MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE SCUOLA DI PROGETTAZIONE ARTISTICA PER L’IMPRESA DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO IN PROGETTAZIONE DELLA MODA
VESTIRE IL GENTILUOMO Un abito per Newland Archer in L'età dell'innocenza
di
VIRGINIA BLANDO 5923 Relatore PROF. VITTORIO UGO VICARI
A.A. 2012-2013
Dedicato alle persone piĂš importanti della mia vita, la mia famiglia e il mio grande amore.
Indice generale
Introduzione
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Capitolo primo: note di storia della moda maschile (1870-1910) .
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Capitolo secondo: L’età dell’innocenza
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pag. 85
1. Nemesi di un romanzo
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2. Nemesi di un film
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Capitolo terzo: Gabriella Pescucci. Note biografiche e di stile .
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Capitolo quarto: metodo e proposta progettuale
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1. La progettazione dell’abito
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2. La progettazione degli accessori
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Apparati
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Indice delle illustrazioni .
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Bibliografia
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Sitografia
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Introduzione
L’idea che ha portato a sviluppare la seguente tesi, nasce dal desiderio di voler approfondire l’arte costumistica di Gabriella Pescucci in seno ad un progetto culturale dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, ancora in divenire, intitolato Newyorkers. I “costumi” della Grande Mela ne L’età dell’innocenza di Wharton-Scorsese-Pescucci, ideato da Vittorio Ugo Vicari (mio relatore, cattedra di Storia del costume di scena) e curato da lui stesso e dalla Prof.ssa Francesca Pipi (cattedra di Tecniche sartoriali per il costume). In seno al laboratorio sartoriale che ne è parte, a differenza di altri alunni i quali hanno sviluppato unicamente abiti femminili compresi nell’arco cronologico 1870-1910, io ho approfondito la figura e il guardaroba del protagonista maschile del romanzo e dell’omonimo film, ovvero Newland Archer . Per studiare e conoscere al meglio i personaggi, il contesto sociale e il periodo storico in cui si svolgono i fatti dell’opera sopracitata, ho come prima cosa letto il romanzo di Edith Warthon. In seguito ho visionato tutte le produzioni cinematografiche e i film con cui la costumista Gabriella Pescucci ha collaborato, per una migliore comprensione del suo stile e del suo metodo di lavoro, soffermandomi e analizzando in particolare il film di Martin Scorsese L’età dell’innocenza(1993). Grazie a questa attenta analisi ho potuto finalmente scegliere l’abito da realizzare. 7
Scelto il modello che avrebbe indossato l’abito e prese le relative misure, ho iniziato la vera fase lavorativa, dedicandomi inizialmente allo studio e alla realizzazione dei cartamodelli del periodo interessato (1870-1910), della giacca, del panciotto e del pantalone. Dopo aver creato i modelli, ho tagliato il cartamodello della giacca in un tessuto di scarto realizzando un prova per poter visualizzare eventuali difetti. Correggendo le relative imperfezioni, ho tagliato direttamente sul tessuto da me scelto (il lino) il capo definitivo. Lo sviluppo sartoriale è partito con la realizzazione del pantalone, poi del panciotto a doppiopetto, ed infine della giacca in monopetto. A progetto finito, ho corredato l’abito con i relativi accessori usati all’epoca per un maggiore coerenza e completezza. La tesi è composta anche da una parte scritta in cui è stata fatta ricerca e studio della storia della moda nel periodo 1870-1910, con particolare riguardo all’evoluzione storica degli abiti maschili. È stata approfondita la biografia della scrittrice Warthon, del regista Martin Scorsese e della costumista Gabriella Pescucci per descrivere infine, nell’ultimo capitolo, passo dopo passo, tutte le fasi di realizzazione dell’abito. Tengo molto a ringraziare le persone che mi sono state vicine e che mi hanno aiutato durante la realizzazione della tesi. Comincio dal mio relatore, il Prof. Vittorio U. Vicari, continuando con la Sartoria teatrale Pipi (e la Prof.ssa Francesca Pipi in particolare) con cui ho collaborato per la realizzazione dell’abito, ed il Prof. Sergio Pausig, che mi ha instradato alla composizione dei materiali portfolio online. 8
Grazie anche ad Antonio Cirrincione, che si è prestato gentilmente ad indossare l’abito da me realizzato. Un ultimo ringraziamento va anche all’Accademia di Belle Arti di Palermo ed al Prof. Sandro Scalia in particolare, che hanno reso disponibile la sala di posa del Corso di fotografia per il relativo servizio, realizzato grazie al contributo dell’alunno Alberto Saeli del Corso di Grafic design.
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Capitolo primo: note di storia della moda maschile (1870-1910)
L’analisi dell’abito maschile dell’ultimo quarto del secolo XIX non può prescindere da una disamina delle evoluzioni sartoriali dell’Ottocento, a partire dalle novità imposte dal periodo Rivoluzionario francese. A tale evento si sovrappone e corre parallelamente un altro e maggiore effetto: la nascita, lo sviluppo ed il compimento dell’estetica dandy tra XVIII e XIX secolo. Dalla sintesi di questi due fenomeni nasce l’abito maschile che qui ci interessa; informale, alto-borghese, intellettuale, sprezzante. Da questi presupposti, s’intende qui disaminare sulla “figura” e guardaroba di Newland Archer, protagonista del film L’età dell’innocenza, di Martin Scorsese, Stati Uniti, 1993, nella versione costumistica di Gabriella Pescucci.
I. 1 Consolato e Impero (1799-1815)
I.1.1 Introduzione storica Il 18 Brumaio (ovvero il 9 novembre) del 1799 Napoleone Bonaparte (1769-1821) assunse il potere in tutta la Francia; lo stesso anno venne nominato Primo Console. La società che si trovò a governare era molto diversa da quella al potere dieci anni prima: nuovi uomini d’arme, uomini di ritorno dall’esilio e donne di ogni tipo. Nel 1804 fu proclamata la nascita dell’Impero, celebrato nella ceri11
monia d’Incoronazione il 2 Dicembre. Tra le varie innovazioni d’età napoleonica è il Codice Civile, esteso a tutte le nazioni controllate dalla Francia. Esso conteneva un’organica affermazione del diritto privato, comprese le più importanti conquiste del periodo rivoluzionario: si stabilirono le regole della proprietà privata, l’importanza della famiglia e del diritto di successione, che non era più legato alla primogenitura ma alla spartizione dell’eredità in parti uguali tra tutti i figli,e, infine, anche la possibilità del divorzio. Un’altro fattore d’innovazione importante fu la nascita di un sistema scolastico successivo a quello primario pubblico. Nacque così la scuola superiore. Tra il periodo rivoluzionario e dell’Impero la produzione dei tessuti conobbe miglioramenti importanti con l’introduzione di nuovi macchinari. In Europa si diffusero nuove tecniche di filatura e nuove industrie di lane. Il Primo Console introdusse una legge che controllava le manifatture e le fabbriche e proteggeva anche la creazione di marchi di qualità applicati sui prodotti. Questi cambiamenti furono importanti perché aumentarono il prestigio sociale di chi si occupava di industrie tessili. Un periodo fortemente in ascesa soprattutto per quel che riguarda il ritorno al lusso e alle cerimonie, con cui Napoleone intese perseguire obiettivi più alti, come per esempio essere da stimolo per l’economia nazionale. Dopo il 1810 il sistema economico francese iniziò malgrado ciò ad aggravarsi a causa della mancanza di materie prime; diminuirono le importazioni e si posero le basi per una crisi devastante.
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I.1.2 L’abbigliamento In Francia il periodo tra la Rivoluzione e l’Impero vide un mutamento degli abiti nella linea e nello stile, affinché la nuova classe dirigente non fosse confusa con quella che l’aveva preceduta, un orientamento nel vestiario già preannunciato in Inghilterra e Francia prima della presa della Pastiglia (14 luglio 1789). Non fu una scelta casuale, anzi, nel corso degli anni della Rivoluzione si divenne consapevoli del valore simbolico che ha l’abito; come tale, uomo della Rivoluzione capì che la moda poteva essere una valida arma politica, e la moda del periodo, per l’appunto, ebbe anche molta fortuna anche perché rivestiva un carattere spiccatamente politico. Importanti saranno i primi grandi rappresentanti della moda maschile, tra i sarti il più importante fu Leroy, ma anche altri esperti che ne facevano una questione di stile come i dandy. La moda diverrà sempre di più un fenomeno in espansione. Con sempre più insistenza i figurini di moda proponevano ora abiti per la sera, per la mattina, per la spiaggia,ecc. Parimenti, si venne a creare anche l’abito da sposa in bianco.
I.1.2.1 Abbigliamento maschile Nell’abbigliamento maschile fondamentale sarà il ritorno alla sobrietà, ad un’eleganza più pratica ripresa dalle forme delle vesti inglesi, e l’Inghilterra diverrà il faro dell’eleganza europea. L’abito maschile tra il 1780 e 1830 vide una successione di fogge con 13
colori e accessori diversissimi e contrastanti tra loro. Dal capo base settecentesco di justaucorp, veste e culotte (fig. 1), si passerà alla mise che caratterizza l’abbigliamento borghese fino alla Prima guerra mondiale: marsina o redingote, gilet e pantaloni (fig. 2). Redingote che, mentre nel Settecento veniva utilizzata dagli ufficiali come sopravveste,ora veniva adoperata dalle persone più eleganti ed era simile ai moderni soprabiti, tranne per il collo che era alto e con risvolti a punta; in inverno essi erano di pelliccia d’astrakan1, in tal caso la mise cambierà la sua denominazione in carrick (fig. 3), diventando così un ampio mantello con maniche lunghe fino alle caviglie. Con esso si utilizzavano culotte in pelle o seta completate da giacche corte con calze di seta e scarpe affusolate: Altra divisa era composta di pantaloni lunghi con frac (fig. 4): a vita rialzata, con risvolti ampi e taglio in vita e falde sul dietro, completato con gilet e stivali che arrivavano al polpaccio. La delicata cromia dei colori sarà poi uniformata dai colori scuri dell’abito ottocentesco. Tutto tenderà ad accorciarsi, dai capelli al gilet, si allungheranno le culotte che diventeranno pantaloni, o gli scarpini con fibbie che diventeranno stivali. Si avrà anche una diminuzione delle imbottiture, delle trine e dei volant per la semplicità del taglio; complicata sono dei colori e dei nodi delle cravatte. La riscoperta delle linee naturali del corpo scardina uno dei principi fondamentali su cui si basava la mentalità cortigiana. La funzionalità che prima veniva riservata all’abbigliamento delle classi popolari, nell’Ottocento acquista un valore di prestigio difatti, “secondo i nuovi ideali della Rivoluzione i mo14
menti della vita di un uomo sono quelli passati non più nei salotti, ma in negozio, in ufficio, luoghi che in antica tradizione erano associati a una abbigliamento semplice”2. Per l’uomo l’abbigliamento militare è, sin dall’antichità, una fonte d’ispirazione per l’abbigliamento cittadino, e se prima era considerato inopportuno che un giovane militare si presentasse in divisa ai ricevimenti,questa regola si modificherà. Tanto che tra il periodo della Rivoluzione e l’Impero la divisa militare verrà equiparata a un abbigliamento da sera e lo sposo potrà indossare l’uniforme per il matrimonio.
I.1.2.2 Il Dandy La borghesia lentamente và sostituendosi all’aristocrazia come referente del “buon vivere” in società. L’abito, che adesso viene definito “uniforme”, non è più un’ “opera” singolare e irripetibile dell’artista di corte, ma è introdotta in un processo che porterà alla riproducibilità tecnica, all’uguaglianza, all’etica del lavoro e ad una virtuale apertura delle classi. Il vestire del borghese richiama il mondo del lavoro e concede poco di appariscente alla frivolezza delle occasioni mondane. La distinzione è un elemento fondamentale che si ritrova in tutte le manifestazioni borghesi. La distinzione è in modo particolare di status ed è una delle funzioni in generale affidate all’abito. Per il borghese i valori più importanti sono il lavoro e l’ordine; egli detesta il lusso e 15
l’eccesso. Allo stesso tempo deve però distinguersi all’interno della sua classe. «La distinzione diventa perciò la cifra di un’apparenza semplice che omologa al di sopra delle differenze, rende “presentabile” il membro anche più modesto della classe, riuscendo tuttavia a distinguerlo dalle classi inferiori»3. Le virtù del gentiluomo sono ora lo stile e il comportamento più che la ricchezza. Il vero borghese nasconde dietro l’uniformità di superficie e il possesso di tratti che tendono all’inimitabile. Attraverso il suo conclamato grigiore troviamo un personaggio lontano dagli ideali di eguaglianza che fa parte dell’altra faccia dell’uniforme borghese, ovvero il Dandy. Il Dandysmo nacque in Inghilterra e proseguirà in tutta Europa tra XVIII e XX secolo. Tra i vari dandy ricordiamo George Brian Brummel (1778–1840), George Gordon Noel Byron (1788 –1824), Honorè de Balzac,(1799–1850) e Charles Pierre Baudelaire (1821–1867), mentre più tardi anche altri personaggi poeti e scrittori vi si uniranno, come Oscar Wilde (1854–1900). Il dandy per eccellenza è quindi Brummel, che in Inghilterra portava avanti la tradizione dei settecenteschi Macaroni e degli Incroyables francesi. Nell’ambito della moda maschile rivestono un certo interesse alcuni personaggi che hanno cercato di ricreare o distruggere la classicità faticosamente raggiunta. Tra quelli che periodicamente hanno tenuto la scena piccandosi di raffinatezza o trasgressione si possono ricordare i settecenteschi macaroni inglesi ,i moscadins del settecento,e gli incroyables del direttorio . Nello specifico i muscadin erano dei gio16
vani avversari della Rivoluzione,oppositori delle idee di cambiamento troppo radicali,e si riconoscevano grazie al loro abbigliamento composto da: capelli lunghi con polvere bianca,cravatte enormi,redingote grigia,celeste o marrone con culotte aderenti,calze bianche o a righe blu e bianche e un lungo bastone. Verso la fine del Direttorio le forme dell’abbigliamento dei muscadin si esasperano divenendo quelle degli incroyables,che indossano calzoni attillati dentro alti stivali e frac,ma la caratteristica più stravagante è la cravatta che nei casi estremi sale e arriva a coprire mento e orecchie. Brummel fu il primo a specificare che l’eleganza è composta da precise caratteristiche, date sia dal carattere della persona sia dall’abbigliamento. Nessun elemento di eccentricità ma piuttosto una quieta virilità e un portamento distinto si accompagnavano a vesti dal taglio perfetto, con colori che andavano dal marrone, al grigio, al verde o color crema, completati da accessori come orologi e cravatte. Brummel era un rivoluzionario perché partecipava alla ricerca della semplificazione dell’abito maschile e costringeva l’aristocrazia a vestire come gentleman, anche se lui in realtà non aveva nulla di borghese. Egli offrì un modello d’eleganza perfettamente in linea con gli ideali della società esclusiva. Affermava che per essere ben vestiti non bisogna attirare l’attenzione dei passanti; basterà la ricerca della semplicità per distinguersi. «Una giubba blu che si fermava sopra la vita, terminando dietro in due code che sfioravano il ginocchio, unita a dei pantaloni color crema, lievemente aderenti, infilati in degli stivali neri dal bordo rovesciato. Su 17
questo discreto fondale si stagliavano le candide volute della cravatta. Questo era il tipico abito preferito da Brummel»4 (fig. 5). La sua fortunata carriera si differenzierà dalle altre del periodo perché lui non si poneva altro fine se non l’affermazione della superiorità del dandy e del suo modo di vita, difatti né il denaro né gli onori lo attrassero. Così, per la sera si utilizzava la tenuta pensata da Brummel, che consisteva in una giubba blu completata da bottoni in ottone, calzoni neri sopra la caviglia per lasciare intravedere calze a righe e scarpe da ballo con punta rotonda. Questo tipo di abbigliamento veniva completato da una tipologia di sguardo, che era poi quello di Brummel stesso, in cui dal grigiore delle palpebre socchiuse trapelavano ostilità, indifferenza e l’ironia. Ciò che è consuetudine chiamare eleganza borghese nel non farsi notare, diventa imperativo sociale, finalità di una paziente educazione. Non farsi notare è prima di tutto essere come tutti gli altri, cioè come coloro del proprio gruppo. Per il dandy l’abito è il segno essenziale della sua ricerca estetica. Il suo grigio è un grigio da cui può sprigionarsi “l’energia fredda di un’attiva indifferenza”5. Stéphane Étienne Mallarmé (1842–1989) fu il principale esponente del simbolismo francese ed europeo. Sarà lui ad esplicitare i diversi tipi di grigio e le varie sue sfumature. La grisaglia6 del borghese è il segno di una rinuncia estetica, dell’attaccamento a un passepartout definitivo. Nessun grande borghese rinuncerà mai all’ispirazione di essere un poco dandy. Baudelaire (fig. 6), considerato uno dei poeti più importanti del XIX 18
secolo, fin da subito manifestò i suoi gusti indipendenti e dandistici. Esteticamente si presentava con lunghi capelli e col viso sottolineato da baffi e barba riccioluta. Attraverso il suo tratto gelido e pulito era in contrasto con il disordine portato nella bohème7 d’allora dalla povertà e dall’imperante ribellismo romantico. Baudelaire fu tra i pochi dandy ad essere indifferente alle frequentazioni aristocratiche preferendo il mondo dei giovani artisti. Il suo abbigliamento fin dall’inizio era rigorosamente in nero, e il taglio dell’abito era il frutto di una serie di riflessioni. «Sotto la cravatta,annodata con grazia,il lungo gilet chiuso solo dai primi bottoni,per aprirsi languidamente sulla stoffa finissima della camicia. Nelle scarpe perfettamente lustre si sarebbero potuti specchiare i guanti colorati spesso rosa o marroni chiari. Più in là, sotto l’alto cappello, il gilet sarebbe diventato di cachemire, nero, come la larga cravatta»8. Se Baudelaire sembrava aver contravvenuto al pensiero di Brummel di non farsi notare per strada, allo stesso tempo egli si presentava con un tipo di abbigliamento alquanto originale, ma nient’affatto strano. Egli detestava l’attenzione distratta del passante con la sua personale, ma corretta interpretazione del vestire. Negli anni successivi i suoi capi neri si ravviveranno di cravatte vivaci, mentre, a causa della crescente povertà, le stoffe saranno più consunte, ma lui non si allontanerà da una particolare ossessione per la pulizia. Con la morte di Baudelaire si chiuderà il periodo più nobile e rigoroso del dandismo. Honorè de Balzac (fig. 7) è considerato il principale maestro del ro19
manzo realista francese del XIX secolo. Nonostante il suo aspetto un poco particolare composto da un viso largo con doppio mento, unito ad una chioma di capelli ribelle e gambe corte che non esaltavano di certo la sua eleganza, - eleganza che, ricordiamo, sarà visibile nella grande serie di guanti dalle tinte pastello, nei bottoni d’oro molto lavorati che si univano allo scintillio del bastone da passeggio ricoperto in parte da pietre, il tutto completato dall’ enorme quantità di anelli che usava – Balzac viene da sempre ritratto con tutti i crismi di un dandy, anche se a lui non piaceva esservi paragonato perché trovava la sua estetica estranea all’eleganza. George Gordon Byron (fig. 8), poeta aristocratico che sarà tra i più importanti del periodo, fu il rappresentante del dandy romantico e passionale, e il suo abbigliamento manifestava l’uragano interiore liberatosi della cravatta brummelliana e con essa dalla compostezza del dandy. Anche l’impassibilità del volto veniva abbandonata per l’espressione di un affascinante disordine interiore. Rendendo esplicita la loro adesione al Romanticismo9, i byroniani erano più a loro agio davanti a panorami naturali (fig. 9).
I.1.2.3 Abiti di corte, uniformi civili, abbigliamento militare Con il Decreto Imperiale del 29 Messidoro dell’anno XII (1804), Napoleone decide i canoni che avrebbero avuto le vesti di corte per il giorno del grande avvenimento della sua incoronazione (1804). Con 20
tale atto difatti si stabiliranno i canoni della moda in stile Impero. Pittori come Jean-Baptiste Isabey (1767-1855) e Charles Percier (1764-1838) studiano le linee degli abiti di corte: le dame utilizzavano un mantello con coda, un abito a vita alta e scollato, e collarette di pizzo, mentre gli uomini indossano culottes con gilet e marsine in tessuti preziosi, corredati da un manto lungo fino ai ginocchi anch’esso ornato da ricami e applicazioni di paillette. Le uniformi civili della corte Napoleonica anch’esse approvate nel Decreto del 29 Messidoro furono ideate dal pittore Isabey. Il modello, uguale per tutti e distinto solo da colori e ricami, è quindi: una marsina dal taglio scivolato simile al tight moderno, unito da culottes e gilet ricamati e di colore bianco. L’uso di colori diversi era importantissimo, mentre i ricami definivano la simbologia politica differenziandosi solo per l’uso di filati d’oro o argento. La varietà di uniformi militari invece è piuttosto vasta, minime erano difatti le differenze che distinguevano i diversi reggimenti: si distinguevano in base per esempio ai risvolti delle filettature, ai diversi tipi di copricapo e calzature, alle piume ecc. Merita ricordare la pelisse degli Ussari: una corta giacchetta foderata di pelliccia con una fitta abbottonatura anteriore decorata con alamari. Per quanto riguarda Napoleone, possiamo dire che manterrà invece un gusto sobrio nell’uniforme e niente lo distinguerà dal semplice soldato.
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I.1.2.4 Abbigliamento femminile Mentre con il Direttorio gli abiti delle merveilleuses erano state piuttosto stravaganti, l’Impero ristabilisce l’ordine anche nel modo di vestire. Sarà Josephine Beaharnais (1763 –1814 ),che nel 1796 sposò Bonaparte, a creare le nuove regole del bon genre in società. Adesso le feste assumono una caratteristica politica e gli invitati andranno abbigliati in modo elegante e pregiato. La passione per l’antico attraversa la Rivoluzione e il Direttorio, passa per il Consolato e proseguirà nell’Impero. Per le donne le vesti sono a vita alta, con maniche lunghe fino a metà mano o altrimenti corte a palloncino. Lo scollo si presenta squadrato e molte volte il lungo strascico viene avvolto attorno al braccio per evitare di sporcarlo(fig. 10). Un indumento che riveste molta importanza nel periodo sarà lo spencer,che si presenta come un corto giacchetto in tinta unita con bordo di pelliccia,collo a frange spesso in velluto o raso. Quando lo spencer sarà unito alla gonna esso si chiamerà canezou. Sia lo spencer che il canezou potevano avere maniche lunghe usate per le passeggiate o molto corte per la sera. Bisogna ricordare inoltre che non sarà solo una prerogativa del mondo maschile, ma anche di quello femminile,trovare linee inglesi che ben si sposavano con il rigore militare anche nel guardaroba delle donne. Tale si denota il capote: una redingote di taglio maschile, lunga fino alla caviglia, che si porta con abiti senza strascico. Con essa si indossa 22
un cappello di tipo maschile. Tra il 1798 1801 di gran moda saranno gli scialli in Kashmir e turbante. Le campagne di Polonia (1806) e Russia (1812) provocheranno l’introduzione delle pellicce nelle douillettes (sopravvesti simili alla redingote) e nelle witzchouras (tipica sopravveste invernale), mentre le pelisse degli Ussari forniranno l’ispirazione per le sopravvesti da passeggio o viaggio. Si inizierà a parlare di abito da sposa già nel 1813. Carolina Bonaparte (1782 –1839) al momento di sposare il generale Gioacchino Murat (1767 –1815) indossò un abito di mussolina bianca insieme ad un ampio scialle in merletto bianco, indicato come simbolo di purezza. Come abbigliamento intimo possiamo dire che, mentre il busto era stato eliminato nel periodo del Direttorio, adesso ricompare, ma la sua forma sarà diversa perché in questo caso tenderà a slanciare la figura e alzare il seno. Nel 1811 ci sarà la nascita del divorce corset che separa i seni come un reggiseno; vi si indossavano camicie lunghe fino al ginocchio, in cotone o lino. Sotto alle vesti leggere si adoperavano le maillot, ovvero calze color carne, oppure le pantellette, pantaloni aderenti in lino bianco; sempre più rare le mutande lunghe al polpaccio. I.1.2.5 Tessuti Partendo dal presupposto che i tessuti utilizzati in questo periodo ricominciano ad avere una consistenza abbandonata nel periodo del Direttorio, per il mattino erano di gran moda i cotoni stampati, per le vesti 23
da passeggio si utilizzavano taffettà e rasi di colori scuri. La mussola di cotone importata dalle Indie, che inizialmente era di gran moda, finirà per essere sostituita da tessuti francesi come di lino, di cotone e dalle sete di Lione. Con l’Impero difatti tornano di gran moda le sete. I.1.2.6 La sartoria Louis Hippolyte Leroy (?) fu il sarto francese più importante di tutto il periodo che va dall’Ancien Règime alla Restaurazione, con atelier in Rue de Richelieu a Parigi. Iniziò la sua carriera affiancandosi ad una sarta più famosa del tempo M.me Raimbault artefice delle vesti per l’incoronazione dell’imperatrice Josephine. Ma la collaborazione durò poco e Leroy si approprierà dell’atelier e delle clienti della Raimbault. Egli riuscirà ad applicare con astuzia le regole della pubblicità e pubblicherà i suoi modelli su «Le Journal des Dames et de la Mode»10. A livello di tecnica sartoriale questo è un periodo piuttosto interessante perchè: - le vesti leggere che si indossano senza busto portano i sarti a studiare il corpo femminile in maniera diversa, prevedendo per esempio sistemi di trattenimento del seno e adattamenti del tessuto alle forme del corpo. - le enormi quantità di uniformi prodotte porterà anch’esso allo studio del corpo maschile, cercando di perfezionare il sistema delle taglie, volendo anche accelerare il sistema di produzione. 24
I.1.2.7 Acconciature- calzature- copricapo I capelli in questo periodo non tenderanno più ad essere voluminosi, anzi, diverranno sempre più raffinati e semplici. Le donne utilizzano alti chignon con riccioli morbidi, i capelli degli uomini invece saranno sempre più corti. Come calzature gli uomini usano stivali aderenti e al ginocchio, con risvolti colorati che su pantaloni lunghi, mentre per le culottes si preferiscono scarpe basse. Le donne utilizzano scarpe basse in stoffe o pelli leggere. Il cappello è un accessorio che conosce molta fortuna in questo periodo. L’uomo usa il cilindro che può essere in feltro o paglia, se ha una tesa ampia inclinata davanti e sul retro viene chiamata à la Robinson. Cappelli di varie forme sono invece per le donne, come la cornette, che è una cuffia in lino con ruches, che si lega sotto al mento. I.2 Dalla Restaurazione alla Belle Epoque 1815-1880
I.2.1 Introduzione storica Al Congresso di Vienna (1814-1815) parteciparono tutte le potenze vincitrici su Napoleone (Inghilterra, Prussia, Russia e Austria) e un rappresentante per la Francia, Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, I Principe di Benevento (1754 –1838) che riuscì a fare ottenere concessioni al suo paese anche se era una nazione sconfitta. Con il Congresso si voleva ristabilire l’ordine europeo secondo i principi tradizionali, 25
cercando di cancellare ciò che era stato introdotto dalla Rivoluzione francese e dagli anni dell’Impero. La nuova società che si era sviluppata dalla Rivoluzione e dall’Impero era rappresentata dall’amalgama descritto da Honorè de Balzac (1799 - 1850), in cui la borghesia aveva una parte preminente. Secondo lui La Restaurazione non significava un ritorno all’Antico Regime, ma l’affermazione di nuove regole sociali ed economiche alla cui riuscita era necessario il pacificato apporto dell’aristocrazia; un’aristocrazia che declinerà il suo mondo in un lusso certo più compassato, a confronto diretto con un mondo borghese fondato sul risparmio, sul controllo e sulla ragionevolezza. Un’altra componente essenziale dell’Ottocento si deve alle forti motivazioni ideologiche che lo compongono. I primi mutamenti dipendono dalla nascita di movimenti organizzati, delle novità tecnologiche, dalle nuove ricerche in campo artistico, letterario e politico, ma, soprattutto, in campo industriale.
I.2.2 Abbigliamento La borghesia della prima metà dell’Ottocento era molto chiara riguardo il modo di vestire dell’uomo e della donna, che in base all’abbigliamento dovevano comunicare il proprio ruolo e stato sociale. In questo periodo si afferma un maggiore controllo del corpo. Le linee degli abiti riprendono compostezza nei volumi, perché tornano ad essere più ampi rispetto a quelli dell’Impero. 26
Tra il 1815 e il 1825 la silhouette femminile reinstaura il punto vita naturale accompagnato a forme esagerate. La figura femminile si presentava con abiti dai busti serrati e gonne voluminose, accompagnata da una nuova figura di uomo serio, posato, alle volte scapigliato ma impegnato nel mondo del lavoro e della politica. Rimangono ancora alcuni che credono che l’abito sia espressione dell’individuo e delle sue più intime convinzioni, un’eredità che viene raccolta maggiormente dai citati dandy, esponenti maggiori della moda maschile, almeno fino a quando l’industrializzazione non diffonderà altri modelli di riferimento. Nell’alta società si prefissava un’etichetta da mantenere e molte volte si esprimeva attraverso l’abbigliamento; per esempio i guanti e il cappello sopravvivranno come segni di distinzione e rispettabilità fino oltre la Seconda Guerra Mondiale.
I.2.2.1 Abbigliamento maschile. Alla metà dell’Ottocento maturerà la tendenza a eliminare qualsiasi eccentricità nel taglio e colore; l’intento di un signore ben vestito era quello di non farsi notare grazie all’abbigliamento discreto e di buon taglio. Merita ricordare un aneddoto in cui si racconta che re Edoardo VII11 disse una volta a Sir John Fischer (1841 –1920): - Quello che avete è un abito molto vecchio. - E’ vero signore, - rispose l’ammiraglio, - ma voi mi avete sempre detto che l’unica cosa che conta davvero è il taglio.12 27
Riconoscere un buon taglio è una cosa molto difficile, difatti l’abbigliamento di uomini ben vestiti può sembrare uguale se si osserva in modo superficiale, ma un occhio allenato è in grado di distinguere e riconoscere il buon capospalla e quindi il meticoloso lavoro fatto dal sarto. Continuava l’uso dell’habit dè-gagè dal taglio in vita e falde sul dietro, come pure la redingote a doppio petto ma più corta. Le maniche sono con una leggera increspatura alla spalla che consente di renderle più aderenti sul braccio. Dal taschino esce il fazzoletto bianco in cotone o colorato in seta. Per il giorno i pantaloni à pont sono aderenti e lunghi, infilati dentro agli stivali, mentre per le passeggiate si prediligono in pelle e possono essere a tubo, lunghi fino alla caviglia o con un passante sotto al piede che li rende più sfilati. Per la sera si usa la giacca con pantalone in colori scuri e diritti che si indossano insieme a bassi scarpini, ampio mantello e cilindro. Per l’abito cerimoniale si possono usare culottes con calze bianche e scarpini. Quotidianamente si usano calze e panciotto che mostrano maggiore fantasia. Il bournus compare come veste da camera con ampie maniche, cappuccio, abbottonatura di passamaneria e fodera rossa. Come sopravveste si usa anche il carrick. Mentre la sopravveste di ispirazione militare e la militaire o demi-solde,con linea lunga, aderente e abbottonature semplice. 28
Tra il 1830 e 1850 la linea maschile prevede una silhouette ben segnata in vita; i pantaloni sono aderenti in contrasto con il colore scuro della giacca, solitamente di qualche tono più chiaro, ma per la sera sono bianchi o neri. La jacquette è una giacca di taglio simile alla redingote ma più corta e con falde diritte e arrotondate sulla metà anteriore. L’uomo inizia sempre di più a preferire abiti dai colori scuri in panno, segno di nuovo interesse verso la semplicità, mentre il nero, tradizionale retaggio del lutto o dell’eleganza alta, inizia ad entrare nell’utilizzo quotidiano.
I.2.2.2 Dandy romantico Per l’uomo raffinato oltre alla cravatta, la camicia diventa un emblema di fascino ed eleganza, tanto che egli terrà molto al suo candore. Il vero dandy cambia l’abito almeno tre volte durante la giornata: - al mattino indossa un’ ampia vestaglia di stoffa cinese con pantofole provenienti dalle indie; - per uscire al mattino indossa camicia, frack, calzoni e stivali; - per la sera indossa il frack con pantaloni e scarpe eleganti. Il guardaroba del dandy necessita ogni settimana di almeno 30 fazzoletti per il collo, 20 camicie, una dozzina di abiti e grande quantità di calze.
