a finalità regionale). Per la Regione Abruzzo il plafond di popolazione ad essa assegnato è di 252821, di cui quota di popolazione residua 1783. In base all’Allegato 2 della delibera 468/2014 le aree destinate agli aiuti di Stato sono: San Salvo, Cupello, Monteodorisio, Gissi, Atessa, Paglieta, Mozzagrogna, Chieti, Manoppello, Turrivalignani, Bolognano, Alanno, Pitranico, Scafa, Pescosansonesco, Bussi, Salle, Collepietro, Navelli, Caporciano, Prata D’Ansidonia, San Demetrio, Poggio Picenze,
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Fossa, Scoppito, L’Aquila, Sulmona, Ancarano, Controguerra, Colonnella, Corropoli, Sant’ Omero, Torano Nuovo, Sant’Egidio alla Vibrata, Nereto. L’articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea è composto di tre commi: il 1° contiene la nozione di aiuto di Stato “incompatibile”. Il 2° prevede delle deroghe de iure alla
a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all’articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.
Per il periodo tra il 1 gennaio 2014 e il 31 dicembre 2014 gli aiuti di Stato a finalità regionale sono disciplinati dagli orientamenti prospettati dalla Comunicazione 2013/c 209/01. In linea di principio, gli orientamenti si applicano a tutti i settori di attività economica. Sono tuttavia esclusi dall’ambito di applicazione degli orientamenti: • i settori in cui gli aiuti a finalità regionale non sono compatibili con il mercato interno: siderurgia e fibre sintetiche; • i settori in cui gli aiuti sono soggetti a strumenti giuridici ad hoc e/o ad altri orientamenti in materia di aiuti di Stato: pesca e acquacoltura, agricoltura (con determinate eccezioni), trasporti, aeroporti, energia; • le attività considerate incompatibili con il mercato interno, a meno che non siano soddisfatte le condizioni generali di cui agli orientamenti e ulteriori condizioni specifiche: reti a banda larga e infrastrutture di ricerca. Inoltre, gli aiuti a favore delle grandi imprese e gli aiuti al funzionamento sono oggetto di un’attenzione particolare. Gli aiuti a finalità regionale a favore delle grandi imprese non sono compatibili con il mercato interno ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera c, del trattato, a meno che non siano concessi per investimenti iniziali finalizzati alla creazione di nuove attività economiche o alla diversificazione degli stabilimenti esistenti in nuovi prodotti o in nuove innovazioni nei processi.
IMPRENDITORIA
incompatibilità. Il 3° prevede delle ipotesi in cui la Commissione Europea può discrezionalmente dichiarare compatibile l’aiuto. Secondo il tenore letterale dell’art 107 comma 3, possono considerarsi compatibili con il mercato interno:
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ECCELLENZE
VELO VIBRATIANO ALL’ALTARE DELLA CANALIS 34
VIRGINIA CIMINÁ
O
gni volta che stai per incontrare un creativo della moda nel suo ufficio, ci sono alcune cose che ti aspetti di default: che si trovi in uno spazio creativo, pieno di quadri delle sue testimonial, specchi grandi quanto una parete, bozzetti dei suoi lavori sopra un tavolo di vetro dove non può mancare inevitabilmente un posacenere e una selezione accuratissima di riviste e libri. Così quando entro nell’ufficio di Alessandro Angelozzi Couture, trovo tutto quello che mi aspettavo. Siamo in fondo alla strada del borgo di Garrufo, come piace definirlo allo stilista. Si perché infondo è più poetico chiamarlo borgo piuttosto che frazione. Alessandro Angelozzi è proprio l’immagine dello stilista a cui siamo abituati. Incarna un’immagine sobria e riservata e uno dei segreti del suo successo è proprio la sua positività. Nasconde straordinari superpoteri, come quello di portare continuamente alla ribalta il nome della Val Vibrata sui media nazionali ed internazionali. Oltre ad avere un atelier a Garrufo, Pescara, Milano, proprio tra 15 giorni ci sarà una nuova apertura a Roma , nel cuore di Piazza di Spagna al civico numero 35. Ha un legame molto forte con tutto quello che è tradizione, innovazione, creatività e made in Italy che traspare ogni anno nelle sue creazioni dalle linee sinuose e armoniche, arricchite dalle giuste testimonial del mondo dello spettacolo. È stato reduce pochi giorni fa da uno shooting fotografico per la sua ultima collezione 2015 dove come testimonial d’eccezione è stata scelta la supermodella Bianca Balti immortalata dagli scatti del maestro Fabrizio Ferri. Insieme hanno reso ancora più speciale la nuova collezione foto Olycom
di abiti da sposa, impreziosita dalla bellissima cornice della città più bella del mondo: Roma. Insomma un tripudio all’italianità. Nonostante i numeri e la sua fama nazionale e internazionale, Angelozzi mantiene un profilo molto basso: quando gli chiedo che sensazione si prova a ritrovarsi con personaggi di quel calibro, lui tranquillamente spende sincere parole per ognuno di loro. “Bianca Balti, è una supermodella italiana, la conoscevo già e fin dall’inizio c’è stato un feeling particolare. Ho scoperto un lato di Bianca che non conoscevo, dietro questa sua bellezza eterea, traspare una donna molto umana e sensibile. Ho voluto lasciarla senza trucco, così al naturale per far ammirare tutta la sua bellezza. Mentre Fabrizio Ferri è il “Maestro” per eccellenza, serafico, è di una semplicità disarmante. Con le sue foto è riuscito a sprigionare l’emozionalità della ragazza che è in procinto di sposarsi. È stata la prima volta che fotografava abiti da sposa”. Fonte d’ispirazione per molti, la sua corsa è in continua ascesa. Basta pensare alle nozze imminenti di Elisabetta Canalis con il chirurgo statunitense Brian Perri, che si svolgeranno il prossimo 14 settembre in Sardegna dove sarà presente un pizzico della Val Vibrata grazie all’abito disegnato proprio dalle mani dello stilista Alessandro Angelozzi. Un abito bianco dalla gonna ampia, con il merletto, il bustino, e inoltre, lo strascico e il velo. Un matrimonio molto tradizionale con solo 70 invitati. I regali andranno tutti in beneficenza. “Elisabetta è una donna molto semplice, cattolica, alla mano, un po’ maschiaccio , iperattiva, timida e riservata, è una delle poche donne dello spettacolo che in prima persona seleziona in maniera determinata il percorso che vuole intraprendere. Elisabetta mi considera il suo portafortuna”- confessa Alessandro - ”un anno fa, mentre sfilava per me disse che non si sarebbe mai sposata e io gli risposi che molte mie clienti erano convinte della stessa cosa”. Un forte legame d’amicizia quello fra la Canalis e Angelozzi che ha portato Elisabetta ad invitare lo stilista anche alle sue nozze.
