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VANNI: “Made in Italy, for sure”.
Società benefit dal 2021, produttrice di occhiali interamente manufatti in Italia, VANNI ha presentato allo scorso MIDO le sue nuove collezioni, dallo stile caratterizzato ed esclusivo. Tra le proposte maschili troviamo il mod. V4117 nel quale la combinazione di metallo e acetato crea un effetto tridimensionale su più livelli che regala all’occhiale carattere e personalità. Un binomio studiato nei pesi e negli spessori che dona profondità all’occhiale.
La Collezione Pixel, con modelli sia in acetato sia in metallo, da sole e da vista, prende ispirazione dal “pixel”, l’elemento più piccolo dell’immagine digitale. Il modello da sole VS9618, in metallo bicolore, è caratterizzato dal motivo composto da scalini di forma squadrata, protagonisti di questa collezione.
L’acetato Dama della collezione Highline presenta invece piccoli dettagli di colore dall’effetto perlaceo, a contrasto sui terminali e sul laterale. Particolare interesse riveste anche la Collezione Uomo metallo-acetato, in cui la combinazione metallo-acetato dall’effetto tridimensionale regala all’occhiale carattere e personalità.
mod. V4117
Cari Amici,
Non vi chiamo più “lettori” perché ormai, dopo un paio d’anni che leggete i miei scritti su una Rivista che tratta di oftalmica, che non sempre puntano alle argomentazioni tecniche o di fashion, avrete ben capito che spesso vado – come si suol dire – fuori tema. E’ forse perché vi siete incuriositi per i miei accostamenti azzardati, mezze favole e mezze realtà, qualche pennellata di un inchiostro con colore esotico e molto spesso con una forte tonalità di ricordi del passato?
Vi garantisco comunque che quello che scrivo non è mai totalmente falso o totalmente vero, sono però i ricordi di una vita che dal 1976 mi porta in giro per il mondo nell’ambiente dell’ottica. Sono partito con il primo aereo alla volta dell’Australia, quando per arrivare ad Adelaide servivano 4 scali e 38 ore e sul volo di ritorno ricordo di avere pensato: “chissà se e quando sarò ancora qui”. Invece non passarono sei settimane che atterravo nuovamente in quel paese che ha due stagioni di differenza e l’ora GMT +9.30 e che dava una mazzata in aggiunta alla stanchezza del viaggio.
Il giorno della mia assunzione il mio futuro capo, nonché mio carissimo mentore, <FG>, mi aveva detto: “se starà anche solo 5 anni con noi, visiterà il mondo”. Ed io ci rimasi 25 anni.
Da qui viene il sapore dei miei scritti, una miscela che pesca il profumo di luoghi, persone, situazioni, problemi, gioie (tante), paure, delusioni (poche): il tutto in un barattolo polveroso, con scritto “Ricordi” sull’etichetta, in cima all’armadio.
Quindi, ormai vi siete rassegnati e forse incuriositi se tornate a leggermi. Se ne avrò la possibilità, dopo questa pennellata in tinta inglese e profumo di luppolo, tornerò ancora con voi.
Posso solo notare che il passato è bello perché non si realizza mai un’emozione in quel preciso momento. Si espande successivamente, e quindi non viviamo emozioni complete nel presente, ma solo nel passato.
(Virginia Woolf)
Birmingham, anni ’80
Mi trovavo, in tardo pomeriggio, in un pub poco lontano dalla nostra fabbrica. Non essendo ancora ora di cena, avevo ordinato la classicissima “half of bitter” che corrisponde ad un nostro bicchiere piccolo di birra scura, servita ad un tavolo con una panca per sedile, addossata al muro. La porta d’ingresso era a sinistra, il bancone a destra. Non c’era una grande affluenza a quell’ora di tardo pomeriggio. Solo una persona seduta alla mia sinistra al primo tavolo, in posizione tale che avrebbe potuto aprire la porta a vetri d’ingresso con la mano sinistra ed essere coperto dal battente a mezzo vetro. Il solito nome del pub era inciso sulla parte superiore del vetro mentre la parte inferiore era smerigliata. Al momento non avevo notato quell’uomo, ma lo vidi quando il cameriere portò anche a lui una “half” assieme alla mia: evidentemente l’aveva ordinata qualche minuto prima di me.
