Tesi walter leonardi

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Politecnico di Torino II Facoltà di Architettura Corso di Laurea magistrale in Architettura per la Sostenibilità – Classe LM 4 Anno Accademico 2011/2012

TESI DI LAUREA 09EBHPX

CARLO SCARPA E ROBERTO CALANDRA: INTERVENTI SICILIANI TRA PROGETTO E RESTAURO RELATORI Arch. Maria Sandra Poletto

CANDIDATO Walter Leonardi (matr. 178792)

___________________________ ________________ CORRELATORE Arch. Michela Benente ___________________________



INDICE

Introduzione

4

Capitolo 1. Gli autori: profili biografici e considerazioni generali sull’opera

1.1.

Roberto Calandra: note biografiche

9

1.2.

Caratteristiche dell’architettura di Roberto Calandra

1.3.

Roberto Calandra e il dibattito architettonico e urbanistico: l’adesione ai

16

valori dell’architettura organica, la tutela dei centri storici e l’impegno nel campo della pianificazione

20

1.4.

Roberto Calandra e il restauro degli edifici storici

35

1.5.

Carlo Scarpa: note biografiche

45

1.6.

Caratteristiche dell’architettura di Carlo Scarpa

52

1.7.

Influenze e formazione

53

1.8.

Il contesto culturale e architettonico

57

1.9.

Il rapporto con l’artigianato e l’uso dei dettagli e dei materiali

58

1.10. La luce e l’acqua

60

1.11. Il disegno

62

1.12. Musei e allestimenti

64

1.13. Il rapporto con l’antico

68

Capitolo 2.

La nascita del sodalizio umano e professionale tra Carlo

Scarpa e Roberto Calandra e la mostra su Antonello Da Messina 2.1. La comune militanza nell’APAO e l’incontro tra i due architetti

71

2.2. La mostra “Antonello Da Messina e la pittura del Quattrocento in Sicilia” 73 2.3. Il velario e la luce

83

2.4. Lo spazio e il rapporto con la pittura di Antonello

85

1


Capitolo 3. Palazzo Abatellis: La Galleria Regionale di Sicilia

3.1. Palazzo Abatellis: i danni della Seconda Guerra Mondiale e i restauri della Soprintendenza

89

3.3. Il museo di Carlo Scarpa: motivazioni e vicende che hanno determinato l’intervento dell’architetto veneziano

97

3.4. Caratteristiche dell’allestimento scarpiano: materiali, tecnologie, percorsi e soluzioni espositive

101

Capitolo 4. La continuità del rapporto di Carlo Scarpa con la Sicilia e con l’amico Roberto Calandra.

4.1. La collaborazione tra Scarpa e Calandra negli anni Cinquanta

125

4.2. Il progetto per la “Rinascente” di Catania

127

4.3. I progetti siciliani degli anni Settanta

135

Capitolo 5. Il restauro di Palazzo Chiaramonte- Steri a Palermo

5.1. Inquadramento storico- urbanistico dell’edificio

138

5.2. Lo “Steri chiaramontano” e le teorie del restauro moderno

142

5.3. Il restauro dell’Università sotto la direzione di Roberto Calandra e con la consulenza di Carlo Scarpa

149

5.4. Tecnologie e materiali dell’intervento di restauro

158

5.5.

La

riconoscibilità

del

linguaggio

nell’intervento su Palazzo Steri

architettonico

di

Carlo

Scarpa 164

Capitolo 6. Il museo nazionale di Messina

6.1. Le controverse vicende burocratico-amministrative relative al progetto di Carlo Scarpa e Roberto Calandra

176 2


6.2. Soluzioni e articolazione dell’allestimento museale

182

6.3. Il linguaggio architettonico del progetto Scarpa- Calandra

195

Intervista all’ingegnere Nino Vicari

203

Roberto Calandra: regesto delle opere

217

Bibliografia

223

Fonti d’archivio

257

Sitografia

262

Elenco allegati (cd rom)

263

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro intende esaminare il rapporto di collaborazione professionale tra Carlo Scarpa e l’architetto messinese Roberto Calandra, inquadrando l’operato dei due architetti all’interno di una visione generale del contesto architettonico in cui essi si trovano ad operare. Le ricerche della tesi sono partite dallo studio dei progetti nati dal significativo sodalizio umano e professionale tra l’architetto veneziano, celebrato anche a livello internazionale come uno dei maggiori architetti italiani del XX secolo, e il collega siciliano; progressivamente è venuto in luce il profilo di quest’ultimo, che si è rivelato una figura particolarmente rappresentativa del panorama architettonico non soltanto regionale, ma nazionale, del Dopoguerra. In un contesto “provinciale” come la Sicilia, lontano dalle nuove tendenze e dai dibattiti che interessano gli architetti della penisola, Calandra si distingue per essere un professionista attento ai nuovi fermenti, colto, aggiornato sulle problematiche dell’architettura, dell’urbanistica e del restauro. Fin da giovane egli nutre interesse per movimenti e teorie: negli anni degli studi universitari presso la Scuola Superiore di Architettura di Roma si avvicina alle tendenze più recenti del Movimento Moderno e si appassiona allo studio dell’opera di Le Corbusier; durante un viaggio in America, scopre le opere di Schindler, Neutra e si innamora dell’architettura di Frank Lloyd Wright. Nel Dopoguerra partecipa al dibattito nazionale, collaborando per varie riviste, come «Metron» e «L’Architettura. Cronache e storia»; stringe relazioni personali e culturali con alcune figure di spicco della cultura e dell’architettura, in particolare con Bruno Zevi; aderisce a movimenti e associazioni, come l’APAO. Svolge inoltre un’attività progettuale poliedrica, che compendia competenze relative

a

diverse

discipline:

si

impegna

intensamente

nel

campo

dell’urbanistica, promuovendo l’INU in Sicilia, partecipando a convegni nazionali e redigendo piani urbanistici; partecipa a concorsi nazionali di progettazione, disegna edifici pubblici e privati e quartieri di edilizia economico- popolare. Al “progetto del nuovo” unisce un impegno costante nell’ambito del restauro, al quale si dedica sia sul piano operativo, attraverso alcuni significativi interventi di cui si parlerà nel seguito della tesi, che nell’esercizio dell’attività di docente 4


universitario, a cui va riconosciuto il merito di aver “fatto scuola” e di avere esercitato una grande influenza su un’intera generazione di studenti. Si è scelto, inoltre, di inquadrare l’attività di Roberto Calandra in una più ampia visione delle vicende che hanno caratterizzato il panorama architettonico nazionale, caratterizzato in quegli anni da problematiche urgenti e battaglie culturali. L’architetto messinese si trova infatti a doversi confrontare con i problemi del suo tempo, come la ricostruzione del patrimonio edilizio distrutto dalla guerra e le forti pressioni speculative che minacciano la forma e la storia delle città italiane, in particolar modo in Sicilia. Si è cercato dunque di ricollegare lo studio della figura di Calandra ai dibattiti che in questo periodo riempiono le pagine di riviste, saggi e atti di convegni, alle nuove istanze della conservazione e alle teorie del restauro che nel Dopoguerra giungono a maturazione teorica. In questa vicenda professionale articolata e densa di episodi significativi si inserisce l’incontro con Carlo Scarpa, con il quale si instaura, fin dai primi anni Cinquanta, una relazione di solida amicizia e di fertile collaborazione: è proprio Roberto Calandra, inoltre, ad invitare per primo il maestro veneziano a lavorare in Sicilia, dando inizio così al legame privilegiato tra Scarpa e questa regione d’Italia. Calandra diventa dunque, per Carlo Scarpa, un punto di riferimento costante, quasi un tramite del rapporto con l’isola. È lo stesso architetto veneziano a riconoscere al collega messinese il ruolo fondamentale nel suo percorso professionale in Sicilia: nell’omaggiare Calandra di un libro1 dedicato ad una mostra allestita a Vicenza, Carlo Scarpa scrive nella dedica: «al mio primo mecenate in terra siciliana, con affetto Carlo».2 La presente tesi ricostruisce le vicende più emblematiche del rapporto tra i due architetti; si propone, inoltre, un’analisi delle caratteristiche principali dei progetti siciliani di Carlo Scarpa, alcuni dei quali generati dalla collaborazione con Calandra, altri realizzati singolarmente dall’architetto veneziano, ma comunque

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Il libro è il catalogo della mostra personale su Scarpa allestita a Vicenza nel 1974 ed edito dall’Accademia Olimpica di Vicenza. 2 L’episodio è citato in: Antonietta Iolanda LIMA, Dentro l’architettura di Roberto Calandra, in «PER Salvare Palermo», n. 14, gennaio- aprile 2006 [pp. 12- 17], p. 12.

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riconducibili a quel fitto intreccio di legami professionali e collaborazioni che Scarpa instaura in Sicilia grazie alla “chiamata” di Roberto Calandra. Allo scopo di illustrare con rigore e accuratezza questa pagina significativa della storia dell’architettura siciliana e nazionale del Dopoguerra, si è reso necessario fare ampio ricorso alle fonti bibliografiche. Grande attenzione, anzitutto, è stata riservata allo studio dei principali periodici del tempo e degli atti di convegni nazionali e regionali, dalle cui pagine emergono informazioni preziose sui dibattiti che interessano il mondo dell’architettura negli anni in cui Calandra e Scarpa si trovano ad operare. Sulla figura di Roberto Calandra esiste una bibliografia esigua e lacunosa: è stata necessaria, dunque, una indagine approfondita su riviste, libri e testi specialistici di vario tipo, al fine di rinvenire articoli, interviste e citazioni preziose; fondamentale, inoltre, la ricerca dei contributi scritti direttamente dallo stesso Calandra, dai quali emerge la posizione di quest’ultimo rispetto alle grandi questioni del suo tempo. Relativamente alla figura di Carlo Scarpa, si è fatto riferimento all’ampia bibliografia esistente sull’architetto veneziano, così da inquadrare gli interventi siciliani nell’ambito di una carriera artistica e architettonica unica nel panorama architettonico italiano. Alcuni dei progetti della “fase siciliana” della carriera di Scarpa sono stati sovente oggetto di analisi da parte di critici e studiosi, in particolare la mostra su Antonello da Messina e l’intervento su Palazzo Abatellis. Minore attenzione è stata riservata, invece, al restauro di Palazzo Steri e al Museo Nazionale di Messina, sui quali si registra un numero relativamente più limitato di monografie, testi e contributi; il progetto per “La Rinascente” di Catania, infine, è stato ampiamente trascurato dalla letteratura specialistica ed è ignorato anche dalle opere più complete che siano state scritte sull’architetto veneziano. Le ricerche finalizzate alla realizzazione del presente lavoro non si sono limitate all’ambito bibliografico, ma si sono svolte anche presso le sedi di importanti fondi archivistici, dove sono conservati i disegni e il materiale documentario relativi ai progetti di Scarpa e Calandra: fondamentali, in tal senso, sono state le visite presso il Centro Carlo Scarpa dell’Archivio di Stato di Treviso, dove sono conservati i disegni dell’architetto veneziano per “La Rinascente” di Catania, di 6


cui si propongono, al capitolo 4, le riproduzioni fotografiche, e presso la sede del Fondo Carlo Scarpa della Fondazione MAXXI a Roma,3 che ha concesso una parte consistente dei disegni riportati nei capitoli seguenti e dei documenti (lettere, telegrammi) citati a testimonianza di specifici fatti ed episodi. Particolarmente significativa, inoltre, la visita presso il Fondo Carlo Scarpa della Galleria Regionale Interdisciplinare della Sicilia (Palazzo Abatellis), dove è stato possibile visionare i disegni originali che Carlo Scarpa ha realizzato in occasione dell’allestimento del museo.

1

2

1. Centro Carlo Scarpa, Archivio di Stato di Treviso; 2. Museo Hendrik Christian Andersen in via Mancini a Roma, sede fondo Carlo Scarpa della Fondazione MAXXI (foto di Walter Leonardi).

Imprescindibili, al fine di uno studio approfondito dei progetti di cui si parlerà nel seguito, sono stati i vari sopralluoghi nei siti di progetto: numerose sono state le visite, in particolare, presso Palazzo Abatellis e Palazzo Steri a Palermo, ma anche presso altri luoghi citati nel corso della tesi, allo scopo di comprendere più approfonditamente, attraverso l’osservazione diretta, i caratteri formali e architettonici delle opere oggetto di studio e di effettuare consistenti rilievi fotografici utili al fine di illustrare quanto scritto nei testi della tesi. Prezioso è stato il contributo del personale tecnico addetto alla manutenzione dei servizi espositivi scarpiani, che si è reso disponibile a fare da guida in occasione dei frequenti sopralluoghi e che ha garantito l’accesso anche a locali attualmente chiusi alla visita del pubblico; presso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, inoltre, è stato possibile, grazie alla disponibilità del

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Villa Helene, Museo Hendrik Christian Andersen, via Pasquale Stanislao Mancini, 20, Roma.

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personale sopracitato, visionare alcuni dei celebri disegni che Carlo Scarpa ha lasciato dietro i pannelli e sulle parti interne di vetrine e supporti. Si è reso necessario, infine, integrare quanto è stato possibile apprendere dal materiale bibliografico e documentario attraverso incontri personali con alcuni esperti e professionisti in grado di fornire informazioni importanti ai fini di un approfondimento delle tematiche oggetto di studio: il contributo più significativo alla realizzazione di questo lavoro, in tal senso, è stato offerto dall’ingegnere Nino Vicari, che ha concesso una lunga e preziosissima intervista, attraverso la quale emergono aneddoti ed episodi in grado di mettere in luce aspetti poco conosciuti e talvolta sorprendenti dell’opera e delle personalità di Carlo Scarpa e Roberto Calandra.

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Capitolo 1 Gli autori: profili biografici e considerazioni generali sull’opera

3

3. Carlo Scarpa (il secondo da destra) e Roberto Calandra (il quarto) insieme a Nino Vicari, Camillo Filangeri, Vito Catalano e Giuseppe La Grutta durante i lavori di restauro per Palazzo Steri a Palermo (foto di F. Lombardo, 1973); in: Antonietta Iolanda LIMA (a cura di), Lo Steri di Palermo nel secondo Novecento: dagli studi di Giuseppe Spatrisano al progetto di Roberto Calandra con la consulenza di Carlo Scarpa, «Storia illustrata dell’Architettura», Dario Flaccovio Editore, Palermo 2006, p. 149.

1.1. Roberto Calandra: note biografiche

Sulle vicende biografiche e professionali che hanno caratterizzato la vita e l’attività

dell’architetto

Roberto

Calandra

esistono

a

tutt’oggi

poche

pubblicazioni; oltre a interviste riportate in alcuni libri, incentrati soprattutto sulla figura del collega e amico Carlo Scarpa, ad articoli su riviste varie e a sparse citazioni in alcuni testi specialistici, un contributo fondamentale allo studio e alla ricostruzione organica della biografia e dell’opera dell’architetto siciliano è rappresentato da un numero speciale della rivista «PER Salvare Palermo» a lui

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dedicato.4 Calandra, d’altro canto, è autore di un’ampia bibliografia relativa ai temi della progettazione edilizia, del restauro e dell’urbanistica.5 Roberto Calandra nasce a Messina il 2 novembre 1915, da una famiglia di importanti

e

antiche

tradizioni

politiche

e

culturali.

Il

padre,

Enrico

(Caltanissetta, 1877- Roma, 1946) è stato architetto, storico dell’architettura e docente universitario. La madre, Dina Omodeo (Catania, 1886- Roma, 1996) era una intellettuale attiva e colta, sorella del più famoso Adolfo Amodeo, storico del Cristianesimo e del Risorgimento. Nella città natale, Roberto segue gli studi primari e parte di quelli secondari:

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Su Roberto Calandra, si veda: Il centro antico di Palermo. Idee e proposte raccolte da Rita d’Ippolito, Bianca Marcianò e Antonio Marotta, lavoro coordinato da Giuseppe Pavone, in «Quaderni dell’Istituto di Urbanistica dell’Università di Palermo», n. 1, novembre 1973, pp. 61-65; Antonietta Iolanda LIMA, Dentro l’architettura di Roberto Calandra, in «PER salvare Palermo», n. 14, gennaio/aprile 2006, pp. 12-17 (a); Antonietta Iolanda LIMA (a cura di), Lo Steri di Palermo nel secondo Novecento: dagli studi di Giuseppe Spatrisano al progetto di Roberto Calandra con la consulenza di Carlo Scarpa, «Storia illustrata dell’Architettura», Dario Flaccovio Editore, Palermo 2006 (b); Antonino MARINO, Un museo di Carlo Scarpa per Messina, Officina Edizioni, Roma 2003, p. 21- 40; Antonino MARINO, Roberto Calandra e Messina, in «PER salvare Palermo», 2006, pp. 22- 24; Camillo FILANGERi, Roberto Calandra docente, in «PER salvare Palermo», 2006, pp. 18- 20; Cesare AJROLDI, Per una storia della Facoltà di Architettura di Palermo, Officina Edizioni, Roma 2007, p. 180- 181, 189, 203- 204; Gesualdo CAMPO, Roberto Calandra architetto e maestro, in «PER salvare Palermo», 2006, pp. 8- 10; Maria GIUFFRÈ, Roberto Calandra. Novant'anni e seguenti, in «PER salvare Palermo», n. 13, settembre/dicembre 2005, p. 21; Matteo IANNELLO, Glenda SCOLARO, Palermo. Guida all’architettura del Novecento, Edizioni Salvare Palermo 2009, p. 146; Nino VICARI, Roberto Calandra urbanista, in «PER salvare Palermo», 2006, pp. 26- 28; Paola BARBERA (a cura di), Conversazione con Roberto Calandra, in «PER salvare Palermo», 2006, pp. 4- 6; Paola NICITA, Calandra: “in città si costruisce male”, in «La Repubblica», sezione Palermo, 8 gennaio 2009, p. 10. E’ doveroso ricordare anche l’esistenza di alcune video interviste: il servizio giornalistico “Restauri per duomo di Cefalù”, realizzato da Aldo Scimè e andato in onda sulle reti RAI il 09/09/1982, visionabile al link http://www.regionesicilia.rai.it/dl/sicilia/video/ContentItem-3b20f0aa-8f11-40c2-9517-e794c17881be.html (consultato il 13/06/ 2012); il documentario Palazzo Chiaramonte Steri. Intervista a Roberto Calandra, realizzato da Matteo Iannello e Diego Emanuele nel maggio 2010, visionabile presso il sito http://www.studioforward.it/?p=819 (consultato il 24/05/2012); l’intervista realizzata da Giovanni Renato Maria Nuzzo nel 2010, disponibile all’indirizzo: http://www.itineralab.it/it/video-categorie/ viewvideo/15/interviste/intervista-all-architetto-roberto-calandra.html (consultato il 15/06/2012). 5 Tra i numerosi scritti di Roberto Calandra, si ricordino: La teoria americana della “Neighborhood Unit”, in «Metron», n. 6, gennaio 1946, pp. 58- 68; Architettura e Turismo, in «La terra del sole», agosto 1947, pp. 4-7; Lo sviluppo urbano problema di fondo di Messina dal 1908 ad oggi, Edizioni dell’Ippocampo, Messina 1958; con Giuseppe CARONIA, L'attività urbanistica in Sicilia, in «Ordinamento regionale e pianificazione urbanistica: atti del 9. Convegno nazionale di urbanistica, Cagliari, 25-27 ottobre 1963», Gallizzi, Sassari 1963; Aggiunte, modifiche e restauri degli ultimi sette secoli, in La basilica cattedrale di Cefalù. Materiali per la conoscenza storica e il restauro, coordinamento generale di Vincenzo Scuderi, vol.II, Ediprint, Siracusa 1987; La “scuola” di Edoardo Caracciolo fino al P.R.G. di Palermo, in Cesare AJROLDI (a cura di), Palermo tra storia e progetto, Officina Edizioni, Palermo 1987, pp. 39- 42; Palazzo dei Normanni. Il complesso monumentale, in Palazzo dei Normanni, Novecento Editore, Palermo 1991 (a); Il Palazzo Chiaramonte o lo “Steri” di Palermo, in «Demetra. Semestrale degli Architetti di Enna», n. 1, dicembre 1991, pp. 26- 35 (b). Negli anni Cinquanta ha diretto inoltre «L’architettura in Sicilia», supplemento della Regione Siciliana a «L’architettura. Cronache e storia», rivista mensile diretta da Bruno Zevi. Sulla rivista della fondazione “Salvare Palermo”, di cui è presidente onorario, ha pubblicato: In via dell’Alloro un “nuovo” monumento architettonico del Trecento, in «PER salvare Palermo», n. 8, gennaio/aprile 2004, pp. 4-5; Un progetto per conoscere e fruire il patrimonio e i siti archeologici del territorio, in «PER salvare Palermo» n. 5, gennaio/ aprile 2003, pp.18-19.

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«Messina è stata la mia prima città. Sono nato a Messina perché mio padre nel 1914, avendo già vinto il concorso universitario a Cagliari, fu mandato a riaprire il biennio di ingegneria. Sono nato in una casetta fuori Messina: la città era ancora completamente distrutta, quasi un deserto».6 Nel 1930 la famiglia Calandra si trasferisce a Roma, poiché Enrico viene chiamato da Gustavo Giovannoni 7 e Marcello Piacentini 8 ad inaugurare l’insegnamento di Caratteri distributivi degli edifici nella Scuola Superiore di Architettura. Nella capitale Roberto frequenta il liceo Mamiani; dal 1932 frequenta gli studi universitari presso la Scuola Superiore di Architettura, dove si laurea nel 1937.9

4 4. Roberto Calandra in viaggio in Egitto, a Karnak, con l’egittologo Sergio Donadoni; in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (a), p. 15.

5 5. Roberto Calandra a Erice, nel 1990, Ivi, p. 13.

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Paola BARBERA, 2006, p. 4. Gustavo Giovannoni (Roma, 1873- ivi, 1947), architetto e ingegnere italiano, nel 1913 assume la cattedra di architettura generale nella Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri; fra il 1927 e il 1935 dirige la Scuola di Architettura di Roma ed è fra i principali promotori della prima facoltà universitaria di architettura italiana (quella di Roma), nella quale ricopre la cattedra di Rilievo e Restauro dei monumenti. Storico dell’architettura e teorico del restauro (a lui si attribuisce la teorizzazione della cosiddetta “posizione intermedia” tra le tendenze puramente conservatrici e gli atteggiamenti “stilistici” che prevedono il ripristino di un presunto stato originario), è autore di numerosi scritti, tra i quali: Vecchie città ed edilizia nuova, Torino, 1931; L’architettura del Rinascimento, Milano, 1935; Il restauro dei monumenti, Roma 1945. 8 Marcello Piacentini (Roma 1881– ivi, 1960), architetto e urbanista, è stato tra i più rappresentativi progettisti del ventennio fascista. Nominato membro dell’Accademia di Italia nel 1929 da Benito Mussolini, ricevette incarichi prestigiosi nel campo dell’edilizia e dell’urbanistica, tra i quali spiccano: la direzione generale dei lavori e il coordinamento urbanistico-architettonico della Città Universitaria di Roma (1935) e la sovrintendenza all'architettura, parchi e giardini per l'Esposizione Universale di Roma che si sarebbe dovuta tenere nel 1942 e che costituisce l'attuale comprensorio dell'EUR. 9 Numerosi sono i giovani siciliani, in questo periodo, che decidono di frequentare la Scuola romana, fondata nel 1920 con l’intento di formare l’architetto “integrale” teorizzato da Gustavo Giovannoni. Il biennio della Facoltà di Architettura, infatti, viene istituito a Palermo solo nel 1944; prima di tale anno, la formazione di chi, pur volendo studiare architettura, sceglieva di rimanere nell’isola, poteva avvenire solo presso le Scuole di Applicazione per Ingegneri e Architetti e/o presso le Scuole di Belle Arti. 7

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All’università conosce i colleghi più anziani Ludovico Quaroni, Saverio Muratori e Francesco Fariello; inizia, inoltre, una ininterrotta amicizia con un collega più giovane, Bruno Zevi.10 Nell’anno accademico 1938-39 frequenta il Dipartimento di Architettura della Columbia University di New York (N.Y.C), dove consegue il titolo di Master of Science in Architecture, dopo aver avuto la possibilità di seguire le lezioni magistrali di Talbot Hamlin, Banister Fletcher, Sir Raimodn Unwin. Negli stessi anni lavora come architetto sostituto alla progettazione esecutiva del padiglione italiano della Fiera nazionale di New York del 1939, subentrando a Bruno Fornaro, licenziato perché ebreo. 11 Durante questa esperienza, ha contatti con alcuni dei più grandi architetti europei: Walter Gropius, Sven Markelius, Alvar Aalto. Al termine degli studi universitari, visita le principali opere di architettura moderna negli Stati Uniti (Louis Henry Sullivan, Richard Neutra, Frank Lloyd Wright, Rudolf Michael Schindler, etc..). Nel 1939 Calandra torna in Italia, portandosi sottobraccio alcuni disegni esecutivi originali regalatigli da Richard Neutra e che donerà a sua volta alla Facoltà di Architettura di Roma.12 Decide, a questo punto, di intraprendere un altro viaggio, questa volta alla riscoperta del patrimonio culturale e architettonico della Sicilia occidentale, visitando, in compagnia del padre, le rovine di Segesta e Selinunte, le città di impianto medievale, le architetture arabo-normanne, i palazzi quattrocenteschi, i monumenti barocchi, le residenze nobiliari di campagna. Sempre nel 1939 vince, a Roma, il concorso per assistente ordinario della cattedra di Disegno d’architettura e d’ornato nella Facoltà di Scienze, Biennio per allievi ingegneri, e nel 1940 viene assunto a Messina, presso la Facoltà di

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Bruno Zevi (Roma, 22 gennaio 1918- Roma, 9 gennaio 2000) è stato un architetto, urbanista, storico e critico d'arte, docente universitario, saggista e politico italiano. Si laurea in architettura nel 1942 alla Graduate School of Design della Harvard University, in quel momento diretta da Walter Gropius. Nel 1944 è di nuovo in Italia, dove fonda l'Associazione per l'architettura organica (Apao) e l'anno successivo la rivista «Metron». Dal 1948 insegna Storia dell'architettura presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia e nel 1964 diviene professore ordinario alla Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza"; nel 1955 fonda la rivista mensile «L'architettura. Cronache e storia». Attivissimo nel campo della critica architettonica, è autore di numerose pubblicazioni, tra cui: Saper vedere l'architettura, Einaudi, Torino 1948, Storia dell'architettura moderna, Einaudi, Torino 1950, Il linguaggio moderno dell'architettura, Einaudi, Torino 1973. È stato segretario generale dell'Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), accademico di San Luca e vicepresidente dell'In/Arch. 11 Gesualdo CAMPO, 2006, p. 8. 12 ibidem

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Ingegneria, dove è libero il posto presso la cattedra allora tenuta dal Prof. Ing. Francesco Basile. E’ conseguentemente costretto a rinunciare ad alcuni incarichi, come l’assistentato volontario alla cattedra di Urbanistica tenuta a Roma da Plinio Marconi e alla borsa di studio presso la Scuola Archeologica Italiana di Atene. L’inizio dell’assistentato universitario coincide però con il richiamo alle armi per la campagna balcanica; divenuto capitano di artiglieria, il 10 settembre 1943, due giorni dopo l’armistizio, a Patrasso, Calandra viene consegnato dal proprio comandante ai tedeschi, accusato di prospettare ipotesi di resistenza. Viene dunque deportato prima a Varsavia e poi in Germania settentrionale. Alla fine della guerra, viene liberato dalle truppe americane, che lo trovano in condizioni di grande sofferenza. Nel settembre del 1945 riesce a rientrare in Italia e a raggiungere finalmente la famiglia a Roma, dove riprende la professione di architetto presso lo studio di Giuseppe Samonà e quella di docente a Messina in qualità di assistente del Prof. Francesco Basile. Negli stessi anni Roberto Calandra promuove, con Edoardo Caracciolo,

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la costituzione della sezione siciliana dell’Istituto

Nazionale di Urbanistica, aderisce alla Federazione delle Associazioni Italiane degli Architetti Moderni e all’Associazione per l’Architettura Organica (APAO) fondata da Bruno Zevi nel 1945. Varie sono anche le sue pubblicazioni: nel 1946, memore delle esperienze acquisite durante i viaggi negli Stati Uniti, Roberto Calandra pubblica, sulla rivista Metron, un interessante articolo sulla teoria americana della neigborhood unit (unità di vicinato).14 Sono anni in cui Messina vive un’intensa stagione architettonica, che vede in città, accanto ai professionisti siciliani, architetti come Giuseppe Samonà e Mario Ridolfi. 15 Di questo vivace clima culturale Roberto è protagonista con realizzazioni importanti, come la progettazione dell’ospedale Papardo (1966).

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Edoardo Caracciolo (Palermo, 1906- 1962), ingegnere e architetto, fu titolare della cattedra di Urbanistica a Palermo dal 1957; tra i suoi scritti principali si ricordi l’opera Tre lezioni di urbanistica. Economia, abitabilità, legislazione, Palermo 1954. Fu artefice di numerosi progetti architettonici (il Palazzo della Regione a Palermo, 1953) e urbanistici (la sistemazione della zona industriale di Termini Imerese, in provincia di Palermo, del 1947; il piano territoriale di coordinamento del Palermitano nel 1955; il piano regolatore generale di Erice nel 1958). 14 Roberto CALANDRA, 1946. 15 Mario Ridolfi (Roma, Maggio 1904- Marmore, 11 novembre 1984) si laurea alla Scuola Superiore di Architettura di Roma nel 1929. Nel dopoguerra aderisce in pieno alla corrente definita del Neorealismo

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Nel 1950 vince con l’architetto Igea Giordano (che sposerà a marzo dello stesso anno) il primo premio nel concorso di idee per l’edificio Ina a Catania, ottenendo l’incarico di progettazione esecutiva. Nel 1953 entra a far parte del comitato promotore per la realizzazione di una mostra su Antonello da Messina. Per la progettazione dell’allestimento, decide di coinvolgere Carlo Scarpa, conosciuto durante un viaggio a Venezia. Nel 1955 partecipa, insieme ad Antonio Bonafede, Gianni Pirrone e Edoardo Caracciolo, al concorso nazionale per il Palazzo della Regione Siciliana a Palermo; il team vince il 2° premio exaequo. 16 Nel 1961 fonda, con altri tre collaboratori, la Sismiconsult, il primo studio consortile in Sicilia. Prosegue, nel frattempo, la sua carriera universitaria: conseguita nel 1953 l’abilitazione per l’insegnamento dell’Urbanistica (libera docenza), nel 1962 viene chiamato dall’Università di Palermo per sostituire alla cattedra di Urbanistica

il

caro

amico

Edoardo

Caracciolo,

improvvisamente

e

prematuramente scomparso. Come docente si adopera per definire il ruolo e la responsabilità degli urbanisti nella determinazione degli assetti territoriali: «appare urgente e indifferibile - scrive Calandra nella relazione presentata all’XI convegno nazionale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, tenutosi a Palermo dal 4 al 6 novembre 1966 - che gli urbanisti italiani nel loro insieme prendano definitiva coscienza della loro funzione attuale e giungano a chiarire quale sia l’ambito delle ricerche che l’urbanistica intende condurre e quali regole scientifiche intende utilizzare».17 Nella Facoltà palermitana terrà il corso di discipline urbanistiche fino al 1968, anno in cui gli viene conferito quello di Restauro dei monumenti, che insegnerà fino al 1986, quando dovrà lasciare l’insegnamento per raggiunti limiti di età. Nel 1970 Roberto Calandra si trasferisce a Palermo con la famiglia. In questi anni partecipa attivamente alla vita culturale della città: «Avevamo fondato un circolo culturale insieme ad alcuni amici, c'erano Danilo Dolci, Leonardo

architettonico. Tra le sue opere, si ricordino Il Palazzo delle Poste di piazza Bologna (1932) e le Torri Ina (1951) in viale Etiopia a Roma. 16 Maria Luisa SCOZZOLA, L’archivio Pirrone. Disegni inediti di architettura, tesi di dottorato di ricerca, Università degli Studi di Catania, 2011, p. 162. 17 Cesare AJROLDI, 2007, p. 242.

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Sciascia, il direttore de L' Ora Vittorio Nisticò.18 Volevamo "sprovincializzare" la città […] Ed è da queste prime organizzazioni culturali che nascono poi altre iniziative dedicate alla città».19 Nel 1972 l’Università del capoluogo siciliano lo incarica del restauro e dell’adattamento a sede del Rettorato del trecentesco Palazzo Chiaramonte o Steri; per l’occasione, chiama al suo fianco Carlo Scarpa. Nel 1973- 74 Calandra torna a collaborare con l’architetto veneziano per la redazione del progetto per il nuovo Museo Regionale di Messina. Su incarico della Soprintendenza di Palermo, nel 1982 svolge, a capo di una qualificata equipe di studiosi (Camillo Filangieri, Vlado Zoric, Teresa Viscuso20 e altri) una serie di studi storico- critici e analisi filologiche sulla Basilica Cattedrale di Cefalù, che la Regione Siciliana pubblica in otto volumi nel 1987, ma alla quale non seguirà alcun incarico professionale. 21 Nel corso della sua lunga attività didattica e professionale, Roberto Calandra ha partecipato a numerosi concorsi urbanistici (Lido di Venezia, Enna, Messina, Milazzo, Vittoria, Catania) e progettato per incarico numerosi strumenti pianificatori in Sicilia, Calabria, Abruzzo; ha partecipato a un numero rilevante di concorsi di progettazione in Sicilia, Campania e Calabria, talvolta accanto ad alcuni “maestri” dell’architettura del XX secolo (Giuseppe Samonà, Luigi Piccinato, 22 Carlo Scarpa); si è inoltre occupato del restauro di numerosi monumenti (la Chiesa Madre, la Badia Vecchia e il Palazzo dei Duchi di Santo Stefano a Taormina; il Castello di Lombardia a Enna; il teatro Vittorio Emanuele a Messina; il già citato intervento sullo Steri e la Sala Montalto nel Palazzo dei

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Danilo Dolci (Sesana, 28 giugno 1924- Trappeto, 30 dicembre 1997) è stato un sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza italiano, impegnato attivamente nelle battaglie politiche e culturali della Sicilia; (Racalmuto, 8 gennaio 1921- Palermo, 20 novembre 1989) è stato tra i più importanti scrittori e intellettuali siciliani del dopoguerra; Vittorio Nisticò (Soverato, 1919- Roma, 2009) è stato per diversi anni direttore del giornale “L’Ora”, quotidiano fondato a Palermo agli inizi del XX secolo dalla famiglia Florio. 19 Paola NICITA, 2009, p. 10. 20 Su Camillo Filangeri vedi nota n. 27 p. 13; su Vladimiro Zoric, vedere nota n. 38 p. 18; Teresa Viscuso (1935- 2012) è stata professoressa di Lettere all’Università di Palermo. 21 Regione siciliana, Assessorato dei Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione; Soprintendenza per i beni artistici e storici della Sicilia occidentale, La basilica cattedrale di Cefalù. Materiali per la conoscenza storica e il restauro, coordinatore generale Vincenzo Scuderi, Ediprint, Siracusa/ Epos, Palermo, 1985-1989, 8 volumi. Sull’esperienza di Cefalù si veda anche il documentario “Restauri per duomo di Cefalù”, realizzato da Aldo Scimè e andato in onda sulle reti RAI il 09/09/1982, visionabile all’indirizzo: http://www.regionesicilia.rai.it/dl/sicilia/video/ContentItem-3b20f0aa-8f11-40c29517-e794c17881be.html (consultato il 13/06/2012). 22 Luigi Piccinato (Legnago, 30 ottobre 1899- Roma, 29 luglio 1983) architetto e urbanista italiano; è stato tra i fondatori, con Mario Ridolfi, Bruno Zevi e Pier Luigi Nervi, dell’APAO.

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Normanni a Palermo). Nel 1985 ha fondato inoltre l’associazione “Salvare Palermo”, di cui è attualmente presidente onorario.

1.2. Caratteristiche dell’architettura di Roberto Calandra

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6. Il palazzo Upim- La Rinascente a Messina, progettato da R. Calandra, in: Gesualdo CAMPO, 2006, p. 10. 7. interno della galleria del palazzo Rinascente- Upim a Messina, ivi, p. 8.

L’architettura di Roberto Calandra è stata raramente oggetto di studio da parte della critica specializzata. Tuttavia, il suo apporto alle problematiche dell’edilizia, dell’urbanistica e del restauro in Sicilia nel secondo dopoguerra è stato particolarmente importante. Come ha scritto Antonietta Iolanda Lima, i suoi progetti denotano una «linea linguistica continua che […] vertebra planimetrie che puntano non sul blocco unico ma sul sistema degli attraversamenti, dei percorsi, su stereometrie a volte elementari, a volte consapevolmente articolate, sull’uso sapiente esso stesso strumento di caratterizzazione del progetto». 23 All’interno dello studio associato Sisminconsult, fondato nel 1961, Calandra ha avuto modo di combinare le istanze del movimento moderno con le problematiche specifiche delle costruzioni anti- sismiche. È doveroso, a tal proposito, ricordare i progetti realizzati a Messina, in particolare il complesso residenziale di Palazzo Palano in Via Libertà (1955- 1963) e il Palazzo dell’Upim di Via San Martino (1962- 1963). Questi edifici denotano un notevole 23

Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (a), p. 13.

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4


impegno nella sperimentazione di soluzioni adeguate ad un’edilizia in zone a forte rischio sismico (l’edificio dell’Upim fu il primo edificio in Italia in zona sismica di 1° categoria ad essere realizzato completamente in acciaio), ma rivelano anche lo sviluppo di alcune tematiche interessanti come il rapporto col paesaggio e l’attraversamento.24 Il rapporto col paesaggio e col contesto della città di Messina è evidente in Palazzo Palano e in tutti gli edifici residenziali progettati da Calandra e si traduce in alcune scelte che agevolano l’interazione tra interno ed esterno, come l’uso di ampie finestrature e di terrazzi gradonati.

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8. palazzo Palano a Messina; 9. la facciata ottocentesca dell’Hotel de France (foto di Walter Leonardi).

Il tema dell’attraversamento è declinato con grande originalità nel complesso di Palazzo Palano, dove la presenza di un giardino viene assunto come dato strutturale del programma distributivo dell’intero edificio, o nel Palazzo dell’Upim, dove Calandra realizza una galleria che funge da strada urbana e da spazio di distribuzione tra il piano uffici e i diversi corpi scala delle residenze. Vari sono i progetti, compresi tra il 1949 e il 1962, relativi a quartieri per l’edilizia economica e popolare (alloggi per l’Escal, la Regione Siciliana, l’InaCasa, la cooperativa Sceip) dove l’architetto messinese si confronta con l’urgenza, tipica di quegli anni, di dare case di qualità a basso costo alle fasce più deboli della compagine sociale.

24

Antonino MARINO, 2006, p. 23- 34.

17


Significativo, in tal senso, è il progetto per Borgo Ulivia a Palermo (1956- 61), redatto su incarico del Comitato Nazionale della Produttività da Calandra con Giuseppe Samonà,25 Antonio Bonafede26 ed Edoardo Caracciolo. Il quartiere è caratterizzato da edifici a tre o quattro piani con botteghe e negozi a piano terra, allineati lungo le strade, e da un asilo nido, disegnato dal solo Samonà. I volumi appaiono chiaramente tripartiti in basamento, paramento e coronamento: secondo

il

progetto

originario,

le

facciate

avrebbero

dovuto

essere

caratterizzate da un rivestimento in laterizio, scandito dal sistema trave- pilastro in cemento armato lasciato a vista; tuttavia solo il primo degli edifici realizzati presenta tali caratteristiche, mentre per gli altri la direzione dei lavori ha infine optato per una più tradizionale rifinitura a intonaco. Il complesso risulta innervato da un sistema di percorsi pedonali che, attraversando i corpi di fabbrica al pian terreno, mettono in connessione gli spazi aperti su cui si affacciano gli edifici; anche la vegetazione è progettata con precisione e si configura come elemento formale di composizione del rapporto tra pieni e vuoti. Il progetto rivela l’intenzione di superare la categoria di “quartiere dormitorio”, mediante un più diretto rapporto tra abitazione, strada, verde urbano e servizi comuni.27

25

Giuseppe Samonà (Palermo, 8 aprile 1898- Roma, 1983) architetto e urbanista. Laureatosi in ingegneria a Palermo (1922), affiancò all'attività progettuale un intenso impegno didattico, presso le università di Messina (1926-30), di Napoli (1931-36) e soprattutto di Venezia (1936-71), dove come direttore (dal 1945) riuscì in modo innovativo a far convergere nell'Istituto di architettura esponenti di rilievo da campi eterogenei quali quello storico, critico e progettuale. La sua attività professionale si estese dall'edificio singolo alla pianificazione urbanistica. Tra i suoi progetti vale la pena ricordare: ufficio postale del quartiere Appio a Roma (1933-36); nuova palazzata di Messina (1938-40; 1953-58); edificio per uffici INAIL a Venezia (1952-56); sede della Banca d'Italia a Padova (1968-74); Centro civico di Gibellina (1970-80). 26 Antonio Bonafede è nato a Pollina (PA) nel 1919 ed è morto a Palermo nel 1980. Dopo la laurea in Architettura a Roma, conseguita nel 1946, ha svolto la sua attività di studioso e progettista a Palermo. Attivo nelle battaglie culturali e politiche del suo tempo, è stato membro promotore dell’APAO, socio dal 1952 della Sezione Siciliana dell’INU, socio del GAUS (Gruppo per l’architettura e l’urbanistica siciliana, 1961- 63) e militante del PCI. Ha partecipato, sin dal 1948, a vari concorsi nazionali di architettura ed urbanistica. 27 Sul Borgo Ulivia si veda: red., Unità residenziale nel Borgo Ulivia a Palermo, in «Casabella Continuità», n.265, luglio 1962, pp. 50- 55; red., Breve itinerario di architettura moderna a Palermo, in «Domus», n. 388, marzo 1962, pp. 50- 55; Andrea SCIASCIA, Architettura contemporanea a Palermo, L’Epos, Palermo 1998, pp. 63; Antonietta Iolanda LIMA, Dentro l’architettura di Roberto Calandra, in «PER salvare Palermo», n. 14, gennaio/aprile 2006, p. 15; Antonio BIANCUCCI, Giuseppe Samonà e le presenze del progetto: il restauro del Nucleo Sperimentale nel Borgo Ulivia a Palermo, Edizioni Kappa, Roma, 2007; Matteo IANNELLO, Glenda SCOLARO, 2009, 146- 147.

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12

13 10. impianto del quartiere di Borgo Ulivia; in Antonio BIANCUCCI, 2007, p. 67; 11. veduta di un edificio per abitazioni, in Marina MONTUORI (a cura di), Dopo l’uragano, ARACNE editrice, Roma 2008, p. 10. 12. profilo generale degli edifici, in Antonio BIANCUCCi, 2007, p. 69; 13. visione d’insieme di una parte del quartiere, ivi, p. 66.

Un progetto particolarmente importante, che unisce esigenze residenziali con il restauro di un edificio antico, è quello per gli alloggi universitari nell’ex- Hotel de France in Piazza Marina a Palermo, dove Calandra decide di mantenere lo storico albergo conservandone la cortina tardo- ottocentesca, ma progetta di

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innestare su di esso un nuovo edificio in cemento armato destinato ad ospitare le camere della foresteria. All’attività di progettista si affianca, nel corso della sua lunga carriera, anche quella di urbanista, che lo vede impegnato nell’ambito della pianificazione in molte città del Sud Italia: anche in questo campo, Calandra ha esercitato la sua professione difendendo sempre la qualità architettonica delle scelte progettuali, anche ad ampia scala, e la tutela dell’interesse pubblico: particolarmente significativi i concorsi per i piani regolatori comunali di Enna (1948- 49), Messina (1960, in collaborazione con Giuseppe Samonà). Gli esiti più convincenti della sua carriera, tuttavia, Calandra li ha raggiunti in occasione delle collaborazioni con Carlo Scarpa (mostra su Antonello da Messina, restauro di Palazzo Steri, Museo Regionale di Messina) come si vedrà di seguito.

1.3. Roberto Calandra e il dibattito architettonico e urbanistico: l’adesione ai valori dell’architettura organica, la tutela dei centri storici e l’impegno nel campo della pianificazione.