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I.2.2.3 Abbigliamento militare L’abbigliamento militare prevedeva uniformi che furono perfezionate con colori e decorazioni che identificavano i vari reggimenti. Soprattutto perché studiando i secoli precedenti ci si rese conto che i colori troppo sgargianti non permettevano alcuna mimetizzazione. Attorno al 1850 l’uniforme perde le falde posteriori e diventa la giubba con doppia abbottonatura, poi si modificherà ulteriormente nella Belle Epoque, ed è proprio in questo periodo che le uniformi raggiungeranno il massimo sfarzo.
I.2.2.4 Abbigliamento femminile Con il periodo della Restaurazione ci sarà un aumento delle decorazioni ed un’enfasi particolare nella mutazione dei volumi: ogni falpalà è reso rigido con rinforzi di mussola, ogni orlo è arrotondato e allontanato dal corpo con rotoli imbottiti di tessuto. Una variante diversa di imbottitura è la tournure: un sostegno realizzato da una striscia di ovatta trapuntata tra due tessuti e applicata in basso sulle sottogonne. La vita ritorna alla sua posizione naturale, il corpetto è meno aderente sulla schiena e aumenta l’ampiezza dello scollo per le vesti da sera. Le maniche sono sempre più abbondanti nella parte alta del braccio e aderente nell’avambraccio e viene introdotto il jockey, una decorazione posta sull’attaccatura della spalla. Intorno agli anni 30-40’ le forme si ammorbidiscono e la gonna ac30
quista una forma a cupola con il busto stretto e rigido. Le maniche dal 1840 sono più aderenti e svasate sul fondo con volant, mentre la punta del bustino inizia a scomparire. Per il giorno si usa l’abito en blouse variante moderna dell’habit chemise, che si caratterizza per la ricchezza del tessuto raccolto in vita e sul petto con una fitta increspatura o minuscole pieghe. Negli abiti da sera lo scollo è ampio e la gonna è morbida sui fianchi e aumenta di volume sull’orlo e si lasciano in vista le scarpe con lacci attorno alle caviglie e calze chiari. L’accresciuta ampiezza delle gonne porta alla nascita nel 1842 della sottogonna di crinolina (fig. 11) che subirà molte modifiche. Per quanto riguarda le sopravvesti tornano in uso gli scialli e nacque la visite, una semplice mantella con tagli in corrispondenza delle braccia. Altri soprabiti sono spencer, tabarro e mantellina. In onore dell’imperatrice Eugenia13(1826-1920) compaiono capi che si ispirano alla Spagna, come il giubbetto spagnolo poi chiamato bolero. Diviene di moda la tunic, una sopravveste che si indossa sopra a una gonna con colori contrastanti e si solleva per mostrarla. La ricchezza del tessuto della gonna dopo il 1865 sposta il volume verso il retro raccogliendosi sopra, e ciò condurrà allo sviluppo dello stile detto “tappezzeria”. Dagli anni 70’ scompare la grande gabbia e si afferma la tournure posteriore o cul-dè-paris, che sposta tutta la ricchezza del tessuto sul posteriore. La gonna così drappeggiata viene detta la camargo. Lo stile “tappezzeria” si caratterizza per la ricchezza di frange e passamanerie. 31
Per quanto riguarda la biancheria, essa si compone di camicie di lino, di camicie da notte e alle vesti da camera. Intorno agli anni 70’ compaiono le prime giarrettiere. Un tentativo di forma a pantalone nel mondo femminile fu introdotto dall’ americana Amelia Bloomer14 (1818-1894) che sosteneva come questi indumenti fossero più comodi se realizzati dello stesso materiale del corpetto e trattenuti in vita e alle caviglie; ciò venne considerato un attentato alla morale borghese e una pericolosa deviazione verso una indesiderata emancipazione femminile. Le vesti per il bagno erano veri e propri vestiti, con pantaloni larghi e stretti alla caviglia e le gonne che si fermano all’altezza delle ginocchia. Le vesti potevano avere maniche lunghe, ma le donne più coraggiose mostravano le braccia. Per il matrimonio, intorno agli anni 30’ diventa d’obbligo l’abito bianco a simboleggiare la purezza della sposa.
I.2.2.5 Abbigliamento popolare L’ abbigliamento popolare poco si differenzia da quello delle classi operaie e dei contadini. I primi vestono abiti in tessuti poveri. L’ abito dei contadini nei giorni di lavoro assomiglia a quello degli operai; chi se lo può permettere sfoggia l’abito nella festa identificabile nell’abito tradizionale della regione d’appartenenza.
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I.2.2.6 Tessuti I tessuti utilizzati in questo periodo sono le sete di varie pesantezze e motivi, taffettà, crèpe, velluti, tulle, broccatelli e cotoni, con motivi a strisce, a quadri,con motivi damascati, fiori e scacchi.
I.2.2.7 Sartoria e negozi L’Ottocento è il secolo della grande couture, secolo dell’affermazione della sartoria. Nel 1865-68 compare il taglio “princesse” per gli abiti femminili, che unisce corpetto e gonna nel medesimo taglio: la linea acquista forma svasata e affusolata. Si perfeziona pure lo scalfo della manica, che consente di adattare il tessuto al movimento della spalla. Le sartorie cominciano ad avere propri magazzini di tessuti e i clienti scelgono quelli con cui far realizzare i propri abiti. Il perfezionamento del sistema delle taglie e dei cartamodelli, l’introduzione delle macchine da cucire su vasta scala, porteranno presto alla produzione di vestiti in serie. Iniziano anche a nascere nuove categorie di lavoro, come le ditte d’export-import di abbigliamento. A Parigi nel 1824 nascono i primi negozi di abiti già pronti e poi i primi grandi magazzini; con essi una figura professionale (il commesso) che guida il cliente verso oggetti confacenti alle sue esigenze.
I.2.2.8 Copricapo Il cappello è molto importante in questo periodo, anche i bambini ne 33
hanno uno. Il cilindro maschile(fig. 12) è leggermente svasato in alto con una falda piccola; compare la forma pieghevole detta Gibus, i cappelli di paglia sono invece usati per l’estate. Nel sesto decennio compare il cappello in feltro morbido con acciaccatura sulla cupola detto lobbia. I cappellini femminili seguono le linee maschili con cappellini rotondi decorati da nastri e fiori.
I.2.2.9 Cravatte e accessori Le cravatte in questo periodo saranno un elemento di distinzione molto utilizzato nel mondo maschile. Essa può essere annodata in diversi modi ed avere nomi diversi, dalla romantica alla sentimentale. Ogni gentiluomo gli dedicherà molta attenzione. Tra gli accessori maschili ricordiamo le canne e i bastoni con pomo d’avorio o metallo; i dandy per un breve periodo utilizzarono i frustini da tenere in mano anche quando non erano a cavallo. Mentre gli accessori utilizzati dalle donne erano ventagli, ombrellini e borsette.
I.2.2.10 Designer: Charles Frederick Worth Charles Frederick Worth (fig. 13) nasce in Inghilterra nel 1825 in una famiglia borghese e fin da subito, all’età di 12 anni, lavora in empori londinesi: prima da Swan & Edgar a Piccadilly e poi da Lewis & Allemby, specializzati nella commercializzazione di stoffe, tappezzerie e sete. Giovane e ambizioso, all’età di 20 anni, raccolti i pochi risparmi, de34
cide di trasferirsi a Parigi, la capitale della moda. Qui viene assunto come commesso nel celebre “agasin de nouveautès” di Gagelin & Opigez, che vendeva scialli e altri oggetti di moda al 93 rue Richelieu. Vi incontrò la moglie Marie Vernet, per la quale realizzò molte delle sue creazioni che i due imprenditori erano felici di vendere. Dopo soli 5 anni riesce ad aprire un reparto di sartoria diventandone il responsabile. Nel 1853 anno delle nozze tra Napoleone III e Eugenia di Montijio, la maison Gagelin fu incaricata di fornire il corredo all’imperatrice e questo la portò a raggiungere una fama internazionale e a partecipare alle Esposizioni Universali di Londra e Parigi. È proprio a Parigi che Worth ebbe modo di esporre una sua creazione originale, vale a dire un manto di corte ispirato a modelli dell’antichità classica. Nel 1857 lascia la maison Gagelin per avviare una nuova attività insieme alla moglie. Worth si mise così in proprio e, finanziato dal socio di origine svedese Otto Bobergh, aprì un atelier al n. 7 di rue de la Paix assumendo una ventina di impiegati. Gli inizi non furono facili, ma ben presto arrivò una commissione importante da parte della principessa Pauline de Metternich, moglie dell’ambasciatore prussiano alla corte di Francia. Worth riuscì a conquistare la principessa con i suoi abiti, e questa non tardò a presentarlo all’imperatrice Eugenia. Nel 1859 divenne il sarto ufficiale di corte, specializzandosi soprattutto in abiti da sera e da ballo. L’alta borghesia costituiva, quindi, la maggioranza della sua clientela, di cui seppe conquistare la stima a tal punto da ottenerne incondizionata fiducia; riuscì ad imporre, per la 35
prima volta nella storia, le proprie idee alle dame e determinò così l’Haute-Couture. Con Worth il couturier cominciò ad essere considerato un artista. Fu lui il primo a decidere di far sfilare i modelli in anticipo rispetto alla stagione, ad apporre etichette con la sua griffe all’interno dell’abito, a utilizzare le indossatrici per presentare le sue creazioni, a fornire i cartamodelli delle sue creazioni sul mercato, evitando così qualsiasi imitazione e a proporre regolarmente nuove fogge cambiando in continuazione tessuti, guarnizioni, modelli. Con lui la moda è entrata nell’età moderna, diventando allo stesso tempo impresa creativa e spettacolo pubblicitario. Fu tra i primi a voler ridurre l’ampiezza degli abiti femminili; nel 1867 propose lo spostamento della ricchezza del tessuto sul dietro; nel 1869 introdusse la tournure. Sempre Worth, negli anni 70’ sviluppò il taglio princesse, che dava modo di seguire le forme del corpo nel busto e di allargare l’ampiezza della gonna. Egli fu quindi il detentore in assoluto del gusto e dell’eleganza della seconda metà dell’Ottocento. Alla sua morte, nel 1895, la casa di moda passò nelle mani dei figli: Gaston, che amministrò la sua immensa fortuna, e Jean-Philippe, il suo erede nell’attività creativa. La dinastia si estinse però nel 1953, quando Maurice Worth consentì l’assimilazione della Maison alla casa Paquin.
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I.3 Il mondo si rinnova (1880-1900)
I.3.1 Introduzione storica Questo sarà il periodo in cui sorgeranno alleanze in Europa: l’Italia si allea con Austria e Germania creando così la Triplice Alleanza15, garantendosi l’appoggio necessario in caso di eventuale attacco della Francia, la quale si trovava in un momento di massima espansione coloniale. In opposizione alla Triplice Alleanza, Russia,Francia e Inghilterra diedero vita alla Triplice Intesa16 creando così un polo opposto al precedente. Anche se i governi europei erano monarchie parlamentari e repubbliche, la classe che giungeva a governare era composta da nobiltà ed alta borghesia:solo una piccola percentuale in Francia proveniva dalla classe operaia e dalla piccola borghesia. In tale quadro, anche le donne cercarono con sempre più forza di affermare i propri diritti, puntando soprattutto alla conquista del diritto di voto. Anche se l’Europa vedrà in questi anni la nascita di una serie di tensioni e condizioni politiche che porteranno allo scoppio della Grande Guerra17, la situazione economica era iniziata favorevole; in Italia, ad esempio, grazie alle agevolazioni che lo Stato concedeva agli imprenditori, le industrie conobbero una fase di forte sviluppo. L’incremento delle industrie favorì lo sviluppo del proletariato, le cui condizioni di lavoro migliorarono un poco solo perché la settimana lavorativa si ri37
dusse a 56 ore, ma, nonostante l’aumento dei prezzi fosse forte, le diseguaglianza di genere sul posto di lavoro permasero e le donne ricevevano un salario inferiore a quello degli uomini. Lo sfruttamento degli operai (donne uomini e anche bambini) sarà molto drammatico. La miseria e la durezza del lavoro nei campi e nelle miniere porterà al fenomeno del brigantaggio e dell’emigrazione.
I.3.2 Abbigliamento In questo periodo la figura del progettista diventa la vera protagonista del mondo che si rinnova. Da un lato la produzione industriale richiede oggetti che si possano riprodurre celermente, e li diffonde con gran velocità alle folle sempre più desiderose di essere “alla moda”. Dall’ altro lato invece, sull’esempio di William Morris18 che conferisce pari dignità al momento progettuale e al momento realizzativo, il disegno acquista una sua specifica importanza. Il mettere in mostra ricami, merletti applicazioni che era tipico degli abiti di Worth, corrispondeva alle esigenze della società. Il suo successo risiedeva soprattutto nella capacità di interpretare correttamente il ruolo che la società stessa gli aveva affidato: quella di incarnare l’ essenza del gusto e della moda, soprattutto dopo la fine del Secondo impero19,quando neanche più la corte si poneva come ideatrice di nuove moda. I suoi abiti riscuotevano grande ammirazione. Il couturier realizzava una veste unica, costosa, di alta qualità estetica e sartoriale; 38
l’alta società si riconosceva in un prodotto artistico perché unico. In tal modo si celebrava la nascita dell’alta moda e del ruolo del designer, perché egli detiene le chiavi d’ accesso a quel mondo raffinato.
I.3.2.1 Abbigliamento maschile Per quanto riguarda l’abbigliamento maschile del periodo, possiamo dire che intorno agli anni 80’ la giacchetta va a sostituire sempre di più la redingote, la quale nel 1891 è ancora piuttosto lunga, abbottonata con tre bottoni di seta e con grandi risvolti. Solitamente la si trovava in cachemire20nero o in stoffa ottomana21. Negli ultimi anni diverrà più corta e non supererà il ginocchio e si porterà chiusa abbottonata in alto, ovvero aperta dopo il primo bottone. La giacca è corta, con falde arrotondate sul davanti e chiusa da un solo bottone insieme con calzoni attillati. La camicia prevede il plastron22, mentre il colletto è diritto e di media altezza, o con becche. I pantaloni sono meno aderenti del passato e appena più lunghi. Si afferma il completo: giacca, pantaloni e panciotto(fig. 14). Le sopravvesti si fanno un poco più aderenti, chiuse davanti con bottoni. Il paletot ormai è il soprabito per eccellenza: lungo fino alle ginocchia, per l’inverno prevede l’uso della pelliccia.
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I.3.2.2 Abbigliamento sportivo Nella seconda metà dell’Ottocento lo sport acquista sempre di più importanza. Nel suo mondo gli abiti fatti apposta rappresentano un elemento che dia vita a un modo di vestire più pratico e disinvolto. E’ il caso della “giacchetta”, antenata della giacca derivata da tenute da caccia o da golf che, dal 1850, rappresenta l’alternativa per la tenuta da giorno. Praticare sport denota ora un’appartenenza superiore e richiede tenute adeguate che saranno diversificate dagli indumenti da lavoro delle classi popolari: camicie e maglioni da pescatori, pantaloni da marinaio, blusotti e abiti da lavoro si trasformano in abiti sportivi. Queste tenute “povere” saranno modificate tramite tagli, rifiniture e colorazioni che li distinguevano da quelli utilizzati dai maschi di bassa condizione sociale nelle loro tenute da lavoro. L’ equitazione prevede un abbigliamento con frac, calzoni aderenti e alti stivali, mentre nel golf si usano pantaloni lunghi e, in seguito, knickerbockers23, con giacca, entrambi in tweed24 e berretto. Nel tennis la divisa maschile consiste in pantaloni lunghi, camicetta e maglione aperto o con scollo a V e copricapo che, sul finire del secolo, diventa di paglia. L’insieme diventa poi bianco. Per il nuoto o canottaggio il costume da bagno maschile è ancora un’ unico pezzo, con manica corta e calzoni a mezza coscia in maglia. Nel pugilato e nell’atletica si usa una calzamaglia sbracciata, ma presto si affermano i pantaloncini con una maglietta senza maniche; di40
ventano sempre più importanti le scarpette da boxer attillate e chiuse da lacci fino alla caviglia; successivamente, agli inizi del secolo, la boxe prevederà l’utilizzo dei guantoni. Per il calcio si usano camicie con pantaloni larghi e al ginocchio,calzettoni e scarpe robuste, ma nel primo trentennio del XX secolo la camicia lascia il posto a una maglia con maniche lunghe e colletto, nei colori araldici della squadra. Per andare in bicicletta calzoni lunghi o al ginocchio, giacchetta, gilet spesso a quadri scozzesi, cappello, guanti e scarpe.
I.3.2.3 Il Dandy Il vero dandy non è da confondere con lo snob, perché lo snob25 non aveva opinioni proprie e seguiva ciecamente la moda, mentre il dandy aveva idee ben precise su cosa è bello e cosa è brutto e la sua intelligenza era sempre pronta e arguta. Tra i grandi dandy della storia merita ricordare Aubrey Vincent Beardslay (fig. 15) 26(1872-1898) disegnatore e autore delle illustrazioni della Salomè27 di Oscar Wilde. Il suo abbigliamento era in varie tonalità di grigio, incluso guanti e cravatta con camicia bianca, bastone con pomo d’argento e capelli rossi. Anche Henri de Toulouse-Lautrec 28 (fig. 16) può essere considerato un dandy: famose sono le sue opere in cui ritraeva la Parigi notturna della Belle Epoque. Oscar Wilde29(fig. 17) è il rappresentante più significativo del dandismo 41
di fine secolo. Poeta e scrittore, le sue opere sono ancora oggi modernissime e assai apprezzate. Egli inventò la divisa estetica, l’abito con il quale si presentava nelle occasioni pubbliche,lo scopo era di mostrare al mondo la bellezze intrinseca della sua anima. La divisa si componeva di culottes di velluto nero o blu scuro, calze di seta scure e scarpini in vernice nera con fiocchi; la giacca poteva essere da frac, con le code dello stesso colore dei pantaloni e completata da una camicia bianca da sera, oppure con giacca corta e panciotto, camicia e fazzoletto da collo colorato. Nell’abbigliamento di un vero dandy non potevano mancare il fiore all’occhiello e il bastone. I.3.2.4 Abbigliamento femminile Nell’ambito femminile è ancora Worth un importante protagonista il quale, dopo aver introdotto il taglio princesse, crea la forma del bustocorazza: un corsetto steccato e modellato che contribuisce a formare la figura della donna-guerriero. La corazza di pizzi e stecche di cui era rivestita la donna di Worth presentava in qualche modo un’immagine rassicurante, essendo strumento di seduzione per l’uomo e di imprigionamento per la donna. Tra il 1870 e il 1890 la silhouette delle signore include un sellino (tournure) che esalta i fianchi e la vita sottile. Le vesti sono così più aderenti, mentre il collo diventa più piccolo. Agli inizi degli anni ’80 la linea femminile diviene più verticale, aumentando i panneggi sulle gonne (stile tappezzeria) sia davanti che dietro. Il corpetto esaspera la punta 42
anteriore, mentre per l’abito da sera le maniche si riducono a larghe spalline drappeggiate. Verso il 1884-85 ricompare la tournure, che era scomparsa per pochi anni e che al volgere del secolo diventerà definitivamente fuori moda. Negli anni ’90 la silhouette femminile acquista una linea a clessidra con una vita sottile, il busto messo bene in evidenza e la gonna a campana. I vestiti si ricoprono di applicazioni, ricami e trine. Il collo degli abiti da giorno si innalza e diventa aderente, mentre gli abiti da sera posso avere anche scolli più pronunciati. Le sopravvesti ancora in uso sono le giacchette, le visite,i bolero, i paletot a doppio petto, mentre per quanto riguarda i mantelli, ne compare uno detto “alla Medici” con il collo rialzato a riparare il volto e con ampi risvolti. I.3.2.5 Abbigliamento popolare Per quanto riguarda l’abbigliamento popolare lo si può dividere in quattro tipologie: l’abito quotidiano e quindi per tutti i giorni; l’abito festivo e quindi per la domenica; l’abito solenne, cioè per le occasioni cerimoniali; e infine l’abito rituale per le celebrazioni religiose. Il costume regionale e tradizionale si identifica solitamente con quello festivo; per la donna si utilizzano, per esempio, gonna, sottogonna e mutande, sottocorpetto, camicetta e corpetto, grembiule, calze, scarpe con piccolo tacco, fazzoletto per il collo e scialle, orecchini e collana di grani di corallo. L’abito solenne è sempre lo stesso tipo di abbigliamento, solo che viene arricchito ulteriormente con accessori specifici 43
nelle occasioni importanti, mentre l’abito quotidiano è di solito molto semplice e si compone di una gonna, di una camicia di tela, di un grembiule e di un fazzoletto da testa. Come indumento intimo si usavano le mutande fino alle ginocchia e le calze, mentre le scarpe erano senza tacco è quindi più comode. L’abito maschile da lavoro si compone di camicia, mutande di tela, calzoni lunghi o al ginocchio, copricapo e scarpe; mentre quello festivo è più articolato perché include la giacchetta, il panciotto, i calzoni e le calze, il copricapo e le scarpe. La maggioranza delle persone difficilmente si poteva permettere il vero abito tradizionale e si contentava di aggiungere qualche elemento all’abbigliamento quotidiano, come il corpetto e lo scialle per le donne o la giacchetta e il panciotto per gli uomini. Faceva parte degli usi quotidiani indossare amuleti. Fra i più diffusi ci sono quelli per i bambini, contro il malocchio o la scongiura di vari mali. Le fasce battesimali con i grani di corallo, le piccole manine atteggiate in varie posture aggressive scaccia malocchio, i vetri rilucenti cuciti ai copricapo e così via, sono tutti strumenti ritenuti indispensabili per la crescita sana e senza problemi dei figli.
I.3.2.6 Tessuti I tessuti furono grandi protagonisti di questo rinnovamento e le linee astratte, la cromia accentuata e la geometrizzazione dei contorni, il 44
giapponesismo e le elaborazioni floreali furono gli elementi che caratterizzarono la produzione del tempo.
I.3.2.7 Gilet -camicia- cravatta Le note di colore che accendono l’abbigliamento maschile nella moda borghese si trovano sul petto. È questo un modo per contrastare la serietà e sobrietà dall’abito scuro. L’elemento che ha caratterizzato l’apparire maschile moderno è il gilet o panciotto, prima della fine del Settecento detto sottoveste o sottomarsina. Le radici di questo indumento si trovano già alla corte di re Carlo II d’ Inghilterra (1649 - 1685), ma avrà il suo inizio ai primi anni ‘60 del XVII secolo: un elemento così ricco da influenzare la forma delle prime marsine. Nel corso del XVIII secolo le parti non in vista assumono una struttura minima, giunta fino a noi in materiali secondari, con fodere o tessuti di cotone. Oltre ad essere un elemento che fa parte della struttura in tre pezzi dell’abbigliamento maschile moderno, il gilet diventò un elemento portante nel significato globale dell’abito. Esso diventa uno strumento di esaltazione del tronco maschile, manifesto fino dal periodo neoclassico. Nell’ultimo quarto del Settecento viene spesso eseguito in tessuto di raso lucente bianco, che conferisce al torace un effetto statuario. Si nota poi, negli ultimi decenni del secolo, la tendenza a ornare a ricamo il gilet con scenette animate e vivaci. Il ruolo del panciotto si amplia se lo si mette in relazione con altri due elementi: la camicia e la cravatta, che sono visibili solo attraverso 45
l’apertura del gilet e contrassegnano l’apparire con qualità individuali e di status. La camicia, cambiata più volte al giorno, perfettamente stirata e inamidata, evidenzia cure che connotano subito una situazione sociale particolarmente agiata. La cravatta è l’unico elemento che subito determina e quindi manifesta gusti e inclinazioni individuali in un sistema di particolare rigidità come quello rappresentato dall’abito alla fine del secolo XIX. È un’importante elemento come punto colore dell’uniforme borghese e segue la curvatura del gilet; il suo rilievo cromatico cresce via via che il panciotto scade nella moda e l’abito è così composto da due pezzi; ivi la giacca è slacciata e fa vedere pienamente la cravatta. La scelta, il modo e la qualità del nodo evidenziano lo stile e la classe del gentleman. Verso la fine degli anni 20 del XIX secolo la cravatta nera d’influenza inglese scalza le cravatte fantasia, anche se si affermerà lentamente sia in Italia che in Francia. La ritrattistica ottocentesca ci fa vedere che il punto colore si limitava in generale al bianco e al nero. Le cravatte con motivi decorativi di uso informale si affermeranno nell’ultimo ventennio del secolo, quando pure la camicia si aprirà al colore per il giorno e per lo sport. Inizialmente fu vissuta come un attentato al significato sociale della camicia bianca. I.3.2.8 L’intimo e la veste da camera Le poche testimonianze che sono arrivate a noi almeno fino alla metà del XIX secolo, ci fanno capire che nella biancheria da giorno e da 46
notte si prediligeva il colore bianco e ampiamente ricamata30. Nel XVIII secolo alcuni signori usavano berretti da notte in lino o maglia legati sotto al mento, ma alla metà del secolo tramonta questo tipo di allacciatura e si inizierà a parlare di berretti colorati. Nello stesso periodo inizia l’intimo, con uno spiccato uso di colori lavanda o azzurro, ovvero di robusti rossi solitamente di lana,mentre i più raffinati scoprono la seta. Merita ricordare che Cunnington fotografa un paio di mutande al ginocchio in bianco e rosa databili al 1900 circa. Nell’800, all’utilizzo esterno dell’uniforme nera si contrappone nell’intimità l’interesse ad un esotismo fastoso o in generale colorato, riprendendolo anche dall’orientalismo letterario e pittorico del secolo. I.3.2.9 Acconciature Le acconciature femminili si moltiplicano. Accanto a quelle tradizionali ci sono forme più complesse, ricche di boccoli e bandeaux che pendono attorno al volto e sulle spalle. Negli ultimi anni del secolo si afferma un’acconciatura morbida realizzata mediante cotonatura dei capelli che sono poi raccolti in un alto chignon sulla nuca. I capelli sono poi rialzati a ciambella attorno al volto con l’ausilio di leggeri tubi rotondi di rete metallica, raccolti in alto in una piccola crocchia. Le pettinature degli uomini di solito erano con la scriminatura nel mezzo della fronte. Negli anni ’80 i cappelli per le signore sono piuttosto piccoli, ornati di fiocchi e fiori. Compare la veletta, che accresce la grazia dei volti do47
nando alla carnagione una sorta di luminescenza soffusa sotto l’ala del cappello. Gli uomini usano il cilindro per la sera, che è diventato molto alto e si restringe verso il cocuzzulo, con l’ala ridotta ai minimi termini. Si userà anche la bombetta, a cupola arrotondata e di feltro rigido. I democratici sfegatati, come i campagnoli e i popolani, portano cappelli di feltro molle, spesso marrone, detto alla lobbia31, prima a cupola distesa e poi, verso il 1880, con la cupola piegata al centro. Per le occasioni informali si usa la paglietta di paglia rigida intrecciata, a tesa larga e cupola piatta e bassa, cinta da un nastro a righe colorate.
I.3.2.10 Scarpe Le scarpe sono di pelle; le forme si ispirano a quelle del Settecento, con tacco rientrante e punta anteriore. I colori vanno dal marrone al nero.
I.3.2.11 Fumare In questo periodo diventa di moda fumare, un’attività giudicata poco elegante dalle signore, tanto che gli uomini si ritirano in una stanza appartata, ovvero nella smocking room. Per questo “tempo” tutto al maschile si prediligono abiti informali come la vestaglia, ma successivamente si elaborerà un completo apposito, lo smoking, che è un abito informale non adatto alle cerimonie o alle serate di gala. 48
I.3.2.12 Gioielli e fiori all’occhiello. Le spille-gioiello dalla forma di insetto, i colori iridescenti accostati a morbide e sfumate nuances di pietre opaline, tutto viene usato per conferire al singolo oggetto una perfezione sinuosa e raffinata. I gioielli più apprezzati sono i bracciali a forma di serpente e le collane. Per l’uomo, invece, meno gioielli egli porta meglio è. Sono ammessi anelli, spille da cravatta, catene da orologi, i bottoni per lo sparato della camicia e per i polsini. I raffinati usano bottoni di pietra dura come l’ametista o il topazio. Caratteristica del periodo è il fiore all’occhiello, già apparso in precedenza ma ora trionfante. I fiori usati solitamente sono il garofano bianco di giorno e la gardenia per la sera. I.3.2.13 Altri accessori Tra gli altri accessori che si trovano in ambito maschile sono gli astucci da sigari, e le borse da tabacco, le prime di materiale modesto in legno o cuoio, poi d’argento, mentre le borse sono di stoffa. Il bastone è ancora un complemento indispensabile dell’abbigliamento maschile. Qualche volta il manico era semplicemente piegato ad angolo retto e coperto in argento, con teste di cani in avorio o con morivi cesellati in stile liberty. Anche i guanti saranno un elemento importante per l’abbigliamento del dandy e possono andare da colori pastello come il glicine per le donne, mentre l’uomo comune usa colori come il crema o nocciola. 49
I.4 Tra la Belle Epoque e la Grande guerra (1900-1918)
I.4.1 Introduzione storica Il nuovo secolo inizia sotto l’influenza dell’era tecnologica. Sarà Parigi la protagonista della creatività nel primo decennio del secolo e nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti32(1876-1944) pubblicherà nel giornale «Le Figaro» il Manifesto del Futurismo33: un’ode intensa per le nuove generazioni lanciate verso il futuro. Tutto il mondo occidentale attraversa un periodo piuttosto brillante, tanto che i primi anni del secolo rappresentano il meglio della Belle Epoque, ma in realtà c’erano una serie di tensioni sociali, attentati e contrasti tra le nazioni. La triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria e Italia) e la Triplice Intesa (Francia,Gran Bretagna e Russia) danno vita a due schieramenti senza limitazione di armamenti. Tra il 1907 e 1908 il clima internazionale si fa pesante e l’attentato di Sarajevo34 (28 giugno 1914) sarà la miccia che accenderà un grande conflitto ovvero la prima guerra mondiale.