Chiaramente indiano, decisamente anziano, con un tipico turbante Sikh blu, arrotolato sul capo, che lasciava però intravvedere sulla fronte una piccola parte chiara, come se portasse sotto di esso una fascia o una bandana.
“Sat Shri Akal”, mi disse, alzando la mezza pinta con un lento gesto verso di me, e bevve un sorso, bagnando una lunga barba grigia incolta.
Risposi “cheers”, l’unico modo che conoscessi per dire salute.
Due occhi nerissimi mi scrutavano e credo che cercasse di indovinare la mia provenienza, dato che ovviamente indiano non sembravo proprio, ma nemmeno britannico, visto il mio abbigliamento alquanto diverso dagli altri avventori.
Presi l’iniziativa, chiedendogli cosa mi avesse detto mentre brindava con me e mi disse che per i Sikh quelle tre parole significavano “Dio è eterno ed è l’unica verità”. Non gli chiesi spiegazioni, meditando quanto quel detto fosse lontano da ogni brindisi da me conosciuto nel il mettere in risalto l’Eternità e la Verità di Dio con una birra in mano.
Gli chiesi da dove venisse e mi spiegò come lui e suo padre fossero arrivati in Inghilterra dal Punjab 60 anni prima e che aveva sposato una donna della sua stessa religione in un paesino, poco lontano da Birmingham, dove si era trasferito, alla fine dalla sua attività lavorativa di contadino, per dare una migliore educazione scolastica ai suoi 4 figli. Poi cominciò a stupirmi, dicendomi che la sua famiglia stava allentando le briglie sulle rigorose regole religiose, come se volesse scusarsi di bere una birra, dato che teoricamente gli era proibito. Aggiunse però che, secondo lui, questa era l’unica trasgressione che si concedeva. La sua vita era modesta, aggiunse, ma dignitosa, i figli avevano un buon lavoro e lui era felice.
“Rimpianti dell’India?”, gli chiesi.
“Ero troppo piccolo per ricordare i dettagli, ma ricordo come spesso ci mancasse il necessario per sfamarci, l’Inghilterra fu una necessità ed una opportunità di vivere meglio, nonostante la guerra che subimmo dalla nostra Madre
Patria”.
L’ora volgeva al mio momento di tornare in albergo, finii la mia birra e notando che lui ne aveva ancora una piccola dose, gli chiesi se avessi potuto offrirgliene un’altra, visto che io sarei andato al banco a pagare la mia.
Mi rispose: “Thank you so much, sir. I appreciate your kindness and I accept your offer, but do you mind if I save the second pint for tomorrow?”
(1) Quella sera non riuscii a togliermi dalla mente il vecchio Sikh e tuttora il suo ricordo è estremamente vivo nella mia memoria.
Uomo povero ha i giorni lunghi.
(Giovanni Verga)
(1) “Grazie molte, signore. Apprezzo la sua gentilezza, accetto la sua offerta, ma le spiace se riservo il secondo bicchiere per domani?”
X° CONGRESSO PRISMA: IPOVISIONE 2023, MULTIDISCIPLINARIETÀ
E COLLABORAZIONE TRA I DIVERSI PROFESSIONISTI COINVOLTI, SEMPRE PIÙ
AL CENTRO DELL’ATTENZIONE
Trascorso il X° Congresso Nazionale PRISMA, con un importante successo in termini di partecipazione e di contenuti, torniamo a parlare a 360°di questo importante problema con la dottoressa Anna D’Ambrosio ed il dottor Roberto Volpe, oftalmologi (e non solo, come vedremo...), rispettivamente Presidente e Past-President dell’Associazione.
Benvenuti in redazione. Partiamo dai numeri dell’ipovisione. È un problema sicuramente rilevante, forse non così ben evidenziato. Perché non se ne parla abbastanza? Quali sono i dati più significativi?
A.DA.
È vero, i numeri sono sicuramente elevati; se consideriamo sia i non vedenti totali, sia gli ipovedenti sia, ancora, i pazienti con vista fragile parliamo veramente di numeri molto, molto importanti. Le ultime stime sono sottovalutate, per problemi di censimento e di un inquadramento di questi soggetti ancora oggi in parte non definito da criteri univoci.