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Lo stilista Alessandro Angelozzi “disegna” la bella Elisabetta per il giorno del “sì”
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AZZURRO MARCHE NELLA GRIGIA MILANO L’alice (anghiò) rappresenterà il Piceno all’Expo 2015
TERRITORIO
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arà una manifestazione sambenedettese, della costa adriatica, a rappresentare il Piceno e le Marche all’Expo 2015, in programma a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre 2015, dal tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Parole chiavi dell’Esposizione Universale sono Cibo, Energia,Pianeta e Vita, che rappresentano un viaggio che parte dalle tradizioni fino ad arrivare ai confini del futuro. La manifestazione si chiama “Anghiò”, e rappresenta un’eccellenza Picena e delle Marche, avendo come protagoniste le alici, perché Anghiò in dialetto sambenedettese significa alice. La Regione Marche, oltre ad aver scelto la kermesse dedicata al pesce azzurro, che sarà presente agli stand milanesi nell’ambito del progetto dall’Expo ai Territori, dal 4 al 13 luglio 2015, ha indicato anche il Rossini Opera Festival per la provincia di Pesaro, la Marche Endurance Life Style per quella di Ancona, il Macerata Opera Festival per Macerata e Tipicità per Fermo. La stagione estiva 2014 ha visto in scena la manifestazione, nata nel 2010 per promuovere e valorizzare la lunga tradizione ittica delle Marche ed in particolare di San Benedetto del Tronto, il cui porto è secondo in Italia sia per la quantità di pesce pescato che per la quantità di imbarcazioni impiegate. Per nove giorni, con “Anghiò”, l’alice è stata regina indiscussa della manifestazione; un tuffo nell’azzurro, che aiuta i visitatori ad apprezzare e conoscere meglio anche le qualità di sarde, sgombri, ricciole, tonni, aguglia e di tutte quelle specie ittiche, che oltre ad abbondare di vitamine e omega 3, sono accomunate dal colore blu del dorso e argenteo del ventre. Anghiò si è sviluppato tra cooking show, convegni, incontri e menu ad hoc, dando modo al pubblico di scegliere tanti percorsi che promuovono la lunga tradizione ittica marchigiana e le tante qualità del pesce azzurro, in un calendario ricco di appuntamenti e novità. Cuore pulsante della manifestazione si è confermato il Palazzurro, tutti i giorni e sino alla notte, e inoltre, la domenica anche a pranzo, ha presentato ai visitatori un’ampia scelta gastronomica, con tante ricette per tutti i gusti, a base di freschissimo pesce azzurro, firmate da grandi chef, tramite numerose proposte di degustazione il cui prezzo variava secondo la scelta. Degustazioni che proponevano anche calici di vino marchigiano, a scelta tra la vasta offerta dell’Enoteca delle Marche, aperta al pubblico con
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STEFANIA MEZZINA una selezione dei migliori vini del territorio, e, inoltre, anche la birra artigianale. Il percorso culturale e di gusto ha offerto appuntamenti con Piceno Senso Creativo, al Polo di Anghiò, che ha visto protagonisti gli eventi del territorio che promuovono e diffondono i prodotti dell’enogastronomia picena, grazie al progetto sostenuto dal Gal Piceno che mette in rete sul territorio eventi di promozione delle eccellenze turistiche con laboratori e raffinate degustazioni, che hanno guidato i visitatori alla scoperta dei sapori e delle cucine della tradizione regionale. E ancora, dibattito sull’identità ittica delle Marche, presentato da Tinto, conduttore dei programmi Decanter (Radio Due) e Un Pesce di nome Tinto (Rai Due), e il Forum sulla Blue Economy, ovvero sull’economia legata alla pesca e al commercio del prodotto ittico. Dunque, il Polo ha ospitato anche la novità dell’edizione 2014 di Anghio’: i cooking show, con cene a tema preparate da chef rinomati, quali Aurelio Damiani, Massimo Garofoli, Simone Ventresca e Savino Giacomantonio, Marcello D’Erasmo, Paolo Orazzini, Ennio Nunziato e Claudio Urriani, ed Errico Recanati hanno dato prova della loro creatività e abilità culinaria. Mentre i Menu Azzurro preparati dai ristoranti di San Benedetto del Tronto che hanno aderito all’iniziativa, hanno dato la possibilità agli appassionati del genere di gustare speciali menu a base del pregiato prodotto ittico, a prezzi concordati. Inoltre “In Mare Aperto con Anghiò”, con partenza dal caratteristico Porto Turistico locale, ha dato la possibilità di effettuare escursioni sul tratto di mare della Riviera delle Palme, a bordo della motonave Palma, mentre chi ha voluto godere momenti di relax, ha potuto farlo grazie alla Spalm Beach, insolita e saporita spiaggia dove gustare, su sdraie e lettini, pane fragrante e salsa d’acciughe. Un percorso completato dallo spazio alla solidarietà, con la Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica Onlus, che presso il proprio desk informativo ha divulgato informazioni sull’importanza della prevenzione e sulle opportunità di cura.
LE GENUINITA’ DELLA VITA FRA LE RIGHE Marisa Passavanti e i suoi ricordi di gioventù in una raccolta di poesie
MICHELE NARCISI
Qualcuno forse sorriderà ma durante la giovinezza di Marisa usava proprio quel look (con basette lunghe e pantaloni a cinta bassa: certo, non un bel vedere, ma era il segno dei tempi...). Marisa racconta di essersi allontanata dal verde della campagna all’età di dieci anni per trasferirsi in paese, dove ha frequentato la scuola con grande piacere. Alla fine, con sacrificio (studiando e lavorando) è riuscita a diplomarsi con pieno merito. Marisa Passavanti ha collaborato con Frammenti, “raccontando storie vere della vita contadina”. Si considera un’ambientalista (“non sopporto chi danneggia la natura”). Ama gli animali, tutti gli animali, ascolta musica degli anni sessanta-settanta: Morandi, Celentano, Mina. Adora la montagna e il mare. Le piace leggere e apprezza le cose genuine e semplici; semplici e genuine come è lei, Marisa, una persona amabile, dai buoni sentimenti, che ha esternato nel suo libro tutto da leggere.
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olonnella - Le sue poesie mi sono piaciute subito. Per la semplicità di chi le ha scritte; semplicità di chi riesce a trasmettere le cose e i sentimenti della vita con piacere, con gioia; semplicità nei rapporti umani, retaggio di un vissuto in campagna, dove l’amicizia e la solidarietà avevano un grande valore. Marisa Passavanti, autrice, appunto, di un bel libro di liriche intitolato “Poesie, racconti, storie di una vita” (editore Ricerche&Redazioni), che ha in copertina una suggestiva immagine della storica scalinata di Colonnella, scattata da quel mago della fotografia che è Ivano Di Benedetto. Marisa, bidella nella vita professionale, nella premessa fa capire il motivo principale che l’ha ispirata: “Una volta coglievi una mela e la mangiavi... Non solo era saporita, ma non c’erano veleni, come invece accade adesso. Era tutto al naturale, com’era bello! Tutto più semplice e genuino. Si mieteva il grano a mano con la falce, si mangiava in campagna, si cantava e si ballava. Era una vita senza stress, da godere giorno dopo giorno. Senza soldi, solo con qualche lira in tasca eravamo più felici e contenti di oggi”. Purtroppo quei tempi sono passati... anche se- aggiungiamo noi- avere pochi soldi (oggi: pochi euro) nella vita attuale è fonte non di felicità e contentezza, ma di disperazione e...forconi. Comunque, l’autrice del libro si fa leggere ed apprezzare per la sincerità che mette nei suoi scritti. Prendiamo una poesia a caso, La Gioventù :” La vivi, la tocchi, la senti, la coinvolgi, l’apprezzi, ne sei orgoglioso, la vivi con gioia e amore, ti travolge con allegria, passa veloce e la rimpiangi: peccato che non torna più”. Non ci sentite la purezza di un’anima che esprime sentimenti puri, incontaminati? E sentite i primi versi di “Il primo amore”: “Era un ragazzo con occhi azzurri come il mare, capelli neri e il ciuffo alla Little Tony...”.
