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L’ULTIMA BOA editoriale
di Massimo Bran
La forbice che denota e connota il quotidiano vivere in questa città, da sempre altra ma per ragioni altre, si sta progressivamente di anno in anno allargando, con effetti sempre più preoccupanti circa l’inveramento di un’idea normale, ordinaria di comunità, di territorio urbano inteso in una sua alta e risolta complessità. Qui le complessità non solo si fanno sempre più irrisolvibili, ma addirittura si fanno sempre più inaffrontabili in un’ottica di integrata composizione tra apparenti opposti. Noi in queste pagine, con il nostro lavoro, raccontiamo, cercando di farlo al nostro meglio, l’immagine concretissima di una città vitale, che dipana le sue attività e le sue proposte culturali in uno degli autentici epicentri della contemporaneità planetaria. La densità di proposte, di progetti artistici, certo prevalentemente espositivi, qui a Venezia trova pochi rivali nel mondo non solo in termini proporzionali alla superficie e alla densità abitativa della città, ma proprie in ordine di numeri assoluti. Numeri che fanno impressione e che dicono di una tenuta, anzi, di una crescita esponenziale dell’offerta culturale di questa città ai più illeggibile e inafferrabile.
Lo sappiamo, la Biennale in questi ultimi vent’anni è stato il motore principe di questa qualificata lievitazione del termometro culturale urbano, capace non solo di crescere in sé e per sé in quasi tutte le braccia del suo composito delta settoriale, con tutte le sue mostre d’arte e di architettura e i suoi festival di danza, musica e teatro, ma anche e soprattutto di coinvolgere con straordinario magnetismo sempre più soggetti, oggi si direbbero player, cruciali dell’arte internazionale, fondazioni, gallerie, singoli artisti, istituzioni governative, creando un vero e proprio sistema del contemporaneo. Di anno in anno siamo passati da partecipazioni stagionali, in concomitanza con le varie Biennali, a insediamenti permanenti di decine e decine di questi soggetti che qui hanno acquistato spazi e palazzi scommettendo, a ragion veduta, sulla già presente, ma ancor di più futura supremazia internazionale di Venezia nel contemporaneo. Sono cose felicemente ormai risapute, che noi per primi non manchiamo sin troppo spesso di sottolineare, e su cui quindi non vi è ragione qui di dilungarsi ancora, se non per dire, per disperatamente provare a far presente a chi dovrebbe avere chiara la direzione che dovrebbe prendere questa città che è questa, ora, l’ultima boa a cui aggrapparsi per ritrovare il necessario ossigeno per raggiungere l’altra riva lontana, quella di una complessa e complessiva rinascita. Parlavamo di sistema, del sistema-arte prima. Che c’è, più che per un disegno progettuale strategico, per impulso non sempre ordinato di un settore in impetuoso divenire. Ma tant’è ed evviva. Ma è un solo sistema, uno dei vari che dovrebbero caratterizzare l’articolazione vitale di una città, la somma dei quali andrebbe a definire un vero, meditato e progettato sistema-città. E qui eccoci risucchiati nel vuoto. Chi attraversa la città quotidianamente, ormai in tutte le sue stagioni, misura di giorno in giorno l’esondante degrado di un turismo, il cosiddetto overtourism, che divora tutto, che succhia il sangue nelle vene del corpo-città. Un flusso di piena incontenibile, ormai al suo punto di quasi non ritorno. Un’onda costante cui anche con le migliori idee, le migliori menti in campo sarebbe difficile fermare oggi, perché troppo in ritardo ci si andrebbe a contrapporre a un fenomeno così massificato. Uso il condizionale perché non solo ciò non accade seppur oramai fuori tempo massimo, ma addirittura neanche si intravede il primo albeggio di una reazione siffatta. La catastrofe più che politica, verrebbe da dire antropologica di questa città, di ciò che esprime in termini di establishment, di borghesia delle professioni, dei mestieri, dell’imprenditorialità, è tale da non autorizzare praticamente più a sperare in alcunché. Una catastrofe endemica, epidemica, senza apparente cura. Il tutto in un luogo che è costitutivamente, per sua natura, artificio, storia, ma soprattutto oggi per i connotati di straordinaria, potenziale socialità dei suoi spazi urbani, modello di residenzialità del futuro, a tu per tu con un’ininterrotta bellezza, centro pedonale per eccellenza da sempre, ricco di aree industriali abbandonate, mi si passi l’ossimoro, che