Però, se noi consideriamo i pazienti e i loro caregiver, che nel caso dei bambini sono moltiplicati per più persone, perché non solo ci sono i genitori, i fratellini, i nonni, ma anche gli insegnanti, i terapisti eccetera, abbiamo un numero di persone veramente notevole che ruota intorno al paziente. Considerando poi che l’età media della popolazione aumenta e che le patologie legate all’età sono una quota importante, nell’età adulta, delle cause di ipovisione e cecità, direi che i numeri progressivamente sono destinati ad aumentare ogni anno di più.
R.V.
Mi permetta una battuta, che dà però la dimensione del problema: se nel computo mettessimo anche i soggetti con vista fragile, in termini numerici probabilmente potrebbero costruire un partito candidabile alla maggioranza.
E qui ci colleghiamo anche ad un aspetto di carattere economico, in quanto la cura, sotto ogni aspetto, di questi pazienti costituisce un argomento dal grande impatto. E anche solo la quota delle persone con vista fragile necessiterebbe di professionisti in grado di saper gestire questi soggetti che invece , spesso, non si sa come approcciare o si pensa di trattare allo stesso modo di un soggetto normovedente, con la conseguenza di creare situazioni di cura incomplete e di scontentezza.
A.DA.
Dirò di più: i pazienti con vista fragile, a volte, rischiano di essere sottovalutati anche a livello medico. Non vengono inviati ai centri di riabilitazione, né dagli oculisti del territorio, né dagli ortottisti né dai medici di base; può accadere che non vengano proprio considerati, perché pazienti che nelle situazioni ideali di ambulatorio oculistico hanno delle prestazioni visive discrete, ma che poi, nella vita di tutti i giorni, hanno delle cadute funzionali enormi. Quindi sono pazienti che sono al limite della categoria dell’ipovisione, ma che rientrano in questa condizione, ad esempio, tutte le volte che la luminosità si abbassa o si alza in situazioni di abbagliamento e così via diventando di fatto ipovedenti. Pur rimanendo assolutamente misconosciuti sia dai dagli oculisti del territorio, sia dai medici di base, che non pensano di doverli inviarli al centro di riabilitazione di riferimento.
In questo senso, la possibilità di implementare corsi specialistici dedicati al problema ipovisione che ruolo svolge?
A.DA.
Sicuramente un ruolo molto importante. Ad esempio, del tutto recentemente abbiamo avuto la possibilità di organizzare un corso monotematico di un’ora nell’ambito del Secondo Congresso Nazionale S.I.S.O. – Società Italiana di Scienze Oftalmologiche. Dato l’elevato numero di corsi di carattere specialistico all’interno dell’evento, abbiamo dovuto ottimizzare i contenuti all’interno del tempo che avevamo a disposizione. Tuttavia, la possibilità di dare visibilità al problema clinico, attraverso “pillole” di conoscenza, è una importante base per coinvolgere un numero sempre più elevato di specialisti – nella fattispecie particolare, di oftalmologi -.
R.V.
Infatti. Se non se ne parla, se l’argomento è trascurato, non si riesce a far crescere l’interesse e di conseguenza la capacità di gestire questi pazienti. Un noto politico di vecchia scuola diceva, a ragione, “non mi interessa, che se ne parli bene o se ne parli male. L’importante è che se ne parli...” In questo senso, la nostra partecipazione al Congresso S.I.S.O. fa parte di un progetto più ampio. Avevamo già in precedenza sviluppato altre collaborazioni in questo senso, sia pure più limitate – come nel caso di A.I.M.O. (Associazione Italiana Medici Oculisti), così come abbiamo in cantiere anche altri progetti di sensibilizzazione, a partire proprio dai medici, dai pediatri di base, e dagli oculisti del territorio. Lo scopo è quello di divulgare informazione sull’ipovisione, perché è, ovviamente, la mission di base di Prisma. La formazione del personale è uno dei nostri ambiti di interesse maggiore. Avere a disposizione un palcoscenico come quello di S.I.S.O., con una partecipazione a livello nazionale di moltissimi operatori del settore, ci consente di avere un uditorio cui poter dare, per l’appunto, “pillole” di informazione, per stimolare la possibilità, successivamente, di approfondire maggiormente un argomento sul quale molto c’è da dire.