LA DAMA NERA
Tra i mitili, le cozze sono le più conosciute ed apprezzate A Tortoreto da 14 anni vengono coltivate negli abissi marini ALFONSO ALOISI
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ento ettari di mare Adriatico dedicati ad un impianto di mitilicoltura per la produzione intensiva di cozze da destinare all’alimentazione umana. E’ una delle installazioni più grandi esistenti nelle nostre acque ed è ubicata a 2,5 miglia dal litorale, tra Giulianova e Tortoreto, proprio di fronte al maestoso ponte sul fiume Salinello dell’Autostrada A/14. Una prateria multicolore formata da circa 3.500 boe disseminate all’interno di un quadrilatero quasi perfetto costituito da lati di 2000 metri per 500. Un progetto enorme in mare aperto nato nel 2000 su intuizione di Emidio Carusi, già portatore di altre esperienze di pesca come quella delle vongole, che costituì la “Abruzzo Pesca Turismo Piccola Società Cooperativa”. L’iniziativa oggi offre lavoro a cinque dipendenti, oltre al titolare. Per il collegamento con la terraferma la struttura si avvale di una barca molto capiente tecnicamente attrezzata che viene adibita, oltre che all’imbarco delle persone, anche alla raccolta, lavorazione, pulitura, cernita, confezionamento e trasporto delle cozze fino al porto di Giulianova per la relativa commercializzazione. La capacità produttiva dell’impianto è ovviamente variabile e risente sensibilmente delle condizioni climatiche ed atmosferiche, ma anche del moto ondoso, delle correnti e delle sempre più frequenti mareggiate. In regime di normalità la produzione di cozze va da un minimo di 2.000 ad un massimo di 5.000 quintali per anno. Immaginiamo solo per un attimo quanti cosiddetti buongustai vengono soddisfatti, sia al ristorante che tra le mura domestiche, attraverso la cottura in vari modi di tale montagna di mitili. Questo gustoso frutto di mare, dall’inconfondibile colore scuro variabile dal marrone al nero, lo si cucina in molteplici modi ed a secondo dei gusti: alla griglia, al forno, al vapore, in acqua bollente e qualcuno addirittura le preferisce crude, ma con tanto succo di limone spremuto sulla polpa. Sono ottime anche mangiate da sole, magari accompagnate dalle patatine fritte o dal pane tostato, oppure incorporate in un piatto di pesce. Emidio Carusi, tortoretano doc, traccia le difficoltà del suo lavoro che, purtroppo, non è sempre giornaliero: “Tutto è legato al tempo atmosferico. Infatti, con il mare mosso non è possibile lavorare sull’imbarcazione e così ci tocca rimanere a terra in attesa di condizioni migliori”. Sotto il profilo della redditività lo stesso Carusi sottolinea: “I prezzi di vendita sono bassissimi, troppo poco rispetto al capitale di rischio investito ed al lavoro che c’è dietro alla raccolta di un singolo chilogrammo di
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La ricetta Tra le tante ricette ne proponiamo una sicuramente conosciuta dai più: a ‘mpepata ‘e cozze, come viene chiamata a Napoli l’impepata di cozze. E’ uno dei piatti della cucina italiana più semplici da preparare, ma nello stesso tempo uno dei più succulenti e graditi, grazie anche alla sua versatilità: può essere, infatti, servito sia come antipasto che come secondo di pesce. Questa la preparazione: uno spicchio di aglio, del prezzemolo tritato e una spolverata di pepe nero sono tutto ciò che serve per insaporire le cozze che in cottura rilasceranno un profumato caratteristico sughetto da gustare con dei croccanti crostoni di pane tostato. Con questo piatto, rustico genuino ed alla disponibilità di tutte le tasche, vengono portati in tavola i sapori tipici mediterranei.
foto di Alfonso Aloisi
COME CAMBIANO I TEMPI Fino a diversi anni or sono gli amanti dei frutti di mare ed alcuni buongustai riuscivano a procurarsi le cozze attraverso la pesca praticata in proprio. Le mete più frequentate erano gli scogli di Villa Rosa di Martinsicuro, quelli di Cologna Spiaggia ed i massi esterni del porto di Giulianova. In qualche circostanza venivano catturati anche dei buoni esemplari di ostriche. Però tale “sport” fu stoppato dalle ordinanze regionali e dall’Autorità Marittima con il rischio, se praticato, di salatissime multe e sequestro del pescato. Da qui la repentina retromarcia da parte dei sub che, almeno per quanto riguarda le cozze, hanno dovuto appendere pinne e maschere al classico chiodo. Stesso discorso vale per la pesca a riva delle telline con il famoso “cocciolaro” o “tellinaro” trascinato con la forza delle braccia e della schiena. La pesca delle telline sarebbe vietata anche a mani nude, ma probabilmente in questo caso il controllo sarebbe impossibile. Ora è tutto finito dunque come la presenza di canolicchi, stelle e cavallucci marini. Resiste la vongola, mentre i ragni fanno ancora timide apparizioni. Insomma, l’habitat di una volta rimane solo un dolce ricordo.