La formazione e l’attività professionale di Roberto Calandra sono state sovente influenzate dal contesto storico in cui egli si è trovato ad operare. Nel corso della sua lunghissima carriera, Calandra ha seguito con attenzione gli eventi storici, culturali e architettonici del suo tempo, si è appassionato a dibattiti e teorie, ha sposato movimenti e battaglie culturali e sociali, ha conosciuto i grandi protagonisti dell’architettura del XX secolo. È dunque doveroso inquadrare l’attività dell’architetto messinese in una più ampia visione delle vicende che hanno caratterizzato il panorama architettonico nazionale. All’impegno professionale di architetto, inoltre, Calandra ha unito costantemente «l’impegno civile nella vita pubblica, proprio di chi mette a disposizione della comunità in cui vive ed opera il proprio patrimonio di cultura ed esperienza professionale, in piena libertà di pensiero e di giudizio, al di fuori degli schieramenti politici (spesso racchiusi all’interno di inossidabili ideologie e 20


rappresentativi di interessi particolari e corporativi), senza contropartite materiali, anzi con il rischio dell’emarginazione e dell’isolamento».28 L’interesse di Calandra verso le esperienze culturali più recenti e innovative del proprio tempo si manifesta fin dagli anni della formazione universitaria presso la Scuola Superiore di Architettura di Roma, fondata da Gustavo Giovannoni nel 192029 allo scopo di creare una nuova figura di architetto “integrale”, capace di cimentarsi con i problemi sia dell'arte che della tecnica. 30 Roberto Calandra segue con passione gli studi, ma manifesta una certa insofferenza verso l’impostazione della scuola, a suo parere troppo rigida e chiusa nei confronti delle nuove tendenze del Movimento Moderno: «Ricordo […] la figura carismatica- e odiatissima nello stesso tempo- di Gustavo Giovannoni, che era preside e anche un po’ “dittatore” per tutto quello che si faceva in architettura. Nel giudizio che io ne do adesso, con distacco, Giovannoni va ricordato per due cose: una positiva e una negativa. Gli va riconosciuto il merito di aver tentato questa operazione “vitruviana” di costituire una facoltà che riunisse quello che si insegnava precedentemente nelle facoltà di ingegneria e negli istituti di belle arti aggiungendo alcune cose fondamentali: lo studio della città, molti corsi di storia dell’arte e di storia dell’architettura […] L’aspetto negativo era l’insofferenza e la radicale chiusura verso il razionalismo e l’architettura moderna: ricordo che quando con [Bruno, n.d.r] Funaro gli andammo a chiedere il permesso per organizzare in facoltà una lezione di Le Corbusier, che si trovava allora a Roma per un convegno, Giovannoni ci negò questa possibilità: riuscimmo poi a ottenere un’aula solo al circolo artistico». 31 Il giovane studente messinese si appassiona fin da subito alle teorie e al linguaggio dell’autore di Vers une architecture: 32 «Le Corbusier era il nostro 28

Nino VICARI, «PER Salvare Palermo», n. 14, gennaio- aprile 2006, p. 3. Con Regio Decreto del 31 ottobre 1919 viene istituita la Scuola superiore di architettura di Roma; il decreto è firmato dal Ministro della Pubblica Istruzione, Alfredo Baccelli, ed è modellato sul progetto di legge dell’on. Nava del 1915. La nuova scuola è aggiunta all’elenco degli Istituti di Istruzione superiore e delle Regie Università, e rilascia dopo cinque anni il diploma di architetto civile. 30 Il programma della scuola ricalca, nella scelta delle materie, il progetto didattico giovannoniano: le materie obbligatorie suddivise fra i cinque anni di corso (l’ultimo è però destinato prevalentemente alle materie artistiche) sono le seguenti: matematica, meccanica razionale, topografia, chimica generale, fisica sperimentale, idraulica applicata alle costruzioni, scienza delle costruzioni, igiene delle costruzioni, prospettiva, storia dell’architettura, stili architettonici e loro applicazioni, rilievo e restauro dei monumenti, composizione architettonica, edilizia cittadina. 31 Paola BARBERA, 2006, p. 5. 32 Parigi, Cres, 1923; trad. it. (a cura di Pierluigi Cerri e Pierluigi Nicolin) Verso un’architettura, Milano, Longanesi, 1973. 29

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idolo, il mito di allora: ricordo nottate intere passate a studiare il progetto per il Palazzo delle Nazioni. Le Corbusier ci incantava, ma accanto a lui c’erano i funzionalisti francesi e tedeschi: Mallet- Stevens, per esempio. In Italia, povera com’era di architetti del movimento moderno, ricordo il primo concorso per il Palazzo Littorio in cui, tra una gran massa di progetti pompieristici, c’erano delle cose molto belle: le grandi temperie che Beppe Santi avrebbe fatto per Luigi Moretti o la prospettiva del progetto di Terragni».33 L’interesse per l’architettura del Movimento Moderno si intensifica dopo il viaggio in America e la scoperta delle opere di Schindler, Neutra e in particolare di Frank Lloyd Wright. La passione per le architetture del maestro di Taliesin accomuna Roberto Calandra al collega e amico Carlo Scarpa e costituisce il punto di partenza per la loro adesione all’APAO, l’Associazione per l’Architettura organica fondata per iniziativa di Bruno Zevi. Il movimento propone una nuova visione di ispirazione “wrightiana” come antidoto ai modelli reazionari ed accademici dominanti nelle scuole di architettura e in antitesi alle tendenze “funzionaliste” del gruppo milanese MSA (Movimento Studi per l’Architettura). L'Associazione per l'Architettura Organica dà origine a Roma nel 1945 ad una Scuola di Architettura Organica a Palazzo Drago, con quattro corsi: Urbanistica (Luigi Piccinato), Architettura (Mario Ridolfi), Costruzioni (Pier Luigi Nervi), Materie professionali (Aldo Della Rocca). Nasce la rivista "Metron", co- diretta da Luigi Piccinato e Mario Ridolfi; nel consiglio direttivo troviamo anche, tra gli altri, Silvio Radiconcini e Bruno Zevi. Nel frattempo, sempre durante l'anno 1945, esce il famoso libro di Zevi Verso un'architettura organica,34 che farà il giro del mondo e sarà molto apprezzato anche dallo stesso Frank Lloyd Wright. Negli anni Quaranta, Calandra prende parte attivamente al dibattito architettonico, partecipando alle varie manifestazioni promosse dall’APAO e collaborando con la rivista “Metron”: scrive, in particolare, un articolo dedicato alla teoria americana della Neighborhood unit, 35 un tema particolarmente in 33

Paola BARBERA, 2006, p. 5; il concorso a cui Calandra si riferisce è quello indetto nel 1934 a Roma. Einaudi, Torino 1945. 35 Roberto CALANDRA, La teoria americana della “Neighborhood Unit”, in «Metron», n. 6, gennaio 1946, pp. 58- 68. 34

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voga nell’urbanistica del Dopoguerra e che troverà concreta applicazione in numerosi quartieri degli anni Cinquanta.36 Nel dicembre del 1947 partecipa al primo congresso dell’APAO a Roma, durante il quale Bruno Zevi interviene spiegando come l'architettura organica non sia uno stile di importazione americana, ma lo spontaneo sviluppo del Funzionalismo: così come dal Funzionalismo della Scuola di Chicago si genera l'architettura organica di Frank Lloyd Wright, così in Europa dal Funzionalismo di Le Corbusier si genera l'architettura organica di Alvar Aalto e lo stesso avverrà anche in Italia. 37 L’architetto romano si schiera apertamente contro «l'agnosticismo architettonico in Italia, quell'agnosticismo vuoto di fedi e di passioni per cui l'arte è arte sia che si faccia oggi con le colonne e con gli archi oppure coi mezzi moderni; quell'agnosticismo che concepisce l'arte al di fuori della storia e della vita. I nostri avversari sono architetti senza aggettivi, senza nemmeno il vago aggettivo di moderni, perché sono uomini ormai senza coraggio in architettura e in critica; […] sfuggono ad ogni serio dibattito, non hanno idee da difendere ma solo posizioni da conservare. In verità essi costituiscono, nel campo dell'architettura, la traduzione di ciò che il trasformismo è in politica: una serie di clientele tenute insieme da interessi più o meno evidenti, culturalmente inesistenti o dannosi, di carattere effimero».38 Rimane aperta, tuttavia, la strada della riconciliazione con l’MSA: nel 1949 i membri dell’APAO si incontrano con il gruppo milanese in occasione del II Congresso delle Associazioni di Architettura Moderna, che si tiene a Palermo: «Perché la Sicilia? Proprio in Sicilia, nella parte più lontana della nazione, architetti moderni di tutte le parti di Italia si sono riuniti. Il problema dell’architettura moderna italiana non può oltre rimanere una propaggine europea centrata a Milano: non più il solo nord, periferia dell’Europa. Bisogna impostare il problema, farlo conoscere, difendere le posizioni dell’architettura moderna, propagandare la nuova urbanistica in tutto il paese […] dove più

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Marcello FABBRI, Le ideologie degli urbanisti nel dopoguerra, De Donato editore, Bari 1975, p. 38 Bruno ZEVI, L’architettura organica di fronte ai suoi critici, in «Metron», n. 13, 1948, [pp. 39- 51], pp. 4546. 38 Ivi, p. 41. 37

23


difficile è la vita degli sparuti gruppi di architetti moderni, dove più insistenti sono la tradizione e la dittatura degli organi burocratici».39 Durante il congresso, Edoardo Caracciolo interviene tracciando un amaro quadro della situazione dell’architettura moderna in Sicilia: «Nell’isola è la calma cimiteriale»,

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afferma l’architetto palermitano. Alla manifestazione

partecipa anche la sorella di Roberto Calandra, Maria,41 che in suo intervento fa leva sulla necessità di connettere la formazione dell’architetto con una maggiore consapevolezza dei problemi sociali che questi è chiamato a risolvere.42

14 14. i partecipanti al Congresso di Palermo del 1950, in una foto scattata davanti al tempio dorico di Segesta (TP); nella foto compare anche l’architetto Maria Calandra (la terza donna, da sinistra), sorella di Roberto; in Il secondo congresso delle Associazioni di Architettura Moderna, in «Metron», n. 29, 1948, p. 7.

Negli anni Cinquanta il dibattito tra “organici” e razionalisti tenderà ad esaurirsi; nel 1955, in un editoriale sulla rivista «L’architettura. Cronache e storia»43, Zevi 39

Red., Il secondo congresso delle Associazioni di Architettura Moderna, in «Metron», n. 29, 1948, p. 8 Red., Atti del Congresso di Palermo. 5- 6- 7 Gennaio 1949, ivi, [pp. 49- 56], p. 50. 41 Maria Calandra, architetto, Palermo 1911 - Roma, 12 gennaio 2004. 42 L’intervento è riportato in Atti del Congresso di Palermo, 1949, p. 55. 43 Rivista mensile fondata nel 1955 da Bruno Zevi. 40

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prospetta il delinearsi di un indirizzo unitario per gli architetti moderni: «Sotto la pressione delle istanze del movimento organico, i razionalisti più sensibili hanno abbandonato in questi anni le posizioni meccanicistiche e il linguaggio astrattofigurativo, hanno concentrato la loro attenzione sulla realtà degli spazi interni e non più soltanto sui giochi di prismi puri, hanno registrato il valore delle esigenze psicologiche e delle verità relative all’uomo […] gli architetti organici, a loro volta, hanno imparato a distinguere la sostanza dei loro enunciati storici da tutto ciò che di arbitrario, superficiale, neo- decorativo è stato denominato, loro malgrado, “organico”».44 Gli anni Quaranta e Cinquanta vedono Roberto Calandra confrontarsi con i problemi tipici del Dopoguerra. La politica e il mondo culturale italiano si trovano a dover affrontare i nodi problematici dei flussi migratori interni, della disoccupazione crescente e della casa, un problema, quest’ultimo, già afflitto da una generale situazione di sovraffollamento abitativo e problemi igienicosanitari aggravati dalle distruzioni belliche; la situazione è particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove emerge drammaticamente anche la necessità di una riforma agraria. Si pone, inoltre, l’annosa questione del patrimonio edilizio distrutto dai bombardamenti. Allo scopo di contemperare, nelle città danneggiate dalla guerra, le esigenze inerenti ai più urgenti lavori edilizi con la necessità di non compromettere lo sviluppo futuro degli abitati, viene imposto ai comuni sinistrati di dotarsi di un Piano di Ricostruzione, come sancito dal Decreto Legislativo luogotenenziale n. 154 del 1 Marzo 1945.45 L’attuazione di questi strumenti avrà effetti diversi sulle città coinvolte e non salverà i nuclei antichi dalla speculazione edilizia. In tale contesto, Calandra si cimenta nella redazione di alcuni piani di ricostruzione, come quello di Patti (1948- 49), quello di Rosello in Abruzzo (1949) e quello del comune di Enna (1950) e, come già accennato in precedenza,

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partecipa all’elaborazione di numerosi progetti di edilizia

economico- popolare.

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Bruno ZEVI, Verso un solo linguaggio, in «L’architettura. Cronache e storia», anno I, n. 4, novembredicembre 1955, [pp. 81- 82], p. 81 45 Norme per i piani di ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra, Gazzetta Ufficiale 02/05/1045 n. 53 46 Vedi par. 1.2. Caratteristiche dell’architettura di Roberto Calandra.

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15 15. Roberto Calandra, Piano di ricostruzione di Rosello (Chieti), 1949; Ministero dei Lavori Pubblici, Archivio DICOTER, disponibile in http://www.rapu.it/ricerca/index.php (Rete Archivi Piani urbanistici, consultato il 25/06/2012).

Sono anni di fervida produzione nella pianificazione urbanistica e nella progettazione edilizia in Sicilia, e la cosiddetta “scuola di Caracciolo”,47 con i 47

Roberto CALANDRA, La “scuola” di Edoardo Caracciolo fino al P.R.G. di Palermo, in Cesare AJROLDI (a cura di), Palermo tra storia e progetto, Officina Edizioni, Palermo 1987, pp. 39- 42

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suoi allievi più impegnati (oltre a Calandra, si ricordino Antonio Bonafede, Gianni Pirrone, Luciana Natoli), è in prima linea nelle esperienze concorsuali. Nel 1955 viene indetto un importante concorso nazionale per il Palazzo della Regione Siciliana. I vari progetti presentati rivelano ancora l’adesione agli schemi dell’architettura razionalista. Calandra partecipa con la sorella Maria, Antonio Bonafede, Edoardo Caracciolo, Pietro Ajroldi, Isidoro Arcara, Giovanni Pirrone, Enrico Mazzullo, Pier Francesco Borghese. Il loro progetto è caratterizzato dallo sviluppo verticale di tre corpi edilizi molto alti (uno di essi avrebbe dovuto raggiungere addirittura i venticinque piani), dove sono collocate le funzioni più importanti (Presidenza e Assessorati) che si articolano attorno a una parte più bassa, di tre piani, coprente tutta l’area disponibile, in cui sono sistemati i servizi, i garage, gli ingressi e gli ambienti accessori. Giuseppe Vaccaro, nel suo articolo su «L’architettura. Cronache e storia», scrive a proposito di questo e di altri progetti: «è sensibile l’influenza delle correnti di architettura moderna successive al razionalismo. Ma direi che per nessuno di essi si possa parlare di architettura organica. Si tratta sempre di suggestioni formali che si innestano su una precedente formazione razionalistica, rappresentandone una sovrapposizione piuttosto che una fase evolutiva. Questo fenomeno è molto frequente nell’attuale produzione architettonica italiana, che ne resta adombrata di provincialismo».48 L’impietoso giudizio che Vaccaro riserva ai progettisti partecipanti si accompagna anche ad un legittimo dubbio che l’autore nutre sull’impostazione del concorso: «è ragionevole ubicare un grande organismo, che implica grandi problemi di traffico e auto- parcheggio, nel cuore di una vecchia città, o non dovrebbe piuttosto costituire esso stesso il fulcro di un’espansione urbana, concepito in piena libertà nel quadro urbanistico generale?».49 Sono questi gli anni, infatti, in cui si discute animatamente sulla conservazione dei centri storici e sulla possibilità di un’integrazione tra edifici “moderni” e tessuto antico della città. La questione della ricostruzione del patrimonio distrutto durante il secondo conflitto bellico, che caratterizza i primi anni del

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Giuseppe VACCARO, Concorso nazionale per il Palazzo della Regione a Palermo, in «L’architettura. Cronache e storia», anno I, n. 4, novembre- dicembre 1955, [pp. 518- 528], p. 521. 49 Ivi, p. 518.

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Dopoguerra, determina un intenso dibattito che vede i maggiori teorici del restauro impegnati in una ridiscussione dei principi della disciplina già ratificati nelle Carte degli anni Trenta;50 a ciò si aggiunge l’inquietante pressione della speculazione edilizia, che in questi anni comincia a compromettere in maniera irreversibile il volto del paesaggio e della città, come denuncia Antonio Cederna nel suo volume I vandali in casa, edito nel 1956.51

16 16. il palazzo della Regione Siciliana nel progetto di Calandra, Bonafede, Caracciolo, Ajroldi, Arcara, Pirrone, Mazzullo, Borghese, in «L’architettura. Cronache e storia», anno I, n. 4, novembre- dicembre 1955, p. 527.

Nel 1950 si tiene, a Palermo, il VII congresso di Storia dell’Architettura, che dedica il suo primo tema a La tutela del patrimonio monumentale e paesistico, accompagnandovi, in sequenza, una sessione intitolata L’architettura in Sicilia. A Roberto Pane è affidata la relazione generale sul tema Conservazione e restauro, dove egli afferma il legame inscindibile tra monumenti, ambiente e 50

La Carta del Restauro di Atene, redatta al termine della Conferenza di Atene tenutasi tra il 21 e il 31 ottobre 1931; la Carta italiana del restauro, redatta da Gustavo Giovannoni, approvata dal Consiglio superiore per le antichità e belle arti alla fine del 1931 e pubblicata sul «Bollettino d’arte» del Ministero dell’educazione nazionale nel primo numero del 1932; in Maria Pia SETTE, Il restauro in architettura, UTET, Torino 2001, pp. 128- 135. 51 Antonio CEDERNA, I vandali in casa , Bari, Laterza, 1956.

28


territorio, e deplora le scelte di “ripristino” adottate in quegli anni nella ricostruzione del patrimonio edilizio nazionale.52 A metà degli anni Cinquanta l’interesse di gran parte degli architetti e dei critici italiani si indirizza sull’incontro “antico- nuovo”. Nel 1956 si svolge il primo convegno dell’Associazione Italia Nostra,53 in cui emergono le due relazioni di Ludovico

Quaroni

(“Pianificazione

urbanistica

come

mezzo

di

difesa

dell’ambiente”) e Roberto Pane (“Organi e forme di tutela del patrimonio artistico e naturale”), che danno un rinnovato impulso verso una più matura valutazione

del

valore

dei

centri

storici

e

una

maggiore

coscienza

dell’importanza dell’adeguamento degli strumenti legislativi di tutela.54 Sempre Roberto Pane promuove, nel 1957, un importante convegno incentrato sul tema Attualità urbanistica del monumento e dell’ambiente antico, nell’ambito della XI Triennale di Milano.55 Si delineano posizioni contrastanti, formulate, da un lato, da Cesare Brandi e Antonio Cederna, favorevoli ad una conservazione integrale nei centri antichi, dall’altro da Roberto Pane, Ernesto Nathan Rogers e Bruno Zevi, che invece prospettano una possibilità di conciliazione tra l’edilizia nuova e quella antica;56 il dibattito su polarizza su alcuni progetti particolari, come il Masieri Memorial di Frank Lloyd Wright a Venezia.57 52

Maria Rosaria VITALE, Giuseppe SCATURRO, Il VII Congresso di Storia dell’architettura a Palermo (1950). Il contributo di Roberto Pane e l’attività di tutela e restauro in Sicilia, in Stella Casiello, Andrea Pane, Valentina Russo (a cura di), Roberto Pane tra storia e restauro - Architettura, città, paesaggio, Venezia, Marsilio Editori, 2010, pp. 213- 215. 53 Fondata a Roma nel 1955 per iniziativa di un gruppo di intellettuali (tra cui Elena Croce, Desideria Pasolini Dell’Onda, Antonio Cederna e Umberto Zanotti Bianco, che fu il primo presidente dell'associazione) per la tutela del patrimonio storico artistico e naturale della Nazione. 54 Difesa del patrimonio artistico e naturale della Nazione, Atti del I Convegno di “Italia Nostra”, Roma, 1956. 55 Attualità urbanistica del monumento e dell’ambiente antico, relazione al Congresso internazionale della XI Triennale di Milano (28-30 settembre 1957), Görlich, Milano, 1958. 56 La disputa sul tema dell’integrazione tra edilizia antica e nuova diventa particolarmente accesa, a tal punto che nel 1958 Carlo Perogalli nota «come, in questi ultimi anni, urbanisti e conservatori abbiamo superato il vallo di incomprensione che ancora nell’immediato dopoguerra li divideva»; in Bilancio dell’Urbanistica comunale nel quadro della pianificazione comunale e paesistica, atti del VII congresso nazionale di urbanistica, INU, Bologna 1959, p. 459. 57 Nel 1951, Angelo Masieri, da poco laureato presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, propone a Frank Lloyd Wright di progettare per lui un’abitazione sul Canal Grande. L’incarico matura probabilmente dopo un incontro tra i due architetti, avvenuto in occasione della Laurea Honoris Causa che lo IUAV conferisce a Wright nel giugno dello stesso anno. Qualche mese più tardi Masieri, in compagnia della moglie Savina, si reca in America, per vedere alcune opere di Wright, ma soprattutto per incontrare il progettista e discutere con lui il progetto veneziano. In quella occasione, però, il giovane architetto italiano troverà la morte a causa di un incidente automobilistico. La moglie Savina ed il padre Paolo decidono, dunque, di realizzare, sul lotto di proprietà della famiglia Masieri, un ostello per giovani studenti dedicato alla memoria di Angelo Masieri. Il cambio di programma funzionale non modificano la disponibilità di Wright, che comincia a proporre le proprie ipotesi progettuali. Il progetto prevede una palazzina di pianta

29


17

18

17, 18. Il progetto del Masieri Memorial di Wright, in «Metron», n. 49- 50, gennaio- aprile 1954, p. 6, p. 13.

L’idea di realizzare un architettura “moderna” sul Canal Grande, all’interno del tessuto storico della città lagunare, viene osteggiata da molti critici, tra cui Roberto Papini 58 e Antonio Cederna, 59 mentre viene strenuamente difesa da Roberto Pane nella sua relazione Città antiche ed edilizia nuova60 e da Bruno Zevi, prima tra le pagine di «Metron», che sceglie di pubblicare integralmente il

triangolare, in conformità alla forma del terreno messo a disposizione. L’edificio comprende due piani principali, un mezzanino e termina con un belvedere laterale. Le stanze principali si aprono sul canale con grandi balconi; la facciata si basa sull’alternanza tra setti verticali sporgenti e l’orizzontalità dei balconcini aggettanti, in modo da creare un prospetto dalle linee leggere. All’interno, lo spazio ha uno sviluppo unitario: le stanze si generano da un nucleo centrale, la scala, secondo un motivo ricorrente nella poetica wrightiana. Le numerose polemiche e una serie di vicende e motivazioni politiche, tuttavia, impediranno al progetto di trovare realizzazione; analoga sorte sarà riservata ad un altro edificio progettato per la città lagunare da un maestro del movimento moderno: l’Ospedale Civile commissionato, nell’area di San Giobbe, a Le Corbusier. Per le vicende relative a questi e altri progetti, si veda: Lionello PUPPI, Giandomenico ROMANELLI (a cura di), Le Venezie possibili. Da Palladio a Le Corbusier, Electa, Milano 1985. 58 Roberto PAPINI, Perché sarebbe una stonatura il palazzotto di Wright sul Canalazzo, in «Corriere della Sera», 25 Marzo 1954. 59 La critica è citata in: red., Il Masieri Memorial, in «Metron», n. 49- 50, gennaio- aprile 1954, p. 1 60 Roberto PANE, Città antiche edilizia nuova, in La pianificazione intercomunale, atti del VI Congresso nazionale di Urbanistica, Torino, 18- 21 Ottobre 1956, Istituto Nazionale di Urbanistica, Torino 1957, pp. 451- 460; vedi anche: Roberto PANE, Città antiche edilizia nuova, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1958, pp. 61- 94. A proposito del Masieri Memorial, scrive: «mentre si gridava contro una significativa espressione moderna, si taceva l’orrore del falso gotico di cui il Canale è largamente fornito e, similmente, del falso barocchetto veneziano di una casa che si stava per compiere al pontile S. Angelo».

30


progetto, 61 e poi da quelle de «L’architettura. Cronache e storia» 62 ; fra i sostenitori del progetto di Wright si schiera anche Carlo Scarpa.63

19 19. Disegno satirico pubblicato sulla rivista «Il borghese» e raffigurante una fantasiosa veduta del Canal Grande “riprogettato” dai maggiori architetti del Movimento Moderno; in Rosario DE SIMONE, Cronache di architettura 1914- 57. Antologia degli scritti di Roberto Papini, EDIFIR, Firenze 1998, p. 376.

L’interesse riservato al tema della tutela dei nuclei antichi delle città si manifesta anche nel proliferare di convegni e nella nascita di associazioni culturali, segnatamente quella dell’ Associazione Nazionale Centri Storico- Artistici (ANCSA) nel 1960. Il dibattito culturale e la maturazione teorica sulla questione dei centri storici hanno una tappa di grande rilievo nel convegno di Gubbio, indetto proprio dall’ANCSA nel 1960, dove la definizione di “monumento” viene estesa a «tutta la città antica, tutto l’insieme della sua struttura urbanistica, quale si è venuta

61

Red., Il Masieri Memorial, in «Metron», n. 49- 50, gennaio- aprile 1954, pp. 5- 13; Sergio BETTINI, Venezia e Wright, ivi, pp. 14- 26. 62 Red., Appello al Conte Cini sulla palazzina di Wright a Venezia, in «L’architettura. Cronache e storia», anno I, n. 3, settembre- ottobre 1955, p. 320; Bruno ZEVI, Il mondo alla rovescia: Wright e il Tronchetto, in «L’architettura. Cronache e storia», anno II, n. 10, agosto 1956, p. 243. 63 È proprio Scarpa che segue la pubblicazione del progetto su «Metron». Nel 1968, inoltre, l’architetto veneziano è chiamato a riprogettare l’interno del palazzo sul Canal Grande, mantenendo inalterata la facciata come da vincolo prescrittivo. È importante ricordare, infine, che nel 1978 Scarpa realizzerà una mostra, alla Biennale di Venezia, intitolata Quattro progetti per Venezia, dedicata proprio al progetto di Wright, all’ospedale di Le Cobusier, al Palazzo dei Congressi di Louis Kahn all’Arsenale, al parco per Jesolo di Isamu Naguchi.

31


lentamente componendo nei secoli»;

64

il convegno si conclude con

l’approvazione di una mozione, la celebre Carta di Gubbio. 65 Il dibattito proseguirà nei decenni successivi, passando per momenti fondamentali come la Carta di Venezia del 1964 66 e il II Convegno dell’ANCSA a Gubbio nel 1970.67 All’interno di questa complessa e animata discussione, Roberto Calandra ha occasione di esprimere la propria personalissima posizione tra le pagine di una pubblicazione voluta dall’Università di Palermo e dedicata al centro storico del capoluogo siciliano.68 In questo testo, l’architetto messinese, all’epoca docente di restauro presso la Facoltà di Architettura, invita a guardare al problema del centro storico di Palermo alla luce di una scala di priorità, affermando la necessità di risolvere anzitutto le questioni sociali della città, come quelle della casa e del lavoro: «mi pare che non si possa parlare di problemi del centro storico fino a che non si siano determinate nella città di Palermo quelle condizioni umane, sociali ed economiche, per cui ci sia disponibilità ad affrontare e risolvere un problema di ordine culturale».69 Nella situazione di grave disagio sociale in cui versano molti abitanti della città, l’unico intervento che si prospetta per il centro antico si configura in realtà come un “non intervento”,70 ovvero è necessario assicurare «una conservatività che, quanto meno, ci potrebbe garantire la sopravvivenza di una parte del tessuto

64

Edoardo SALZANO, Fondamenti di Urbanistica. La storia e la norma, Roma- Bari, Laterza 1998, p. 130. Associazione nazionale per i centri storico- artistici, Statuto- Carta di Gubbio, Gubbio tip. Eugubina, 1960. 66 Nel maggio del 1964 viene organizzato a Venezia il secondo “Congresso internazionale degli architetti e dei tecnici dei monumenti storici”, organizzato dalla Direzione generale Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione. Il congresso si articola attraverso varie sezioni, e una di queste è il progetto di una “carta internazionale” sulla conservazione ed il restauro dei monumenti: si tratta della cosiddetta Carta di Venezia, documento fondamentale nell’evoluzione delle teorie del restauro. Particolarmente significativo, nell’ambito di una visione più ampia della tutela, estesa al contesto paesistico e urbano, è l’articolo 1 della carta: «La nozione di monumento storico comprende tanto la creazione architettonica isolata quanto l’ambiente urbano o paesistico che costituisca la testimonianza di una civiltà particolare, di un’evoluzione significativa o di un avvenimento storico. Questa nozione si applica non solo alle grandi opere ma anche alle modeste che, con il tempo, abbiano acquistato un significato culturale». 67 Per una revisione critica del problema dei centri storici, Atti del seminario di studio dell’Associazione nazionale per i centri storico- artistici, Gubbio, 5- 6 settembre 1970. 68 Giuseppe PAVONE (coordinatore), Il centro antico di Palermo. Idee e proposte raccolte da Rita d’Ippolito, Bianca Marcianò e Antonio Marotta, in «Quaderni dell’Istituto di Urbanistica dell’Università di Palermo», n. 1, novembre 1973, pp. 61-65. 69 Ivi, p. 62 70 Ivi, p. 63 65

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del centro antico, in attesa che si determinino le condizioni perché si possa progettare una “nuova” città e con essa anche il “nuovo” centro antico».71 Una visione disincantata della realtà siciliana porta dunque Calandra a vedere nella conservazione integrale l’unica via possibile per salvare il centro antico da eventuali fenomeni speculativi «un ritrasferimento […] del centro degli interessi di nuovo verso il centro storico […] potrebbe determinare la distruzione dei beni culturali […], nel senso che riaffiorerebbero probabilmente nuovi tentativi di sventramenti, nuove operazioni tipo “terza via”, nuove ubicazioni di centri direzionali dentro il centro storico con abbattimento di zone monumentali e di tessuto antico».72 Una volta risolte le problematiche di ordine sociale, tuttavia, Calandra non esclude la possibilità di “riprogettare la città”, e dunque anche il suo centro storico, «in maniera da reinserirlo in un ciclo vitale, che è condizione necessaria anche per la sua conservazione»; 73 cita dunque come esempi i piani di Haussmann e Le Corbusier per Parigi, capaci di ripensare la città integrando i monumenti del passato all’interno di una struttura urbana nuova, moderna e vitale.74 Negli anni Cinquanta e Sessanta, Calandra diventa uno dei principali animatori della sezione siciliana dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, frequenta i congressi e i convegni indetti dallo stesso istituto, partecipa attivamente al dibattiti a livello nazionale sulle problematiche della città e del territorio. Grazie al suo rapporto di amicizia e di reciproca stima con Bruno Zevi, diventa direttore de «L’architettura in Sicilia», supplemento alla rivista «L’architettura. Cronache e storia».75 Tra le pagine del mensile diretto da Zevi, Calandra ha occasione di discutere apertamente temi e problematiche che interessano la Sicilia, con particolare riferimento alla condizione dell’isola come “regione a statuto speciale”.76 71

Ivi, p. 65 Ivi, p, 63 73 Ivi, p. 64 74 ibidem 75 Il supplemento viene pubblicato, in cinque numeri, tra il 1956 e 1957 e poi interrotto per mancanza di finanziamenti. 76 Roberto CALANDRA, Partecipazione al terzo tempo dell’autonomia, in «L’architettura in Sicilia», supplemento a «L’architettura. Cronache e storia», anno II, n. 10, agosto 1956, p. 315; Roberto CALANDRA, Pianificazione comunale senza pianificazione regionale, in «L’architettura in Sicilia», supplemento a «L’architettura. Cronache e storia», anno II, n. 12, ottobre 1956, p. 469. 72

33


Al IX Convegno Nazionale di Urbanistica, tenutosi a Cagliari tra il 25 e il 27 ottobre 1963, Calandra interviene, con Giuseppe Caronia, 77 tracciando un quadro molto critico dell’attività urbanistica in Sicilia nell’ambito dell’autonomia regionale ed evidenziando tutte le occasioni perdute, anche in considerazione del mancato sfruttamento delle possibilità offerte dai numerosi finanziamenti statali volti a sostenere progetti e iniziative.78 Negli stessi anni si discute, a livello nazionale, sulla necessità di sviluppare livelli di pianificazione sovracomunale, 79 in Sicilia Calandra si confronta con l’esperienza dei comprensori, istituiti per le aree colpite dai terremoti del ’67 e del ’68. 80 Insieme a Nino Vicari, Antonio Bonafede e altri, redige il Piano comprensoriale n. 9 della Regione siciliana sui Nebrodi, colpiti da un sisma nel 1967; 81 il piano, tuttavia, non diventerà mai operativo, per una serie di motivazioni economiche e scelte politiche. Calandra sperimenta dunque anche in campo operativo e professionale le contraddizioni della gestione del territorio e della pianificazione economica ed urbanistica in Sicilia, dove in quegli anni sussiste «un rapporto funzionale tra l’assenza di programmazione da una parte e la dispersione e privatizzazione delle risorse dall’altra, sotto la regia di una selva di centri decisionali che agiscono fuori da ogni controllo e coordinamento, che si caratterizzano quindi come sottosistemi di potere piuttosto che come organismi di decentramento».82 Nei decenni Settanta e Ottanta, Calandra continua a seguire con vivace partecipazione

gli

orientamenti

emergenti

nel

campo

del restauro

e

77

Giuseppe Caronia (1915-1994), ingegnere e architetto palermitano ma anche docente di Caratteri distributivi degli edifici e poi di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo, autore di numerose pubblicazioni rivolte anche a temi e architetti europei e americani contemporanei; ha operato professionalmente a Palermo oltre che in numerosi centri siciliani con progetti di case di abitazione, chiese, alberghi, quartieri residenziali, piani urbanistici, prestigiosi restauri architettonici, come quello per il palazzo della Zisa di Palermo. 78 Giuseppe CARONIA, Roberto CALANDRA, L’attività urbanistica in Sicilia, in Ordinamento regionale e pianificazione urbanistica, atti del IX Convegno nazionale di Urbanistica, INU, Cagliari 1963, pp. 153- 160. 79 Significativo, in tal senso, quanto afferma Plinio Marconi al Congresso di Torino del 1956: «Ecco dunque delinearsi il concetto di una pianificazione a struttura piramidale, della quale i piani comunali si troverebbero alla base, articolati successivamente in piani intercomunali, forse provinciali, territoriali, territoriali, regionali, fino al piano nazionale posto al vertice», in Plinio MARCONi, La pianificazione comunale e intercomunale, in La pianificazione intercomunale, atti del VI Convegno nazionale di Urbanistica, INU, Torino 1957, [pp. 39- 46], p. 40. 80 Si tratta di uno strumento di programmazione sovracomunale, istituito con L. 1/68, Primi provvedimenti per la ripresa civile ed economica delle zone colpite dai terremoti del ’67 e ’68. 81 Terremoto di Mistretta, 31 ottobre 1967. 82 Emma STELLA, Sicilia. Quadro istituzionale della programmazione e pianificazione territoriale: logica legislativa regionale, in L’esperienza comprensoriale delle regioni nel processo di riforma delle autonomie e dei poteri locali, INU, Edizioni delle autonomie, Roma 1981, [pp. 266- 272], p. 266.

34


dell’urbanistica: aderisce con convinzione, in particolare, ai principi teorici enunciati da Cesare Brandi 83 (che trovano esito normativo nella Carta del restauro del 1972) 84 e sceglie di sperimentare i nuovi indirizzi sul piano operativo negli importanti progetti di recupero che è chiamato a redigere (Palazzo Steri, Duomo di Cefalù).

1.4. Roberto Calandra e il restauro degli edifici storici

«La

cultura moderna indica come unico criterio di restauro valido quello

cosiddetto “archeologico”, il quale consiste nel mettere in luce e conservare per quanto possibile le testimonianze della vita del monumento nella loro stratificazione storica fino ai nostri giorni e intervenire quindi con metodi e tecniche moderne». 85 Così afferma Roberto Calandra nel luglio 1971, in occasione di una seduta della commissione istituita dal rettore dell’Università di Palermo per esaminare le esigenze e i problemi relativi al restauro di Palazzo Steri. Come si vedrà meglio nel seguito della tesi, gli interventi di recupero perpetrati negli anni precedenti nei confronti dell’importante monumento palermitano rivelano l’assenza totale di una visione organica del progetto di restauro e una scarsa conoscenza storica e strutturale dell’edificio, l’uso del cemento e delle tecniche moderne senza vagliarne necessità e conseguenze, la tendenza al rifacimento “in stile” e la propensione per la demolizione anche quando questa non è necessaria. Un modo di operare ormai superato negli anni ’70, quando si fanno avanti nuovi orientamenti nel campo degli interventi di restauro, che trovano espressione nella Carta del restauro del 1972.86 L’attività di Roberto Calandra rivela sempre grande rispetto per le esigenze di tutela del monumento antico e sensibilità operativa nella scelta degli interventi

83

Cesare BRANDI, Teoria del restauro, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1963. Cesare Brandi (Siena, 8 aprile 1906- Vignano, 19 gennaio 1988) è stato uno storico dell'arte, critico d'arte, saggista italiano e teorico del restauro; tra le varie e importanti tappe della sua carriera, si ricordino in particolare la direzione, durata oltre un ventennio, dell’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro, prestigiosa istituzione statale italiana attiva nel campo del restauro dei beni culturali 84 Carta italiana del restauro, circolare n° 117 del 6 aprile 1972, Ministero della Pubblica Istruzione. 85 Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 61. 86 Ministero della Pubblica Istruzione, Carta italiana del restauro, circolare n. 117 del 6 aprile 1972: in: Cesare BRANDI, Teoria del Restauro, Torino, Einaudi, 1977 (e successive edizioni), pp. 131‐154.

35


da effettuare. Alla base di qualsiasi progetto di restauro elaborato da Calandra vi è sempre uno studio approfondito dell’edificio, spesso attuato mediante un lavoro di équipe lungo e rigoroso. Un simile lavoro di conoscenza è stato alla base del restauro di Palazzo Steri, il cui caso specifico verrà meglio approfondito in seguito, ma si ritrova anche in altri momenti della carriera dell’architetto siciliano: si veda l’elaborazione, negli anni Ottanta, di una raccolta di materiali per la conoscenza storica e il restauro della Cattedrale di Cefalù, un’esperienza che si configura come «un esempio di operatività specialistica in grado di indicare un indirizzo metodologico», 87 indirizzo che prevede l’apporto di competenze interdisciplinari e che mira a ottenere una summa di informazioni relative agli ambiti più svariati, dalle indagini archeologiche al rilievo fotogrammetrico, dalle verifiche statiche di alcune parti allo studio delle fonti storico-critiche. Degno di nota anche il più recente intervento (1993) sulla sala del Duca di Montalto nel Palazzo Reale di Palermo, un ambiente caratterizzato da un imponente apparato decorativo barocco, ma caratterizzato anche dalla presenza, al suo interno, dei resti di antiche mura puniche, portate in luce da scavi archeologici: la soluzione adottata per unificare i due ambienti sovrapposti è costituita dal dimensionamento di un solaio interposto tra di essi e dalla realizzazione di passatoie di raccordo tra i due vani e con le stanze adiacenti. Particolarmente significativo il contributo che Calandra ha dato alla disciplina del restauro nell’ambito universitario palermitano, dove ha esercitato la docenza del corso di Restauro dei Monumenti, un’esperienza raccontata con partecipazione da uno dei collaboratori più stretti dell’architetto messinese, Camillo Filangeri:

88

«Per le strane, apparentemente inspiegabili, vicende

accademiche dei docenti universitari, Roberto Calandra, dopo aver tenuto per anni quei corsi di Urbanistica, nel 1968, per scelta dello stesso Consiglio [di Facoltà, n. d. r], perveniva alla cattedra di Restauro, l’anno successivo a quello in cui vi era stato Manfredo Tafuri,89 primo docente di ruolo universitario […] Ad 87

Camillo FILANGERI, 2006, p. 19. Camillo Filangeri è stato, dal 1962, assistente volontario di Restauro; dal 1971 è stato professore di Storia dell’Architettura negli atenei di Palermo e Milano; nel 1972ha collaborato con Carlo Scarpa, Roberto Calandra e Nino Vicari alla realizzazione del progetto di restauro di Palazzo Steri a Palermo. 89 Manfredo Tafuri (Roma, 4 novembre 1935- Venezia, 23 febbraio 1994) è stato uno storico dell'architettura italiano. Dopo la laurea lavora presso lo studio Architetti e Urbanisti Associati, allievo di 88

36


iniziare da questa data conta una lunga, fattiva collaborazione, motivata da esigenze didattiche, ma fondata sopra paritari interessi umanistici di conoscenza: nel caso disciplinare specifico, preliminare ad ogni intervento su preesistenze, in maniera estesa, sul bisogno di concreta consapevolezza a monte di ogni scelta modificatrice. Da qui l’adozione di un indirizzo fondante, evoluto a metodo didattico, che sollecita la consultazione di ogni forma possibile d’informazione»90.

20 20. sezione (est- ovest) di Palazzo Reale, con l’indicazione della sala Duca di Montalto (elaborazione grafica di R. Calandra e D. Ciriminna), in Roberto CALANDRA, Palazzo dei Normanni. Il complesso monumentale, cit., p. 55.

Filangeri descrive anche la tendenza di Roberto Calandra a privilegiare l’insegnamento di un approccio fondato sul disegno manuale, strumento imprescindibile per lo studio dei monumenti e l’elaborazione delle soluzioni di recupero: «esperienza squisitamente professionale, quella del disegno, dal nuovo docente fondata su abitudini personali, e volutamente travasata nelle lezioni. Esperienza intesa a produrre consuntivi di ricerca, espressi in tutte le Ludovico Quaroni; nel 1968 si trasferisce presso l'Università IUAV di Venezia dove diventa direttore dell'Istituto di Storia. È autore di varie pubblicazioni, le cui tematiche spaziano dall'architettura rinascimentale alla quella contemporanea. 90 Camillo FILANGERI, 2006, p. 18.

37


scale grafiche comunicative possibili […] espressioni disegnate oggi purtroppo considerate anacronistiche a seguito della dissennata tendenza al rifiuto dell’elaborazione manuale, sostenuta dalla tendenza, acritica, fondata sul sopravvalutato possibilismo informatico».91

21

22

23

24

21, 22. la sala Duca di Montalto, restaurata da Roberto Calandra, e il collegamento tra l’ingresso alla sala e la zona ipogea di interesse archeologico (foto di Walter Leonardi). 23. il percorso tra i resti delle mura puniche (V secolo a. C) rinvenute al di sotto della sala Montalto (foto di Walter Leonardi). 24. sezione del Palazzo dei Normanni con in evidenza l’ipogeo della Sala Montalto: il disegno è stato realizzato dall’architetto Alessandro De Bennardo per la fondazione “Salvare Palermo”, nell’ambito di un progetto ideato da Roberto Calandra, in Paola BARBERA, 2006, p. 4.

91

Ibidem.

38


L’ingegnere Nino Vicari, 92 nell’intervista che gentilmente ci ha concesso, sottolinea l’apporto decisamente innovativo portato da Roberto Calandra all’insegnamento di Restauro dei monumenti presso la Facoltà di Architettura di Palermo: a suo parere, Calandra sarebbe stato il primo docente a insegnare la disciplina del restauro architettonico sotto un profilo critico e progettuale.93 Il contesto universitario in cui si colloca l’attività di Roberto Calandra è ben descritto da Salvatore Boscarino,94 nel suo libro Sul restauro dei monumenti:95 «L’insegnamento del restauro dei monumenti a Palermo nasce alla fine degli anni ‘40 con l’istituzione della facoltà di architettura (1946). Sin dall’inizio esso risulta affidato ai Soprintendenti della Sicilia occidentale e ad architetti che gravitano attorno quell’ufficio per il motivo che essi erano gli unici depositari del sapere ufficiale della disciplina in loco. […] Purtroppo le personalità disponibili avevano avuto i loro modelli culturali e formativi nel Patricolo e nel Valenti, per lunghi decenni a capo della Soprintendenza […] i quali, tutti, certamente non erano i sostenitori della cultura della conservazione, che si è formata in Italia tramite l’insegnamento del Ruskin, del Boito, del Riegl, del Giovannoni ed attraverso le Carte del Restauro. Essi erano gli assertori di un restauro di ripristino, anche con invenzioni di parti mai esistite, né ricavate tramite analisi storico- filologiche e archivistiche o iconografiche, e di interventi essenzialmente creativi fuori dalla cultura storica ma basati sul gusto e, perché no, anche sull’artisticità dei proponenti, che dessero del monumento un aspetto di completezza e di tipicità stilistica senza curarsi della sua autenticità e del suo significato di documento». 96

92

Ingegnere, nato a Sant’Agata di Militello, responsabile dell’Ufficio Tecnico dell’Università, dal 1965 al 1969; nel decennio 1970- 80 è assistente e poi docente incaricato di Elementi costruttivi presso la Facoltà di Architettura di Palermo; nel 1972 collabora con Carlo Scarpa, Roberto Calandra e Camillo Filangeri al progetto di restauro di Palazzo Steri. Dal 1994 al 1998 è presidente del Consiglio per l’edilizia universitaria e Soprintendente per l’area dello Steri. Ha collaborato con Roberto Calandra per numerosi progetti e piani urbanistici. Per ulteriori approfondimenti, si veda l’intervista al capitolo. 93 Vedi Intervista a Nino Vicari 94 Salvatore Boscarino è nato a Catania. È stato professore ordinario di restauro architettonico presso la Facoltà di architettura di Palermo ed ha precedentemente insegnato la stessa disciplina presso l'Istituto universitario di architettura di Venezia. Autore di studi sulla storia dell'architettura e sul restauro dei monumenti ha pubblicato numerosi libri e saggi tra i quali si ricordano: Studi e rilievi di architettura siciliana (Messina, 1961); Vicende urbanistiche di Catania (Catania, 1965); Juvarra architetto (Roma, 1973); Sul restauro dei monumenti (Milano, 1985); Vaccarini architetto (Catania, 1992); Sicilia barocca (Roma, 1997). 95 Salvatore Boscarino, Sul restauro dei monumenti, 2° ed., Franco Angeli Libri, Milano 1987. 96 Ivi, pp. 172- 173.