A.DA.
La possibilità di un successivo approfondimento, lo stimolo a che questo avvenga, è davvero fondamentale. Mi diceva giustamente una nuova collega che non aveva mai frequentato in precedenza un ambulatorio di ipovisione, arrivata in ospedale e subito inviata al nostro centro, che le sembrava di essere arrivata in un altro mondo – sensazione che effettivamente è abbastanza comune, per il diverso approccio già a partire dalla metodologia di impostazione della visita oculistica, un modo differente di affrontare il problema del paziente.
Approccio cui bisogna essere preparati al meglio, perché contrariamente si rischia di dire al paziente che non c’è niente da fare. Cosa che purtroppo succede ancora oggi molto, troppo spesso.
Quali sono gli ambiti di sviluppo terapeutico dove vedete più fermento, dal vostro punto di osservazione?
A.DA.
Sicuramente la terapia genica delle malattie rare, così come abbiamo potuto ascoltare anche durante alcune importanti relazioni nell’ambito del Congresso Prisma, è un campo in pieno sviluppo, promettendo di essere una chiave per riuscire a trattare patologie che fino ad oggi erano assolutamente non trattabili.
R.V.
Questo è certamente uno dei progetti più rilevanti; l’altro è probabilmente quello degli studi legati alla rigenerazione tissutale, attualmente sperimentata a livello corneale. Siamo ancora agli inizi, però la ricerca si sta concentrando sulla possibilità di ricreare tessuti che siano simili a quelli corneali, allo scopo di poter correggere opacità che altrimenti non riusciamo a trattare.
A.DA.
Poi ovviamente c’è tutta la parte di farmacologia, sia a livello di degenerazione maculare senile, sia a livello di glaucoma. L’anno prossimo, in particolare, ci occuperemo di glaucoma, patologia che è in crescita costante. Mentre sotto il profilo dell’approccio chirurgico, è il momento dei cristallini artificiali.
C’è, ancora, l’aspetto legato alla digitalizzazione, che – causa Covid – ha avuto un vero e proprio effetto booster. Perché si realizzasse una accelerazione così importante sotto questo punto di vista è stato necessario un evento così impegnativo e traumatico come è stata la pandemia. È stato un passaggio importante, insomma, che ha provocato un cambio dei tempi e delle modalità, così come è stato per i vaccini.
R.V.
Sono assolutamente d’accordo. Questo tipo di approccio, difficile da proporre fino al 2020, è diventato ormai la norma, così come avvenuto con la riabilitazione digitale, anche a distanza: in precedenza avevamo difficoltà anche a pensare di proporla ai pazienti, mentre oggi è diventata molto più attuabile. Così è avvenuto anche per la parte organizzativa dell’ospedale, nel senso che nel nostro ospedale, per esempio, tutta la parte burocratica è diventata molto più agevole perché è stata declinata in altro modo, rispetto alla consuetudine di obbligare i pazienti a file interminabili al centro di prenotazione. Per poter registrare i ticket, ora ad esempio, oggi facciamo tutto quanto molto più rapidamente con la dematerializzazione. Insomma, diciamo il Covid ci ha “regalato” stimoli ad una serie di innovazioni che altrimenti non ci sarebbero stati. Come per gli stessi vaccini ad m-RNA, la cui ricerca stava per essere quasi accantonata mentre oggi sono alla base di importanti ricerche – come, ad esempio, in campo oncologico -.
A.DA.