I.4.2 Abbigliamento Il cinema colpisce fin da subito l’immaginario del popolo agli inizi del secolo, anche se i ceti borghesi preferiscono sempre il teatro e l’Opera. Molti saranno così i film di propaganda, che nel primo anno di guerra avevano uno scopo diretto. I film esposero in modo più velato le tema50
tiche di guerra,come in Passano gli Unni. Ma il cinema degli inizi del secolo è anche veicolo delle nuove tendenze,delle nuove mode. L’attrice Lyda Borelli orlava di code d’ermellino i suoi abiti di velluto bianco,mentre Francesca Bertini per le corse indossava ampi mantelli bianchi completati da cappelli enormi,decorati da aigrette nere. Attraverso le attrici si conoscono le ultime novità della moda. I.4.2.1 Abbigliamento maschile Per quanto riguarda l’abbigliamento dell’uomo, possiamo dire che seguirà il segno dell’equilibrio inglese. Nelle occasioni informali si userà lo spezzato, con giacca scura e pantalone in flanella35 (fig. 18), mentre per occasioni non ufficiale si può indossare lo smoking(fig. 19). Sarà di re Edoardo VII d’Inghilterra l’idea di indossare il panciotto con l’ultimo bottone sganciato, usanza che porterà alla nascita del gilè con le punte sul davanti. Sarà ancora Edoardo che promuoverà la diffusione dello smoking,comparso sul finire del secolo come giacca da camera nelle smoking-room delle case eleganti, dove i gentiluomini si riunivano per trascorrere serate “al maschile” diviene un vero e proprio completo per occasioni informali,con ampio collo in seta ricamata dello stesso colore della giacca, con i pantaloni indossati durante il giorno o con pantaloni dalla lunga striscia di raso nero lungo la gamba . Le camicie hanno il collo piccolo è rigido, con colletti e polsini intercambiabili. Per una cerimonia è di rigore il frac con alta abbottonatura, vita bassa, 51
linea morbida, e il cravattino bianco; mentre per lo sport e la campagna è prediletto uno spezzato in lana con giacca e pantaloni in colori contrastanti e un’alta cintura di tessuto a restringere l’ampiezza della giacca. Dal 1904 compaiono i paletot a doppio petto lunghi fino al ginocchio, mentre come sopravveste del tardo pomeriggio e per la sera si usa l’havelock; largo mantello con ampio collo. I.4.2.2 La moda futurista La moda espressa nel Manifesto del Vestito antineutrale di Giacomo Balla (1914) (fig. 20), aveva come scopo quello di cambiare l’intimo stato d’animo e il pensiero di chi l’indossava. Balla dichiarò di voler sostituire il vecchio, cupo e soffocante abbigliamento maschile con uno più dinamico e colorato, asimmetrico e colorato, che rompesse con la tradizione e si adeguasse al concetto futurista di modernità e progresso, non solo, doveva far riferimento alla guerra e rendere l’uomo più aggressivo e bellicoso. L’accostamento dei colori erano poi studiati per produrre un vivace effetto di simultaneità, che meglio si armonizzava con lo spazio urbano moderno. La moda doveva recuperare il senso del possibile e del cambiamento, e i vestiti si arricchirono pertanto, non solo di colori ma anche di materiali estranei a quelli in uso nella sartoria tradizionale, come i fili elettrici o materiali plastici o lampadine. Balla amava indossare per esempio una cravatta,da lui ideata che nascondeva una piccola lampadina elettrica in una scatolina,con un lato di cellu52
loide trasparente e quando parlava e voleva enfatizzare il discorso, premeva un bottone e la cravatta si illuminava. Nel manifesto della moda Femminile Futurista del 1920 curata da Vincenzo Fani Ciotti detto Volt36(1888-1927), si enfatizzarono i tre punti considerati essenziali per l’abbigliamento delle donne: ardimento, genialità ed economia. L’abito doveva essere il risultato creativo della combinazione di questi tre elementi. Le novità e la creatività delle vesti futuriste furono apprezzate in modo particolare più all’estero che in Italia. Nello stesso periodo in Francia era già iniziata la collaborazione di alcuni protagonisti della moda come Coco Chanel37(fig. 21), con gli esponenti di spicco di movimento artistici d’avanguardia,il cubismo per Chanel. L’artista che aderisce in modo particolare al concetto di moda “moderna” in Francia, è Sonia Delaunay38 che inventa i vestiti simultanei, unione di colori puri e forme in un insieme creativo. Moglie di Robert Delaunay39(fig. 22),Sonia applicava la sua tecnica simultanea ai tessuti e ai vestiti. I.4.2.3 Abbigliamento militare Nel 1909 nell’abbigliamento militare avviene un grande cambiamento, perché nelle uniformi si introduce la divisa grigio-verde di tela, mentre i colori di quelle preesistenti restano nell’uso di alcuni reggimenti per le uniformi da cerimonia. Scompariranno definitivamente i colori sgargianti e si assesteranno 53
quindi i colori mimetici; si rafforza la protezione per la testa con l’introduzione dell’elmetto metallico a calotta. La divisa del fante includeva ampie brache di tela grigio-verde, fermate dal polpaccio alla caviglia con strisce di tela, grosse scarpe e una giacca con tasche che arrivava all’altezza dell’inguine. Alcuni corpi prevedono l’uso della giberna40 in vita. Il copricapo è diverso da reggimento a reggimento, ma in battaglia si usa, come detto, l’elmetto, anch’esso differente di esercito in esercito. In Italia i cavalleggeri indossano pantaloni dal cosciale più ampio e dal polpaccio più aderente; i carabinieri hanno il copricapo a forma di bicorno e la mantella; gli alpini indossano il berretto a punta e la mantellina corta. I.4.2.4 Abbigliamento femminile All’inizio del secolo la linea degli abiti prevede una vita stretta segnata da alte cinture-bustino, con gonne che coprono il piede e braccia ricoperte da lunghe maniche. Ampi cappelli decorati di piume e trine completano le mise che devono includere tessuti ricamati. Molto usata è la linea a S che esalta seno e fianchi, assieme alla linea a clessidra amata dalle demi-mondaine41, le donne che rendevano vivaci le notti dei cafè-chantant,dei ritrovi alla moda,dei teatri e dei locali notturni. Gli abiti delle nobildonne erano più classici rispetto a quello delle demi-mondaine. Ancora diverso era quello delle suffragette, le femministe che lottavano per il riconoscimento dei diritti delle donne:il loro 54
stile era più informale: indossavano un tailleur dal taglio maschile in colori scuri. Nel 1902 compare lo scollo a V, anche se molte donne preferivano ancora velare la gola con pizzi e merletti. Dall’America giungerà un nuovo modello di donna, quello della Gibson Girl42 che si distingue per l’utilizzo di abiti semplici caratterizzati da una camicetta in tessuti leggeri, con collo alto e cravattina al maschile, ampie maniche a gigot sulla spalla e strette al polso, e un’ampia gonna a corolla. Le acconciature sono voluminose, alte e completate da un cappello di paglia alla canottiera. Le camicette divengono di gran moda. Nel 1907 i tailleur prevedono una giacca lunga quasi fino al ginocchio, con manica diritta e revers in colori contrastanti, mentre la gonna è stretta. Sarà lo stilista parigino Paul Poiret43ad andare oltre, proponendo una silhouette di donna dalla figura snella diritta e slanciata, dove il busto ormai è di troppo(fig. 23): prima si ispira alle linee Impero e Direttorio, poi alle culture arabe e orientali. Nel 1910 propone una gonna lunga e diritta fermata all’altezza dei polpacci da una fusciacca, in modo da costringere le donne a camminare a piccoli passi. La jupe entravèe definisce il ruolo di una donna sottomessa all’uomo e, anche se il busto viene eliminato da Poiret, lui non passa certamente per femminista, tanto che le suffragette non faranno mai parte del genere di clientela che lui desidera. Nel 1911 Poiret apre la sua maison alle signore e ai disegnatori di 55
moda, con una grande festa estiva intitolata “Omaggio Persiano,ovvero la Milleduesima Notte”. Per l’occasione Madame Poiret indossava morbidi pantaloni in chiffon, stretti in vita e alle caviglie, con una tunica in lamé dorato, mentre in testa un turbante con aigrette completava l’insieme. I pantaloni aprirono la strada a futuri cambiamenti della moda. Ma i calzoni all’orientale di Poiret sono ancora un indumento da portare in casa assieme a una tunica che arriva al polpaccio. Tuttavia, i pantaloni al femminile sono una proposta che non poteva lasciare indifferenti i contemporanei. La jupe-coulotte poteva essere l’ampio pantalone sbuffante coperto da una gonna o una tunica almeno fino alle ginocchia, oppure una lunga gonna che terminava dividendosi in due e chisa attorno alle caviglie delle signore in modo da presentarsi in fondo come un pantalone ampio all’orientale. Un altro interprete del rinnovamento della linea femminile fu Mariano Fortuny44. Egli non si può definire un vero couturier, ma le sue creazioni si strinsero attorno ad attrici e donne di spettacolo come Lyda Borelli e Eleonora Duse, mentre le donne della borghesia e della nobiltà utilizzavano le sue creazioni prevalentemente come vesti da casa, perché le giudicavano troppo moderne e audaci per la vita pubblica. Fortuny produceva abiti ispirati all’Oriente e alla Grecia. Nel 1907 realizza un capo che diventerà famoso: il “delphos”, fittamente pieghettato. Queste pieghe venivano realizzate attraverso un procedimento di plissettatura ottenuto impiegando rulli di ceramica caldi. Egli realizzerà anche altri modelli d’ispirazione greca, come il “peplos” e i grandi teli 56
detti “knossos”. Bisogna dire quindi che ogni momento della vita sociale aveva il suo abito specifico. Per l’estate si portano dei vestiti di tela chiara o bianca con cappellino alla canottiera di paglia. Unico gioiello da mostrare è una spilla da applicare alla cravattina. Per il nuoto la tunica corta e stretta è diventata più ampia nella gonna e più scollata e con maniche cortissime sul busto. I calzoni non sporgono dalla gonna lunga fino al ginocchio;il tutto è decorato da ricami a giorno. Nel 1914, poco prima che scoppiasse la guerra,le donne indossavano camicette sottili in seta bianca, con gonne diritte o a pieghe e pellicce dovunque: sui colli, nei manicotti, sui cappellini. Quando poi il conflitto esplose, gli operai e i contadini partirono e le industrie avevano bisogno di addetti, occorse così impiegare donne. Le signore della borghesia medio-alta si impegnarono da subito nelle organizzazioni di soccorso, imparando così a guidare autoambulanze e motociclette. Alla fine della guerra le donne vennero rimandate a casa per lasciare il lavoro ai reduci, ma per molte di loro sarà difficile scordare questa esperienza di libertà. Anche gli abiti contribuirono a dare loro questo senso di libertà, tanto le divise davano un senso di appartenenza e donavano un’immagine ufficiale e riconosciuta dalla società per l’utilità dimostrata. Lo sfarzo e la sontuosità delle vesti antecedenti al conflitto caddero in secondo piano, Coco Chanel lanciò uno stile semplice dalla gonna stretta e diritta, lunga fino alla caviglia, con camicetta e giacca lunga: una variante severa del tailleur. Solo gli abiti da sera mantenevano le 57
vesti lunghe con corto strascico,ma le donne più coraggiose mostravano il braccio nudo fino alla spalla nel tentativo di risparmiare tessuto. I.4.2.5 Tessuti I tessuti utilizzati in questo periodo sono eleganti, e raffinate e sono sete e velluti per gli abiti da sera come lane per gli abiti maschili. Per i tailleur e gli abiti da giorno si usano cotoni e lini, così anche per le camicette e le vesti della villeggiatura. Molto diffusi sono le sovrapposizioni di pizzi merletti tulle e veli. I.4.2.6 Acconciature I capelli delle donne vengono raccolti sulla sommità della testa, ancora voluminosi .Onde e chignon si alternano ai bandeaux laterali che danno un’aria sofisticata. Gli uomini hanno capelli corti e baffi vistosi. Molto di moda in questo periodo sono i bottoni di madreperla dalle forme più svariate: rotonde, quadrate o sagomate, spesso bordati di un filo di metallo dorato. I.4.2.7 Calzature Le calzature tendono ad essere più visibili, il piede diventa così un simbolo di seduzione del tempo. Nel 1914 Salvatore Ferragamo45 (fig. 24) giunge a Santa Barbara,in America dove inizia la sua fortuna. Ma anche in Italia il settore della calzatura comincia a riscuotere grande interesse. 58
I.4.2.8 Copricapo Il cappello e il bastone diventano gli elementi essenziali del gentiluomo. Il cilindro è sempre in voga, in grigio o nero, e si afferma anche la bombetta. Il cappello informale sia per uomo che per donna è di paglia. I cappelli per le signore si dilatano fino a raggiungere dimensioni ragguardevoli attorno al 1913-14. Poi il cappello diventa più piccolo, spesso aderente alla testa, anticipando così la cloche degli anni 20. Mentre uno dei primi italiani che si interessò alla produzione di cravatte fu Guido Ravasi46,che agli inizi del ‘900 si propose di tessere la seta in Italia anziché farla importare dall’estero. Per quanto riguarda invece i gioielli, si può dire che tra le forme più amate è il collier-de-chien, l’alto collier che orna la gola delle più raffinate signore del bel mondo. I gioielli da cravatta che usano le signore sono spesso decorati da piccole sculture con testine di animali o da perle. Le perle sono molto usate sia per gli orecchini che per le collane.
Note al Capitolo I Pelliccia pregiata, così chiamata dal nome della città russa di Astrachan′ (scritto anche Astrakan), con pelame nero, lucido, profondo, ottenuta da agnelli (di razza caracùl) della regione o provenienti da località finitime, spesso dall’Iran. 2 Butazzi, Mottola Molfino 1991, p. 28. 3 Pezzini 1991, p. 9. 4 Scaraffia 2007, p. 27. 5 Butazzi, Mottola Molfino 1991, op. cit., p. 14. 6 Grisaglia: Per i francesi grisaille, per gli americani sharkskin, è un pettinato armato a batavia, in cui su un ordito di fili chiari e scuri si inseriscono fili di trama alternati chiari e scuri, creando un effetto a scaletta. Tessuto utilizzato in modo particolare per l’abito formale da giorno, è versatile, confortevole, e presenta una vasta quantità di 1
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pesi e colori. Di fatti si può trovare in svariate tinte, ma nonostante ciò, la grisaglia ha senso compiuto solo in grigio. E’ meglio non spingersi mai in toni eccessivamente scuri perchè il tessuto perderà la sua ragione d’essere. Una variante della grisaglia, in cui insieme all’aspetto cambiano il nome e le attitudini, è il fil-à-fil quando alcuni fili scuri e chiari risaltano più degli altri, sia in ordito sia in trama. Si produce così un effetto graffiato, che dalla media distanza danno l’effetto di una tela. Il fil-à-fil è perfetto per abiti decisamente mattutini, profondamente signorili. 7 «Bohème ‹boèem› [propr. «Boemia» e quindi «vita da zingaro» (gli zingari erano giunti in Francia passando attraverso la Boemia e recandone con sé il nome)]. – Scapigliatura, vita disagiata ma libera, anticonformista e disordinata, tipica soprattutto di artisti, scrittori e poeti della seconda metà dell’Ottocento: il fascino, le suggestioni della bohème. Per estens., gruppo di persone che vive in tal modo, in altra epoca: la b. romana del dopoguerra». http://www.treccani.it/vocabolario/boheme/ 8 Scaraffia 2007, op. cit., p.49. 9 Il Romanticismo si configura come un complesso movimento politico, filosofico, artistico e culturale sorto in Germania e in Inghilterra negli ultimi anni del Settecento e diffusosi in tutta l’Europa nel corso del XIX secolo. Il termine deriva dall’aggettivo inglese romantic, usato nel ‘600 per indicare elementi stravaganti, irreali, avventurosi e amorosi nei romanzi cavallereschi; perso poi il suo significato negativo, designò l’evasione fantastica dal reale. Sviluppandosi inizialmente in Germania, il Romanticismo è un movimento culturale di portata europea preceduto da fenomeni quali lo “Sturm und drang” (Tempesta ed impeto). 10 «Le Journal des Dames et de la Mode» è una delle prime riviste di moda illustrate francese. Creato nel 1797 dal libraio Sellèque, ripreso nel 1801 da Pierre Antoine Leboux di Mèsangère e chiuso nel 1839, questo giornale è stato pubblicato con diversi nomi: «Journal des Dames», «Costumes Parisien», «Journal des mode», «Journal de la Mèsangère» e, infine, «Gazette des Salons». I giornali di moda parigini inizialmente avevano al loro interno solo le pregiate incisioni di figurini, alle quali si aggiunsero in seguito brevi didascalie descrittive. Con il passare del tempo, queste didascalie iniziarono a svincolarsi dalle immagini assumendo la fisionomia di articoli, anche se sempre ricchi di contenuti. 11 Edoardo VII (1841–1910) fu re di Gran Bretagna e d’Irlanda, imperatore delle Indie dal 22 gennaio 1901 fino alla sua morte. Primogenito della regina Vittoria e di Alberto Francesco Augusto di Sassonia-Coburgo, principe consorte d’Inghilterra, contribuì a riavvicinare il Regno Unito agli Stati Uniti, alla Russia, all’Italia e alla Spagna. Assunse anche delle iniziative di politica internazionale autonome e, coadiuvato dal ministro degli Esteri Lansdowne, concorse in modo decisivo alla stipula dell’Entente cordiale con la Francia (1904). Per le sue capacità diplomatiche fu soprannominato Peacemaker (“Conciliatore”). Edoardo fu anche il modello d’eleganza preso come riferimento della moda maschile d’inizio secolo. Egli vestiva con un’eleganza moderna e disinvolta, portava la giacca aperta, l’ultimo bottone del gilet slacciato e i 60
pantaloni con risvolto. La giacca rappresentava quindi il capo più elegante e impegnativo, i pantaloni si restrinsero verso il basso e potevano essere con o senza risvolto, mentre il gilet, riferito all’abbigliamento tipico di Edoardo, presentava un’abbottonatura alta e due punte davanti. 12 Butazzi, Mottola Molfino 1991, p. 58. 13 María Eugenia Ignacia Augustina de Palafox y Portocarrero de Guzmán y Kirkpatrick, nota come Eugenia de Montijo, nacque a Granata da Don Cipriano de Palafox y Portocarrero de Guzmàn - un Grande di Spagna che combatté nelle armate napoleoniche e che vide la caduta del Primo Impero – e Marìa Manuela Kirkpatrick, di estrazione borghese. Rimasta poi vedova, quando nel 1844 la figlia maggiore Maria si sposò con il duca d’Alba, lei e la figlia Eugenia si stabilirono a Parigi. Qui Eugenia vi conobbe Napoleone III che, invaghitosi di lei, la sposò il 30 gennaio 1853. Come imperatrice, esercitò una notevole azione politica in senso conservatore, cattolico, filopapale.Con la sua bellezza, il suo fascino e la sua eleganza Eugenia contribuì al successo del regime imperiale. Eugenia, come Maria Antonietta nel secolo precedente, influenzò la moda: è lei ad imporre i tessuti fiorati e a righe, i vestiti a palloncino bombati da sottogonne di crinolina, le tenute arricchite da merletti finemente lavorati. È sempre lei a lanciare la moda del bolero, ispirata dalle sue origini spagnole. L’imperatrice Eugenia fu anche una grande amante dell’alta gioielleria, soprattutto delle pietre preziose ed in particolar modo degli smeraldi. L’aristocratica eleganza di Eugenia, lo splendore dei suoi vestiti e la ricchezza dei suoi gioielli sono ben documentati in innumerevoli dipinti. 14 Bloomer nasce a Homer, New York. Proveniva da una famiglia modesta e frequentò una scuola pubblica locale, ricevendo un’istruzione limitata. Dopo una breve esperienza come insegnante di scuola all’età di diciassette anni, si trasferisce con la sorella Elvira, appena sposata, a Waterloo. Mentre lavorava come governante per una famiglia, incontrò Dexter Bloomer, che era redattore e co-proprietario di un giornale locale, il «Seneca Falls County Courier». Nel 1840 i due si sposarono ed Amelia riuscì ad emergere nella vita sociale, diventando membro attivo della sua chiesa e nelle organizzazioni comunitarie. Amelia Bloomer era profondamente impegnata nel movimento della temperanza. Con l’incoraggiamento del marito, ella comincia a scrivere su temi sociali per il suo giornale. Nel 1848 partecipa alla Convenzione del Niagara Seneca, la prima convention sui diritti delle donne. Bloomer era lì in qualità di osservatore, ma l’anno seguente inizia a scrivere «The Lily»; il giornale fu prima un diario temperanza, ma arrivò ad avere un ampio mix di contenuti che spaziavano dalle ricette a tratti moralistici. Nella sua pubblicazione Bloomer promuove un cambiamento di norme riguardante anche l’abbigliamento delle donne, che doveva essere meno restrittivo e più adatto ai loro bisogni. Nel 1851 Elizabeth Smith Miller, sostenitrice del movimento per i diritti femminili, adotta quello che considerava un costume più razionale: pantaloni ampi raccolti alle caviglie, come i pantaloni da donna indossati nel Medio Oriente e in Asia centrale, sormontato da un abito corto o una gonna e gilet. Anche se altri avevano indossato questo stile prima, fu la Bloomer a 61
renderlo ampiamente noto come “costume Bloomer” o “Bloomers”. Tuttavia, inizialmente i Bloomer furono giudicati ridicoli. 15 La Triplice Alleanza fu un Patto difensivo segreto siglato tra Germania, Austria e Italia (20 maggio 1882), promosso dal cancelliere tedesco Otto von Bismarck per isolare la Francia. Prevedeva l’aiuto reciproco tra Italia e Germania in caso di aggressione francese o se uno dei tre contraenti fosse stato attaccato da due potenze, e neutralità nel caso che uno dei firmatari fosse indotto a dichiarare guerra. L’Italia, preoccupata per il proprio isolamento politico e per le possibili complicazioni della questione romana che coinvolgeva la Francia, entrò nel sistema degli imperi centrali nonostante le ostilità irredentistiche nei confronti dell’Austria. Il trattato, della durata di 5 anni, era integrato dalla dichiarazione, richiesta dall’Italia, che l’alleanza non potesse essere rivolta contro la Gran Bretagna. Nel 1887 la Triplice Alleanza fu rinnovata con l’aggiunta di un patto italo-austriaco che prevedeva compensi nel caso di mutamenti nello statu quo balcanico e un patto italo-tedesco che garantiva all’Italia il controllo della situazione nell’Africa settentrionale. Nel rinnovo del 1891 questi patti furono incorporati nel trattato, costituendone l’art. 7 e l’art. 9. Inaspritisi i rapporti di Guglielmo II con la Gran Bretagna, al rinnovo del 1896 la Germania rifiutò di accompagnare di nuovo il trattato con la dichiarazione del 1882 riguardo alla Gran Bretagna. Nel 1902 l’Italia ottenne che l’Austria s’impegnasse ad acconsentire una eventuale sua azione in Tripolitania e Cirenaica. L’alleanza fu ancora rinnovata nel 1908, quando l’annessione della Bosnia-Erzegovina all’Austria e la ripresa delle istanze irredentistiche italiane creavano le condizioni per un riavvicinamento tra Italia e Russia, conclusosi con l’accordo di Racconigi (1909). La situazione europea risultava ormai rovesciata, in quanto, pur sopravvivendo la Triplice Alleanza, si era creato un sistema di alleanze anglo-franco-russo, cui l’Italia si era accostata con accordi diretti con quelle potenze. Ma i risultati dell’impresa libica - che rafforzando la posizione italiana nel Mediterraneo, portarono a un raffreddamento dei rapporti con la Francia e la Gran Bretagna - e la questione balcanica che impegnava l’Austria, parvero ridare forza alle antiche preoccupazioni e così la Triplice Alleanza fu rinnovata nel 1912, aggiungendosi nelle convenzioni il riconoscimento della Libia italiana nello status quo mediterraneo da mantenersi. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, l’Italia dichiarò la propria neutralità in base all’articolo che stabiliva l’obbligo di aiuto reciproco solo nel caso di aggressione da parte di due potenze. Fallite le trattative con l’Austria per ottenere l’applicazione dell’art. 7, l’Italia denunciò il trattato (1915) motivando la denuncia con la violazione dei patti da parte dell’Austria. 16 Triplice Intesa fu un sistema di alleanze politico-militare tra la Gran Bretagna, la Francia e la Russia – queste ultime due già strette nella Duplice Alleanza – realizzatasi tra il 1904 e il 1907. Nonostante la crescente tensione tra la Germania e la Gran Bretagna dopo l’allontanamento del cancelliere Otto von Bismarck (1890), quest’ultima continuava a fiancheggiare la Triplice Alleanza a causa della forte rivalità coloniale con la Francia e la Russia. Il contrasto anglo-francese fu definitivamente composto con l’entente cordiale dell’8 aprile 1904, mentre il 31 agosto 1907 Gran Bretagna e 62
Russia giunsero a un accordo per la sistemazione dei rispettivi interessi in Asia centrale. A spingere le tre nazioni al componimento delle loro rivalità fu la comune preoccupazione per la politica navale e imperiale della Germania; la Triplice Intesa si costituì perciò contro la minaccia tedesca, che doveva poi compattamente fronteggiare durante la Prima guerra mondiale. 17 La Prima guerra mondiale cominciò il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia in seguito all’ assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914 per concludersi oltre quattro anni dopo, l’11 novembre 1918. Il conflitto coinvolse le maggiori potenze mondiali di allora, divise in due blocchi contrapposti; gli Imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero ottomano e Bulgaria) contro le potenze alleate rappresentate principalmente da Francia, Gran Bretagna, Impero russo e Italia (1915). Oltre 70 milioni di uomini furono mobilitati in tutto il mondo in quello che divenne in breve tempo il più vasto conflitto della storia, che causò oltre 9 milioni di vittime tra i soldati e circa 7 milioni di vittime civili dovute non solo agli effetti diretti delle operazioni di guerra, ma anche alla carestia e alle malattie concomitanti. Militarmente il conflitto si aprì con l’invasione austroungarica della Serbia, e parallelamente, con una rapida avanzata dell’esercito tedesco in Belgio, Lussenburgo e nel nord della Francia dove giunse a 40 chilometri da Parigi. In poche settimane il gioco di alleanze formatosi negli ultimi decenni dell’Ottocento tra gli stati comportò l’entrata nel conflitto delle maggiori potenze europee e delle rispettive colonie. In pochi anni la guerra raggiunse una scala mondiale, con la partecipazione di molte altre nazioni, fra cui l’Impero ottomano, l’Italia, la Romania, gli Stati Uniti e la Grecia, aprendo così altri fronti di combattimento. Con la sconfitta tedesca sulla Marna nel settembre 1914 le speranze degli invasori di una guerra breve e vittoriosa svanirono a favore di una logorante guerra di trincea, che si replicò su tutti i fronti del conflitto dove nessuno dei contendenti riuscì a soggiogare le armate nemiche. Determinante per l’esito finale del conflitto mondiale fu l’ingresso degli Stati Uniti d’ America e di diverse altre nazioni che, pur non entrando militarmente a pieno regime nel conflitto, grazie agli aiuti economici dispensati agli Alleati, si schierarono contro gli Imperi Centrali facendo pendere definitivamente l’ago della bilancia. La guerra si concluse definitivamente l’11 novembre 1918, quando la Germania, ultima degli Imperi centrali a deporre le armi, firmò l’armistizio con le forze nemiche. Alla fine del conflitto, i maggiori imperi esistenti al mondo - Impero tedesco, austro-ungarico, ottomano e russo - cessarono di esistere, e da questi nacquero diversi stati che ridisegnarono completamente la geografia dell’Europa. 18 William Morris (1834 -1896) è stato un artista e scrittore inglese. Fu tra i principali fondatori del movimento delle Arts and Crafts; è considerato antesignano dei moderni designer ed ebbe una notevole influenza sull’architettura e sugli architetti del suo tempo. Da molti è considerato il padre del Movimento Moderno, sebbene non fosse architetto egli stesso. Ha fondato uno studio di design in collaborazione con l’artista Edward Burne-Jones, e il poeta e artista Dante Gabriel Rossetti che ha profondamente influenzato la decorazione di chiese e case nel ventesimo secolo. Ha dato anche un 63
importante contributo al rilancio delle arti tessili tradizionali e gli annessi metodi di produzione. Durante il corso della sua vita Morris ha scritto e pubblicato poesie, narrativa, e traduzioni di testi antichi e medievali. 19 Il secondo impero francese di Napoleone III fu caratterizzato da un particolare modo di governare,definito, bonapartismo, basato sulla ricerca del consenso popolare e sull’autoritarismo (a partire però dal 1860 ci furono aperture in senso democratico e liberale). In politica estera Napoleone III cercò di fare della Francia la maggior potenza Europea, senza tralasciare le ambizioni coloniali. 20 Il cashmere, o kashmeer è una pregiatissima fibra tessile formata con il pelo della capra hircus, tipica dell’Asia. La mano del cashmere è morbida, setosa e vellutata, dà una sensazione calda e soffice. 21 Tessuto pettinato, di peso medio a struttura serrata su armatura tela con coste orizzontali di vario spessore e nettamente marcate, quando le coste sono più sottili e fitte prende il nome di faglia. Fabbricato in seta, lana, cotone, raion. E’ usato in lana per abbigliamento femminile, in altri materiali per arredamento. 22 Cravatta a nodo già fatto, di grandi dimensioni, che copre quasi completamente il davanti della camicia. 23 Knickerbockers: capo d’abbigliamento più libero, nato inizialmente per l’infanzia dei maschi, giunto in Europa dall’America intorno il 1865. Questi pantaloni corti entrano nell’uso grazie ad un romanzo: History of the World di W. Irving, del 1859. Qui compare per la prima volta il termine knickerbockers, riferito a pantaloni corti, prima fermati sotto al ginocchio ma poi anche di taglio diritto. Iniziano col diffondendosi nell’abbigliamento dei ragazzi, poi anche nell’abbigliamento degli adulti per certi sport. Ma prima della fine del secolo essi diventeranno i classici shorts (pantaloncini) ancora usati nell’abbigliamento infantile. 24 Il tweed è un tipo di tessuto in lana originario della Scozia. Il nome sarebbe derivato, secondo la leggenda, da una cattiva interpretazione di twill (o tweel, stando alla pronuncia scozzese), che significa armatura a saia, armatura che dà come risultato un tessuto con rigatura diagonale o disegni ricavati da varie combinazioni come la lisca di pesce. Poiché questo metodo era usato nei centri tessili dell’ Ottocento lungo il fiume Tweed, che separa la Scozia dall’ Inghilterra, ciò spiegherebbe la confusione. All’inizio si usavano filati grigi e neri e il motivo classico era quello spigato. Oggi viene prodotto in molti colori e motivi tra cui l’houndstooth (pied de poule), checked (quadretto), overchecked (finestrato). Esistono anche tweed nei colori dei classici tartan scozzesi. 25 Snob: deriva dall’accorciamento del termine latino sine nobilitate, senza nobiltà, che dall’Ottocento indica gli arrampicatori sociali i quali tentano di imitare i potenti e gli aristocratici. 26 Beardslay è stato un illustratore, scrittore e pittore inglese piuttosto influente negli ambienti teatrali all’epoca di Oscar Wilde. Fu profondamente influenzato dallo stile giapponese che era di moda in quegli anni: famose sono le sue illustrazioni in bianco e nero a campiture piatte per opere come Salomè. 64
Salomè è un dramma in un atto unico scritto in lingua francese dal drammaturgo irlandese Oscar Wilde. È ispirato alla figura di Salomè, figlia di Erodiade, ed alla sua storia, riportata, pur tacendone il nome, nei Vangeli di Marco e Matteo. Per compiacere la sua volontà, infatti, Erode ordinò la decapitazione di Giovanni Battista. L’opera venne scritta in lingua francese durante un soggiorno del drammaturgo a Parigi, appositamente per l’attrice Sarah Bernhardt la quale, nonostante le numerose prove, si rifiutò di interpretare il personaggio sulle scene a causa dello scandalo omosessuale che aveva travolto Wilde. L’opera venne pubblicata nel 1893 con le illustrazioni, in stile liberty , di Aubrey Beardslay: la traduzione in lingua inglese venne affidata all’amante di Oscar Wilde, Lord Alfred Douglas (Bosie). Rivelatosi il giovane impari all’impresa, la sua traduzione venne in realtà sostituita con un’altra rimasta anonima (approvata da Wilde, che non intervenne nella redazione, come testimonia il figlio Vivian Holland) e nella prima edizione compare la dedica “A Lord Alfred Douglas, traduttore della mia commedia”. 28 Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901) è uno degli ultimi pittori impressionisti. Discendente di una nobile ed antichissima famiglia francese, la sua vita fu segnata, a quattordici anni, da due cadute da cavallo che gli procurarono delle fratture ad entrambe le ginocchia. In seguito le sue gambe non crebbero al pari del resto del corpo, restando egli deforme come un nano. Ciò lo portò a vivere una vita bohemien nel pittoresco e malfamato quartiere parigino di Montmartre. E in questo povero universo di ballerine e prostitute egli svolse la sua arte, prendendo di lì la propria ispirazione. Egli è soprattutto un grande disegnatore, portando la sua arte su un piano che era sconosciuto agli altri pittori impressionisti: quello della linea funzionale. Egli con la linea coglie con precisione espressionistica le forme, i corpi e lo spazio,e anche le superfici vengono tutte intessute di linee che si intrecciano a formare suggestivi intrecci.Questa sua capacità di deformare la linea con grande capacità espressionistica rese la sua opera pittorica densa di suggestioni per i movimenti pittorici successivi. Soprattutto l’espressionismo prese ispirazione da Toulouse-Lautrec ma anche la successiva cultura figurativa liberty che fece della linea la sua principale matrice figurativa. Ed al liberty Toulouse-Lautrec fornì anche un nuovo ambito di applicazione: quello del manifesto d’autore. Egli, infatti, fu il primo pittore ad utilizzare le sue capacità artistiche per la produzione di grafica d’autore, soprattutto in occasione di spettacoli teatrali e cabarettistici.La breve vita di Toulouse-Lautrec rimane un esempio anch’esso emblematico dell’artista di fine secolo. Ovvero di artista maledetto che vive la propria vita e la propria arte su un unico piano di intensa partecipazione emotiva. Egli, pur provenendo da una famiglia nobile ed agiata, preferì vivere la propria esistenza fuori dai comodi schemi della vita borghese, consumandola con un disprezzo per la vita stessa che lo accomuna ad altri artisti, non solo pittori, di questa fase.Toulouse-Lautrec evade dalla società rifugiandosi in quel mondo equivoco fatto di bordelli e locali di spettacoli in cui incontrava barboni, ubriachi, prostitute e con i quali condivideva anche la sua affettività. Ed essi divennero il soggetto dei suoi quadri, cogliendo in loro una vera e genuina umanità, a volte struggente e dignitosa.Morì 27