sarebbero il teatro ideale di una parziale riconversione della destinazione produttiva, e quindi residenziale, della città in linea con tutti i dettami cosiddetti sostenibili (questo termine indigeribile…!), green, di cui tutti nel mondo occidentale da tempo si riempiono la bocca e che in più di qualche dove, però, trovano espressione concreta, rimodellando e rivitalizzando centri, o aree di essi, che si davano per defunti. Quanti progetti, quante parole, quanti convegni, dibattiti, workshop a riguardo, che quando ti invitano al prossimo la mano scende fatalmente verso il fodero per fortuna vuoto di canne fumanti… Migliaia di elaborati, di atti che dicono, indicano, talvolta in maniera convincente talaltra meno, direzioni possibili, concrete di rivitalizzazione di una città ormai senza più società, comunità. Tutte cose alte e belle quanto profondamente sterili e inutili, direi frustranti, quando una classe dirigente degna di questo nome a dirigere le sorti della città semplicemente non esiste. Esiste un navigare a vista raffazzonato, sgrammaticato, uno spezzatino senza collante, fatto di risoluzioni fini a sé stesse e spesso senza costrutto, quando non proprio nocive. Inutile star qui a intristirci ricordando risoluzioni inutili quali il ticket d’accesso, o le imbarazzanti uscite sul terreno dell’arte e della cultura di gente che sembra passata qui per caso non si sa bene venendo da dove, con il cosiddetto Primo Cittadino capace di performance da baraccone che manco al Bagaglino i tempi che furono, come quella messa in scena alla vernice del Padiglione Italia, nell’imbarazzo e desolato sconcerto di tutti mentre lui ridanciano si gonfiava come un gallo assediato dalla cosiddetta intellighenzia snob…
Insomma, si è davvero esausti di tanta inadeguatezza. Ma la responsabilità è di tutti, di tutti noi che ancora increduli non ci capacitiamo di tanta arrogante mediocrità e che al suo cospetto non siamo ancora in grado di disegnare insieme una strada nuova e davvero percorribile per almeno incominciare ad uscire, a provare ad uscire da questa sabbia mobile. Brugnaro è solo la punta, certo esageratamente appuntita, di un iceberg che si è gonfiato negli anni, nei decenni. Sarebbe facile ora sparargli, metaforicamente s’intende, addosso, alla luce di quanto abbiamo sinora solo parzialmente saputo dalle indagini condotte dalla Procura attorno all’operato suo e di troppi componenti apicali della sua giunta e del suo entourage governativo. Questa è materia della giustizia, e il giustizialismo forcaiolo lo lasciamo a chi si nutre di astio a comando, ben supportato dalla deriva cosiddetta “social”. Certo, chi ha un ruolo politico, pubblico, avrebbe il dovere almeno di sollecitare chiarezza, ma soprattutto di farne lui per primo, non solo quando costretto, e a suo modo naturalmente, a farlo perché pressato dall’opinione pubblica e da quel che resta dell’opposizione. Nei paesi in cui la cultura delle regole è decisamente più solida della nostra in situazioni come queste un esponente delle istituzioni, del governo, sia esso nazionale o territoriale, non dico che si dimetta sempre seduta stante, ma di sicuro come minimo anticipa tutti chiedendo scusa almeno per quello che risulta ai più evidente anche se non ancora passato in giudicato. Fantascienza. Va bene, o meglio, va male, ma non è questo il punto più grave. Anzi, lo è non tanto e non solo per i fatti in sé che racchiude, che se confermati sono comunque di rilevante importanza, quanto perché distrae ancor di più dal punto focale vero su cui ci si dovrebbe concentrare per edificare le basi di un futuro più vivibile di questa città: la costruzione di una visione, di un progetto a medio e lungo termine per fare ritornare questa città una vera città. Istanze che suonano sicuramente astruse, o meglio, astratte alle orecchie di chi oggi guida i nostri giorni qui. Per cui attenzione a concentrarsi esclusivamente sugli eventuali fatti corruttivi, così da allontanarsi dal vero nodo cruciale di questa crisi profonda che sta soffocando Venezia.
È ora di darsi una vera svegliata, a partire da chi si deve opporre a questo degradato stato delle cose, consapevoli però che ormai è solo dall’alto, da fuori che deve arrivare una scossa energica e vitale in grado poi di riavviare un corpo sociale esausto, livido, depresso. Buon cinema, buona arte, buona musica a tutti intanto, aggrappiamoci insieme forte a questa indistruttibile boa di nome Cultura.