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"Baba" Demas Nwoko

GOLDEN LION FOR LIFETIME ACHIEVEMENT

18. Architecture Biennale, Venice

Built on art

by Marisa Santin

Nigerian artist, designer, writer, set designer, critic, and architect Demas Nwoko, born in 1935, embodies the term “pratictioner” perfectly, a definition that Lesley Lokko introduces at this year’s Biennale to describe the participants in her Laboratory of the Future.

He is 80 something now – says Lokko – and he’s from a very particular period of Western African history. But for me, he is the original Renaissance architect

In a continent where architecture is often seen as a matter of modernization and westernization, Demas Nwoko’s works have become a model of sustainable development that has inspired a new generation of African architects and designers. Regarding her choice to award Demas Nwoko with the Golden Lion for Lifetime Achievement, Lokko said: I was reminded of something that my father used to say to me: “You always stand on the back of somebody else”. So for me it was a combination of two things. On the one hand hearing my father’s voice and on the other hand seeing this body of work that moved between painting and drawing and making and building and religion and culture and protest in really interesting ways.”

(full italian version)

Artista, designer, scrittore, scenografo, critico e architetto nigeriano, classe 1935, Demas Nwoko è la perfetta incarnazione del “pratictioner”, definizione che Lesley Lokko introduce in questa Biennale per definire i partecipanti del suo Laboratorio del Futuro.

Nwoko è una figura che si è mossa con estrema agilità tra una serie di diverse discipline creative e che per questo rappresenta l’emblema dell’architetto poliedrico. «Oggi poco più che ottantenne – spiega Lokko – “Baba” Demas appartiene ad un periodo molto particolare della storia dell’Africa Occidentale. Se fosse nato in epoca più recente molto probabilmente sarebbe stato accolto da un pubblico più vasto e il suo lavoro avrebbe suscitato un interesse molto più forte. Purtroppo, non è stato così».

In un continente in cui l’architettura è spesso vista come una questione di modernizzazione e occidentalizzazione, i progetti di Demas Nwoko sono diventati un modello di sviluppo sostenibile che ha ispirato una nuova generazione di architetti e designer africani. Riguardo alla vivacità e all’unicità dell’architettura africana, Nwoko sottolinea che «la differenza tra le nostre città e quelle europee è che quest’ultime sono in qualche modo più fossilizzate. Tornare a Parigi adesso a distanza di 50 anni dalla prima volta è come se nulla fosse cambiato. Qui in Africa invece stiamo costruendo ora le nostre città, per cui abbiamo maggiori possibilità di scegliere in qualunque momento i modelli offertici dal resto del mondo».

La reinterpretazione di modelli occidentali declinati in una visione non convenzionale, artistica e sostenibile si manifesta in tutta la produzione di Nwoko, e in particolare in alcuni edifici i cui progetti saranno esposti nel Padiglione Stirling ai Giardini durante la Biennale. Fra questi il New Culture Studio, un edificio contemporaneo che da galleria d’arte ha assunto la funzione di centro di formazione per le arti dello spettacolo e del design, e la Cappella del Dominican Institute di Ibadan, una costruzione realizzata con materiali locali che accosta elementi architettonici tradizionali, quali il sistema di ventilazione, con altri riguardanti l’aspetto più intimo del culto stesso. L’eredità di Demas Nwoko rappresenta nel suo complesso un’imponente testimonianza della bellezza e dell’importanza della cultura e delle tradizioni africane. Ma l’attribuzione del Leone d’Oro alla sua carriera non è dovuta solo alla volontà di aggiungere un capitolo fondamentale alla storia incompleta dell’architettura. La scelta ha anche motivazioni più personali. Dice Lokko: «Mio padre mi ripeteva sempre: “Ci reggiamo sulle spalle di qualcun altro”, vale a dire che dobbiamo essere sempre consapevoli che i nostri risultati non sono solo il frutto del nostro lavoro individuale, ma anche del lavoro di chi ci ha preceduti. Ed è così che ho pensato a lui. Per me si è trattato essenzialmente di una combinazione di due elementi: da un lato sentire la voce di mio padre e dall’altro lato vedere la poliedricità di una produzione che spazia dalla pittura al disegno, dalla costruzione di edifici alla religione, dalla tradizione culturale alla contestazione». Marisa Santin

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