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nel 1901 all’età di trentasette anni per problemi di alcolismo. 29 Oscar Fingal O’ Flahertie Wills Wilde: nacque a Dublino nel 1854. Suo padre William era un rinomato chirurgo e uno scrittore versatile; sua madre Jane Francesca Elgée, una poetessa e un’accesa nazionalista irlandese. Dopo aver frequentato il prestigioso Trinity College a Dublino e il Magdalen College, divenne presto popolare per la sua lingua sferzante, per i suoi modi stravaganti e per la versatile intelligenza. Ad Oxford, dove fra l’altro vinse il premio Newdigate con il poema Ravenna, conobbe due fra i maggiori intellettuali del tempo, Pater e Ruskin, che lo introdussero alle più avanzate teorie estetiche e che affinarono il suo gusto artistico. Nel 1879 soggiorna a Londra dove inizia a scrivere occasionalmente saggi giornalistici e pubblicare poemi. Nel 1881 escono i Poems che ebbero in un anno ben cinque edizioni. La sua chiarezza, il suo brillante modo di conversare, il suo ostentato stile di vita ed il suo stravagante modo di vestirsi fecero di lui una delle figure più salienti degli affascinanti circoli londinesi. Un tour di lettura durato un anno negli Stati Uniti incrementò la sua fama e gli diede l’opportunità di formulare meglio la sua teoria estetica che ruota intorno al concetto di “arte per l’arte”. Nel 1884, ritornato a Londra dopo aver trascorso un mese a Parigi, sposa Costance Lloyd: un matrimonio più di facciata che dettato dal sentimento. Wilde è difatti omosessuale e vive questa condizione con enorme disagio, soprattutto a causa della soffocante morale vittoriana che imperava nell’Inghilterra del tempo. La costruzione di cartapesta eretta da Oscar Wilde non poteva però durare a lungo e infatti, dopo la nascita dei suoi figli Cyryl e Vyvyan, si separa dalla moglie a causa dell’insorgere della sua prima vera relazione omosessuale. Nel 1888 pubblica la sua prima collezione di storie per ragazzi: Il principe felice e altre storie, mentre tre anni dopo compare il suo unico romanzo Il ritratto di Dorian Gray, capolavoro che gli diede fama imperitura e per cui è conosciuto ancora oggi. L’aspetto peculiare del racconto, oltre alle varie invenzioni fantastiche (come quella del ritratto ad olio che invecchia al posto del protagonista), è che Dorian possiede indubbiamente molti dei tratti caratteristici dello scrittore, cosa che non mancò di scatenare l’ira dei critici, i quali ravvedevano nella prosa di Wilde i caratteri della decadenza e della disgregazione morale. Nel 1891, il suo “annus mirabilis”, pubblica il secondo volume di favole La casa dei melograni e Intenzioni, una collezione di saggi comprendente il celebre La decadenza della menzogna. Nello stesso anno stende per la famosa attrice Sarah Bernhardt il dramma Salomé, scritto in Francia e fonte ancora una volta di grave scandalo. Il tema è quello della forte passione ossessiva, particolare che non poteva non attivare gli artigli della censura britannica, che ne proibisce la rappresentazione. Ma la penna di Wilde sa colpire in più direzioni e se le tinte fosche le sono familiari, nondimeno si esprime al meglio anche nel ritratto sarcastico e sottilmente virulento. La patina di amabilità è anche quella che vernicia uno dei suoi più grandi successi teatrali: il brillante Il ventaglio di Lady Windermere, dove, sotto l’apparenza leggiadra e il fuoco di fila delle battute, si nasconde la critica al vetriolo alla società vittoriana. La stessa che faceva la fila per vedere la commedia. Galvanizzato dai successi, lo scrittore produce una quantità considerevole di pregevoli 66
opere. Una donna senza importanza torna alle tematiche scottanti (avendo a che fare con lo sfruttamento sessuale e sociale delle donne), mentre Un marito ideale è incentrato nientemeno che sulla corruzione politica. La sua vena umoristica esplode nuovamente con l’accattivante L’importanza di chiamarsi Ernesto, un’altra stilettata al cuore dell’ipocrita morale corrente. Questi lavori vennero definiti come perfetti esempi della “commedy of manners”, grazie alle loro illustrazioni delle maniere e della morale dell’affascinante e un po’ frivola società del tempo. Ma la società vittoriana non era così disposta a farsi prendere in giro e soprattutto a veder svelate le sue contraddizioni in maniera così palese e sarcastica. A partire dal 1885, la scintillante carriera dello scrittore e la sua vita privata vennero dunque distrutte. Già dal 1893 la sua amicizia con Lord Alfred Douglas, detto Bosie, mostra la sua pericolosità procurandogli non pochi fastidi e suscitando scandalo agli occhi della buona società. Due anni dopo viene appunto processato per il reato di sodomia. Entrato in carcere viene processato anche per bancarotta, i suoi beni sono messi all’asta mentre sua madre muore poco dopo. Viene condannato per due anni ai lavori forzati; è durante il periodo del carcere che scrive una delle sue opere più toccanti De profundis, che non è altro che una lunga lettera indirizzata al mai dimenticato Bosie (il quale nel frattempo si era allontanato non poco dal compagno, quasi abbandonandolo). Sarà il vecchio amico Ross, l’unico presente fuori dal carcere ad attenderlo al momento della scarcerazione, a tenerne una copia e a farla pubblicare, come esecutore testamentario, trent’anni anni dopo la morte di Wilde. L’ultima opera, scritta dopo un riavvicinamento a Bosie, è Ballata del carcere di Reading che termina nel 1898 dopo essere uscito di prigione, durante un soggiorno a Napoli. Tornato a Parigi apprende della morte della moglie e, dopo un paio d’anni di spostamenti sempre insieme all’amato Bosie, il 30 novembre del 1900 Oscar Wilde muore di meningite. 30 Tra i principali musei del costume in Europa possiamo ricordare: la galleria del costume di Palazzo Pitti a Firenze, i Musei Mazzucchelli di Brescia, il Museum of Costume Art di New York. 31 La lobbia (o il lobbia) è un tipo di cappello con l’ala rialzata e la piega centrale simile ad un’ammaccatura. Il nome italiano deriva da quello del deputato Cristiano Lobbia che nel 1869 fu vittima di una brutale aggressione lungo una via di Firenze, allora capitale d’Italia, sede del Parlamento. Fu colpito da una gran botta in testa (che infossò il suo cappello) e da tre pugnalate al petto, tra l’indignazione di Firenze e dell’intero Regno Italiano. Un cappellaio intraprendente approfittò della pubblicità suscitata dalla vicenda per mettere in vendita cappelli “alla Lobbia”. 32 Filippo Tommaso Marinetti è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano. È conosciuto soprattutto come il fondatore del movimento futurista, la prima avanguardia storica italiana del Novecento. 33 Una delle maggiori novità del Futurismo fu quindi l’adozione sistematica del manifesto come mezzo, contemporaneamente, d’intervento polemico, di progetto teorico, d’indicazione di obiettivi da perseguire. Il linguaggio dei manifesti futuristi accoglie le varie scritture dell’area industriale: programmi bilanci e consuntivi azien67
dali, relazioni scientifiche, documenti di partito, piattaforme di rivendicazione sindacale. Non a caso i manifesti futuristi vengono definiti tecnici. Sono di solito strutturati in tre parti (analisi della situazione, proposta teorica, individuazione degli strumenti utili) e guardano all’arte, nei suoi vari ambiti, come un’attività programmabile e riproducibile. Un punto importante è che i manifesti futuristi si presentano come documenti collettivi e come una piattaforma comune, alla quale in seguito altri possono aderire. Presentandosi come manifesti, essi annunciano un programma e lo fanno senza perdersi in argomentazioni razionali o esempi. I contenuti offrono spunti suggestivi: il manifesto è anche un testo creativo. Il più famoso dei manifesti futuristi è quello di fondazione, pubblicato da Marinetti prima in un volantino di due pagine, e poche settimane dopo su «Le Figaro» (febbraio 1909). Un altro celebre manifesto fu “Uccidiamo il chiaro di luna!”, uscito come volantino e poi, nell’ottobre del 1909, in Poesia: esso aggregava in una visione interdisciplinare letterati, pittori e musicisti. Tra gli altri manifesti si ricordano: il Primo manifesto politico (1909) e il Secondo manifesto politico futurista (1912); Contro Venezia passatista (1910), di Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo; il Manifesto dei pittori futuristi (1910). 34 L’attentato di Sarajevo: nel 1908 la Bosnia, che fino ad allora non era possedimento dell’Austria, ma da essa veniva governata provvisoriamente in attesa di essere in grado di amministrarsi autonomamente, venne invece annessa ai territori dell’Impero Austro-Ungarico. Questo atto causò una serie di forti tensioni tra Austria e Serbia perché molti serbi risiedevano in Bosnia. Parallelamente, in Bosnia si formò la società terroristica della Mano Nera che era fortemente nazionalistica e aveva legami con i servizi segreti serbi per lottare per l’ indipendenza contro l’Austria. In quel clima di tensione, la Russia diede alla Serbia garanzie di aiuto militare in caso di attacco da parte dell’Austria. Nel 1914 il fratello dell’Imperatore Francesco Giuseppe, l’Arciduca Francesco Ferdinando, decise di fare una visita a Sarajevo in occasione delle manovre dell’esercito austro-ungarico. Per i serbi Francesco Ferdinando era un personaggio inviso e pericoloso, in quanto erede al trono imperiale, e fautore della divisione dell’impero in un sistema trialistico, che poneva sullo stesso livello slavi, tedeschi e ungheresi, ponendo fine alle tensioni. Questo progetto, se attuato, avrebbe rappresentato un forte ostacolo al tentativo di indipendenza dei serbi, quindi la Mano Nera organizzò un attentato per uccidere Francesco Ferdinando. La polizia aveva intuito queste intenzioni, ma l’Arciduca aveva insistito per compiere quella visita. Era il giorno 28 Giugno 1914 e la Mano Nera aveva preparato tre attentatori lungo il tragitto. Il primo attentato fallì, e il percorso dell’Arciduca venne cambiato. L’autista però, disorientato, sbagliò strada e finì in un vicolo cieco. Per enorme sfortuna l’auto si ritrovò di fronte a uno dei tre attentatori, il quale sparò all’Arciduca Francesco Ferdinando e alla moglie. L’attentatore era lo studente serbo Gavrilo Princip e il suo gesto fu la scintilla che fece scoppiare la prima guerra mondiale. Princip venne catturato e si scoprì che era stato armato dalla Mano Nera, che a sua volta era legata ai servizi segreti serbi. A questo punto il governo austriaco diede un ultimatum alla Serbia, che prevedeva una serie di dure condizioni. La Serbia le accettò tutte, tranne una, 68
e quindi il 28 luglio 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. A questo punto scattò tutto il sistema delle alleanze: la Russia, alleata della Serbia, dichiarò guerra all’Austria e la Germania, alleata dell’Austria, dichiarò guerra alla Serbia e alla Russia. Poi anche la Francia e l’Inghilterra, alleate della Russia, dichiararono guerra all’Austria e alla Germania. Tutto questo accadde tra il 28 luglio e il 2 agosto. L’Italia rimase neutrale perché era stata l’Austria a dichiarare guerra per prima e quindi secondo la Triplice Alleanza non aveva l’obbligo di entrare in guerra. In tutte le città europee la guerra venne accolta con festeggiamenti e numerosi erano i volontari che si arruolarono. La prima guerra mondiale però fu una vera carneficina che triturò un’intera generazione e segnò il declino dell’Europa nello scenario mondiale. 35 La flanella è un tessuto leggero, morbido, caldo, con armatura a saia. Realizzato in lana o cotone, con filato cardato , ha superficie uniforme, leggermente pelosa. Subisce come trattamenti di finissaggio: follatura, garzatura e pettinatura. Particolarmente caldo, anche se leggero, perché le peluria, sollevata dalla garzatura, trattiene dell’aria che agisce da isolante termico. Le sue caratteristiche sono la resistenza (per i materiali usati) unita alla morbidezza, per l’armatura a saia e il finissaggio. 36 Volt è stato un giornalista, poeta futurista e fascista italiano. Collaborò con «L’Idea nazionale», «L’Impero», «Critica fascista», «Il Popolo d’Italia», «Gerarchia». Nel 1916 conobbe Marinetti e si avvicinò al Futurismo, le cui idee ispirarono le opere Manifesto della moda futurista e La casa futurista. Nel 1921 pubblicò il romanzo di fantascienza La fine del mondo. Morì a 39 anni per una tubercolosi. 37 Nasce a Saumur in Francia nel 1883, Gabrielle Chanel, meglio conosciuta come “Coco Chanel”, è stata un importante designer francese. Le sue creazioni hanno influenzato il mondo della moda. Il padre, Albert Chanel era marketer e la madre, Jeanne Devolle era una domestica. Dopo la prematura morte della madre, morta di tubercolosi, il padre di Chanel fu incaricato di prendersi cura dei bambini. A causa della professione del padre, Coco e le sorelle sono cresciute in un collegio. Dopo l’uscita dall’orfanotrofio ,con successo inizierà a lavorare come sarta in un negozio. Inizia la sua carriera disegnando cappelli, prima a Parigi nel 1908 e poi a Deauville. In queste città, nel ‘14, apre i suoi primi negozi, seguiti nel ‘16 da un salone di alta moda a Biarritz. Lo strepitoso successo la colse negli anni venti, quando arriva ad aprire i battenti di una delle sue sedi in rue de Cambon n. 31 a Parigi e quando, da lì a poco, verrà considerata un vero e proprio simbolo di quella generazione. Lo stile lanciato da lei ha rappresentato il nuovo modello femminile del ‘900, ossia un tipo di donna dedita al lavoro, a una vita dinamica, sportiva, priva di etichette e dotata di autoironia, fornendo a questo modello il modo più idoneo di vestire. Tuttavia, a detta dei critici e degli intenditori di moda, l’apice della sua creatività è da attribuire ai più fulgidi anni trenta, quando, pur dopo aver inventato i suoi celeberrimi e rivoluzionari “tailleur” (costituiti da giacca maschile e gonna diritta o con pantaloni, appartenuti fino a quel momento all’uomo), impose uno stile sobrio ed elegante dal timbro inconfondibile. In buona sostanza, si può dire che Chanel rimpiazzò il vestiario poco pratico della belle èpoque con una moda larga e comoda. Nel 1916, ad esempio, Cha69
nel estese l’uso del jersey (un materiale a maglia molto flessibile), dal suo uso esclusivo per i sottabiti a una grande varietà di tipi di vestiario, inclusi i vestiti semplici in grigio e blu scuro. Questa innovazione fu di così grande successo che “Coco” iniziò ad elaborare le sue celebri fantasie per i tessuti jersey . L’inserimento della maglia lavorata a mano e poi confezionata industrialmente, infatti, rimane una delle novità più sensazionali proposte da Chanel. Inoltre, le bigiotterie in perle, le lunghe catene dorate, l’assemblaggio di pietre vere con gemme false, i cristalli che hanno l’apparenza di diamanti sono accessori indispensabili dell’abbigliamento Chanel e segni riconoscibili della sua griffe. Chanel produceva un vestiario di tipo tradizionale che spesso prendeva spunto dal mondo maschile e che non diventava fuori moda con il cambiare di ogni nuova stagione. I colori più comuni di Chanel erano il blu scuro, il grigio, e il beige. L’importanza data ai dettagli e l’uso estensivo di bigiotteria, con combinazioni rivoluzionarie di pietre vere e false, agglomerati di cristalli, e perle sono molti indicativi dello stile di Chanel. All’età di 71 anni, Chanel introdusse nuovamente il “tailleur di Chanel” che consisteva di vari pezzi: un giacca di stile cardigan, con inclusa la sua tipica catenella cucita all’interno, una gonna semplice e comoda, con una camicetta il cui tessuto era coordinato con il tessuto all’interno del tailleur. Questa volta, le gonne erano tagliate più corte e i tailleur erano fatti da un tessuto cardigan ben lavorato. Chanel é singolare nel suo rivoluzionare l’industria della moda e nell’aiutare il percorso delle donne verso l’emancipazione”. Lo scoppio della seconda guerra mondiale impose però un’improvvisa battuta di arresto. Coco è costretta a chiudere la sede di rue de Cambon, lasciando aperto soltanto il negozio per la vendita dei profumi. Nel ‘54, quando torna nel mondo della moda, Chanel ha 71 anni. La stilista aveva lavorato dal 1921 al 1970 in stretta collaborazione con i cosiddetti compositori dei profumi, Ernest Beaux e Henri Robert. Il celeberrimo Chanel N°5 venne creato nel 1921 da Ernest Beaux, e secondo le indicazioni di Coco doveva incarnare un concetto di femminilità senza tempo, unica e affascinante. Il N°5 non fu innovativo soltanto per la struttura della fragranza, ma per la novità del nome e l’essenzialità del flacone. Chanel trovava ridicoli i nomi altisonanti dei profumi dell’epoca, tanto che decise di chiamare la sua fragranza con un numero, perché corrispondeva alla quinta proposta olfattiva che le aveva fatto Ernest. Il flacone poi, assolutamente all’avanguardia, è divenuto famoso per la sua struttura essenziale e il tappo tagliato come uno smeraldo. Questo “profilo” ebbe un tale successo che, dal 1959, il flacone è esposto al Museo di Arte Moderna di New York. Al mitico N.5 ne seguirono molti altri, come ad esempio il N.22 nel 1922, “Gardénia” nel ‘25, “Bois des iles” nel ‘26, “Cuir de Russie” nel ‘27, “Sycomore”, “Une idée” nel ‘30, “Jasmin” nel ‘32 e “Pour Monsieur” nel ‘55. L’altro grande numero di Chanel è il N°19, creato nel 1970 da Henri Robert, per ricordare la data di nascita di Coco (il 19 agosto, appunto). In sintesi, l’impronta stilistica di Chanel si fonda sulla apparente ripetitività dei modelli base. Le varianti sono costituite dal disegno dei tessuti e dai dettagli, a conferma del credo fatto proprio dalla stilista in una sua celebre battuta che “la moda passa, lo stile resta”. Alla scomparsa di questa grande creatrice di moda del ‘900, av70
venuta il 10 gennaio ‘71, la Maison venne mandata avanti dai suoi assistenti, Gaston Berthelot e Ramon Esparza, e dalle loro collaboratrici, Yvonne Dudel e Jean Cazaubon, nel tentativo di onorarne il nome e di mantenerne il prestigio. 38 Sonia Delaunay é nata a Gradshik nel 1885. Frequenterà l’Atelier Schmidt-Reuter a Karlsruhe dal 1903 al 1904, successivamente l’Accademia della Palette a Parigi dove va a vivere nel 1905. Dipinge all’epoca dei ritratti e dei nudi alla maniera “fauve”. La sua prima esposizione personale viene organizzata nel 1908. Sposa in seconde nozze il pittore Robert Delaunay nel 1910, da lei considerato come un poeta che si esprime con i colori. Segue il marito sulla strada dell’astrazione, intraprendendo un ciclo di tele e disegni in cui i colori puri divengono dei piani che generano delle forme costruite attraverso la profondità dei rapporti tra i colori stessi. Sonia Delaunay si sofferma a tradurre il movimento e la luce. L’artista s’interessa sin dal 1913 alla creazione di tessuti colorati. La coppia si stabilisce a Madrid nel 1914, poi in Portogallo dal 1915 fino al 1920 (opere sui temi del flamenco, del tango, etc.), anno in cui ritornano a Parigi. Dal 1913 al 1935 si consacra essenzialmente alle arti applicate (cuscini, gilets, vestiti, abat-jour, etc.). Realizza anche delle rilegature, delle coperte e delle illustrazioni di libri. Il suo “connubio” con la poesia di Blaise Cendrars (1913) per “La Prose du Transsiberien et la Petite Jehanne de France” è considerato come un grande momento nell’arte del libro illustrato del XX secolo. Aprirà una boutique di decorazione “Casa Sonia”, poi con il coutourier Jacques Heim creerà “ La boutique simultanée” per l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative (Parigi, 1925). L’artista si specializza in materia d’arte dell’abbigliamento e dell’influenza della pittura su quest’ultima. Negli anni ’30, la coppia raggiunge il Gruppo Abstraction-Crèation che difende l’arte non figurativa. Dal 1935 al 1937, ritorna alla pittura e realizza dei pannelli murali. L’Esposizione Internazionale delle arti e delle tecniche (1937 a Parigi) rappresenta l’occasione per i sostenitori dell’arte totale di dare una dimensione pubblica all’astrazione ; i Delaunay partecipano attivamente alla grande avventura collettiva dell’arte nella strada, incoraggiati dal Fronte Popolare. Robert Delaunay muore nel 1941 e Sonia si ritirerà a Grasse fino alla fine della guerra. Nel 1946 è cofondatrice del Salon des Rèalitèes Nouvelles ed espone con il gruppo Art Concret. Sonia Delaunay fa anche parte del gruppo Espace. Sempre fedele al colore puro, esaltata dalla legge dei contrasti simultanei, realizza delle serie, concepisce dei mosaici, delle vetrate, tappeti ed arazzi, realizza dei decori e dei costumi per il teatro, illustra dei libri. Se le carriere di Robert e di Sonia Delaunay sono indissociabili, la loro opera rispettiva porta la firma delle loro personalità. Sonia Delaunay è morta a Parigi nel 1979. 39 Robert Delaunay nacque a Parigi nel 1885, figlio di George Delaunay e della contessa Berthe Félicie de Rose. Cominciò a dipingere in giovane età, adottando, per l’ammirazione nutrita nei confronti di Paul Gauguin, di Seraut e dei fauves, una tecnica post-impressionista. A partire dal 1908, risentendo dell’influenza di Cèzanne e del cubismo, si indirizzò verso il rigore formale e verso una ricerca analitica sul colore in relazione alla moltiplicazione dei piani luminosi, di cui sono evidenti i risultati 71
nelle serie di dipinti di intonazione modernista del periodo. Dal 1909, Delaunay cominciò a dipingere le serie della città di Parigi e della Torre Eiffel, in cui l’interesse si spostò gradualmente dalla scomposizione dei volumi, propria del cubismo analitico, alla scomposizione del colore e allo studio del movimento; in questa evoluzione, alcuni critici riconoscono l’influenza del futurismo. Nel 1910 sposò Sonia Terk, una pittrice di origine ucraina conosciuta nel 1908 .Su invito di Kandinsky, nel 1911 Delaunay si avvicinò al gruppo del Blaue Reiter, un gruppo di artisti astratti di Monaco di Baviera: sotto l’influenza di Paul Klee, la sua arte si volse con sempre maggior decisione verso l’ arte astratta. Intorno al 1912, Delaunay si allontanò dall’ortodossia del cubismo e, insieme alla moglie Sonia, creò all’interno del movimento cubista la corrente che Apollinare definì orfismo (termine che deriva da Orfeo, mitico musico della mitologia greca) per l’intima natura musicale, in cui le scomposizioni del colore con i loro effetti di compenetrazione, di simultaneità, di dinamismo, acquistano un valore autonomo, indipendente dagli oggetti rappresentati. Realizzò quindi dipinti astratti in cui i piani si sfaccettano moltiplicandosi nei colori dello spettro e ruotando in vortici luminosi. Nelle prime opere di questo periodo sono presenti oggetti reali, anche se filtrati attraverso i colori iridescenti della luce, mentre i dipinti successivi sfociano in una pittura del tutto astratta, basata sull’espressività dei colori puri che infondono una vibrazione ritmica alla superficie pittorica. La geometria cubista è così resa sensibile e viva dal colore e l’artista trova una sintesi armoniosa tra rigore strutturale ed evasione lirica. 40 Giberna: usata nell’equipaggiamento militare, è una custodia di cuoio o di tela per i caricatori del fucile o per le bombe a mano, che i soldati portano, in numero di due o quattro, infilate in una cintura. 41 Demi-monde è sostanzialmente la società equivoca della quale fanno parte donne di ceto inferiore, le demi-mondaine i cui facili costumi suscitano scandalo negli ambienti benpensanti e di classe superiore dove la loro spregiudicatezza le porta a vivere. L’espressione deriva dal titolo di una commedia di A. Dumas figlio (Le demi-monde, 1855), che rappresenta gli amori e la corruzione di un ambiente sociale parigino che non è né borghesia né vero. 42 Gibson Girl:si intendeva un’idea di bellezza femminile creata dall’illustratore Charles Dana Gibson in circa venti anni di disegni, alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo. Migliaia di donne cercarono così di copiare quell’ideale di bellezza che fu molto popolare per più di due decenni e che fu il primo standard di bellezza nazionale per gli Stati Uniti. Una delle modelle più celebri fu l’attrice teatrale Camille Clifford. 43 Poiret nasce nel 1879 da un mercante di stoffe in una zona povera di Parigi. I suoi genitori, nel tentativo di assicurargli un futuro, gli insegnarono l’arte della costruzione degli ombrelli. In quell’occasione, tramite gli scarti della stoffa utilizzata, realizzò un abito per la bambola della sorella. Durante l’adolescenza, Poiret portò i propri bozzetti a Madeleine Cheruit, un’importante stilista, che ne comprò una dozzina. Poiret continuò a vendere i propri disegni ad alcune fra le più grandi case di moda pari72
gine, fino a che non fu assunto da Jacques Doucet nel 1896. Del suo primo modello realizzato, un mantello rosso, furono venduti 400 capi. Poiret in seguito fu assunto dalla House of Worth, dove disegnò abiti semplici e pratici. La “sfacciata modernità dei suoi disegni” tuttavia, si rivelò eccessiva per la clientela della House of Worth. Quando Poiret presentò alla principessa di Russia Bariantinsky, un cappotto dallo stile dei kimono, per esempio, la principessa definì il capo un “orrore”.Alla fine, Poiret fondò la propria casa di moda nel 1903, al 5 di rue Auber. Le vetrine del suo negozio, a differenza di quello che era il costume dell’alta moda dell’epoca, erano ampie ed appariscenti. Nel 1906 si spostò nella più capiente boutique di rue Pasquier 37, aumentando notevolmente la propria clientela, strappata alla concorrenza. Ma ciò che maggiormente contraddistinse Poiret rispetto agli altri stilisti, fu l’istinto per il marketing. Difatti fu il primo stilista a pubblicare i propri bozzetti a scopo promozionale, e ad organizzare defilè itineranti per promuovere i propri lavori in giro per l’ Europa. Nel 1909, Poiret aveva raggiunto una popolarità tale che Asquith lo invitò ad esibire i propri disegni presso 10 Downing Street. Il più economico fra gli abiti in esposizione costava circa 30 ghinee, il doppio dello stipendio annuale di una cameriera. Nel 1913 Paul Poiret vendette il proprio marchio in licenza negli Stati Uniti per la realizzazione di accessori moda. La produzione della maison Poiret ben presto si allargò all’arredamento, ai complementi d’arredo ed ai profumi. Nel 1911 Poiret infatti aprì la divisione dedicata ai profumi Parfums de Rosine, dandogli il nome di sua figlia. Benché nel nome della linea di profumi non compaia il suo nome, Poiret fu il primo stilista a dedicarsi alla realizzazione di profumi, lanciando una consuetudine che sarebbe stata poi seguita dai maggiori stilisti del XX secolo. Il lancio di questa attività avvenne il 24 giugno 1911 con una sontuosa festa in maschera tenuta presso la propria casa parigina, ispirata alle odalische di Shahrazàd, alle musiche e ai profumi orientali e perciò definita la mille et douxieme nuit. Al termine della festa, le signore presenti ricevettero in regalo una boccetta del primo profumo firmato da Poiret, Nuit Persane. Agli stessi temi orientali si ispirò il secondo profumo di Poiret, Le Minaret, del 1912. L’Atelier Martine, che prendeva il nome dalla seconda figlia, fu invece dedicato alla realizzazione di mobili, tappezzerie ed oggetti per la casa. Poiret si avvalse per l’occasione della collaborazione di artisti del calibro di Raoul Dufy. Durante la prima guerra mondiale, Poiret dovette lasciare l’attività della casa di moda per mettersi al servizio dei militari, e realizzare le uniformi dei soldati. Quando Poiret fu licenziato nel 1919 e poté ritornare alla propria attività, la maison Poiret era ormai sull’orlo della bancarotta . Inoltre, durante la sua assenza, nuovi stilisti come Chanel si erano accaparrati una buona fetta della clientela, con creazioni dalle linee semplici e sobrie. In breve tempo, le elaborate e sontuose creazioni di Poiret furono considerate fuori moda, ed unitamente alle difficoltà finanziare legate ad operazioni sbagliate e ad un gusto per il lusso e la mondanità, Poiret fu costretto a ritirarsi dall’attività. Saltuariamente si dedicò alla realizzazione di costumi per il teatro ed il cinema. Suoi sono infatti gli abiti di scena del film L’Inhumaine di Marcel L’Herbier del 1924. Nel 1929, la maison stessa fu chiusa, ed i suoi preziosi abiti furono 73
venduti al chilo, come se si trattasse di stracci. Poiret morì nel 1944, ormai dimenticato da tutti. 44 Marià Fortuny i de Mandrazo, meglio conosciuto con il nome di Mariano Fortuny, nacque a Granata nel 1871, crebbe con la madre e lo zio a Parigi, dove la famiglia si era trasferita quando egli aveva pochi anni; qui, frequentò l’Accademia delle Belle Arti ed ottenne i primi riconoscimenti come scenografo e pittore,attività che, derivava da una lunga tradizione familiare. Nel 1889 si trasferì con la famiglia a Venezia e partecipò alla vita mondana frequentata da intellettuali, artisti e semplici notabili appassionati d’arte, con i quali non mancò presto di condividere l’entusiasmo per Wagner, alle cui opere egli si avvicinò più volte, nel corso della sua carriera, per realizzarne le scenografie. Il suo contributo al teatro si ricorda ,oggi,anche per le ricerche che condusse sui modi d’illuminazione della scena, ideando e realizzando una sorta di semi-cupola smontabile di colore opaco bianco, adatta a riflettere e a diffondere la luce sul palco (la cosiddetta “Cupola Fortuny“), al posto dei tradizionali teloni che mimavano il cielo; il brevetto fu depositato nel 1901 ed ebbe la sua prima applicazione nel “Teatro della Contessa de Béarn”, in rue Saint-Dominique a Parigi. In Italia, lo stesso sistema fu adottato anche dalla “Scala di Milano” nel 1922. Dai primi anni del Novecento, si appassionò alla produzione di stoffe ed assieme alla moglie Enriette si dedicò a metter a punto plissè su seta e sistemi per la stampa su tessuti, dai motivi decorativi ispirati alla tradizione catalana, veneziana, bizantina e al modernismo di Morris;quella degli abiti,così realizzati, fu la sua linea sicuramente più fortunata e a cui aggiunse anche una caratteristica produzione di lampade spiraliformi con le stesse materie. Lo stilista prendeva spunto, spesso, dagli abiti orientali o antichi come quelli delle donne greche, i pepli, e li adattava secondo la sua fantasia , creando “Delphos”, mantelli, vestaglie finemente lavorate e dai motivi decorativi floreali, che furono di gran moda e che gli diedero successo in tutta Europa; un successo, che culminò con l’apertura di show rooms a Parigi, Londra, Madrid e New York. Come costumista di scena inoltre, Fortuny lavorò per le leggende del teatro Sarah Bernhardt ed Eleonora Duse, e per la ballerina Isadora Duncan, che proprio del leggero peplo aveva fatto un elemento prediletto per favorire la libertà ed espressività di movimenti, che gli ingombranti abiti tradizionali non le consentivano. Naturalizzato italiano,visse per molti anni nella città lagunare e presenziò alle Esposizioni delle principali capitali d’Europa (Londra, Parigi, Milano, Barcellona). Il successo gli permise di allargare la sua produzione con una fabbrica nella Giudecca (1919), ma conobbe anche diversi momenti di difficoltà economica nel corso delle guerre. Appannato il proprio splendore, continuò ad abitare, tuttavia, fino alla morte (1949), nell’antico palazzo gotico che aveva acquistato a Campo San Benedetto, dove, ora, sorge un Museo che lo commemora e che tramanda il suo desiderio di innovare e sperimentare. Intensissima fu anche la sua attività di fotografo, della quale restano negli archivi più di 11 mila scatti che documentano i suoi viaggi nel Mediterraneo e suggestivi scorci della sua amata città. 45 Salvatore Ferragamo: fu stilista calzaturiere campano emigrato negli Stati Uniti, 74