39


Gli indirizzi prevalenti della facoltà erano principalmente quello urbanistico e quello compositivo e progettuale, mentre il restauro dei monumenti era relegato in una posizione marginale e assolutamente secondaria rispetto alle altre discipline. Il “periodo dei Soprintendenti” si chiude proprio nel 1968, l’anno del terremoto del Belice e della frana di Agrigento, con l’assegnazione della cattedra di Restauro dei monumenti a Roberto Calandra, che Boscarino descrive come «studioso di fine cultura umanistica e storica per tradizione familiare e per vocazione personale e di grande esperienza progettistica nel campo architettonico e urbanistico, al quale la facoltà, tramite l’autorevole voce di alcuni professori del tempo, raccomandava il particolare interessamento verso il restauro urbano». 97 Convinto sostenitore della teorie di Cesare Brandi, Roberto Calandra veicola col suo insegnamento una nuova visione della disciplina del restauro «protesa a stabilire un dialogo con altre forze scientifiche nel quadro di una raffinata progettazione non immemore della grande lezione lasciata a Palermo da Scarpa». 98 La curiosità e l’apertura di Roberto Calandra verso l’apporto di contributi e di competenze diverse lo ha portato a coinvolgere spesso, nel corso della sua carriera di docente, nuovi collaboratori, poi destinati ad un futuro prestigioso nel campo del progetto, del restauro e della ricerca storica, come Girolamo Naselli Flores,99 Antonio Samonà,100 Vladimir Zoric101 e, per un breve periodo, Lucio Trizzino.102 97

Ivi, p. 173. Ivi, p. 175. 99 Girolamo Naselli Flores (1931-1990), laureato in Architettura, professore universitario aggiunto alla cattedra di Restauro a Palermo; di lui si ricorda principalmente il restauro dei mosaici del Duomo di Monreale. 100 Antonio Samonà è stato autore di varie pubblicazioni: L'eclettismo del secondo Ottocento. G. B. F. Basile, la cultura e l'opera architettonica, teorica, didattica, Ila Palma, Palermo - Sao Paolo, 1983; G. B. F. Basile. L'architettura tra passato e futuro, Ila Palma, Palermo, 1989. 101 Nato a Šibenik (Croazia) il 13 agosto 1934, dal 1962 al 1970 frequenta la Facoltà di Architettura presso l’ Università degli Studi di Palermo; dal 1970 al 1975 è assistente alle esercitazioni presso la Cattedra di Composizione Architettonica della Facoltà di Architettura di Palermo (Prof. Carlo Melograni e, in seguito, Prof. Vittorio Gregotti); subito dopo, diviene assistente presso la Cattedra di Restauro Architettonico del Prof. Roberto Calandra, con il quale collaborerà fino al 1985. E’ autore di numerose pubblicazioni, tra cui: Tecnologie impiegate nelle costruzioni del Centro antico di Palermo; indagini per il restauro e il recupero, in «Quaderni della Cattedra di Tecnologia dell’ Architettura», n. 1, 1985; Per la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis e l’ illuminazione artificiale della stessa, due contributi nel catalogo «Monumenti del Cinquecento Meridionale - Restauri e recuperi, 1984-1985», Palermo 1985; Il Cantiere della Cattedrale di Cefalù ed i suoi costruttori, in La Basilica Cattedrale di Cefalù - materiali per la conoscenza ed il restauro, vol. I, Palermo (1989), pp. 7-340; Sulle tecniche costruttive islamiche in Sicilia: il soffitto della Cappella Palatina di Palermo, in Scritti in onore di Giovanni D’ Erme, a cura di M. Bernardini e N. L. Tornesello, 98

40


Sovente l’insegnamento di Calandra ha assunto la forma di attività da laboratorio, con l’elaborazione di temi che hanno suggerito stimoli a concreti impegni operativi, come nel caso del restauro della Chiesa di San Giacomo a Collesano, un progetto realizzato al termine di un percorso iniziato in ambito didattico universitario.

25

26

25, 26. Chiesa di San Giacomo a Collesano, oggi destinata principalmente a manifestazioni culturali, in Camillo FILANGERI, 2006, p. 18- 19.

La lezione di Roberto Calandra, che Filangeri definisce «maestro di restauro dell’Università di Palermo»103, è servita da stimolo ad una intera generazione di suoi allievi, alcuni dei quali si sono poi affermati in ambito professionale o universitario. Nelle tesi di laurea realizzate dagli studenti, e aventi per relatore Roberto Calandra, si possono ravvisare spunti e riflessioni che rimandano Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, voll. II, Napoli 2005, pp. 1281-1349. Ha inoltre curato numerosi progetti e restauri: in particolare, ha progettato e diretto i lavori di restauro delle coperture, impermeabilizzazione dei terrazzi, restauro degli intonaci e delle tinteggiature esterne ed interne della sede museale della Galleria Regionale di Sicilia a Palazzo Abatellis; per quest’ultimo edificio ha inoltre progettato le opere di consolidamento statico e di restauro generale della Torre N- O e i lavori degli impianti di sicurezza, di quelli elettrici nonché quelli della illuminazione diurna e serale degli ambienti espositivi. 102 Architetto restauratore ha dedicato la professione alla conservazione del patrimonio comune; ha progettato e/o diretto i restauri dei Templi di Agrigento, del Tempio di Segesta, del Duomo di Monreale, della Villa Romana di Piazza Armerina e di altri edifici monumentali. Autore di numerosi saggi e volumi di archeologia, storia dell'architettura, tecnica del restauro e analisi del territorio storico, si dedica alla fotografia come secondo mestiere. 103 Camillo FILANGERi, 2006, p. 20.

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evidentemente alla lezione dell’architetto messinese: Renata Prescia e Alessandra Maniaci104, allieve di Calandra e in seguito docenti universitarie di Restauro architettonico, nella loro tesi sul recupero di Palazzo Aiutamicristo a Palermo,105 ipotizzano il riuso dell’antico edificio quattrocentesco come casamuseo e scuola di musica, una proposta progettuale «partita da due punti fondamentali: i suggerimenti dati dal rilievo, e le esigenze sociali della collettività così da non fare del palazzo un “mero” contenitore, ma un polo culturale integrato con il circostante. Si tratta dunque di due tipi di intervento: uno di restauro conservativo […]; l’altro, utilizzato per le parti prive di qualità architettonica, consiste in una riprogettazione quasi totale»106; in un’altra tesi seguita da Calandra, due studenti, 107 occupandosi del restauro di Palazzo Bonett a Palermo, enunciano i principi ispiratori del loro progetto, che rievocano ampiamente alcune tematiche ricorrenti nell’operato dell’architetto messinese: «Va immediatamente precisato come un edificio giunto ai nostri giorni con poche e ben distinte caratteristiche architettoniche e tipologiche, non può essere trattato come un edificio da “restaurare”; bensì come un organismo del centro storico da recuperare nel rispetto assoluto delle sue qualità, dei suoi elementi più significativi ed esaltando in sede di verifica progettuale le sue originarie

peculiarità,

attribuendo

una

nuova

funzione

consona

alle

caratteristiche proprie del manufatto».108 E’ evidente il richiamo al tema del rispetto assoluto della qualità e delle peculiarità storiche e architettoniche dell’edificio, anche quando si deve riadattare l’edificio storico ad una nuova destinazione d’uso, un principio riaffermato più volte con fermezza da Roberto Calandra, in particolare, come vedremo, in relazione all’esperienza del restauro di Palazzo Steri. 104

Renata Prescia è ricercatore presso la Facoltà di Architettura di Palermo. Dal 2002 è incaricata del corso di Laboratorio di Restauro Architettonico presso la facoltà di Architettura. Negli A.A. 2003 e 2004-5 è stata incaricata del corso di Teorie e storia del restauro presso il Corso di Laurea in Recupero Restauro e Riqualificazione dell’Architettura. Dal 2006 è membro del Collegio Docenti del Dottorato in Progettazione Architettonica dell'Università degli Studi di Palermo, sede amministrativa Palermo, sedi consorziate Napoli e Reggio Calabria. Annalisa Maniaci è in servizio come Ricercatore presso l’Università degli Studi di Reggio Calabria. Entrambe hanno svolto la libera professione nel campo del restauro, del consolidamento, della manutenzione degli edifici storici e sono autrici di varie pubblicazioni. 105 Alessandra MANIACi, Renata PRESCIA, Un progetto per Palazzo Aiutamicristo, relatori prof. Roberto Calandra e prof. Cesare Ajroldi, Università di Palermo, Facoltà di Architettura, a. a. 1983- 1984. 106 Ivi, capitolo 6. 107 Teresa DI GRIGOLI e Gabriella MINAUDO, Recupero di Palazzo Bonett a Palermo, relatore prof. Roberto Calandra, a. a. 1983- 84. 108 Ivi, p. 35.

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Il contributo di Roberto Calandra nel campo del restauro architettonico si rivela fondamentale non solo per i numerosi e importanti interventi da lui realizzati nel corso della sua carriera di progettista o per il suo insegnamento nel campo teorico e universitario, ma anche, indirettamente, come fondatore e primo presidente dell’associazione “Salvare Palermo”,

109

nata allo scopo di

promuovere la conoscenza, tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio esistente di beni culturali ed ambientali del territorio nazionale e, in particolare, di quello di Palermo e della sua provincia. La fondazione ha contribuito spesso in maniera determinante, negli ultimi anni, al restauro di beni danneggiati o degradati di proprietà pubblica o privata e al recupero di funzioni vitali del tessuto urbano, attraverso azioni dirette di risanamento o interventi indiretti di disciplina urbanistica, stimolando le autorità responsabili dello Stato, della Regione, della provincia e del Comune al migliore adempimento dei loro compiti istituzionali, fornendo su richiesta o anche di sua iniziativa, pareri alle pubbliche istituzioni, formulando proposte nei campi di propria pertinenza nonché sensibilizzando l’opinione pubblica attraverso campagne nelle scuole, visite guidate, articoli e pubblicazioni. L’associazione “Salvare Palermo” ha inoltre provveduto direttamente al restauro di alcuni beni, con le proprie risorse o mediante contributi pubblici o privati: sono stati così restaurati alcuni piccoli ma significativi monumenti palermitani, come l’edicola di guardiania, progettata da Giuseppe Damiani Almeyda 110 a Villa Bonanno a Palermo (primi anni del XX secolo), la scalinata della settecentesca chiesa di Santa Caterina, il palchetto della musica in Piazza Castelnuovo a Palermo (1873), un progetto di restauro curato tra l’altro da Renata

Prescia

ed

Alessandra

Maniaci

(insieme

a

Alberto

Bono

Ballestreros).111

109

La Fondazione “Salvare Palermo”, onlus, costituita ai sensi e per gli effetti di cui al Decreto Legislativo 04.12.1997, n.460 e successive modifiche e integrazioni, è nata dallo scioglimento dell’Associazione culturale “Salvare Palermo” (operante dal febbraio 1985). 110 Giuseppe Damiani Almeyda (Capua, 10 febbraio 1834- Palermo, 31 gennaio 1911) è stato un ingegnere e architetto italiano; dopo gli studi a Napoli alla Scuola di Ponti e Strade, si trasferisce in Sicilia e diventa ingegnere del Comune di Palermo e prestò la sua opera alla famiglia Florio. Tra le sue opere, l’Archivio Comunale e il Teatro Politeama Garibaldi a Palermo. 111 Architetto, nato a Palermo il 1951-09-14, laureatosi nel 1979.

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27

29

28 27. un restauro curato dalla fondazione “Salvare Palermo”: l’edicola di guardiania, Palermo (primi del ‘900), progettata da Giuseppe Damiani Almeyda; il restauro è stato curato dagli architetti Simone di Trapani e Vivi Tinaglia ed è consistito nella sostituzione delle copertine in ardesia, ricostruzione di una piccola porzione di timpano, pulitura e consolidamento degli intonaci dopo averne estratto i sali solubili; il palchetto della musica, progettato da Salvatore Valenti nel 1873 ed oggetto, grazie al contributo della fondazione “Salvare Palermo”, di interventi di manutenzione e pulitura. 28. la chiesa di Santa Caterina (XVIII secolo). Il restauro della scalinata è consistito in opere di pulitura, ripresa di alveolature ed erosioni della pietra, sigillatura di fessurazioni e integrazione delle colonnine mancanti nella balaustra; 29. il palchetto della musica, progettato da Salvatore Valenti nel 1873 ed oggetto, grazie al contributo della fondazione “Salvare Palermo”, di interventi di manutenzione e pulitura (foto di Walter Leonardi).

.

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1.5. Carlo Scarpa: note biografiche

10 30

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30. Carlo Scarpa nel suo studio di Asolo, 1970; in Francesco DAL CO, Giuseppe MAZZARIOL, Carlo Scarpa, Carlo Scarpa. 1906- 1978, Mondadori Electa, 2006 (prima edizione 1984), p. 17. 31. Carlo Scarpa ritratto davanti al Padiglione del Libro, XXXII Biennale di Venezia, 1964, in Ilaria ABBONDANDOLO, Maria Pia BARZAN, Miriam FERRARI (a cura di), Carlo Scarpa e la forma delle parole. Guida alla Mostra, Centro Carlo Scarpa, Archivio di Stato di Treviso, Treviso 2011, p. 1.

La biografia di Carlo Scarpa è stata indagata da un’ampia bibliografia. 112 In questa sede si vogliono elencare le fasi salienti della vita e dell’opera dell’artista veneto. Carlo Alberto Scarpa nasce il 2 Giugno 1906 a Venezia, in corte d’Aseo, nei pressi di Campo Santa Margherita, da Antonio Scarpa, maestro elementare, e Emma Novello. Nel 1908 la famiglia si trasferisce a Vicenza, ove la madre gestisce un atelier di alta sartoria, mentre il padre si sposta continuamente tra Vicenza e Venezia, dove continua ad insegnare. Compiuti gli studi elementari, Carlo si iscrive ad una scuola tecnica. Nel 1919 muore la madre Emma; pochi mesi dopo, in aprile, la famiglia torna a stabilirsi a Venezia, dove Carlo decide di sostenere l’esame di ammissione alla reale Accademia di Belle Arti, esame che tuttavia non riesce a superare al primo tentativo. Nella sessione successiva Carlo riprova l’esame con successo e riesce ad iscriversi. Durante gli anni dell’Accademia, il giovane stringe 112

Vedi Bibliografia, pp.

45


amicizia con il pittore Mario De Luigi e con Carlo Marchietto che, divenuto ingegnere, sarà suo collaboratore. Contemporaneamente al percorso di studi, dal 1924 al 1926 inizia il tirocinio dell’attività professionale lavorando come assistente dell’architetto Vincenzo Rinaldi; di quest’ultimo, nel 1934, sposerà la nipote Onorina (Nini) Lazzari. Nel 1925 ottiene il suo primo incarico autonomo: il progetto per la realizzazione di un piccolo edificio annesso alla settecentesca villa di Gioacchino Velluti a Dolo (Venezia). Nello stesso anno, su incarico della società di maestri vetrai muranesi Cappellini & C., Carlo Scarpa segue i cantieri di uno stabilimento industriale e del restauro di palazzo De Mula a Murano; nel contempo, collabora con il prof. Franco Pizzuto in varie realizzazioni edilizie. Nell’ottobre del 1926, con una tesi progettuale su un’ambasciata, Scarpa consegue il diploma di professore di Disegno architettonico, con il massimo dei voti. Il titolo conseguito lo abilita all’insegnamento ma non alla professione di architetto e ciò costituirà un problema nel corso della sua lunga carriera, determinando numerose controversie legali intraprese dall’Ordine degli architetti di Venezia. Dopo il diploma, evitato il servizio militare, Scarpa inizia la propria attività di insegnante presso l’Istituto Superiore di Architettura di Venezia. Parallelamente all’impegno didattico egli sviluppa un forte interesse per la produzione dell’artigianato vetrario muranese, prima in qualità di consulente artistico della ditta Cappellin & Co. e poi, a partire dal 1935, iniziando una lunga collaborazione professionale con la ditta di Angelo Venin, destinata a protrarsi fino al 1947. Si dedica nel contempo alla pittura e al disegno. La produzione grafica di questo periodo, legata alla sua attività vetraria, si ispira liberamente all’arte di Braque, Leger, Picasso, Matisse; affiora, nel tratto dei disegni di alcuni vasi di Venini, una morbidezza del disegno e delle curve che ricorda il segno di Modigliani.113

113

Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 14.

46


Negli anni significativamente segnati dall’esperienza fascista, l’architetto entra in contatto con artisti e intellettuali di rilievo, come Aldo Camerino, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Ungaretti, Carlo Izzo. Il 1932 segna l’inizio della sua intensa partecipazione alla Biennale di Venezia, dove espone, in collaborazione con Mario De Luigi, un mosaico “a fresco” intitolato “Il bagno”.

32

33

32. Carlo Scarpa, dipinto giovanile; in Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 17; 33. disegno per l’incisione su un vaso della ditta Venini di Venezia, ivi, p. 19.

Alla fine degli anni ’30 ha inizio anche la sua attività di allestitore di mostre e musei, che nel decennio successivo lascia già tracce memorabili: si ricordino, a tal proposito, la mostra dell’oreficeria veneziana nella loggia del Sansovino, in piazza San Marco a Venezia (1937); la sistemazione delle opere di Arturo Martino (legato a Scarpa da una solida amicizia) in occasione dell’ultima Biennale

del

ventennio

fascista

(1942);

il

riordino,

per

conto

della

Soprintendenza di Venezia, delle Gallerie dell’Accademia, un lavoro che, a partire dal 1945, occuperà Scarpa a varie riprese per vent’anni; la mostra retrospettiva dell’opera di Paul Klee per la XXIV Biennale di Venezia (1948). Nel 1950 la rivista “Metron” pubblica un articolo riguardante il Padiglione per il libro d’arte, costruito ai Giardini della Biennale: a partire da questo momento, la

47

15


pubblicistica specializzata incomincia a interessarsi delle opere dell’architetto veneziano.114 Nel 1952 cura l’allestimento di una mostra dedicata all’opera grafica di Toulouse- Lautrec, nell’ala napoleonica delle Procuratie Nuove; in tale occasione, riceve da Roberto Calandra la proposta di curare la realizzazione della mostra “Antonello da Messina e il Quattrocento siciliano”. La mostra si svolge a Messina l’anno successivo, all’interno di palazzo Zanca. Nel biennio 1953-54, invitato dal soprintendente Giorgio Vigni,115 soggiorna in Sicilia a più riprese per la realizzazione del progetto della Galleria Regionale di Sicilia nel Palazzo Abatellis, a Palermo. Prosegue, intanto, la carriera di Scarpa come docente all’interno dell’Istituto universitario di Architettura, dove egli ha l’occasione di conoscere e confrontarsi con alcuni “maestri” dell’architettura italiana (Ludovico Barbiano di Belgiojoso, Franco Albini, Ignazio Gardella), chiamati a Venezia da Giuseppe Samonà, direttore dell’Istituto dal 1945. Tra il 1954 e il 1966 tiene annualmente a Roma lezioni per il seminario dei borsisti “Fullbright”, su invito della commissione americana per gli scambi culturali con l’Italia: la lezione tenuta nel 1954 ha per titolo Esperienze museografiche. Le opere degli anni Cinquanta testimoniano l’originalità del suo linguaggio rispetto alle ricerche esperite dalla cultura architettonica italiana di quegli anni. Degni di menzione, in tal senso, sono: il Padiglione del Venezuela ai giardini della Biennale (1953- 56); l’ampliamento della Gipsoteca Canoviana a Possagno nel 1955 e l’arredamento dell’Aula “Manlio Capitolo” del tribunale di Venezia nello stesso anno; il complesso degli interventi per il museo di Castelvecchio a Verona, a partire dal 1956; il negozio Olivetti (1957) e il riordino della Quadreria del Museo Correr (1957- 60) a Venezia. Numerosi anche i progetti per residenze, come quello per la villa Zoppas a Conegliano (1953) o per la casa Veritti a Udine (1955-61). Nel 1956 Scarpa riceve il premio nazionale Olivetti per l’architettura delle sale di Ca’ Rezzonico a Venezia. Mentre la sua notorietà va crescendo, Scarpa viene 114

vedi: red., Padiglione dei libri d'arte, in “Metron”, n. 38, ottobre 1950, pp. 17- 20 (ripubblicato in «L'Architettura. Cronache e Storia», anno XLI, n. 471, gennaio 1995, pp. 47 - 48). 115 Giorgio Vigni, senese, è stato soprintendente alle Gallerie ed Opere d´arte della Sicilia dal 1949 al 1957.

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denunciato per esercizio abusivo della professione di architetto dall’Ordine degli architetti di Venezia; seguiranno numerose cause giudiziarie, che si risolveranno sempre a favore dell’artista veneziano. Nel 1957 torna in Sicilia, per la progettazione di un edificio ad uso terziario a Catania, commissionatogli da un privato, poi da La Rinascente. Tra il 1961 e il 1963, Scarpa si occupa della sistemazione della Fondazione Querini Stampalia a Venezia; per le celebrazioni di Italia ’61, a Torino, allestisce il padiglione della Regione Veneto.

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35

37

34. il negozio Olivetti in una foto di Pietro Giacomelli (1959), in Guido BELTRAMINI, 2004, p. 53; 35. veduta esterna del negozio Olivetti, in Un negozio in piazza San Marco a Venezia, in «L’architettura. Cronache e storia», n. 43, maggio 1959, p. 2; 36. studio per villa Zoppas a Conegliano, 1953, in Orietta LANZARINI, 2009, p. 5; 37. Casa Veritti a Udine, 1955- 61, in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 24.

Negli anni Sessanta il valore dell’opera di Carlo Scarpa ottiene i dovuti riconoscimenti dalla cultura internazionale: in occasione della XII Triennale di 49


Milano (1960), l’architetto veneziano viene invitato a presentare la propria opera nella sezione delle mostre personali di architettura; nel marzo del 1963 riceve il premio IN/ ARCH (Inu/architettura) per la sistemazione museale di Palazzo Abatellis a Palermo; nel 1966, infine, è invitato a presentare i suoi lavori alla mostra “Architettura del Museo” al Museum of Modern Art di New York. Durante il viaggio negli Stati Uniti, Scarpa visita le opere di Frank Lloyd Wright e conosce personalmente Louis Kahn, che sarà poi suo ospite in Italia.

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38. Aula Manlio Capitolo, Tribunale di Venezia, 1955- 57; in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 111; 39. padiglione del Venezuela, 1953- 56, Ivi, p. 98; 40. interno del Padiglione del Venezuela, in Sergio POLANO, 1989, p. 9.

Nel 1967 Carlo Scarpa è incaricato dell’allestimento della sezione “La Poesia” del padiglione italiano all’Expo di Montreal; nel 1969 viene invitato all’università di Berkeley, in California, per curare la mostra dei disegni di Eric Mendelsohn. A partire del 1969, Scarpa inizia il suo capolavoro: la tomba monumentale Brion a San Vito d’Altivole (Treviso). Nel 1972

Scarpa viene nominato direttore dell’Istituto Universitario di

Architettura di Venezia. La creatività di questo periodo è testimoniata da numerosi progetti, pochi dei quali tuttavia verranno realizzati: tra questi, la 50


sistemazione della sede della Banca Popolare di Verona (1973), la casa Ottolenghi a Bardolino (1974), nonché numerosi allestimenti in Italia e all’estero. Progetti come quello per il deposito e la foresteria della Fondazione QueriniStampalia (1973), per la trasformazione museale del convento di Santa Caterina a Treviso (1974-75) o per il museo Picasso a Parigi (1975) rimandano invece a “ciò che avrebbe potuto essere”, attraverso la mole di materiale grafico e documentario accumulato nell’incessante lavoro di ridisegno cui Scarpa ogni progetto.

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41. Padiglione del Veneto, Il senso del colore e il dominio delle acque, nell’esposizione Italia ’61 a Torino (1961), foto di Stefan Buzas, in Guido BELTRAMINI, 2004, p. 92; 42. ponticello di accesso alla sede della Fondazione Querini Stampalia (1961- 63), in Renata CODELLO, Alberto TORSELLO, 2009, p. 16;

Negli anni Settanta, Scarpa torna inoltre a progettare in Sicilia, in collaborazione con Roberto Calandra, per curare il progetto di restauro del palazzo SteriChiaramonte a Palermo (a partire dal 1972) e del nuovo Museo Regionale a Messina (1974). Nel 1977 l’architetto lascia l’insegnamento; nel 1978 lo IUAV gli conferisce la laurea honoris causa in architettura. Il 28 novembre dello stesso anno, Carlo Scarpa muore a Sendai, in Giappone, per le conseguenze di una caduta. Per volontà testamentaria, le sue spoglie riposano in un appartato angolo della Tomba Brion, nel cimitero di San Vito d’Avole.

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44. Tomba Brion: edicola con i sepolcri dei committenti; in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 237. 45. l’ingresso dei “propilei” nella Tomba Brion, in Comune d’Altivole, 2008, p. 19.

1.6. Caratteristiche dell’architettura di Carlo Scarpa

Sarebbe impossibile sintetizzare in un breve testo l’intero vocabolario formale e spaziale dell’architettura di Carlo Scarpa; tuttavia è possibile evidenziare alcuni riferimenti essenziali e idee ricorrenti nella sua opera. Temi compositivi particolarissimi ritornano sempre variamenti combinati nei progetti del maestro veneziano: l’uso della luce e i giochi d’acqua; il gusto del particolare e le insistite variazioni cromatiche dei legni, delle pietre, degli stucchi; i riferimenti a temi wrightiani, giapponesi e neoplastici. Si ritrova sempre, nell’opera dell’architetto,

una

ricerca

ostinata

della

perfezione formale

dell’unità

complessiva e di ogni sua parte, anche di minime dimensioni, perseguita in ogni tema architettonico indipendentemente dalle specifiche, e più o meno nobili, destinazioni d’uso. La sua visione dell’architettura raccoglie decorazione, arredamento e costruzione sotto il comune denominatore della “bellezza”, imperativo categorico valido in ogni tempo e fondata sulla compresenza di orientamenti istintivi e scelte razionali: «Così come si provvede alla necessità, mi pare molto

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logico provvedere alla bellezza, un fatto, questo, insito negli uomini sin dalle origini».116

1.7. Influenze e formazione

Certamente un’influenza importante sulla sua visione dell’architettura è riconducibile ai luoghi della sua infanzia e della sua formazione giovanile: Vicenza, dove da ragazzo ebbe occasione di ammirare la misura e la purezza classica delle architetture palladiane, e soprattutto Venezia. Scarpa stesso ebbe a dire: «in fondo sono un bizantino che è arrivato a Venezia passando per la Grecia»117, ed è infatti alla realtà di Venezia che bisogna rivolgere l’attenzione per capire il suo lavoro. Venezia, da sempre città cosmopolita e internazionale,

aperta

alle

influenze

dell’estremo e del medio Oriente, è senza dubbio

la principale fonte creativa

di

Scarpa. Il richiamo ad una Venezia non vernacolare ma letta con gli occhi di una cultura

mitteleuropea,

esposta

alla

contaminazione di culture extraeuropee, è presente negli spazi e nelle forme dissolte, nei materiali e nei colori di quasi tutte le sue opere.

46 46. Carlo Scarpa, progetto per una chiesa a Sant’Elena, Venezia 1926; in Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2004, p. 39.

Le atmosfere e la componenti fondamentali dell’architettura veneziana ritornano prepotentemente nella visione dell’architetto: il gotico veneziano, dove «le superfici predominano sulle masse»; 118 un certo bizantinismo e il gusto per «un’analisi

spietata del particolare»;119 il ruolo dell’acqua come elemento che

116

Lectio Magistralis intitolata “Arredare”, tenuta da Carlo Scarpa presso lo IUAV il 18 Marzo 1964 in: http://www.negoziolivetti.it/lectio-magistralis-di-carlo-scarpa. 117 Richard MURPHY, 1991, p. 14. 118 Ibidem. 119 Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 14.

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condiziona la vita dei veneziani e trasforma le architetture dei palazzi; la tradizione dell’artigianato. La sensibilità di architetto radicato nella propria terra si lega tuttavia, fin dagli anni dell’Accademia, alla volontà di accostarsi all’arte e all’architettura del proprio tempo: già nelle prime esercitazioni pittoriche, e poi durante la sua attività di designer presso la ditta di vetro soffiato Venini, affiora l’influenza di Cezanne, del divisionismo, del futurismo, del cubismo. Nei primi anni di attività, la produzione architettonica di Scarpa rivela una certa condivisione dei principi del razionalismo, con la predilezione per un rigore geometrico assoluto, spoglio, senza ornamenti, secondo uno stile che attesta l’influenza dell’architettura di Adolf Loos, di Walter Gropius e dei primi edifici per abitazione di Le Corbusier e Mies Van Der Rohe.120 Fondamentale, sin dagli inizi della carriera di Scarpa, è anche il rapporto con la Secessione Viennese e in particolare con l’opera di Josef Hoffmann, per il quale l’architetto veneziano dichiara più volte la sua incondizionata ammirazione.121 L’architetto matura ben presto una propria visione attraverso una meditata assimilazione del linguaggio di Frank Lloyd Wright. Il lungo e fecondo rapporto con l’opera di Wright è già in nuce nei primi allestimenti per la Biennale e viene esplorato con particolare insistenza nella progettazione di nuovi edifici tra il 1947 e il 1960. L’influsso del maestro di Taliesin è evidente nei progetti di abitazione dell’architetto veneziano,122 come villa Zoppas a Conegliano (1953), casa Veritti a Udine (1955- 61) e casa Taddei (1957), dove Scarpa sperimenta alcuni temi wrightiani come l’«aggregazione planimetrica delle funzioni abitative attorno ad uno spazio unificante» e la «decorazione geometrica, sviluppata

120

Ivi, p. 16; ci si riferisce, in particolare, ai primissimi progetti dell’architetto veneziano, che riguardano per lo più arredamenti per abitazioni e alberghi, ma anche strutture complesse (non realizzate) progettate negli anni Trenta: il concorso per il ponte dell’Accademia, l’aerostazione dell’Aeroporto Nicelli al Lido di Venezia, l’abitazione Bassani a Cortina d’Ampezzo. 121 Nell’unica conferenza tenuta a Vienna (16 novembre 1976, Akademie der bildenden Künste), Carlo Scarpa afferma: «la tradizione dei miei studi, per una sorta di naturale affinità geografica, mi ha portato ad essere più vicino alla modernità che veniva da Vienna, con i nomi gloriosi che voi tutti conoscete. Naturalmente, l’artista che più ho ammirato e che più mi ha insegnato è stato […] Josef Hoffmann. In Hoffmann vi è una profonda espressione del senso di decorazione che, in studenti abituati all’Accademia di Belle Arti, faceva pensare, come ha detto Ruskin, che “l’architettura è decorazione”. La ragione di tutto ciò è molto semplice: in fondo io sono un bizantino, e Hoffmann, in fondo, ha caratteri un po’ orientali»; in Rainald FRANZ, “La Viennesità evidente”. Immagini da un’architettura mitteleuropea: Hoffmann e Vienna nell’opera di Scarpa, in Wolf TEGETHOFF, Vitale ZANCHETTIN, 2007, p. 99. 122 Si veda, a tal proposito, Dagmar HOLSTE, L’influsso di Wright nelle strutture di Carlo Scarpa: riflessioni su due progetti di case, in Wolf TEGETHOFF, Vitale ZANCHETTIN, 2007, p. 115.

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anche volumetricamente». 123 Il rapporto con l’architettura wrightiana, tuttavia, sarà costante nel corso di tutta la carriera dell’architetto veneziano, sempre però all’interno di una poetica del tutto personale. Nelle opere di Scarpa è evidente anche la lezione di Alvaar Aalto, da cui assimila l’attenzione data all’importanza della luce e, sia pure in forme diverse, una certa propensione alla decorazione e al colore a partire dalla proprietà intrinseche dei materiali. Nella sistemazione dell’ex- Aula Magna al secondo piano di Ca’ Foscari, il trattamento della parete vetrata ricorda da vicino gli esperimenti che Aalto faceva nei pannelli tridimensionali di legni piagati a caldo, esaltando la possibilità di forme geometriche in bilico fra l’astrazione e l’allusione a schemi di alberi ramificati. Scarpa, tuttavia, appare lontano dalla sensibilità nordica aaltiana, che esalta in purezza stereometrica ogni volume e smaterializza i muri; il maestro italiano preferisce accentuare piuttosto la corposità delle pareti.124

47

48

47, 48. due sale del Museo di Castelvecchio a Verona; in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 147, 149.

Alla lezione dell’”architettura organica” si unisce sovente, in modo singolare, l’influsso del Neoplasticismo, derivato dallo studio dell’opera degli architetti “De Stijl” e della pittura di Mondrian: dal pittore olandese, in particolare, e dalla sua ricerca di ritmi ed armonie in tessiture geometriche aperte, Scarpa trae la 123 124

Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 36. Ivi, pp. 39- 40.

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possibilità di strutturare senza regole fisse ogni elemento piano dell’architettura sulla base di pochi dati compositivi; dagli architetti neoplastici, come Van T’Hoff, Wils, Oud, Lissitsky, Richter e soprattutto Rietveld, l’architetto veneziano apprende ad organizzare nello spazio le superfici col fine di mantenere aperta e animata da ritmiche corrispondenze la volumetria complessiva. Da questi riprende anche l’uso del colore come elemento essenziale del comporre, ma si stacca da una valorizzazione programmatica dei colori primari per legarsi alla colorazione costruttiva veneta e alla sua gamma coloristica ampia, variegata, spesso preziosa, negli intonaci e negli stucchi.

49

50

49, 50. Casa Bellotto, Venezia (1944- 46), rampa elicoidale, in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 47; Gipsoteca Canoviana, Possagno (1955- 57), Ivi, p. 118.

L’utilizzo delle possibilità figurative neoplastiche è evidente soprattutto nei progetti di ripristino dei vecchi edifici (Museo di Castelvecchio, Palazzo Abatellis), dove Scarpa sovente trasforma la compattezza e chiusura degli antichi volumi in continuità spaziali tra esterno e interno tramite assi visivi, aperture di finestre e sottili e complesse strutturazioni geometriche dell’insieme spesso non immediatamente percepibili.

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Non va dimenticato, infine, il fascino che esercita su Scarpa l’architettura orientale, in particolar modo giapponese: come nella cultura nipponica, infatti, nei progetti per musei e allestimenti, «Scarpa spesso offre al visitatore il frammento di un oggetto invitandolo a proseguire nella scoperta o, nel caso questo si rivelasse impossibile, a ricostruirlo con l’immaginazione nella sua interezza».125 La varietà dei modelli culturali e architettonici di riferimento è evidente ad un’osservazione attenta dell’opera di Scarpa, ma genera al contempo un linguaggio architettonico nuovo e del tutto personale, che rivela, come ha scritto Manfredo Tafuri, «una ricerca svincolata da modelli definiti e univoci».126

1.8. Il contesto culturale e architettonico.

L’opera di Carlo Scarpa è improntata ad una grande originalità ed autonomia di ricerca, a cui corrisponde la difficoltà della storiografia contemporanea a dare collocazione adeguata alla sua produzione nel quadro dell’architettura italiana del Novecento. Nel corso della sua carriera, egli si mantiene lontano dai sentieri più battuti degli architetti italiani coevi, da una semplicistica assunzione delle nuove tecnologie costruttive, da atteggiamenti di radicale opposizione nei confronti dell’assetto sociale prevalente. Più fattori concorrono a definire tale orientamento, singolare nel quadro culturale italiano e disagevole per molta critica. Va ricordato, innanzitutto, il temperamento di Scarpa, un uomo di carattere schivo e solitario, in parte legato anche al carattere “insulare” del suo essere veneziano. Un’altra spiegazione della diversità del percorso di Carlo Scarpa rispetto ai suoi colleghi va ricercata nel fatto che il maestro veneziano ha avuto numerosi incarichi ma, fatta eccezione per le esperienze museografiche e di allestimento,

125

Richard MURPHY, 1991, p. 16. Scrive ancora Tafuri: «È necessario avvertire che per un artista come Scarpa, così aperto a tutte le suggestioni dell’arte antica, moderna e contemporanea, tanto da fare di tale capacità di ascolto un metodo di comportamento, l’isolamento delle singole fonti può essere sviante […] Allineare su una superficie piatta i riferimenti ideali di Scarpa […] è pleonastico come è riduttivo isolare una di tali componenti»; in Manfredo TAFURI, Il frammento, la “figura”, il gioco. Carlo Scarpa e la cultura architettonica italiana, in Francesco DAL CO, Giuseppe MAZZARIOl, 1984 (b), p. 89. 126

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per lo più da committenti privati e quasi mai di grandi dimensioni. Inoltre, il suo particolare modo di lavorare, caratterizzato da un lungo, paziente tempo di elaborazione, da una cura talvolta esasperata dei particolari, concorrono a tenerlo ai margini di una situazione generale della cultura architettonica italiana, in cui attività professionale, riflessioni critiche su riviste specializzate e insegnamento universitario intrecciano trame strette e complesse. Scarpa, dunque, si mantiene distante dai problemi della ricostruzione post- bellica dapprima e della pianificazione dell’espansione urbana poi. Si oppone inoltre a molti degli orientamenti dell’architettura coeva: in un suo discorso allo IUAV,127 afferma di essere contro la distruzione di «ogni spessore murario e quindi di ogni volume chiuso» e contro il purismo che ha creato «il nulla intorno alle cose», espressione dell’ «anarchia libertaria moderna» che, sfuggendo ad una normatività formale di carattere rinascimentale, è caduta nella schiavitù di regolamenti edilizi e ha causato povertà inventiva e semplicismo formale nel campo dell’architettura. L’architetto veneziano non appare tuttavia estraneo ai principali temi che attraversano la cultura architettonica dal 1946 agli anni Sessanta: dal recupero critico del rapporto con i valori della tradizione d’architettura all’interesse per i connotati specifici di ogni ambiente in contrasto agli orientamenti funzionalisti del primo razionalismo, alla valorizzazione delle tradizioni artigianali,128 Scarpa si limita però soltanto ad una consonanza di ricerche con questi momenti, dai quali si stacca per il perseguimento delle proprie intenzioni.

1.9. Il rapporto con l’artigianato e l’uso dei dettagli e dei materiali

Una costante della carriera di Carlo Scarpa è l’interesse per il mondo artigiano di Venezia, per la produzione vetraria muranese, per i progetti di mobili, per i supporti di vario genere degli allestimenti di mostre temporanee e musei, per la finitura delle superfici murarie secondo le tecniche veneziane tradizionali, dalla calce scialbata allo stucco lucido al marmorino tirato a caldo o a freddo. 127 128

Discorso inaugurale dell’anno accademico 1964-65; in: Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 49. Espresse in quegli anni, in particolare, nell’esercizio professionale da Mario Ridolfi.

58


L’architetto si affida per questi lavori ad artigiani di fiducia: fabbri, falegnami, stuccatori, che porta con sé ovunque gli è possibile. Scarpa ama rivelare le possibilità poetiche dei materiali costruttivi, esaltandone le qualità materiche e luministiche e sperimentando le combinazioni più insolite. Fissa dunque un proprio linguaggio nel caratteristico modo di accostare ferro ottone e legno, nel trattamento dei legni dei serramenti, spesso caratterizzati da motivi geometrici particolari, nella ricerca di preziosità luminose e coloristiche dei rivestimenti a calce compatti, perfetti nella finitura, brillanti e levigati. La sensibilità di Scarpa è particolarmente evidente nei punti dove i materiali si incontrano. Louis Kahn coniò la frase «l’ornamento è l’esaltazione del giunto»129 e certamente un tratto imprescindibile dell’architettura di Scarpa è il tema del bordo, del confine, del limite: che si tratti anche semplicemente del bordo di una lastra, delle linee divisorie tra le assi del pavimento, dell’angolo di una stanza, del vuoto tra i gradini o della stretta fessura che separa due materiali diversi, l’architetto veneziano non trascura mai di curare il disegno dei margini o dei vuoti.

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51. interno di Casa Pellizzari, Venezia 1943, in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 37. 52. negozio Olivetti, Venezia 1957- 58, ivi, p. 140.

129

Richard MURPHY, 1991, p. 16.

59


1.10. La luce e l’acqua

L’uso della luce assume un ruolo fondamentale nell’architettura di Carlo Scarpa, soprattutto nelle sue numerose opere di allestimento di musei e mostre: «materia

prima di ogni buon allestimento, è usata allo stato naturale, filtrata da

radi teli o da più fitte e lucide trame di seta, diffusa dall’alto e distribuita con equilibrio sulle superfici policrome dei quadri; lasciata sciabolare libera sulle forme levigate di pietra o di gesso, spesso autorizzata a riempire come fluido prezioso vaste aule o stretti passaggi, che a stento sopportano l’artificio di una sola lampada».130 L’attenzione che Scarpa riserva agli effetti luministici è evidente, ad esempio, nella Gipsoteca Canoviana, dove la luce percorre le pareti lisce e lucide opportunamente intonacate di bianco; per esaltare la bellezza delle opere di Canova, inoltre, l’architetto veneziano colloca sempre queste ultime laddove possano essere investite dai raggi della luce naturale, e disegna aperture a foggia di cubo o parallelepipedo disposte nei punti più impensabili. Il ricorso alla luce come parte integrante dell’opera architettonica ricorre anche nei progetti di Scarpa in Sicilia, come si vedrà meglio in seguito.

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54

53. Carlo Scarpa, studio del velario di una sala alla mostra sulle opere di Frank Lloyd Wright (Milano,1960), in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 193. 54. interno della Gipsoteca Canoviana di Possagno, ivi, p. 137.

130

Bianca ALBERTINI, Alessandro BAGNOLI, 1992, p. 16.

60


Altro elemento essenziale dell’architettura di Carlo Scarpa è l’acqua, un tema che appassiona l’architetto veneziano in quanto è strettamente legato agli ambienti e alle atmosfere lagunari dove egli è cresciuto. Senza l’acqua molti progetti di Scarpa muterebbero di significato; essa funge da connessione fra edificio e parti esterne, sgrava le superfici e i volumi dal loro peso, dona loro quella libertà e leggerezza che fa dell'architettura pittura, varietà e poesia: così avviene nella Gipsoteca Canoviana di Possagno, dove una stretta vasca d'acqua in fondo alla vetrata riflette sul soffitto una luce capace di dare movimento alla staticità delle sculture; nel negozio Olivetti, in piazza San Marco, dove l'acqua diventa base di una scultura; nel museo di Castelvecchio, a Verona, dove Scarpa porta l’acqua dentro al recinto del castello; nella Fondazione Querini- Stampalia, dove l'acqua alta della Laguna entra nell'architettura e dove rivoli d’acqua abbelliscono il giardino; nella Tomba Brion, dove il dialogo fra acqua e architettura raggiunge esiti di altissima intensità poetica.

55

56

55. interno della Fondazione Querini Stampalia (1961- 63), con in evidenza il portone sul canale; in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 163. 56. veduta dei giardini della Fondazione Querini Stampalia a Venezia, ivi, p. 168.

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1.11. Il disegno

57

58

57. Carlo Scarpa, Autoritratto, in Francesco DAL CO, Giuseppe MAZZARIOl, 1984 (b), p. 10. 58. studio in alzato per l’ingresso della Tomba Brion (San Vito d’Altivole, 1969- 1978), in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 375.

Per capire l’opera di Scarpa occorre partire dalla sua attività di disegnatore. La visione dell’architetto veneziano si esprime attraverso il ricorso al disegno come medium di indagine e di espressione, come strumento per “conoscere”: «Voglio vedere le cose, non mi fido che di questo. Voglio vedere, e per questo disegno. Posso vedere un’immagine solo se la disegno».131 Il disegno diventa un modo per dare corpo e rappresentazione alle forme e alle figure, ma anche ai desideri dell’autore, e creare una corrispondenza tra passato e presente, tra la tradizione rinascimentale (che vedeva il disegno come una comune scrittura per tutte le arti figurative) e il futuro costituito dalla nuova architettura. Fin dagli esordi, Scarpa indaga le qualità plastiche dello spazio architettonico, servendosi non solo di piante, prospetti e sezioni, ma anche della rappresentazione tridimensionale per mezzo della prospettiva, utilizzata per verificare visivamente la resa degli spazi nel progetto. La veduta prospettiva, sovente colorata a pastello, diventa un modo per capire il funzionamento dello spazio secondo una visione calibrata sulla scala umana, considerando come punto di vista prioritario l’occhio dello spettatore che ne fruisce.

131

Franco MANUSO, Edoardo GELLNER, 2000, p. 38.

62


60

59

61

59. studio per la veranda di una casa al Lido di Venezia, 1937; in: Orietta LANZARINI, 2009, p. 3. 60. disegno di studio per casa Pellizzari, Venezia 1942, ivi, p. 25. 61. prospettiva di una sala alla mostra su Giovanni Bellini (Venezia, 1948) in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 119.

L’attenzione che Scarpa riserva al rapporto tra figura umana e spettatore è testimoniata anche dalle varie figure umane che popolano i disegni di Scarpa, soprattutto donne, nude o abbigliate secondo la moda del tempo. Le tecniche di disegno sono oggetto di continua sperimentazione nel percorso professionale dell’architetto, che cerca sempre nuovi metodi di espressione variando il supporto (carta, lucido..) e lo strumento grafico, prediligendo comunque sempre la grafite, spesso accompagnata da pastelli colorati, per la possibilità di modulare l’intensità chiaroscurale anche di un singolo segno. Un caso particolare nella produzione grafica scarpiana sono i disegni di allestimenti: in essi, l’opera d’arte da esporre è spesso ridisegnata, a margine del progetto o già inserita nelle strutture espositive. Di questa prassi esistono numerose testimonianze, basti citare i disegni redatti per le Gallerie dell’Accademia di Venezia o per Palazzo Abatellis a Palermo. Stabilire un rapporto tra l’oggetto d’arte e l’allestimento è, infatti, un tratto cruciale nel lavoro 63


di Scarpa. Segnala Luciano Gelmin: «il suo metodo era particolarmente differente, ad esempio, da quello di Franco Albini, che poteva preparare una mostra nel suo studio molto prima della sua effettiva realizzazione. Scarpa cercava costantemente un rapporto con l’opera d’arte, l’allestimento poteva essere semplicissimo ma era l’intuizione di questo rapporto che contava».132 Nel riprodurre un quadro o una scultura, Scarpa crea i presupposti per dare corpo a tale “intuizione”, individuando i caratteri peculiari di un oggetto, da rivelare poi allo spettatore attraverso l’allestimento.

1.12. Musei e allestimenti

Nel corso della sua carriera, Carlo Scarpa ha realizzato uno straordinario numero di progetti per l’allestimento di mostre temporanee e per musei: alla prima categoria appartengono i vari progetti per la Biennale di Venezia, nonché le mostre “Antonello da Messina e il Quattrocento siciliano” a Messina (1953), “Piet Mondrian” a Roma (1956), “Frank Lloyd Wright” a Milano (1960), “Il senso del colore e il dominio della acque” a Torino (1961), “Affreschi fiorentini” a Londra (1969), “I disegni di Erich Mendelsohn” a San Francisco (1969), le retrospettive personali a Londra, Venezia, Parigi e Madrid negli anni ’70; tra gli allestimenti espositivi permanenti, si ricordino la ristrutturazione del Museo Correr (1953 e 1957-60), il progetto per la Galleria Regionale di Sicilia a Palermo (1953-54), i lavori per la Galleria degli Uffizi a Firenze, il padiglione venezuelano a Venezia

(1954-56), la Gipsoteca di Possagno (1955-57), la

Fondazione Querini Stampalia a Venezia (1961-63), il Museo di Castelvecchio a Verona. La visione che Scarpa ha del concetto di “museo” è particolarmente caratteristica. L’approccio dominante in ambito museale è stato, per molto tempo, quello fissato dalle raccolte e dai musei ottocenteschi e prevedeva sovente un blocco edilizio di più piani, caratterizzato planimetricamente da una successione di sale di varia ampiezza e identica tipologia, talvolta illuminate dall’alto, dove erano collocate le opere, distinte per genere (pittura, scultura, disegno) o per 132

Intervista a Luciano Gemin in: Sandro GIORDANO, Il mestiere di Carlo Scarpa. Collaboratori, artigiani, committenti, tesi di laurea, relatori F. Dal Co, G. Mazzariol, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, aa. 1983-84, pp. 50-51.