La tipologia di equipe che da sempre ab- biamo promosso a Prisma è fondamentale, perché in realtà, nella nostra visione, del paziente si occupa un team di persone che parte dall’oculista, ma che coinvolge - ovviamente - l’ortottista, che si occupa direttamente della riabilitazione, l’ottico, che mette a punto gli ausili, per arrivare all’assistente sociale – essenziale per tutto quello che può essere utile a livello, ad esempio, pensionistico. E coinvolge, ancora, lo psicologo, che aiuta l’ipovedente a rielaborare la perdita della vista, evento che a volte è veramente difficile da superare. Senza dimenticare i caregiver, i terapisti, eccetera... L’ottico non può essere escluso da questo processo, e noi, come Prisma, l’abbiamo appunto coinvolto da sempre. Tant’è che, proprio da statuto, gli ottici fanno parte del consiglio direttivo come parte integrante del nostro gruppo. Al proposito, devo dire che quest’anno ho avuto una grande soddisfazione, quando dopo anni spesi a spiegare che non è la competizione ma il confronto a fare la differenza, un gruppo di ortottisti partecipanti al congresso ci hanno fatto i loro complimenti; forse, dopo anni, anche per loro è arrivato il momento di riconoscere le rispettive professionalità, abbandonando lo storico antagonismo con gli ottici, troppo spesso visti come avversari invece che come potenziali partner e collaboratori. Ovviamente ciascuno con la propria specifica professionalità e competenza.
A questo proposito: dottor Volpe, qualcuno nei commentare la sua figura durante il Congresso Prisma disse alla platea che la sua storia professionale – Ottico, e successivamente Oculista – era esemplare nel semplificare ed implementare il concetto di approccio multidisciplinare all’ipovisione...
R.V.
C’è da dire che io, quando ho iniziato come oculista, data l’esperienza precedente tendevo a spiegare e a dare molto rilievo all’aspetto ottico, senza tener adeguatamente presente che dietro c’è una patolo- gia che può cambiare le regole dell’ottica in maniera anche molto drastica. D’altra parte gli oculisti, spesso - per forma mentis - pensano che con la sola patologia si possa dare spiegazione a tutto, mentre invece si dovrebbe essere coscienti che a volte l’ottica può fornire a propria volta una grossa mano nella gestione dell’ipovedente. Quindi, in realtà, proprio una conoscenza più approfondita delle due materie può essere utile a tutti.
A.DA.
Possiamo dire, in realtà, che a livello generale chi si occupa di riabilitazione deve essere – oltre che ben preparata - una persona flessibile e pronta all’ascolto, perché il percorso soggettivo deve essere così tanto personalizzabile, in base alle esigenze del paziente, che è necessario riuscire, per quanto possibile, a calarsi nella realtà della singola persona. E, quindi, riuscire ad avere una visione “ olistica” del paziente nel suo insieme, piuttosto che semplicemente dello stato del suo occhio. Questo è molto importante, per cui noi siamo abituati un po’ più a “guardare globalmente”, anche oltre il puro aspetto oculare per cercare il miglior modo di aiutare ll’ipovedente. Questa visione, un po’ più completa, ci consente anche di sfruttare le competenze delle altre professionalità coinvolgibili, perché con un approccio di questo tipo ovviamente ci si rende conto che da soli non si ha mai il quadro completo della situazione. Quindi, l’idea di lavorare in equipe è per noi un po’ più semplice e naturale, rispetto al vissuto di un’oculista “normale”. Siamo come dice un mio amico ottico, “diversamente” oculisti.
A Prisma si è anche parlato dei prossimi appuntamenti...
R.V.
L’anno prossimo ci sarà il XI Congresso PRISMA a Firenze il 10 e 11 Marzo, successivamente a Giugno ci sarà quello della Società Europea di Ipovisione, in Grecia, mentre sempre a Firenze, nel 2025, organizzeremo il Congresso Mondiale, analogo a quello che quest’anno sarà tenuto In Colorado, a Denver, negli Stati Uniti. Questo perché c’è, a livello di Congressi Internazionali, la tendenza a distribuire nel tempo gli eventi in differenti continenti, in modo da permettere un po’ a tutti di essere di volta in volta maggiormente presenti in base al posizionamento geografico. In linea di massima, si fa un anno il Congresso Europeo, l’anno successivo l’Internazionale organizzato in Europa ad anni alterni. Lo scorso anno l’evento, slittato per colpa del Covid, si è tenuto a Dublino mentre, come accennato, sarà a Denver nell’edizione successiva. Mentre tra due anni quello internazionale sarà ospitato a Firenze, in un’alternanza pensata per accontentare un po’ tutte quante le componenti – un po’ come avviene per i campionati di calcio -.