dove guadagnò fama per la sua abilità nella creazione di scarpe, ritorna in Italia nel 1927, e comincia ad organizzare l’apertura di un’azienda propria, il “Calzaturificio Ferragamo & C.” inaugurato nel 1928; il primo stabilimento si trovava in via Mannelli 57 a Firenze, dove si producevano scarpe da donna destinate, inizialmente, solo al mercato americano. Nel 1933 a causa di una cattiva gestione finanziaria, ed alla situazione generale di crisi economica mondiale, lo stilista è costretto a presentare istanza di bancarotta. Nel 1938, grazie ad una serie di idee ed ad un brevetto, Ferragamo acquista per 3.400.000 £ Palazzo Spini Feroni e apre due negozi, uno a Londra e uno a Roma. Nel 1948 apre il primo negozio “Salvatore Ferragamo” in Park Avenue 424, a New York, seguito dal secondo nella Fifth Avenue nel 1975. Nel secondo dopoguerra, l’azienda ha un forte sviluppo, con una produzione di circa 350 scarpe al giorno e 700 artigiani alle dipendenze; nel 1951 presenzio per la prima volta sulle passerelle, durante una sfilata che ebbe luogo a Firenze. Nel 1960 , con la morte dello stilista, l’azienda vede una riorganizzazione ai vertici: il posto di presidente viene occupato dalla moglie dello stilista, Wanda Ferragamo Miletti, il settore creativo viene affidato alla figlia, Fiamma di San Giuliano Ferragamo, e vari ruoli di spicco verranno occupati dai figli e i nipoti nel tempo. Nel 1965 l’azienda allarga la sua produzione anche alle borse e all’abbigliamento, progetto cominciato già nel 1955, quando lo stilista cominciò la produzione di Foulard. Ulteriore allargamento avvenne nel 1970, quando la figlia Fulvia Visconti Ferragamo propose una linea maschile, e la produzione di accessori in seta, quali foulard e cravatte, diventa uno dei punti di forza della casa. Nel 1989 viene aperto il primo negozio asiatico dalla maison, al Mandarin Hotel di Hong Kong, primo passo di un’espansione in oriente che culminerà con l’apertura di un negozio a Shangai nel 1994 ed un flagship store a Seul nel 2011. Per sottolineare l’importanza del settore asiatico, l’azienda festeggiò l’ottantesimo anniversario in Cina, per l’esattezza nella città proibita. Nel frattempo la produzione si è allargata anche ad occhiali , fragranze,orologi e gioielli . Nel 2006 Ferruccio Ferragamo succede alla madre alla presidenza; l’azienda viene quotata in borsa e immette sul mercato il 48% delle azioni (il restante rimane in mano alla famiglia Ferragamo attraverso la holding Palazzo Feroni Finanziaria S.p.A); viene nominato amministratore delegato il manager Michele Norsa. Fin dagli esordi quindi la società è nota per i design e l’uso di materiali innovativi; tale ingegnosità la si deve allo stilista, che in California, studiò anatomia per poter avere un approccio scientifico allo studio della scarpa. fra le varie innovazioni ricordiamo le zeppe, la suola a conchiglia, le suole in feltro armato, il tacco scolpito, il sandalo in oro a 18 carati, il sandalo invisibile e quello con la calzetta intercambiabile. La compagnia è nota anche per alcuni modelli distintivi, come il gancino, la zeppa in sughero e il modello “Vara”.La casa è oggi attiva nella creazione, produzione e vendita di calzature, pelletteria, abbigliamento, accessori, e profumi. Realizza inoltre attraverso licenze occhiali (Luxottica) ed orologi (Timex Group). Nel 2008 l’azienda si approccia al design d’interni progettando l’arredamento degli attici del Pentominium di Dubai, mentre nel 2011, nasce, in collaborazione con Gianni Bulgari, la prima linea di gioielli Ferragamo. 75
Guido Ravasi è stato un imprenditore italiano nel settore dei tessuti in seta. Nasce da una famiglia legata ai tessuti, suo padre era contitolare di una attività dedita al commercio e la filatura di sete orientali. Proprio grazie al padre riesce ad entrare giovane nel mondo della seta, e compie i suoi primi viaggi come quello a Krefeld, centro importante per la produzione di tessuti per cravatteria, dove impara il mestiere per cui è ricordato come innovatore creativo. Dopo Krefeld viene eletto dirigente di una tessitura serica a Vienna. Nel 1903 torna in Italia e nel 1912 fonda a Como l’ azienda che poi si chiamerà Industrie Seriche Nazionali Guido Ravasi. Personaggio influente e sensibile, cerca di riscattare l’ importanza nazionale e comasca della produzione serica di alta qualità concentrandosi sulla produzione di cravatteria “di fantasia” e tessuti d’ arte per arredamento (ogni suo prodotto è siglato con la sua firma).La sua sensibilità artistica lo porta a scegliere coloriture e abbinamenti da sé, ma è anche nota la sua collaborazione con sceneggiatori come Mario Cito Filomarino e pittori come Piero Persicalli. È spesso ricordata anche la sua partecipazione come coordinatore di una sezione della prima triennale del 1930 tra cui c’è anche Giuseppe Terragni. A Como istituisce la SAR, negozio da cui verranno committenze internazionali di grande importanza come papi,principi, banchieri, statisti e poeti, oltre a stilisti di fama mondiale come Emilio Pucci. Intrattiene rapporti con musicisti,scrittori,critici d’arte tra cui Margherita Sarfatti con la quale si batte per la tutela dei beni storici del Lago di Como. Strinse amicizia con tanti altri setaioli comaschi fra cui Francis Clivio e fra i suoi piu importanti disegnatori ci fu anche Graziella Brizzi-Marchi. Nel 1901 si sposa, a Krefeld, con Elze Urban dalla quale ebbe due figli: Irma e Giuseppe. Quest’ultimo continuò l’attività fino agli anni ‘60, prediligendo la stampa tessile. 46
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Capitolo secondo: L’Età dell’Innocenza II.1 Nemesi di un romanzo Edith Newbold Jones (1862-1937), conosciuta con il nome di Edith Wharton (fig. 25) nasce a New York nel 1862. Proviene da un’antica famiglia della “Grande mela”, i Newbold-Jones, ricchi e socialmente attivi tra i notabili della capitale. Tuttavia, nel 1866, quando la piccola Edith ha appena quattro anni, a causa di alcuni investimenti la famiglia si trasferisce in Europa. Qui la futura scrittrice apprende il francese, l’italiano e il tedesco, studia privatamente senza mai frequentare scuole pubbliche e passa le sue giornate a leggere, interessandosi di arte e letteratura, dimostrandosi ben presto una bambina molto introspettiva e dagli interessi molto particolari. All’età di quattordici anni, sotto le mentite spoglie di David Oliveri, la Wharton scrive il suo primo romanzo. In questi stessi anni compone poesie; una, in modo particolare, viene inclusa in una raccolta pubblicata dalla rivista «Atlantic Monthly». Dopo qualche tempo, un’insegnante che la seguiva, Emelyn Washburn, la introduce alle letture degli autori Ralph Waldo Emerson (1803-1882) e Henry David Thoreau (1817-1862),da cui apprende parecchio. Nel 1885,dopo aver rotto un fidanzamento con tale Harry Stevens, la giovane e anticonformista Edith sposa, di mala voglia, il noto banchiere di Boston Edward Wharton di dodici anni più grande, amico di suo fratello e di dodici anni più grande. 85
Cinque anni dopo l’autrice comincia a collaborare con il «Magazine Scribner ». A partire da questi anni però il marito di Edith rivela i propri problemi mentali ed una sua instabilità caratteriale che lo porta, tra le altre cose, ad intraprendere relazioni sessuali con giovani donne, spesso prostitute . Il rapporto tra i due coniugi ben presto si sfalda e dal 1906 la Wharton decide di trasferirsi definitivamente in Francia, abbandonando il marito. Tra il 1906 e il 1909, stando anche alle molte lettere poi accluse ad una celebre raccolta pubblicata postuma, Edith Wharton frequenta il giornalista Morton Fullerton (1865-1952),secondo molti il vero ed unico amore della sua vita. Intanto la sua carriera letteraria già da qualche anno sembra sul punto di spiccare il volo. Dal 1902 è in libreria il suo primo romanzo: The Valley of Decision1,ambientato nell’Italia del XVIII secolo. A questo seguono una serie di pubblicazioni, tra racconti e articoli, spesso usciti sui migliori giornali europei e americani. Nel 1911 pubblica Ethan Frome2, secondo molti la sua opera meglio riuscita: breve ed avvincente, a metà strada tra un lungo racconto ed un romanzo breve. In questi anni però la Wharton accresce quella che è un’altra delle sue grandi passioni, ossia il viaggiare. Raggiunge, prima donna nella storia, il Monte Athos3,luogo precluso alle persone di sesso femminile, per giunta raccontando tale impresa in molti scritti. Si reca spesso in Italia e in altri luoghi europei, raggiungendo anche il Marocco in visita in un 86
harem, altra esperienza limite per una donna in quegli anni. Fa la spola tra Europa e America, attraversando l’Atlantico circa sessanta volte nel corso della sua vita. Poco prima dello scoppio del conflitto mondiale apre dei circoli ed ostelli letterari nei quali accoglie gli autori non solo americani. Le sue due case francesi, quella di Parigi e l’altra, nel sud della Francia,diventano ricettacolo di autori e giornalisti, gente di cultura in genere, contribuendo a diffondere la sua fama. Intanto, nel 1913 divorzia formalmente dal banchiere Wharton, mantenendo però il cognome ricevuto al momento di nozze. Quando nel 1914 la Germania dichiara definitivamente guerra alla Francia, Edith Wharton si impegna nel creare dei veri e propri laboratori per lavoratrici disoccupate e senza assistenza. Dopo essersi rifugiata in Inghilterra, rientra in Francia nel settembre del 1914, dando vita agli “Ostelli americani per rifugiati”, evoluzione dei circoli letterari sorti nella sua casa di Parigi. Qui conosce autori del calibro di Henry James4, di cui diventa molto amica, ricevendo grandi dimostrazioni di stima anche e soprattutto per la sua opera letteraria. Ma fa la conoscenza anche di Walter Berry5 e Bernard Berenson6, altri due frequentatori abituali dei suoi ostelli. Per questa iniziativa pertanto, nel 1916, la Wharton riceve la Legion d’Onore del governo francese. Durante il conflitto mondiale, inoltre, la scrittrice newyorchese scrive per i giornali americani, fornendo rapporti in merito alla guerra e alle contingenze politiche vigenti. E non solo: si adopera per iniziative di 87
carattere umanitario, come quando aiuta un orfanotrofio belga a mettere in salvo oltre seicento bambini rifugiati, in pericolo a causa della ventilata avanzata tedesca. Raccoglie anche fondi e continua a scrivere novelle e racconti come La Marna7 (1918), gettando le basi per quello che di lì a poco è il suo capolavoro, il quale arriva al termine della guerra. Nel 1920 infatti pubblica L’età dell’innocenza8,opera ambientata nell’alta società di New York della fine dell’Ottocento, nella quale è evidente tutto il suo sarcasmo e la sua critica di quel tipo di società, presa di mira proprio da un’autrice che, per anni, ha dovuto frequentarne i personaggi più in vista. L’anno dopo, nel 1921, il romanzo vince il Pulitzer9, premio statunitense considerato come la più prestigiosa onorificenza nazionale per il giornalismo, per i successi letterari e per le composizioni musicali. Edith Wharton è la prima donna a riceverlo. Sull’onda dell’entusiasmo,scrive anche la cosiddette”Tetralogia di New York”10datata 1924, la quale contiene le opere False, La zitella, La scintilla e Il giorno di capodanno. Tra gli anni ‘20 e ‘30 scrive altri romanzi, ma nessuno raggiunge la fama del precedente L’età dell’innocenza. Si segnalano anche : Un figlio al fronte11 del 1923 e I ragazzi12 del 1928. Nel 1937 pubblica Ghosts13,importante raccolta di racconti sui fantasmi, nella quale forte è il debito intellettuale contratto con il collega e amico Henry James. In questo stesso anno, pertanto, dopo aver lasciato 88
incompiuto il suo ultimo romanzo I bucanieri, nella cittadina francese di Saint-Brice-sous-Forèt, Edith Wharton muore l’11 agosto del 1937.
Nel 1993, il regista Martin Scorsese trae dal suo romanzo L’età dell’innocenza, il film omonimo, interpretato da attori del calibro di Daniel Day-Lewis, Michelle Pfeiffer e Winona Ryder. La riduzione cinematografica di Scorzese era stata preceduta da una prima versione filmica muta del 1924 (USA), perla regia di Wesley Ruggles, con Beverly Bayne nella parte di Ellen Olenska e d Elliot Dexter nella parte di Newland Archer.14 Nel 1928 il romanzo era stato trasposto per il teatro da Margaret Ayer Burnes, e portato sulla scena a Broadway con Katharine Cornell nella parte di Ellen Olenska15. Una seconda pellicola omonima e sonora è di dieci anni dopo, del 1934 (USA), per la regia di Philip Moeller, con Irene Dunne nella parte di Ellen Olenska e John Bolhe nella parte di Newland Archer.16
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Bibliografia dell’autrice The Touchstone,Scribner’s, New York 1900. The Valley of Decision, New York,1902. Sanctuary, New York 1903 The House of Mirth, New York,1905 Madame de Treymes, New York,1907. The Fruit of the Tree,New York,1907. Ethan Frome,New York,1911. The Reef,Appleton, New York,1912. The Custom of the Country,Scribner’s, New York,1913. Summer,Appleton, New York 1917. The Marne, New York,1918 The Glimpses of the Moon, New York,1922. A Son at the Front,Scribner’s, New York,1923. The Mother’s Recompense,Appleton, New York,1923 Twilight Sleep, New York,1927. The Children, New York,1928. Hudson River Bracketed, New York,1929 The Gods Arrive, New York,1932. The Buccaneers, New York,1938.(incompleto a causa della morte prematura dell’autrice).
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II. 1.1 Il romanzo. Trama e ambientazione. Tra il tepore di comode verità costruite dall’alta borghesia della New York di fine Ottocento, si svolge la vicenda dei protagonisti del romanzo di Edith Wharton. Quella che viene raccontata è un’ intera società17 in decadenza, che annega i suoi ultimi giorni nell’ipocrisia e nell’etichetta sempre più soffocante. Qui vive il giovane protagonista del romanzo, Newland Arche18: un brillante avvocato appartenente all’esclusiva società newyorkese, equilibrato ed umano, che decide di fidanzarsi con May Welland, una ragazza della buona società, rispettata e ammirata da tutte le facoltose famiglie cittadine. Prima che venga annunciato il fidanzamento con May19, Archer però rincontra Ellen Olenska20 cugina di May. È in questo momento che tutte le certezze di Newland saranno messe in crisi dalla contessa, una giovane donna colta e brillante in fuga da un matrimonio infelice. Ellen è reduce da un triste matrimonio in Europa, torna a New York per ritrovare se stessa e l’amore della sua gente, ma scopre ben presto che i pregiudizi su di lei non la faranno mai sentire veramente a casa, perché per la società newyorkese dell’epoca lei è una donna compromessa che dovrebbe sottrarsi alla vita sociale. Ma costei non ha alcuna intenzione di vivere segregata per una colpa che non ha e decide di voler chiedere il divorzio dal marito, il conte Olenski. Per evitare quest’eventualità, ritenuta scandalosa dalla sua cerchia di 91
parenti ed amici, la famiglia chiede a Newland di intervenire per dissuadere la contessa dal suo intento. Avvicinatosi a lei per curare i suoi interessi legali, il giovane avvocato si scopre affascinato dai modi spontanei di Ellen e la difende dalle critiche dei parenti, che non approvano le sue idee anticonformiste. Dilaniata tra il desiderio di essere accettata e la fiducia nelle proprie convinzioni Ellen si affida all’affascinante avvocato e tra i due si crea un forte legame, che lei stessa però rende impossibile. Newland comincia così a frequentare21 Ellen e ne subisce il fascino, finendo con l’innamorarsene. Lei riuscirà a fargli capire la falsità dell’ambiente in cui ha sempre vissuto e dei valori ipocriti che ne sono alla base. Ma il loro amore non riuscirà ad emergere e trionfare contro l’opprimente meccanismo delle cose prestabilite e formalizzate, a cui i protagonisti non riusciranno a sottrarsi, incapaci di ribellarsi e rischiare tutto per seguire il loro istinto emotivo. Non volendo in ogni caso essere il motivo della rottura del fidanzamento tra l’avvocato e May, la contessa rinuncia alla felicità, spingendolo a onorare una promessa che lui stesso non ha il coraggio di infrangere, perché Ellen rappresenta tutto ciò che lui ammira e desidera ma di cui in un certo senso ha anche paura. Non potendo sottrarsi così hai suoi impegni con May, Newland22 la sposa23, ed Ellen nel frattempo va via da New York e si trasferisce a Parigi. 92
Ogni tanto torna il fantasma del passato, e Archer è tentato di raggiungere Ellen in Europa, ma May gli annuncia di aspettare un figlio e lui ritorna ai suoi doveri. L’ultimo capitolo del libro si svolge trent’anni dopo, a Parigi. Archer è vedovo ed in viaggio con suo figlio. Sarebbe sentimentalmente libero ormai, ma quando Ellen li invita a casa sua, Archer manderà solo il figlio, preferendo così tenere intatti i suoi ricordi.
Il romanzo è un sublime esempio della grandezza di un’autrice che riesce a raccontarci con lucido sarcasmo la società benestante della New York di fine Ottocento, quella che d’altronde conosce meglio poiché ne fa parte: una élite conservatrice e bigotta tormentata dalle convenzioni e dall’etichetta, per la quale ogni gesto, tono di voce, respiro è pregnante di significato. I suoi personaggi sono banchieri e avvocati di successo, con mogli pettegole e perfezioniste, incapaci di immaginare l’esistenza di un mondo diverso da quello a cui sono abituate dalla nascita. Edith Wharton ha uno stile preciso e uno straordinario talento per la descrizione dei personaggi e degli ambienti, che ricordano i quadri dei pittori impressionisti. Riesce a mettere a nudo vizi di una società corrotta e moralista, quella società che vive di pranzi eleganti, di serate all’Opera, di splendidi vestiti di satin e merletti ma che possiede occhi e orecchie per vedere e ascoltare solo ciò che potrebbe essere sconveniente e diventare, a buon diritto, argomento di intense discussioni nei 93
salotti più importanti. Il vecchio sistema di New York è, come descrive l’autrice, il sistema della gente che teme gli scandali più delle malattie, che pone il rispetto delle forme più in alto del coraggio, dove ciò che realmente si prova non deve essere fatto né detto né addirittura pensato per non alterare quel fragile equilibrio fittizio in cui ogni membro della società vive. Un’altro elemento fondamentale della Wharton è che possiede un’innata predisposizione nel saper svelare i contorti avvicendamenti dell’essere umano. Difatti, una pagina dopo l’altra il lettore si ritrova immerso nei raffinati salotti della Belle Èpoque, condivide i sentimenti che si agitano sotto i cappellini e gli abiti di seta, struggendosi per la storia d’amore impossibile tra Newland ed Ellen. Il libro di Edith Wharton, non è solo la descrizione di un amore infelice, ma è anche o soprattutto una fotografia della società americana dell’epoca: un libro che rappresenta una critica ad un mondo dove l’innocenza dell’amore e dei sentimenti più puri e passionali sono considerati scandalosi episodi da isolare, mentre il conformismo soffocante fatto di ipocrisia e banalità rappresenta l’unica strada rispettabile da percorrere.
II.2.1.2 Newland Archer La società raccontata minuziosamente dalla Wharton è quella che conosce tanto bene anche Newland Archer. Lui è un avvocato trentunenne, cresciuto nella confortevole bambagia della Quinta Strada, rampollo dell’aristocrazia newyorchese, nonché giovane protagonista 94
del romanzo: il più consapevole della tragedia di viverci dentro, intrappolato come in una tela di un ragno, incapace però di uscirne. Archer è quindi un uomo che non ha mai messo in discussione né il mondo in cui vive, né la donna a cui è legato, ovvero May, fino al momento in cui rincontra Ellen Olenska. Newland per lei metterà a rischio il suo matrimonio e i suoi valori senza il minimo tentennamento. Si scopre talmente affascinato dalla libertà e spregiudicatezza di lei, che la inizia a difendere ogni qual volta le zie e la società la criticano, ma lui stesso non esita a disapprovare certi suoi comportamenti e a considerarla eccessiva quando lo ritiene opportuno. Ne è allo stesso modo e allo stesso tempo attratto e respinto, perché Ellen rappresenta tutto quello che lui vorrebbe per se stesso e che contemporaneamente, non vorrebbe mai, che gli fa paura proprio perché imprevedibile e ingovernabile. Si tratta di una consapevolezza dolce amara, la sensazione di avere qualcosa, qualsiasi cosa possa essere desiderabile e bella , a portata di mano, e la scelta cosciente di non coglierla. La stessa attrazione mista a repulsione Newland la prova anche verso l’innocenza che dà il titolo al libro: vorrebbe affrancarsi da un mondo che non gli corrisponde più, ma non riesce mai a farlo del tutto poiché è tutto ciò che ha e ciò che è, una parte di lui. L’innocenza non è per niente una condizione facile e naturale come può sembrare. L’età dell’innocenza, l’età degli ideali, della presa di coscienza di un futuro alternativo e dei propositi di ribellione, tuttavia, finirà nel momento in cui Newland dovrà assumersi le proprie responsabilità morali 95
e sociali: il protagonista farà la scelta più consapevole della sua vita ed accetterà il ruolo confezionatogli addosso per anni. Nonostante la pacata rassegnazione al proprio destino, Newland è un personaggio genuino, capace di passioni forti e di reazioni improvvise, come le risate isteriche a cui si abbandona nel momento in cui gli vengono comunicate notizie che vireranno la sua esistenza nella direzione opposta a quella desiderata. Quindi il titolo del romanzo non corrisponde ad un concetto generazionale e non si può identificare con una giovinezza anagrafica. Viene da credersi se la vera innocenza sia quella rappresentata da Newland Archer, falso rivoluzionario in grado di contraddire le convenzioni a parole, solo a parole, ma così calato all’interno della struttura sociale da non rendersi conto, come i pesci nell’acqua, di non poter fare a meno delle buone regole della società. Eppure Newland sembra essere più inconsapevole che innocente, più immaturo che candido. Archer non è scaltro a differenza di Ellen, crede nell’esistenza di un luogo dove poter conservare la passione, l’illusione. Scopre solo nella maturità come ogni suo pensiero o pulsione non fosse un segreto nemmeno per la moglie. Ma anche Ellen, inizialmente, è un’innocente, completamente all’oscuro del meccanismo critico che la vede protagonista. Addirittura May, che per l’intero libro è modello di innocenza, rivela nel finale di aver compreso e manipolato più di quanto non fosse lecito pensare. Così, forse, l’innocenza è uno stadio iniziale, comune a tutti i protagonisti. L’innocente è colui che non nuoce e sia Archer che Ellen rinun96
ciano alla loro scelta d’amore per non creare il caos, per non ledere al buon funzionamento della società, di cui non possono non continuare a far parte. Proprio rinunciando a New York e ritornando in Europa, Ellen può continuare a far parte della famiglia e della buona società newyorkese. Anche la sessualità repressa può essere considerata una forma di innocenza. Il lusso non è passionale, anzi sembra irrigidire ancora di più ogni forma di contatto umano: le uniche scene connotate dal desiderio e dal trasporto emotivo non avvengono nella sontuosità delle ville, ma nelle dépendance o in giardino o in carrozza. Innocente è pure il periodo storico in cui è ambientata la storia, plasmato da un sistema sociale come quello americano, convinto di essere sempre nel giusto, privo di qualsiasi dubbio morale, auto-referente quanto autocelebrativo, eppure talmente immaturo da ignorare tutto ciò che capita nel resto del mondo. Edith Wharton si destreggia a meraviglia nei comportamenti e nelle parole di un uomo, rendendo Newland un personaggio autentico, sfaccettato e complesso. Interessante è anche il modo in cui viene sottolineato il rapporto tra generazioni diverse: se prima Newland faticava a comprendere i desideri della propria famiglia, a ventisei anni di distanza è suo figlio Dallas a non riuscire a capire il comportamento del padre.
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II.2 Nemesi di un film Martin Scorsese (fig. 26) nasce a Flushing, Long Island, il 17 novembre 1942, da una famiglia di origine siciliana, e cresce nell’ambiente della Little Italy di New York, per le strade che vanno da Houston Street a Chinatown. Secondo figlio di Luciano Charles Scorsese e Caterina Cappa, fin da bambino si trasferisce con la famiglia nel Queens. I nonni erano emigrati dalla Sicilia ed esattamente da Polizzi Generosa e da Ciminna, in provincia di Palermo, agli inizi del XX secolo. Fin da piccolo Scorsese ha coltivato l’amore per il cinema anche per l’impossibilità, a causa di una forte asma, a partecipare alle normali attività ricreative dei coetanei. Cresciuto in un ambiente devotamente cattolico, intorno il 1956 studia per diventare prete, ma nel 1960 cambia idea e si iscrive al corso di cinematografia della New York University, dove dirige i suoi primi cortometraggi in 16 mm, tra cui La grande rasatura24, corto simbolo per un’intera generazione di cineasti della New Hollywood25, il quale è alla base di tutta la filmografia scorsesiana; difatti i caratteri contenuti in questo cortometraggio saranno sempre presenti in tutti i lavori successivi. Dopo essersi laureato in regia alla New York University, il suo primo lungometraggio ebbe una gestazione complicata. Nel 1965, grazie ad un prestito della NYU, inizia le riprese di un film intitolato Bring On the Dancing Girls26 ma successivamente lo interrompe,e nel 1967, dietro consiglio del suo professore Haig Manoogian (1916-1980), riprende 98
a lavorare al film, girando in 16 mm e intitolandolo I Call First27. Dopo aver aggiunto una sequenza eroica, dietro consiglio del produttore, Scorsese fa uscire il film nel 1969, con il titolo definitivo Chi sta bussando alla mia porta?. Il film è interpretato da Harvey Keitel e segna l’inizio della collaborazione di Scorsese con la produttrice Barbara De Fina28 e la montatrice Thelma Schoonmaker29. Dopo essere entrato come insegnante di ruolo di Cinematografia alla New York University , Scorsese distribuì Street scenes30, un documentario su una dimostrazione studentesca del Maggio del 1970 che si opponeva all’invasione americana in Cambogia. Nel 1970 partecipa alla realizzazione del film documentario Woodstock31, come assistente alla regia e come supervisore del montaggio; lavora anche come produttore di film a Medicine Ball Caravan32 ed a Elvis on tour 33. Agli inizi degli anni settanta lascia New York per Hollywood, ed entra nella factory di Roger Corman34. Per la American International Pictures Scorsese diresse anche il suo primo film che ricevette una vasta distribuzione: l’economico America 1929. Sterminateli senza pietà (Boxcar Bertha, 1972), con Barbara Hershey e David Carradine. Con lo stesso staff tecnico presto ritornò a New York e cominciò a lavorare al suo primo capolavoro: il dramma Mean street35del 1973; una pellicola che delinea molti tratti stilistici principali dell’opera di Scorsese: il suo uso di antieroi emarginati, insolite tecniche di fotografia assecondata dalla particolare regia, ossessioni che si contrappongono 99
tra la religione e la vita dei gangster, e l’uso evocativo della musica popolare. Fu questo film che lo lanciò alla guida di una nuova generazione di talenti cinematografici americani. Il film segnò anche il rapporto di Martin Scorsese con Robert De Niro, che rapidamente emerse come figura centrale nella maggior parte dei suoi lavori. In seguito Martin viaggiò in Arizona per cominciare a girare Alice doesn’t live here anymore36 1974, una risposta alla critica la quale affermava che egli non sapeva dirigere un “film di donne”. Il risultato finale portò a Ellen Burstyn un Oscar come migliore attrice alla cerimonia annuale degli Academy Awards, e la nomination come migliore attrice non protagonista per Diane Ladd. Il film successivo fu l’Italo-americano37 del 1974, una pellicola che Scorsese ha sempre considerato la favorita tra i suoi lavori. Uno sguardo-documentario all’esperienza degli immigranti italiani e alla vita nella Little Italy di New York; il film vide come primi attori i genitori del regista. Vi incluse persino la ricetta segreta della salsa di pomodoro di Catherine Scorsese.
Ritornato a New York, Scorsese cominciò a lavorare al leggendario Taxi driver38, cupa storia di un tassista alienato, nel cui ruolo di protagonista appare di nuovo Robert De Niro. Acclamato fin da subito come un capolavoro, Taxi Driver vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1976. Come si sa, la cosa difficile di ogni successo è ripeterlo. E così il grande 100
regista si concentra su un nuovo copione con la ferma intenzione di centrare il bersaglio. Dedica così alla propria città un intero film: New York, New York39, ricco musical del 1977, ancora con Robert De Niro affiancato questa volta da Liza Minnelli. Malgrado la grande ambientazione e il grande cast, il film venne considerato inspiegabilmente come non riuscito, gettando Martin Scorsese in una seria crisi professionale. Fortunatamente, un altro progetto a breve termine contribuì ad impegnarlo e tenerlo su di giri: si trattava del documentario relativo all’ultima esibizione del gruppo The Band. Ricco di comparse celebri che vanno da Muddy Waters a Bob Dylan e Van Morrison, il film concerto L’ultimo valzer40 arrivò nel 1978 e provocò deliri nel mondo del festival e tra i fan della pop music. Scorsese tornò dunque ad essere in cima alla lista dei registi più quotati. Un ottimo carburante per le sue future imprese. Nell’aprile del 1979, dopo anni di preparazione, comincia a lavorare Toro scatenato41, un film basato sull’autobiografia del boxer Jake La Motta (1921), considerato ormai come il più grande film degli anni ‘80. Girato per ragioni artistiche interamente in bianco e nero, divenne in breve un vero e proprio film cult, ed è considerato tra le pietre miliari del cinema statunitense. Per interpretare l’ex-pugile in declino, Robert De Niro, ancora una volta protagonista per Scorsese, ingrassò di trenta chili, arrivando ad avere problemi di salute negli ultimi giorni delle riprese (che furono affrettate per permettere all’attore di tornare in sa101
lute). La metamorfosi gli valse il premio Oscar come miglior attore. Scorsese e De Niro si ritrovano qualche anno dopo per un altro stupendo film: Re per una notte42, impietoso ritratto - agevolato dalla presenza di un fantastico ed inedito Jerry Lewis in una parte per lui insolitamente drammatica - dai risvolti paradossali a cui può portare la fame di gloria. Nel 1980, dopo essersi sposato con Isabella Rossellini, recita nel film di Renzo Arbore Il pap’occhio43, nella parte del regista della televisione vaticana. Nel 1985 Scorsese gira un piccolo film indipendente molto particolare e fuori dai canoni: Fuori Orario44, considerato uno dei suoi gioielli. Il film vince la Palma d’oro per la miglior regia al Festival di Cannes del 1986. Nel 1986 cambia totalmente registro: si cala nel mondo dei biliardi e delle scommesse e sforna Il colore dei soldi45, altro acclamato capolavoro, con Paul Newman e Tom Cruise, pellicola che frutta a Newman l’ Oscar al miglior attore. Ma il sogno del regista americano si avverò nel 1988, quando adattò per il grande schermo un romanzo dello scrittore greco Nikos Kazantzakis. Il film che ne venne fuori provocò un grande scandalo: L’ultima tentazione di Cristo46, con Willem Dafoe, fin dalle sue prime apparizioni sollevò forti proteste e minacce di boicottaggio. L’opera affronta, infatti, un tema da sempre molto delicato, ovvero Gesù come “uomo” prima che Dio. 102
Nello stesso anno collabora anche con il cantante Michael Jackson, girando il videoclip Bad47, della durata di diciotto minuti. Dopo una collaborazione con Francis Ford Coppola e Woody Allen per il trittico New York Stories48(1989), Scorsese iniziò a lavorare al progetto successivo, un gangster-movie: Quei bravi ragazzi49 (1990), incentrato sul mondo criminale newyorkese e che vede nuovamente De Niro come protagonista insieme a Joe Pesci e Ray Liotta. Joe Pesci vinse un Oscar come miglior attore non protagonista per la sua interpretazione di uno spietato Sicario. Scorsese aveva firmato un contratto particolare con la Universal Pictures: in cambio della produzione de L’ultima tentazione di Cristo, avrebbe girato un film più commerciale, Cape Fear-Il promontorio della paura50, che portò a termine nel 1991. Il successivo film (tratto dall’opera Premio Pulitzer della scrittrice Edith Wharton) fu L’età dell’innocenza51 (1993), che si stacca fortemente dall’impostazione tipica delle pellicole di Scorsese,è tra i film più aderenti e fedeli ad un testo letterario che la storia del cinema ricordi. E’ un’opera in costume dalle sfumature lievi, intimista, ricchissima di dettagli visivi, che denuncia l’ipocrisia e i perbenismi della società nella New York di fine Ottocento. Si nota difatti la cura maniacale degli arredi,dei gioielli e degli abiti. Forse l’unico lungometraggio del regista nel quale la violenza non è mostrata ed esplicita, ma sottotraccia, insita nei comportamenti della “società bene” di quel periodo, che non tollerava deroghe alle leggi non scritte della moralità. Il film 103
è interpretato da Daniel Day-Lewis, Michelle Pfeiffer e Winona Ryder. Un’ aspetto interessante sarà quello d’essersi serviti in tutto il percorso filmico di tre colori, in modo particolare il rosso, il giallo e il bianco. Il rosso viene associato alla carica sentimentale di Newland verso Ellen Olenska, che sarà visibile anche negli abiti e perfino nella casa della contessa; il giallo, specifico di Olenska, è il colore della vivacità, della disinibizione e dell’isolamento a cui la donna sarà destinata; il bianco invece è il colore della totalità, poiché può essere definito come l’unione di tutti i colori o non-colore: è il colore di May e anche dei fiori a lei legati, i mughetti.