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cozze. Mentre i costi di gestione purtroppo sono in continua lievitazione. Questa è la situazione del settore”. Ma il titolare di Abruzzo Pesca Turismo affronta anche altre problematiche relative al mercato ed ai ricavi: “Nel nord Adriatico si verifica ogni anno uno strano fenomeno. In prossimità del periodo estivo, quando la domanda è più forte grazie al turismo, loro svendono il prodotto. Il motivo è legato a problemi di carattere biologico e cercano così di svuotare gli impianti con prezzi di vendita bassissimi ai quali possiamo ribattere solo con la qualità delle nostre cozze”. Come sottolinea Emidio Carusi il problema è presente anche a sud: “A Lesina, in provincia di Foggia, dove la cozza non cresce come nel nostro mare per problemi legati alla natura dei luoghi, il fenomeno è analogo. Anche lì, con un raccolto qualitativamente inferiore, il prodotto viene ceduto al mercato a prezzi stracciati. A noi spetta l’onere, ma forse anche l’onore, di portare sulle tavole un prodotto molto apprezzato al di là del fattore prezzo. Però spesso il consumatore finale viene tratto in inganno dal momentaneo risparmio cui corrisponde però una qualità scadente di cozze”. Quanto alle cozze importate dalla Spagna, sono considerate dagli allevatori nostrani di pessima qualità e senza quel caratteristico sapore di mare che dovrebbe essere a presidio della freschezza e della naturalezza. Torniamo all’impianto di mitilicoltura di Abruzzo Pesca Turismo per comprenderne materialmente il funzionamento. Si parte al mattino alle sei in punto dalla banchina del porto di Giulianova sulla scia del sole che sale ad est a bordo della Gardenia. Venti minuti circa di navigazione e si arriva sulla zona di lavoro dove ogni componente dell’equipaggio ha un compito assegnato. Si inizia con la “semina” all’interno dell’impianto introducendo piccolissime cozze con appena due mesi di vita in una lunga calza di plastica a maglie non troppo larghe. Il tutto viene sistemato in acqua attraverso un sistema di cime collegate alle boe che ne indicano l’esatta posizione in profondità. Dopo quattro mesi, la calza viene sostituita da altra più capiente e con maglie più larghe per accogliere le cozze diventate ormai quasi adulte, ma che dovranno ancora restare in ammollo per ulteriori tre mesi al fine di raggiungere la completa maturazione. Insomma, il ciclo produttivo ha la durata di nove mesi trascorsi i quali si concretizza la raccolta vera e propria. A questo punto avviene la selezione e la pulitura dei frutti di mare attraverso un sistema meccanico che garantisce il lavaggio con acqua marina e la classificazione per dimensioni delle cozze. In questa fase nulla viene distrutto. Infatti, il prodotto più piccolo non destinato alla vendita è immediatamente riutilizzato attraverso il reinserimento nelle calze e messo a dimora con il solito sistema di cime e boe. Al termine delle varie operazioni, il comandate della Gardenia Emidio Carusi rivolge la prua verso il bacino portuale giuliese per concludere la giornata lavorativa con la consegna in banchina dei bancali di cozze fresche di giornata.
ISTANTANEE DI VIAGGIO IN MONDI LONTANI PEOPLE
CINZIA ROSATI
I
l viaggio come sete di conoscenza, desiderio atavico di tornare alle origini dell’uomo, entrando in contatto con tutti quei popoli che vivono i ritmi ancestrali e la simbiosi con la natura, ormai dimenticati dalla civiltà industrializzata. Raffaella Milandri, fotografa, scrittrice e attivista per i diritti umani che vive a San Benedetto del Tronto, nei suo viaggi in solitaria è la voce di tutte quelle genti la cui sopravvivenza, culturale e materiale, è minacciata dal progresso che avanza e dagli spietati interessi economici di governi e multinazionali. Come è nata la passione per i viaggi? «Fin da piccola ero appassionata di fumetti, in particolare Tex Willer, e gli indiani d’America hanno alimentato il desiderio di conoscere luoghi e popoli lontani.
In seguito per lavoro ho viaggiato molto (Raffaella Milandri è stata amministratore d’azienda e attualmente è consulente commerciale, ndr) ma con ritmi di vita molto frenetici. Fin quando un giorno ho avvertito la necessità di dovermi fermare. Mi sono presa un anno sabatico e sono volata in Australia, che ho visitato da sola in lungo e in largo in fuoristrada».
Un’esperienza intensa che le ha fatto capire che quella sarebbe stata la sua strada? «Si, da allora ho visitato tantissimi posti e conosciuto le difficili condizioni di vita dei popoli indigeni, a cui cerco di dare sostegno e voce. Ho incontrato i pigmei, i boscimani, i tibetani, i nativi americani, e tutte quelle tribù che vivono in simbiosi con la natura. Sono popoli pacifici che risiedono in territori ricchi di risorse ambientali, e dunque sono spesso discriminati e perseguitati per via di ingenti interessi economici di governi e multinazionali». In che modo offre aiuto a questi popoli? «Scrivendo e fotografando quello che vedo, per fare luce su situazioni talvolta anche sconosciute, e avviando iniziative di sensibilizzazione. Ho già pubblicato due libri, “Io e i pigmei”, “La mia tribù. Storie autentiche di Indiani d’America”, ed è in uscita il terzo volume “In India. Cronache per veri viaggiatori”. Spesso li aiuto anche materialmente portando nei villaggi beni di prima necessità».
Raffaella Melandri “donnavventura” alla scoperta di civiltà da difendere e preservare
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In quanto donna ha mai incontrato difficoltà nei luoghi che ha visitato? «Per una donna che si muova da sola è necessario prendere una serie di accorgimenti in più, come ad esempio non dare nell’occhio, sia nell’abbigliamento che negli atteggiamenti, mantenendo un profilo basso, dissimulando le proprie capacità. Bisogna insomma adattarsi alla situazione che si ha davanti e all’occorrenza, se necessario, fingersi “tonta”. Per il resto, in quanto donna, sono stata accolta sempre in maniera calorosa dai popoli che ho visitato».
La sua famiglia come vive i viaggi in solitaria? «Ho conosciuto mio marito in Australia, dunque ha accettato e rispettato fin da subito le mie scelte». Cosa consiglia a chi vuole fare viaggi all’estero? «E’ necessario informarsi e documentarsi sullo Stato che si vuole visitare, fare profilassi antimalarica, vaccinarsi, portare con sé medicinali. E’ indispensabile inoltre conoscere l’inglese e fornirsi di una buona guida per la lingua locale. Ma gli accorgimenti sono molti, a seconda delle nazioni, per questo ho messo a disposizione le mie esperienze sul blog http://viaggieturismoresponsabile.blogspot.it/ e sulla mia pagina Facebook».
PEOPLE
Perché ha scelto di viaggiare da sola? «Entrare in contatto con i popoli indigeni senza altri compagni di viaggio offre il vantaggio di avere un punto di vista unico, non inquinato da altri pareri o opinioni. Inoltre, viaggiare da soli è più semplice quando ci si trova ad affrontare e risolvere i problemi».
Ci sono stati momenti in cui ha temuto per la sua vita? «Si. Mi trovavo in Alaska, oltre il Circolo Polare Artico, a 700 Km chilometri dal primo centro abitato e viaggiavo con un fuoristrada. Nell’attraversare un corso d’acqua, il mezzo è sprofondato nel permafrost, e ha incominciato ad imbarcare acqua nell’abitacolo. Sono uscita dal finestrino e dopo aver tentato di smuovere invano il fuoristrada impantanato, mi sono incamminata a piedi nella tundra. Sono andata avanti per molto tempo, ero stremata e stavo ormai andando in ipotermia, quando finalmente ho incontrato alcuni cacciatori che con l’auto mi hanno accompagnato in un campo petrolifero per i soccorsi. Un’altra volta è stato quando in India ho indagato sulle difficili condizioni dei popoli che vivono nei pressi della miniera di Niyamgiri, raccogliendo documenti e testimonianze. A seguito delle mie indagini, il capovillaggio è stato minacciato di morte e durante la permanenza in quei luoghi ho avvertito un’attenzione inquietante anche nei miei confronti».