Un’ultima domanda: parliamo di aspettative prossime venture e di criticità, anzi di un’aspettativa e di una criticità che a vostro parere meritano di essere poste in primo piano...
A.DA.
Allora, partiamo dalla criticità, che secondo me riguarda i congressi internazionali, che sono molto impegnativi per il range cui siamo abituati in Italia, sia dal punto di vista economico sia per lo sforzo lavorativo ed organizzativo necessario per una buona riuscita dell’evento. Anche i costi di partecipazione, per i nostri standard un po’ costosi, costituiscono un ostacolo, ragione per cui temo che la partecipazione italiana, anche al congresso internazionale che stiamo organizzando nel nostro Paese, potrebbe risentirne.
RV
E questo secondo me è un problema, perché in Italia noi siamo abituati ad avere dei congressi piuttosto low cost; purtroppo , di contro, quelli internazionali sono molto, molto impegnativi economicamente. D’altro canto, però, la visibilità determinata in Italia dall’organizzare un Congresso internazionale di ipovisione credo sarà comunque una grandissima occasione, un grandissimo volano. Direi una grande opportunità, comunque.
A.DA.
Un altro aspetto di cui ci stiamo rendendo conto nell’organizzare questo evento, è relativo alla gestione stessa degli ipovedenti. In Italia, rispetto a quanto avviene altrove, la figura dell’oftalmologo, in ambito ipovisivo è meno considerata e molto meno coinvolta. Questo ha sollevato alcune critiche, relative alla preponderanza dei temi oculistici rispetto ad altri aspetti, nel redigere il programma. Ma questo approccio non significa necessariamente esprimere un’idea sbagliata...
Per concludere, un invito, un consiglio o una considerazione da dedicare agli ottici, che costituiscono il core della nostra rivista...
A.DA.
L’invito è sicuramente quello di formarsi, di fare dei corsi di formazione perché l’ipovisione è un mondo a parte, per l’oculistica e anche per l’ottica, che in quest’ambito ha il delicato compito di occuparsi degli ausili. Ambito in cui è veramente necessario disporre di un tecnico super specializzato in questo tipo di problematiche. Io mi ritrovo spessissimo a ricevere telefonate di ottici che non capiscono le mie prescrizioni, perché magari sul territorio gli ottici più smart da questo punto di vista sono pochi. Il paziente, come logico, tende a rivolgersi al suo ottico di fiducia, che però non sempre dispone di una cultura sufficientemente specifica per poter affrontare il problema del l’ipovisione. Quindi l’invito è sicuramente quello di formarsi facendo dei corsi specifici, perché l’ipovisione è un mondo a parte, per tutti noi.
R.V.
Va detto che questo tipo di impegno, que- sto sforzo nell’aggiornarsi non è probabilmente ripagato fino in fondo sotto il profilo economico. Ma dobbiamo considerare, al contrario, che al di là dell’aspetto puramente venale, un ottico ben preparato porta questa sua specializzazione come un fiore all’occhiello delle proprie competenze, si riflette in una pubblicità che poi ha il suo riscontro sotto altri profili. La stessa cosa, per altro, avviene anche per l’ambito oculistico. In ospedale, l’ambulatorio di ipovisione sicuramente non è remunerativo per la clinica oculistica perché si utilizzano tempi e risorse importanti per un ticket che è ridicolo. Però, lavorando ad alti livelli qualitativi, il vantaggio è quello di costituire un polo di richiamo importante e diventare un vero e proprio punto di riferimento territoriale.
PRISMA
La Società Scientifica PRISMA (Professionisti Riabilitazione Ipovisione Studio Malattie Associate) è una associazione no profit nata con lo scopo di costituire un riferimento culturale e divulgare le nuove conoscenze che si sviluppano nel campo della ipovisione e della riabilitazione visiva, nonché di favorire sinergie tra le categorie professionali coinvolte nella cura, nella prevenzione e nella compensazione di coloro che hanno gravi deficit visivi. Tra i suoi scopi, inoltre, favorire iniziative sociali e legislative tendenti a migliorare la qualità della vita delle persone ipovedenti e costituire un punto di riferimento per quanti necessitino di fruire dei servizi della società. www.ipovisioneprisma.it