Note al Capitolo II Edith Wharton, The Valley of Decision,New York,1902. Eadem, Ethan Frome,New York,1911. 3 Il Monte Athos si trova nella propaggine più orientale della penisola Calcidica, in Grecia. 4 Henry James (1843-1916) fu uno scrittore e critico letterario statunitense noto per i suoi romanzi e i suoi racconti sul tema della coscienza e della moralità. 5 Walter Berry (1929-2000) è stato un basso-baritono austriaco. 6 Bernard Berenson (1865-1959) è stato uno storico dell’arte statunitense. 7 Edith Wharton, The Marne,NewYork,1918. 8 Eadem, The Age of Innocence, New York,1920. 9 Il Premio Pulitzer è un premio statunitense, istituito dal giornalista Ungherese-Americano e magnate della stampa statunitense Joseph Pulitzer (1847-1911) che, alla sua morte, lasciò tutti i suoi averi alla Columbia University. Una parte del suo lascito è stata usata per la Scuola di giornalismo dell’università nel 1912. Il premio fu assegnato per la prima volta nel 1917. 10 Edith Wharton, Raccolta di racconti. Old New York, False Dawn, The Old Maind, The Spark, New Year’ Days, Appleton, New York 1924. 11 Eadem, A Son at the Front,Scribner’s, New York 1923. 12 Eadem, The Children, New York,1928. 13 Eadem, Ghosts, New York,1937.
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Il primo film tratto dal libro della Wharton risale al 1924, intitolato appunto The Age of Innocence; è un muto diretto da Wesley Ruggles, sceneggiatura di Olga Printzlau, protagonisti principali: Beverly Bayne nel ruolo della contessa Ellen Olenska, Elliot Dexter nel ruolo di Newland Archer, Edith Roberts, Willard Louis. Distribuito da Warner Brothers Pictures,USA, 1924. 15 Nel 1928 Margaret Ayer Barnes adattò il romanzo della Wharton in uno spettacolo teatrale rappresentato all’Empire Theatre di Broadway ,interpretato da Katharine Cornell nel ruolo della contessa Ellen Olenska. 16 Nel 1934 un secondo adattamento cinematografico del romanzo fu diretto dal Regista Philip Moeller, Sceneggiatura: Sarah Y. Mason e Victor Heerman; Montaggio: George Hively, Musica: Max Steiner. Cast: Irene Dunne (contessa Ellen Olenska), John Boles (Newland Archer), Lionel Atwill (Julius Beaufort), Helen Westley (Granny Manson Mingott), Crews Laura Speranza (Augusta Welland), Julie Haydon (maggio Welland). 17 «Agli inizi degli anni Settanta, una sera di gennaio, all’Accademia di Musica di New York, il bel mondo si accontentava ancora di radunarsi ogni inverno nei mal ridotti palchi addobbati in rosso e oro dell’accogliente vecchia Accademia» cit. Wharton (2010), p.3. L’inizio del romanzo della Wharton è in questo senso emblematico ,perché sebbene già si cominciasse a parlare dell’edificazione di un nuovo Teatro dell’Opera, che avrebbe gareggiato per dispendio e splendore con quelli delle grandi capitali europee, il mondo elegante era comunque soddisfatto di riunirsi ancora ogni inverno nei frusti palchi rosso e oro della vecchia Accademia. 18 «…si era attardato con un sigaro nella biblioteca in stile gotico,arredata con librerie e vetri in legno di noce e sedie dallo schienale intagliato,l’unica stanza della casa dove la signora Archer permetteva che si fumasse.», Ivi: cit., p. 4. «Lo studio di Archer era composto da una stanza con interminabili file di libri, le statuette di bronzo che raffiguravano gli<<schermidori>>sistemate sul caminetto e le numerose fotografie di quadri celebri …», cit., p. 31. «...Archer si adeguava ad una serie di regole, tra cui quella di usare due spazzole dal dorso d’argento con il suo monogramma in smalto azzurro per farsi la scriminatura o, l’altra di non comparire mai in società senza un fiore (preferibilmente grande) all’occhiello.», cit., p. 4. Da queste altre due note riusciamo ad immergerci negli ambienti e a capire anche i minimi dettagli che completavano il gentiluomo: nella prima, per esempio, capiamo la presenza in questo periodo all’interno delle case degli eleganti delle “smoking-room”, che letteralmente significa “sale per fumatori”, ovvero stanze dove i gentiluomini si riunivano per passare serate al maschile; nalla seconda, che Newland dovette essere, in tutto o in parte, aderente allo statuto dandy. 19 «Dietro alle due matrone sontuosamente abbigliate era seduta una fanciulla biancovestita..un caldo rossore salì alle gote della giovinetta,le coprì la fronte fino alla radice delle sue belle trecce e soffuse l’acerba curva del suo seno fino al punto dove essa era interrotta da un modesto scialletto di tulle fermato soltanto da una gardenia. Abbassò gli occhi sull’enorme mazzo di mughetti che teneva sulle ginocchia, toccati con candidi guanti.», cit. p. 5. 14
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«...un’esile ragazza un po’ più bassa di May Welland, la cui chioma scura era disposta in riccioli serrati attorno alle tempie ed era tenuta a posto da una stretta banda di diamanti. Quanto suggeriva questa acconciatura,che le conferiva l’aspetto definito all’epoca “alla Giuseppina”, era completato dal taglio del vestito di velluto blu scuro, un po’ teatralmente trattenuto in alto sotto il seno da un busto munito di una grande fibbia all’antica. Colei che portava questo insolito abbigliamento non si accorgeva dell’attenzione che suscitava.», cit. p. 7. «...Per Archer il modo in cui l’indumento (che era privo di fiuciù) le scivolava dalle esili spalle lo scandalizzava e lo tormentava. Detestava pensare che May subisse l’influenza di una giovane donna così non curante dei dettami del senso estetico.», cit. p. 11. 21 Merita ricordare in questo caso la prima visita di Newland a casa di Ellen, che fu per lui una scoperta di un mondo nuovo, che mai l’uomo comprenderà fino in fondo, un mondo che Ellen pone in contrasto con quello che lei ritiene lugubre e ingessato dei salotti di New York. Il primo approccio di Newland nella casa di Ellen sarà contornato dalla forte curiosità che suscitano in lui le opere, i quadri e gli oggetti che sono in esso contenuti. 22 «Archer fece il gesto che aveva visto fare da tanti sposi:con la mano destra senza guanto tastò la tasca del panciotto grigio scuro e si assicurò che il cerchietto d’oro fosse al suo posto;poi strinse con la mano sinistra il cilindro e i guanti grigio perla con le impunture nere,rimase fermo a guardare la porta della chiesa.», cit. , p. 131. 23 «La giornata era fresca, e tutte le anziane avevano tirato fuori le scolorite pellicce di zibellino e gli ermellini ingialliti dal tempo. L’odore di canfora proveniente dai banchi in prima fila quasi soffocava il tenue profumo dei gigli ammassati intorno all’altare.», cit., p. 130. «Le damigelle d’onore della sposa erano già radunate come un mazzo di boccioli di primavera. Gli otto mazzi delle damigelle erano formati da bianchi lillà e mughetti,come pure i gemelli da polso d’oro e zaffiri per gli otto valletti,insieme al ferma carta ornato da un occhio di gatto per il testimone.», cit., p.130. 24 The Big Shave, USA,1967, Regia Martin Scorsese, interprete: Peter Bernuth, fotografia: Ares Demertzis, montaggio: Martin Scorsese, musiche: Bunny Beringam. 25 La locuzione “Nuova Hollywood” fu usata per definire quello che è stato probabilmente il maggior fenomeno di rinnovamento del cinema statunitense avvenuto tra gli anni sessanta e i primi anni ottanta. Essa nacque a causa della crisi che investì Hollywood all’inizio degli anni sessanta, provocata da un drammatico calo di pubblico nelle sale, attirati dalla televisione. La New Hollywood portò un gran rinnovamento finanziario e fece nascere nuove produzioni indipendenti. Dal punto di vista delle tematiche la New Hollywood portò alla ribalta argomenti sino ad allora tabù: la solitudine e l’inquietudine giovanili (Cinque pezzi facili, Taxi Driver), la sessualità esplicita della donna (Gangster Story), perfino nuovi modi d’intendere i rapporti d’amore. 26 “F Troop” Bring on the Dancing Girls; interpreti: Forrest Tucker, Larry Storch, Ken Berry; regista: David Alexander, USA, 1966. 27 I Call First, regia di Martin Scorsese, USA 1967. Interpreti: Harvey Keitel, Zina Bethune, Anne Collette.
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Barbara De Fina nasce nel 1949 negli Stati Uniti è una produttrice di film. Si sposa con Martin Scorsese dal quale divorzia nel 1985. Tra i suoi vari lavori ricordiamo: Il colore dei soldi, Buena Vista 1986; L’età dell’innocenza, Columbia 1993; Casino,Universal 1995; Rischiose abitudini, Miramax, 1990, Conta su di me, Paramount, 2000. 29 Thelma Schoonmaker (1940) è una montatrice statunitense. È la collaboratrice storica di Martin Scorsese. Nel 1971 viene candidata all’ Oscar per il miglior montaggio per il film Woodstock. Tre giorni di pace,amore e musica. Ha collaborato al montaggio di Toro scatenato, Re per una notte, Fuori orario, Quei bravi ragazzi, Cape Fear. Il promontorio della paura, L’età dell’innocenza fino al più recente The Aviator. Durante la notte della cerimonia per la 79ª edizione degli Academy Awards riceve l’Oscar per il montaggio del film di Scorsese The Departed, il terzo della sua carriera dopo quelli ottenuti per Toro scatenato e The Aviator .Tra i suoi vari altri lavori ricordiamo, tutti per la regia di Martin Scorsese: Who’s That Knocking at My Door, (1967); Street Scenes, (1970); The King of Comedy (1983) The Last Temptation of Christ, (1988) ; Hugo Crepet, (2011); The Wolf of Wall Sreet, (2013) 30 Street scenes, regia di Martin Scorsese, USA 1970,montaggio; Thelma Schoonmaker, interpreti:Vera Bloom, Jay Cock, Harvey Keitel, William Kunstler, Martin Scorsese. 31 Woodstock, diretto da Michael Wadleigh, prodotto da Bob Maurice, Michael Wadleigh, Martin Scorsese;montaggio di Stan Warnow, Yeu-Bun Yee, Jere Huggins, Thelma Schoonmaker; distribuito da Warner Bros,USA,1970. 32 Medicine Ball Caravan, prodotto da Tom Donahue e Martin Scorsese; montaggio di Gèrard Patris,Martin Scorsese, Fred Talmadge, USA, 1970. 33 Elvis on Tour,diretto da Robert Abel,distribuito da MGM negli Stati Uniti d’America nel 1972,protagonista Elvis Presley,montaggio di Ken Zemke e Martin Scorsese. 34 Roger Corman (1926) è un produttore cinematografico e regista statunitense .Dopo aver studiato a lungo ingegneria, Corman decise di entrare nel mondo del cinema come produttore nel 1953 ed esordì come regista nel 1955. Attivo soprattutto nel campo dei film horror e film a basso costo; divenne celebre la sua serie di film tratta dai racconti di Edgar Allan Poe con Vincent Price nei ruoli da protagonista. Nonostante il budget molto ridotto, le sue pellicole hanno quasi sempre incassato moltissimo al botteghino e Corman è diventato una figura di culto fra i cinefili di tutto il mondo. Personalità eclettica e instancabile, Corman è regista, sceneggiatore, produttore e distributore. Ha avuto anche il merito di scoprire autori della New Hollywood come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Peter Bogdanovich, Jonathan Demme e molti altri. Occasionalmente si è prestato come attore in ruoli di secondo piano. Ufficialmente si è ritirato dal mondo della regia cinematografica nel 1971. Dal 23 dicembre 1970 è sposato con Julie Corman, dalla quale ha avuto quattro figli. Tra i suoi lavori ricordiamo: Day the World Ended (1955); Carnival Rock, (1957); The Young Racers, (1963). 35 Mean street, diretto da Martin Scorsese nel 1973, USA, 1973, montaggio: Sidney Levin, interpreti: Robert De Niro, Harvey Keitel, David Proval, Amy Robinson. 28
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Alice doesn’t live here anymore, diretto da Martin Scorsese e scritto da Robert Getchell, distribuito da Warner Bros,USA, 1974. 37 Italian american, diretto da Martin Scorsese, casa di produzione National Communications Foundation, USA, 1974,interpreti: Catherine Scorsese, Charles Scorsese e Martin Scorsese. 38 Taxi Driver, regia di Martin Scorsese, distribuito da C.E.I.A.D., USA, 1976, interpreti: Robert De Niro, Jodie Foster, Harvey Keitel, Cybill Shepherd, Peter Boyle. 39 New York, New York, diretto da Martin Scorsese, USA, 1977, montaggio: Tom Rolf, Bertram Lovitt, David Ramirez; interpreti: Liza Minnelli, Robert De Niro, Lionel Stander, Barry Primus, Mary Kay Place. 40 L’ultimo valzer, diretto da Martin Scorsese, casa di produzione FM Productions, Last Waltz Inc.,USA, 1978; montaggio: Yeu-Bun Yee, Jan Roblee; interpreti: Robbie Robertson, Rick Danko, Levon Helm. 41 Raging Bull, diretto da Martin Scorsese, USA, 1980; montaggio: Thelma Schoonmaker; interpreti: Robert De Niro, Joe Pesci, Cathy Moriarty. 42 The King of Comedy, diretto da Robert De Niro, USA, 1983, montaggio; Thelma Schoonmaker; interpreti: Robert De Niro, Jerry Lewis, Sandra Bernhard, Shelley Hack . 43 Pap’occhio, diretto da Renzo Arbore, distribuito da Titanus, Italia, 1980; interpreti: Robert De Niro, Renzo Arbore, Roberto Benigni, Isabella Rossellini, Diego Abatantuono. 44 After Hours, diretto da Martin Scorsese, USA, 1985; montaggio: Thelma Schoonmaker; interpreti: Griffin Dunne, Rosanna Arquette, Verna Bloom, Teri Garr. 45 The Color of Money, diretto da Martin Scorsese, casa di produzione Touchstone Pictures, USA, 1986, montaggio: Thelma Schoonmaker; costumi Richard Bruno; interpreti: Paul Newman, Tom Cruise, Bill Cobbs. 46 The Last Temptation of Christ, diretto da Martin Scorsese, USA, 1988; montaggio: Thelma Schoonmaker; interpreti: Willem Dafoe, Victor Argo, Barbara Hershey, Harvey Keitel. 47 Bad diretto da Martin Scorsese, 1987, produttore Jeremy Johnson e Michael Jackson, cantante Michael Jackson. 48 New York Stories, film collettivo del 1989 costituito da tre episodi diretti dai registi statunitensi Martin Scorsese (Lezioni dal vero), Francis Ford Coppola (La vita senza Zoe) e Woody Allen (Edipo relitto), dedicati alla città di New York. Il produttore è Barbara De Fina (Lezioni dal vero), montaggio di Thelma Schoonmaker. 49 Goodfellas, diretto da Martin Scorsese, USA, 1990; montaggio: Thelma Schoonmaker; interpreti: Robert De Niro, Joe Pesci, Ray Liotta, Frank Vincent. 50 Cape Fear diretto da Martin Scorsese Stati Uniti 1991;produttore Barbara De Fina;interpreti: Robert De Niro, Nick Nolte, Jessica Lange e Juliette Lewis. 51 The Age of Innocence diretto da Martin Scorsese distribuito dalla Columbia Pictures, Stati Uniti 1993; montaggio di Thelma Schoonmaker; produttore Barbara De Fina; costumi Gabriella Pescucci; interpreti: Daniel Day-Lewis, Michelle Pfeiffer, Winona Ryder. 36
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Capitolo Terzo: Gabriella Pescucci. Note biografiche e di stile. Gabriella Pescucci (fig. 27) nasce a Rosignano Marittimo (LI) nel 1941. Studia a Firenze all’Istituto d’Arte di Porta Romana pittura murale, e poi successivamente all’Accademia di Belle Arti della città. Ma nonostante questi studi,l’abbigliamento del passato, come storia del costume,l’ha sempre incuriosita è attratta. Nel 1966 si trasferisce a Roma «con la cartella sotto il braccio»1 e inizia proponendosi come assistente-costumista, cominciando così le sue prime collaborazioni nel mondo del teatro e del cinema, prima con lo scenografo Pier Luigi Pizzi2 e poi con Umberto Tirelli3, Ezio Frigerio4 e Piero Tosi5. Diventando così una delle allieve più promettenti di Tosi con il quale collabora a grandi progetti. Egli l’ha voluta con sé, ancora ragazzina sul set di Medea6 di Pier Paolo Pasolini (1969) e in Morte a Venezia7 di Luchino Visconti (1971). Una grande scuola, per la donna, che le ha insegnato che non c’è creatività senza documentazione e che lo studio del periodo storico e della pittura sono passaggi obbligati. Eppure la sua vena poetica sembra diversa, più appariscente, istrionica, insomma: esuberante. Perché come lei stessa ha affermato: «Anche io parto da una base reale, da quadri, da illustrazioni, da documentazione varia, poi “impasticcio” facendo anche degli errori e sapendo di farli. E poi in giro per musei prendo molti appunti.»8 In ambito teatrale partecipa a numerosi allestimenti di opere liriche e di prosa, collaborando con registi quali Giuseppe Patroni Griffi9, Mauro 111
Bolognini10, Luchino Visconti11, Luca Ronconi12 e Liliana Cavani13. Tra queste collaborazioni possiamo ricordare come opera lirica con Visconti, Manon Lescaut, (1973) e nel teatro di prosa, in collaborazione con Patroni Griffi, Mahagonny (1972). Ma la sua carriera nel mondo del cinema è iniziata con il film I sette fratelli Cervi (1968) per la regia di Gianni Puccini14. Agli inizi degli anni 70 comincia a muovevi i suoi passi concreti, e lo fa per Giuseppe Patroni Griffi, con quello che è il suo vero debutto ovvero, Addio fratello crudele, tratto dal dramma elisabettiano Tis pity she’s a whore (1633) di John Ford,ispirandosi,negli accostamenti coloristici,alla tradizione della pittura italiana del Rinascimento,disegnando costumi che se pur fedeli a linee e volumi cinquecenteschi, pur ispirati perciò dalle tele di Carpaccio e Leonardo, risultano frutto di pura invenzione. Sempre per Patroni Griffi vestì i perversi aristocratici di Divina creatura (1975) tratto dal romanzo La divina fanciulla (1920) di Luciano Zuccoli ambientato nell’alta società della Roma degli anni Venti. Sarà con questa pellicola che riceve il Nastro d’argento15 per i migliori costumi nel 1976 . Tra i vari registi con cui ha collaborato nel corso della sua vita la Pescucci racconta di nutrire un sentimento di riconoscenza in particolar modo nei confronti di Giuseppe Patroni Griffi affermando:«Fu l’unico,anche se ero molto giovane, ad aver dato fiducia al mio lavoro. Tutto questo non si può dimenticare.» 16. Dopo lavora con Mauro Bolognini per il film Fatti di gente per bene (1974) e riceverà anche qui nel 1975 il Nastro d’argento. In seguito 112
firma la cupa e statica galleria di borghesi romani d’età umbertina in L’eredità Ferramonti (1976) anch’essa di Mauro Bolognini, film dove si racconta delle traversie e delle lotte intestine che agitano la famiglia Ferramonti in una Roma di fine ’800 attraversata da tumulti politici e sociali. La Pescucci sembrava destinata alla creazione di figurini di mode tramontate per film in costume calligrafici quando viene poi chiamata da Federico Fellini, prima per Prova d’orchestra (1979), poi per realizzare le oniriche fantasie incarnate nei sensuali corpi femminili in La città delle donne (1980), film che le vale nuovamente il Nastro d’argento 1980. Crescendo così a fianco di Visconti, colonna portante di quel realismo accademico forse un po’ troppo pedissequo, e poi di Fellini, la cui capacità immaginativa è dilagante e incontenibile, impara a conciliare due mondi apparentemente in eterno conflitto: la realtà e la fantasia, sapientemente congiunti dall’assioma che “anche per un film fantastico si deve sempre partire da un’approfondita conoscenza della realtà” e che nulla si inventa, piuttosto “si ripropone, magari in forma esasperata qualcosa che esiste già”. È leggere la realtà per ricavarne idee assolutamente pazzesche, quasi impensabili. È amore per l’autentico, ma allegramente reinterpretato. È capacità di leggere nell’anima di un personaggio prima di dargli un vestito. In tutti i costumi c’è un colto gusto dell’invenzione, tinte sempre perfette, morbosa attenzione per ogni dettaglio, cui si aggiunge l’assoluta capacità di azzeccare l’accessorio giusto, cravatta o occhiale che sia. Nulla di casuale, nulla di sbagliato, nulla fuori posto. Fonte di ispirazione sono la realtà di ogni giorno, il modo di vestire della gente comune, i tessuti della moda quotidiana, che poi rielabora e adatta alle epoche lontane dei suoi film.
Ha inoltre affermato durante una lezione alla Sapienza17 di Roma in occasione del quinto appuntamento con i Professionisti della Moda che: 113
«Un costumista, dopo un’attenta e approfondita ricerca storica artistica del periodo e della nazione di riferimento, deve subito creare il personaggio attraverso l’abito, definendo da subito hic et nunc di una scena cinematografica.» Continuando con il suo percorso lavorativo, possiamo ricordare che è con il film Passione d’amore (1981), ambientato nell’Ottocento, che inizia una duratura collaborazione con Ettore Scola, che l’ha poi chiamata per alcuni dei suoi film corali più riusciti, da Il mondo nuovo, noto anche come La nuit de Varennes (1982) e La famiglia (1987), fino ai due film insieme a Massimo Troisi, Splendor (1989) e Che ora è? (1989). Vince anche un David di Donatello18 con Il mondo nuovo . Con Sergio Leone collabora invece al film C’era una volta in America (1984). La Pescucci ha contribuito a ricostruire il mondo degli immigrati e dei gangster ebrei di New York, in chiave più fantastica che non realistica, seguendoli dalla miseria del primo Novecento ai fasti dell’età del proibizionismo. Ed è con questo film che viene consacrata come talento del panorama italiano ed europeo. Per la realizzazioni di questi costumi ha anche vinto il premio BAFTA19. Il suo talento la fa approdare anche a produzioni d’oltralpe con il film Il nome della rosa (1986) , tratto dal romanzo scritto da Umberto Eco, per la regia di Jean-Jaques Annaud, vestendo così i frati e le streghe nel Medioevo ruvido e barbarico utilizzando stoffe grezze, colori naturali nei toni della terra, ottenendo l’effetto di un minimalismo spoglio, senza nessuna concessione estetizzante. Con questo film la Pescucci 114
riceve due premi importanti, ossia il David di Donatello (1987) e il Nastro d’argento (1987). Ormai affermata erede della migliore tradizione artigianale italiana, la Pescucci viene così chiamata in grandi produzioni internazionali, passando dal mondo colorato e visionario del film Le avventure del barone di Münchausen (1988) diretto da Terry Gilliam, film per il quale riceve una nomination all’oscar per i costumi nel 1990 e un altro Nastro d’argento (1990). La pellicola è una commedia fantastica ispirata all’immaginario delle fiabe e delle illustrazioni per bambini. La Pescucci a proposito di questo film dice: «Il film è magnifico, grazie al regista. Il periodo in cui è ambientato parte dai primi dell’Ottocento, per poi approdare nel mondo della fantasia, in una dimensione fantastica, lunare.»20. Nel 1989 esce Splendor film diretto da Ettore Scola per il quale riceve una nomination per il David di Donatello per la realizzazione dei migliori costumi. Nel 1992 esce invece Indocina del regista francese Régis Wargnier, ambientato tra i suggestivi paesaggi dell’odierno Vietnam durante gli anni dell’occupazione francese; è una storia di passioni travolgenti ed amori tormentati che si intrecciano sullo sfondo della lotta per l’indipendenza condotta dai gruppi di liberazione comunisti. In Indocina ha collaborato insieme al costumista francese Pierre-Yves Gayraud21 ricevendo entrambi, nel 1993, una nomination al Premio Cèsar22 per i migliori costumi. 115
Nel 1993 esce il film commedia a sfondo religioso Per amore, solo per amore, diretto da Giovanni Veronesi, con Diego Abatantuono, Penèlope Cruz e Stefania Sandrelli, tratto dall’omonimo libro di Pasquale Festa Campanile, premio Campiello nel 1984, altro film che riceve la nomination per i migliori costumi al David di Donatello del 1994. Con l’uscita del film L’età dell’innocenza (1993), di Martin Scorsese - distribuito dalla Columbia Pictures, tratto dall’omonimo romanzo di Edith Wharton - la Pescucci vince il Premio Oscar per i migliori abiti nel 1994,e nello stesso anno vince anche il nastro d’argento per i migliori costumi. A proposito dell’Oscar, in un’intervista ella racconta:«Mi piacciono molto i premi […] perché sono un’ambiziosa ed è inutile fare i modesti. L’oscar è il massimo riconoscimento nel cinema. L’emozione più forte che ho provato nel riceverlo è stata la paura di salire sul palco e di mostrami a tutti. Noi siamo da sempre abituati a lavorare al di qua della macchina da presa, trovarsi al centro dell’attenzione può creare momenti di panico»23. Tra i principali attori del film ricordiamo:Daniel Day-Lewis, Michelle Pfeiffer e Winona Ryder. L’opera presenta due figure italiane molto importanti: lo scenografo Dante Ferretti e la stessa Gabriella Pescucci. Entrambi hanno collaborato per regalarci una gioia degli occhi già dalla ricostruzione degli ambienti, i salotti, gli arredi che li compongono, le tavole sontuosamente apparecchiate, i fiori, i giardini, i costumi e i loro accessori, i gioielli, specchio fedele delle usanze alto borghesi di New York all’epoca in cui vengono raccontate nel romanzo originale, le 116
quali costituiscono lo sfondo della vicenda amorosa dei protagonisti. Scorsese riuscirà abilmente ad utilizzare per tutto il percorso filmico tre colori in particolare:rosso, giallo e bianco. Il colore rosso è sostanzialmente il colore che si nota fin da subito già all’inizio del film con la rosa che sta sbocciando, colore che appartiene ad Ellen già dai primi rossori che appaiono sul suo viso, ma è sostanzialmente il colore che suggella l’inizio di un sentimento compassionevole, da parte del giovane Newland, che in breve diverrà passione ardente. Il rosso enfatizza da questo momento in poi tutto il dolore inespresso, la carica sentimentale del giovane Newland verso l’oggetto del suo amore. La proiezione di tali pulsioni si fa personificazione invadendo così i costumi che la contessa indossa, ma anche degli ambienti in cui vive, tanto che nella maggior parte del film la vedremo spesso vestita di colore rosso (fig. 28) o comunque fasciata in abiti dai colori molto pronunciati. La costumista ha creato per tutti i protagonisti, ma in modo particolare per Michelle Pfeiffer, abiti stupendi; basti pensare ai bustini che soffocano i desideri del personaggio impersonato da Michelle di un mondo ostile alla felicità dell’individuo come quello dell’alta società americana nella New York del fin de siécle. Corpetti che venivano arricchiti ancora di più da pizzi e merletti e che costituivano non per altro un modello di seduzione adatto in particolar modo al suo personaggio; le gonne invece erano arricchite sul posteriore tramite drappeggi. Gli abiti sono così imponenti grazie anche hai tessuti raffinati che utilizza, che potevano essere broccati leggeri e sete pre117
ziose, ricamati ed arricchiti da nastri e pizzi, come era in voga a quel tempo per le mise da giorno, mentre per le mise da sera si usavano fruscianti sete e rasi in tinta unita, con piccole ruche e veli, completati da lunghi guanti bianchi ed acconciature raccolte sulla nuca, con piccoli riccioli sulla fronte. Altra tinta spesso utilizzata dal premio Oscar Gabriella Pescucci è il giallo per la mise dell’incauta reietta, e la cui dissolvenza invade una sorridente Ellen deliziata dalle rose appena ricevute da Archer. Esso si installa come colore specifico della dama (fig.29) : il colore della felicità e della vivacità, della disinibizione ma anche dell’isolamento e della segregazione, la stessa a cui la donna sarà destinata; molti saranno gli elementi che richiamano questo colore: ad esempio dorato è lo specchio d’acqua nei pressi del faro su cui la sagoma idilliaca della contessa si staglia agli occhi di Archer; alla fine della pellicola, gialle saranno le tendine poste alle finestre dell’appartamento parigino, delle quali l’invecchiato protagonista rievocherà l’immagine di un’occasione mancata; biondi rimangono inoltre i capelli della Pfeiffer rispetto alla bruna capigliatura della sua alter ego letteraria. L’ultimo colore dominante è l’incontaminato bianco della totalità e dell’obiettività, dell’armonia e della bellezza. Esso assorbe le due precedenti tonalità accentrando in se tutte le caratteristiche della conformazione aristocratica e della sua ineluttabilità assoggettante. Nell’ambiguità del bianco, che può esprimersi come la somma di tutti i colori o come non-colore per antonomasia, il confine tra completezza 118
e vuoto assoluto è assai labile. E, non a caso, è l’elemento cromatico di May (fig. 30), del suo guardaroba (che non ostenta diversità tra l’abito quotidiano e quello nuziale proprio perché minima è la differenza tra la sua posizione nubile e quella coniugata: il matrimonio non è per lei uno stato d’animo bensì una semplice formalità cui adempiere nel modo più corretto possibile), la tonalità asettica dei suoi ambienti privilegiati, il colore dei suoi fiori caratteristici, quei mughetti tanto desiderati le cui delicate campanelle bianche nascondono la velenosità delle bacche prodotte. La terza ed ultima dissolvenza invade anche Archer di bianco subito prima della gara d’arco nel parco (fig. 31), a siglare – consumate le nozze – l’ormai avvenuto adattamento del giovane rampollo all’inevitabile commedia farsesca per la quale, scritta già da tempo, si reclamava a gran voce la sua interpretazione. Il bianco contamina prepotentemente anche il suo vestiario, annullandolo nel contesto di una società assolutistica (esemplificatrice la sequenza di casa Mingott precedente l’arrivo al faro). Sono questi i tre colori che agevolmente si prestano a rappresentare i temi da cui il regista stesso ammette di essere attratto da sempre: ovvero la consapevolezza, il desiderio e l’ossessione. E l’impossibilità di soddisfare questa ossessione. Troveremo nel guardaroba di Newland Archer vari abiti che egli utilizza, partendo dall’uso del frac nero con cravattino bianco per le occasioni più importanti, all’utilizzo del completo dai toni piuttosto scuri, dove le uniche note di colore si trovano nel panciotto o molte volte 119
nella cravatta importante come punto colore. All’utilizzo esterno dell’uniforme nera si contrappone nell’intimità l’interesse ad un esotismo fastoso o in generale colorato, come si intravede in una scena di Archer seduto nel suo studio. La Pescucci riserverà anche al personaggio interpretato da Day-Lewis un’eleganza particolare che si distingue sia per gli abiti indossati che per i tessuti con i quali essi furono realizzati. Il suo abbigliamento veniva sempre corredato da alcuni elementi particolari che non potevano mancare, come per esempio il semplice fiore all’occhiello (la gardenia) (fig. 32), o il bastone con pomo d’avorio, o i vari cappelli che andavano dal cilindro alla bombetta a cupola arrotondata, alla lobbia che poteva essere di feltro o in paglia per l’estate. Un’ aneddoto merita comunque ricordare sull’attore: prima di iniziare le riprese, per prendere confidenza con i costumi dell’epoca egli prese una stanza per due settimane all’Hotel Plaza, registrandosi come “N. Archer”, il nome del personaggio che avrebbe interpretato, e rimase per la maggior parte del tempo nella stanza muovendosi con gli abiti di scena indosso.24 Ma alla domanda se per entrare nel personaggio e più importante il viso o l’abito? La Pescucci risponde: «E’ tutta un’armonia, dall’abito al trucco, ai capelli. I tre elementi sono essenziali25» Negli anni successivi, le sono stati ancora proposti altri film in costume, come La lettera scarlatta (1995) diretto da Roland Joffé. Suoi, tra gli altri, anche i costumi dei film Les misérables (1998). 120