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LA SATIRA DI PERILLI
L’ARCHEOLOGO DEI CEREALI VIRGINIA CIMINÁ
foto di Francesco Galiffa
Giulio Fiore sdogana farro e saragolla e manda in crisi la polenta di mais Umbria, nel quale c’era un monastero dove i frati coltivavano 3000 metri di terra e traevano sostentamento dalla coltivazione del farro. Fu quello un punto di non ritorno. Soggiornò 7 giorni dai frati e alla fine disse loro che non poteva tornare senza un po’ di farro da riportare a sua madre. Cosi i frati gli diedero 3 kg di farro che seminò nelle aiuole al suo ritorno. Eccolo dunque spiegare i vantaggi e gli aspetti salutistici del farro dalle proprietà nutritive e culturali. Crescenzi nel 1305 lo definisce così: “Il farro è quasi simile allo spelta ma è più grosso in erba e nel granello, si semina nel tempo del grano e dello spelta, mietesi e mondasi come il grano; è di temperatura compressione, ed è cibo buono ai sani ed agli infermi ed assai nutrica e conforta e genera buon nutrimento ed è anzi stitico che purgativo”. Può essere mangiato sia crudo che cotto, cuoce in 5 minuti ed è ad alta digeribilità. E’ antianemico grazie a ferro, manganese, rame, cobalto, vitamina B. Infine è un emolliente intestinale, antistipsi e rinfrescante per la crusca e gli oli contenuti nel sue germe. Vincitore di molti premi nazionali e internazionali con la Puls, una sorta di polenta di farro ricavata dal fiore del seme, è stato definito da un giornalista di fama nazionale, come “il contadino venuto dal Sud che mise in crisi in 5 minuti la loro polenta”. Un vanto per lui essere stato definito contadino perché coltivare la terra è il mestiere più difficile del mondo essendo il padreterno a cambiare ogni giorno le carte in tavola. Nella sua azienda sforna una varietà di prodotti di grande qualità: la pasta di grano duro saragolla, biscotti e crostate di farro, la pasta di mais, la pasta di farro e di segale e le zuppe di cereali e legumi.
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l primo a riscoprire il farro e ad occuparsi degli ormai dimenticati cereali antichi nonchè punto di riferimento fondamentale a livello nazionale nella loro riscoperta e valorizzazione ormai da oltre 25 anni , è un abruzzese. Nella letteratura, del farro ne parlavano già lo scrittore cartaginese Magone, il vecchio Catone nel “De re rustica”, Varrone nel “ De agricoltura” e lo spagnolo Columella. Considerato da poeti e legionari per aver sfamato etruschi, egiziani e i soldati romani alla conquista dell’impero, il farro aveva anche funzione propiziatoria nei matrimoni e nei sacrifici agli dei. Veniva inoltre usato come moneta di scambio. Per arrivare poi nel periodo del Fascismo con la messa al bando di questi cereali antichi che rendevano poco per l’avvento della chimica e dei fertilizzanti in agricoltura. Il nostro maestro abruzzese ci stupisce per essere stato il primo a riscoprire il farro miscelando passione ed energia, semplicità e tradizione, genuinità e rispetto per l’ambiente per riportare sulla nostra tavola tutto quello che c’era nel vecchio mondo contadino, gustando i veri sapori di una volta. Siamo a Torano Nuovo, nella sede dell’Azienda Agricola “Gioie di Fattoria” e lui è Giulio Fiore, agronomo, mugnaio classe 1931, una miniera di informazioni: racconta aneddoti, apre e chiude parentesi divagando (“sono stato in banca ma c’era una fila pazzesca che me ne sono andato”, mi dice prima di tornare sull’argomento ), usa una buona ironia che stempra il rischio di prendersi troppo sul serio e si diverte come un giovane mentre ci racconta la sua avventura alla riscoperta degli antichi cereali dall’incommensurabile valore nutrizionale e culturale. La definizione di “maestro del farro” o archeologo che si è messo sulle tracce degli antichi cereali, lo farebbe sorridere. Di certo a questo mestiere non ci è arrivato per caso essendo la sua una azienda agricola tramandata di generazione in generazione. Quello che è arrivato per caso di sicuro è stato l’incontro con Libero Masi della Slow Food, quando gli presentò un suo amico, il professor Faranda che era dedito andare alla ricerca di libri antichi dove era menzionato il farro. Incuriosito e appassionato Giulio, venne a conoscenza di un piccolo paese, in
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QUANDO IL CORPO DISEGNATO PARLA PER NOI
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a nostra è una Società in continuo cambiamento ed anche i modi di comunicare abbracciano tale dinamicità in diverse modalità. Una di queste è il tatuaggio come forma di espressione attraverso il corpo. I tatuaggi raccontano l’evoluzione dell’adolescenza verso l’età adulta o rappresentano l’emergere di una volontà di narrazione nuova e indelebile? In entrambi i casi captano un’attenzione, rappresentano un’appartenenza ad un gruppo ma possono anche finire per riempire un vuoto identitario nella speranza che gli altri ci riconoscano in delle categorie (motociclisti, ragazze rock, tronista fico?) quando noi non ci vediamo o non riusciamo a determinarci, nella moltitudine di modi di essere e di voler essere. I tatuaggi sottolineano il desiderio di sentire ed esprimere emotivamente qualcosa che non riesce ad uscir fuori facilmente; aiutano ad esorcizzare le paure; vengono utilizzati semplicemente per abbellirsi e seguire la moda o uno stile di vita del momento (molteplici sono i gruppi sui social network di persone che condividono uno stile nel vestire, la barba tagliata in un determinato modo a seconda se sono motociclisti o bar man di locali “in”). Quella dei tatuaggi è tutt’altro che una moda contemporanea, le origini risalgono agli inizi della storia quando gli uomini delle caverne seguivano la pratica di contraddistinguere il proprio corpo con delle incisioni, tradizione che poi è stata tramandata e che si è evoluta diversamente in base ai popoli e a come questi si sono civilizzati ed emancipati nel tempo. Ecco allora che il significato psicologico dei tatuaggi parte da un bisogno ancestrale che porta con sé significati mistici, politici, eversivi, identitari o semplicemente rappresenta un accessorio decorativo, ma comunque tutto si muove da un bisogno psicologico proprio. In generale, l’ impulso psicologico che sta dietro a questa scelta sia che si tratti di giovanissimi o di adulti sembra essere una ricerca del proprio Io, della propria personalità. Nelle diverse epoche i tatuaggi hanno portato con sé uno schema comunicativo non verbale delle varie sub-culture: dal tratteggiare il passaggio dall’infanzia all’età adulta nelle tribù, ad essere “un marchio” con cui venivano segnati schiavi, prigionieri e prostitute, a rappresentare il modo attraverso cui i marinai si ricordavano i nomi delle donne che avevano conosciuto nei vari porti. Nell’attualità invece i tatuaggi sono un fenomeno di costume, una tendenza del momento a cui pochi sanno rinunciare. Cosa conservano i tatuaggi di oggi rispetto al passato? Sicuramente il potere straordinario e “medicamentoso” delle origini, una consueta modalità che può scaturire da un’esigenza di ribellione o dal desiderio di segnare un cambiamento personale della propria vita che sia radicale o del momento.
