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Cultura e spettacoli

40 arte contemporanea

«Chiavi di accesso», tre artisti al Rimoldi Al Museo di Cortina, fino al 6 aprile, Mario Tomè con Fliri e Degiorgis

Entra nella sua seconda fase «Chiavi di Accesso», il progetto voluto e sostenuto dal Gal Alto Bellunese per rinnovare il messaggio e i contenuti dei musei del territorio attraverso il contributo dell’arte contemporanea. Fino al 6 aprile infatti i lavori di Michael Fliri, Nicolò Degiorgis e Mario Tomè, i tre artisti coinvolti nel progetto, saranno visibili insieme nella sede espositiva del Museo d’Arte Moderna Mario Rimoldi di Cortina d’Ampezzo. Alle fotografie del ciclo «My Private Fog» di Michael Fliri, già in mostra al Museo Rimoldi dallo scorso 29 dicembre, si affiancheranno l’installazione «I Bareloi» di

Mario Tomè, ospitata precedentemente al Museo Etnografico di Zoppé di Cadore, e il lavoro «Cima» di Nicolò Degiorgis, che ha accolto fino allo scorso 31 gennaio i visitatori del Museo della Magnifica Comunità di Cadore di Pieve di Cadore. L’obiettivo è di permettere ai visitatori una visione unitaria degli interventi artistici di Fliri, Degiorgis e Tomè, con l’intento di favorire la comprensione globale delle loro riflessioni su territori vicini geograficamente, ma dalle caratteristiche spesso assai specifiche e per apprezzare come attraverso un linguaggio contemporaneo, gli artisti siano entrati in contatto con il territorio

e con le collezioni delle tre realtà museali del territorio Bellunese ridandone una loro personale interpretazione. Con «My private fog» Michael Fliri riflette ancora una volta sul tema della Maschera, da tempo al centro della sua ricerca creativa. Grazie alla sottile forza narrativa della nebbia, l’artista rende visibile lo spazio che separa l’oggetto Maschera e il volto che la indossa: due singolarità considerate il più delle volte ed erroneamente come unità. A tracciare la reale separazione fra i due elementi è la condensa del respiro emesso dall’individuo, portatrice di sue private e inti-

Poesia

Le poesie delle terre alte di Roberta Dapunt voce di una montagna che è anche la nostra Ho promesso a un’amica che avrei scritto di lei, anche se avrei voluto tenere solo per me le sue parole. È bello però che anche altri si avvicinino, anche per mezzo mio, a Roberta Dapunt. Nata nel 1970 in Val Badia, è rimasta fedele sempre al suo mondo alpestre, ha sposato lo scultore Lois Anvidalfarei ed ha due figlie. Abita in un «maso» ed è una poetessa. Il suo libro «Le beatitudini della malattia» mi è stato regalato da Patrizia Dalla Rosa, che è sua amica da molto, e che un giorno, visitandola, ha avuto modo di leggere alcune sue composizioni. Dalla Rosa ha capito che non erano semplici parole ma vere e proprie poesie. L’ha incoraggiata a uscire dal suo ambiente e farsi conoscere. Così Dapunt si recò a Brunico dove Erri De Luca teneva una conferenza. Non riuscì a incontrarlo e senza dire niente a nessuno tornò a casa lasciando su un tavolo alcuni foglietti con i suoi scritti. De Luca li lesse, capì e si informò su chi fosse l’autore fino a riuscire a trovarla: su in montagna nella sua casa di contadina. Da questa amicizia nacque la visibilità della donna oltre la valle e nel 2008 uscì per Einaudi «La terra più del paradiso» e per l’editore Folio (Vienna Bolzano) nel 2012 una raccolta di poesie scritte in ladino «Nauz» mangiatoia. Molte delle parole di Dapunt sono anche le nostre, di noi che abitiamo le «alte terre», ed esprimono quello che abbiamo dentro ma non riusciamo a dire o scrivere. Per esempio il miscuglio di religione, tradizioni e attualità: «Che tu possa tenere strette nella mente le orazioni quotidiane, i vespri e le memorie. Che in ogni spazio del tuo cuore siano concubini i misteri del rosario e le canzoni, di quando fuori tra le erbe a seccare cantavi».

Oppure la sensazione di essere parte della natura così viva in montagna: «Misura evidente la mia. È fedeltà a questi luoghi, che ovunque diventano me stessa poiché sono qui dentro il corpo. Prospettiva che irrompe amico mio entra a forza la primavera…». Infine le parole che danno il titolo al libro che parla di una malata di Alzheimer: «Sono nella tua demenza il potere e la direzione, l’autorità e la volontà egemonica. Sono l’ordine di ogni tuo movimento, del tuo viso lavato, del fazzoletto che tieni in tasca. Sono la testa, la guida alla tua ubbidienza. E sono Il precetto quotidiano e la

