VETTOR PISANI

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S u l l’ e s p e rie nz a c u lm i na n t e e l’ o n to l o g ia de l l o S c o r r evole in V et to r Pis an i! Artis initium dolor Gabriele Perretta 50


Nel 1968 nell’opera Carne Umana Macinata, Vettor Pisani palesava il proprio stupore per il fatto che, tra l’immediato dopoguerra e la stagione degli anni Sessanta, abbiano avuto grande diffusione esperienze artistiche dedite a procedimenti tecnici di estrema astrattezza e sottigliezza, mentre l’umanità stava appena uscendo dall’abisso del male e del dolore in cui era precipitata. Pareva, in particolar modo, inammissibile all’artista ischitano che l’arte del dopoguerra, e della neo-avanguardia tutta, tentasse di occultare quelle diaboliche manifestazioni dell’efferatezza umana culminate nell’Olocausto, perdendo tempo in questioni di lana caprina o, ancor peggio, cimentandosi futilmente con passatempi formalistici o formativistici, non certo determinanti per le sorti culturali e sociali dell’Occidente. Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, così come la domanda sul senso del cannibalismo oggi, posta dal ristorante di Berlino che vorrebbe riprendere il rituale brasiliano wari1, non sono soltanto prove tangibili dell’angoscioso insuccesso di qualsivoglia tendenza filo-illuministica, volta all’ottimismo nel progresso tecnologico e scientifico, ma anche inquietanti sintomi della radicalità del male nel mondo, la cui scandalosa presenza non ha fatto altro che rendere ancor più drammaticamente attuali termini quali disillusione e spaesamento. Infatti, la figura che esce fuori dal contesto drammatico, creato da Pisani, è proprio quella di un’umanità frustrata e smarrita, in preda ad una grande crisi isterica. L’arte appare come una grande ostentazione di comportamenti plateali, che hanno lo scopo di richiamare l’attenzione del fruitore disincantato dal parossismo contemporaneo. Sia i malumori che le forme di comunicazione artistica che passano attraverso l’installazione, la performance, l’intervento Qui il tutto parte da un’opera di Pisani che pone delle domande estreme e che rimette in questione rituali che un tempo potevano essere patrimonio di vecchi studi demonologici. Il lavoro di Pisani si chiama naturalmente Maschile Femminile e Androgino. Incesto e cannibalismo in Marcel Duchamp, che nel catalogo della mostra di Alberto Boatto Ghenos Eros Thanatos, Galleria de Foscherari del 1974, è un’opera segnata come performance del 1970. Ristorante choc a Berlino. Cos’è cucina Wari? Nella pagina dei menu, il ristorante, chiamato Flimé, furbescamente indica tra le pietanze la “carne umana”. Pare chiaro che l’allusione al menù cannibale, non sia altro che una strategia pubblicitaria in previsione dell’apertura; anche se un residente di Berlino è stato ucciso da un cannibale, non troppo tempo fa: Armin Meiwes, condannato all’ergastolo nel 2006 per aver ucciso e mangiato un uomo cinque anni prima. “Cucina Wari” è un riferimento al popolo Waricaca, una tribù indigena della foresta amazzonica. Prima dell’arrivo degli europei nel 20esimo secolo, che decimò la popolazione Wari, la tribù prevedeva la cannibalizzazione rituale dei nemici uccisi in battaglia. Se la crisi arrivasse al punto di costringerci al cannibalismo? “Se ci mangiassimo l’un l’altro, la specie non durerebbe a lungo”, secondo James Cole, ricercatore dell’University of Southampton’s. Nonostante la riluttanza che può provocare, il cannibalismo ha caratterizzato l’Homo sapiens e i suoi antenati, che si mangiavano l’un l’altro per ragioni sia rituali che di sopravvivenza. I segni trovati sulle ossa di alcuni ominidi lo suggeriscono e conosciamo le usanze Azteche e Maori. Al giorno d’oggi, persistono tribù nell’Amazzonia e in Papua Nuova Guinea che si nutrono di carne umana.

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Va s ca p n e u mat ica c o n pe sc i r o ssi , 2 0 0 8

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La S fin g e d e l la po rta ac ca n to, 1 9 7 4

nello spazio e nel tempo reale, o anche la caosmoticità multimediale sortiscono l’inquietudine e la tristezza e sembrano manifestarsi in modo chiassoso. È come se l’opera urlasse, assumesse atteggiamenti plateali o drammatici per dedicarsi a contorsioni violente, che possono essere scambiate per vere e proprie crisi epilettiche del linguaggio. L’opera trasmette una certa affezione nervosa, senza però sfociare in una perdita di conoscenza e della caduta dell’individuo. Al contrario dell’opera, in quanto catastrofe verticale, in Pisani non si ha un’estetica della perdita di coscienza, ma piuttosto della scissione e quindi della simulazione della perdita. Una simulazione e una simulacralità che ricorda la crisi stessa della ragione occidentale2! Stando alle analisi di K. Jaspers, che risalgono ai primi anni del ‘900, l’opera di Pisani appare all’interno della sua aura epilettica che rimane metaforicamente dettata dalla vischiosità della condizione estetica e conflittuale contemporanea3. L’arte di Pisani è politica perché tratta di un’isteria pubblica (o meglio in pubblico), che tende a colpire il fruitore tramite il Theatrum della ferita. Con l’attualissima, e fino alla fine presente, “Maschile, femminile e androgino. Incesto e cannibalismo in Marcel Duchamp”4, Vettor Pisani – nel portare avanti gli insegnamenti Rosacroce, i riti alchemici, le filosofie esoteriche, il mistero della Sfinge, il mito di Edipo e la figura di Klein e Beuys, sulla scia di una psicoanalisi della libertà, intesa come pensiero tragico5 ed ermeneutica dell’esperienza simbolica – ripropone il problema della possibile compatibilità fra esistenza dell’arte e realtà del male, cercando di trascendere la radicata tendenza occidentale di attenuare, o addirittura rimuovere, quell’incoercibile e demoniaca energia malvagia, che impronta ineluttabilmente il creato, pietra d’inciampo che l’arte, l’estetica e l’etica tutta, non possono permettersi di aggirare o ignorare. La prima parte dell’opera si pone il compito di enucleare le principali strategie di difesa e anche di immunizzazione dal male che l’universo culturale da sempre fornisce all’umanità, in modo da approntare una spiegazione rassicurante o consolante o liberante, da offrire un rifugio di fronte al negativo che assedia l’esistenza umana occidentale. Se l’arte antica tende ad estetizzare l’esperienza del male, liberando la realtà provvisoria al flusso distruttore Vedi la nozione di monomania simulacrale in Pierre Klossovski, Simulacra, a cura di Aldo Marroni, Mimesis Milano 2002.  Jaspers K., Psicopatologia generale (1913-1959), Il Pensiero Scientifico, Roma 1964, in part. p.164. 4 Del 1970, realizzata con la prima mostra personale, presso la galleria La Salita di Roma. 5 Hegel ricorda:” La soluzione tragica è legittima e necessaria quanto la collisione tragica”, in Estetica (183638) Feltrinelli Milano 1963, p.1596. 2

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Nap o li M a ri a P isto l e t to a l l o S c o r r e vo l e , 2 0 0 8

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La verg ine de ll a geometria , 2008

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l a r u ota d e l d e st i n o, 2 0 0 8

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I o s ono il pupazzo di Paracels o, 2010

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Il t e m pi o na sc o sto, 2 0 0 8

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He rme s, 20 01

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Madonna dei pennelli , 1984

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