Tra i più recenti lavori realizzati si ricordano: Perduto Amor, regia di Franco Battiato (2003), Van Helsing (2004) di Stephen Sommers, con cui nel 2005 riceve il nastro d’argento per i migliori costumi; poi La fabbrica di cioccolato, regia di Tim Burton (2005), film per il quale riceve una nomination all’oscar per i migliori costumi nel 2006; quindi I fratelli Grimm e l’incantevole strega, per la regia di Terry Gilliam (2005). Nello stesso anno riceve dalla giuria degli Italian Online Movie Awards26 il Premio alla Carriera. Poi firma Agora, regia di Alejandro Amenábar (2009), La prima cosa bella, regia di Paolo Virzì (2010), film per il quale riceve una nomination nel 2010 al David di Donatello e un Nastro d’Argento per i migliori costumi e infine anche il Ciak d’oro. Infine il televisivo I Borgia, per la regia di Neil Jordan (2011). Se dobbiamo in conclusione definire quello che è lo stile della Pescucci possiamo dire che esso “si basa su un solido equilibrio realista, unito ad un colto gusto dell’invenzione” . III.1.2 Filmografia di Gabriella Pescucci. I cuori infranti, regia di Gianni Puccini e Vittorio Caprioli (1963) Arriva Dorellik, regia di Steno (1967) I sette fratelli Cervi regia di Gianni Puccini (1968) Uomini contro, regia di Francesco Rosi (1970) Addio fratello crudele, regia di Giuseppe Patroni Griffi (1971) D’amore si muore, regia di Carlo Carunchio (1972) Paolo il caldo, regia di Marco Vicario (1973) 121
Identikit, regia di Giuseppe Patroni Griffi (1974) Fatti di gente perbene, regia di Mauro Bolognini (1974) Divina creatura, regia di Giuseppe Patroni Griffi (1975) Per amore di Cesarina, regia di Vittorio Sindoni (1976) L’eredità Ferramonti, regia di Mauro Bolognini (1976) Per amore di Cesarina, regia di è Vittorio Sindoni (1976) Il gabbiano, regia di Marco Bellocchio (1977) Prova d’orchestra, regia di Federico Fellini (1979) La città delle donne, regia di Federico Fellini (1980) Tre fratelli, regia di Francesco Rosi (1981) Passione d’amore, regia di Ettore Scola (1981) La Nuit de Varennes, regia di Ettore Scola (1982) Le bon roi Dagobert, regia di Dino Risi (1984) Qualcosa di biondo, regia di Maurizio Ponzi (1984) Once Upon a Time in America, regia di Sergio Leone (1984) Il trovatore, regia di Brian Large (1985) Der Name der Rose, regia di Jean-Jacques Annaud (1986) The Adventures of Baron Munchausen, regia di Terry Gilliam (1988) Che ora è?, regia di Ettore Scola (1989) Splendor, regia di Ettore Scola(1989) Indochine,regia di Règis Wargnier (1992) The Age of Innocence, regia di Martin Scorsese (1993) Per amore, solo per amore, regia di Giovanni Veronesi (1993) The Scarlet Letter, regia di Roland Joffè (1995) 122
La notte e il momento, regia di Anna Maria Tatò (1995) Albergo Roma,regia di Ugo Chiti (1996) Les misérables, regia di Bille August (1998) Cousin Bette,regia di Des McAnuff (1998) Dangerous Beauty,regia di Marshall Herskovitz (1998) Le Temps retrouvé,di Raùl Ruiz (1998) Midsummer Night’s Dream,regia di Michael Hoffman (1999) Un ballo in maschera (TV movie),regia di Carlo Battistoni(2001) Perduto amor, regia di Franco Battiato (2003) Secret Passage, regia di Adémir Kenovic(2004) Van Helsing, di Stephen Sommers (2004) Charlie and the Chocolate Factory, regia di Tim Burton (2005) The Brothers Grimm, regia di Terry Gilliam (2005) Beowulf,regia di Robert Zemeckis (2007) Agora, regia di Alejandro Amenábar (2009) La prima cosa bella, regia di Paolo Virzì (2010) The Borgias (Serie TV; 2 episodi), regia di Neil Jordan (2011). Note al Capitolo III Espressione che la Pescucci utilizza in un’intervista televisiva ad “Effetto Notte” di TV2000 il 17 Febbraio 2012. 2 Pier Luigi Pizzi nasce nel 1930 ed è un registra teatrale, scenografo, e costumista italiano. Dopo aver ottenuto la laurea in architettura a Milano, Pizzi iniziò la sua attività nel 1951, limitandola in un primo momento al campo della scenografia e dei costumi, ed estendendola successivamente alla regia lirica. Presente da allora nei più importanti teatri e festival del mondo, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti internazionali, tra cui la Lègion d’honneur, il titolo di Officier des Arts et des Lettres in Francia di Grand’Ufficiale al merito della Repubblica Italiana e nel 2006, di Com1
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mandeur de l’Ordre du Mérite Culturel, massima onorificenza in campo culturale del Principato di Monaco. Iniziò la sua attività di scenografo collaborando con il Piccolo Teatro di Genova nella messa in scena della Leocadia di Anouilh per la regia di Castello, nonché, nel campo del melodramma, disegnando per il Teatro Comunale, sempre di Genova, la sua prima opera lirica, Don Giovanni, nel 1952. L’affermazione definitiva arrivò successivamente con il sodalizio, per molti anni, con la compagnia De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli, a partire dal 1955. Al primo periodo dell’attività artistica di Pizzi, è da ricordare nel campo della lirica, la leggera, forbita eleganza del suo Orlando (1959, Firenze) che lo costituì come interprete di punta della tradizione barocca e lo condusse a concentrarsi in modo crescente sul lavoro operistico. Non si limitò solo al teatro, lirico e di prosa, ma si estese anche al cinema e alla televisione e precisamente per la RAI, dove curò, dopo le scenografie di una puntata de Il Mattatore, nei primi anni sessanta i costumi dello sceneggiato televisivi Mastro Don Gesualdo, diretto da Giacomo Vaccari. Negli stessi anni sessanta, l’attività operistica di Pizzi si caratterizzò soprattutto per una serie di collaborazioni con il Teatro alla Scala, tutte sotto la regia di Giorgio De Lullo, e per quelle con il Maggio Musical Fiorentino, che si erano iniziate già con il citato Orlando del 1959 e che sarebbero proseguite ben addentro agli anni settanta. Tra le prime, da ricordare: Il trovatore (1962), La Cenerentola (1964), Lucia di Lammermoor (1966), Oedipus rex (1969), I vespri siciliani (1970). Tra le collaborazioni fiorentine si ricordano invece: Alceste di Gluck (1966) e Maria Stuarda (1967), con la regia di De Lullo, Festa monteverdiana (1967), Turandot (1971), Guglielmo Tell (1972), Attila (1972), La dama di picche (1974) per la regia di Luca Ronconi e la direzione di Riccardo Muti, Orfeo ed Euridice (1976), Nabucco (1977) e Trovatore (1977). Nello stesso anno Pizzi aveva debuttato come regista con un Don Giovanni di Mozart al Teatro Regio di Torino, iniziando così un capitolo tutto nuovo e particolarmente fecondo della sua attività artistica. Gli anni ottanta videro l’esplosione clamorosa ed esaltante della particolare sensibilità di Pizzi per il barocco e per Rossini, facendo dell’artista uno dei protagonisti di primissimo piano della belcanto-renaissance. Per la verità, il punto di inizio del carriera registica rossiniana e barocca di Pizzi va antidatato di due anni, nel ‘78, quando fu messo in scena al Teatro Filarmonico di Verona il vivaldiano Orlando Furioso, produzione che segnò l’inizio in epoca moderna di un nuovo interesse a livello mondiale per le opere di Antonio Vivaldi, che fu esportata in tutto il mondo. Da questa esperienza Pizzi sviluppò negli anni ottanta rapporti di collaborazione stretta soprattutto con il Festival di Aix-en-Provence, con il Rossini Opera Festival e con il Teatro Valli di Reggio Emilia, che consentirono l’allestimento di tutta una serie di produzioni che riscossero un clamoroso successo, e che costituirono un punto di partenza fondamentale per il rientro del teatro belcantista nel repertorio operistico contemporaneo. Nel 2000 ha ricevuto dalla critica italiana il suo settimo Premio Abbiati per il miglior spettacolo lirico dell’anno, Death in Venice di Benjamin Britten. Con Idomeneo di Mozart ha riaperto il Teatro delle Muse di Ancona, dove ha poi messo in scena Elegy for Young Lovers di Hans Werner Henze, che ha ricevuto un altro Premio Franco Abbiati della Critica 124
Musicale Italiana. Ha portato in scena Thaìs di Massenet, Le domino noir di Auber e Les pècheurs de perles di Bizet e Maometto secondo di Rossini, Il crociato in Egitto di Meyerbeer,La traviata di Verdi e A Midsummer Night’s Dream di Britten,Un ballo in maschera di Verdi in una nuova rivoluzionaria produzione a Piacenza-Expo, riproposta al Massimo di Palermo, Il viaggio a Reims ancora di Rossini, ed Europa Riconosciuta di Antonio Salieri per l’inaugurazione, nel 2004 della Scala, dove ha curato anche il progetto di ristrutturazione del Museo teatrale. Pizzi si è dedicato, inoltre, all’allestimento di importanti esposizioni d’arte. Nel 2004, all’Arena Sferisterio ha firmato la regia de Les contes d’Hoffmann di Offenbach e nel 2005 Andrea Chènier di Giordano, mentre al teatro Lauro Rossi ha portato Les Mamelles de Tirésias di Poulenc e Le bel indifférent di Tutino. Dal 2006 al 2011 è direttore artistico dello Sferisterio Opera Festival. L’edizione 2006 ha avuto come tema “Il viaggio iniziatico”, quella del 2007 “Il gioco dei potenti”, mentre quella del 2008 “La seduzione”. Nel maggio 2008 inizia al teatro Real di Madrid una nuova produzione de L’Orfeo di Monteverdi. 3 Umberto Tirelli (1928-1990) è nato a Gualtieri, una città in Emilia in prossimità del fiume Po. È stato un sarto italiano, costumista e designer, storico del costume e collezionista. Era il più vecchio di quattro fratelli e ha trascorso la sua giovinezza imbottigliando vino con il padre che era un commerciante di vino e di cereali. Da ragazzo gli sarebbe piaciuto diventare un insegnante, ma presto cambiò idea e all’età di sedici anni frequentando la casa di Luigi Bigi, un sarto che viveva nella sua stessa città, scoprì di avere un debole per l’ abbigliamento. Nel 1952 Giorgio Sarassi che con l’aiuto di Bigi aveva fatto fortuna nel commercio di tessuti per l’alta moda, gli trovò un lavoro a Milano come ragazzo di consegna e designer di visualizzazione in un negozio di tessuti in via Montenapoleone, risparmiando denaro e arrangiandosi per “sopravvivere perché la paga era minima”, come Tirelli ricorda nella sua autobiografia Vestire i sogni (per la casa editrice Feltrinelli). Nel 1955, all’età di 27 anni incontrò Pia Rame e Carlo Mezzadri (costumi teatrali Finzi) che gli offrirono la possibilità di provare in quel settore. Lì incontrò Mila de Nobili che stava facendo i costumi per Maria Callas nella Traviata di Luchino Visconti in scena alla Scala nel 1955. Quindi incontrò Luchino Visconti e Piero Tosi , anche lui costumista che ha lavorato più volte con Visconti, come nel film Il Gattopardo e La morte a Venezia per il quale è stato candidato agli Academy Awards. Realizzò i costumi per il coro femminile de La Traviata. Prima della sua morte lavorò anche sui costumi di un’altra versione de La Traviata, diretta da Riccardo Muti con Gabriella Pescucci. Trasferitosi a Roma lavorò nella Sartoria SAFAS per le sorelle Emma e Gita Maggioni fino al 1964, poi cominciò a lavorare da solo dopo aver imparato a conoscere la filologia del costume grazie a Gino Censani. Tirelli era un collezionista di costumi e definiva se stesso come “un archeologo della moda”. Era infatti solito dire che faceva “spedizioni archeologiche” ogni volta che comprava un costume. La sua collezione è stata utilizzata per il cinema e il teatro. Tirelli desiderava che la maggior parte dei costumi dei film fossero autentici, con l’obiettivo di rendere i movimenti degli attori più pe125
santi facendoli sembrare più realistici. Ha lavorato con grandi nomi di costumisti teatrali della seconda metà del ventesimo secolo, come: Piero Tosi, Pierluigi Pizzi, Luciano Damiani, Danilo Donati, Gabriella Pescucci, Vera Marzot, Gitt Magrini, Ezio Frigerio, Milena Canonero, Marcel Escoffier e Maurizio Monteverde. Il suo contributo è stato fondamentale per la cultura del costume, la filologia della moda, il recupero di antiche tecniche e la ricerca e il ritrovamento di abiti autentici fatta anche tra gli stracci dei mercatini delle pulci (aveva una collezione di 15.000 pezzi con oggetti databili tra il XVII secolo fino ai giorni nostri, compresi Chanel e Dior).Nel 1968 arrivò il “movimento anti-moda”, il boom della street-style e Tirelli stesso disse: «forse c’è l’intelligenza, ma la vera moda, la ricerca e la creatività, appartengono al passato». Nel 1986 egli ha donato 100 abiti autentici e 100 costumi teatrali alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze. Dalla sua morte, la sua sartoria è gestita da Dino Trappetti, Gabriella Pescucci e Giorgio D’Alberti. La Sartoria Tirelli ha continuato a godere di grande prestigio anche dopo la morte del suo proprietario, ed è frequentata da registi e attori di importanza internazionale, fra cui Hugo de Ana (regista e costumista dei propri spettacoli), Ann Roth, Deborah Scott, Alex Byrne. 4 Ezio Frigerio nasce nel 1930; è uno scenografo e costumista italiano. Nel 1948 lascia gli studi d’indirizzo scientifico per frequentare, l’anno seguente, l’Istituto Nautico di Savona. È nel 1955, grazie all’incontro col teorico e regista teatrale Giorgio Strehler, che inizia la sua attività al Piccolo Teatro di Milano. Strehler gli affiderà il disegno dei costumi dello spettacolo La casa di Bernarda Alba di Federico Garcìa Lorca, per la regia dello stesso Strehler. Inizierà una proficua attività di costumista per alcuni anni fino al passaggio alla scenografia, che curerà sempre affiancando Strehler e, dal 1972, con la costumista e compagna di vita Franca Squarciapino. Divenuto famoso in ambito internazionale, si dedica alla scenografia del balletto grazie all’amicizia che lo legherà al danzatore Rudol’f Nuriev, per il quale cura nel 1979 il Romeo e Giulietta di Sergej Prokof’ev. Anche le sue scenografie operistiche saranno numerose, a partire dalle regie strehleriane alla Scala per proseguire in ambito europeo nei più prestigiosi teatri d’opera del mondo. Per il cinema meritò la candidatura all’Oscar alla migliore scenografia nel 1991 per il film Cyrano de Bergerac di Jean-Paul Rappeneau, lavoro che gli valse nello stesso anno il Premio Cèsar per la migliore scenografia, lo European Film Award e il Nastro d’Argento ala migliore scenografia nel 1992. Per la televisione ha curato nel 1969 le scene e i costumi dello sceneggiato televisivo I fratelli Karamàzov. Fra i suoi lavori con Strehler ricordiamo anche: Le nozze di Figaro (1973), Don Giovanni (1987), L’isola degli schiavi (1994); La tour de Nesle (regia di Roger. Planchon, 1996), Fidelio (regia di Werner Herzog, 1999), Rigoletto (regia di Gilbert Deflo, 2001). 5 Piero Tosi è un costumista nato a Firenze nel 1927, tra i maggiori del teatro lirico e di prosa e del cinema italiano, capace di ricostruire con gusto e invenzione fantastica l’atmosfera e il costume di un’epoca. Si forma all’Accademia di belle arti di Firenze sotto la guida di Ottone Rosai e inizia la sua carriera con lo spettacolo Il candeliere di Alfred de Musset, del 1947, per la regia di Franco Enriquez, lavorando in seguito 126
come assistente di Maria de Matteis ai costumi di Troilo e Cressida di William Shakespeare del 1949, regia di Luchino Visconti. Di Visconti è stato da allora prezioso collaboratore, valorizzandone il filologico realismo, la passione per il dettaglio e l’accessorio, e adeguandosi alle diverse esigenze delle sue regie. Tra i vari lavori in comune ricordiamo: per il teatro Eliseo di Roma Zio Vanja di Anton Pavlovic Cechov, del 1955; Macbeth di Giuseppe Verdi, del 1958; Dommage qu’elle soit une p… di John Ford, del 1961; tra questi ricordiamo anche i costumi opulenti e curatissimi del Senso, i costumi dei personaggi principali non sono suoi; se avessi seguito il seminario e letto il libro da me curati lo sapresti anno 1954; Le notti bianche del 1957; Rocco e i suoi fratelli del 1960; Il gattopardo del 1963; La caduta degli dei del 1969; Morte a Venezia, anno 1971; Ludwig del 1972; L’innocente del 1976. In teatro ha lavorato fra l’altro con Franco Zeffirelli (Lulù, 1950; Euridice, 1960) e Franco Enriquez (Beatrice di Tenda, 1959); nel cinema ha lavorato con Mauro Bolognini ne Il bell’Antonio, 1960; La viaccia (1961), Senilità (1962) tutti tratti da opere letterarie. In essi Tosi riuscì perfettamente nel non facile compito di raggiungere una perfetta corrispondenza fra testo e visione, adeguando scenografia e costumi all’atmosfera un poco decadente, raffinata e intellettualistica dei film. Lavorò anche con Federico Fellini in Tre passi nel delirio, episodio di Toby Dammitt del 1968, con Pier Paolo Pasolini in Medea del 1969; anche con Liliana Cavani (Il portiere di notte, 1974; La pelle, 1981), con Zeffirelli (Storia di una capinera, 1993) e con Gianni Amelio (Le chiavi di casa, 2004). Negli anni Novanta si è dedicato soprattutto alla didattica. Da alcuni anni insegna alla Scuola Nazionale di Cinema presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Nel 2008 la Csc production gli ha dedicato il documentario diretto da Francesco Costabile L’abito e il volto - Incontro con Piero Tosi, vincitore del premio del pubblico al Biografilm Festival. Dal 2009 al 2011 il Bif&st di Bari ha assegnato un Premio intitolato a Piero Tosi per il miglior costumista tra i film del festival. Nel 2013 l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, che assegna annualmente i premi Oscar, ha deciso di conferirgli il premio alla carriera. 6 In Medea di Pier Paolo Pasolini del 1969, il ruolo della Pescucci nel film fu di aiuto scenografo a Dante Ferretti. 7 In Morte a Venezia di Luchino Visconti del 1971, la Pescucci si dedicò al ruolo di assistente costumista a Piero Tosi. 8 Giacomini Stefania, Alla scoperta del set, Ed. Periodica e libraria, Roma 2004. p. 95. 9 Giuseppe Patroni Griffi (1921-2005) è stato un regista teatrale, drammaturgo, sceneggiatore, regista e scrittore italiano. Di famiglia aristocratica napoletana, figlio del nobile Felice e della baronessa Laura de Gemmis, è considerata “una delle personalità più versatili del panorama culturale italiano del secondo Novecento”. Direttore artistico del teatro Eliseo di Roma (2002-2005), alla sua memoria è stato deciso di dedicare il medesimo teatro. Allievo di Luchino Visconti, al cinema diresse attori come Charlotte Rampling, Elizabeth Taylor, Marcello Mastroianni, Florinda Bolkan,Terence Stamp e Laura Antonelli ne La divina creatura, dove la bellissima diva italiana 127
si esibì in un nudo integrale da antologia, della durata, inaudita per l’epoca, di sette minuti. Patroni Griffi ha diretto un’edizione televisiva di Tosca di Giacomo Puccini (Tosca, nei luoghi e nelle ore di Tosca, 11-12 luglio 1992, film in diretta mondovisione), con il quale vinse il premio Emmy Award; poi, il 3 giugno 2000, La traviata di Giuseppe Verdi, sempre in diretta mondovisione, da Parigi, entrambe trasmesse da Rai 1. Anche per la Traviata (La traviata a Paris) vinse il premio Emmy Award, come miglior film e migliore regia televisiva, nonché il Prix Italia 2001. Nel campo dell’opera lirica ha messo in scena Così fan tutte al Teatro alla Scala di Milano, Il trovatore all’Arena di Verona e La Bohème al Teatro Regio di Torino, nel centenario della prima rappresentazione. Su un suo testo intitolato Il mio cuore è nel sud, Bruno Maderna compose una radioballata. Nel 2001, la terza edizione del Lodi Città Film Festival gli ha dedicato la prima retrospettiva integrale dei film di regia e di sceneggiatura. Nel 2005 viene pubblicamente celebrato dalla Fondazione Premio Napoli, premio che aveva già vinto nel 1970. 10 Mauro Bolognini (1922-2001) è stato un regista italiano. Studia architettura e consegue la laurea a Firenze, prima di passare al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dove frequenta i corsi di scenografia. Diplomatosi, si orienta verso la regia e affina il mestiere facendo l’aiuto di Luigi Zampa e poi, in Francia di Yves Allègret e Jean Delannoy. Iniziò l’attività registica segnalandosi tra il 1955 e il 1958 con bozzetti di un tardo neorealismo: Gli innamorati (1955), Giovanni mariti (1957). L’incontro con Pasolini sceneggiatore gli aprì la strada a maggiori ambizioni con film come La notte brava (1959), Il bell’Antonio (1960), La giornata balorda (1960), anche se l’impegno letterario si stemperò poi troppo spesso in gusto calligrafico con Senilità (1962), Agostino (1962), Bubù (1971), Per le antiche scale (1975), L’eredità Ferramonti (1976). All’atmosfera in costume e al clima pittorico toscano del suo film La viaccia (1961) si riallacciò nel 1970 con Metello, dove la struttura storico-sociale del romanzo di Pratolini gli consentì un’evocazione equilibrata e solida: la sua migliore. Tra gli altri suoi film si ricordano: Imputazione di omicidio per uno studente (1972), Libera,amore mio! (1973), pellicola subito ritirata per problemi politici, Fatti di gente perbene (1974), La storia vera della signora delle camelie (1981), La venexiana (1986), Mosca addio (1987) e La villa del venerdì (1991). Fin dai primi anni ‘70 Bolognini si è dedicato anche a varie regie liriche, fra le quali Norma di Bellini, La fanciulla del West di Puccini, Aida (1978), Pollicino (1995). 11 Luchino Visconti (1906-1976) è stato un regista e sceneggiatore italiano. Figlio del duca Giuseppe Visconti di Mondrone e di Carla Erba, proprietaria della più grande casa farmaceutica italiana. Presta servizio militare come sottoufficiale di cavalleria a Pinerolo e vive gli anni della sua gioventù nell’agio di una delle più importanti famiglie d’Europa. Frequenta il liceo classico Berchet di Milano, dove viene bocciato al ginnasio, passa poi al Liceo classico Dante Alighieri diretto dalla famiglia Pollini. A soli 26 anni, Luchino guiderà una scuderia di cavalli di sua proprietà raggiungendo ottimi risultati tra i quali si ricorderà la vittoria nel Gran Premio di Milano San Siro con Sanzio. Fin da ragazzo studia violoncello ed è influenzato dal mondo della lirica 128
e del melodramma: il padre è infatti uno dei finanziatori del Teatro alla Scala e il salotto di casa Visconti è frequentato, tra gli altri, da Arturo Toscanini. Numerosi artisti vengono ospitati anche nella residenza cernobbiese di Villa Erba, sul Lago di Como, dove il giovane Visconti trascorre saltuariamente le vacanze estive con la madre Carla. La carriera cinematografica di Visconti inizia nel 1936 a Parigi, come assistente alla regia e ai costumi per Jean Renoir, conosciuto attraverso la stilista Coco Chanel, con la quale Luchino ha una relazione. È l’epoca del “Fronte Popolare” che porta i partiti progressisti al governo in Francia. In questo clima Visconti entra in contatto con alcuni militanti antifascisti fuoriusciti dall’Italia, con intellettuali come Jean Cocteau e attraverso lo stesso Renoir, convinto comunista, si avvicina alle posizioni della sinistra. Al fianco del grande regista francese Visconti contribuisce alla realizzazione di Les basfonds e di Une partie de campagne. Visconti in seguito riconoscerà sempre l’influenza del realismo di Renoir e del cinema francese degli anni ‘30 sulla sua opera di regista. Dopo un breve soggiorno a Hollywood, rientra in Italia nel 1939 a causa della morte della madre. Inizia, invitato di nuovo da Jean Renoir a lavorare a una coproduzione italo-francese, un adattamento cinematografico della Tosca ma, dopo l’inizio della guerra, il regista francese è costretto a lasciare il set, e viene sostituito dal tedesco Karl Koch. Dopo la scomparsa della madre si stabilisce a Roma e qui avviene l’incontro con i giovani intellettuali collaboratori della rivista «Cinema» che sarà fondamentale. Così si avvicina all’illegale Partito Costumista Italiano, al quale rimarrà legato fino alla morte. Da questo gruppo nasce una nuova idea di cinema che, abbandonando le melense commedie del cinema dei “telefoni bianchi” ambientate in ville lussuose, raccontasse realisticamente la vita e i drammi quotidiani della gente. Su queste basi, insieme a Pietro Ingrao, Mario Alicata e Giuseppe De Santis, nel 1942 Visconti mette in cantiere il suo primo film: Ossessione; i protagonisti sono Clara Calamai, Massimo Girotti, Juan de Landa, Elio Marcuzzo. La scelta di girare il film nelle città di Ancona e Ferrara era controcorrente per l’epoca e dà al film un tono di realtà quotidiana che sorprese allora e continua a sorprendere. Con Ossessione Visconti dà inizio al genere cinematografico del Neorealismo. È proprio il montatore del film, Mario Serandrei, che visionando la pellicola girata darà per primo al film la definizione di ‘neorealista’, ufficializzando così la nascita di uno stile espressivo che avrà grande fortuna negli anni seguenti. Il film ha una distribuzione discontinua e tormentata in un’Italia sconvolta dalla guerra. Apertamente omosessuale in un’epoca che ancora considerava l’omosessualità una perversione, Visconti ebbe diverse relazioni che all’epoca fecero scandalo. Negli anni Trenta ha una storia con il fotografo Horst P. Horst, relazione che per anni terrà nascosta, anche temendo reazioni da parte del regime fascista (negli anni ‘40-50 avrà un travagliato rapporto con Franco Zeffirelli, e nel 1964 Visconti conosce Helmut Berger). Un secondo progetto, la trasposizione de L’amante di Gramigna di Giovanni Verga, non va in porto a causa della censura posta dal ministro fascista Alessandro Pavolini. Dopo l’armistizio dell’otto settembre, Visconti collabora con la Resistenza. Catturato nell’aprile del ‘44 e imprigionato a Roma per alcuni giorni dalla a Banda Koch, durante l’occupazione te129
desca Visconti si salva dalla fucilazione grazie all’intervento dell’attrice Maria Denis, con la quale ha una relazione e che intercederà per lui presso la polizia fascista. La Denis racconterà poi quest’esperienza nel suo libro di memorie, Il Gioco della verità. Pietro Koch il capo della formazione di cui il regista era stato prigioniero, fu fucilato presso il Forte Bravetta a Roma il 5 giugno 1945; la testimonianza del regista ebbe forte peso al processo da cui uscì la condanna a morte per il noto fascista. Vista la fama del personaggio, le autorità ritennero opportuno documentare l’esecuzione con una ripresa filmata che venne realizzata dallo stesso Luchino Visconti. Alla fine del conflitto Visconti collabora alla realizzazione del documentario Giorni di gloria, un film di regia collettiva dedicato alla Resistenza. Nello stesso tempo si dedica all’allestimento di drammi in prosa con assolute prime rappresentazioni (rimase leggendaria la compagnia formata con Paolo Stoppa e Rina Morelli) e, negli anni cinquanta, anche alla regia di melodrammi lirici, avendo l’opportunità di dirigere Maria Callas, nel 1955, con La Sonnambula e La Traviata. Nel 1948 torna dietro la macchina da presa realizzando un film polemico e crudo che denuncia apertamente le condizioni sociali delle classi più povere, La terra trema, adattamento dal romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga, di stampo quasi documentaristico. È uno dei pochi film italiani interamente parlati in dialetto. Nel 1950 vi fu una seconda edizione del film doppiata in lingua italiana. Bellissima del 1951, tratto da un soggetto di Cesare Zavattini, con Anna Magnani e Walter Chiari, analizza con spietatezza il ‘dietro le quinte’ del mondo cinematografico. Siamo donne del 1953, sempre tratto da un soggetto di Zavattini, mostra un episodio della vita privata di quattro attrici celebri (Anna Magnani, Alida Valli, Ingrid Bergman e Isa Miranda). Nel 1954 realizza il suo primo film a colori, Senso, ispirato a un racconto di Camillo Boito, con Alida Valli e Farley Granger. Questo film segna una svolta nell’arte di Visconti; qualcuno lo definirà impropriamente “un tradimento del neorealismo”: la cura del dettaglio scenografico è estrema. Nel 1956 è tra gli intellettuali comunisti che manifestano contro l’invasione sovietica d’Ungheria, ma non lascia il partito. Le notti bianche del 1957, ispirato al romanzo di Dostoevskij, interpretato da Marcello Mastroianni, Maria Schell e Jean Marais, è un film in bianco e nero dall’atmosfera plumbea e nebbiosa. Con esso vince il Leone d’argento a Venezia. Rocco e i suoi fratelli, del 1960 è narrato con i toni della tragedia greca; il film provoca grandi polemiche a causa di alcune scene crude e violente oltreché per le posizioni politiche del regista. Vicino al Partito comunista fin dai tempi della Resistenza, Visconti è ormai soprannominato ‘il Conte rosso’. Il film vince comunque il Gran Premio della Giuria a Venezia. L’anno seguente, insieme a Vittorio De Sica, Federico Fellini e Mario Monicelli realizza il film a episodi Boccaccio ‘70, l’episodio di Visconti s’intitola Il lavoro. Nel 1962 egli mette d’accordo critica e pubblico con Il Gattopardo vincitore della Palma d’oro. Riscuote grande successo anche in Europa, mentre alla prima uscita negli Stati Uniti, nonostante la presenza di Lancaster, il film ha uno scarso riscontro al botteghino. Nel 1965 esce il film Vaghe stelle dell’Orsa, ispirata nel titolo a Leopardi, con richiami alla mitologia, ai tragici greci e a taluni percorsi culturali del novecento. Nel 1966 Visconti gira La strega bruciata 130
viva, un episodio del film collettivo Le streghe. Del 1967 è Lo straniero, ispirato al libro di Albert Camus, con Marcello Mastroianni. Durante le riprese di Vaghe stelle dell’Orsa (1964) gli viene presentato il giovane Helmut Berger, che diverrà negli anni uno degli ‘attori-simbolo’ del suo cinema, come già Delon o Claudia Cardinale. Con Helmut Berger Visconti vive anche un’intensa relazione amorosa che, tra gli alti e bassi dovuti al movimentato stile di vita dell’attore austriaco, prosegue fino alla morte del regista. Alla fine degli anni sessanta Visconti, ispirandosi al dibattito storiografico postnazista, realizza La caduta degli Dei (1969). Il film costituisce il primo tassello di quella che sarà poi definita la ‘trilogia tedesca’. Gli altri due film saranno Morte a Venezia del (1971) e Ludwig del 1972. Morte a Venezia è tratto dal lavoro omonimo di Thomas Mann, con la collaborazione del costumista Piero Tosi e la sceneggiatura di Nicola Bdalucco e di lui stesso. Ludwig invece è ancora con Helmut Berger nel ruolo principale, uno dei film più lunghi della storia del cinema italiano (dura oltre 3 ore e 40 minuti nella sua versione integrale). La ‘trilogia’ sarebbe potuta diventare ‘tetralogia’ con La montagna incantata, un altro lavoro di Mann, alla cui trasposizione cinematografica Visconti è interessato. Ma il 27 luglio 1972, quando sono ormai terminate le riprese del Ludwig ma non ancora iniziato il montaggio, il regista viene colto da un ictus cerebrale che lo lascia paralizzato nella parte sinistra del corpo. Il montaggio di Ludwig viene terminato a Cernobbio. Malgrado le sue condizioni di salute ritorna a lavorare, curando nel 1973 un celebre allestimento della Manon Lescaut per il Festival dei Due Mondi di Spoleto diretto da Romolo Valli e, nonostante le grandi difficoltà, riesce a girare due ultimi film, Gruppo di famiglia in un interno (1974), autobiografico e di nuovo interpretato da Burt Lancaster e Helmut Berger, e il crepuscolare L’innocente (1976), tratto dal romanzo omonimo di Gabriele d’Annunzio. Luchino Visconti muore nella primavera del 1976, colto da una forma grave di trombosi poco dopo aver visionato, insieme ai suoi più stretti collaboratori, il primo montaggio del film a cui stava ancora lavorando. L’innocente verrà presentato al pubblico in quella veste, a parte alcune modifiche apportate dalla co-sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico. 12 Luca Ronconi è un attore e regista teatrale italiano. Nasce nel 1933, si diploma al corso di recitazione dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma nel 1953. Esordisce subito dopo come attore in Tre quarti di luna di Luigi Squarzina, diretto dallo stesso Squarzina a da Vittorio Gassman, e in seguito recita con altri registi come Orazio Costa, Giorgio De Lullo e Michelangelo Antonioni. Inizia a lavorare come regista nel 1963 con la compagnia di Corrado Pani e Gianmaria Volontè, e negli anni successivi si fa notare come esponente dell’avanguardia teatrale, fino ad arrivare alla fama nel 1969 con l’Orlando furioso di Ariosto, nella versione di Edoardo Sanguineti. Lo spettacolo gli regalerà fama tra i confini nazionali e all’estero, grazie ad una tournée a New York, e nel 1974 dirige una versione cinematografica dello stesso dramma. Nel corso degli anni collabora con diverse istituzioni teatrali, tra cui la Biennale di Venezia, di cui è direttore della Sezione Teatro dal 1975 al 1977. Nel biennio successivo fonda e dirige il Laboratorio di progettazione teatrale di Prato. Sono gli anni di 131