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provenienze

regionali

o

per

scuole;

ogni

raggruppamento

aveva

un’organizzazione cronologica interna. L’edificio che ospitava tali collezioni aveva caratteristiche formali autonome rispetto alle opere d’arte, indifferenti e distinte rispetto alle qualità specifiche di queste ultime.

63

62

62. Gallerie dell’Accademia, Venezia (19451959), in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 58. 63. Museo Correr, Venezia (1952-60), particolare di una sala dell’allestimento, ivi p. 72.

Nella seconda metà del Novecento, in Italia, si afferma un nuovo tipo di esposizione museale, dove i percorsi e gli spazi museali sono concepiti in funzione delle opere d’arte esposte e per queste ultime sono previste collocazioni uniche e permanenti che cercano di valorizzare le qualità degli oggetti in modo da stabilire una comunicazione diretta con il visitatore. Questo secondo approccio è evidente nelle sistemazioni museali progettate da Franco Albini per il Palazzo Bianco (1950-51) e per il Palazzo Rosso (1953-61) a Genova, o nella conversione a museo del Castello Sforzesco a Milano eseguita da BBPR tra il 1953 e il 1961. Tali esempi di conversione museografica sono comunemente indicati sotto il nome di “scuola italiana”. A proposito di questo movimento, Bruno Zevi scrive nel 1958 che in Italia i musei sono sempre stati tradizionalmente concepiti su scala monumentale, come una sorta di guscio in cui le opere d’arte venivano inserite successivamente; con la “scuola italiana”, 65


invece, questo concetto viene ribaltato, in quanto le opere d’arte stesse, studiate approfonditamente al fine di ottenere la collocazione migliore, creano l’architettura, determinando l’organizzazione degli spazi.133 In Italia tale movimento assume anche chiare inclinazioni politiche, inserendosi in una più generale reazione agli orientamenti predominanti nel ventennio fascista, durante il quale il museo aveva esercitato un ruolo celebrativo e propagandistico, configurandosi come mero contenitore delle ricchezze patrie, senza alcuna funzione interpretativa. Nel dopoguerra si delinea invece una nuova concezione di “museo democratico”, dove si cerca non solo di esporre, ma di creare una forma di comunicazione tra l’opera e il visitatore, ai fini di veicolare verso una maggiore comprensione dell’arte anche “l’uomo della strada”: «L’attento studio dei percorsi, svolto a una scala di dettaglio, porta Albini e Scarpa a definire una precisa connessione tra ordinamento e allestimento per far coincidere in maniera chiara il percorso fisico con quello conoscitivo.

Ma

allestimenti,

a

soprattutto fornire

essi

riescono,

un’immagine

attraverso

completamente

pochi

nuova

felicissimi

del

museo

contemporaneo, in cui il rapporto tra lo spazio contenente e l’oggetto contenuto è risolto in termini di complementarità: ciascuna accentua ed interpreta le qualità

dell’altro.

Si

tratta

dell’allestimento

cosiddetto

“chiuso”:

ogni

modificazione nella disposizione degli oggetti altererebbe irrimediabilmente l’equilibrio dell’insieme».134 L’opera di Carlo Scarpa si inserisce in questo nuovo clima culturale e determina un apporto particolarmente originale per quanto riguarda la collocazione delle opere, il loro raggruppamento e la loro illuminazione. L’architetto veneziano predilige, anzitutto, l’uso della luce naturale poiché essa «muovendosi su una scultura non dà mai effetti negativi».135 Rispetta sempre l’ordine cronologico dell’esposizione, ma adotta soluzioni più elastiche e originali nei raggruppamenti di genere, mescolando talvolta pitture, sculture ed oggetti artistici vari. I percorsi di visita vengono sempre interrotti con pause al di fuori dell’itinerario, mediante giardini o punti dell’edificio con vedute particolari sull’esterno.

133

Il passo è citato in: Richard MURPHY, 1991, p. 18. Renato AIROLDI, Museo e musei: architetture contemporanee, in «Casabella», n. 433, 1979, p. 19. 135 Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 82. 134

66


64

65

64. interno della Gipsoteca Canoviana di Possagno, in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 117. 65. particolare di una sala delle Gallerie dell’Accademia, Venezia, ivi, p. 54.

Ad ogni opera esposta l’architetto assegna una quantità di spazio adeguata a determinare

un

rapporto

intenso

tra

l’oggetto

e

lo

spettatore.

Tale

preoccupazione spinge Scarpa a non realizzare mai sequenze troppo fitte di opere, selezionandone sempre un numero ristretto; una simile scelta risulta essenziale anche dal punto di vista della funzione didattica del museo, in quanto questa ultima può essere soffocata dalla tendenza a sovraccaricare le sale di esposizione. Egli definisce sempre con grande attenzione i caratteri specifici della visione, orientando mediante il suo allestimento la distanza di osservazione dell’opera al fine di esaltare le caratteristiche dell’opera esposta. E’ sempre attento a variare con opportuni accorgimenti il rapporto tra opera d’arte, supporto e fonte luminosa: disegna sempre egli stesso le bacheche, i supporti e i cavalletti del museo; tende a staccare gli oggetti dal fondo delle pareti; dosa la luminosità delle sale e i caratteri coloristici, realizzando pannelli colorati dietro le opere, o proteggendo gli oggetti dalla luce diretta mediante l’uso di velari in cotone (come al museo di Castelvecchio a Verona o a Palazzo Abatellis a Palermo), talvolta montati su telai orientabili, durante il giorno, dal personale del museo. Privilegia il ricambio d’aria naturale, consentendo all’aria di circolare liberamente tra sculture e pitture e dotando le sale di carabottini per migliorare il sistema di ventilazione.

67


Tutti questi accorgimenti, insieme all’organizzazione planimetrica dei percorsi, rivelano come per Scarpa il museo sia concepito come un evento dinamico, una sequela di spazi e vedute che non è mai statica o prevedibile, ma invita continuamente lo spettatore a nuove scoperte ed esplorazioni e propone itinerari pieni di avvenimenti architettonici.

66

67

66. studio per l’esposizione della statua di Cangrande, al Museo di Castelvecchio a Verona, in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 184. 67. la statua di Cangrande, cardine attorno a cui ruota l’allestimento scarpiano al Museo di Castelvecchio (intervento realizzato a partire dal 1957), in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 146.

1.13. Il rapporto con l’antico

Certamente fondamentale è il contributo di Scarpa nel campo del restauro. Egli si trova sovente a dover intervenire su antichi edifici e a curarne i progetti di recupero. A riguardo del suo rapporto con l’architettura storica, l’architetto stesso afferma: «Il metodo del restauro critico […] distingue nettamente tra antico e moderno: l’antico viene rigorosamente rispettato e portato in luce in tutti i casi in cui è possibile, ricucendo le ferite e le rovine causate dal tempo e dagli uomini, in maniera da rendere minimi ed evidenti gli interventi di sutura; il moderno viene inserito quando vi sia necessità di completare le parti restituite a 68


nuova funzione, senza alcuna esitazione nell’uso del linguaggio architettonico del nostro tempo, ma con l’intento costante di comporre il vecchio col nuovo secondo un’armonia strutturale unitaria».136

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68. fotografia ritoccata con colori da Carlo Scarpa per la collocazione della Statua di Cangrande davanti all’attuale entrata- uscita del Museo di Castelvecchio, una ipotesi poi non realizzata (grafite e pastelli colorati su stampa fotografica, datazione 1961- 64), in Alba DI LIETO, 2006, p. 293. 69. un interno del museo di Castelvecchio, in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 157.

Nel concreto dei suoi interventi, si può notare come l’approccio di Scarpa all’antico sia diverso a seconda delle situazioni: «si fece in alcuni casi osservatore dell’unità di immagine dell’edificio; in altri stabilì una tensione dialettica tra i propri interventi e le preesistenze; in altri ancora si sovrappose ad esse, senza cancellarle completamente ma lasciandole come frammenti di un passato qua e là affiorante e non più riconoscibile. Non fu dunque, in nessun caso, restauratore. La prudente conservazione dell’antico che talvolta si rinviene nella sua attività dipese in gran parte dai limiti che le condizioni di incarico gli imponevano o dal rapporto con esperti locali».137 Sebbene in alcuni progetti per sistemazioni museali (Palermo, Verona, Venezia), il rapporto tra architettura del passato e intervento moderno appaia particolarmente sensibile e meditato, le esperienze progettuali di Scarpa in tale ambito non sono necessariamente legate all’interesse di Scarpa per le problematiche inerenti il restauro dei monumenti antichi: emerge, nell’opera

136 137

Richard MURPHY, 1991, p. 1. Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 83

69


dell’architetto, un «inconscio antagonismo tra storia e poesia, tra atteggiamento filologico ed invenzione artistica».138 Il rapporto del maestro veneziano con l’architettura del passato è improntato dunque più alla sua sensibilità poetica più che ad autentiche preoccupazioni filologiche. Gli interventi scarpiani, tuttavia, non si impongono mai con violenza sull’edificio antico: la capacità di «leggere le opere figurative per quello che realmente sono»,

139

di comprendere pienamente i caratteri storici e

architettonici del monumento, consente all’architetto di assimilarne i dati formali e di rielaborarli in cadenze personali: «Le maschere del teatro cinese sottolineano il carattere artificioso della recitazione, istituendo un netto distacco tra teatro e vita reale, ma giocando allo stesso tempo sui punti di contatto fra l’uno e l’altra. In un certo senso entro un ambiguità analoga Scarpa affrontò il tema della ristrutturazione di antichi edifici: ogni forma del passato poteva essere spunto per variare e rendere più complessi i temi figurativi moderni».140

138

Ibidem Sergio LOS, 1967, p. 25. 140 Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 84. 139

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Capitolo 2 La nascita del sodalizio umano e professionale tra Carlo Scarpa e Roberto Calandra e la mostra su Antonello da Messina. 2.1. La comune militanza nell’APAO e l’incontro tra i due architetti. Il dibattito architettonico del primo dopoguerra, reso particolarmente acceso dalle necessità della ricostruzione, è caratterizzato dal sorgere di iniziative e di movimenti diversi e talvolta in contrasto fra loro. In tale ambito storico, si colloca la fondazione, nel 1945, dell’Associazione per l’Architettura Organica (APAO), per volontà di Bruno Zevi141 ed altri architetti del tempo (Luigi Piccinato, Mario Ridolfi, Silvio Radiconcini, etc..). Il movimento privilegia le istanze organicistiche dell’architettura, sull’esempio di Wright ed Aalto e a fronte del funzionalismo razionalista dominante. Ben presto, l'APAO. da Roma si sviluppa rapidamente in tutta Italia raccogliendo le migliori forze dell'architettura moderna: a Torino, il gruppo diretto dall’arch. Giovanni Astengo, che ha già formato un'Associazione intitolata a Giuseppe Pagano, viene trasformato in APAO piemontese e si distingue subito per la sua vocazione alla pianificazione regionale; sezioni dell’ APAO sorgono a Venezia, a Bologna, a Firenze, a Napoli e Palermo. Il movimento non riesce ad affermarsi solo a Milano, dove negli stessi anni si è formato il Movimento Studi Architettura, un raggruppamento di alcuni esponenti di adesione razionalista che non condividono alcuni aspetti dell’impostazione zeviana. Nasce così l’idea di costituire il Faiam (Federazione Associazioni Italiane Architettura Moderna), nel tentativo di raggruppare le diverse

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Sull’episodio, Bruno Zevi ebbe a dire: «Siamo nel 1944. Mancano dieci anni per l’inizio di “Cronache”. Il giorno dopo essere approdato all‘Hotel Ludovisi, vicino a via Veneto, mi vengono a trovare Cino Calcaprina e Silvio Radiconcini. La sera vado a trovare Luigi Piccinato, l’unico architetto italiano cui abbia pensato con fiducia durante l'emigrazione. Vedo poi Mario Fiorentino che, dopo essere stato arrestato per antifascismo, si sta preparando alla laurea. Bisognava prendere un’iniziativa. E fu l’Associazione per l’Architettura Organica» (testo tratto da: http://www.fondazionebrunozevi.it/19331944/frame/pagine/fondazapao.htm, consultato il 10 maggio 2012). Sul rapporto tra Zevi e l’architettura organica, si veda Bruno ZEVI, Verso un'Architettura Organica, Einaudi, Torino 1945.

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associazioni: il primo congresso si volge nel gennaio del 1949 a Palermo, alla Società di Storia Patria, per iniziativa di Edoardo Caracciolo.142 Carlo Scarpa e Roberto Calandra aderiscono al nuovo movimento fin dal 1945, il primo all’interno della sezione veneta dell’APAO, il secondo come membro della sezione di Palermo. I due si conoscono personalmente alla fine del suddetto anno, quando Calandra si reca a Venezia per partecipare ad un concorso di progettazione, ma hanno anche occasione di incontrarsi durante i congressi e le varie iniziative dell’APAO, come testimonia il resoconto del I Congresso del gruppo, pubblicato sulla rivista "Metron", n°23-24 (1947): «Il Congresso svoltosi a Roma nei giorni 6, 7 e 8 dicembre dimostra che, dopo un lavoro organizzativo di oltre tre anni, gli architetti italiani hanno raggiunto l'obiettivo di creare un comune centro di lavoro culturale, un'associazione in cui essi trovano solidarietà, mezzo di efficace scambio di idee, possibilità di affrontare e di risolvere i grandi problemi che li confrontano. Il più interessante carattere del Congresso era costituito dal fatto che erano presenti rappresentanze di tutta l'Italia. L'APAO siciliana era presente con gli architetti Caracciolo e Calandra, l'APAO campana era rappresentata dagli architetti Cosenza e Andriello, la Toscana da Gamberoni e da un folto gruppo di docenti e di studenti della facoltà di architettura, il Veneto, con il prof. Samonà, Scarpa, il pittore De Luigi e molti altri. Genova con l'ing. Devoto, Bologna con l'arch. Vaccaro, e infine l'APAO di Torino con un gruppo diretto dall'arch. Astengo».143 L’interesse di Calandra per le opere di Carlo Scarpa è tuttavia precedente, e risale agli anni in cui quest’ultimo è attivo nell’ambito dell’industria muranense: «Ricordo un suo bellissimo piatto a disegni rosso corallo su fondo nero, ancora oggi prodotto da Venini. Lo vidi per la prima volta nel 1937: me ne innamorai e avrei voluto possederlo».144 Frequentatore assiduo di Venezia, delle Biennali e delle mostre allestite nella città lagunare, l’architetto siciliano ha inoltre occasione di vedere gli allestimenti e le prime opere del maestro veneto. 142

Edoardo Caracciolo (Palermo, 1906- 1962), ingegnere e architetto, fu titolare della cattedra di Urbanistica a Palermo dal 1957; tra i suoi scritti principali si ricordi l’opera Tre lezioni di urbanistica. Economia, abitabilità, legislazione, Palermo 1954. Fu artefice di numerosi progetti architettonici (il Palazzo della Regione a Palermo, 1953) e urbanistici (la sistemazione della zona industriale di Termini Imerese, in provincia di Palermo, del 1947; il piano territoriale di coordinamento del Palermitano nel 1955; il piano regolatore generale di Erice nel 1958). 143 Red., Il congresso delle APAO italiane, in “Metron”, N°23/24, Ed. Sandron, Roma, 1948, p. 37- 38. 144 Antonino MARINO, Roma 2003, p. 24.

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L’occasione della nascita dell’amicizia tra Carlo Scarpa e Roberto Calandra è la visita di quest’ultimo, nel 1952, alla mostra, allestita da Scarpa, relativa all’opera grafica di Toulouse- Lautrec, nell’ala napoleonica delle Procuratie Nuove. L’architetto siciliano rimane colpito dal talento del collega veneziano: «Era una bella giornata di autunno e c’era un po’ di vento che entrava dalla finestre aperte e agitava i veli bianchi e rossi dell’allestimento. E io pensai: guarda Scarpa! Sa cogliere qualsiasi esigenza. Fa qui una certa cosa, adatta a Toulouse- Lautrec, mentre ne aveva apprestato un’altra tutta diversa, appropriata alle rigide tavole di Giovanni Bellini. Un pensiero come un lampo mi attraversò la mente».145 Calandra si rivolge al custode, informandosi su come ottenere l’indirizzo di Scarpa. Il custode gli rivela la presenza dell’architetto veneto nella segreteria della mostra. Calandra approfitta della presenza di Scarpa per proporgli di collaborare all’allestimento della mostra “Antonello da Messina e la pittura del ‘400 in Sicilia”, che si dovrà svolgere a Palazzo Zanca, sede del Municipio della città dello Stretto.

2.2. La mostra “Antonello da Messina e la pittura del Quattrocento in Sicilia”

L’idea di allestire a Messina una grande mostra dedicata al pittore Antonello, commissionata dal Comune e organizzata da un comitato esecutivo presieduto dal Salvatore Pugliatti, 146 rettore dell’Università, si delinea già a partire dal 1949; tuttavia, il piano scientifico dell’operazione e la scelta delle opere, con la messa a fuoco del panorama generale della pittura in Sicilia prima e dopo l’arte del maestro messinese, comincia a prendere forma solo qualche anno dopo, alla fine del 1951, sotto la supervisione di una commissione internazionale di importanti critici e storici dell’arte, coordinati da Giuseppe Fiocco. La scelta della sede espositiva ricade su Palazzo Zanca, edificio progettato dall’architetto 145

Ivi, p.21. Salvatore Pugliatti (Messina, 1903- Ragusa, 1976), giurista, musicologo, letterato, critico d'arte, scrittore ed animatore culturale. A soli 28 anni è vincitore della Cattedra di diritto civile all'Università di Messina e a 31 anni è il preside della Facoltà di Giurisprudenza e, nel corso degli anni '30, dà lustro alla sua facoltà facendola divenire una scuola di diritto di fama assoluta. Ottiene poi la carica di Magnifico Rettore dell'Università di Messina. Fu promotore di grandi iniziative culturali e di grandi progetti per la città di Messina: a lui si deve la realizzazione del grande Policlinico e l'avvio della costruzione del grande complesso universitario di Papardo. Fu inoltre membro di tante istituzioni di prestigio, come l’Accademia dei Lincei e il CNR.

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palermitano Antonio Zanca147 e realizzato tra il 1911 e il 1935; una decisione che assume valore quasi simbolico, trattandosi di un palazzo rappresentativo in qualche modo della rinascita della città dopo il terremoto del 1908 ed i più recenti disastri dell’ultimo conflitto mondiale.

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70. Palazzo Zanca, planimetria del piano primo del corpo centrale, sede della mostra, con in evidenza la “sala di Antonello”; in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p.120. 71. veduta della facciata principale di Palazzo Zanca di Messina (foto di Walter Leonardi).

L’allestimento della mostra viene in un primo momento affidato ad un comitato apposito, composto da Roberto Calandra, Enrico Mazzullo, Vincenzo Pantano, Antonino Mangano, Giuseppe Rago e Adolfo Romano. Come già accennato nel capitolo precedente, tuttavia, nel novembre del 1952, Calandra, in occasione della visita ad una mostra allestita a Venezia da Carlo Scarpa, decide di chiedere a quest’ultimo di affiancarlo nel progetto dell’esposizione messinese: «Dissi a Scarpa: “A Messina stiamo preparando una mostra di Antonello da Messina. Come membro del comitato promotore mi sono impegnato nel compito di realizzare, senza chiedere compensi professionali, il suo allestimento. So che tu ti sei occupato con grande successo della mostra di Bellini e che hai curato molte altre mostre, mentre io ho scarse esperienze nel campo. Sarebbe bello se tu fossi disposto a collaborare all’impresa. Io non ti posso garantire niente, nessuna parcella, ma credo di poterti assicurare che, se accetti, ti potranno essere rimborsate le spese vive di viaggio e alloggio giù a Messina, spese che potranno rientrare tra quelle dell’allestimento”. E aggiunsi: “non pretendo che tu mi dia una risposta subito […]”. Lui disse: “No, no! Una

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Antonio Zanca (Palermo, 1861– Palermo, 1958) è stato un architetto italiano. Allievo prediletto di Giuseppe Damiani Almeyda, si ricollega al filone del classicismo ottocentesco e ne costituisce, con Giuseppe Capitò, uno degli ultimi interpreti. Oltre a Palazzo Zanca a Messina, fra le sue le più celebri sono a Palermo i palazzi Di Pisa in Via Niccolò Garzilli e Paternò in Via Roma, il villino Zanca in Via Dante, il Policlinico e il complesso universitario di Via Archirafi.

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mostra di Antonello da Messina? Ti dico subito sì!”. E così venne a Messina».148 Scarpa, dunque, si reca per la prima volta in Sicilia: l’incarico è prestigioso, ma le risorse economiche limitate. Le autorità comunali sollecitano l’architetto veneziano affinché l’allestimento venga realizzato con la celerità necessaria perché le scadenze vengano rispettate, come testimonia la corrispondenza dell’epoca: in un telegramma, conservato attualmente presso la Fondazione MAXXI di Roma, Carmelo Fortino, sindaco di Messina e presidente della mostra, scrive a Carlo Scarpa, sollecitandolo a inviare i campioni di stoffa necessari all’allestimento e a comunicare la fabbrica di produzione. «Non ancora ricevuti campioni. Data urgenza allestimento dovendosi procedere realizzazione mostra entro quindici marzo preghiamola comunicarci stesso mezzo aut telefonicamente indirizzo fabbrica stoffa onde prendere immediati diretti contatti per assicurarci arrivo anche quantitativo da fabbricare in ogni caso entro diciotto febbraio». I tempi strettissimi costringono l’architetto veneziano ad un soggiorno prolungato nell'isola, dal dicembre 1952 fino all'inaugurazione della mostra (30 marzo 1953): in una missiva del 29 Gennaio 1953, destinata al comitato di allestimento della mostra, Scarpa scrive: «Onorevole comitato di allestimento, chiedo venia per questa ritardata missiva ma ho dovuto far progredire il mio lavoro rimasto interrotto per la prolungata permanenza a Messina; non è un rimprovero… ma una constatazione, ci eravamo dimenticati delle nebbie del nord, che freddo! Beati voi e la vostra isola bella!»149. La collaborazione tra Carlo Scarpa e Roberto Calandra, in occasione dell’allestimento della mostra, si rivela particolarmente intensa, come dimostra la corrispondenza tra i due, 150 dove l’architetto messinese e il professore veneziano si scambiano domande e informazioni sui materiali da impiegare e sulle numerose problematiche dell’allestimento.

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Antonino MARINO, 2003, p. 23. Lettera del Prof. Arch. Carlo Scarpa al Comitato di Allestimento della mostra “Antonello e la pittura del ‘400 in Sicilia”, 29 Gennaio 1953, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo. 150 Le poche lettere rimaste tra Calandra e Scarpa sono attualmente presso la Fondazione MAXXI, Roma. 149

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72 72. lettera di Roberto Calandra a Carlo Scarpa, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, cassetto 9.3; l’architetto messinese chiede all’amico Scarpa delucidazioni relativamente ad alcune perplessità di carattere tecnico: «Caro Carlo, ti prego di rispondermi alle seguenti domande: 1) chi è stato ad assumere l’impegno della foderatura del ballatoio? 2) sai se La Spada ha mandato le lame che gli avevi ordinato? 3) Il cordone che hai destinato alle tende è per il calicot o per il tessuto bianco? O per le tende verdi davanti agli ingressi?».

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73. lettera di Carlo Scarpa a Roberto Calandra, Roma, 24/01/1953; MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, cassetto 9.3.

«Caro Roberto, dovete scusarmi se non ti ho scritto prima, ma ho perduto molto tempo dietro le cose ritardate e qualche altra sopravvenuta. Ti mando come ti telefonai [n.d.r. un elenco consuntivo] delle spese per le mostre di tipo Bellini e Tiepolo, come lo dettò il segretario dell’Ufficio Belle Arti del Comune di Venezia Mario Vianello- Chiodo al quale potete scrivere […] direttamente». Nel seguito della lettera Scarpa fornisce alcune informazioni tecniche sulla mostra, accenna ad una tipologia di stoffa «h. 1. 65 che si potrebbe tingere con un colore più orientato verso il grigio pallido caldo» e comunica di aver inviato del materiale necessario all’allestimento della mostra: «Per la sala di Antonello eccoti il campione del feltro che verrebbe al prezzo di £ 6000 al metro quadrato uguale al colore voluto. Bisogna decidere subito perché [n.d.r. mancano] 30 giorni per la consegna». Al termine della missiva Scarpa accenna anche alla preparazione di un supporto di legno.

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La mostra occupa tutti gli ambienti di rappresentanza al primo piano del corpo centrale del Palazzo municipale, compresi il salone delle cerimonie e lo studio del sindaco. Scarpa decide di ricoprire interamente tutte le pareti, caratterizzate peraltro da algidi rivestimenti marmorei di vari colori, con il cosiddetto “cencio di nonna” o calicot plissettato, e maschera gran parte dei soffitti con veltri della stessa stoffa, tessuta appositamente in fabbriche di Venezia e di Novara; in tal modo riesce ad annullare le strutture auliche e magniloquenti del palazzo e a rimodellare gli spazi disponibili in ventiquattro sale di diversa grandezza, dove le opere, disposte lungo le pareti o su supporti di legno rigido, acquistano il loro giusto risalto. Le grandi croci siciliane quattrocentesche sono collocate al centro della sala su semplici basamenti in pietra; in qualche caso (croce di Piazza Armerina, croce di Agira) sono inserite in una intelaiatura lineare in ferro.

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74. due disegni (nell’ordine, sezione e pianta) che illustrano l’allestimento della “Sala di Antonello”, in «L’architettura. Cronache e storia», n. 3, settembre- ottobre 1953, p. 34. 75. fotografia della facciata del Palazzo Zanca in occasione dell’inaugurazione della mostra (1953), in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 123.

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76. Ingresso alla mostra di Antonello con la croce quattrocentesca di Termini Imerese, in Gioacchino BARBERA, Carlo Scarpa a Messina: L’allestimento della mostra antonelliana (1953) e il progetto non realizzato del Museo Nazionale (1974- 76) in Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2004, p. 292. 77. disegno di Carlo Scarpa per il supporto di una croce dipinta, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, inv. 42279.

La “sala di Antonello”, fulcro dell’esposizione, viene allestita nello spazio rettangolare dell’attuale sala consiliare del palazzo. Per la prima volta sono esposte in un unico ambiente diciotto tele provenienti dai musei di tutto il mondo, tra le quali le Crocifissioni di Sibiu e di Anversa, le due Annunziate di Monaco e di Palermo e la Pietà Correr.

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78. La “sala di Antonello” in una foto risalente al 1953, in Antonino MARINO, 2003, p. 22. 79. schizzo di Carlo Scarpa relativo all’allestimento della sala, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 53522.

In questa sala il talento dell’architetto veneziano si manifesta in tutta la sua originalità. Scarpa enuclea i dipinti di Antonello dal percorso cronologico dell’esposizione, staccando le opere dell’artista maggiore dal circuito dei minori, e trasforma il parallelepipedo del salone in un tronco di piramide con velari leggeri in calicot bianco, ma imbevuto di tè; le pareti di stoffa plissettata scendevano obliquamente quasi fino al pavimento, a cui erano fissate con angolari di ferro, dal grande velario sospeso che disegnava una leggera trama a scacchiera sul soffitto. Le ampie finestre del salone vengono schermate con velari in seta azzurra, a sud, e rosa, in quelle esposte a nord, al fine di correggere e filtrare la luce che entra nella sala, mentre le opere di Antonello Da Messina, incastonate in semplici e leggere pannellatura foderate di stoffa, sono disposte secondo l’incidenza della luce. Di particolare effetto la collocazione della Pietà Correr, isolata su un basamento cubico, rivestito di feltro color avorio, a pochi centimetri da terra allo scopo di esaltare le ardite soluzioni prospettiche del Cristo morto sorretto dagli angeli, o 79


della Crocifissione di Sibiu (ora a Bucarest), posta di sbieco rispetto ad una finestra che si apre sul porto, quasi a voler suggerire un confronto fra la realtà e l’immagine dipinta sullo sfondo della tavoletta. Il pavimento in moquette avorio contribuisce a rendere ovattato l’ambiente.

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80. nelle immagini a lato, due dipinti esposti alla mostra di Carlo Scarpa: Antonello Da Messina, Crocifissione, 1455, Muzeul de Arta, Bucarest, in Giorgio VIGNI, Giovanni CARANDENTE (a cura di), Antonello Da Messina e la pittura del ‘400 in Sicilia. Catalogo della mostra, Alfieri Editore, Venezia 1953, tav. 1; 81. Antonello Da Messina, Pietà con tre angeli, 1475, Museo Correr, Venezia, in Piero DE MARTINO (a cura di), Arte in Europa. Dall’Arte paleolitica all’Umanesimo, Edizioni Confalonieri, Milano 1965, p. 219.

Le scelte espositive di Scarpa rivelano una cultura progettuale che muove dalla centralità dell’opera d’arte: la spazialità architettonica è infatti concepita in funzione di quella figurativa e «lo spazio tridimensionale è già un ampliamento fittizio

dello

spazio

bidimensionale,

cioè

dell’esperienza

primaria».

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Nell’allestimento scarpiano, pittura e architettura si incontrano, in un dialogo continuo e fecondo. A tal proposito, Rafael Moneo ha sottolineato come nel progetto architettonico Scarpa «agisce e lavora come un pittore: è attratto dall’effetto prodotto sul quadro dall’ultima pennellata; è attento all’influsso prodotto in lui da un nuovo tono di colore; è sempre all’erta per non perdere quella fluida polarizzazione imposta dall’opera nel suo divenire […] (con un) lungo e intenso sforzo , perseguito con abnegazione, per ampliare il campo di ciò che, per definizione, abbiamo deciso di chiamare architettura fino a un limite tale da permettermi di dire che […] l’architetto Scarpa fu un pittore veneziano».152 151

Boris PODRECCA, La Presunta particolarità, in Francesco DAL CO, Giuseppe MAZZARIOl, 1984 (a), p. 243. Rafael MONEO, La rappresentazione e lo sguardo, in Francesco DAL CO, Giuseppe MAZZARIOL, 1984 (a), p. 236.

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Significativa è anche la testimonianza di Roberto Calandra: «La sera prima della vernice abbiamo lavorato tutta la notte e proprio di notte Carlo Scarpa mi chiamò e mi portò nella sala di Antonello […] completamente al buio; davanti alla Crocifissione di Anversa Scarpa accese la torcia e mi accorsi solo allora che aveva levato al quadro, cosa vietatissima, la protezione del vetro. Illuminò la civetta ai piedi della croce e mi disse: “Guarda Roberto, ha gli occhi fluorescenti, è cinabro puro”. Questo per dirvi come guardava le opere d’arte che doveva mettere in mostra».153 La soluzione espositiva di Scarpa dunque non è mai frutto della sola inventiva del progettista, ma ha sempre alla base una scelta interpretativa, un “progetto ermeneutico”.154 La mostra ottiene un successo clamoroso (la chiusura prevista dapprima il 30 giugno, viene ben presto prorogata al 31 agosto) e senza dubbio serve a consolidare, anche fra i critici più esigenti, il prestigio e la fama di Scarpa nel campo degli allestimenti di mostre d’arte. L’esposizione viene visitata da personaggi illustri, tra cui Gustavo Adolfo, re di Svezia, e il grande storico dell’arte Bernard Berenson. L’architetto veneziano riceve i complimenti anche di Cesare Brandi e Roberto Longhi, che scriverà dell’allestimento: «così elegantemente risolto per la parte scenica dall’abilissimo Scarpa».155 Giorgio Vigni, a cui è affidata la direzione scientifica della mostra, rimane colpito dal talento dell’architetto veneziano e scrive a Scarpa: «Caro Scarpa, qua la mostra ha un successo veramente eccezionale, e tutti sono concordi nel giudicarla bellissima. Ieri si è chiuso qua il congresso delle Arti figurative, organizzato dall’Assessorato regionale (purtroppo!), e alla fine del pranzo si è alzato Sandberg,156 direttore dei musei comunali di Amsterdam, per esprimere il plauso speciale all’architetto arredatore della mostra. Glielo scrivo per la sua ben meritata e da me condivisa soddisfazione».157

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Paola BARBERA, 2006, p. 6. Su questo tema: Maria Antonietta MALLEO, Lo spazio della luce: Carlo Scarpa interpreta Antonello in Antonello e la pittura del Quattrocento nell’Europa mediterranea, Kalos, Palermo 2006. 155 Roberto LONGHI, Frammento siciliano, in “Paragone”, n. 47, 1953, pp. 3- 44. 156 Si riferisce probabilmente al nobiluomo Willem Jacob Henri Berend Sandberg (Amersfoort, 24 ottobre 1897- Amsterdam, 9 aprile 1984), grafico olandese e direttore dal 1945 al 1962 dello Stedelijk Museum di Amsterdam, nel quale ha lavorato fin dal 1938. 157 Lettera di Giorgio Vigni a Carlo Scarpa, 21 Aprile 1953, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. 154

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82, 83. Carlo Scarpa, schizzi della sala di Antonello, Galleria Regionale della Sicilia, Fondo Scarpa, f. 39v, f. 40r.

In una missiva del 22 Giugno 1953, Salvatore Pugliatti, presidente del comitato esecutivo per l’allestimento della mostra, esprime a Carlo Scarpa la propria gratitudine «per l’apporto da Lei dato alla riuscita della meravigliosa manifestazione» e comunica che la chiusura dell’esposizione, prevista dapprima il 30 giugno, verrà prorogata al 31 agosto, in considerazione «dell’enorme successo di critica che la Mostra ha riscosso» e delle «numerose richieste di proroga che continuamente sono pervenute alla Segreteria da parte di studiosi, critici d’arte ed ammiratori in genere».158 Sebbene Carlo Scarpa avesse accettato di collaborare gratuitamente all’allestimento della mostra, il sindaco Pugliatti deciderà di ricompensare l’architetto veneziano «per la preziosa e valida collaborazione» con un onorario di duecentomila lire.159

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Lettera del segretario Santo Carbonaro, per conto del presidente del comitato esecutivo Salvatore Pugliatti, a Carlo Scarpa (Messina, 22 Luglio 1953). MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. 159 Lettera di Salvatore Pugliatti a Carlo Scarpa del 29 Aprile 1953, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo.

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2.3. Il velario e la luce

Nella mostra messinese Scarpa legge e valorizza la luce, l’illusionismo e l’essenzialità fisica e spaziale dei quadri di Antonello Da Messina. La luce naturale captata dalle finestre, filtrata due volte attraverso i teli di seta trasparente che mirano a contrastare la violenza dell’illuminazione diretta, si posa morbidamente sui colori e sulle forme geometriche dei capolavori antonelliani: «Allora la luce, tutta raccolta in una stanza come in uno scrigno che la sublima, si mostra e diventa evento che rivela il senso unitario e compiuto dell’opera di Antonello e trova il suo fulcro nei volumi […] e nella plastica volumetria dei corpi e degli ovali dei volti [dei quadri, n.d.r], nei quali si rivela una spazialità assoluta».160

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84. Antonello Da Messina, Annunziata, 1476 circa, Palermo, Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, in Pierluigi DE VECCHI, Elda CERCHIARI, Arte nel tempo. Dal gotico internazionale alla maniera moderna, Bompiani, Milano 1991, vol. 1, p. 232; 85. Antonello Da Messina, Vergine annunziata, 1473 ca., conservata presso la Bayerische Staatsgemäldesammlungen di Monaco di Baviera, in Giorgio VIGNI, Giovanni CARANDENTE, 1953, tav. 6.

L’effetto “epifanico” della luce, particolarmente evidente sui volumi dipinti della Pietà Correr, trova una sua amplificazione nella modulazione del velario pieghettato che riveste la sala: la linea ascendente della piega, infatti, non è improntata ad una rigida verticalità ma, inaspettatamente, diventa obliqua, caricandosi di tensione. Particolare è la collocazione delle due Annunziate, poste l’una di fianco all’altra, direttamente rapportate con la fonte di luce della finestra e dunque in un dialogo contemporaneo con la luce orizzontale e naturale e il dinamismo ascensionale delle pieghe del velario; quest’ultimo sembra quasi volutamente riprendere la struttura a vertice della composizione delle due Annunziate. 160

Maria Antonietta MALLEO, 2006, p. 142.

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86. sala di Antonello, la collocazione delle due Annunziate, in Maria Antonietta MALLEO, 2006, p. 142; 87. sala di Antonello, veduta dell’interno con in evidenza il soffitto e la collocazione dell’Annunziata di Palermo e dell’Annunciazione di Siracusa, in Gioacchino BARBERA, 2004, p. 291.

Nella sua ascesa verticale la sala culmina nella griglia geometrica del soffitto, «che qui si raccorda secondo rapporti chiaroscurali ai quadri e ai pennelli che li contengono,

determinando

una

lettura

modulare

dell’insieme

spaziale

attraverso la quale i dipinti sono percepiti come quadrati scuri incorniciati entro quadrati chiari».161 La luce che entra dalle finestre, dunque, induce alla visione fino alla sommità della parete, determinando impressioni visive particolarmente coinvolgenti. Gli effetti luministici escogitati da Scarpa colpiscono e coinvolgono i visitatori della mostra: si dice che Bernard Berenson 162 , famoso storico dell’arte statunitense, nel visitare la mostra rimase visibilmente sconvolto dalla forte emozione.163 Itinerari di luce si snodano anche in orizzontale, attraverso gli accessi che indirizzano percettivamente al percorso delle sale, creando effetti labirintici di luce avvolgente. Secondo la testimonianza partecipe di Giovanni Carandente uno dei curatori della mostra antonelliana, «la luce mediterranea trapassando le cortine seriche s’infrangeva sulle oblique pareti di calicot per riattraversarle divenendo acquea e iridescente come un opale. In quel tesoro d’Atreo, in quello spazio rarefatto, le forme adamantine e i colori smaltei di Antonello emergevano sovrani. Un tappeto color avorio ricopriva l’intero pavimento, acuendo 161

Maria Antonietta MALLEO, 2006, p. 144. Bernard Berenson, nato Bernhard Valvrojenski (Butrimonys, 26 giugno 1865 – Firenze, 6 ottobre 1959), è stato uno storico dell'arte statunitense. Contribuì alla definizione dell'Italia in generale e di Firenze in particolare come culla dell'arte. 163 Ivi, p. 146 162

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l’eleganza dell’ambiente fin quasi al limite dell’estenuazione estetica. Ma non vi fu compiacimento edonistico in quella concezione museografica, dettata, al contrario, da uno straordinario rispetto per l’opera d’Arte e dalla fredda logica imposta dall’agire su uno dei complessi pittorici più augusti mai raccolti in unico spazio».164

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88. veduta dell’interno della mostra su Antonello Da Messina, con in evidenza l’accesso alla sala sormontato da un piccolo controsoffitto sporgente; in Maria Antonietta MALLEO, 2006, p. 143. 89. interno della sala di Antonello con in evidenza la collocazione del Ritratto d’uomo del Museo Mandralisca di Cefalù, ivi, p. 146.

2.4. Lo spazio e il rapporto con la pittura di Antonello Come hanno notato alcuni critici,165 nella spazialità espositiva della mostra si può rintracciare una certa influenza della cultura neoplastica di cui tante volte l’architetto veneziano ha dichiarato di essere debitore. In particolare, l’inserimento di piccoli controsoffitti sporgenti nei vani di accesso, che si raccordano sia alle basi dei pannelli reggenti i dipinti che al soffitto, contribuisce all’effetto di geometrizzazione neoplastica dello spazio. Nelle soluzioni adottate per la collocazione dei quadri, Scarpa tende a confrontarsi continuamente con i motivi della pittura di Antonello Da Messina. Si 164

Giovanni CARANDENTE, Vent’anni di lavoro, in Francesco DAL CO, Giuseppe MAZZARIOl, 1984 (a), pp. 202- 208. 165 Maria Antonietta MALLEO, 2006.

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può osservare come la scelta di posizionare i dipinti obliquamente rispetto allo spettatore, che prelude quanto avverrà nella “sala di Antonello” a Palazzo Abatellis, nasce dallo studio degli arditi effetti prospettici del pittore rinascimentale.

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90. interno della “Sala di Antonello”, progettata da Carlo Scarpa per la mostra messinese del 1953, con in evidenza collocazione della Pietà del Museo Correr di Venezia (la seconda, da destra); in Gioacchino BARBERA, 2004, p. 292. 91. particolare della “Sala di Antonello” con veduta della Pietà Correr di Venezia, in Maria Antonietta MALLEO, 2006, p. 147. 92. la collocazione studiata da Carlo Scarpa per la Pietà di Antonello al Museo Correr di Venezia, in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 76.

Nel caso specifico della Pietà Correr, l’orientamento diagonale rispetto al basamento ligneo rafforza il dinamismo prospettico del quadro, caratterizzato da un effetto di aggettante tridimensionalità determinato dallo spigolo della tomba, dal coperchio e dalle gambe di Cristo; la collocazione ribassata del dipinto, d’altro canto, evoca l’idea del sepolcro poggiato sulla terra: «Sì che il visitatore si ritrova dinanzi al Cristo morto, inondato dalla stessa luce filtrata e trasfigurante che proviene dalla finestra e che colpisce ambedue».166

166

Maria Antonietta MALLEO, 2006, p. 148.

86


93

94

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96

93. mostra “Antonello e la pittura del ‘400 in Sicilia”, particolare con la collocazione della Pala di San Cassiano; in Maria Antonietta MALLEO, 2006, p. 149; 94. Antonello Da Messina, Pala di San Cassiano, 1475-1476 circa, Vienna, Kunsthistorisches Museum, in: http://www.khm.at/it/collezioni/pinacoteca/capolavori-scelti (consultato il 2 luglio 2012), sito ufficiale del Kunsthistorisches Museum di Vienna 95, 96. Carlo Scarpa, studi per la collocazione della Pala di San Cassiano, 1953, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 53544, 53545.

L’orientamento della tela valorizza anche altri dipinti, come l’Annunciazione di Palazzolo Acreide, il cui posizionamento obliquo sullo sfondo della luce schermata della finestra enfatizza il taglio e la tensione dinamica del quadro. Particolare è la soluzione adottata per la Pala di San Cassiano, un’opera giunta a noi gravemente mutilata: per evidenziarne le lacune, Scarpa colloca il dipinto frontalmente, su un semplice telo neutro, che interrompe in verticale la pieghettatura del colicot e che è sostenuto da un’asta che delimita in altezza le dimensioni dell’opera originaria.

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Funzionale alla buona riuscita dell’allestimento è lo studio rigoroso della componente artigianale di quest’ultimo, il disegno attento e minuzioso dei supporti e dei congegni espositivi. Lontano dalla laguna veneta, Scarpa è costretto a ricorrere all'impiego di maestranze locali, che diventano gli interlocutori privilegiati cui affidare, con schizzi estemporanei, la costruzione dei supporti e l'esecuzione dell'allestimento: a La Spada, artigiano del ferro, viene affidata la realizzazione dei supporti delle croci bifronti e l’intelaiatura di supporto dei velari della Sala di Antonello; Bernava, artigiano del legno, realizza i pannelli e i cavalletti. Molti di quei sostegni metallici e di quei pannelli verranno poi reimpiegati nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis.167 L’attenzione ai più minuti dettagli artigianali è funzionale alla valorizzazione delle opere esposte: nell’architettura scarpiana «anche le forme dei supporti– blocchi cubici compatti, parallelepipedi, prismi o cilindri posati direttamente sul pavimento,

larghe

pedane,

mensole…-

sono

scelte

in

rapporto

alle

caratteristiche dell’opera e in certi casi al modo in cui erano viste in origine».168 Il rapporto con gli artigiani locali si rivela particolarmente fecondo e Scarpa conserverà un ricordo molto gradevole di questi collaboratori.

167 168

Antonino MARINO, 2003, p. 24. Luciana MIOTTO, 2004, p. 31.

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Capitolo 3 Palazzo Abatellis: la Galleria Regionale di Sicilia 3.1. Palazzo Abatellis: i danni della Seconda Guerra Mondiale e i restauri della Soprintendenza

Il secondo progetto siciliano di Carlo Scarpa, dopo l’allestimento della mostra su Antonello Da Messina, è l’adattamento a museo dell’antico palazzo Abatellis, uno dei monumenti più rappresentativi della città di Palermo, realizzato per opera dell’architetto Matteo Carnilivari tra il 1490 e il 1495. L’edificio, prospiciente l’antica via Alloro, nel quartiere della Kalsa,169 è coronato da due torri laterali e presenta una pianta lievemente rettangolare, che si sviluppa su due livelli attorno ad un patio centrale, caratterizzato da un portico a due ordini sulla parete ovest.170

169

Uno dei quattro “mandamenti” (quartieri) storici della città di Palermo. L’edificazione del palazzo comincia nel 1490, con la stipula, al cospetto del notaio Domenico Di Leo, dell’atto di allogazione, sottoscritto il 16 gennaio dal committente, Francesco de Abatellis, Gran Portulano 170 del Regno di Sicilia, e dal maestro netino Matteo Carnilivari, caput magister o archimagister fabricae, già attivo a Palermo e in altre città della Sicilia e contemporaneamente impegnato nella realizzazione di un’altra domus magna patrizia palermitana, il vicino palazzo Ajutamicristo. Il prospetto principale su via Alloro è connotato da un ampio portale riccamente decorato. La facciata appare strutturata per fasce orizzontali: partendo da terra, un alto zoccolo modanato precede un’ampia fascia basamentale, aperta verso la strada da finestre prive di decorazioni, connotate unicamente da stipiti smussati, mensoline angolari e davanzali. Al piano superiore si aprono cinque finestre di forma quadrangolare, tripartite da delicate colonnette; i davanzali sottostanti si raccordano a formare una lunga cornice marcapiano. Ad un livello ancora superiore, un’ulteriore cornice evidenzia l’aggetto di una balconata, che sporge tra i due torrioni. La morfologia della facciata appare improntata ad un contrasto tra la severità del paramento murario in conci e l’ariosità delle trifore e bifore del piano nobile e delle torri. La torre ovest presenta ancor oggi il coronamento originario, costituito da uno sporto merlato sostenuto da archetti inflessi su mensole; la torre nord è rimasta incompiuta. Il cortile interno è caratterizzato da uno scalone parzialmente scoperto sull’angolo sud- ovest e da un portico costituito da una teoria di cinque archi ribassati, sovrastati da un secondo ordine di archi a tutto sesto e sorretti da esili colonne su piedritti. Dell’impianto planimetrico originario ben poco è rimasto: i cambiamenti di destinazione d’uso e i restauri che hanno interessato il palazzo a partire dal XVI secolo hanno modificato ampiamente la struttura dell’edificio. Nel 1527, alla morte della seconda moglie di Francesco Abatellis, Maria Tocco, per volere testamentario dello stesso committente, rimasto senza prole, il palazzo resta in eredità alle monache benedettine, perché vi fondino un monastero, che prenderà il nome di “Monastero del Portulano”. A partire dalla fondazione del monastero, per un arco di oltre tre secoli, il palazzo resta sospeso in un deliberato silenzio ed è interessato da una progressiva decadenza e dall’aggiunta di elementi che tradiscono la sintassi originaria voluta da Matteo Carnilivari: vengono tamponate, tra l’altro, le esili teorie di trifore traforate e le pareti del cortile vengono bucate da numerose aperture. Si realizzano numerosi adattamenti per renderlo adeguato alle esigenze della vita monastica anche dal punto di vista planimetrico, e le diverse ali del palazzo sono frazionate per realizzare celle e corridoi. Per le esigenze della comunità religiosa viene edificata, a partire dal 1535, una cappella, sul lato nord-est del palazzo; nel XVII secolo, con la costruzione di una chiesa più grande (l'odierna Chiesa di Santa Maria della Pietà) con ingresso principale su via Butera, la cappella viene allora abolita e suddivisa in diversi vani. Nel XVIII secolo si costruisce una nuova ala nella parte retrostante il palazzo. Solo a partire dall’ultimo ventennio del XIX secolo, si manifesta, negli ambienti intellettuali della città, un rinnovato interesse per le sorti del palazzo. Per la storia dell’edificio, vedi: Paolo MORELLO, 1989, pp. 11- 50. 170

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97

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99 97. il prospetto di Palazzo Abatellis su Via Alloro (foto di W. Leonardi); 98. particolare della Carta Tecnica del centro storico della cittĂ di Palermo, con in evidenza il Palazzo Abatellis, in Cassa per il Mezzogiorno, Dipartimento per la Sicilia, Carta tecnica del Centro Storico della CittĂ di Palermo, scala 1: 1000, SocietĂ Aerofotogrammetrica Siciliana, Palermo 1982, foglio IB; 99. veduta satellitare del palazzo e della via Alloro, in: http://maps.google.it/.