I tatuaggi come forma di linguaggio dalle origini primitive Psicoterapeuta *
Bibliografia Andrea Palmeri, Tatuaggio. Dalle origini ai giorni nostri, Massa, Eclettica, 2011,
Il tatuaggio parte da un bisogno personale ma rappresenta un messaggio per gli altri, un modo di narrarsi e di essere ascoltati che può presentarsi in maniera colorata e allegra oppure assumere toni feroci e ribelli. Il tatuaggio diventa simbolo di forza e coraggio per molti giovani, un modo per sentirsi accettati dal proprio gruppo di coetanei e sentirsi meno soli. Il tatuaggio simboleggia la propria sessualità, una modalità diversa di esibire il proprio corpo con le proprie passioni. Insomma oggi è una “modalità indelebile di vestirsi”, che informa gli altri di una parte nascosta di sé che se venisse fuori con le parole o con i fatti non avrebbe lo stesso impatto di misteriosità e bellezza che ha quando qualcuno si interessa a noi chiedendoci cosa vuol dire? Quanti ci chiedono cosa proviamo o chi siamo? Il tatuaggio evoca la curiosità degli altri di saperne di più e oggi avere qualcosa di nascosto che per di più è anche di moda è un mix erotico-narcisistico a cui non si può rinunciare. Il significato simbolico è del tutto inconscio come le tavole del rorschach, ognuno ci vede quel che vuole proiettando parti di sé. Come interpretare la scelta di un tatuaggio? E’ importante comprendere le ragioni profonde di una simile decisione, capire se si tratti di una scelta adulta e consapevole oppure di un messaggio d’aiuto, una richiesta profonda di partecipazione. Importante è assicurarsi che chi compie una simile scelta sia ben consapevole dei rischi e delle implicazioni a lungo termine che questa comporta.
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DIALOGO
VIRGINIA MALONI*
BELLEZZA
LE UNGHIE SPECCHIO DELLA NOSTRA SALUTE Ci dicono come stiamo e la loro fragilità va curata. Ecco come
NOEMI DI EMIDIO*
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’ molto importante prendersi cura delle proprie unghie per mantenerle sane ed ordinate, soprattutto perché, a causa della maggior diffusione negli ultimi tempi di smalti e nail art, si correre il rischio di una maggiore fragilità. Le unghie fragili possono essere causate anche da alcune carenze nell’alimentazione, da alcune patologie dermatologiche come micosi, eczemi, stress…da immersioni prolungate in acqua con o senza detergenti, allergie, problemi ormonali, ecc.. Le unghie, come la pelle e i capelli, riflettono molto lo stato di salute del nostro organismo, infatti la carenza di alcuni componenti nutritivi nella loro struttura, si riflette inevitabilmente sul loro stato di salute e aspetto.. Le unghie possono apparire sfaldate, tendendo a rompersi, con una superficie opaca e screpolata. Per riuscire a risolvere questo problema e rinforzare la struttura ungueale dall’ interno, è necessario avere una dieta sana ed equilibrata, bevendo molta acqua e assumendo vitamine con tanta frutta e verdura; sostanze come il calcio, il ferro, zolfo, silicio, zinco, omega 3 ecc.. sono utili ed indispensabili per avere unghie sane. Otre alla dieta, ci sono degli accorgimenti quotidiani e alcuni prodotti, che sono d’aiuto per risolvere questo problema.
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Cercare di evitare quanto più possibile le cause che portano alla fragilità , è essenziale! E’ consigliabile, infatti, l’uso di guanti per i lavori domestici, finché esse non avranno ripreso il loro vigore e nutrimento. E’ importante evitare smalti o gel, che risulterebbero troppo aggressivi, con una durata quasi nulla. Utilizzare solventi non aggressivi senza acetone a base oleosa, utilizzare soltanto smalti di ottima qualità applicando prima la base rinforzante; cercare di non rosicchiarsi le unghie e limarle soltanto con lime di cartone a grana sottile. Periodicamente effettuare una manicure professionale con un trattamento specifico per le unghie. E’ importante utilizzare tutti i giorni una crema specifica per mani ed unghie nutriente, soprattutto la sera, facendo un impacco rinforzante. E’ utile l’utilizzo di un olio per cuticole che ammorbidisce e rinforza le unghie. In fine affidarsi, per la cura delle unghie e per il nail art, a figure competenti, professionali e specializzate in onicotecnica, che sapranno consigliare trattamenti specifici per avere unghie sani e forti e dall’aspetto ordinato e curato.
(Estetista*)
EVENTI IN VAL VIBRATA MARTINA DI DONATO
ALBA ADRIATICA Dal 25 al 29 settembre presso il pub Old Sponge di Alba Adriatica, si terrà la quinta edizione dell’Arthur Guinnes Day. Cinque giorni di intrattenimento e musica. Il programma prevede: il 25 settembre si terrà un raduno di vespe e lambrette,simbolo indiscusso degli anni ’50. Alle ore 22 si esibirà il gruppo The Fabulous Day. Venerdi 26 settembre si esibirò la band rockabilly Don Diego Trio. Sabato 27 settembre si esibirà il londinese Mark Harman , cantante dei Restless. Domenica 28 settembre il gruppo The Soul Bulddies, band spettacolare formata da7 elementi.
CIVITELLA DEL TRONTO Il 19 ottobre alle ore 10.30 riprenderanno le visite guidate all’insegna della scoperta di Civitella del Tronto e delle sue attrattive. Il Falconiere Giovanni Granati accompagnerà curiosi ed appassionati in un’esperienza wild, con gufi, lupi, falchi e aquile. Ingresso a pagamento.
GARRUFO Il 26-27-28 settembre presso piazza XXV Aprile di Garrufo si Sant’Omero, si terrà il festival delle birre artigianali, con i più noto birrifici locali. Saranno presenti anche stands gastronomici,grazie ai quali sarà possibile gustare prodotti gastronomici di produttori alimentari locali.
GIULIANOVA Il 13 ottobre, presso il Circolo culturale Il Nome della Rosa, si terrà la presentazione del volume “Nola, cronaca dell’eccidio”, di Alberto Liguoro,con prefazione di Roberto Ormanni. Il romanzo racconta la storia del tragico eccidio avvenuto a Nola l’11 settembre del 1943. Tra gli ufficiali uccisi era presente il padre dell’autore di questo libro, Alberto Liguoro.
SANT’OMERO Il 31 ottobre si terrà l’ultimo incontro della rassegna ” Economia senz’anima”, segmento invernale di Mondo d’autore. In questo incontro sarà ospite l’economista e filosofo francese Serge Latouche, ideatore e sostenitore del movimento della “Decrescita felice”. L’incontro si terrà presso la Sala Marchesale di Sant’Omero, inizierà alle ore 18. Ingresso gartuito.