regola di condotta. L’impero dentro il quale trascorri l’esistenza». Ma non tutto e non sempre nella malattia è sofferenza. Nella quieta beatitudine di certe anime arriva solo la poesia «Una foglia e l’altra. Un’altra di diverso colore e nelle mani dalla carne sfiorita le tieni inespresse, costrette solamente alla loro bellezza. Mi sorridi e d’intorno sei sospensione del tempo, un filo d’erba che ignora il suo prato. Incantevole dono il tuo». Come ha » detto» qualcosa a me lo dirà anche a voi che leggerete. Roberta Dapunt «Le beatitudini della malattia» Giulio Einaudi editore anno 2013. Giuditta Guiotto

me realtà. Le immagini di Fliri si integrano perfettamente con la collezione del Museo Rimoldi, facendo da contrappunto alle opere presenti e dialogando con esse. «Cima» è il titolo dell’opera elaborata da Nicolò Degiorgis: una nuova mappatura delle cime del Cadorino, condotta attraverso la fotografia artistica e presentata attraverso la forma agile e contemporanea della fanzine. L’obiettivo della macchina fotografica di Degiorgis indaga le montagne e le cave del territorio di Cima Gogna, che si inseguono e si congiungono pagina dopo pagina creando un ciclo continuo dal giorno alla notte, dall’estate all’inverno. Le copie della pubblicazione, a disposizione dei visitatori, coprono una struttura che ricorda la forma di un albero o di una cima, appunto: raccogliere una copia si trasforma da atto di sottrazione a gesto di arricchimento e stimolo alla nascita di uno sguardo nuovo sul magnifico territorio dolomitico. Mario Tomè infine, artista-performer che da diversi anni indaga sull’ambiente della montagna e profondo conoscitore del territorio dell’alto bellunese e delle sue zone, presenta i risultati del lavoro di ristrutturazione di una vecchia scofa (fienile) dell’inizio del Novecento, di proprietà della sua famiglia, «I Bareloi», appunto. Una traccia di passato da conservare attraverso il recupero di metodi, tecniche costruttive e scelta dei materiali dell’epoca. Attraverso diapositive, fotografie d’epoca e materiali costruttivi che diventano sculture. Tomè rende omaggio ad una tradizione che la corsa al progresso ha troppo velocemente e superficialmente dimenticato.

L’Amico del Popolo 5 MARZO 2015 - N. 9

un convegno il 26 febbraio

Da Feltre e Bolzano per la Claudia Augusta I confini segnano città, regioni, nazioni, oggi non più per marcare divisioni o contrapposizioni, ma per contrassegnare identità e specificità; d’altro canto i percorsi oltrepassano i confini per promuovere incontri e scambi. In questa ottica si è svolto giovedì 26 febbraio presso l’auditorium Eurac di Bolzano un convegno dedicato alla via Claudia Augusta, anello di congiunzione di ambienti e culture diverse. L’antico percorso romano, che l’imperatore Claudio intorno al 46 d.C. potenziò al massimo, procedeva dal porto adriatico di Altinum (Altino) fino alle rive del Danubio. Snodi importanti erano la città di Feltre e il comune di Lamon che in questa particolare occasione hanno visto presenti al convegno i sindaci Paolo Perenzin e Vania Malacarne. L’obiettivo di una governance transnazionale, motivo di fondo del convegno, è quello di creare un’ampia rete per valorizzare il patrimonio ambientale e culturale del territorio in interfaccia con le altre realtà con cui si dipana un filo rosso lontano nel tempo: l’ambizioso circuito romano che congiungeva popolazioni venete e retiche. Giorgio D’Agostini, presidente dell’associazione “Via Claudia Augusta Italia” ha ricordato come l’incontro tra mondo latino e germanico fu teatro di ampi spostamenti di popolazioni e di grandi eventi storici. Sulla via Claudia Augusta in età medievale transitarono popolazioni longobarde franche, eserciti del Sacro Romano impero; mercanti, pellegrini, monaci, intellettuali, artisti contribuirono a mantenere vivi i contatti e gli scambi tra le popolazioni italiche e germaniche Sorsero nel corso degli anni borghi, città, castelli, fortezze in un contesto naturalistico suggestivo ed unico. Opera di grande ingegno e di forte determinazione, la via Augusta è una strada forgiata e temprata dalla storia. D’Agostini ne ha sottolineato, in particolare, l’attuale valenza europea: un progetto transnazionale aperto, predisposto per un fattivo e proficuo sviluppo economico e culturale a beneficio di tutti gli ambiti territoriali. Tante componenti diverse, ma un preciso punto di riferimento. Oggi il turista, che autonomamente si organizza, avvalendosi delle risorse informatiche, ama progettare percorsi ad ampio raggio ma seguendo un filo conduttore. La via Claudio Augusta risponde a questa duplice esigenza: il cammino che essa segna ha quella linearità di sviluppo che fu prerogativa del genio romano e nel contempo si dipana in contesti paesaggistici sempre nuovi, che vanno dalla pianura alla montagna, dal mare all’ambiente fluviale o lacustre, dalla città al villaggio. Considerato il ruolo di primo piano che la Claudia Augusta mantenne nei secoli, l’offerta culturale è particolarmente ricca: si spazia dall’archeologia al castello, da villaggi incontaminati, in cui si custodiscono antiche tradizioni, ai monumenti e ai musei di città d’arte. E non manca certo l’aspetto ludico e sportivo. Se la via Augusta Altinate fu un tempo teatro degli spostamenti delle legioni romane, oggi si prospetta come un’ arteria ciclistica transalpina attraente anche sul piano operativo grazie alle efficienti strutture che mette a disposizione a chi intraprende questa avventura. In Alto Adige la ciclovia che costeggia il fiume Adige ha già un collegamento diretto con la via Claudia Augusta. Da Trento attraverso la Valsugana il percorso ciclabile è destinato a raggiungere Feltre. Il percorso ciclabile transalpino trova buoni riscontri sul piano del turismo sostenibile e di Enrica Bazzali qualità.