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100. loggiato sul lato ovest del cortile; 101. scorcio della parete sud dall’atrio del palazzo (foto di Walter Leonardi).

Il lavoro svolto da Scarpa si sovrappone ad un’imponente opera di ricostruzione e consolidamento realizzata dalla Soprintendenza ai Monumenti a partire dal 1945: premessa necessaria alla comprensione dell’intervento scarpiano a Palazzo Abatellis è dunque la ricostruzione delle vicende relative al restauro dell’edificio dopo i danni inferti dai bombardamenti durante il secondo conflitto mondiale. L’intervento della Soprintendenza viene riaffermato con tono polemico in occasione del conferimento a Scarpa del premio IN/ARCH «per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio architettonico nazionale», attribuitogli nel 1962 per Palazzo Abatellis, a otto anni dall’apertura della galleria. Giuseppe Giaccone, soprintendente ai monumenti, protesta e chiede una pubblica rettifica, mediante una lettera al direttore del “Giornale di Sicilia”: «Gentile Direttore, in merito a quanto pubblicato dal suo giornale circa l’assegnazione dei “Premi nazionale architettura 1962”, Le sarei grato se volesse portare a conoscenza dei Lettori del Suo Giornale che il Premio per il restauro di palazzo Abatellis di Palermo assegnato al Prof. Scarpa riguarderà altri meriti che il premiato potrà vantare nei riguardi dell’adattamento a Museo e del suo arredamento ma non quello del “restauro”. E’ noto infatti che nell’immediato dopoguerra fu l’architetto Mario Guiotto, Soprintendente ai Monumenti del tempo che salvò il monumentale Palazzo dagli “sciacalli” ed iniziò la sua ricostruzione tra le mille difficoltà degli scarsissimi finanziamenti e delle umane incomprensioni. Dal 1949 al 1955 il completo restauro del Palazzo 91


fu tra le opere più impegnative concluse dall’architetto Armando Dillon che in quel periodo diresse la Soprintendenza».171 Nel 1943 l’edificio viene colpito dalle bombe di tre incursioni aeree e subisce gravissimi danni. Così il soprintendente Mario Guiotto172 descrive le condizioni in cui versa il monumento: « Il Palazzo Abatellis […] subiva: il crollo di gran parte del prospetto sul vicolo, il crollo di tutto lo scenografico loggiato insieme alla parte superiore del muro contiguo alla torre, la rovina di quasi tutti gli infissi, gravi lesioni alle strutture murarie della torre d’angolo e dei muri normali a quello di prospetto su Via Alloro, sconnessione ai tegolati, dissesti generali a tutta la fabbrica, mutilazioni alla fontana seicentesca nel cortile, danni vari ai rimanenti tre prospetti e ad alcuni solai».173 Mario Guiotto viene eletto soprintendente nel 1942, in piena guerra mondiale; il suo compito, in questo drammatico momento storico, è di proteggere preventivamente i monumenti contro i possibili danni bellici e, dopo le incursioni, adottare le misure di pronto intervento per il loro salvataggio. Pochi mesi dopo i terribili bombardamenti che distruggono Palazzo Abatellis, nel luglio del 1943, si verifica lo sbarco anglo- americano sulle coste della Sicilia meridionale e, nei giorni immediatamente successivi, l’occupazione militare della Sicilia occidentale. In Sicilia il controllo politico amministrativo viene assunto dall’AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territory). Gli unici interlocutori della Soprintendenza, per la loro attività di tutela del patrimonio di beni culturali, diventano l’ufficio speciale istituito con molta prontezza dagli americani e gli organi periferici dell’amministrazione italiana dei LL. PP (il provveditorato regionale delle O.O. PP e gli uffici provinciali del Genio Civile); ogni contatto con Roma, con il Ministero e con la sua Direzione delle Antichità e delle Belle Arti era ovviamente cessato (queste concitate vicende sono rievocate con grande partecipazione da Roberto Calandra e dallo stesso 171

Archivio Storico della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo, fascicolo Mon. 297, lettera del 29 marzo 1963, firmata dal soprintendente Giuseppe Giaccone al Comm. Girolamo Ardizzone direttore del Giornale di Sicilia di Palermo. 172 Mario Guiotto, nato a Campodarsego nel 1908 e morto a Venezia nel 1999, ha prestato servizio nelle Soprintendenze, come architetto dipendente, a Palermo, a Venezia e, per poco più di un mese, a Genova, subito prima di essere chiamato a dirigere la Soprintendenza di Palermo dal 1 dicembre 1942 alla metà del 1949 e, successivamente, quella della Venezia Tridentina e del Veneto Orientale, con sede a Venezia. Dal 1943 al 1949 ha espletato l’incarico di insegnamento del restauro presso l’Università di Palermo, dapprima in un corso di specializzazione della Facoltà di Ingegneria e, successivamente, dopo la sua istituzione (1944) presso la Facoltà di Architettura. 173 Mario GUIOTTO, I monumenti della Sicilia Occidentale danneggiati dalla guerra. Protezioni, danni, opere di pronto intervento (1946), Fondazione Salvare Palermo, Palermo 2003.

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Guiotto nella monografia I monumenti della Sicilia occidentale danneggiati dalla Guerra, Palermo 1946). 174 Il soprintendente Guiotto si trova dunque nell’impossibilità di dialogare e di trovare sostegno nel suo operare nelle direttive e nei suggerimenti del Ministero e, per salvare ciò che resta di Palazzo Abatellis e restituire l’edificio alla città, è costretto a prendere soluzioni drastiche e d’urgenza: «Non pochi erano i casi che presentavano difficilissimi problemi da risolvere e di gravissime responsabilità di fronte all’importanza del monumento […] Non sempre potevano servire di ausilio i molto noti criteri moderni di restauro, ma le eccezioni da applicare in numero maggiori della regola[…]richiedevano l’adozione di speciali criteri e di particolari soluzioni del tutto nuove».175

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102. rovine della torre d’angolo, dopo i bombardamenti del 1943, in Mario GUIOTTO, 1946, p. 98. 103. gli effetti delle bombe del 1943 sull’ala sud-ovest del palazzo, in Sergio POLANO, 1989, p. 79.

Nel 1945 si avviano i lavori più urgenti di consolidamento e restauro, programmati da Guiotto, che si riassumono nello sgombero e liberazione dalle macerie, e nella demolizione dei tratti di mura disgregate e pericolanti. 174 175

Ivi, p. 7- 10. Mario GUIOTTO, 1946, p. 9.

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La zona più danneggiata è quella relativa alla torre angolare e all’ala sud-est del cortile. Per la torre, crollata in buona parte, si ricostruisce il muro fino all’altezza della merlatura, si applicano catene in ferro, si smontano e ricompongono le merlature della torre e se ne ricostruisce il solaio di copertura.176 In una perizia redatta dallo stesso Mario Guiotto si precisa che molti conci sono stati riprodotti, per sostituirli a quelli del lato sud-est della torre che erano stati persi. Nell’anno successivo si procederà ancora alla demolizione e ricostruzione di strutture murarie pericolanti. Le differenze tra parti originali e parti integrate sono ancora in parte oggi visibili nel paramento sul vicolo della Salvezza. La ricostruzione della muratura è realizzata con pietra tufacea di conci da demolizione, pietra di nuova fornitura, detta dell’Aspra, per la ricostruzione di strutture murarie crollate, e conci di tufo; alcuni conci vengono prelevati dalle macerie degli edifici su via Alloro. I lavori proseguiranno ancora per un decennio, sotto la direzione del soprintendente Armando Dillon. 177 Viene deciso inoltre lo «scrostamento di intonaco sino rinvenire la muratura, con ogni accorgimento per non sciupare la faccia vista della sottostante struttura antica». 178 Si osserva la volontà di liberare il monumento dalle strutture che si erano stratificate con il tempo. La necessità di assumere la muratura originaria a testimonianza privilegiata, solo perché più vicina alla fondazione dell’edificio, si concretizza in molte delle demolizioni di intonaco e dei relativi apparati decorativi. Nel grande cantiere di palazzo Abatellis le opere più impegnative si concluderanno con la ricostruzione totale del loggiato sulla corte interna: crollato interamente nel 1943, verrà rimontato attraverso un processo di anastilosi e in parte anche mediante ricostruzione con elementi nuovi. La scelta della ricostruzione è accompagnata dall’ulteriore demolizione di quelle trasformazioni che hanno caratterizzato sino a quel momento il palazzo, con l’eliminazione di tutti gli intonaci, dei balconi, della fontana al centro della corte e di tutte quelle piccole e grandi aperture sulla corte che non corrispondevano alla 176

Ivi, p. 57 Armando Dillon, architetto, è stato Soprintendente ai monumenti in Sicilia dal 1949 al 1955; oltre al restauro di Palazzo Abatellis, si è occupato anche di altri importanti restauri nell’isola, come quello del Duomo e quello di Palazzo Corvaja a Taormina. Dal 1955 al 1964 è stato anche Soprintendente ai Monumenti della Liguria. 178 Archivio Storico della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo, fascicolo Mon. 297, computo metrico estimativo di alcune opere di riparazione dei danni di guerra nel monumentale palazzo Abatellis, datato 17/05/1949. 177

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visione di quella immagine gotica che doveva avere il palazzo alla fine del XV secolo. L’intervento della Soprintendenza si svolge seguendo per certi aspetti una prassi di ripristino “in stile”, distante dai dibattiti e dagli indirizzi teorici che nel campo del restauro si erano già sviluppati a partire dal decreto ministeriale e dalla circolare esplicativa del 1882 «sui restauri degli edifici monumentali» fino all’insegnamento giovannoniano sul restauro filologico che aveva trovato espressione nella Carta Italiana del Restauro del 1932.179

104

105

106

104. schizzo che illustra le rovine dell’ala del cortile in corrispondenza della scala grande dopo i bombardamenti americani del 1943, in Mario GUIOTTO, 1946, p. 99. 105. il medesimo lato del cortile, durante i lavori di restauro, in Sergio POLANO, 1989, p. 79. 106. parete del loggiato, dopo i lavori di restauro eseguiti dalla Soprintendenza, in Paolo MORELLO, 1989, p. 59. 107. parete del loggiato oggi, dopo l’intervento di Carlo Scarpa (foto Walter Leonardi).

107

In tutta Italia, del resto, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale si rendono necessari restauri “d’urgenza” che non sempre possono tener conto dei nuovi criteri teorici. Scrive a tal proposito Roberto Pane: «prima i restauri erano suggeriti da un’esigenza di gusto o da una predilezione culturale […] oggi essi 179

Redatta nel 1932 dal Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti.

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ci sono stati imposti da un’imperiosa necessità […] di salvare i resti di forme preziose il cui abbandono sarebbe inconciliabile con una società colta e civile […] anche a costo di compromessi che hanno rischiato di non essere del tutto conformi alle norme del restauro moderno».180

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108. la torre d’angolo ricostruita; 109. le variazioni del paramento murario in vicolo della salvezza (foto di Walter Leonardi).

Alla fine del 1953 la Soprintendenza ai Monumenti dichiara concluso il suo lavoro e può affidare il palazzo alla Soprintendenza alle Gallerie: il 13 marzo Dillon scrive al soprintendente Giorgio Vigni per il passaggio delle consegne, specificando di aver terminato la pavimentazione del cortile e delle sale ma che restano da fare ancora lavori minimi di rifinitura, come tinteggiare le pareti.181 Il progetto di Scarpa, cominciato nel 1953, comporta alcuni interventi funzionali mirati principalmente ad adattare l’edificio a museo e contenitore per la fruizione pubblica: «c’era da fare (a palazzo Abatellis) l’adattamento vero e proprio a museo, cioè aprire i passaggi necessari al giro delle sale, e rimediare certa meccanica

empirica

e

crudezza

del

restauro

monumentale,

affinché

l’architettura potesse vivere in armonia con quella che sarebbe stata l’atmosfera del museo. In sostanza l’architettura stessa, in un certo senso, doveva essere oggetto di esposizione». Per la realizzazione dell’allestimento, come spiegherà il soprintendente Vigni qualche tempo dopo, «si rendono necessarie nuove opere murarie, intese soprattutto a rendere più agevole il giro delle sale e a migliorare in qualche caso la luce»; si studiano inoltre con cura «il taglio dei nuovi passaggi, l’uso della 180 181

Passo citato in: Maria Piera SETTE, Il Restauro in Architettura, UTET, Torino 2001, p. 165 Lettera del 30 Marzo 1953; in: Paolo MORELLO, 1989, p. 55.

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pietra, la qualità degli intonaci e le tinteggiature, al fine di ottenere una nota di armonica semplicità».182 L’architetto veneziano interverrà su numerosi aspetti della morfologia dell’edificio, dal progetto del percorso alle soluzioni espositive (pannelli, supporti, basi), dallo studio dell’illuminazione, naturale e artificiale, alle finiture delle pareti e al disegno della pavimentazione; il lavoro di Scarpa contribuirà dunque in maniera decisiva alla definizione della nuova immagine di Palazzo Abatellis.

3.2. Il museo di Carlo Scarpa: motivazioni e vicende che hanno determinato l’intervento dell’architetto veneziano

Il successo conseguito da Roberto Calandra e Carlo Scarpa in occasione dell’allestimento della mostra su Antonello Da Messina è alla base della decisione del Soprintendente alle Gallerie di Sicilia, Giorgio Vigni, di affidare all’architetto veneziano l’incarico di adattare a museo l’antica dimora degli Abatellis. Racconta, a tal proposito, Roberto Calandra: «Mentre lavoravamo all’allestimento della mostra di Antonello venne a trovarci a Messina il Soprintendente alle Gallerie di Sicilia, Vigni, che a Palermo aveva il problema di Palazzo Abatellis. […] Quando si trattò di passare dalla ricostruzione dell’edificio all’allestimento museografico per collocarvi l’attuale Galleria regionale di Sicilia, Vigni pensò a Scarpa, che lavorava con successo alla mostra di Antonello».183 La decisione di creare il museo scaturisce dalla necessità di ordinare in una separata sede le opere di arte medievale e moderna della raccolte statali di Palermo, custodite nel vecchio Museo Nazionale, presso l’ex casa dei Filippi all’Olivella, insieme alle collezioni archeologiche. Già da tempo si pensava all’antico palazzo Abatellis per la soluzione di questo problema: «Il problema generico era dunque quello che si presenta più frequentemente, almeno in Italia: ordinare un museo in un antico edificio di valore monumentale, in questo caso bisognoso di un radicale restauro. Quando si presenta un 182 183

Giorgio VIGNI, La Galleria Nazionale della Sicilia a Palermo, in “Bollettino d’arte”, XL, 1954, p. 186. Antonino MARINO, 2003, p. 25.

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problema di questo genere bisogna affrontarlo con franchezza nell’interesse della nuova funzione a cui l’edificio è destinato, ma nello stesso tempo anche col più aderente e sottile rispetto della sua qualità architettonica originaria […] l’architettura del palazzo non deve costringere il museo che vi sarà contenuto, ma neanche questo deve soffocare l’architettura; i due elementi devono vivere l’uno nell’altro in armonia vicendevole, in modo che il visitatore ne riceva un’impressione naturale e riposante».184 Il soprintendente Vigni, che è stato “ordinatore” 185 della mostra su Antonello insieme a Giovanni Carandente, decide di scegliere Scarpa per allestire la Galleria, poiché è rimasto colpito, a suo dire, dall’ “eleganza” dello stile dell’artista veneziano, che si addice all’ “ideale di semplicità e misura” che egli ha in mente per la il nuovo museo.186 Si

viene

a

creare,

quasi

immediatamente,

un

intenso

scambio

di

corrispondenza tra committente e architetto, attraverso la quale ciascuno dei due sottopone all’altro problemi, idee e nuove soluzioni, illustrandole con schizzi, disegni e rilievi. Tra Vigni e Scarpa si stabilisce anche una particolare intesa e comunanza di intenti: «Un elemento di estrema importanza per la buona riuscita della sistemazione di un museo è la stretta ed amichevole collaborazione tra direttore e architetto, a cominciare dalla discussione sul piano generale fino all’attuazione dei minimi particolari. Tale collaborazione sarà possibile soltanto se il gusto critico del direttore collima col gusto creativo dell’architetto […]. A Palermo questo problema della collaborazione tra direttore e architetto è stato felicemente risolto con l’Arch. Carlo Scarpa di Venezia…».187 Tuttavia, nel corso dei lavori per l’allestimento, Vigni manifesterà sentite preoccupazioni per la lentezza con cui Scarpa elabora le sue soluzioni progettuali e per una certa tendenza all’assenteismo dell’artista veneziano. Gli accordi presi dalla Soprintendenza con il Ministero della Pubblica Istruzione circa i finanziamenti per la nuova sistemazione museale, già avviati nel 1951, prevedono stringenti scadenze relativamente alla conclusione dei lavori e 184

Direttore scientifico; in Giorgio VIGNI, Ricordo di un lavoro con Scarpa. La sistemazione della Galleria Nazionale della Sicilia a Palermo, in Carlo Scarpa: il progetto per Santa Caterina a Treviso, catalogo della mostra, Edizioni Grafiche Vianello spa, Ponzano/ Treviso 1984, p. 37. 185 Giorgio VIGNI e Giovanni CARANDENTE (a cura di), Antonello da Messina e la pittura del ‘400 in Sicilia, catalogo della mostra, Alfieri editore, Venezia 1953, p. 7. 186 Giorgio VIGNI, 1984, p. 36 187 Ivi, p. 38.

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all’inaugurazione del museo e spingono Vigni ad incalzare continuamente l’architetto veneziano, abituato a lavorare lentamente e a concedersi lunghe pause di riflessione. Carlo Scarpa, inoltre, lavora al progetto per Palazzo Abatellis per lo più a Venezia, nel suo studio in rio Marin; le sporadiche visite a Palermo non bastano a consentire un ritmo sostenuto dei lavori. A quanto si evince dai vari carteggi rimasti, il soprintendente Vigni, incalzato dal Ministero a causa di continue proroghe, è fortemente preoccupato non solo per l’assenza fisica di Scarpa nel cantiere, ma per la sua continua latitanza anche epistolare, considerato che il progetto si evolve principalmente per tale via. Un telegramma, inviato dall’architetto veneziano il giorno 11 luglio del 1953, documenta l’arrivo a Venezia dei rilievi di Palazzo Abatellis e testimonia pertanto l’avvio della fase di progettazione.188 Segue, tuttavia, un lungo periodo di silenzio da parte di Scarpa, che preoccupa fortemente il Soprintendente Vigni e lo spinge a sollecitare sempre più frequentemente l’architetto veneziano a farsi vivo mediante lettere e telegrammi: «Scritto varie volte all’architetto Scarpa non riesco ad ottenere risposta – si confida Vigni in un telegramma con l’amico Franco, soprintendente a Venezia – data estrema urgenza pregoti interessarlo risposta immediata aut comunicarmi cosa diavolo accaduto».189 Il 21 ottobre del 1953 Giorgio Vigni scrive a Carlo Scarpa: «Caro Scarpa, il tuo ostinato silenzio m’impressiona; starai lavorando, oppure ti cullerai nella beata illusione che io ti lasci in pace?».190 I lavori proseguono lentamente, e a causa delle scadenze non rispettate finiscono per incrinarsi anche i rapporti tra la Soprintendenza e il Ministero. Il 24 marzo 1954 Cesare Brandi scrive a Giorgio Vigni, avvertendolo che il direttore generale della sezione antichità e belle arti del Ministero della Pubblica istruzione, Guglielmo De Angelis, è particolarmente “seccato” delle continue proroghe richieste; 191 al ministero si fa avanti l’ipotesi, ben presto, di un trasferimento di Vigni per punire il suo temporeggiamento. Venuto a conoscenza di queste voci, Vigni si sfoga con Scarpa, rimproverandolo quotidianamente, con toni sempre più accesi, per i suoi ritardi. 188

Vincenzo ABBATE, Galleria Nazionale della Sicilia (palazzo Abatellis). Palermo, 1953- 54, in Guido BELTRAMINi, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 126. 189 Telegramma non datato, archivio della Soprintendenza ai Monumenti, Palermo, minuta, n. 1885. 190 Sergio POLANO, 1989, p.82. 191 Cesare Brandi a Giorgio Vigni, lettera del 24 Marzo 1954; in: Paolo MORELLO, 1989, p. 60.

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Il 31 Marzo 1954 Vigni invia a Scarpa una lettera particolarmente risentita: «Caro Scarpa, tra le cose che più mi fanno andare in bestia, c’è quella di non avere risposta alle domande che faccio. Ora, io non voglio cercare di definire il tuo modo di comportarti nei miei riguardi, perché potrebbe essere spiacevole; ma credo di poterti dire che esso è, almeno per me, incomprensibile. Come posso infatti capire un silenzio così ostinato? Dopo tutto hai pure una moglie e un figlio, che puoi incaricare di fare un telegramma o scrivere una cartolina, se tu sei tanto occupato da non riuscire a farlo da te! Purtroppo, caro Scarpa, io non sono un privato qualunque, ma sono legato a una tutta una catena, che risale per brevi rami fino al Ministro; e già a Roma per questa faccenda del ritardo al Museo di Palermo sta succedendo un terremoto, al cui centro naturalmente sono io; credo che tu sappia che in questi casi nessuno ti da una mano per tirarti su, anzi tutti stanno a guardare con una sottile compiacenza colui che va sotto e perde quote. Personalmente per me, per i miei interessi di carriera e di passaggio ad altre sedi, quel che sta succedendo è estremamente seccante. A te invece può anche non interessare; ma quel che dovrebbe toccarti, da uomo a uomo, è l’impegno che hai preso».192 Scarpa risponde con pacatezza alle lettere del Soprintendente, annunciando più volte il suo arrivo a Palermo, senza mai decidersi davvero a partire: soltanto nell’aprile del 1954, infatti, e solo per pochi giorni, l’architetto arriva finalmente nel capoluogo siciliano. La Galleria Regionale viene inaugurata, dopo numerose peripezie, il 23 giugno del 1954: alla cerimonia prende parte una grande folla e numerosi ospiti illustri, dal sindaco al presidente della Regione, dall’arcivescovo alle rappresentanze del Ministero. Scarpa, per il suo carattere schivo e riservato, non partecipa all’inaugurazione. L’architetto veneziano riceverà dalla Soprintendenza, per l’opera di allestimento, un compenso di quattrocentomila lire.

192

Lettera di Giorgio Vigni a Carlo Scarpa, Palermo 31 Marzo 1954, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo.

100


110

111

110, 111. inaugurazione del palazzo, 23 Giugno 1954, in Paolo MORELLO, 1989, p. 108.

3.3. Caratteristiche dell’allestimento scarpiano: materiali, tecnologie, percorsi e soluzioni espositive

L’allestimento realizzato da Carlo Scarpa per la Galleria Regionale di Sicilia è oggi riconosciuto come un episodio particolarmente importante nella storia della museografia italiana ed è stato ampiamente esplorato dalla bibliografia specialistica193; in questa sede si intende sintetizzare alcuni degli aspetti più

193

Tra i principali scritti sull’allestimento di Carlo Scarpa a Palazzo Abatellis: Giuseppe MAZZARIOL, Opere di Carlo Scarpa, in «L’architettura. Cronache e storia», n. 3, settembre- ottobre 1955, pp. 340- 367; red., L’opera di Carlo Scarpa in Palazzo Abatellis a Palermo, in «Domus», n. 338, marzo 1962, pp. 7- 16; Sergio POLANO, Frammenti siciliani. Carlo Scarpa e palazzo Abatellis (Sicilian fragments. Carlo Scarpa and Palazzo Abatellis), in “Lotus International”, n. 53, 1987, pp. 109- 127; Sergio POLANO, Carlo Scarpa: Palazzo Abatellis. La Galleria della Sicilia, Palermo 1953- 54, Electa, Milano 1989 Paolo MORELLO, Palazzo Abatellis. Il maragna del maestro Portulano da Matteo Carnilivari a Carlo Scarpa, Grafiche Vianello, Ponzano/ Treviso 1989; Vincenzo ABBATE, Galleria Nazionale della Sicilia (palazzo Abatellis). Palermo, 1953- 54, in Guido BELTRAMINi, Kurt W. FORSTER; Paola MARINI, 2000, pp. 126- 135; Luciana MIOTTO, Carlo Scarpa. I musei, «Universale di architettura», Testo e immagine, Torino 2004, pp. 42- 47; Maria Antonietta CRIPPA, Scarpa, il pensiero, il disegno, i progetti, Jaca Book, Milano 1984, pp. 131- 132; Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, Carlo Scarpa. Atlante delle architetture, Marsilio Editore, Venezia 2006, pp. 84- 93; Giorgio VIGNI, Ricordo di un lavoro con Scarpa. La sistemazione della Galleria Nazionale della Sicilia a Palermo, in Carlo Scarpa: il progetto per Santa Caterina a Treviso, catalogo della mostra, Edizioni Grafiche Vianello spa, Ponzano/ Treviso 1984, pp. 34- 41; Maria Antonietta MALLEO, Lo spazio della luce: Carlo Scarpa interpreta Antonello in Antonello e la pittura del Quattrocento nell’Europa mediterranea, Kalos, Palermo 2006, pp. 150- 156; Matteo IANNELLO, Glenda SCOLARO, Palermo. Guida all’architettura del Novecento, Edizioni Salvare Palermo 2009, pp. 128- 131. Sull’itinerario museale e le opere d’arte contenute presso la Galleria Nazionale, si ricordino: Raffaello DELOGOU, La Galleria Nazionale della Sicilia, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1962; Giulio Carlo ARGAN, Vincenzo ABBATE, Eugenio BATTISTI, Palermo: Palazzo Abatellis, «Musei di Sicilia», Edizioni Novecento, Palermo 1991.

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rilevanti dell’allestimento, con l’aiuto di rilievi fotografici, documenti d’archivio e riferimenti bibliografici. Alla base dell’organizzazione della Galleria vi è, soprattutto, una accurata selezione delle opere da esporre, coerentemente con la concezione “didattica” del museo propria del committente Vigni: «l’architettura può risultare soffocata dal semplice fatto di sovraccaricare le sale di esposizione con troppa quantità di opere […] Occorre fare il modo che il visitatore si ricordi veramente alcune opere più belle e più interessanti, senza fare indigestione di cose che dimenticherà appena uscito […] Naturalmente, più rigorosa è la scelta delle opere da esporre, più ampia deve essere la possibilità di depositi razionali, comodamente visitabili da chi ne faccia richiesta».194 Per le opere che non rientrano nelle aree espositive vengono organizzati ampi e agibili magazzini. I dipinti sono raccolti per la conservazione e la consultazione da razionali rastrelliere metalliche scorrevoli entro guide, sistemate a terra nel deposito maggiore, a soffitto in quello minore.

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112. guide metalliche per il deposito dei quadri nei magazzini del museo, in Guido BELTRAMINI, Italo ZANNIER, 2006, p. 93; 113. interno di un magazzino del museo, in Sergio POLANO, 1989, p. 43; 114. prospetto, sezione e dettaglio di un telaio metallico su rotaia, Ivi, p. 110.

Il “didatticismo” del direttore Vigni prende forma nell’organizzazione dei percorsi progettati da Scarpa all’interno dell’edificio. Il piano terreno del museo viene destinato, in gran parte, all’esposizione delle sculture, il piano nobile alla pittura; la sequenza delle opere è grossomodo cronologica, e riesce bene ad illustrare l’evolversi della cultura figurativa mediterranea tra Medioevo e Rinascimento.

194

Giorgio VIGNI, 1984, p. 37.

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L’allestimento, tuttavia, non segue alcuna rigidezza di scansione, né cronologica, né tipologica. Scarpa non disegna in pianta la distribuzione delle opere nelle sale, ma le dispone lasciandosi guidare dal suo istinto e dal suo gusto. Per ciascuna delle opere viene studiata una collocazione particolare, nell’itinerario museale o all’interno della singola sala, allo scopo di valorizzare l’unicità dell’opera d’arte. L’architetto non predispone un disegno completo: decide in cantiere, disegna sui muri, stabilisce le collocazioni definitive in un rapporto diretto con gli spazi a disposizione e gli oggetti d’arte.

115 115. il disegno geometrico della pavimentazione del cortile (foto di Walter Leonardi).

Entrato dal portale principale, superato un ampio atrio, il visitatore si ritrova nella corte interna; qui Scarpa ridistribuisce in modo più proporzionato le aperture che si affacciano internamente sia sul portico sia sulla loggia, con conseguente ridimensionamento delle salette corrispondenti. Gli intonaci negli altri tre prospetti del cortile vengono tinteggiati alternando lievi gradazioni dello stesso colore, accordato con il timbro naturale della pietra e l’intensità della luce propria del clima siciliano. 103


All’angolo nord- orientale del cortile, Scarpa realizza una piccola scala “in stile”, intagliata in pietra di Carini; a proposito di tale scala, Scarpa ha confidato all’amico Roberto Calandra: «Ho fatto rifare una scala del cortile in stile; che male c’è a fare le cose come Viollet-le-Duc?».195 Sotto il portico, Scarpa colloca a terra le due parti di una grande epigrafe araba, come lunghe panche per la meditazione e il riposo.196

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116. Carlo Scarpa, prospetto del loggiato di Palazzo Abatellis, Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 195. 117. veduta del loggiato; 118. scorcio del cortile (foto di Walter Leonardi).

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Paolo MORELLO, 1989, p. 57.

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119. scorcio del loggiato; viste della corte interna; 120. scala in stile in corrispondenza dell’angolo nord-est della corte (foto di Walter Leonardi).

Gli infissi sono ridisegnati da Scarpa con dovizia di dettagli e particolari. Lo spartito delle trifore è integrato da infissi lignei, leggermente arretrati perché non contrastino con la visione delle colonnine. Originariamente era prevista, per i nuovi infissi, una incorniciature a forma esagonale, presto abbandonata a favore di una composizione rettangolare, più agevole nel movimento a vasistas della parte centrale del serramento. Le porte sono connotate da un caratteristico reticolo “a carabottino”. I profili lignei dei serramenti contrastano con la pietra grigia delle decorazioni quattrocentesche e con l’intonaco chiaro delle murature.

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121, 122. viste delle aperture con i tipici spartiti lignei ideati da Scarpa dietro o in sostituzione delle colonnine (foto di Walter Leonardi).

Il percorso di visita si sviluppa in senso orario all’interno dell’edificio e comincia da una sala sul lato sinistra del cortile, alla quale si accede mediante un bel portale catalano. L’itinerario rivela «un continuo dialogo tra l’interno e il cortile, un alternarsi di viste e scorci delle architravi traforate dalle bifore che si tagliano 105


contro il cielo azzurro».197 Nella sala I sono conservate testimonianze artistiche eterogenee per carattere, opere e stile, tra cui gli stipiti e l’architrave lignei della demolita casa dei Marturano (XII secolo) e due gruppi scultorei in legno policromo.

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123. studio (prospetti e sezioni) in scala 1: 10 per gli infissi delle trifore, in Vincenzo ABBATE, 2000, p. 134. 124. un tipico serramento “a carabottino” nel cortile; 125. studio per carabottino, in Paolo MORELLO, 1989, p. 82.

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Paolo MORELLO, 1989, p. 99.

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127 126. Carlo Scarpa, disegno con studio della pianta del palazzo, in MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, inv. 37425. 127. piante autografe di Scarpa relative alle due quote del palazzo, in Giuseppe MAZZARIOL, 1955, p. 354.

Attraverso la porta di fondo della sala si passa all’ampio vano corrispondente a quella che originariamente è stata la cappella del Monastero del Portulano. L’antica chiesetta rappresentava, per dimensioni, l’unico ambiente in grado di 107


ospitare il Trionfo della Morte, 198 il grande affresco staccato dal cortile di Palazzo Sclafani e conservato provvisoriamente presso nella sala della Lapidi del palazzo delle Aquile, sede del Municipio di Palermo. Scarpa decide di collocare l’affresco sulla parete di fondo del vano presbiteriale, sotto la cupola.

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128. sala I, statue in legno policromo su pannello verde; 129. schizzi di Carlo Scarpa dietro il pannello (foto di Walter Leonardi); 130. porta tra la prima sala e il vano dell’antica cappella del palazzo (si notino gli stipiti foderati disegnati da Scarpa), foto di Walter Leonardi; 131. studio per l’architrave a sezione esagonale di una porta della sala del Laurana, Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 213. 198

Datato al 1446 circa, è l'opera più rappresentativa della stagione del “Gotico internazionale" in Sicilia, culminata durante i regni di Ferdinando I (1412) e di Alfonso d'Aragona (che nel 1416 fece di Palermo la sua base per la conquista del Regno di Napoli). Non si conosce il nome dell'autore, indicato come un generico Maestro del Trionfo della Morte).

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132,133. piante dei due piani del museo; in: Vincenzo Abbate, 2000, p. 126.

PIANTA PIANO TERRA I. Ingresso (stipiti e architrave della Casa dei Marturano, statue del Gagini). II. Sala del Trionfo della Morte (II A originariamente deposito, oggi dedicata a Vincenzo degli Anzani da Pavia). III. Saletta della ceramica. IV. Sala del Laurana. V. Saletta del Gagini. VI. Sala del Gagini (attuale “sala dei capitelli”).

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PIANTA PRIMO PIANO VII, VII A. Sala della pittura del Trecento. VIII. Sala della pittura del Quattrocento. IX. Salone delle croci. X. Sala dell’Annunziata. XI. Sala della pittura del Cinquecento. XII. Sala della pittura del Cinquecento. XIII. Sala della pittura fiamminga. XIV. Sala della pittura manierista. XV. Sala del De Pavia XVI. Sala della pittura del Seicento. XVII. Quadreria.

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Una simile soluzione espositiva, tuttavia, comporta particolari problemi, in quanto le dimensioni della suddetta parete si rivelano pressoché analoghe, se non addirittura inferiori, a quelle dell’affresco, come ci testimonia una lettera inviata da Giorgio Vigni a Carlo Scarpa: «Ho misurato il Trionfo della Morte (di cui si inizierà la settimana prossima il restauro, e sarà un altro grosso impiccio che va ad aggiungersi agli altri dentro il palazzo!) e le pareti dell’abside: il Trionfo è largo m 6,40, la parete di fondo dell’abside m 6,40, quella laterale m 6,53. E’ abbastanza un guaio. Cosa ne pensi?».199 Scarpa risolve brillantemente l’impellente problema, facendo aprire «una scanalatura lungo gli angoli del muro di fondo a destra e a sinistra in senso verticale, per l’altezza dell’affresco, anzi un po’ di più. Il vuoto lasciato dalle due scanalature, il fondo alla base e la parte in alto colorato in modo diverso dal resto delle pareti; risulterebbe con queste una specie di inquadratura che racchiuderebbe l’affresco…».200 I pannelli del grande affresco sono montati su supporto rotabile.

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134. l’impalcatura di legno allestita per trasferire l’affresco del “Trionfo della Morte” dall’ultimo piano del palazzo, ove si trovava il gabinetto di restauro, all’abisde della cappella a piano terra, in Sergio POLANO, 1989, p. 81. 135. veduta del “Trionfo della Morte”, affresco del XV secolo (foto di Walter Leonardi).

199 200

Sergio POLANO, 1989, p. 82 Ivi, p. 83.

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La luce naturale che investe l’affresco proviene dall’alto, attraverso la presenza di un cupolino sopra il presbiterio, ed è rigorosamente studiata da Carlo Scarpa: dagli schizzi di progetto, si nota un graduale passaggio dall’ipotesi di controllo luminoso mediante l’uso di setti orizzontali fortemente ribassati, probabilmente in contrasto con la mole dell’affresco, alla soluzione definitiva di un grande velario circolare in corrispondenza della fonte luminosa. La luce, filtrata al naturale, «inonda morbidamente l’oscurità della cappella mettendo in risalto le eccezionali qualità stilistiche e pittoriche del Trionfo».201

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136. dettaglio delle scanalature realizzate nella parete per la collocazione del “Trionfo della morte” (foto di Walter Leonardi); 137. studio per la collocazione dell’affresco e per il pennacchio di imposta del velario, in Vincenzo ABBATE, 2000, p. 130.

La collocazione dell’affresco sotto le grevi volte ogivali della cappella assume un tono epico ed incombente per lo spettatore, costretto a guardare il grande dipinto dal basso: «Dalla battaglia per lo spazio tra l’affresco e la storica cappella […] è lo spettatore ad uscire annichilito: altrove, sempre presente quale metro tra i disegni, in questo luogo, al contrario, costretto ad una estatica

201

Vincezo ABBATE, 2000, p. 130.

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impotenza».202 Il Trionfo della Morte è visibile anche dall’alto dalla sala XI del museo: il cambiamento di prospettiva permette allo spettatore di cogliere con più evidenza l’eleganza e la raffinatezza degli aspetti compositivi dell’affresco.

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138, 139. il lucernario al di sopra del “Trionfo della Morte” (foto di Walter Leonardi) e studio per il velario, in Paolo MORELLO, 1989, p. 71. 140. schizzi di prospettive e sezioni per l’allestimento della sala del “Trionfo della Morte”: si noti come, in questi primi studi, Carlo Scarpa ipotizzi un controllo della luce nella sala mediante l’utilizzo, al di sopra dell’affresco e in corrispondenza del lucernario, di setti orizzontali fortemente ribassati, una soluzione poi accantonata in favore dell’uso di un velario circolare (in Vincenzo ABBATE, 2000, p. 130). 141. veduta dell’affresco dalla sala XI (foto di Walter Leonardi).

Sergio POLANO, 1989, p. 50.

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142 142. pianta e sezione della sala del “Trionfo della Morte”, in Paolo MORELLO, 1989, p. 69.

Il percorso procede attraverso altre sale dove ogni particolare è studiato da Scarpa con la massima attenzione: dopo la visione dello splendido vaso arabo dell’officina di Malaga, librato con leggerezza su un particolare ordigno metallico disegnato da Scarpa, si giunge nella sala IV, dove si scorge immediatamente il bellissimo Busto di Gentildonna (1468) di Francesco Laurana, identificato col ritratto di Eleonora d’Aragona, moglie di Guglielmo Peralta, signore di Sciacca. Per questo capolavoro, Scarpa realizza uno dei suoi allestimenti più famosi: l’architetto isola il busto nel contesto della sala, sottolineandone il valore e l’unicità artistica. Scrive a proposito Sergio Polano: «Il diafano busto marmoreo, riportato al suo appiombo a calcolata altezza, galleggia su un polito massello d’ebano, sagomato da curvature sensuosamente ellittiche […]. Un sottile cuscinetto d’aria, rinforzato dal contrasto polare della coppia bianco-nero (corrispondente al dualismo materico freddo-caldo), impedisce alla scultura di far corpo con il suo contrappeso inferiore. Appena sollevata posteriormente da due cilindretti di ottone, l’opera del Laurana poggia infatti su una lamella di piombo, affogata in una placca d’ottone. […] Penetrando da una finestra ortogonale rispetto alle spalle di Eleonora, la luce naturale che bagna la figura lateralmente sottolinea la lieve inclinazione della testa, e i valori plastici del modellato».203 203

Sergio POLANO, 1989, p. 32.

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143. studio per il supporto del vaso di Malaga, in Paolo MORELLO, 1989, p. 72. 144. veduta della sala con scorcio del cortile (foto di Walter Leonardi). 145, 146. foto che illustrano la collocazione del busto di Eleonora d’Aragona rispetto alla finestra e alle altre sculture della sala.

Lo spettatore che arriva dalla sala precedente, scorge anzitutto il gioco chiaroscurale del profilo del busto, illuminato di tre quarti, ed è come invitato da Scarpa a girare attorno all’opera e a scoprirne da solo le caratteristiche volumetriche;204 infine, il suo sguardo è indirizzato verso le stazioni successive dell’itinerario. «Confitta nel pavimento, l’asta su cui poggiano ebano e marmo costituisce un decentrato polo visivo per gli ambienti espositivi».205

204

Scrive, a proposito, Paolo Morello: «È il punto di vista peggiore per velare l’Eleonora e non occorre confutare la teoria che Scarpa voglia invitare il visitatore a girarle intorno e a scoprirsela da solo. Come a Castelvecchio, dove mostra di spalle una maestosa statua di donna, per esibirne la treccia, Scarpa offre, porge, continuamente, senza sforzo; esalta, è vero, ciò che il suo occhio riesce a vedere- ed altri invece non sarebbero capaci- ma, quando mostra, ha cancellato dal suo lavoro ogni traccia di fatica», in Paolo MORELLO, 1989, p. 99- 100. 205 Sergio POLANO, 1989, p. 32.

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Attraverso una studiatissima successione di quinte e aperture, il busto è osservabile come punto focale fino dall’ultima sala del piano terra, la “sala dei capitelli”. Il capolavoro di Francesco Laurana è esaltato dalla collocazione, nella parete retrostante di un pannello di panforte stuccato alla veneziana di color verde.

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147. Carlo Scarpa, schizzo che illustra la soluzione per il supporto del busto di Eleonora d’Aragona di Francesco Laurana, (veduta in prospetto): il disegno a matita è conservato presso il Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 91 r. 148. dettaglio del supporto del busto di Eleonora.

I pannelli dipinti, sporgenti dalla parete, sono adottati più volte da Scarpa come fondali per busti e teste e rappresentano una soluzione particolarmente originale per dare risalto a profili e volumi: così accade per le sculture in legno policromo della prima sala, per la Testa di Gentildonna e il Ritratto di Giovinetto realizzati sempre da Francesco Laurana e conservati nella stessa sala del ritratto di Eleonora; per la Testa di Paggio, infine, attribuita ad Antonello Gagini e conservata nella sala successiva, dove il busto è collocato, come ha scritto Paolo Morello, «di profilo su uno sfondo nero, fuori centro rispetto al piedistallo, e questo a sua volta rispetto alla testa che sorregge, perché è sul centro della testa che si vuole concentrare l’attenzione; quando il paggio volge la nuca alla finestra, finalmente appaiono le decorazioni d’oro che la ricoprono. In questo modo di procedere si intesse il misurato corrispondersi di un’operazione estetica, l’abilità squisitamente tecnica di chi “conosce l’arte” e il fascino intellettuale di un andare bizantino alla ricerca della luce».206

206

Paolo MORELLO, 1989, p. 100.

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152 149. Prospettiva dalla “sala dei capitelli” sul busto di Eleonora d’Aragona di Francesco Laurana. 150, 151. Testa muliebre di Francesco Laurana (foto di Walter Leonardi) e studio per il supporto, Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 149. 152. veduta della sala dedicata all’opera dell’artista Francesco Laurana (foto di Walter Leonardi).

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153, 154. Testa di paggio, attribuita ad Antonello Gagini (foto di Walter Leonardi) e studio per il relativo supporto, in un disegno conservato presso il Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 163.

Giunti alla sala VI del piano terra, il percorso di visita continua nelle sale del piano nobile. Si poneva, per Scarpa, il problema di garantire un’agevole prosecuzione del percorso tra i due piani dell’edificio, in quanto il naturale collegamento con il piano nobile era rappresentato dallo scalone principale parzialmente scoperto del cortile. Nel carteggio epistolare relativo alle fasi iniziali del progetto, Giorgio Vigni e Carlo Scarpa ragionano a lungo sul percorso più comodo per i visitatori, vagliando anche la possibilità di realizzare una scala interna, che in caso di pioggia consentisse l’accesso al piano superiore senza pericolo di bagnarsi.207 Viene ipotizzata inizialmente la costruzione di una scala a chiocciola in un ambiente d’angolo a sud, sfondandone il soffitto, ma questa soluzione viene subito scartata. 208 Il problema è risolto realizzando un’apertura al primo pianerottolo dello scalone, coperto dalla volta del loggiato, e collegandolo alla quota del terreno mediante una originalissima scala con gradini in pietra, appoggiati a sbalzo su una trave di acciaio, senza passamano.

207

Si vedano, in particolare il carteggio tra Scarpa e Vigni tra il 5 ottobre e il 2 novembre del 1953; in Sergio POLANO, 1989, p. 45. 208 Lettera di Vigni a Scarpa, 2 novembre 1953. Il soprintendente, in questa missiva, protesta con la soluzione di Scarpa, in quanto la realizzazione della scala a chiocciola comporta la demolizione del soffitto; ciò farebbe sì che una finestra, con le relative panche i pietra, resti sospesa nel vuoto: «Quanto alle tue giuste obiezioni sul giro dei visitatori, effettivamente quell’inconveniente che, se piove, essi devono ripassare all’indietro dalle sale già viste; ma non me ne ero preoccupato, né me ne preoccupo, perché qua piove poco e questo potrà accadere solo qualche volta; se non piove, il visitatore scenderà dalla scala nel cortile, e lo attraverserà per ritirare le sue carabattole in guardaroba». MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo.