SANT’EGIDIO ALLA VIBRATA Il 26 settembre presso il Dejavù si esibirà la cover band del gruppo inglese Radiohead
BARBECUE
COMING SOON
DATA USCITA: 11 settembre 2014 GENERE: Commedia ANNO: 2014 REGIA: Eric Lavaine SCENEGGIATURA: Héctor Cabello, Eric Lavaine ATTORI: Lambert Wilson, Franck Dubosc, Guillaume de Tonquedec, Florence Foresti, Lionel Abelanski, Jérôme Commandeur, Sophie Duez, Stéphane De Groodt Barbecue! Basta la parola ad evocare un tavolo davanti ad una bottiglia di buon vino, le vacanze e l’atmosfera di momenti speciali. Il protagonista interpretato da Lambert Wilson, ha appena compiuto 50 anni e ha deciso che è arrivata l’ora di cambiare la propria vita! Stop alle diete ipocaloriche, alle regole e alla cautela. E’ arrivato il momento di godersi la vita con gli amici di sempre
CINEMA
LE DUE VIE DEL DESTINO DATA USCITA: 11 settembre 2014 GENERE: Drammatico ANNO: 2013 REGIA: Jonathan Teplitzky SCENEGGIATURA: Frank Cottrell Boyce, Andy Paterson ATTORI: Colin Firth, Nicole Kidman, Stellan Skarsgård,Jeremy Irvine, Hiroyuki Sanada, Sam Reid 1942. Decine di migliaia di giovani e coraggiosi soldati sono fatti prigionieri di guerra dalle truppe giapponesi che hanno invaso Singapore. Tra i soldati catturati c’è Eric Lomax, ventunenne addetto ai segnali e appassionato di ferrovie. Spedito a lavorare alla costruzione della celebre Ferrovia della morte, in Tailandia, Eric è testimone di inimmaginabili sofferenze. Sopravvissuto per miracolo alla guerra, perseguitato dall’immagine di un giovane ufficiale giapponese, si isola dal mondo. Ma un giorno, diversi anni dopo, incontra una donna affascinante – ovviamente su un treno. Si sposano, ma la notte delle nozze gli incubi di Eric riemergono. La moglie, Patti, cerca in ogni modo di scoprire che cosa tormenta l’uomo che ama.
SEX TAPE DATA USCITA: 11 settembre 2014 GENERE: Commedia ANNO: 2014 REGIA: Jake Kasdan SCENEGGIATURA: Jason Segel, Nicholas Stoller, Kate Angelo ATTORI: Cameron Diaz, Jason Segel, Jack Black, Rob Corddry, Rob Lowe Jay (Jason Segel) e Annie (Cameron Diaz) sono una coppia con figli, sposata da ormai dieci anni. Per rinvigorire il proprio rapporto - perché no? – decidono di registrare un video hot, in cui sperimentare, in una maratona di tre ore, tutte le posizioni di The Joy of Sex. L’idea sembra brillante, l’unico problema è che il filmato sparisce e i due devono imbarcarsi in una folle corsa per recuperarlo, prima che finisca nelle mani sbagliate e diventi di pubblico dominio. Una corsa contro il tempo per ritrovare, non solo il video, ma anche per salvare la loro reputazione e, ancora più importante, il loro matrimonio.
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IL FAGIOLO, RE DEI LEGUMI
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l fagiolo (Phaseolus vulgaris) è il legume più diffuso a livello mondiale; il terreno impiegato per la sua coltivazione supera i 25 milioni di ettari e il prodotto seccato è di 18 milioni di tonnellate. Nonostante la perdita di molte varietà, ancora oggi sono prodotti tantissimi tipi di fagioli, che spesso sono identificati con le località in cui sono coltivati; citiamo, a titolo di esempio, i Tondini del Tavo, i Fagioli di Paganica e quelli di Pratola Peligna. La storia di questo legume segue due percorsi; il primo ci conduce ad una varietà preesistente alla scoperta del Nuovo Mondo e ci consegna una varietà ancora coltivata in diverse parti del Mondo Occidentale. Si tratta del “fagiolo dall’occhio”, con tutta probabilità proveniente dalle zone tropicali dell’Africa, conosciuto dagli antichi Greci e Romani e coltivato diffusamente anche in Italia durante il Medioevo. Deve il suo nome alla presenza sul seme, nella parte in cui è attaccato al baccello, di una macchia di colore scuro, a forma di occhio. Nonostante fornisca un prodotto di buona resa alla raccolta e di gradevoli qualità gustative, la sua coltivazione oggi è circoscritta ad alcune aree del Meridione e del Veneto. Il secondo percorso parte dall’America Meridionale (Perù, Colombia), attraversa l’Atlantico e il
Bacino del Mediterraneo per proseguire verso l’Asia. L’enorme variabilità genetica della specie e la stretta autofecondazione che caratterizza la sua biologia fiorale hanno fatto sì che nei secoli passati siano state isolate innumerevoli varietà di fagioli, dotate di adattamento alle condizioni locali e, soprattutto, delle caratteristiche morfologiche e organolettiche gradite ai consumatori. A proposito delle tante forme in cui si presenta questo legume, Berardo Quartapelle, sempre attento e preciso, afferma che sarà piuttosto difficile poterle descrivere «giacchè variano in proporzione de’ cambiamenti, che soffrono per la differenza del clima, del terreno, e della coltura»; la cosa che più conta per lui è però che, quando la pianta è ben coltivata, «non ha l’eguale per la sua fecondità». Egli divide i fagioli in due macro categorie, distinguendo quelli «striscianti» (più preziosi e più fecondi), che hanno bisogno di rami o di pali ai quale avvolgersi, e quelli che si reggono da soli. «Tanto gli uni quanto gli altri possono essere primaticci o tardivi, e variare nel colore, giacché ve ne sono dei bianchi, de’ neri, degli occhiuti, dei macchiati, dei turchini, dei rossi oscuri, dei violacei screziati di nero &c. La loro forma è ancora molto varia, giacché altri hanno la grandezza d’una fava la più larga, ed altri assai minore, altri sono ovati, altri corti spianati, altri slungati mediocremente grossi, e tondi sul loro diametro, altri tondi con una punta, che sporge in fuori &c.». Negli ultimi decenni i produttori di semi hanno compiuto numerosi esperimenti per il miglioramento genetico dei fagioli con programmi di selezione basati su solidi presupposti scientifici, volti soprattutto al conseguimento di due importanti obiettivi: l’aumento della produttività e della regolarità di produzione e l’adattamento della pianta alle tecniche di coltivazione e trasformazione. Il primo obiettivo è perseguito soprattutto attraverso l’aumento della resistenza a quelle avversità che normalmente falcidiano i raccolti; il secondo attraverso la modifica del portamento delle piante, in modo da rendere contemporanea la maturazione e possibile la raccolta meccanica. Sono accorgimenti adottati per favorire il lavoro delle industrie di trasformazione dei prodotti agricoli. Nella piccola coltura i fagiolini e i baccelli freschi, invece, si raccolgono scalarmente ancora a mano, mentre le piante di fagiolo da granella secca si estirpano quando i baccelli hanno cominciato a disseccarsi. (v. scheda) Il fagiolo ha una grande importanza nell’alimentazione di molti popoli, soprattutto di quelli più poveri, nella cui alimentazione sostituiscono la carne. Esso, inoltre, è l’unico legume che può esse-