spettacoli memorabili, tra cui Orestea di Eschilo 1972, Utopia da Aristofane 1976, Baccanti di Euripide 1977, La torre di von Hofmannsthal 1978. Tra gli spettacoli da segnalare negli anni Ottanta, Ignorabimus di Holz 1986, Tre sorelle di Cechov 1989. In seguito dirige il Teatro Stabile di Torino dove realizza, tra l’altro, un imponente allestimento (con oltre sessanta attori) de Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus, al Lingotto (1991). Nel 1994 dirige a Salisburgo I giganti della montagna di Pirandello. Diventa poi direttore artistico del Teatro di Roma, dove nel 1996 dirige Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, e l’anno successivo mette in scena uno dei pochi drammi inediti della sua carriera, il Davila Roa di Alessandro Baricco, che riceve un’accoglienza negativa e I fratelli Karamazov di Dostoevskij 1998. Nel 1999 passa al Piccolo Teatro di Milano, dove affianca il direttore Sergio Escobar nel ruolo di direttore artistico. Qui debutta con: La vita è sogno di Pedro Calderòn de la Barca e Il sogno di August Strindberg. Al Piccolo, nel 2002 dirige un originale spettacolo, Infinities, tratto da un testo scientifico del cosmologo John David Barrow. Ha diretto anche le versioni per la televisione di molti suoi spettacoli. Come regista lirico ha curato l’allestimento di moltissime opere, soprattutto classici italiani (Monteverdi, Bellini, Rossini - Ronconi ha partecipato più volte al Rossini Opera Festival di Pesaro - Verdi e Puccini) . Nel 2006 realizza cinque spettacoli collegati tra di loro per i XX Giochi olimpici invernali di Torino. Per tutti questi (denominati Progetto Domani), egli vince un Premio Ubu Speciale. Ha ricevuto lauree honoris causa dalle università di Bologna (1999), Perugia (2003), Urbino (2006, in occasione dei festeggiamenti dei 500 anni dell’Università) e dall’Università IUAV di Venezia (2012). 13 Liliana Cavani (1933) è una regista e sceneggiatrice italiana. Figlia di un architetto mantovano, fu la madre a farla appassionare alla settima arte accompagnandola al cinema fin da bambina. Si laurea in Lettere Antiche a Bologna nel 1959, poi a Roma si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia vincendo il Ciak d’oro con il corto La battaglia. Inizia a fare documentari e inchieste di stampo sociale e politico per la RAI: La storia del Terzo Reich, La donna nella resistenza, La casa in Italia e altre. Nel 1966 con Francesco d’Assisi, dove il santo viene interpretato da Lou Castel, realizza il suo primo film che è anche il primo prodotto dalla RAI. Nel 1968 firma il nuovo film Galileo (in concorso al Festival di Venezia) con il quale mette a fuoco il tema del conflitto tra scienza e religione. Nel 1969 gira I cannibali, rivisitazione in chiave moderna dell’Antigone di Sofocle, che esprime con un linguaggio particolare il conflitto tra pietà e legge radicato nel contesto sociale e politico di quegli anni. Nel 1971 Cavani firma L’ospite, che racconta la storia di una donna ricoverata da anni in un manicomio-lager, la quale tenta invano di reinserirsi nella società dei sani. L’anno seguente la Cavani si appassiona ad un testo classico della letteratura tibetana, Milarepa, mistico del X secolo. Nel 1973 con Il portiere di notte si concentra sul mistero del rapporto tra vittima e carnefice. Nel 1977 la regista termina Al di là del bene e del male. Nel 1981 firma la regia de La pelle, con un cast di tutto rispetto in cui appaiono Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale. Con Oltre la porta, del 1982, la Cavani si avvale solo di attori e attrici europee; mentre le ambigue perversioni sessuali in Interno berlinese non conquistano il favore della critica e nemmeno Francesco ot132
tiene il consenso sperato. Con il film Il gioco di Ripley (2002), film con John Malkovich, la regista torna ad avere il successo internazionale. Nel 2004 gira la fiction televisiva, De Gasperi, l’uomo della speranza, con Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco, dedicata al celebre statista e trasmessa su Rai Uno l’anno seguente. Nel 2008 è la regista della fiction Einstein. Nel 2012 ha ricevuto il Premio Federico Fellini 8 1/2 per l’eccellenza artistica al Bif&st di Bari; nello stesso anno ha ricevuto inoltre il David Speciale alla Carriera. 14 Gianni Puccini (1914-1968) è stato un regista e sceneggiatore italiano. Figlio dello scrittore Mario e fratello di Massimo Milda, anche lui regista, Gianni Puccini fu redattore e nel 1943 direttore della rivista «Cinema», sceneggiatore di Ossessione (1943) di Visconti e animatore di una cultura di opposizione; nel dopoguerra collaborò ai film di Giuseppe De Santis. Esordì nella regia con il gustoso Parola di ladro (1957) in coppia con Nanny Loy, con il quale diresse anche Il marito (1958). In seguito si confermò garbato e originale con L’impiegato (1959) e affrontò la prova più impegnativa con I sette fratelli Cervi (1968). 15 Il Nastro d’argento è un premio cinematografico assegnato dal 1946 dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici italiani (SNGCI). È il più antico premio cinematografico d’Europa e il secondo del mondo (preceduto solo dall’Academy Award). Il sindacato dei giornalisti cinematografici fu fondato nel medesimo anno da un gruppo di giornalisti di cinema, alcuni dei quali divennero in seguito noti registi (Steno ed Anton Giulio Majano) e grandi autori (Michelangelo Antonioni ed Antonio Pietrangeli). Il primo regolamento motivava l’istituzione del Nastro d’argento per “promuovere il continuo miglioramento artistico, tecnico e industriale della cinematografia italiana e rendere omaggio alle sue rilevanti acquisizioni”. Dalla prima edizione fino al 1956 i premi sono stati conferiti ai film presentati nel corso dell’anno commerciale, mentre e partire dal 1957 sono stati attribuiti alle pellicole uscite nell’anno solare. In epoca recente, similarmente al meccanismo di aggiudicazione degli Oscar, i vincitori emergono dall’esito di una votazione per referendum notarile dei giornalisti cinematografici soci del sindacato, sulla base di cinquine di candidati individuati da una commissione composta sempre di associati, redattori delle principali testate della carta stampata e dell’emittenza radiotelevisiva pubblica e privata. È considerato il più affidabile e prestigioso fra i premi italiani dedicati al cinema, insieme al David di Donatello. Dall’edizione 2010 è stata creata una nuova categoria dedicata al film commedia, con l’intento di valorizzare un genere “che ha reso grande il cinema italiano anche all’estero”. 16 Giacomini 2004, cit., p. 98. 17 http: //www.vogue.it /encyclo /cinema/p /gabriella pescucci. 18 Lezione tenuta alla Sapienza di Roma giorno 25 Marzo 2013. 19 Il David di Donatello è un premio cinematografico italiano, assegnato dall’Ente David di Donatello dell’ Accademia del Cinema Italiano in diverse categorie e può essere considerato come l’equivalente per il cinema italiano del premio Oscar. Il premio prende il nome dalla celebre statua omonima, una cui riproduzione viene asse133
gnata ai vincitori durante la cerimonia di premiazione. Il David è per il cinema ciò che il Premio Regia Televisiva è per la tv, il Premio UBU è per il teatro e il Festival di Sanremo è per la musica. La storia del David di Donatello iniziò verso la metà degli anni cinquanta, con la fondazione dell’Open Gate Club di Roma. Inizialmente come simbolo venne scelta una porta che si apriva, ad indicare la fine dei tempi bui di guerra ed il ritorno ad una rinnovata apertura agli scambi culturali internazionali. In un periodo che vedeva fiorire il cinema, nel 1953 vede la luce, all’interno del club romano, il Comitato per l’Arte e la Cultura costituito presso l’Open Gate, al quale si aggiunse un anno dopo, nel 1954, il Circolo Internazionale del Cinema, che cambiò nome, nel 1951, in Club Internazionale del Cinema. Sotto la guida di Italo Gemini, esercente cinematografico e presidente dell’AGIS, i due circoli cinefili, presieduti rispettivamente da Gino Sotis e da Lidio Bozzini, diedero vita ai David di Donatello, destinati a premiare le migliori produzioni cinematografiche italiane e straniere, secondo criteri simili a quelli dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences statunitense. La prima cerimonia di premiazione ebbe luogo l’anno seguente, il 1956, al cinema Fiamma di Roma. Dalla seconda edizione le premiazioni si svolsero al teatro greco-romano di Taormina con alcune eccezioni: a Roma alle Terme di Caracalla (1971), a Firenze al Piazzale Michelangelo (1978), a Roma al Teatro dell’Opera (1979). Nel 1981 la premiazione si è svolta in due tempi e in due sedi diverse: a Roma al Teatro dell’Opera e a Firenze a Palazzo Vecchio (limitatamente al David europeo e al David “Luchino Visconti”). Dal 1982 la cerimonia si svolge a Roma. Nel 2006, per festeggiare i 50 anni del premio furono assegnati 8 premi speciali, i David del Cinquantenario, i quali andarono ai più prestigiosi rappresentanti delle principali categorie della storia del cinema italiano del periodo: per i costumisti a Piero Tosi, per i direttori della fotografia a Giuseppe Rotunno, per i musicisti a Ennio Morricone, per i produttori a Dino De Laurentiis, per i registi a Francesco Rosi, per gli sceneggiatori a Suso Cecchi D’Amico, per gli scenografi a Mario Garbuglia e per gli attori a Gina Lollobrigida, che vinse il David come migliore attrice nella prima edizione del premio per l’interpretazione in La donna più bella del mondo di Robert Z. Leonard. 20 British Academy of Film and Television Arts (BAFTA) è un’organizzazione britannica che premia annualmente opere cinematografiche, televisive ed interattive. BAFTA è stata fondata nel 1947 come The British Film Academy, da David Lean, Alexander Korda, Carol Reed e Charles Laughton, e da altre figure di primo piano dell’industria cinematografica britannica. Nel 1958 si è fusa con la The Guild of Television Producers and Directors formando la The Society of Film and Television, che divenne British Academy of Film and Television Arts nel 1976. Dal 1976 la fondazione ha esteso il suo campo di giudizio alle opere televisive e a quelle multimediali. BAFTA è un’organizzazione indipendente il cui scopo è sostenere, sviluppare e promuovere le forme d’arte dell’immagine in movimento, individuando e premiando l’eccellenza. BAFTA è supportato da circa 6000 persone provenienti dal mondo del cinema, della televisione e delle industrie di videogiochi. La sede principale è a Piccadilly a Londra, ma ha anche filiali in Scozia (BAFTA Scotland), Galles 134
(BAFTA Cymru), New York City (BAFTA East Coast) e Los Angeles (BAFTA/LA).Il premio raffigura una maschera teatrale creata dalla scultore americano Mitzi Cunliffe, commissionata dalla Guild of Television Producers nel 1955. La consegna dei BAFTA anticipa di circa 15 giorni il più prestigioso avvenimento degli Academy Awards, la notte degli Oscar, che si tiene a fine febbraio a Los Angeles. Il BAFTA è considerato come equivalente britannico degli Oscar e uno dei più prestigiosi premi del cinema al mondo (dopo gli stessi Oscar e i Golden Globe). Il premio BAFTA che si occupa della valutazione delle opere cinematografiche è conosciuto come British Academy Film Awards. La cerimonia di premiazione ha sempre avuto luogo nel mese di aprile o maggio, ma dal 2002 essa è stata anticipata al mese di febbraio, al fine di precedere gli Oscar. I premi sono per lo più aperti a tutte le nazionalità, escludendo le categorie “Miglior film britannico” e “Miglior emergente”. Dal 2008 la cerimonia di premiazione ha luogo alla Royal Opera House. 21 Giacomini 2004. Cit., p. 98. 22 Pierre-Yves Gayraud è un costumista francese che inizia a lavorare nel mondo del cinema già dal 1990. Tra le sue opere più importanti ricordiamo: del 1991 Höllenglut;1992 Indochine; 2006 Profumo-Storia di un assassino, film per il quale riceve il premio nella categoria migliori costumi; 2011 I tre moschettieri (The Three Musketeers);2012 Cloud Atlas. 23 Il premio César è un riconoscimento cinematografico assegnato annualmente dal 1976 dall’Académie des arts et techniques du cinéma ai migliori film e alle principali figure professionali del cinema francese. I premi sono assegnati alla fine del primo trimestre dell’anno, attraverso il voto dei membri dell’Académie ai film usciti nelle sale cinematografiche francesi fra il 1º gennaio e il 31 dicembre dell’anno precedente, durante la Cérémonie des César presieduta da un’importante personalità del mondo del cinema, che si svolge in uno dei principali teatri parigini (dal 2002 il Thèatre du Chàtelet) e che fin dalla prima edizione ha avuto la diretta televisiva. 24 Giacomini 2004, cit., p. 96. 25 http://ilcinecurioso2.blogspot.it/2013/01/leta-dellinnocenza-age-of-innocenceusa.html. 26 Giacomini 2004, cit., p. 97. 27 Gli IOMA nascono nel 2003 sotto la direzione di Pierre Hombrebueno. La sigla sta per “Italian On-line Movie Awards” ed è un premio cinematografico assegnato ai migliori film della stagione, dagli appassionati cinefili che frequentano la rete internet. La giornata conclusiva del premio, quando i vincitori sono annunciati, è di solito nei primi dieci giorni di maggio è viene trasmesso alla radio. Pur essendo nati relativamente da poco, gli IOMA godono già di un’alta visibilità presso i principali forum italiani dedicati al cinema. I punti di forza degli IOMA, che lo rendono un Premio altamente rispettabile e importante, sono il suo legame indissolubile con la rete internet, l’attenzione nei confronti della libertà d’opinione dei singoli giurati, e naturalmente, l’amore per il cinema. 28 http://books.google.it/books?id=I_F3QZdv7k4C&pg=PT116&lpg=PT116&dq= Stile+di+gabriella+pescucci&source. 135
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Capitolo Quarto: Metodo e proposta progettuale. Il progetto di tesi è frutto di un interesse particolare nei confronti della costumista Gabriella Pescucci nel film e suo premio Oscar L’età dell’Innocenza. La mia fase lavorativa è iniziata prendendo in esame una rassegna delle pellicole nelle quali lei ha lavorato come costumista tra i quali ho visionato film come per esempio: I Miserabili, La Fabbrica Di Cioccolato, Le Avventure Del Barone Di Munchausen, La Donna della mia vita, I fratelli grimm e l’incantevole strega e tanti altri, cercando di capire il suo metodo di lavoro; poi, nello specifico,mi sono soffermata sull’analisi del film da me scelto. Sapevo fin da subito di dovermi indirizzare verso la realizzazione di un abito maschile (questo l’obiettivo progettuale concordato con il relatore) e così ho deciso di riproporre un abito del protagonista Newland Archer, tra i vari che egli indossa. La scelta è caduta su quello che egli indossa nel giorno della gara d’arco (Illustrazione 1). Si tratta di un completo composto da giacca monopetto, con panciotto a doppio petto, camicia e pantaloni. Il completo sarebbe stato corredato di tutti gli altri suoi accessori: il cappello, le ghette, il cravattino, le scarpe, l’orologio da tasca. Altro punto importante è stato la scelta di una sartoria che mi avrebbe aiutato nella complessa realizzazione dell’abito; infine abbiamo concordato di collaborare con la Sartoria teatrale Pipi di Palermo.
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Ill.1
Ho iniziato il mio primo giorno in sartoria esponendo innanzitutto il mio lavoro, parlando del progetto che volevo intraprendere e quindi dellâ&#x20AC;&#x2122;abito che volevo realizzare. Dopo aver scelto un modello che potesse in un certo senso rientrare nei canoni attitudinali del personaggio filmico, gli ho preso le relative misure: torace, vita, larghezza spalle, e cosĂŹ via tutte le altre misure. (Illustrazioni 2, a-b-c).
Tav. 2a 140
Ill.2b
Ill. 2c
È iniziato così il vero lavoro all’interno della sartoria, alle prese con il suo metodo sartoriale. Partendo da esempi conservati nell’archivio storico dell’azienda, confrontandoli con cartamodelli edito sul manuale di sartoria maschile dei primi del novecento1, abbiamo dedotto i cartamodelli, modificandoli secondo le esigenze di tesi (Illustrazione 3, a-b). 141
Ill. 3a
Ill. 3b
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IIII.1. La progettazione dell’abito. Dopo aver creato il cartamodello dell’abito (giacca, pantalone e panciotto), siamo passati alla ricerca dei tessuti da utilizzare, soffermandoci nello specifico sul lino (Illustrazione 4), cercando di riprendere la tonalità di colore più prossima a quello che la Pescucci ha utilizzato nella scena, ma allo stesso tempo mi sono volutamente staccare dal colore originario del panciotto per poter dare alla mise una nota di colore diversa e più personale.
Ill. 4
Dopo aver comprato il lino, mi sono procurata tutti gli altri tessuti ed elementi vari: diversi tipi di tele, di fodere, cordelle, spalline ecc …, insomma: tutti i materiali fondamentali per la costruzione dell’abito e, in particolar modo, della giacca. Successivamente è stata eseguita una prima prova di taglio con tessuto di scarto e su tale modello è stata creata la bozza di come sarebbe dovuta venire la giacca. Così facendo ho potuto apportare le relative modifiche al definitivo, dove necessario (Illustrazione 5, a-b). 143
Ill. 5a
Ill. 5b 144
IIII.1.1.Il pantalone. Dopo aver piazzato, questa volta nel lino, i due modelli di giacca e pantalone (Illustrazione 6), ho accantonato per un momento la prima iniziando cosĂŹ la realizzazione del pantalone, con il taglio della fodera, delle tasche, del cintino, della granatiera e della martingala (Illustrazione 7, a-b).
Ill. 6
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Ill. 7b
Dopo aver segnato i punti lenti che delimitavano i cartamodelli, ho iniziato a creare le tasche ché, dato il loro modo di aprirsi e la loro costruzione, devono essere create per prime. Prima ho creato la parte interna prendendo un triangolo di stoffa insieme alla relativa fodera (Illustrazione 8); poi un’altro triangolo di lino un po’ più grande, sempre unito alla sua fodera, per la parte della tasca che crea la svolta, ovvero l’apertura (Illustrazione 9). Con quest’ ultimo pezzo unisco il triangolo di lino con il lato del pantalone,in modo da ottenere la sagomatura della tasca (Illustrazione 10). Riprendo poi il pezzo di tessuto fatto all’inizio e lo unisco al secondo solo tramite la fodera (Illustrazione 11), così ottenute avrò le tasche.
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Ill. 8
Ill. 9
Ill. 10
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Ill. 11
Poi si imbastisce per tutto il perimetro del pantalone la fodera(che si fermerà prima del ginocchio). Il passaggio successivo sarà creare il cintino che verrà messo solo sul davanti del pantalone è sarà sia di lino,che di una tela rigida chiamata tarlatana che servirà per renderlo più rigido,(Tavola 12, a-b). Dopo aver posizionato il cintino posso chiudere i fianchi del pantalone.
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Ill. 12b
L’apertura del pantalone è stata trattata “a granatiera”, con bottoni entro asole. Il perimetro del cintino è stato lavorato con una striscia di tessuto all’interno (Tavola 13): si è proceduto, infine, a chiudere il cavallo, definendo così anche l’orlo del pantalone e mettendo nel dietro la martingala.
Ill. 13 149
IIII.1.2 Il panciotto Per la realizzazione del panciotto ho tagliato innanzitutto il modello del davanti con la silesia (tessuto che si usa solitamente per infustire gli abiti) e poi col lino (Illustrazioni 14, a-b).
Ill. 14a
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Quindi il collo, prima nel lino e poi in un tessuto di rinforzo un pò piÚ rigido detto pelo cammello. (Illustrazione 15).
Ill. 15
Allo stesso tempo ho tagliato anche il davanti della fodera, da servire per lâ&#x20AC;&#x2122;interno del pancitto; quindi il dietro, che diversamente dal davanti deve essere rinforzato con un altra fodera (Illustrazioni 16, a-b). Infine, ho infustito il davanti di lino con il davanti di silesia, chiusa la relativa pinces, chiudendo anche le pinces del dietro (Illustrazioni 17, a-b).
Ill. 16a 151
Ill. 16b
Ill. 17a
Ill. 17b 152
Prima di procedere oltre mi sono dedicata ai taschini, creando una prima striscia rettangolare di tessuto di lino unito alla fodera, formando anche in questo caso la parte della tasca che sarĂ visibile aperta; creando quindi unâ&#x20AC;&#x2122;altra striscia di tessuto rettangolare che serva invece la parte della pattina esterna del taschino (Illustrazione 18). Posizionati i pezzi, sono stati passati a macchina creando un taglio dove precedentemente sĂŹera fatto il segnale della tasca, ottenendone il taschino finale (Illustrazione 19, a-b).
Ill.18
Ill. 19a 153
Ill. 19b
La fodera del davanti è stata cucita al giromanica; giuntati il fianco davanti col fianco dietro, ho sistemato in tal modo anche l’orlo (Illustrazione 20). Il colletto del gilet è stato unito al pelo cammello tramite alcuni punti detti a “lisca di pesce” cercando di dargli una curvatura (Illustrazione 21); il tutto è stato passato a macchina lungo lo scollo (Illustrazione 22).
Ill. 20 154
Ill. 21
Ill. 22
Sottocollo e sopracollo, uniti a macchina, sono stati rigirati, modellati col ferro da stiro fino ad ottenere il collo ultimo (Illustrazioni 23, a-b). Completato il collo, si è concluso il lavoro col montare la paramuntura (Illustrazione 24) e la martingala del panciotto. 155
Ill. 23a
Ill. 23b
Ill. 24 156
IIII.1.3 La giacca Dopo aver tagliato il cartamodello nel lino, ho provveduto anche al taglio della silesia e della fodera con la quale andrò a rivestire l’interno della giacca (Illustrazione 25).
Tav. 25
Una volta infustiti i vari pezzi di lino con la silesia (dietro, davanti, maniche) (Illustrazioni 26, a-b-c), ho provveduto a chiudere il dietro, passando a macchina metà centro dietro, perchè nell’altra metà andava creato lo spacco con il lato sinistro accavallato su quello destro (Illustrazioni 27, a-b-c).
Tav. 26 a 157
Ill. 26b
Ill. 26c
Ill. 27a 158
Ill. 27b
Ill. 27c
Chiuso il dietro, sono state chiuse anche le varie pinces sul davanti, assemblato il fianchino passandolo a macchina sia davanti che dietro (Illustrazioni 28, a-b).Messo da parte per il momento questo lavoro, ho iniziato a tagliare i vari rinforzi da mettere sul davanti. Preso il cartamodello del davanti della giacca, ho provveduto al taglio del pelo cammello con la stessa sagomatura del davanti, eccetto il fianco che devâ&#x20AC;&#x2122;essere piĂš arrotondato. A questo diverso taglio del pelo cammello è stato aggiunto un altro taglio che scende dal collo, lasciando la pinces sottostante come nel modello originale. Tagliato il tutto ho creato quat159
tro strisce di fodera (Illustrazione 29) da posizionare nei tagli precedentemente fatti in modo da far â&#x20AC;&#x153;baciareâ&#x20AC;? le aperture e passarle a macchina (Illustrazioni 30, a-b).
Ill. 28a
Ill. 28b
Ill. 29 160
Ill. 30a
Ill. 30b
Dopo aver completato i lati destro e sinistro, ho tagliato un’altra tela detta crinello, che va ulteriormente ad irrigidire il petto, ma con un ulteriore taglio sul fianco che gli conferisse maggior garbo. Il crinello è stato appuntato al pelo cammello dandogli garbo curvo attraverso la cosiddetta “mezzaluna”, antico attrezzo di legno utilizzato dai sarti per conferire una certa curvatura ai tagli. Prima di fare questo, però, è stato chiuso il taglio del crinello di fianco con una striscia di fodera . Dopo averlo modellato con la mezzaluna, il tutto è stato coperto e fermato con punti a lisca di pesce, mentre la spalla è stata ricoperta con un altro pezzo di pelo cammello, questa volta in orizzontale, anch’esso cucito con punti a lisca di pesce (llustrazioni 31, a-b-c).
161
Ill. 31a
Ill. 31b
Ill. 31c 162
Dopo aver tagliato il crinello, la parte all’attaccatura del collo è stata irrigidita con altro tessuto a rete un poco più leggero detto frisella. Ivi s’è poi dato il garbo curvo tipico del collo con ulteriori punti a lisca di pesce (Illustrazione 32). Infine sono stati uniti tutti i rinforzi sul davanti (Illustrazione 33). Sempre all’interno, dove è posizionato il pelo cammello, il crinello e la frisella, è stata posta tutt’attorno la giacca una cordella per ripulire (Illustrazione 34). Alla prova su modello ho potuto notare i vari difetti di pantalone, giacca e panciotto è li ho corretti.
Ill. 32
Ill. 33
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Ill. 34
Proseguendo con la giacca, prima di mettere la fodera ho creato le varie tasche esterne ed interne, con lo stesso metodo utilizzato per le tasche nel panciotto. Messa la paramontura (Illustrazioni 35, a-b), il colletto, le maniche (Illustrazione 36) ho cucito lâ&#x20AC;&#x2122;orlo della giacca con la fodera interna (Illustrazione 37), ultimandola.
Ill. 35a 164
Ill. 35b
Tav. 36
Tav. 37
Oltre alla giacca, al pantalone e al panciotto, è stata realizzata anche alla camicia, partendo da un esemplare già esistente, togliendovi il colletto, i polsini delle maniche e anche i bottoni sul davanti (Illustrazione 38). In alternativa è stato montato un colletto che quanto più si avvicinasse a quello del periodo, irrigidito con una tela piuttosto spessa (Illustrazione 39) e tagliandovi le classiche punte sul davanti. Realizzato lo sprono sul davanti, formato da tante piccole pieghe ad abbottonatura nascosta (Illustrazione 40, a-b), nelle maniche è stato prediletto il tipico polsino da gemelli.
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Fig.
38 Ill. 38
Ill. 39
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Fig. Ill. 40a
40a Ill. 40b
IIII.2 La progettazione degli accessori IIII.2.1 Le ghette La mise di Newland Archer si completa ora con le ghette, realizzate nello stesso tessuto del pantalone e della giacca, su di un modello antico presente in sartoria. Da quello ho ricreato la ghetta in tessuto, innanzitutto rinforzandola con una tela piuttosto rigida e foderandola poi allâ&#x20AC;&#x2122;interno (Illustrazioni 41, a-b). Le ghette sono state infine completate su di un lato con bottoni entro asole. 167
Ill. 41a
Ill. 41b
IIII.2 2 Bottoni I bottoni sono stati progettati in modo differente da quelli che si presentano nell’abito creato dalla Pescucci; se quelli appaiono essere di madreperla o d’osso, questi sono in lino. Dopo una serie di prove di vari motivi decorativi disegnati su carta (Illustrazioni 42, a-b), s’è cercato di capire l’effetto finale portandole alla misura esatta del bottone con un programma al computer. Scelto il motivo, sono state condotte varie prove direttamente sul tessuto (Illustrazioni 43, a-b), prima con un tipo di pitture 3D e poi con la classica pittura per stoffa, optando per la seconda quale definitiva. 168
Ill. 42
Ill. 42a
Ill. 43a
Ill. 43b 169
IIII.2.3 Scarpe, orologio a cipolla, cappello. Gli altri accessori sono stati ricercati a partire dalla pratica del “trovarobato”, ovvero acquistati. Le scarpe, per esempio, che nello specifico dovevano essere stile inglese, di pelle e di cuoio, sono state acquistate da un sito internet. Così come anche il cappello, per il quale, dopo aver cercato nei vari negozi specializzati, nei ,mercatini,ecc.. è stato acquistato presso la ditta Cappelleria Melegari di Milano, su internet. Tra i tanti a disposizione, è stato scelto il modello a lobbia western in paglia naturale, ovvero il più vicino al modello utilizzato da Archer nella sua estate a Newport. L’orologio da taschino, detto anche “cipolla” è stato chiesto in prestito a un collezionista per l’occasione.
IIII.2.4 Il cravattino Dopo un’accurata ricerca dei tessuti da utilizzare per l’abito, mi sono dedicata anche ad un’attenta ricerca di diversi tessuti da utilizzare per il cravattino, scegliendo alla fine un tessuto ottomano,di colore panna. Nello specifico,ho realizzando due strisce di tessuto lunghe un metro e larghe tre centimetri,le ho passate a macchina dal rovescio della stoffa,lo girato e stirato. Per il suo nodo è stato consultato un libro2 presente in sartoria Pipi, scegliendo infine il nodo detto “Northern confort”, che a nostro avviso di più si avvinava a quello indossato nel film. 170
Note al Capitolo Quarto Enciclopedia La moda maschile, ad uso del tagliatore sarto da uomo, Ed. La moda maschile, Milano 1947. 2 Davide Mosconi e Riccardo Villarosa, 188 Nodi da Collo, Ed. Idealibri Milano, 1984. 1
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Apparati
Indice delle illustrazioni Fig. 1 Fonte iconografica non individuata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 2 Louis-Lèopold Boilly, Il cantante Chenard in veste di sanculotto,. . . p. 1792, Parigi, Museo Carnavalet Fig. 3 Fonte iconografica non individuata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 4 Fonte iconografica non individuata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 5 George Bryan Brummell.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 6 Charles Pierre Baudelaire fotografato da E’tienne Carjat. . . . . . . . . . p. Fig. 7 Honoré de Balzac in un dipinto tratto da un dagherrotipo del 1842. . . p. Fig. 8 George Gordon Byron. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 9 Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia,1818, . . . . . p. dipinto a olio su tela, attualmente esposto al Hamburger Kunsthalle ad Amburgo. Fig. 10 Costume Parisien,1807,Chapeau de Paille Coupèe et Apportèe . . . . p. en facn de Casque(collezione privata) Fig. 11 Caricatura della crinolina,1857 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 12 Giovanni Boldini, Ritratto di Giuseppe Verdi col cilindro, 1886, . . p. pastello su carta preparata. Fig. 13 Charles Frederick Worth ritratto da Nadar,1895. . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 14 Giacomo Puccini fotografia di Mario Nunes Vais ,1890.. . . . . . . . . . p. Fig. 15 Aubrey Beardsley,1896. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 16 Henri de Toulouse-Lautrec. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 17 Oscar Wilde. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 18 Fonte iconografica non individuata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 19 Fonte iconografica non individuata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 20 Giacomo Balla. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 21 Coco Chanel. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 22 Robert Delaunay. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 23 Poiret, Sfilata delle modelle,1910,Parigi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 24 Salvatore Ferragamo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 25 Edith Wharton.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 26 Martin Scorsese. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 27 Gabriella Pescucci. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 28 Foto tratta dal film. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 29 Foto tratta dal film. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 30 Foto tratta dal film. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 31 Foto tratta dal film. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Fig. 32 Foto tratta dal film. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
77 77 77 77 78 78 78 78 79
79 79 80 80 80 80 81 81 81 81 82 82 82 82 83 109 109 136 136 136 136 137 137 179
Bibliografia
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