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155, 156. la scala di collegamento tra la “sala dei capitelli” al piano terra e il primo pianerottolo coperto dello scalone esterno di collegamento col piano nobile; dettaglio dei gradini in pietra a sbalzo a sezione esagonale (foto di Walter Leonardi); 157. studio per i gradini a sezione esagonale della scala a sbalzo, ibidem; 158. schizzo di prospetto (lapis su carta), con rilievo quotato dell’ultima campata del portico e dello scalone maggiore, Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 41.

Al primo piano, le prime sale conservano numerose opere di pittura che ben illustrano l’evoluzione dell’arte siciliana a partire dal Medioevo: alcuni trittici del XIII secolo, la celebre “Croce di Giunta”, etc. Si giunge dunque alla sala IX, detto “salone delle croci”, che «si impone solenne e straordinario nel calibrato allestimento museografico di Scarpa». (Argan).209 E’ questo l’ambiente dove più radicale appare l’intervento scarpiano sul monumento restaurato dalla Soprintendenza. L’artista veneziano esige lo smontaggio del controsoffitto a cassettoni in stile, rivelando particolare sensibilità nel rapporto con l’antico, e 209

Giulio Carlo ARGAN, Vincenzo ABBATE, Eugenio BATTISTI, Palermo: Palazzo Abatellis, «Musei di Sicilia», Edizioni Novecento, Palermo 1991, p. 63.

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propone di introdurre una nuova foderatura in cipresso o larice. Si deciderà, infine, di lasciare a vista la moderna travatura in cemento armato, per motivi di tempo e risorse economiche. L’architetto veneziano fa scrostare, inoltre, l’intonaco delle pareti lunghe, lasciando a vista la trama discontinua in conci originari, e disponendovi sopra una serie di affreschi quattrocenteschi, quasi a voler dare a questi ultimi, al di sotto dell’ultimo strato di intonachino, l’antico supporto murario da cui erano stati staccati. Sui lati corti della sala, invece, da risalto alla muratura ispessendo l’intonaco chiaro, trattato accuratamente da esperti artigiani e stuccatori; su queste pareti sono trovano posto preziosi polittici a fondo dorato; al centro della sala, invece, sono collocate, in posizione sfalsata l’una rispetto all’altra, due grandi croci, illuminate dalla luce naturale che dalle grandi trifore, modulata dai leggeri velari, perviene nel vasto salone.

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159. “Salone delle croci”: studi per parete di fondo, con schizzi di prospettive, dettaglio di una chiave per appendere il pannello, in Vincenzo ABBATE, 2000, p. 133. 160. una veduta del salone (foto di Walter Leonardi).

Superato il salone delle croci, si accede in un piccolo vano, dove Scarpa decide di collocare le opere di Antonello da Messina in dotazione alle raccolte della Galleria. Scarpa enuclea dal percorso le opere del grande pittore siciliano, in particolare la celebre Annunciata del 1475. La tela è collocata sul fondo di un antico velluto vermiglio, isolata all’interno di un pannello al centro della stanza, ma in posizione obliqua rispetto alla grande finestra. Attraverso la luce, proveniente da nord, Scarpa esalta le componenti volumetriche e luministiche del capolavoro di Antonello Da Messina. A tal proposito, scrive Giulio Carlo 119


Argan: «E fiamminga è la luce che plasma e allo stesso tempo fa vivere e palpitare la figura della Vergine, dandole corpo e volume; luce che nella fattispecie non è “lume universale”, ma d’ “ambiente”, filtrata lateralmente - e al naturale, diremmo – se la si vuol far venire da quella finestra verso cui magistralmente lo Scarpa ha voluto orientare il pannello». 210 All’angolo della sala, di fronte alla porta di ingresso, è collocato un gonfalone dorato in legno, risaltante su un pannello esagonale verde posto sulla parete retrostante.

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160, 161. “Sala di Antonello”: la soluzione espositiva per l’ Annunziata e i pannelli per i Dottori della Chiesa di Antonello Da Messina (foto di Walter Leonardi). 162. schizzo prospettico, sezione, studio per il pannello dell’Annunziata di Antonello da Messina, Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 41. 163. disegno di pianta per la “sala di Antonello”, in Maria Antonietta MALLEO, 2006, p. 152.

210

Ivi, p. 75.

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164. schizzo prospettico della sala di Antonello, conservato presso la Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 112 v (il disegno è tratto da Paolo MORELLO, 1989, p.57). 165. schizzo di prospettiva della sala di Antonello e dettaglio della base per il “gonfalone” conservato nella sala, Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 94.

Osservando i disegni conservati nel fondo Scarpa della Galleria, si può comprendere meglio l’idea interpretativa di Scarpa; in particolare, egli traccia nella pianta quotata della sala una lunga freccia curva che indica il percorso del visitatore, che è invitato a muoversi a destra della sala, verso l’opera: «Ma, immediatamente prima, lo spettatore si era trovato “soltanto” di fronte ad una cornice vuota, quella del gonfalone processionale, un modo straordinario, questo, per introdurci all’incontro a sorpresa con l’opera di Antonello attraverso una sottrazione, una mancanza ed un’allusione».211 Costante è, negli allestimenti scarpiani, il criterio di presentare le opere d’arte in spazi loro proporzionati: in questo caso egli divide lo spazio circostante mediante un divisorio ligneo; su questo sono disposti le tavole a cuspide dei Tre santi dottori (Sant’Agostino, San Girolamo e San Gregorio Magno), collocati in pannelli mobili, similmente alle pagine di un libro e indirizzati verso la luce naturale della finestra: «una quinta scenica, per comprimere lo spazio prima e accentuarne poi la profondità, sfondandolo con due forti diagonali». 212 Ad accentuare l’idea che la sala sia dominata da un sistema di linee oblique contribuisce

anche

la

disposizione

delle

mattonelle

in

cotto

della

pavimentazione.

211 212

Maria Antonietta MALLEO, 2006, p. 153. Paolo MORELLO, 1989, p. 100.

121


L’itinerario del museo prosegue con altri interessantissimi esempi della creatività di Scarpa nella realizzazione di supporti e collocazione adeguati al valore dell’opera d’arte: per brevità non si descriverà ogni particolare soluzione progettata da Scarpa per il sostegno e l’esposizione delle opere, tuttavia degni di menzione sono il supporto ligneo per la cinquecentesca Pietà di Mario Di Laurito e per il Trittico “Malvagna” di Jean Gossaert detto Mabuse; entrambi i dipinti sono collocati al centro delle rispettive sale e illuminati dalle ampie finestre sulle pareti laterali.

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166

166. schizzi di assonometria per lo studio del supporto per il Trittico del Mabuse, Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 118 r. 167. la soluzione espositiva per il Trittico di Mabuse (foto di Walter Leonardi).

A Palazzo Abatellis, come in quasi tutte le sue realizzazioni museali, Scarpa studiò e applicò le qualità della luce naturale. È la luce delle grandi finestre, parzialmente imprigionata dai pesanti velari, che cadendo lateralmente sulle opere ne accentua i connotati drammatici e mette in evidenza particolari altrimenti sfuggenti, nella plastica delle sculture come nella raffinata grafia delle pitture. Il progetto di Scarpa prevede anche un impianto di luce artificiale:213 l’architetto immagina, infatti, un regolare intersecarsi di tubi al neon con le travature del 213

Significativa, in tal senso, una lettera di Vincenzo Scuderi a Carlo Scarpa: «Preg.mo Architetto, nella Galleria di Palazzo Abatellis, per talune sale e soprattutto per l’ex Cappella (Trionfo della morte e sculture) […] si pone da tempo e vivamente il problema di una integrazione di luce artificiale […] Le sarei pertanto assai grato se volesse farmi cortesemente conoscere la sua disposizione ad occuparsi della progettazione di quanto necessari a soddisfare la necessità di cui trattasi», lettera del 18. 01. 1966, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma.

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soffitto nel “Salone delle Croci”, e pannelli fissati in maniera obliqua lungo lo spigolo alto delle sale e distanziati da fessure verticali attraverso le quali avrebbe dovuto irrompere la luce. Vengono disegnate e fatte realizzare dalla ditta Venini, inoltre, ben 39 bocce di cristallo bianche e ametista, mai messe in opera e rimaste abbandonate nei magazzini del museo, destinate a stare sospese, tramite fili sottili, a mezza altezza dal soffitto, come veri e propri elementi d'arredo.

168

170

169

168. le finestre e i relativi velari voluti da Scarpa nel “salone delle croci”; 169. sala espositiva con i velari progettati da Scarpa per le finestre (foto di Walter Leonardi); 170. boccia di cristallo per l’impianto di illuminazione, in Sergio POLANO, 1989, p. 59.

123


Oltre allo studio dei sistemi di illuminazione per le sale espositive, Scarpa si è occupato, a Palazzo Abatellis, anche del disegno dei lucernari per i bagni, integrati da una particolare struttura lignea a carabottino per l’aerazione; in definitiva, l’architetto veneziano ha concepito e disegnato qualsiasi dettaglio dell’allestimento museale all’interno del palazzo, dalle rifiniture interne degli intonaci, al disegno dei bordi delle pareti in corrispondenza dell’incontro con i solai, alle pavimentazioni, fino ai singoli elementi di arredo, come le panchine.

172

171 173

174

171. studio per i lucernari dei gabinetti, in Paolo MORELLO, 1989, p. 83. 172. foto con in evidenza il lucernario e la griglia a carabottino di un gabinetto (foto di Walter Leonardi). 173. panchina disegnata da Carlo Scarpa in una sala espositiva (foto di Walter Leonardi); 174. studio per una panchina, Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, n. 130.

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Capitolo 4 La continuità del rapporto di Carlo Scarpa con la Sicilia e con l’amico Roberto Calandra.

4.1. La collaborazione tra Scarpa e Calandra negli anni Cinquanta

La mostra su Antonello Da Messina e l’allestimento della Galleria Regionale di Sicilia non sono le uniche occasioni per Carlo Scarpa, negli anni Cinquanta, di confrontarsi con committenze siciliane. A fare da tramite, come era avvenuto per l’esperienza della mostra su Antonello, è ancora l’amico Roberto Calandra, che contatta in più occasioni l’artista veneto per consulenze su restauri o su progetti per edifici da realizzarsi ex novo. Significativo, a tal proposito, quanto racconta Roberto Calandra in un’intervista ad Antonino Marino (cfr. Un museo di Carlo Scarpa per Messina, Officina Edizioni, Roma 2003, pp. 21-40): «Al tempo di Messina avevo avuto incarico dalla principessa di Galati di restaurare il palazzo dei Duchi di Santo Stefano che la famiglia allora possedeva a Taormina. Anche questo monumento era stato gravemente danneggiato durante l’ultima guerra mondiale, perché Taormina era stata sede dell’alto comando tedesco durante le azioni belliche successive allo sbarco americano in Sicilia. Avevo già ottenuto dalle autorità di tutela del patrimonio artistico il parere favorevole sul progetto di massima, e attendevo dal comune la licenza edilizia per cominciare i lavori. Durante la mostra di Antonello, proposi a Scarpa di associarsi a me per lo sviluppo esecutivo. Bisognava, fra l’altro, rifare il tetto e Scarpa ebbe l’idea di acquisire e rimontare qui un antico soffitto in vendita a quel tempo a Venezia. Purtroppo il progetto non andò avanti, perché il Comune di Taormina, invece di autorizzare il restauro da parte dei proprietari, espropriò il palazzo dei Duchi di Santo Stefano!».214 Calandra prosegue rievocando la collaborazione, nel 1953, 215 per un ufficio informazioni turistiche: «E allora Scarpa mi aiutò invece, con suggerimenti e disegnando una bella prospettiva, nella progettazione del piccolo locale di 214

Antonino MARINO, 2003, pp. 26- 27. La data qui riferita è quella attribuita al progetto nell’inventario del Centro Scarpa presso la fondazione MAXXI di Roma. 215

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informazioni turistiche aperto nel 1954 dall’Ente provinciale del Turismo sul corso Umberto a Taormina: quello con la vetrina a cuspide e un lungo sedile rivestito con panno giallo e blu. Ma non so se esiste ancora perché da molti anni ormai manco dalla “perla dello Jonio”».216 Le esperienze di progettazione a Palermo, a Messina e a Taormina nei primi anni Cinquanta danno un contributo fondamentale alla già ricca formazione di Scarpa e segnano l’inizio di un rapporto costante con la Sicilia, caratterizzato da un sincero apprezzamento per le bellezze storiche e architettoniche dell’isola: «Scarpa venendo in Sicilia nel 1953 scoprì il mondo islamico. Io lo portai a vedere la Zisa217 con gli scivoli d’acqua, i marmi e le superfici velate dall’acqua. Tutte cose che lui non conosceva perché non era mai stato in Sicilia. Alla fine della mostra di Antonello da Messina Pugliatti […] gli mise a disposizione una macchina con autista per fare un giro della Sicilia. Scarpa andò a Piazza Armerina dove da poco erano appena venuti fuori i mosaici della villa del Casale, a Gela a vedere le mura, a Palermo. E fu così che conobbe la civiltà greca tardo antica e arabo normanna della Sicilia e si innamorò di certe cose: tra queste l’acqua».218 Roberto Calandra attribuisce dunque alle esperienze siciliane la nascita dell’interesse di Scarpa per alcune tematiche che saranno poi proprie delle fasi più mature della carriera dell’architetto veneziano: il connubio tra architettura e acqua, fondamentale nella poetica di Scarpa, non deriverebbe solo, come hanno scritto molti critici, dalle atmosfere lagunari tanto importanti nella formazione del maestro veneziano, ma ha un legame anche con architetture islamiche visitate in Sicilia e col fatto che in questa terra la presenza dell’acqua crea nell’architettura «un senso di frescura e di refrigerio» 219 che contrasta piacevolmente col clima caldo dominante: «Carlo Scarpa, veneziano, abituato a percepire i riflessi e i giochi di luce dei canali dei canali e della laguna (analoghi direi anche agli effetti del nostro stretto di Messina nelle calme sere d’estate) […] dopo l’esperienza siciliana coglie le suggestioni dell’acqua corrente che gli

216

Antonino MARINO, 2003, p. 27. Dell’edificio info- point di Taormina non è rimasto purtroppo nulla. Il castello della Zisa è un importante edificio di Palermo risalente al periodo della dominazione arabonormanna. 218 Ivi, pp. 38-39. 219 Ivi, p. 39 217

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orientali impiegano anche per la ricerca della frescura. Gli arabi d’Egitto ne fanno attento uso nei locali che chiamano “i paradisi”».220

4.2. Il progetto per “La Rinascente” di Catania

Tra il 1956 e il 1957, Carlo Scarpa lavora ad un progetto di ristrutturazione del palazzo Trigone Misterbianco (o Spedalieri), costruito nel XVII secolo a Catania sulla via Etnea, la più importante strada cittadina, lungo la quale si affacciano importanti

edifici

barocchi.

L’edificio,

semidistrutto

dai

bombardamenti

dell’ultima guerra mondiale, è destinato ad ospitare abitazioni, uffici e una sede dei grandi magazzini La Rinascente. 221 La corrispondenza epistolare, conservata presso l’Archivio di Stato di Treviso, ci consente di ricostruire il complesso iter del progetto; quest’ultimo viene illustrato per la prima volta a Scarpa da Giovanni Carandente222 in una lettera del 15 Giugno 1956: «Caro Scarpa, come va? ho fatto la mostra dei Macchiaoli223, che vorrei tanto lei vedesse: più di uno ha detto che sente di un dichiarato “scarpismo”. Se capita a Roma prima della fine di luglio non manchi di venire a vederla, sarebbe per me una grande soddisfazione. Si vocifera anche che la porteranno a Venezia, al secondo piano del Correr, con tutto l’allestimento, salvo i velari che non sono necessari...

220

ibidem In un foglio conservato presso il Centro Carlo Scarpa dell’Archivio di Stato di Treviso (Fondazione MAXXI), Scarpa annota alcune superfici e le cubature relative a uffici e alloggi: sulla base di questi appunti, si può ipotizzare che il progetto destinasse agli alloggi (calcolati in numero di 30) una superficie totale di mq 3480, mentre agli uffici era riservata una superficie di mq 3572; la superficie coperta totale avrebbe dovuto essere di mq 7352. 222 Nato a Napoli nel 1920, laureato in Storia dell’Arte, è stato soprintendente in Sicilia dal 1951 al 1954 dove ha seguito i progetti di Carlo Scarpa relativi alla mostra di Antonello e al Museo di Palazzo Abatellis. Dirige inoltre tre laboratori di restauro allestiti da Cesare Brandi a Palermo, Catania e Messina. Seguono gli incarichi di soprintendente alle Gallerie e alle Opere d’arte medievali e moderne per il Lazio, direttore della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, direttore del Museo Nazionale di Palazzo Venezia, soprintendente del Veneto. Dal 1978 al 1980 è stato direttore dell’Università Internazionale dell’Arte a Venezia; dal 1988 al 1992 è stato direttore delle Arti Visive della Biennale di Venezia. Alterna attività critica, espositiva (importantissime alcune delle mostre da lui organizzate),scientifica e dirige i restauri in importanti complessi pittorici di Roma e del Lazio. Dal 1968 al 1975 ha tenuto la cattedra di Storia dell’Architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura a Reggio Calabria. Ha scritto come giornalista per importanti quotidiani come “Il Tempo”, “Il Giorno”, “La Stampa” e il “Corriere della Sera”. E’ morto a Spoleto nel 2009. 223 I Macchiaioli, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, maggio- luglio 1956. 221

127


175

176

175, 176. rilievo fotografico del palazzo: nella prima immagine, scorcio di via Etnea con veduta del palazzo Spedalieri (il penultimo in fondo); nella seconda foto, la facciata del palazzo semidistrutta dai bombardamenti, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI.

Ma non è questa la ragione per cui le scrivo. E’ un’altra e ben più importante. La Duchessa

di Misterbianco,

che

è

proprietaria

di un

antico

palazzo

settecentesco, semidistrutto dalle bombe, sulla via Etnea a Catania, d’accordo con la Rinascente che ne fitterebbe il pian terreno e il primo piano per installarvi un suo negozio, deve ricostruire totalmente l’edificio e ha chiesto oggi a me consiglio se fosse stato il caso di rifarlo com’era (e logicamente è impossibile) o di inserire nell’iter continuo della magnifica strada un elemento moderno, un progetto alla Wright, per intenderci, che sentisse gli stimoli della grande architettura barocca siciliana e la interpretasse con sentimento moderno. Ho fatto il suo nome come dell’architetto italiano che maggiormente si sentirebbe forse portato a interpretare un siffatto tema. Lei che ne dice? Se la cosa le va, mi scriva subito e io procurerò un appuntamento con la Duchessa e con gli altri interessati. Mi pare una bella occasione, no? Sarò a Venezia quasi certamente il 1° luglio […] ma preferirei che mi desse un cenno di risposta prima di allora, perché io ne avverta la Duchessa. A voce potremo parlare del resto. Anche perché la Rinascente vorrebbe chiamare quattro o cinque architetti e invitarli alla redazione del progetto; mentre la Duchessa per ovvi motivi di economia preferirebbe confidarsi a uno solo. Sono stati redatti già due progetti

128


da Caronia224 e da un certo Luciani, ma nessuno ha soddisfatto i committenti. Mi scriva subito, dunque, e mille cordialità…».225

177 177. studi volumetrici per l’edificio “La Rinascente”, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI, inv. 045742.

Nel gennaio del 1957 Scarpa è invitato a recarsi a Catania per conoscere la duchessa di Misterbianco, insieme a Giovanni Carandente: «Carissimo, ieri dunque siamo giunti al nodo con la Duchessa, giunta a Roma nella mattina. Come ti ho detto per telefono, saremo tutti a Catania sabato 2 febbraio, dove troveremo le camere prenotate all’Hotel Excelsior (proprietà dei Misterbianco). Io arriverò da Palermo dove andrò dopo domani. La Duchessa è molto lieta di conoscerti. […] Naturalmente sei suo ospite e anche le spese del viaggio ti sono rimborsate (aereo, nave o anche siluro volante o elicottero, a scelta)! E’ una felicissima circostanza ci riunisce tutti nell’isola del Sole. La Duchessa ha in

224

Giuseppe Caronia (1915-1994), ingegnere e architetto palermitano, è stato docente di Caratteri distributivi degli edifici e poi di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo; autore di numerose pubblicazioni, ha operato professionalmente in numerose città della Sicilia con progetti di case di abitazione, chiese, alberghi, opere pubbliche, quartieri residenziali, piani urbanistici e importanti restauri architettonici, come quello per il palazzo della Zisa di Palermo e per il suo parco. 225 Lettera di Giovanni Carandente a Carlo Scarpa, 15 Giugno 1956; Centro Carlo Scarpa, presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI.

129


progetto anche qualche gitarella nei dintorni, Noto, Modica, Ragusa, se ti interessa e ti fa piacere».226

178 178. Carlo Scarpa, studi per l’edificio dei magazzini “La Rinascente” a Catania, con veduta assonometrica, disegno di pianta e schizzo relativo a una rampa di collegamento, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI, inv. 39852.

226

Lettera del 23 Gennaio 1957 di Giovanni Carandente a Carlo Scarpa, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI.

130


179 179. Carlo Scarpa, edificio “La Rinascente” a Catania: studi per pianta e veduta assonometrica, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI, inv. 045738.

L’incontro con la Duchessa e i Baroni Spitalieri perviene a buon fine e Scarpa viene designato per la «progettazione architettonica della facciata»227 del nuovo stabile. Nel febbraio del 1957 Carlo Scarpa dunque si reca a Milano per discutere con il direttore generale della società “La Rinascente” in merito al progetto.228

227

Lettera di Gianni Brustio (direttore generale “La Rinascente”) a Carlo Scarpa, Milano 19 Febbraio 1957, Centro Carlo Scarpa, presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI. 228 Lettera di Gianni Brustio (direttore Centrale “La Rinascente”) a Carlo Scarpa, Milano 19 Febbraio 1957; lettera dell’8 Febbraio 1957, Centro Carlo Scarpa, presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI.

131


180 9 180. Carlo Scarpa, studi planimetrici e funzionali per l’edificio “La Rinascente”, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI, inv. 045732.

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181 181. Carlo Scarpa, schizzi progettuali per l’edificio “La Rinascente” a Catania, con sezione e studio delle caratteristiche volumetriche dell’edificio, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI, inv. 045745.

133


Nel frattempo vengono avviate le fasi di studio dello stato di fatto, di cui si occupa l’ingegner Mariano Vasta, che esegue una dettagliata campagna fotografica del sito di progetto e invia copia degli scatti a Scarpa;229 quest’ultimo tornerà a Catania nel maggio del 1957, come testimonia una ricevuta delle spese sostenuto per i soggiorni presso l’Hotel Excelsior.230

182 182. Carlo Scarpa, studi planimetrici e veduta assonometrica dell’edificio “La Rinascente” a Catania, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI, inv. 045736.

Dalla documentazione progettuale conservata presso l’Archivio di Stato di Treviso si deducono i principi ispiratori e le idee di fondo del progetto: la ripresa in chiave moderna dello “stile” predominante su via Etnea; l’uso di materiali come il ferro, la pietra lavica e la pietra bianca, lavorati con riferimenti formali al barocco. Particolarmente interessante è l’ipotesi di realizzare, sull’esterno dei 229

Lettera di Mariano Vasta a Carlo Scarpa, Catania 13. 01. 1957, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI. 230 La ricevuta comprende le spese da giorno 6 a giorno 8 maggio 1957 ed è conservata presso il Centro Carlo Scarpa, Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI.

134


due blocchi di differente altezza dell’edificio, una grande rampa parallela alla facciata, che porta a metà quota.231 Il processo progettuale si arresterà ben presto, per l’intolleranza del committente nei confronti dei ritardi nell’elaborazione del progetto.232

4.3. I progetti siciliani degli anni Settanta

Il rapporto con la Sicilia caratterizza in maniera determinante non solamente gli esordi e i primi successi, ma anche la fase matura della carriera e della vita di Carlo Scarpa. Negli anni Settanta, infatti, l’artista veneziano torna a progettare in Sicilia, dando inizio ad una intensa stagione di collaborazione con l’amico Roberto Calandra: a partire dal 1972 i due progettisti si occupano dell’importante intervento di restauro sull’antico Palazzo Steri in Piazza Marina a Palermo, per conto dell’Università del capoluogo siciliano, e della progettazione del nuovo Museo Nazionale a Messina, finanziato dalla Cassa per il Mezzogiorno. Gli incarichi dei due progetti arrivano quasi in contemporaneità per Scarpa e Calandra, come racconta quest’ultimo: «Nel 1972, quando l’Università e il rettore del tempo mi incaricarono, come docente di restauro, del progetto dello Steri […] chiesi di potere invitare anche Scarpa. Telefonai a Scarpa per proporgli il lavoro e Scarpa mi disse che, proprio pochi minuti prima, lo aveva chiamato Giorgio Vigni per proporgli di costituire il “tandem” della mostra di Antonello e progettare il nuovo museo di Messina».233 A causa dei numerosi impegni in Italia e all’estero, la presenza di Scarpa in Sicilia in questo periodo non è costante e prolungata: i disegni per il museo di Messina vengono in gran parte elaborati dall’artista veneziano nella sua casa

231

Sul progetto de “La Rinascente”, si veda: Francesco DAL CO, Giuseppe MAZZARIOL, 2006, p. 119. Il 31 Maggio 1957, Giovanni Carandente scrive preoccupato a Carlo Scarpa: «Carissimo, com’è finita con Catania? La Poccetti mi ha dato delle vaghe notizie non molto confortanti. Nessuna nuova mi giunge né da te, né dalla Duchessa. Eppure sono parecchio ansioso di sapere come la questione si sia conclusa». Alcuni telegrammi della Duchessa Trigona Spitalieri rivelano un certo ansiosa sollecitudine nelle richieste indirizzate a Scarpa: «Urgendoci progetto prego precisare sollecita sua venuta»; e ancora: «Pressantissimi Rinascente urgentissimo appalto forfait pregoLa sollecitare progetto e dirmi data consegna», Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI. 233 Antonino MARINO, 2003, p. 27. 232

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vicentina, con Calandra e il giovane collaboratore Fabio Lombardo,234 mentre per quanto riguarda il restauro di Palazzo Steri, Carlo Scarpa accetta solo di offrire una consulenza, ritenendo di non potere dedicare tempo adeguato a questo incarico; non mancheranno, tuttavia, le visite di Scarpa sui siti di progetto. L’architetto messinese e l’artista veneziano si trovano talvolta a gestire contemporaneamente le problematiche di entrambi i progetti, come dimostra una lettera di Roberto Calandra a Carlo Scarpa del 30 Gennaio 1974: «Caro Carlo, Nino Vicari mi ha portato la notizia che non potrai scendere in Sicilia prima del 12 febbraio. E, ti confesso, questo mi ha un po’ allarmato dati i precisi impegni progettuali che abbiamo assunto nei confronti della Cassa per il Mezzogiorno, e le pressioni che ricevo dall’Università per i lavori allo Steri […] Ma probabilmente non è il caso di drammatizzare: sono certo che venendo qui troverai modo di trattenerti il tempo necessario per fare tanto profiquo lavoro, e – nel frattempo – cercherò di approntare tanti strumenti di importanza basilare e preliminare. Mi sono infatti preso l’arbitrio di effettuare un primo sopralluogo a Messina, insieme al soprintendente Scuderi235 e alla Direttrice del museo […] e di commissionare un rilevo plano- altimetrico del terreno oltre l’estratto di mappa catastale […] Di questo estratto di mappa, anzi, ti mando copia perché tu possa cominciare a fare qualche pensiero progettuale approfittando del ricordo […] del paesaggio che sta di fronte al terreno del Museo e delle 234

Fabio Lombardo nasce a Tunisi nel 1942. Nel 1944 la sua famiglia si trasferisce in Toscana e qualche anno dopo a Palermo. In questa città studia e si laurea in Architettura con una tesi sulla ristrutturazione del quartiere delle Halles a Parigi, che sarà pubblicata dalla rivista Controspazio. Nel 1972 inizia la collaborazione professionale con l'architetto Roberto Calandra nel cui studio incontra Carlo Scarpa, anche lui incaricato di due progetti siciliani. Fino al 1978 collabora con Calandra e Scarpa al progetto per il Nuovo museo Nazionale di Messina e a quello per il restauro di Palazzo Steri a Palermo. Nel 1976 progetta con Carlo Scarpa gli esterni e gli interni del nagozio Giglio IN in via Libertà a Palermo. Nel 1977 Carlo Scarpa lo invita a trasferirsi a Vicenza, dove lui abita, per avviare una più estesa e continua collaborazione. Dopo la morte di Carlo Scarpa, è il figlio Tobia Scarpa a chiedergli di lavorare insieme a lui ed alla moglie Afra ed inizia un sodalizio di lavoro durato tredici anni. Con Afra e Tobia Scarpa progetta e realizza molti lavori in Italia e all'estero. Nel 1983 Tobia Scarpa gli chiede di progettare con lui la tomba per il padre che verrà in seguito collocata nel cimitero di SanVito di Altivole che Carlo Scarpa aveva realizzato per la famiglia Brion. Nel 1987 l’azienda Flos lo sceglie, insieme a Philippe Starck, per entrare a fare parte dei suoi designer, storicamente limitato ai nomi di Achille Castiglioni e Afra-Tobia Scarpa. Ha realizzato a Palermo e provincia diversi lavori fra i quali Casa Caronia a Pollina, casa Rizzo a Cefalù, casa Giglio a Palermo e l'allestimento della mostra Palermo 1900, questo su invito di Gianni Pirrone. 235 Vincenzo Scuderi è stato Soprintendente alle Gallerie ed Opere d’Arte della Sicilia occidentale, nonché per molti anni direttore del Museo Pepoli di Trapani e della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. In qualità di conservatore, a Scuderi si devono interventi di grande importanza nell’ambito della salvaguardia del patrimonio artistico, attuati talora in condizioni d’emergenza come nel caso del terremoto della Valle del Belice del 1968, e una vasta opera di catalogazione delle opere d’arte delle provincie di Palermo, Trapani e Agrigento terminata nel 1987. Profondo conoscitore dell’arte siciliana tra Medioevo e Barocco, è autore di numerose pubblicazioni ed è stato tra gli organizzatori di importanti eventi espositivi. Attualmente è membro del consiglio direttivo della Fondazione “Salvare Palermo”.

136


principali opere da esporre (l’Antonello, il Caravaggio, il Cristo ligneo tardomedievale, ecc.) […] Per quanto riguarda lo Steri, non ti mando nulla […]; cercherò invece di preparare alcune ipotesi progettuali di dettaglio con la speranza di avere il tuo benestare il dodici febbraio…».236

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183. il negozio “Giglio in” di Palermo, in via Liberta n.44; 184. ricevuta manoscritta di Carlo Scarpa per le «prestazioni progettuali» fornite a Michele Giglio, disponibile in: http://www.giglio.com/it/ieri.html (consultato il 10 luglio 2012).

La collaborazione tra Calandra e Scarpa durerà fino al 1978, anno in cui quest’ultimo muore a causa di una caduta in Giappone; fino a quel momento l’apporto alla progettazione dello Steri è costantemente intenso e ricco di invenzioni e suggerimenti; l’iter progettuale e amministrativo relativo al Museo di Messina, invece, si esaurisce nel 1976 e non troverà sbocco nell’attuazione. Sempre nel 1976 Carlo Scarpa si dedica alla progettazione, con Fabio Lombardo, del negozio “Giglio In” a Palermo, per l’imprenditore Michele Giglio.

236

Lettera di Roberto Calandra a Carlo Scarpa, 30.01.1974, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, cassetto 9. 1.

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Capitolo 5 Il restauro di Palazzo Chiaramonte- Steri a Palermo 5.1. Inquadramento storico- urbanistico dell’edificio

Il palazzo Chiaramonte viene edificato a partire dai primi anni del XIV secolo nell’antico quartiere della Kalsa, in una posizione urbana strategica, dominante sul porto e sul Piano della Marina. L’edificio è conosciuto anche come Steri, dal latino Hosterium, palazzo fortificato. Sorge oggi nell’angolo sud-orientale di Piazza Marina, di fronte all’ottocentesco Giardino Garibaldi. La costruzione del palazzo è voluta dalla famiglia Chiaramonte, dinastia nobiliare di origini francesi, che ha raggiunto grande potenza politica ed ha esercitato il proprio dominio feudale in Sicilia per tutto il corso del XIV secolo.237

185

186

185. particolare della pianta di Palermo realizzata da Franz Braun e Franz Hogemberg nel 1588, con in evidenza il Piano della Marina e Palazzo Steri (numero 74), in Cesare DE SETA, Leonardo DI MAURO, Palermo, «Le città nella storia d’Italia», Laterza, Bari 1981, p. 69. 186. foto Alinari dei primi anni del XX secolo, in Giuseppe SPATRISANO, Nuove ricerche sullo Steri, S. F. Flaccovio Editore, Palermo 1984, p. 18, illustrazione 4.

237

Sulle vicende storiche di Palazzo Steri fino al XX secolo, si veda: Giuseppe SPATRISANO, Lo Steri di Palermo e l'Architettura siciliana del Trecento, S. F. Flaccovio Editore, Palermo 1972; Ferdinando BOLOGNA, Il soffitto della Sala Magna allo Steri de Palermo e la cultura feudale siciliana nell'autunno del Medioevo, S. F. Flaccovio Editore, Palermo 1975; Giuseppe SPATRISANO, Nuove ricerche sullo Steri, S. F. Flaccovio Editore, Palermo 1984; Camillo FILANGERI, Steri e metafora: i palazzi chiaramontani di Palermo e di Favara: analisi, considerazioni, consuntivi, Zuccarello, Messina 2000; Vincenza BALISTRERI (a cura di), Giuseppe Spatrisano architetto (1899- 1985), Fondazione culturale Lauro Chiazzese, Palermo 2001, pp. 132- 134; Ettore GABRICI, Ezio LEVI, Lo Steri di Palermo e le sue pitture, L'Epos, Palermo 2003; Aurora ROMANO, L’insediamento dei tribunali borbonici allo Steri, in «PER salvare Palermo», gennaio- aprile, n. 14, Priulla, Palermo 2006, pp. 30- 33.

138


187. rielaborazione di uno stralcio di un rilievo aerofotogrammetrico realizzato nel 1981 (Ufficio Tecnico del Comune di Palermo), con in evidenza l’invaso di Piazza Marina e, identificati da vari colori, il Palazzo Steri e gli edifici più significativi del complesso monumentale di cui la reggia chiaramontana fa parte. LEGENDA Palazzo Steri- Chiaramonte Edificio Abatelli

di

collegamento

Steri-

Palazzo Abatelli il Palazzetto neoclassico sede della "Regia impresa del gioco del Lotto" Edificio delle “carceri della penitenza” per i condannati a pene detentive. Chiesetta di Sant’Antonio Abate

187

Giardino Garibaldi.

L’edificio è caratterizzato da una pianta a impianto quadrato, con lato di circa 40 m, che si articola attorno ad un cortile interno, con porticato e sovrastante loggiato, connotati da archi a sesto acuto retti da capitelli variamente intagliati. Il volume originario consta di due piani, a cui nel secolo XIV viene aggiunto un terzo livello, incompiuto, che verticalizza decisamente la fabbrica. Sopra l'alto basamento, appena scalfito da finestre aperte a feritoia, si sviluppa la decorazione delle bifore e trifore del primo piano, che forma una larga fascia ritmata.

188 188. grafici realizzati da Camillo Filangeri (2000) che illustrano l’evoluzione dell’impianto e della volumetria del Palazzo Chiaramonte durante il XIV secolo: a) invaso del cortile (1320 ca.); b) realizzazione del porticato; c) piano nobile con loggiato; terza elevazione, cominciata alla fine del XIV secolo e rimasta incompiuta (si noti anche lo scalone esterno, cinquecentesco, e la piccola chiesa di Sant’Antonio Abate, eretta quale cappella di famiglia dai Chiaramonte; in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 91.

139


Tutti i piani prendono luce dalle bifore poste sui prospetti, tranne il salone settentrionale che presenta due serie di eleganti trifore sui due lati lunghi e si affaccia sulla corte interna. Le aperture sono impostate su esili colonnine, di cui alcune tortili, e concluse da ghiere a decorazioni policrome o in conci. Una fascia a movenze floreali corre sull'imposta degli archi ed unifica le varie aperture. Altre cornici orizzontali ornano il bordo inferiore delle stesse e separano idealmente i vari piani dell'edificio. Agli angoli dei prospetti sono poste colonne inalveolate. L'ingresso principale è collocato in una posizione decentrata, sul fianco laterale del palazzo, in corrispondenza del prospetto meridionale, ed è elegantemente definito da una semplice doppia ghiera di conci, formanti un arco ogivale. Al primo piano si trova la Sala Magna, detta anche dei Baroni, coperta da un pregevole soffitto ligneo dipinto eseguito fra il 1377 e il 1380, realizzato da Cecco di Naro, Simone da Corleone e Pellegrino Darena da Palermo, con un vasto repertorio di immagini e motivi figurativi medievali. L’edificio disponeva originariamente di un ampio giardino recintato, entro cui vennero realizzate altre costruzioni: tra queste, sono sopravvissuti la chiesetta di Sant’Antonio Abate ed alcuni ambienti adibiti forse a scuderie, facenti parte di un porticato con una serie di archi acuti su colonne ornati di capitelli, recanti lo stemma dei Chiaramonte.

189

190 127

189. il soffitto dipinto della Sala Magna dello Steri; 190. particolare del ciclo pittorico che adorna il soffitto della Sala Magna dello Steri (foto di Walter Leonardi).

Palazzo Steri rimane dimora privilegiata della famiglia fino al 1392, quando Andrea, l'ultimo dei Chiaramonte, viene giustiziato dagli Aragonesi proprio nello spiazzo davanti alla sua dimora. Il Palazzo viene confiscato insieme a tutti i beni 140


della famiglia; diviene poi sede dei re aragonesi (Martino I d’Aragona e Bianca di Navarra vi abitarono) e dei viceré, fino al 1517, quando sarà acquisito dalla Regia Dogana. A partire dal 1601, il complesso dello Steri diventa sede del tribunale della Santa Inquisizione; l'edificio viene adattato al suo ruolo con la costruzione delle carceri e della sala delle torture al piano inferiore del palazzo.

191 191. pianta degli anni ’40 del XIX secolo, al tempo dell’utilizzo di Palazzo Steri come dei tribunali borbonici (1800- 1810), in Aurora ROMANO, 2006, p. 33.

Con il decreto regio del 6 marzo 1782, dietro suggerimento del viceré Caracciolo, re Ferdinando I dispone l’abolizione del Tribunale dell'inquisizione. Lo Stato rientra dunque in possesso dei locali del Palazzo Chiaramontano, del contiguo Palazzo Abatelli238 (aggregato allo Steri nel XVI secolo) e di tutto il terreno retrostante, l’antico viridarium divenuto una sorta di cimitero dei condannati; acquisisce inoltre le carceri della penitenza. Diverse parti del complesso cadono così in disuso o vengono destinate ad istituzioni ad istituzioni minori: nel 1786 viene stabilito l’Ospizio dei Poveri nelle ex- carceri della Penitenza; poco dopo nei piani superiori del palazzo viene trasferita la

238

Da non confondere con il palazzo Abatellis di via Alloro, sede della Galleria Regionale di Sicilia

141


regia impresa del lotto. Nel 1799 re Ferdinando IV di Borbone ordina il trasferimento, nell’ex- sede del Sant’Uffizio, di tutti tribunali supremi del Regno di Sicilia: il palazzo subisce così nuove modifiche per ospitare i nuovi uffici giudiziari.

5.2. Lo “Steri chiaramontano” e le teorie del restauro moderno Nel corso dei secoli, il Palazzo Chiaramonte- Steri ha subito numerose trasformazioni, a seconda delle diverse destinazioni d’uso a cui è stato adibito; inoltre, a partire dal XVI secolo a tutto il XVIII ed oltre, numerosi corpi di fabbrica sono stati costruiti a ridosso del palazzo e hanno determinato la progressiva occupazione e cancellazione del giardino recintato. La magione chiaramontana, durante la sua storia, è stata anche oggetto di numerosi tentativi di recupero edilizio, configurandosi come materia prima per la sperimentazione dei diversi indirizzi culturali e delle metodologie tecniche e operative che hanno caratterizzato l’evoluzione della cultura del restauro, in particolare a partire dal XIX secolo. In seguito a un terremoto che colpisce Palermo nel 1726, viene incaricato l’architetto

Giacomo

Amato

239

di

effettuare

un

primo

intervento

di

consolidamento, che consiste nel rinforzo o nella sostituzione delle strutture e delle opere murarie di fondazione e del piano terra e nel puntellamento dell’edificio mediante contrafforti;240 viene inoltre demolito l’originario portale sul lato occidentale e al suo posto realizzato quello che si affaccia oggi su Piazza Marina: «L’intervento di Giacomo Amato è sintomatico dell’atteggiamento non ideologico e quindi non deformante che gli architetti del mondo premoderno hanno sistematicamente istituito ed esperito con le preesistenze […] I criteri che presiedevano tali scelte dipendevano da valutazioni strettamente legate alla situazione specifica dell’opera e alle condizioni di contorno, né possono essere arbitrariamente ricondotte alle esperienze e agli indirizzi metodologici del

239

Giacomo Amato (Palermo, 1643 –1732), Amato si formò giovanissimo a Roma con Carlo Rainaldi; è autore di numerose fabbriche religiose ed edifici civili a Palermo (chiesa di Santa Teresa alla Kalsa, Palazzo Branciforte). 240 Camillo FILANGERI, 2000, p. 41.

142


restauro moderno…».241 Tuttavia, scrive Roberto Calandra: «E’ significativo al riguardo che il celebre architetto del tempo, Giacomo Amato, […] invece di proporre, come sarebbe stato logico attendersi nel clima culturale del tempo, la sostituzione del palazzo medievale con un nuovo manufatto barocco, abbia realizzato, ante- litteram, il primo esempio di “restauro conservativo”…». 242 L’edificio

subirà numerose manomissioni nei decenni successivi,

fino

all’intervento di Salvatore Attinelli, 243 che nel XIX secolo adatterà l’edificio a sede del regio lotto: a quel punto lo Steri si configurerà ormai come insieme stratificato e disordinato di elementi funzionali e rappresentativi aggiunti a seconda delle necessità e delle ragioni del tempo, di nuove aperture e di corpi di fabbrica sommati alla preesistenza. Negli ultimi anni dell’Ottocento il Soprintendente Giuseppe Patricolo,244 in qualità di direttore dell’Ufficio per la Conservazione dei monumenti siciliani, avvia un programma di interventi sull’edificio, relativi alle parti ritenute più significative della fabbrica, come la Sala Magna e il prospetto su Piazza Marina. E’ questo il momento in cui il monumento chiaramontano diventa oggetto dell’interesse e delle istanze restaurative della moderna civiltà borghese. Coerentemente con gli indirizzi culturali del tempo, per Patricolo l’attività del restauro consiste nella riproposizione della presunta condizione originaria dell’opera. Si avviano una serie di pesanti lavori, volti ad eliminare nell’edificio tutte le stratificazioni e aggiunte posteriori che compromettono l’“unità stilistica” del monumento: nel salone del piano nobile vengono demolite alcune volte che occultavano in parte il soffitto ligneo trecentesco, rinsaldate alle estremità tutte le travi lignee mediante rinforzi metallici e sostituite alcune travi irrecuperabili, vengono riaperte le trifore, precedentemente murate, che si affacciano sul cortile; sulla facciata verso Piazza Marina vengono ripristinati gli stipiti e il parapetto di una trifora sulla parete nord- occidentale della Sala Magna. 241

Francesco LA REGINA, Lo Steri nella dialettica del restauro moderno, in Antonietta Iolanda Lima, 2006, pp. 35- 36. 242 Roberto CALANDRA, Il Palazzo Chiaramonte o lo “Steri” di Palermo, in «Demetra. Semestrale degli Architetti di Enna», n. 1, dicembre 1991, [pp. 26- 35], pp. 28- 29. 243 Salvatore Attinelli (1736- 1802), architetto camerale della Regia Corte, sovrintese a molti importanti interventi di edilizia borbonica, collaborando con grandi architetti del tempo. 244 Giuseppe Patricolo (Palermo, 1834- 1905), è stato un importante architetto e restauratore. Fu scopritore di tanta parte del patrimonio monumentale della Sicilia. Il suo atteggiamento nella polemica per il rinnovamento artistico fu conservatore. Fu autore di numerosi restauri in Sicilia, come quelli per le chiese di San Giovanni degli Eremiti e Santa Maria dell'Ammiraglio a Palermo o il restauro della Chiesa della Santissima Trinità di Delia a Castelvetrano; esercitò anche la docenza di Disegno di ornato e architettura a partire dal 1875 presso l’Università di Palermo.