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RICETTE DELLA MEMORIA
FRANCESCO GALIFFA
RICETTE DELLA MEMORIA
re mangiato nei diversi stadi di maturazione, come scriveva, con la solita puntualità, all’inizio dell’Ottocento, Berardo Quartapelle: «I fagioli o si mangiano freschi coi baccelli o si mangiano sgranati e secchi. Ma qui la cognizione di queste diverse specie è molto interessante; perciocché sonovi quelle che formano baccelli teneri, e che conservano questa proprietà per lungo tempo, e quasi fino che i semi sono per maturare, ed altre, che son fornite di baccelli, i quali prestamente induriscono». Nella cucina romana i fagioli verdi (Phaseoli virides) erano usati a mo’ di verdura e, secondo quanto scrive Apicio, si preparavano con sale, comino, olio e un po’ di vin puro. Nei secoli successivi i fagiolini “mangiatutto” cominciarono ad essere cucinati in altri modi, come riporta un’altra nostra fonte privilegiata, l’economista Vincenzo Tanara: «Si mangiano i loro cornetti ancor verdi, e teneri, cotti in acqua, e serviti con oglio, aceto, sale, e pepe ammaccato. Li stessi cornetti per picciolezza tenerissimi, lessati, & infarinati si friggono in oglio come i pesciolini, poi con la salsa si regalano, nel Libro secondo notata la qual li rende gustosissimi, e sani. [Omissis] Questi cornetti così teneri, in aceto salati per la Quaresima dalle Donne svogliate si conservano». Terminiamo questa breve carrellata sui fagiolini con una ricetta più recente, legata alla nostra regione, i “Fagiolini della nonna”, riportata da Luigi Braccili nel suo “Abruzzo in cucina”: «In un tegame, far soffriggere nel burro la cipolla e il prezzemolo tritati. Aggiungere i fagiolini e lasciar cuocere a fuoco lento. A metà cottura, salare, unire sugo di pomodoro e maggiorana e far ultimare la cottura». Ancora oggi, per l’intera estate, i fagiolini “mangiatutto” sono presenti sui banchi dei mercati e dei supermercati. Sui primi è possibile imbattersi anche con una varietà rampicante dalla forma schiacciata, particolarmente teneri e gustosi.
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I fagioli per eccellenza e più frequentemente presenti sulle nostre tavole sono, comunque, quelli secchi, perché sono disponibili per l’intero anno. Del modo di prepararli in cucina nel passato e della loro destinazione sociale ci rende edotti il solito Tanara: «I grani secchi si fanno in minestra, e se con cipolle tritte s’accompagnano, sono buoni, regalandosi con pepe amaccato, & un quarticino di questi si fa dieci minestre. Cotti; come s’usa per far minestra, ma poi asciutti dall’humidità, con oglio, aceto, sale, e pepe si servono; overo misticati assai si fanno in torta per Contadini, a quali in qual si voglia modo accomodati, sono pasto grato ma vile». Col passare del tempo la stima verso questo legume è aumentata perché le massaie, spesso per necessità, si sono ingegnate ad abbinarli con tanti prodotti di stagione. Sono uniti a una serie infinita di verdure (cicoria, bietola, cavolo, rape, patate, sedano, carota, ecc.), alle carni, in particolare a quelle di scarto del maiale (i succulenti fagioli con le cotiche). Abbinati con zuppe di cereali, con polente e con paste fresche o secche rappresentano un piatto unico perfetto dal punto di vista nutritivo per la presenza di carboidrati e proteine vegetali; un connubio perfetto, rispondente ai canoni della Dieta Mediterranea. Infine possono essere cotti in purezza con pomodoro e cipolla; chi non ricorda Bud Spencer e Terence Hill divorare padelle di fagioli con tanto gusto da far venire voglia anche a chi non ama questo legume? Ricordiamoci, infine, che i fagioli, oltre ad essere buoni, fanno bene al nostro organismo. Numerose ricerche hanno confermato, infatti, che una modesta quantità di fagioli, consumata con regolarità, può contribuire a prevenire e a curare parecchie malattie degenerative come il diabete, l’aumento del colesterolo nel sangue, l’ipertensione arteriosa, diversi tipi di cancro, ecc.
CONSERVAZIONE DEI FAGIOLI Leggete con quanta cura nel passato si compiva quest’operazione. «Raccolti col far star li cornetti assai al Sole, assicurasi, ch’il granello bene s’asciughi, e se si facesse stare fuor de’ cornetti, diviene rugoso, e crespo. La stessa humidità patiscono, se secchi si terranno in luogo humido, in contrario in stanza asciutta si conservano ben due anni». (Vincenzo Tanara, “L’economia del cittadino in villa”, Venezia 1674, p. 429) «Quando si voglion cogliere i baccelli de’ fagiuoli striscianti per conservarli secchi, si deve scegliere una giornata serena, si deve aspettare la mattina che siasi dissipata la rugiada, e che il sole sia vivo e caldo. Tosto che si osserveranno alcuni baccelli maturi e secchi, se ne toglierà il picciuolo colle forbici, e questa è la maniera più sicura di non offendere la pianta, e nello stesso tempo la più spedita. Se un coltivatore si avvedrà che gli ultimi baccelli non potranno aver più tempo propizio per maturare, li colga per mangiarli freschi. Tosto che saranno secchi i baccelli de’ fagiuoli nani, se ne strapperanno gli steli in un tempo asciutto, e si sospenderanno sotto le rimesse, affinché si cecchino; così conservati si possono seminare sin dopo il secondo anno senza che il germe abbia per nulla patito. Se la quantità sarà grande, se ne farà un mucchio per sottoporli poscia al flagello nell’aja per separarli». (Berardo Quartapelle, “I principii della vegetazione”, Tomo II, Teramo 1802, pp.87-88)
MALTAGLIATI CON I TONDINI* Ingredienti Pezzetti di prosciutto grasso e magro (meglio la parte vicina all’osso), cipolla tritata finemente, un tocco intero di peperone rosso, pomodori freschi o conservati a bagnomaria, un pezzetto di peperoncino piccante, olio di frantoio, sale, fagioli (possibilmente della varietà tondini), farina tipo 0, poca semola, poca farina di farro, uova.
Mettere a mollo per una nottata i fagioli, che si pongono a cuocere a fuoco lento, avendo l’accortezza che rimangano integri. Nel frattempo, impastare le farine (1 kg) con le uova (8), amalgamare per bene, stendere la massa e tagliare la sfoglia molto grossolanamente. Disporre un po’ d’olio in un tegame e far rosolare il trito di prosciutto e cipolla; aggiungere i pomodori privati dei semi e della pelle. A cottura quasi ultimata del pomodoro, aggiungere i fagioli con un poco della loro acqua; quando si cominciano a disfare si aggiunge la pasta al dente e si fa ultimare la cottura. *Ricetta è stata dettata e realizzata dalla signora Gina, cuoca dell’Osteria dei Maltagliati di Torano Nuovo.
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Procedimento