Per la stagione del circolo culturale bellunese

Musica barocca il 10 al Giovanni XXIII con il trio di Trevor Pinnock

Pinnock al cembalo, con Matthew Truscott al violino e Jonathan Manson alla viola da gamba Per il Circolo Culturale Bellunese il ricordo di Trevor Pinnock è legato al suo concerto di qualche anno fa al Teatro comunale: in programma l’integrale dei Concerti Brandeburghesi nell’esecuzione dell’European Brandeburg Ensemble, diretto appunto da Pinnock che ne volle e curò anche la formazione. L’adesione del pubblico bellunese fu tale da sorprendere Pinnock stesso il quale, oltre a compiacersi del teatro esaurito, fu stupito dalla presenza di tanti giovani ed ebbe parole di apprezzamento per l’entusiasmo e la partecipazione attenta dell’intero uditorio. L’augurio del Circolo è che il 10 marzo il suo ritorno a Belluno sia salutato con la medesima calorosa affluenza ed emozione di quel lontano 2 febbraio 2007. Martedì 10 marzo (ore 20.30) Trevor Pinnock suonerà questa volta al Teatro Giovanni XXIII in trio con Matthew Truscott al

Trevor Pinnock.

violino e con Jonathan Manson alla viola da gamba. Un trio di eccellenza sullo scenario internazionale odierno, che vede riuniti tre dei maggiori interpreti del repertorio barocco. Il loro concerto prevede infatti una panoramica della produzione barocca europea dalla metà del sec. XVII alla metà del secolo successivo, attraverso la lezione di alcuni fra i compositori più rappresentativi: il tedesco J. J. Froberger,

allievo di Gerolamo Frescobaldi, il danese D. Buxtehude, i francesi J. Ph. Rameau e J. M. Leclair, quest’ultimo di formazione italiana, e naturalmente, J. S. Bach e G. Ph. Telemann, accomunati dall’origine, dall’età e dalla ricchezza e varietà delle opere. Di ognuno di loro ascolteremo Sonate solistiche (dal cembalo solo di Pinnock), Sonate a due (cembalo e violino o viola da gamba) e a tre con il violino, che, quanto a struttura formale e scrittura tecnicostrumentale, rimandano ad Arcangelo Corelli, quale maestro più significativo e influente. Quell’Arcangelo Corelli, le cui Sonate da Chiesa e da Camera, eseguite dal Trio L’Estravagante nei due successivi concerti nell’Aula Magna dell’Istituto Catullo, hanno offerto un saggio dell’arte violinistica e delle arditezze armoniche e virtuosistiche che ritroviamo poi in molti dei suoi contemporanei.

Ma veniamo ora agli interpreti. Trevor Pinnock è conosciuto in tutto il mondo come clavicembalista e direttore. Con la sua orchestra The English Concert, fondata nel 1972 e diretta per oltre trent’anni, è stato un pioniere nella pratica dell’interpretazione della musica barocca e classica sugli strumenti d’epoca. Oggi Pinnock suddivide i suoi impegni tra la direzione delle principali orchestre sinfoniche, recital solistici, concerti da camera e progetti didattici. Con lui Matthew Truscott e Jonathan Manson. Truscott è professore di violino barocco alla Royal Academy of Music di Londra, dove ha studiato prima di perfezionarsi a L’Aia e negli Stati Uniti. Truscott suona sia violini moderni, come spalla di prestigiose orchestre, che antichi (collaudata e fruttuosa la sua collaborazione concertistica e discografica con Pinnock). Jonathan Man-

son, violoncellista e gambista, è professore alla Royal Academy of Music. Nato a Edimburgo, dopo gli studi di violoncello si è avvicinato alla musica barocca, perfezionandosi con Wieland Kuijken. Fondatore del quartetto di viole da gamba Phantasm, ha vinto numerosi premi, tra i quali due Gramophone Awards. Per dieci anni è stato primo violoncello dell’Amsterdam Baroque Orchestra, con la quale ha registrato tutte le Cantate di Bach. È primo violoncello dell’Orchestra of the Age of Enlightenment e nello stesso ruolo opera in molti ensemble di musica da camera, spaziando dal repertorio barocco a quello romantico. Con Pinnock, al quale è legato da una lunga intesa artistica, ha registrato le Sonate per viola da gamba e cembalo di Bach e, insieme a Rachel Podger, le Pièces de clavecin en concert di Rameau. Luisa Coin


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