143


Ben presto però l’attività della Soprintendenza viene ostacolata dalla carenza di fondi, nonché dal sorgere di numerose polemiche relativamente alle procedure adoperate per il restauro dell’edificio. Nell’ultimo scorcio del secolo si manifesta infatti un deciso mutamento nel clima culturale, dovuto alla diffusione delle idee di denuncia del restauro stilistico propugnate da autori come John Ruskin e William Morris. Il nuovo indirizzo metodologico nel campo del restauro dei monumenti troverà espressione anche nelle riflessioni maturate in occasione del IV Congresso nazionale degli ingegneri e degli architetti, svoltosi a Roma nel 1883. La linea proposta e adottata in quell’occasione è improntata ad una maggiore prudenza: i nuovi interventi, ove riguardino parti mai esistite o non più esistenti ma di cui manca qualsiasi documentazione, devono essere «visibili e distinte nel miglior modo possibile» e dunque devono essere realizzate nello «stile moderno»; se, tuttavia, si tratta di ricostruire parti note e documentate, queste vanno ricostruite con materiali diversi e possibilmente con forme semplificate. I monumenti architettonici del passato, inoltre, «servono, quali documenti a chiarire e ad illustrare in tutte le sue parti la storia dei vari popoli […] e perciò vanni rispettati e serbati con iscrupolo religioso» 245 , dunque le stratificazioni devono essere mantenute. Le decisioni del Congresso costituiscono i fondamenti del restauro cosiddetto “filologico”.246 Nel caso di Palazzo Steri, tuttavia, si continuerà fino a tutta la prima metà del XX secolo a operare secondo varianti del cosiddetto “restauro stilistico”, «pur nell’ambito di una dichiarata ambizione di sottrarre il restauro ai rischi dell’arbitrarietà»247: durante i restauri di Francesco Valenti, negli anni Venti del Novecento, vengono eliminate numerose aperture “posteriori” che incidono sul fronte di piazza Marina, viene demolita l’edicola con l’insegna del Santo Uffizio e l’antico orologio civico, si decide la demolizione del campanile e viene ricostruita l’antica merlatura medievale. Negli anni Trenta si prosegue il restauro della facciata occidentale con la sistemazione della cantonata sud- ovest mediante la demolizione degli edifici addossati al palazzo e la costruzione di una cancellata di ingresso; in questo 245

Voto sul restauro dei monumenti del IV Congresso degli ingegneri ed architetti italiani (1883), in Maria Piera SETTE, Il Restauro in Architettura, UTET, Torino 2001, p. 81- 82. 246 Ivi, p. 84 247 Francesco LA REGINA, 2006, p. 37.

144


periodo, relativamente alle sorti del palazzo, ha luogo un vivace dibattito, che vede sorgere proposte di completamento del palazzo e di demolizione di tutti gli edifici circostanti, al fine di ottenere il completo isolamento del monumento.

192

193

192, 193. rilievo di Palazzo Steri e ipotesi di restauro, in due disegni di Francesco Valenti (1927), in Antonietta Iolanda LIMA, 2006, p. 97.

Nel 1960 lo Steri chiaramontano viene vincolato ai sensi della legge 1089/1939248; nel 1964 l’Assessorato per il Turismo incarica un team di esperti, tra i quali Giuseppe Spatrisano, 249 per redigere un progetto di restauro dell’edificio. Nel 1967, il Demanio dello Stato decide di accogliere la richiesta del rettore dell’Università di Palermo, Michele Gervasi di assegnazione dell’immobile all’Ateneo. Questo decide di destinare lo Steri a sede del Rettorato ed affida l’incarico di progettare il restauro e di eseguire i lavori alla Soprintendenza ai monumenti della Sicilia Occidentale. Tra il 1970 e il 1972,

248

Legge 1 giugno 1939, n.1089 (detta anche legge "Bottai"), Tutela delle cose d’interesse artistico e storico; la legge è restata a lungo il testo di riferimento per la tutela e la protezione dei beni culturali in Italia. 249 Giuseppe Spatrisano (Palermo, 1899- 1985) fu allievo di Ernesto Basile; laureatosi in architettura a Roma, entrò in contatto con la scuola del Razionalismo italiano. Nel 1935 progettò la Casa del Mutilato di Palermo, completato nel 1938, che fu uno dei migliori esempi di questo stile. Fu incaricato dei lavori di restauro del Palazzo Steri, al quale dedicò vari studi, sede del Rettorato a Palermo, ma lasciò l'incarico in polemica con altri professionisti palermitani, per la loro decisione di eliminare alcuni tra i segni fondamentali della storia del palazzo, come la Scala dei Baroni, l'antico orologio, le gabbie interne e tutto ciò che in qualche modo potesse ricordare i suoi orribili trascorsi, legati all'Inquisizione. Studiò l'architettura cinquecentesca di Palermo, alla quale dedicò diversi libri. Insegnò poi all'Università di Palermo. Nel 1957 fu uno dei fondatori della sezione palermitana dell’Associazione Italia Nostra. Sull’opera di Spatrisano, si veda: Vincenza BALISTRERI (a cura di), Giuseppe Spatrisano architetto (1899- 1985), Fondazione culturale Lauro Chiazzese, Palermo 2001.

145


viene così avviata un intenso programma di interventi sull’edificio, ormai molto degradato e compromesso staticamente. Allo scopo di consolidare l’edificio, vengono impiegate ampiamente le nuove tecnologie dell’acciaio e del cemento armato: vengono sostituiti gli antichi e pericolanti solai lignei con solai latero- cementizi; vengono concatenate le strutture murare mediante tiranti in acciaio inseriti nei solai (strutture che si vanno ad aggiungere alle catene introdotte nelle precedenti campagne di restauro, i cui capi- chiave sono ancor oggi visibili sui fronti esterni); viene eseguito un trattamento diffuso con la tecnica delle iniezioni di miscele cementizie bentonitiche e delle cuciture armate inserite nelle masse murarie, integrate da cuciture di tipo radiale per il rinforzo degli archi; a mezzo di reticoli cementati si creano veri e propri pilastri e cordoli all’interno della muratura e si consolidano in questo modo anche i cantonali.250 Si interviene sulla facciata su Piazza Marina, murando alcune aperture e aprendone altre.

194

195

194. veduta della facciata del palazzo su Piazza Marina nel 1932, in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 115; 195. veduta della facciata sud negli anni Trenta: si noti la copertura piana, poi eliminata dai lavori della Soprintendenza, e le numerose aperture di vario tipo che caratterizzavano il paramento murario, ivi, p. 121.

L’intervento più consistente, tuttavia, è quello relativo alla demolizione dei corpi di fabbrica addossati sui lati settentrionale e orientale del palazzo, al fine di recuperare le relative facciate e di ottenere il completo isolamento del palazzo; vengono così scoperti i resti di una scala cinquecentesca sul lato nord-orientale.

250

Si vedano: Francesco SANGUINETTI, Palazzo Chiaramonte, detto Steri. Progetto lavori di restauro ed adattamento a sede del rettorato dell’Università degli Studi di Palermo, relazione del 22. 11. 1968 (ASBCAP, faldone mon. 262 6); Francesco LA REGINA, 2006, p. 40.

146


Sul fronte meridionale, infine, si interviene con la ricomposizione del paramento murario e con la ricostruzione degli elementi architettonici (colonnine, archetti, timpani) di tre delle quattro bifore esistenti. Un mutato clima culturale determina un cambiamento di indirizzo nei lavori di restauro dello Steri nel 1972, quando viene emanata la Carta Italiana del Restauro. 251 Il documento, ampiamente ispirato da Cesare Brandi, consta di dodici articoli più quattro allegati (di cui il primo intitolato Istruzioni per la condotta dei restauri architettonici) segna un momento fondamentale nell’evoluzione della moderna cultura del restauro e stabilisce i principi di un nuovo indirizzo metodologico, basato sullo studio attento del bene da conservare come necessaria premessa all’intervento, sulla conservazione integrale delle opere del passato e sul rifiuto di qualsiasi restauro stilistico o di ogni «alterazione delle condizioni accessorie o ambientali sulle quali e arrivata sino al nostro tempo l'opera d'arte, il complesso monumentale o ambientale».252 Sono anni in cui, sui temi del restauro e della salvaguardia del patrimonio architettonico e dei centri storici, si accendono grandi dibattiti, non solo in seno agli ambiti intellettuali, ma anche all’interno delle amministrazioni pubbliche e delle soprintendenze; i metodi adoperati dalla Soprintendenza appaiono superati rispetto ai nuovi orientamenti nel campo del restauro e del recupero edilizio.

196

197

196. l’angolo sud- est del palazzo ai tempi del restauro della Soprintendenza (1971), in Antonietta Iolanda LIMA, 2006, p. 126; 197. il restauro della facciata sud, ivi, p. 127. 251

Circolare n. 117 del 6 aprile 1972, Ministero della Pubblica Istruzione; pubblicata in: Cesare BRANDI, Teoria del restauro, Einaudi, Torino 1977, pp. 131- 154. 252 Cesare BRANDI, 1977, p. 136.

147


Cesare Brandi, in quegli anni, è membro di una Commissione Ministeriale per lo studio dei Monumenti Arabo- Normanni, voluta dalla Direzione Generale della Antichità e delle Belle Arti e composta, oltre che dallo storico senese, da Guglielmo De Angelis D’Ossat (presidente), Umberto Rizzitano, Michele Gargano e Marilisa Cametti. La commissione ministeriale seguirà da vicino i lavori di restauro per lo Steri, che saranno fortemente influenzati dagli indirizzi metodologici affermati nella Carta del Restauro. Racconta, a tal proposito, Roberto Calandra: «[Cesare Brandi] già nella prima fase dei restauri (quelli condotti dalla Soprintendenza) e anche durante il nostro primo contatto col problema […] tornava periodicamente a Palermo e allo Steri con una Commissione ministeriale di consulenza per i monumenti medievali e aveva lamentato che la Soprintendenza del tempo indulgesse verso taluni veterocriteri di intervento (restauro stilistico, “ falso storico”)». 253 Sul finire dell’anno 1972, l’Università degli studi di Palermo, in base al parere espresso da una specifica commissione interna254, chiede ed ottiene di potere progettare e gestire direttamente, con il proprio personale docente e tecnico amministrativo e con i propri stanziamenti finanziari, i lavori per l’adattamento di Palazzo Steri a sede del Rettorato e a Museo dell’Università; l’incarico viene affidato a Roberto Calandra, all’epoca titolare della cattedra di Restauro dei Monumenti presso la Facoltà di Architettura.

253

Roberto CALANDRA, 1991 (b), pp. 30- 32. Nominata nel maggio del 1971, la commissione era costituita da Roberto Calandra, all’epoca professore di Restauro dei monumenti, Maurizio Calvesi, professore di Storia dell’Arte, Vittorio Ziino, professore di Architettura e composizione, e coadiuvata da Maria Giuffré, Camillo Filangeri e dall’ingegnere Nino Vicari; in Relazione sulla Commissione Rettorale sui criteri di restauro dello Steri, 21. 07. 1971, ASBCAP, faldone Mon 262 5.; cfr. anche: lettera del Rettore dell’Università degli Studi di Palermo, G. D’Alessandro, alla Soprintendenza ai Monumenti della Sicilia Occidentale, 31. 05. 1971, ASBCAP, faldone Mon 262 4. 254

148


5.3. Il restauro dell’Università sotto la direzione di Roberto Calandra e con la consulenza di Carlo Scarpa.

198

199

198. la facciata di Palazzo Steri su Piazza Marina; 199. il cortile interno del palazzo (foto di Walter Leonardi).

Al momento dell’assegnazione dell’incarico a Roberto Calandra, il Palazzo Chiaramonte- Steri rivela ancora i segni dei pesanti e affrettati restauri eseguiti dalla Soprintendenza, caratterizzati dall’uso massiccio del calcestruzzo armato, dalla demolizione dei corpi di fabbrica addossati al palazzo, delle secrete del palazzo e di numerosi elementi architettonici che nel corso dei secoli si sono stratificati sulla struttura originaria, dal rifacimento “in stile” degli elementi decorativi mancanti o deteriorati. Gli ambienti interni all’edificio, anche se recentemente restaurati, appaiono in stato di abbandono, privi di protezione alle finestre, soggette alla polvere e all’azione degli agenti atmosferici. All’architetto messinese viene affidato un compito complesso, che prevede il completamento

dei

lavori

lasciati

incompiuti

dalla

Soprintendenza

e

l’adattamento dell’edificio alle funzioni di sede del Rettorato e museo e dunque ad edificio fruibile al pubblico, con la possibilità di essere utilizzato anche per grandi manifestazioni pubbliche.

149


Piano seminterrato

Piano nobile

Piano terra

Secondo piano

200

Sezione E- F (est- ovest)

Sezione G- h (nord- sud)

200. piante e sezioni del palazzo, realizzate in occasione dei rilievi per i restauri diretti da Roberto Calandra, in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 150- 153.

Calandra propone al rettore la formazione di un’équipe composta dall’architetto Camillo Filangeri, all’epoca assistente di Calandra presso la cattedra di Restauro e successivamente professore di Storia dell’Arte, e dall’ingegnere Nino Vicari, docente di Tecnologia. L’architetto messinese decide di chiamare anche l’amico Carlo Scarpa, a quel tempo docente di Composizione e preside 150


della Facoltà di Architettura di Venezia. Scarpa, all’epoca molto impegnato in numerosi progetti in Italia e all’estero, accetta solo di fornire una consulenza, ritenendo di non poter dedicare tempo adeguato al progetto. Quasi in contemporaneità con l’incarico dell’Università di Palermo, Scarpa e Calandra ricevono anche quello della progettazione del nuovo Museo Nazionale a Messina, su commissione del Ministero della Pubblica Istruzione. Punto di partenza dell’intervento di Calandra e dei suoi collaboratori è lo studio approfondito del monumento, della sua storia costruttiva e della sua realtà dimensionale: viene dunque effettuata una intensa campagna di rilievi, coordinata da Camillo Filangeri. Sotto la supervisione del Soprintendente Vincenzo Tusa, grande esperto di studi archeologici, viene esplorato anche il sottosuolo del palazzo: si rinvengono così locali ipogei originariamente voltati e un ricco materiale archeologico. L’analisi rigorosa e scientifica delle qualità architettoniche e costruttive della dimora chiaramontana e delle trasformazioni da essa subite costituirà la base per il progetto di Roberto Calandra, che aderisce ai principi propugnati da Cesare Brandi e dalla Carta del Restauro. Il rispetto e la sensibilità per l’antico che caratterizza la visione dell’architetto messinese servirà a mitigare alcune soluzioni particolarmente audaci e arbitrarie pensate da Scarpa, il quale arriverà addirittura a pensare il rifacimento dell’ultimo piano, rimasto incompiuto, al fine di accentuare il carattere “prismatico” dell’edificio. Scrive, a tal proposito, Roberto Calandra: «Forte fu allora la tentazione di Carlo Scarpa di completare (in qualche modo violleteleduchianamente, anche se non stilisticamente), il volume che era originariamente nelle intenzioni. Così come forte fu la tentazione di entrambi noi, di sostituire al tetto a tre falde sulla “sala delle capriate” una copertura piana che ripristinasse l’immagine originaria, quando il palazzo- castello merlato era certamente concluso in alto da un terrazzo, come dimostra la struttura delle capriate tuttora esistenti, nelle quali le catene lignee, di grande sezione, sono le originarie travi parallele di una copertura piana. Alla fine, però, per questi

151


fondamentali aspetti del progetto di restauro è prevalso il divisamento di adeguarsi alle indicazioni della Carta del restauro…».255 Le fantasie dell’architetto veneziano si spingono addirittura oltre; affascinato dalle componenti geometriche e volumetriche dell’edificio, arriva a domandarsi: «che impressione poteva dare [il cortile] senza le arcate? Si avrebbe quasi voglia, a un dato momento, di toglierle, per poter capire com’era questo quadrato, questo quadrato di luce all’interno».256 In un’intervista a Gianni Pirrone,257 Scarpa esplicita, a proposito del progetto di Palazzo Steri, la propria concezione di restauro: «La mia opinione è che si può intervenire in modo moderno su qualsiasi elemento antico, per la semplice ragione che anche nel passato si faceva la stessa cosa. Non si deve perciò praticare nessuna forma di mimetismo stilistico, salvo nell’impiego dei materiali, che devono essere in armonia con quelli esistenti. Né si possono alterare certi elementi, su pena di alterare il loro carattere originale». 258 E ancora: «Un edificio come lo Steri deve rivivere, proprio perché è possibile farlo rivivere con delle forme più audaci di quelle che vorrebbero invece i Signori Soprintendenti […] Detto altrimenti, l’edificio deve diventare funzionale, non certo nel senso razionale o funzionalista, ma come un’espressione che chiamerei espressione creativa, nuova, diversa, utilizzando tuttavia dei mezzi che siano adatti e che si armonizzino col carattere dell’ambiente».259 Per il cortile interno, Scarpa immagina anche un percorso tra “veli d’acqua”260, con basse vasche e scivoli all’interno della corte del palazzo, una soluzione tipicamente scarpiana (l’acqua è elemento fondamentale dell’architettura del maestro), ma che in questo caso richiama anche la tradizione islamica. Racconta a tal proposito Roberto Calandra: «Il cortile interno, quadrato e porticato era privo di pavimentazione. Scarpa aveva proposto una cosa simile 255

Roberto CALANDRA, 1991, p. 30. Gianni PIRRONE, Une interview inutile, in «Les cahiers de la recherche architecturale», n. 19 dedicato a Carlo Scarpa, 1986, p. 89. 257 Nasce a Palermo il 30 marzo 1924. Si laurea in Architettura all’Università di Palermo nel 1950 e nella stessa svolge fino al 1995 attività di docenza (Ordinario dal 1980) tenendo corsi di Architettura degli Interni, Composizione Architettonica e Arte dei Giardini. Dal 1977 al 1979 è Preside della Facoltà di Architettura di Palermo. E’ autore e coordinatore di ricerche, pubblicazioni e convegni soprattutto sul Liberty in Sicilia e nel settore della progettazione e storia dei giardini. Dal 1951 al 1990 svolge un’intensa attività professionale prevalentemente in Sicilia. Fra i suoi progetti si ricordano: la Piscina Olimpionica nel Real Parco della Favorita a Palermo, l’edificio per abitazioni in Piazza Unità d’Italia e il condominio in via Gaetano Daita sempre a Palermo. Tra i progetti di restauro quello del Teatro Massimo V.E. di Palermo e quello della cittadella, delle tombe imperiali e dei giardini di Hué in Vietnam. Muore nel 2004. 258 Gianni PIRRONE, 1986, p. 91. 259 Ivi, p. 90. 260 Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 66. 256

152


all’Alambra. Si era accorto che una delle colonne aveva il basamento più alto rispetto alle altre. Perché era più alto? Propose allora di fare uno scivolo come alla Zisa con l’acqua che tiene sempre bagnato e quindi sempre brillante il marmo».261 Questo aspetto del progetto, tuttavia, non viene approvato perché ritenuto non coerente con l’epoca storica dell’edificio, risalente al XIV secolo e non al periodo arabo, anche se non privo di elementi ascrivibili all’architettura islamica.

201 201. il cortile di Palazzo Steri, con la nuova pavimentazione realizzata in occasione dei restauri di Calandra e Scarpa; quest’ultimo immaginava per la corte un percorso tra vasche e giochi d’acqua (foto di Walter Leonardi).

Nell’ottobre del 1973 viene approvato il progetto di massima, relativo all’impianto distributivo, ai percorsi, agli accessi e alle soluzioni generali. Il progetto di Calandra prevede anche il coinvolgimento degli edifici vicini alla dimora chiaramontana: su iniziativa dell’architetto messinese, l’Università acquisisce, al fine di collocarvi gli uffici dell’amministrazione centrale del 261

Antonino MARINO, 2003, p. 39.

153


Rettorato, il vicino Palazzo Abatelli, separato dallo Steri da un piccolo corpo di fabbrica; lo stesso accade per i vicini palazzi della Procura Generale e del Tribunale Penale. Il palazzo Chiaramonte viene dunque destinato alle sole funzioni museali e di rappresentanza.

202 Ingresso su Piazza Marina 202. pianta del seminterrato nel progetto di restauro di Roberto Calandra e Carlo Scarpa, in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 158.

Vengono anzitutto studiati percorsi e ingressi privilegiati per il rettorato, per il museo e per le “sale pubbliche”, destinate a conferenze e convegni. Al piano terra vengono riservate principalmente le funzioni museali ed espositive: alla custodia del prezioso archivio storico dell’Università, dei reperti archeologici medievali ritrovati nel sottosuolo del palazzo e dei graffiti incisi dai prigionieri dell’inquisizione vengono adibite la “sala d’Armi” o “sala Terrana” in corrispondenza dell’ala nord e la sala attigua con l’ammezzato, nell’angolo nordorientale. L’accesso alle zone espositive avviene ad un livello seminterrato, a partire dall’andito dell’edificio che collega palazzo Steri a Palazzo Abatelli. Il

154


sottopassaggio funge anche da collegamento con gli uffici amministrativi situati presso il palazzo Abatelli. Gli ammezzati vengono destinati ad uffici rettorali.

Museo

Museo

Portineria Ingresso Uffici

Corte porticata

Museo “SalaTerrana”

203 Ingresso di rappresentanza 203. pianta piano terra (novembre 1985); in Roberto CALANDRA, 1991 (b), p. 28.

Gli accessi sud ed est diventano gli ingressi privilegiati per il Rettorato: da qui si può accedere sia al vano della portineria, con annessi ascensori, che alla corte interna. La “sala delle capriate”, all’ultimo piano, viene destinata a mostre, ricevimenti e conferenze. Sopra la copertura del secondo piano, si apre una grande terrazza praticabile. L’ingresso su piazza Marina, sul fronte ovest, è invece destinato ad essere usufruito in occasione di eventi di particolare importanza (lauree honoris causa, inaugurazioni degli anni accademici, etc.). Nelle prime ipotesi progettuali, Scarpa e Calandra immaginano di creare un collegamento diretto tra i tre saloni dell’edificio (sala Terrana, sala Magna, sala delle Capriate): in particolare, viene progettata la realizzazione di una scala “a volata” che collega il livello inferiore della sala terrana con un soppalco, appositamente realizzato in corrispondenza dell’originario solaio delle secrete 155


del Sant’Uffizio, al fine di consentire la visione dei graffiti realizzati dai prigionieri sui muri della sala; la suddetta scala avrebbe dovuto continuare fino al raggiungere la sovrastante sala Magna; da qui, si sarebbe potuto proseguire fino alla sala delle Capriate mediante una scala a rampe realizzata in un piccolo vano attiguo all’antico scalone interno dell’edificio.

Corte porticata

Aula Magna

204

204. pianta del piano nobile di palazzo Steri- Chiaramonte redatta nel novembre 1985 dal team, guidato da Roberto Calandra, impegnato nei lavori di adattamento dell’edificio trecentesco a rettorato dell’Università di Palermo (in evidenza l’ubicazione della nuova Aula Magna, progettata da Roberto Calandra su indicazioni di Carlo Scarpa), in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 170. 205. sezione nord- sud del palazzo Steri- Chiaramonte, attuale sede del rettorato dell’Università di Palermo, in Luciana MIOTTO, 2004, p. 78.

205

156


Sala delle capriate

206 206. pianta del secondo piano, in Roberto CALANDRA, 1991 (b), p. 29.

Questa soluzione, tuttavia, che avrebbe consentito anche di conservare e valorizzare i resti delle antiche secrete dell’Inquisizione, non venne approvata dagli organi di tutela, che preferivano restituire alla sua antica spazialità l’antica sala Terrana, negando la presenza delle antiche celle carcerarie.262 Le pitture conservate presso la sala vengono in gran parte staccate (si salvano solo quelle sui muri portanti) e le tramezzature che insistevano ancora all’interno del grande vano sono soggette a demolizione. Scarpa si indignerà fortemente, lamentando una sorta di limitazione della libertà creativa: «E’ lo stesso

262

In tale contesto, si colloca la polemica portata avanti da Leonardo Sciascia a favore della conservazione delle antiche secrete dell’Inquisizione e contro l’opinione di Cesare Brandi, che invece sostiene l’idea della necessità di un recupero della spazialità originaria della “sala d’armi”, caratterizzata da una triplice archeggiatura longitudinale.

157


Consiglio Superiore che ci impedisce di fare, all’interno di una sala, una scala che potrebbe essere un piccolo capolavoro».263

207 207. Carlo Scarpa, disegno di studio per il collegamento tra la sala Terrana e la sala Magna, in Philippe DUBOY, Carlo Scarpa: Lo Steri di Palermo, in «Abitare», n. 474, luglio- agosto 2006, p. 119.

5.4. Tecnologie e materiali dell’intervento di restauro.

Roberto Calandra e il suo team di progettazione si occupa anche del completamento degli interventi conservativi avviati dalla Soprintendenza: «Risolti i principali problemi concettuali del recupero dello “Steri” e del suo riuso come sede del Rettorato […] non restava che dedicarsi allo studio e alla realizzazione di quanto avrebbe dovuto sostituire e/o integrare le parti originarie mancanti nell’edificio: sostanzialmente cancelli, infissi interni ed esterni, pavimentazioni, soffitti, rivestimenti, arredi fissi e mobili. I criteri di base sono stati quelli di operare modernamente (in modo da distinguere a prima vista le parti originarie, autentiche, da quelle nuove) ma di usare materiali compatibili, perché tradizionali della architettura storica. Quindi: pietra naturale e artificiale, legno, ferro, rame e altri metalli (con esclusione del 263

Gianni PIRRONE. 1986, p. 90.

158


“nuovo” alluminio), pelle, stucchi opachi e lucidi di tradizione artigiana, impiegati in disegno e proporzioni rispettose del carattere e del senso di robustezza che il monumento impone».264 Per quanto riguarda le facciate dell’edificio, in particolare quella est e quella nord, si interviene sul paramento murario e sulle parti deteriorate o mal restaurate di quest’ultimo; si contornano le sagome degli archi ogivali di bifore e della trifore con un rivestimento in rame, al fine di evidenziare le lacune causate dal tempo; si consolidano con iniezioni di resine e aghi di acciaio inox le sagome di una bifora priva di colonnina e delle trifore della sala Magna al secondo piano.

205

206

205. veduta di una finestra sulla facciata orientale; 206. dettaglio della finestra con il rivestimento in alluminio per le parti lacunose (foto di Walter Leonardi).

264

Roberto CALANDRA, 1991 (b), p. 34.

159


207

208

207. veduta dell’ingresso sulla facciata est; 208. veduta dell’ingresso sulla facciata sud (foto di Walter Leonardi).

Si procede inoltre alla demolizione della parte superiore del corpo di fabbrica che collega, a nord, palazzo Steri con il vicino palazzo Abatelli, e che includeva un’antica

scala

originariamente

esterna limitato

cinquecentesca: a

piano

terra

«Questo ma

corpo

sopraelevato

di e

fabbrica, atteggiato

architettonicamente nell’Ottocento con finestre e false finestre […] impediva la fruizione visiva dal Piano della Marina del volume del monumento medievale e quella dei resti delle grandi trifore a intarsio di pomice di lava della Sala Magna dal grande cortile esterno verso settentrione. Con qualche indecisione e riluttanza per quanto riguardava il fronte di Piazza Marina, C. Brandi ne autorizzò la parziale demolizione. Questa, unitamente al completamento delle parti mancanti della scala esterna cinquecentesca, ha consentito - fra l’altrol’agibilità della Sala Magna come Aula Magna dell’Università, e di realizzare un terrazzo con balconata sulla villa Garibaldi ove torreggia con mole analoga a quella dello Steri uno dei “ficus” fatti piantare da G. B. Basile alla metà del secolo scorso e che oggi costituisce “monumento” naturale, accostato al monumento architettonico».265

265

Ivi, p. 32- 34.

160


209

210

211

212

209, 210. vedute della facciata sud; 211, 212. scorci della facciata orientale (foto di Walter Leonardi).

Il completamento della scala viene effettuato mediante la realizzazione di una rampa in cemento armato, parallela a quella antica, distaccata dalla parete e rivestita con lastre di travertino; un esile corrimano in ferro congiunge la rampa

161


antica e quella moderna; alla base è realizzata una composizione scultorea in cemento armato.

213

214

215 213. l’edificio di collegamento tra palazzo Abatelli e palazzo Steri; 214. retro dell’edificio, con veduta della scala cinquecentesca addossata alla facciata settentrionale di palazzo Steri; 215. veduta della facciata settentrionale dello Steri- Chiaramontano (foto di Walter Leonardi).

162


Nella corte interna, gli intradossi degli antichi solai vengono controsoffittati con pannellature lignee dipinte o lasciate a vista. Gli intradossi dei nuovi solai laterocementizi, introdotti dalla Soprintendenza nei precedenti lavori di restauro, vengono rivestiti con intonaco su supporto di rete metallica nervata. Le antiche travi orizzontali che sostengono l’originaria copertura del secondo piano si presentano in condizioni di particolare degrado: si decide di rinforzarle mediante cuffie in acciaio e l’impiego di resine epossidiche termoindurenti, finalizzate a rigenerare la lacunosa e marcescente struttura lignea. Le rifiniture pavimentali vengono studiate e progettate in modo differente a seconda dell’ambiente del palazzo: nel portico si adoperano marmi locali bicolori, nella sala Terrana riquadri in cemento armato graffiato, nel piano nobile parquet a listoni bicolori, nella sala Magna lastre marmoree, al secondo piano mattonelle in cotto. Le pareti della corte porticata vengono rifinite con intonaco di tipo Li Vigni, estremamente diffuso a Palermo; per buona parte degli interni, invece, si opta per la tecnica dello stucco veneziano.

216 216. le pareti della corte interna (foto di Walter Leonardi)

163


5.5. La riconoscibilità del linguaggio architettonico di Carlo Scarpa nell’intervento su Palazzo Steri.

Sebbene l’apporto di Carlo Scarpa al progetto di restauro e rifunzionalizzazione di Palazzo Steri si sia limitato ad una semplice consulenza, e nonostante i lavori siano proseguiti ben oltre la morte dell’architetto, avvenuta nel 1978, il risultato finale rivela numerosi elementi in cui sono riconoscibili la creatività e lo stile dell’architetto veneziano. Come ha scritto Nino Vicari, collaboratore di Calandra e Scarpa nel progetto per lo Steri: «Carlo Scarpa partecipò attivamente al tormentato iter progettuale, schizzando soluzioni, suggerendo forme e materiali, ispirando il taglio “creativo” che nasceva direttamente dalle emozioni derivate dal suo modo di colloquiare con il monumento». 266 L’impronta di Scarpa è evidente nell’uso calibrato dei materiali, dei colori e delle tonalità, nell’attenzione ai dettagli, nella tendenza al rigore geometrico e alla proporzione. Ascrivibile quasi completamente a Carlo Scarpa è il disegno dell’androne su Piazza Marina, snodo di smistamento dei percorsi orizzontali e verticali verso i vari uffici e termine del percorso sotterraneo che parte dal collegamento con palazzo Abatelli. La particolare configurazione dell’androne disegnato da Scarpa nasce dalla differenza di quota tra il livello della piazza e la pavimentazione del cortile del palazzo, quest’ultima situata ad un livello più alto di circa un metro e mezzo rispetto al primo. Nel corso di una dei tanti interventi subiti dal palazzo, la quota della corte è stata abbassata, e in seguito è stata costruita una rampa che collegava il piano di calpestio del portico con quello della piazza antistante. Nel progetto di Scarpa il dislivello in questione viene risolto con un percorso a diverse quote, caratterizzato da brevi tratti di gradini

in marmo clauzetto

(proveniente da cave venete) che collegano i livelli del cortile, dell’ascensore, del sottopassaggio e della piazza. Al sistema di gradini si affianca una leggera passerella, addossata alle pareti nord e ovest, che parte dal cortile, consente l’accesso ad alcuni locali adiacente e passa davanti il grande portale, offrendo molteplici visuali sullo spazio esterno e su quello interno.

266

Nino VICARI, Il Palazzo Chiaramonte detto Steri. Il recupero e la sua destinazione a rettorato dell’Università di Palermo, in «Recuperare», anno VII, n. 37, settembre- ottobre 1988, p. 570.

164


217

218 217, 218. Carlo Scarpa, studi per l’androne su piazza Marina, MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 41022, inv. 41023.

165


219

220

221

219. Carlo Scarpa, schizzi di studio per l’androne su piazza Marina, MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, inv. 41021. 220, 221. disegni di Roberto Calandra per l’androne su piazza Marina, in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 201- 202.

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222

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224

222. veduta della passerella sul portale principale del palazzo (androne piazza Marina); 223. scorcio del cortile dall’androne; 224. particolare della scala marmorea (foto di Walter Leonardi).

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225 225. particolare dell’androne di palazzo Steri (foto di Walter Leonardi).

La complessa serie di scale e piani sfalsati che si articolano alle spalle del portone principale diventa per Scarpa occasione di studio dei numerosi cambiamenti delle quote di calpestio a piano terra e chiave di lettura didascalica dei livelli originari dei pavimenti: «Una scala assiale, tipologicamente uguale a quella che esisteva precedentemente, avrebbe risolto il problema funzionale e avrebbe inoltre lasciato inalterate le caratteristiche spaziali dell’entrata. Ma Scarpa preferì mutare sostanzialmente la tipologia dell’accesso usando al posto della scala in asse una scala tortuosa con accesso laterale e non frontale. Inoltre questa scala presenta la parte laterale a chi accede ed è così vicina alla soglia da consentire solo una porta scorrevole: l’effetto è che accedendo dalla piazza ci si trova di fronte un massiccio oggetto bianco: l’androne. […] Lo spazio dell’ingresso diventa così estremamente complesso: la differenza di quota tra piazza e cortile non è intesa come una difficoltà da superare ma come una qualità da mettere in scena. Ciò è perfettamente in linea con una delle tipiche strategie di Scarpa: piuttosto che appianare le complessità, egli preferisce sottolinearle, specialmente nei punti cruciali. […] Il posizionamento della scala al centro dell’androne nega deliberatamente tutte le caratteristiche

168


della tipologia del palazzo italiano: accesso assiale alla corte, maestosità dell’ingresso, scala monumentale. Proprio dove ci si aspetterebbe uno spazio vuoto Scarpa piazza un oggetto invadente e da notare».267 L’androne di Piazza Marina rievoca alcune soluzioni già sperimentate in passato da Scarpa: nella sede della Fondazione Querini Stampalia a Venezia, una delle due entrate al piano terra è chiusa da una cancellata ed è articolata in gradini e piattaforme su livelli differenti. Per chiudere la grande apertura sul vano di ingresso, Scarpa e Calandra elaborano una complessa cancellata caratterizzata in alto da una intricata orditura in ferro, in basso da un cancello scorrevole in ferro e legno. Scarpa inoltre elabora il disegno degli infissi e delle intelaiature lignee per trifore e bifore. Le finestre del palazzo vengono ripartite in due parti, al fine di calibrare in maniera ottimare l’afflusso di luce: vetro trasparente nella parte inferiore, carabottino in alto.

226

227

226. schizzo per carabottino di una finestra di Palazzo Steri, in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 334; 227. veduta di un’apertura con carabottino (Walter Leonardi).

Le griglie dei “carabottini” scarpiani ritornano continuamente, in legno o in ferro, negli arredi del palazzo, nelle porte, nei pannelli divisori o di rivestimento, nei cancelli degli ingressi (si vedano quelli per le due entrate sui lati est e sud, 267

Michele SBACCHI, Il progetto e lo strumento ermeneutico. Note su progetti di Carlo Scarpa, in Il progetto di architettura, Napoli 1998, [pp. 396-402], p. 398.

169


realizzati in ferro a maglia scozzese, su cardini e senza saldatura). Il motivo del carabottino verrà utilizzato anche da Calandra dopo la morte di Scarpa, per motivi di continuità stilistica e al contempo come segno di omaggio all’amico veneziano.268 Le soluzioni suggerite da Scarpa continueranno a guidare gli interventi di restauro e arredo dello Steri anche dopo la scomparsa dell’architetto veneziano, come è evidente nella Sala Magna, i cui lavori si concluderanno solo alla fine degli anni ’90.

228

229

228. la sala dei Baroni o sala Terrana, al piano terra; 229. dettaglio della pavimentazione (foto di Walter Leonardi).

Scarpa ha studiato a lungo anche la scelta delle rifiniture di pareti e solai: coerentemente con lo stile dell’architetto veneziano, nel piano nobile e al secondo piano si decide di adoperare, per le pareti, lo stucco veneziano, un intonaco dipinto costituito da colla e gesso. Il linguaggio architettonico di Scarpa è evidente nel ritmo e nelle rifiniture delle pavimentazioni: nell’ala orientale del piano terra, in particolare, il piano di calpestio è rivestito da grandi riquadri di cemento, caratterizzati da una graffiatura attentamente studiata, alternati a listoni in pietra di Billiemi. 268

Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p.73.

170


Significativo è il modo in cui Scarpa enfatizza il colloquio tra materiali diversi tra loro (cemento e marmo) e tra la struttura antica e la sovrapposizione moderna: nel punto di incontro tra solaio e parete, si può osservare infatti una fascia leggermente ribassata nella pavimentazione, necessaria a porre la possibilità di contrapposizione con il muro antico. Come è tipico nell’architettura del maestro veneziano, anche qui è evidente l’attenzione ai dettagli nei punti di incontro e giunzione tra gli elementi costitutivi dello spazio architettonico, tra la muratura antica e i rivestimenti moderni e tra pareti e pavimenti, che tendono a non toccarsi mai, mediante l’introduzione di scanalature e piccoli spazi o elementi di separazione. Dalla sala Terrana si può accedere ad una sala successiva, ove trova collocazione attualmente il famoso dipinto della “Vucciria” di Guttuso.269 Qui è possibile osservare un’altra invenzione suggerita dal maestro veneziano270: la ricostruzione del solaio del primo ammezzato, in corrispondenza dell’ala orientale del palazzo, con una particolare struttura in acciaio e cemento faccia a vista, distaccato dalle pareti e sorretto da piccole mensole in acciaio ancorate alle pareti. La scala che porta a questo ambiente si articola in due rampe tra loro ortogonali, di cui la seconda inserita tra le due arcate preesistenti; un grigliato separa la sala espositiva dalla portineria. La consulenza di Scarpa ha interessato in definitiva buona parte degli aspetti del progetto, dalle scelte di più ampio respiro ai dettagli più irrilevanti, dalle soppalcature ai controsoffitti (suo il disegno di quelli del portico nel cortile centrale), dagli stipiti e gli intradossi delle porte ai meccanismi di apertura dei serramenti, alle soluzioni per l’illuminazione artificiale. I suggerimenti di Scarpa sono stati fonte di ispirazione anche per i numerosi interventi successivi alla morte del maestro veneziano, in particolare per il restauro della Sala Magna, i cui ultimi lavori di sistemazione si concludono solo nel 1998. I problemi connessi a questo ambiente sono stati oggetto di discussione fin dai primi anni di elaborazione del progetto. L’architetto 269

Lettera del 19. 11. 1975 del rettore prof. Giuseppe La Grutta a Carlo Scarpa e Roberto Calandra: «Egregi professori, il pittore Renato Guttuso ha fatto dono del suo dipinto “La Vucciria” all’Università di Palermo. E’ mio desiderio che il dipinto venga collocato nella Sala dei Baroni del Palazzo Steri dopo un’attenta valutazione della migliore scelta della parete e delle luci. Per questo motivo e perché si possa parlare al più presto dei lavori che riguardano il Palazzo, chiedo di poterci incontrare, possibilmente nella prima settimana di dicembre. Ringraziando vivamente porgo i miei più cordiali saluti», MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo. 270 Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 80.

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veneziano, in particolare, si è interrogato a lungo su come restituire l’originaria configurazione della sala: «la difficoltà è di capire cosa si potrebbe fare all’interno. Com’erano le superfici dei muri? Non lo sappiamo: la grande ricchezza del soffitto doveva essere accompagnata – chissà – da stoffe, cuoi, tappezzerie o da qualcos’altro, da intonaci dipinti a fresco, è possibile […] Non vi è un solo esempio: per noi è un mistero».271

230

231

232

230. veduta della Sala Magna di Palazzo Steri; 231, 232. dettagli dello spessore della rifinitura rispetto al piano della parete, messo in evidenza dal colore scuro della tinteggiatura (foto di Walter Leonardi).

271

Gianni PIRRONE, 1986, p. 89.

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233

234 233, 234. veduta di alcune finestre della sala Magna (foto di Walter Leonardi).

173


Viene tuttavia fin da subito ipotizzato l’impiego dello stucco veneziano. Per rifinire gli interni con questo particolare intonaco tradizionale, Roberto Calandra decide di chiamare, in omaggio al maestro e amico veneziano, Eugenio De Luigi, stretto collaboratore di Carlo Scarpa. Calandra e De Luigi affrontano le operazioni di intonacatura e rifinitura della Sala Magna (e degli altri ambienti del palazzo) ispirandosi al linguaggio e alle idee di Scarpa, manifestate nei disegni, curando con attenzione i dettagli dei punti di congiunzione tra pareti e solai/ soffitti e, soprattutto, con le aperture, dove interrompendo, ad esempio, le superfici ripartite di volta in volta sopra l’arco delle finestre, in corrispondenza della mezzeria. Nella scelta dei colori per la rifinitura degli interni della Sala Magna, tuttavia, Roberto Calandra ed Eugenio De Luigi si distaccano dai suggerimenti scarpiani: il maestro veneziano, infatti, immaginava per il grande ambiente al piano nobile un intonaco color rosso, forse al fine di riprendere il colore dominante negli affreschi del soffitto ligneo; ipotizzava, inoltre, l’uso del giallo per coprire il raccordo in ferro posto tra il piano della parete e lo spessore della rifinitura, in particolare in corrispondenza delle aperture. Dopo la morte di Carlo Scarpa, tuttavia, si opterà per un rosa salmone al posto del rosso, e per il nero al posto del giallo, al fine di non turbare, con la scelta di intonaci dal colore troppo accesi, la visione dell’antico soffitto ligneo medievale.

235

236

235. schizzo per la sala magna, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 41090. 236. veduta della Sala Magna di Palazzo Steri.

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Anche nella scelta degli arredi, Roberto Calandra ha voluto omaggiare la figura dell’amico e maestro veneziano: «Per l’arredo mobile, realizzato dopo la morte di Carlo Scarpa, si è inteso proporre, fin dove possibile, un amichevole omaggio al grande maestro scomparso, impiegando produzioni di serie da lui progettate e - ove impossibile- elementi progettati da affermati designers suoi amici, o estimatori, o parenti».272

272

Roberto CALANDRA, 1991 (b), p. 34. Purtroppo gran parte degli arredi e degli oggetti d' arte acquistati per arredare gli ambienti del palazzo - opere di alcuni dei più importanti designer e architetti del Novecento: Carlo Scarpa, Afra e Tobia Scarpa, Marco Zanuso, Vittorio Gregotti, Gae Aulenti, Kazuhide Takahama - sono ormai in gran parte dispersi, trasferiti presso destinazioni ignote o sostituiti da oggetti di qualità modesta; a tal proposito, si veda: Matteo IANNELLO, Glenda SCOLARO, Lo Steri: il progetto di restauro è stato tradito, il «La Repubblica», sezione Palermo, 28 maggio 2009, pp. 7.

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Capitolo 6 Il Museo Nazionale di Messina 6.1. Le controverse vicende burocratico-amministrative relative al progetto di Carlo Scarpa e Roberto Calandra Il progetto per il Museo Nazionale di Messina, elaborato tra il 1974 e il 1976, rappresenta per Carlo Scarpa e Roberto Calandra un’occasione per tornare a progettare nella città dove la loro lunga collaborazione è cominciata, circa vent’anni prima. Il museo, mai realizzato in conseguenza di discutibili scelte politiche, è considerato uno dei progetti più emblematici della fase matura della carriera dell’architetto veneziano e si inserisce nel solco di alcuni allestimenti museografici realizzati da Scarpa nei primi anni Settanta e destinati a non trovare sbocco nell’attuazione, come il museo Picasso a Parigi o l’adattamento a sede del museo civico dell’antico convento di Santa Caterina a Treviso. Prima di analizzare l’articolazione e le soluzioni del progetto Scarpa- Calandra, vale la pena ripercorrere a grandi linee le travagliate vicende che hanno caratterizzato la storia della collezione civica della città di Messina, gli eventi e le motivazioni che hanno determinato il conferimento dell’incarico di progettazione a Carlo Scarpa e Roberto Calandra e i complessi passaggi amministrativi per mezzo dei quali si è poi giunti alla mancata realizzazione dell’edificio. Le collezioni del Museo Civico Peloritano, istituito nel 1806 da Carmelo La Farina, trovano sede dapprima presso il locali dell’università della città e poi, a partire dal 1890, presso l’ex- Monastero di San Gregorio, fino al 1908, quando un terribile terremoto sconvolge la città di Messina. In seguito al drammatico evento, le opere d’arte del museo vengono sistemate, insieme ai materiali artistici di maggior pregio provenienti dagli edifici cittadini più rappresentativi colpiti dal sisma, presso i locali della ex- filanda Mellinghoff, una costruzione tardo- ottocentesca rimasta integra nonostante il terremoto, confinante con un’ampia spianata prospiciente lo Stretto, ove giacciono le rovine del monastero di San Salvatore dei Greci.

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237 237. veduta satellitare della zona nord- est di Messina, con in evidenza il lotto destinato ad accogliere, fin dagli anni immediatamente successivi il terremoto del 1908, il nuovo Museo di Messina; foto tratta da http://maps.google.it/.

La spianata di San Salvatore dei Greci, situata nella zona nord della città, nei pressi del greto della fiumara Annunziata, viene ben presto designata come il luogo destinato ad accogliere il nuovo museo cittadino, considerato tra i primi edifici pubblici da ricostruire: nel 1912, il Soprintendente Antonio Salinas assegna all’architetto Francesco Valenti l’incarico di redigere il progetto del Museo di Messina (progetto che non verrà realizzato per motivazioni di natura economica); due anni dopo, lo Stato acquisisce in proprietà le collezioni d’arte e i materiali recuperati dai monumenti distrutti dal sisma: il complesso delle raccolte assume pertanto la qualificazione di “Museo Nazionale”. Nei decenni successivi, diversi progetti, dopo quello di Francesco Valenti, vengono redatti per la realizzazione della nuova sede museale; nessuno di questi, tuttavia, troverà sbocco nell’attuazione. Agli inizi degli anni Settanta, si prospetta la possibilità di un finanziamento da parte della Cassa per il Mezzogiorno per l’esecuzione dei lavori finalizzati realizzazione del museo. Nel 1972, l’ex- soprintentendente Giorgio Vigni, per conto del Ministero della Pubblica Istruzione, propone a Carlo Scarpa di redigere un progetto per la nuova sede del Museo di Messina; come già 177


accennato precedentemente, l’architetto veneziano comunica la notizia all’amico Roberto Calandra durante una conversazione telefonica.273

238

239

238, 239. due vedute della spianata di San Salvatore dei Greci, trasformata in deposito dei reperti architettonici recuperati tra le macerie dopo il terremoto del 28 dicembre 1908; in Antonino MARINO, 2003, p. 12.

Il nome di Scarpa viene suggerito al Ministero e alla Cassa per il Mezzogiorno, oltre che da Vigni, anche dal soprintendente Vincenzo Scuderi e dall’editore Neri Pozza,274 amico di Carlo Scarpa; in una lettera del 28 Maggio del 1973, Neri Pozza scrive a Gabriele Pescatore, presidente della Cassa per il Mezzogiorno: «Caro Pescatore, il Prof. Carlo Scarpa, rettore della Scuola Superiore di Architettura di Venezia, ti è stato segnalato dal Prof. Giorgio Vigni, del Ministero della Pubblica Istruzione, come l’architetto più indicato a progettare il museo civico di Messina. Tale indicazione è stata confermata dal Soprintendente ai Monumenti di Palermo, Scuderi […] La ragione di questa lettera è semplice: rassicurarti sul valore professionale dello Scarpa, uno dei pochi architetti al mondo capaci di capire e realizzare un museo di arte antica».275 Sebbene

l’architetto

veneziano

possa

vantare

di

simili

autorevoli

raccomandazioni, la Cassa per il Mezzogiorno non esclude la possibilità di ricorrere alla formula del concorso nazionale, come dimostra un telegramma di Roberto Calandra a Carlo Scarpa del 18 maggio 1973: «Finanziamento museo Messina assicurato ma Cassa sembra orientata concorso aut incarico 273

Paola BARBERA, 2006, p. 6. Neri Pozza (Vicenza, 1912- 1988) è stato un partigiano, scrittore ed editore italiano; fu inoltre artista, incisore e collezionista d'arte contemporanea. Nella sua città, Vicenza, alla quale è rimasto fortemente legato durante tutta la sua esistenza, è stato attivo politicamente, ricoprendo la carica di consigliere comunale per il Partito Repubblicano. 275 Lettera di Neri Pozza a Gabriele Pescatore, 28 maggio 1973, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, P2/ 13, cassetto 9.1. 274

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progettisti sua esclusiva fiducia incuranti precedenti segnalazioni ministero stop urgerebbe suo intervento presso note personalità politiche».276 L’11 Luglio del 1973, un’apposita Commissione per gli incarichi di progettazione e direzione lavori delibera di affidare l’incarico del nuovo Museo Nazionale di Messina a Carlo Scarpa e Roberto Calandra;277 il 22 agosto 1973, Carlo Scarpa scrive al presidente della Cassa per il Mezzogiorno, dichiarando di considerarsi onorato di accettare, in collaborazione con il collega Prof. Arch. Roberto Calandra, l’incarico di redigere il progetto.278 La Cassa per il Mezzogiorno, pertanto, stanzia una somma di circa un miliardo e duecento milioni e, insieme al Ministero della P. I., affida agli architetti Scarpa e Calandra la stesura di un programma edilizio per la costruzione della nuova sede museale nell’area della spianata di San Salvatore, sotto la sorveglianza della Soprintendenza alle Gallerie della Sicilia.

241

240

240. Carlo Scarpa e Roberto Calandra durante un sopralluogo presso la “spianata” di San Salvatore dei Greci a Messina, dove trovano collocazione i resti artistici e architettonici recuperati in seguito al terremoto del 1908, in Antonino MARINO, 2006, p. 23. 241. veduta dell’edificio a corte dell’exfilanda Barbera- Mellinghoff, una struttura con corte interna costruita alla fine del XIX secolo e situata attualmente all’estremità sud del recinto di pertinenza del complesso del Museo Regionale di Messina (foto di Walter Leonardi).

276

Telegramma di Roberto Calandra a Carlo Scarpa, 18 maggio 1973, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, P2/ 13, cassetto 9.1. 277 Lettera di Emanuele Terragna a Licisco Magagnato: «Caro Magagnato, ti informo che nella seduta di ieri l’apposita commissione per gli incarichi di progettazione e direzione lavori ha deliberato di affidare l’incarico del nuovo museo di Messina a Carlo Scarpa e Roberto Calandra», Roma, 12 Luglio 1973, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, P2/ 13, cassetto 9.1. 278 Lettera di Carlo Scarpa a Gabriele Pescatore, Venezia 22 agosto 1973, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, P2/ 13, cassetto 9.1.

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Il progetto viene elaborato tra il 1974 e il 1976; gran parte delle tavole 279 vengono redatte tra la casa vicentina di Carlo Scarpa e lo studio palermitano di Roberto Calandra, come racconta quest’ultimo: «Scarpa aveva lasciato Venezia per ragioni di salute ed era andato ad abitare a Vicenza in una dependance della villa del conte Valmarana: da una parte, a cinquanta metri, c’era la villa Capra del Palladio, di fronte c’era la villa dello scrittore Piovene. Dopo i sopralluoghi e dopo un periodo di pensieri individuali, ci siamo chiusi in seminario in questo luogo stupendo (con me c’era il giovane collaboratore Fabio Lombardo, eccitatissimo per l’occasione!). Al termine di undici giorni erano usciti i cartoni, colorati a pastello, con la bozza del progetto del museo. E’ stato un periodo di lavoro intensissimo e molto bello. […] Dopo l’approvazione del programma costruttivo abbiamo approntato qui, a Palermo, con Fabio Lombardo, i disegni tecnici e gli elaborati del progetto di massima».280 Il progetto di massima viene presentato nel febbraio 1976 e, sottoposto al vaglio del Consiglio Nazionale del Ministero dei Beni Culturali, istituito da pochi mesi,281 e del Consiglio di Amministrazione della Cassa, viene approvato per un costo complessivo stimato in quattro miliari e centocinquantotto milioni di lire: «Dalla Cassa per il Mezzogiorno erano stati stanziati soltanto 1200 o 1300 milioni, come un qualsiasi piccolo museo di provincia. Non si considerava che il Museo di Messina comprendeva molti reperti della città distrutta e provenienti da 19 monumenti architettonici di una certa dimensione. Soltanto il ricomporli avrebbe comportato un grosso impegno!». 282 Con l’entrata in vigore della legge 183 del 1976,283 tuttavia, la Cassa rimette per competenza il progetto all’Assessorato al Turismo della Regione Siciliana; quest’ultimo, a seguito della legge regionale n. 80 del 1 agosto 1977, trasmette gli elaborati progettuali all’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e Ambientali: dal 1976, infatti, in virtù delle norme di attuazione dello Statuto 279

Nello studio di Scarpa sono state elaborate alcune tavole su cartone relative alle planimetrie, sezioni e profili di ambientazione del progetto; queste tavole, insieme al corpus di 52 disegni e schizzi preliminari, sono attualmente sotto la custodia della Fondazione MAXXI. Nello studio palermitano di Roberto Calandra vengono invece realizzati, con la collaborazione di Fabio Lombardo, i disegni tecnici a china: piante, sezioni e prospetti in scala 1: 200. 280 Antonino MARINO, 2003, p. 29. 281 L'istituzione del Consiglio Nazionale per i beni culturali e ambientali e la definizione delle sue attribuzioni sono contenuti nell'art. 3 del D.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805, Organizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali. 282 Antonino MARINO, 2003, p. 36. 283 Legge n. 183 del 2 maggio 1976, 1976, Disciplina dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-80; attraverso questa legge si tenta una prima riorganizzazione della Cassa del Mezzogiorno, istituita nel 1950.

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autonomo della Regione Sicilia, la struttura è divenuta ormai “regionale” ed ha assunto pertanto la denominazione di “Museo Regionale”.

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242, 243. due vedute della nuova sede per il Museo Regionale di Messina, progettata da Fabio Basile, Gaspare De Fiore e Mario Manganaro; la struttura attende ancora di essere inaugurata, in quanto si attendono gli ultimi finanziamenti per alcuni impianti accessori e per completare l’allestimento delle sale. 244. il cortile interno dell’exfilanda Mellinghoff, edificio che ospita ancora oggi i reperti e le importanti collezioni artistiche del museo.

Qualche anno più tardi, il Comune di Messina, cui è stata demandata la gestione diretta del finanziamento stanziato dall’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e Ambientali, deciderà di scegliere la formula dell’appaltoconcorso, lasciando il progetto di Scarpa- Calandra solo come indicazione facoltativa e, dunque, di fatto, accantonandolo.284 Nel 1981, a conclusione di un lungo e tormentato iter burocratico, il Comune di Messina mette da parte definitivamente il progetto di massima di Carlo Scarpa e Roberto Calandra e, in seguito al parere espresso da una commissione esaminatrice in occasione di una gara d’appalto- concorso, affida la progettazione della nuova sede del museo agli architetti Fabio Basile, Gaspare De Fiore e Mario Manganaro.285 284

Roberto CALANDRA, 1991 (b), p. 26. L’edificio non è ancora stato inaugurato, sebbene i lavori siano terminati già da tempo. In attesa della realizzazione definitiva del complesso, si è provveduto di recente ad una totale ristrutturazione della sede 285

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6.2. Soluzioni e articolazione dell’allestimento museale

Il progetto per il museo di Messina rappresenta un’occasione particolare nella lunga collaborazione tra Scarpa e Calandra, in quanto non prevede un intervento su un edificio preesistente, bensì l’edificazione ex- novo di una sede museale. Il nuovo edificio viene pensato fin da subito tenendo conto della presenza di due distinte raccolte: quella proveniente dal Museo Civico Peloritano, che comprende opere di elevato valore artistico, come il Polittico di San Gregorio di Antonello Da Messina, l’Adorazione dei pastori e la Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio, e quella relativa ai frammenti architettonici e decorativi degli edifici religiosi e civili abbattuti dal sisma del 1908, come ad esempio la porta dell’Università, la porta di Palazzo Grano, i resti del Chiostro di San Domenico. E’ proprio la sistemazione dei reperti architettonici, sparsi nella Spianata di San Salvatore, a porsi come la questione più delicata e complessa nella formulazione del progetto, perché la concentrazione dei frammenti architettonici recuperati tra le macerie è andata creando col tempo, in una superficie limitata, una sorta di “area archeologica” anomala. L’impostazione del progetto nasce dall’idea di conservare tutti i frammenti e di farli vedere insieme alle raccolte principali del museo, differenziandone tuttavia i percorsi. Una prima ipotesi progettuale, studiata da Scarpa mediante alcuni schizzi preliminari, prevede uno spazio espositivo concepito come una serie di piccoli padiglioni di forma quadrangolare, collegati fra loro e illuminati dall’alto attraverso aperture praticate ai quattro angoli, riproponendo una soluzione già sperimentata dall’architetto veneziano nella Gipsoteca canoviana di Possagno. Nel progetto di massima, invece, il museo viene impostato come un organismo unitario, a percorso continuo, quasi completamente coperto: «soltanto più tardi Scarpa fu tentato dall’idea di […] ritornare all’idea della pluralità dei singoli padiglioni», racconta Roberto Calandra, «ma non ci fu data l’occasione di battere questa nuova strada: la Regione Siciliana, infatti (subentrata allo Stato

esistente, ex-filanda della seta Mellinghoff, elaborando dati ed indicazioni del progetto base ScarpaCalandra. Il nuovo ordinamento, che ha all’interno ha rinnovato l’antico edificio, è stato curato dalla direttrice del Museo, Francesca Campagna Cicala e dall’architetto Antonio Virgilio.

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nella realizzazione dell’opera) decise di ricorrere all’appalto- concorso, con progetti fatti redigere dalle imprese, invece di realizzare il nostro!».286

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245, 246, 247. Carlo Scarpa, schizzi a grafite e pastelli colorati, con planimetrie dell’isolato con prime ipotesi di progetto: tracciati a matita su copie eliografiche della planimetria dell’area museale, questi disegni documentano l’elaborazione delle prime soluzioni per il museo, in particolare si possono riconoscere i padiglioni quadrangolari disposti in maniera asimmetrica e collegati fra di loro, le tre grandi absidi sul lato nord, di forme e dimensioni diverse, ed è ancora in nuce il corpo di fabbrica, destinato a uffici e attività polivalenti, situato sul fronte sud del museo; in Guido BELTRAMINI, Kurt W. Forster, Paola Marini, 2000, p. 238.

L’edificio ipotizzato nella stesura definitiva del progetto si configura come una grande struttura rettangolare su più livelli, variamente articolata sui quattro lati, chiusa a sud- ovest da un corpo di fabbrica, simile ad un parallelepipedo stretto e allungato, perpendicolare all’asse principale dell’edificio e destinato ad accogliere i servizi generali del museo (laboratori di restauro, magazzini, biblioteca, etc.); sul fronte nord- est, invece, il museo sarebbe stato caratterizzato da tre absidi con profilo “a ventaglio”, di dimensioni diverse; una passerella stretta e lunga, infine, caratterizzata da pareti vetrate, avrebbe assicurato il collegamento tra gli interni della nuova sede museale e il vecchio edificio dell’ex- filanda Mellinghoff, destinata ad essere ristrutturata in una seconda fase, per accogliere mostre temporanee e conferenze. 286

Antonino MARINO, 2003, p. 30.

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Per la collocazione dei frammenti architettonici e decorativi recuperati tra le macerie della città distrutta dal sisma, il progetto prevede un grande spazio all’interno di un fossato seminterrato, in gran parte coperto ma aperto su tutti i lati, «attraverso cui si snodava un percorso continuo, cadenzato da una serie di alte steli e di piani inclinati che fungevano da supporti, in maniera tale da suggerire al visitatore, per quanto possibile, l’unità compositiva originaria dei pezzi» 287 (i resti dei reperti più significativi sarebbero stati montati sui piani inclinati che avrebbero delimitato il fossato attorno all’edificio); una stessa pavimentazione per l’interno e l’esterno e la libera circolazione dell’aria e della luce avrebbero contribuito a mantenere una continuità spaziale lungo tutta la spianata del museo. Sopra il livello seminterrato, si sarebbe elevato, su pilotis, a sei metri di altezza, il primo piano del museo, destinato ad ospitare la collezione di sculture e pitture.

248 248. planimetria generale del museo al livello del seminterrato, in Antonino MARINO, 2003, p. 47.

L’edificio progettato da Scarpa e Calandra, che nel suo sviluppo planimetrico arriva ad una lunghezza di circa cento metri ed occupa un’area di 17.000 mq, appare dunque «come adagiato su un grande cratere che lo accoglie e lo tiene 287

Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 236.

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distaccato rispetto al terreno circostante. Con questa soluzione, Scarpa ottiene due risultati: lasciare in basso, lì dove erano stati raccolti, i frammenti architettonici e alleggerire la gran mole dell’edificio tenendolo sollevato dal terreno come nei fenomeni di levitazione».288

249 249. Carlo Scarpa, schizzo assonometrico e planimetria dell’isolato con annotazioni e ipotesi di sistemazione dei diversi livelli espositivi (grafite e pastelli colorati su yellow tracing paper), MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 42290.

L’esposizione del patrimonio museografico segue un criterio cronologico; il programma museografico viene stabilito di comune accordo con la dottoressa Cicala Campagna, direttrice del museo, e prevede un raggruppamento delle opere d’arte per periodo storico e non per tipologia: «Pittura, scultura, architettura saranno pertanto frammisti e non “settorializzati” in successioni di ambienti distinti. In questo panorama storico per “civiltà” anche le “arti minori” (o le industrie artigiane) saranno rappresentate». Il piano principale è articolato in due zone distinte, dentro tuttavia uno spazio continuo: quella verso nord, che avrebbe dovuto ospitare le opere dal Medioevo al Manierismo, si presenta estremamente articolata, sia in pianta che in alzato, e culmina nei tre ampi spazi terminanti all’esterno con forma absidale, destinati ad accogliere le opere di Antonello da Messina e degli “antonelliani”; per le tre

288

Antonino MARINO, 2003, p. 18.

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absidi Scarpa e Calandra ipotizzano un rivestimento, all’esterno, in pietra a fasce bicrome, come nella facciata del duomo di Messina.289

250 250. Carlo Scarpa, schizzo planimetrico (carboncino su velina) con studio iniziale dei volumi, in Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2004, p. 294.

251 Carlo Scarpa, schizzo a carboncino con studio di volumi e planimetira, in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 239.

Attraverso vetrate perimetrali ed opportuni squarci nel pavimenti si sarebbero determinati dei coni ottici che avrebbero consentito di vedere anche i reperti architettonici esposti al piano seminterrato o nel “fossato” che lo circonda e sui piani inclinati murari o erbosi: in tal modo il visitatore avrebbe potuto vedere

289

Antonino MARINO, 2003, p. 36.

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contemporaneamente «la pittura e la scultura dentro e l’architettura fuori in modo da percepire unitariamente le tre forme di arte coeve».290 Nella relazione tecnica del progetto, Scarpa e Calandra motivano in tal modo la scelta di creare una simile continuità tra interno ed esterno dell’edificio: «In definitiva […] lo spazio interno del museo che si propone pretende di dare quella sensazione di continuità spaziale che è generalmente offerta, nelle città storiche, dalle eterogenee e armoniche piazze urbane medievali- rinascimentali a volte ricche anche di opere scultoree e pittoresche; dovrebbe quindi riuscire ad articolarsi in una sorta di successione di prospettive accidentali con quadro in continuo movimento entro una sola grande piazza coperta, a più livelli, quasi a sopperire a una lacuna che a Messina si è prodotta al principio del secolo attuale con la completa scomparsa del centro storico urbano».291

252 252. Carlo Scarpa, schizzo di prospetto (grafite su carta velina), MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 42254.

La continuità spaziale tra i due livelli dell’edificio non avviene in modo indifferenziato, ma secondo una precisa strategia: i portali (come quello del palazzo dell’Università) e gli elementi di facciata dei più importanti edifici di Messina (Palazzo Grano, il Convento di San Domenico), collocati sui piani inclinati del fossato e ricomposti a secco a fini didascalici, sono visibili sia dal 290

Ivi, p. 31. Roberto CALANDRA, Carlo SCARPA, Progetto di massima del nuovo Museo Nazionale di Messina. Relazione illustrativa, Ministero dei Beni culturali, Soprintendenza alle Gallerie della Sicilia, Cassa per il Mezzogiorno, febbraio 1976, p. 7. 291

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piano superiore che dal giardino e sono inquadrati da tagli nel pavimento e nelle pareti, studiati in modo rigoroso al fine di ottenere una precisa corrispondenza tra punto di osservazione e opere. In prossimità delle tre absidi, si elevano, sorretti da esili fasci di pilastri in acciaio, una serie di alti parallelepipedi vetrati, variamente articolati nelle dimensioni e in altezza, che assolvono alla funzione di grande lucernario; al di sotto di questo, si sarebbe delineato un grande invaso vuoto a tripla altezza, dove avrebbero trovato collocazione le statue del Nettuno e di Scilla di Giovanni Angelo Montorsoli, 292 opere che, per la centralità della loro collocazione al centro della vasta sala vetrata e per la particolare illuminazione che ricevono dall’alto, si sarebbero configurate come “punti focali” importantissimi all’interno del museo.

253 253. disegno a grafite e pannelli colorati su carta raffigurante la pianta dell’isolato con l’indicazione dei percorsi del museo e altre annotazioni, in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 241.

Sempre al piano rialzato, una seconda zona, destinata ad accogliere i dipinti di Caravaggio, si sarebbe snodata invece verso ovest e sarebbe stata caratterizzata da spazi più ortogonali, definiti da pareti mobili o fisse che avrebbero accolto le grandi tele barocche o settecentesche; anche questa zona sarebbe stata aperta verso il seminterrato per permettere la visione dei reperti

292

Giovanni Angelo Montorsoli (Firenze, 1507 – 31 agosto 1563) è stato un religioso, scultore e architetto italiano; collaborò con Michelangelo alla Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze, dove scolpì il San Cosma che fu da Giorgio Vasari disposto a lato della Madonna; a metà del XVI secolo si stabilì a Messina, dove realizzò importanti edifici e opere pubbliche (chiesa di San Lorenzo, Fontana del Nettuno, Fontana di Orione).

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architettonici coevi, attraverso l’ampio squarcio verticale di un patio interno, rivolto verso una vasca d’acqua al fondo di esso.

254

254. Roberto Calandra, Carlo Scarpa, tavola 3 del progetto di massima del museo di Messina (“livello di pittura e scultura”), MAXXI, Museo Nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 48885; sotto la tavola, un ingrandimento delle firme di Roberto Calandra e Carlo Scarpa.

L’organizzazione interna dell’allestimento prevede percorsi differenziati, ma strettamente connessi tra loro, al fine di consentire sia una visione approfondita di tutte le opere, sia una visita limitata alle testimonianze artistiche più importanti o ad alcune specifiche sezioni. La scelta deriva da una idea di fondo dell’allestimento museografico che accomuna Roberto Calandra e Carlo Scarpa e che rifiuta la realizzazione di sequenze troppo fitte di opere d’arte (si pensi a quanto già detto a proposito dell’allestimento di Palazzo Abatellis nel capitolo 3):293 «E’ così che deve essere oggi un museo: poche sale con le opere più significative di un determinato periodo o di un particolare autore. Vanno invece potenziati e attrezzati altri 293

Vedi capitolo 3, paragrafo 3.4, p. 80

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spazi come biblioteche, magazzini, accessibili ai soli ricercatori dove conservare il resto. Così si può avere un museo con pochissimo personale, cosa molto importante per contenere i costi di gestione».294

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257 255. Carlo Scarpa, schizzo di sezione e in pianta dell’insieme (grafite e pastelli colorati su carta), MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 42279. 256. schizzo delle alte steli in cemento armato, destinate a fungere da supporto per frammenti architettonici, con breve iscrizione («con i pezzi migliori/ aperte/ come vuole Roberto»), in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 242. 257. Roberto Calandra, Carlo Scarpa, tavola 6 del progetto di massima del museo: prospetto “est” e sezione “nord- sud”, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 42235. 294

Antonino MARINO, 2003, p. 32.

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258 258. pianta seminterrato, quota m. 10,00 (il “fossato�), disegno fuori scala: 1) decorazioni, stemmi e pezzi architettonici; 2) berline; 3) piani inclinati per esposizioni; 4) centrali tecnologiche; 5) magazzino; 6) ingresso carrabile; 7) rampe al piano ammezzato; 8) ascensori e montacarichi; 9) vasca; in Antonino MARINO, 2003, p. 56.

259 259. pianta primo ammezzato, quota m. 13, 20 (esposizioni temporanee), disegno fuori scala: 1) vuoto del seminterrato; 2) ingresso agli uffici; 3) biblioteca; 4) guardaroba; 5) servizi: 6) alloggio del consegnatario; 7) esposizioni temporanee; 8) esposizioni temporanee all’aperto; 9) ascensori e montacarichi; 10) rampe al seminterrato; in Antonino MARINO, 2003, p. 58.

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260 260. pianta piano rialzato (scultura e pittura), quota m. 16, 40, disegno fuori scala: 1) vestibolo di ingresso; 2) mostre all’aperto; 3) cataloghi; 4) esposizioni temporanee; 5) pittura e scultura (a – primitivi; b – Antonello e gli antonelliani; c- Nettuno e Scilla di Montorsoli; d- Caravaggio); 6) vuoto sulle berline; 7) scala al secondo ammezzato; 8) scala alla quota m. 3, 20; 9) secondo livello della biblioteca; 10) direzione; 11) uffici; 12) laboratori di restauro; 13) servizi igienici; 14) ascensori e montacarichi; in Antonino MARINO, 2003, p. 59.

261 261. pianta secondo ammezzato, quota m. 19, 60 (arti minori), disegno fuori scala: 1) scala dalla quota m. 16, 40; 2) scala all’uscita; 3) “tesoro” (oro, argenti, monete antiche, etc.); 4) maioliche, stampe, cimeli del XIX secolo; 5) passerella; 6) uffici del direttore; 7) uffici; 8) laboratori e archivi; 9) restauro; 10) servizi igienici; 11) ascensori e montacarichi; 12) scala di accesso all’appartamento del direttore, in Emanuela LA DELFA, Il Museo Regionale di Messina nel progetto di Carlo Scarpa, tesi di laurea, relatori Nunzio Marsiglia, Giuseppe Azzaro, Università di Palermo, Facoltà di Architettura, a. a. 2009- 2010, p. 108.

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262 262. pianta copertura, quota m. 22,80, disegno fuori scala: 1) alloggio del direttore; 2) terrazzo; 3) copertura area espositiva “pittura e scultura XI- XVI secolo”; 4) copertura sala del Caravaggio; 5) copertura “sala del tesoro”; 6) copertura in acciaio e vetro; 7) ascensori e montacarichi; in Emanuela LA DELFA, tesi di laurea, 2009- 2010, p. 109.

263 263. prospetto nord (disegno fuori scala), in Antonino MARINO, 2003, p. 68.

264 264. prospetto sud (disegno fuori scala), ibidem.

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265 265. prospetto est (disegno fuori scala), ivi, p. 66- 67.

266 266. sezione longitudinale A- A’ (disegno fuori scala), in Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 222- 223.

267

267. sezione trasversale B- B’ (disegno fuori scala), in Antonino MARINO, 2003, p. 64.

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6.3. Il linguaggio architettonico del progetto Scarpa- Calandra

La nuova sede museale è concepita come un organismo unitario e compatto, ma al contempo, per la complessità delle sue caratteristiche formali, si configura come il risultato dell’aggregazione di volumi diversi nelle forme e nelle dimensioni, che identificano parti autonome all’interno dell’edificio, ciascuna delle quali corrisponde a precise zone funzionali: il parallelepipedo sul fronte sud, adibito ai servizi museali (laboratori di restauro, magazzini, biblioteca, etc.); l’ampio volume centrale, di forma quadrangolare, destinato all’esposizione delle collezioni permanenti (scultura, pittura); i tre vani, sul fronte nord, terminanti all’esterno con le tre absidi «di ricordo aaltiano»,295 che ospitano le opere di Antonello da Messina; il grande lucernario, infine, dalla complessa articolazione geometrica. Calandra e Scarpa immaginano dunque un edificio dalla morfologia varia e articolata, dove ogni volume è diverso e ogni prospetto non è mai uguale a un altro; perfino le aperture sono multiformi nella geometria e nelle dimensioni.

268 268. veduta assonometrica dell’area di progetto e della struttura museale, in Antonino MARINO, 2003, p. 72.

295

Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 217.

195


Nell’elaborazione del progetto, uno degli aspetti maggiormente tenuti i considerazione è il rapporto dell’edificio con la città e con i suoi valori culturali, storici e paesaggistici. Il nuovo museo cittadino viene concepito come sede di un’istituzione, una sorta di “museo della città” dove si concentra la memoria storica di Messina. L’edificio non assolve unicamente alla mera funzione di galleria d’arte, ma diventa un luogo destinato a preservare dall’incuria e dall’oblio le testimonianze materiali di una comunità sconvolta da una terribile calamità naturale. Per la collocazione dei resti delle antiche costruzioni cittadine, Carlo Scarpa e Roberto Calandra optano per una scelta discreta e rispettosa, lasciando i reperti laddove sono stati collocati fin dai giorni immediatamente successivi al sisma, ma tutelandoli e riparandoli con il corpo dell’edificio sollevato rispetto alla spianata circostante.

269 269. Carlo Scarpa, schizzo prospettico relativo al Museo Nazionale di Messina, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma, inv. 4195.

La nuova sede del museo di Messina è anche un luogo aperto al paesaggio naturale che circonda la città e al mare, verso il quale si proietta il lato orientale dell’edificio. A tal proposito, scrive Antonino Marino: «Il caso ha voluto che

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questo luogo, dove sarebbe dovuto sorgere il museo, la Spianata di San Salvatore dei Greci, riunisce in sé le due anime di Messina: quella delle bellezze naturali, dei colori, del mare e quella dei ricordi, della memoria e della tragedia. La collina dove i superstiti del terremoto del 1908 hanno raccolto e riunito insieme i reperti architettonici e decorativi dei palazzi più belli e signorili è anche una bellissima terrazza gradinata sullo Stretto da cui è possibile stendere lo sguardo da Capo Peloro a Scilla e poi verso la costa calabra fino alla falce del porto di Messina. E’ alle due anime della città che Scarpa pensa nel modellare l’architettura del museo dando soluzioni e forme che prefigurano un “sotto” e un “sopra”: un “sotto” tutto rivolto alla storia, al passato e un “sopra” tutto rivolto al paesaggio, all’aria e al mare».296 L’area della Spianata di San Salvatore dei Greci, situata al margine del tessuto storico della città e circondata da arterie stradali di grande traffico, si configura, nel progetto di Scarpa e Calandra, come un vasto giardino caratterizzato da percorsi modellati sulle preesistenze, da camminamenti terrazzati, filari di alberi e siepi, e collegato senza soluzione di continuità agli spazi del museo.

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270. veduta del plastico in legno realizzato nel 1976 nel laboratorio di falegnameria della Galleria Regionale della Sicilia (34,5 x 61,5 x 8 cm) conservato attualmente presso la collezione privata Roberto Calandra), in Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2004, p. 298. 271. il “fossato” nel plastico del 1976, in Guido BELTRAMINI, Kurt W. FORSTER, Paola MARINI, 2000, p. 245.

Sempre Antonino Marino, nella sua monografia dedicata al museo di Messina, identifica nella proposta progettuale di Scarpa e Calandra lo sviluppo di cinque temi fondamentali: il margine, i passaggi, i punti focali, la luce e l’acqua. Il margine è un tema rinvenibile frequentemente nell’architettura di Scarpa e riguarda la separazione dell’edificio, del giardino o anche del singolo elemento architettonico dall’ambiente circostante mediante una serie di stratagemmi di 296

Antonino MARINO, 2003, p. 51

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natura e forma diversi: nel museo di Castelvecchio a Verona, ad esempio, una bassa vasca d’acqua funge da margine e zona di separazione verso l’esterno; nella Tomba Brion, l’innalzamento della quota di pavimentazione del monumento rispetto all’ambiente circostante e il muro inclinato tutto intorno si configurano come le soluzioni adeguate a conferire al luogo un appropriato senso di separatezza e intimità. Nel Museo di Messina il margine è rappresentato dal fossato, dove trovano collocazione i resti della città distrutta dal sisma e che esprime pertanto un senso di radicamento nella storia cittadina (il museo sorge sui resti della città distrutta), ma che può assumere anche il valore metaforico di linea di separazione e superamento rispetto al periodo drammatico del terremoto. Strettamente connesso al tema del margine è quello del passaggio, un motivo architettonico variamente declinato da Scarpa nel corso della sua lunga carriera: si pensi al ponte della Fondazione Querini Stampalia, necessario punto di giunzione tra il palazzo e la terraferma oltre il canale, o alla Tomba Brion, dove il collegamento tra il vecchio cimitero del paese e il giardino dove riposano i committenti è assicurato dallo stretto vestibolo detto “dei propilei”. Nel museo di Messina lo studio dei passaggi è particolarmente ricco di inventiva: il collegamento tra l’interno del museo e la zona espositiva all’aperto avviene tramite una semplice lastra posata sul fossato, che consente di dare continuità visiva e funzionale tra le due zone espositive; un ponte stretto e lungo collega l’ex- filanda alla nuova struttura e ha entrambe le pareti laterali vetrate, consentendo dunque al visitatore di avere una percezione precisa del passaggio tra i due edifici. La luce è uno dei temi dominanti di tutta l’architettura scarpiana, fin dalle prime opere.

Nella

nuova

sede

del

museo

di

Messina

lo

sfruttamento

dell’illuminazione naturale avrebbe dovuto avere un ruolo centrale e per tale motivo l’architetto veneziano e il collega Roberto Calandra sperimentano diverse soluzioni atte a catturare nel migliore dei modi la luce mediterranea che caratterizza il paesaggio siciliano. Nella loro proposta progettuale, i due architetti ipotizzano l’utilizzo di una gamma molto varia di aperture, sempre diverse per forma e dimensioni e raggruppabili, in base alla loro destinazione funzionale, in due categorie: quelle per illuminare gli ambienti interni, che hanno caratteristiche geometriche differenti a seconda delle opere esposte, e quelle 198


atte a creare un collegamento visivo tra l’interno dell’edificio e l’esterno. Della prima famiglia di aperture fanno parte alcune finestre d’angolo che avrebbero dovuto essere realizzate sul modello di quelle presenti nella Gipsoteca Canoviana di Possagno. Per ottenere luce diffusa nel piano rialzato del corpo centrale viene pensata una copertura traforata da tanti piccoli lucernari circolari, una soluzione che ricorda quella già adottata nella biblioteca di Viipuri297 di Alvar Aalto; Roberto Calandra, tuttavia, sostiene che questa ipotesi progettuale, una volta disegnata, non è stata ritenuta soddisfacente da Scarpa, il quale avrebbe voluto cambiarla.298 Alla seconda categoria di aperture appartengono le finestre pensate sulle facciate dell’edificio, varie per dimensioni e tipologia e riconducibili al repertorio architettonico del movimento moderno, come la grande finestra a nastro sul fronte est, che avrebbe dovuto inquadrare il paesaggio dello stretto e del porto. Il culmine degli effetti luministici immaginati da Scarpa e Calandra sarebbe stato raggiunto nel grande lucernaio destinato ad ospitare le sculture del Montorsoli, che si sarebbero configurate come il perno attorno a cui avrebbe ruotato l’intero allestimento.

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272. plastico in balsa del Museo di Messina, con in evidenza gli alti lucernari della copertura, in Antonino MARINO, 2003, p. 82; 273. Gipsoteca Canoviana di Possagno, finestra d’angolo, in Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 146.

297

Si tratta della biblioteca comunale della città russa di Vyborg, costruita su progetto dell'architetto finlandese Alvar Aalto tra il 1930 e il 1935. 298 Antonino MARINO, 2003, p. 35.

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274 274. sezioni di studio per la collocazione delle sculture, in Antonino MARINO, 2003, p. 53.

Altro tema fondamentale della poetica scarpiana è quello dell’acqua, presenza costante nelle architetture del maestro veneziano. Nel progetto di Messina il motivo dell’acqua è presente sotto forma di una vasca rettangolare, posta nell’angolo sud- est del piano seminterrato, a cavallo tra la parte coperta e quella scoperta del complesso museale; lo stretto canale si protende verso l’esterno, passando sotto il blocco dei servizi museali, verso l’ex filanda Mellinghoff, quasi a voler collegare la vecchia sede del museo con la nuova struttura. L’idea dello stretto canale che, generato da una sorgente interna, prosegue verso il giardino esterno, richiama alcuni motivi dell’architettura islamica. Maria Antonietta Crippa sostiene inoltre che Scarpa e Calandra abbiano ipotizzato l’immersione parziale nell’acqua dei capitelli e dei ruderi del piano semicantinato: «Decise che ne avrebbe collocato solo uno o due all’interno del museo. Gli altri sarebbero stati immersi in un bacino d’acqua, sopra il quale i visitatori avrebbero potuto passeggiare per mezzo di passerelle».299

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Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 217

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Questa tesi è riferita anche da Luciana Miotto nella sua monografia sugli allestimenti scarpiani; 300 Antonio Marino, invece, sostiene che l’allagamento della zona dei ruderi sia soltanto un’ipotesi iniziale, presto accantonata.301 L’ultima delle tematiche identificate da Marino, infine, è quella relativa all’organizzazione di alcuni spazi attorno ad elementi destinati a catalizzare l’attenzione del visitatore e identificabili pertanto come punti focali all’interno di un progetto. Si tratta anche in questo caso di un motivo ricorrente nelle architetture di Carlo Scarpa, in particolare negli allestimenti: si veda, ad esempio, la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, dove la funzione di punto focale è assolta dal grande affresco del Trionfo della Morte, o il Museo di Castelvecchio a Verona, dove la statua di Cangrande, posta su un alto piedistallo, assume l’effetto di costante presenza visiva.

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275, 276. la fontana di Nettuno a Messina e la Statua di Scilla, al Museo Regionale di Messina (foto di Walter Leonardi).

Nel progetto per la sede del Museo Regionale di Messina il motivo dominante dell’organizzazione spaziale dell’edificio è costituito dalle statue di Nettuno e Scilla, poste al centro della galleria vetrata, illuminate dall’alto e visibili da diversi punti del museo e del giardino. A proposito della collocazione delle due sculture del Montorsoli, scrive Maria Antonietta Crippa: «Lo stupore di fronte al 300 301

Luciana MIOTTO,2004, p. 81 Antonino MARINO, 2003, p. 103

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reperto archeologico sollecitava la fantasia a farne materiale per una rappresentazione in cui le opere erano chiamate a divenir attori. Nel dialogo inscenato tra Scilla e Nettuno, sotto la luce, entro uno spazio unitario e frammentario, aperto e chiuso, dentro un’architettura segnata da continue asimmetrie ed irregolarità, pare quasi che Scarpa voglia racchiudere un messaggio misterioso ed amicale dal mare di Sicilia, visibile dal museo. Al contrario di Ulisse non si sottrae all’incontro di armonie misteriose che gli suonano intorno, poiché dell’indistinto e giocoso pulsare dei sensi si innerva la sua poesia».302

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Maria Antonietta CRIPPA, 1984, p. 226.

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Intervista all’ingegnere Nino Vicari

277 277. Nino Vicari, durante un convegno a Palermo (foto di Walter Leonardi).

Walter Leonardi: Ingegner Vicari, desidererei sapere, anzitutto, come ha conosciuto l’architetto Roberto Calandra e com’è iniziato il rapporto di collaborazione con lui?

Nino Vicari: L’ho conosciuto nel 1956: ricordo bene questa circostanza perché ci siamo incontrati al momento in cui si doveva redigere il Piano Regolatore del Comune di Sant’Agata di Militello, paese del quale sono originario. Proprio in quell’occasione, Calandra era intenzionato a partecipare a questo concorso e io me ne occupavo dal punto di vista del Comune. Ci siamo conosciuti e sono passati ormai oltre 50 anni. E da quel momento in poi abbiamo avuto una serie di circostanze, occasioni di lavoro comune, di simpatie, di amicizie, che si è protratta per tutta la vita.

W. L. Nei primi anni Cinquanta, Roberto Calandra e Carlo Scarpa realizzano insieme l’importante progetto dell’allestimento della mostra su Antonello Da Messina. Subito dopo, Scarpa viene chiamato da Vigni a progettare il museo di Palazzo Abatellis. Lei ha seguito, in qualche modo, da giovane, l’evoluzione di

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questi progetti? Ha mai parlato con Calandra e Scarpa di questi episodi così importanti della loro carriera?

N. V. La mostra di Antonello si era già chiusa nel 1953. Se ne parlava, ovviamente, perché è stato un momento di grande importanza sul piano del restauro e degli allestimenti delle mostre: se ne è parlato sempre, abbiamo avuto più volte occasione di condividere questa sua straordinaria esperienza. Roberto Calandra era un cultore di Scarpa, aveva dieci anni meno di lui, come saprà l’aveva incontrato a Venezia, e fu lui a farlo chiamare a Messina per l’allestimento della mostra. Successivamente sono stato testimone dell’incarico che Calandra ottenne dall’università per Carlo Scarpa per una consulenza nel restauro dello Steri. Evidentemente questo restauro poteva essere conferito anche direttamente a Carlo Scarpa, ma lui ,come sa, non era architetto, per cui poteva agire soltanto come consulente. Il rettore dell’epoca, D’Alessandro, fu molto lieto di accettare questa proposta, e anche Scarpa accettò con molto entusiasmo. E da quel momento Scarpa si innamorò di Palermo: aveva già avuto l’esperienza di Palazzo Abatellis, e tornò molto volentieri. Continuò a frequentarci, ahimé, soltanto per pochi anni, perché poi è scomparso mentre i lavori per lo Steri erano in corso.

W. L. Gli anni ‘60 sono stati particolarmente intensi per quanto riguarda le vicende urbanistiche e architettoniche siciliane. Anni di impegno civile, ma anche di speculazione (è del 1962 il piano regolatore di Palermo;303 nel 1959 la 303

Il Piano Regolatore del 1962 è il secondo piano regolatore della città di Palermo. Il PRG del 1962 arriva dopo quasi ottanta anni dal precedente, il Piano Giarrusso del 1885, viene approvato dal Presidente della Regione come Piano Regolatore Generale della città. Questo piano prevedeva l'ampliamento della superficie cittadina di circa il doppio, prevedendo un raddoppio della popolazione dai 500.000 a circa 900.000 abitanti, la nuova edificazione si sviluppò soprattutto verso Nord e secondo la morfologia del territorio. Si vennero così ad occupare moltissimi spazi lasciati liberi prima destinati all'agricoltura e contemporaneamente le borgate storiche vennero inglobate nel tessuto urbano, molte delle quali perdendo completamente la loro identità. Il piano prevedeva la riduzione delle aree verdi e la sostituzione di piccoli edifici con edifici multipiani, con l'intenzione, presunta, di limitare lo spazio occupato, in realtà si trattava di una semplice speculazione edilizia. Vista la grande esplosione demografica degli anni Sessanta e la pressante richiesta di abitazioni da parte della popolazione, nel 1966 vengono approvati i piani per l'edilizia convenzionata che utilizzando territori precedentemente di uso agricolo creano 14 nuove zone edificate, alcune delle quali presso antiche borgate come Bandita, Arenella o Resuttana. Per le classi meno abbienti, la città, attraverso i Piani di Edilizia Economica Popolare (PEEP), decide di edificare una serie di quartieri popolari progettati solitamente secondo il disegno di "edificio unico". I PEEP vengono così dislocati, nella maggior parte dei casi, nei pressi della nuova circonvallazione cittadina, il viale Regione

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demolizione di Villa Deliella).304 Negli anni ’60 Lei e Calandra avete collaborato molto: so che avete redatto i progetti per l’ospedale psichiatrico a Messina, il piano regolatore di Milazzo. Nel campo della progettazione e nell’ambito urbanistico, esistevano delle idee fisse che portavate avanti nell’esercizio della vostra professione? Avevate dei modelli di riferimento, dei valori o semplicemente un modo di lavorare che vi accomunavano? C’era anche una certa tendenza all’associazionismo: nel 1961 Lei ha fatto parte del G.A.U.S., Gruppo per l’Architettura e l’Urbanistica Siciliana fondata a Palermo su incoraggiamento di E. Caracciolo (con Antonio Bonafede, Umberto Di Cristina, Luciana Natoli, Salvatore Prescia ). Calandra inoltre aveva aderito attivamente all’APAO.

N. V. Io facevo parte di questo gruppo di architetti e urbanisti siciliani. Caracciolo era stato il nostro maestro, di lui io sono stato brevemente assistente in uno degli insegnamenti che lui ha tenuto presso la Facoltà di Agraria. Questi giovani dell’epoca erano accomunati da un impegno civile, politico- civile. Qualcuno di noi era iscritto a qualche partito, come Bonafede iscritto al partito comunista, anche Colajanni. Noi altri eravamo liberi sotto questo punto di vista, ma eravamo accomunati dalla passione civile, che derivava dall’insegnamento di Caracciolo, il quale era stato membro del comitato redazionale per il P.R. G., cominciato nel ’56 e poi approvato nel 1962.

W. L. Completamente disatteso nelle aspettative di Caracciolo…

Siciliana. Progettata inizialmente come tangenziale di collegamento extracittadino per il traffico diretto a Trapani o Messina e quindi come una sorta di limite all'espansione cittadina verso le montagne, venne in breve tempo assorbita dal tessuto urbano diventando un importante asse urbano che però taglia fuori e isola i nuovi quartieri sorti al di fuori di essa, come Borgo Nuovo o Passo di Rigano. Il via alla speculazione urbana sarà dato dalla costruzione di questi quartieri così distanti dalla città consolidata. Creando questi nuovi poli satelliti da collegare alla città tramite nuove opere di urbanizzazione primaria (strade, reti fognarie e idriche), il terreno inizialmente agricolo posto fra queste nuove aree e la città veniva acquistato a basso prezzo pur diventando subito edificabile aumentando così a dismisura il suo valore. Sono questi gli anni in cui prolificano la mafia e le collusioni con l'amministrazione cittadina. 304 Villa Libery demolita durante il “sacco di Palermo”, ovvero il periodo di intensa speculazione edilizia che ha interessato la città siciliana tra gli anni ’50 e ’60; si veda: Bruno ZEVI, Assalto a Villa, Deliella, in «Espresso», 4 gennaio 1960, p. 16.

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N. V. All’epoca in cui prima Lima e poi Ciancimino305 andarono al governo della città, fu redatto con molta maestria e impegno dal comitato, ma poi venne manomesso e stravolto a favore della speculazione, per cui alla fine Caracciolo non volle firmarlo.

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278. una foto di Edoardo Caracciolo, tratta da: Ludovico QUARONI, In memoria di Edoardo Caracciolo, in «Urbanistica», n. 36- 37, novembre 1962, p. 137. 279. villa Deliella a Palermo, in una foto tratta da: Bruno ZEVI, Assalto a Villa Deliella, in «L’Espresso», 3 gennaio 1960, p. 16.

W. L. Nel campo della pianificazione, molto importante è stata anche la collaborazione tra Lei e Calandra per importanti piani urbanistici, come il Piano Comprensoriale n. 9…

N. V. Ecco, il Piano Comprensoriale n. 9, visto che Lei lo nomina, fu un’esperienza molto importante. I piani comprensoriali in Sicilia sono rimasti legati nell’immaginario collettivo al terremoto del Belice nel 1968, ma ci fu in quel periodo un altro terremoto molto forte, il terremoto di Mistretta del 1967. Il Piano Comprensoriale fu una grande esperienza di pianificazione territoriale, con il tentativo di interconnessione dei parametri più significativi dello sviluppo del territorio, da quelli ambientali per la tutela e la salvaguardia del patrimonio boschivo e dei centri storici, al rilancio della produttività e dell’occupazione, alle infrastrutture e alla realizzazione di nuove vie di comunicazione rispettose dell’ambiente attraversato. Ma il piano venne disatteso dagli organi responsabili 305

Salvo Lima fu sindaco di Palermo dal 1959 al 1963 e poi dal 1965 al 1968; Vito Ciancimino fu assessore ai lavori pubblici 1959 al 1964 e poi, nel 1970, divenne primo cittadino di Palermo.

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del governo del territorio e poi addirittura abolito dalla Regione Siciliana. Rimasero i singoli piani regolatori delle città sui Nebrodi, alcuni dei quali sono ancor oggi in vigore.

W. L. Arriviamo dunque al restauro dello Steri. Anzitutto, Lei è stato particolarmente attivo all’interno della querelle tra la Soprintendenza e l’Università: nel marzo del 1969, ha fatto parte di una sottocommissione universitaria, con Gianni Pirrone, che invitava la Soprintendenza ai Monumenti della Sicilia occidentale a rielaborare il progetto, visto che a vostro parere non erano state apportate le modifiche del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle arti. Come ricorda quell’esperienza? Come giudica i restauri della Soprintendenza?

N. V. Il rettore Michele Gervasi, che fu quello che ebbe l’idea di chiedere al Demanio prima e poi al Ministero della pubblica istruzione di destinare lo Steri a rettorato dell’Università, ottenne un finanziamento di 500 milioni di lire. Ne affidò l’esecuzione alla Soprintendenza ai Monumenti, come era nella prassi dell’epoca. A quel tempo era diretta da un soprintendente di nome Sanguinetti. L’architetto che dirigeva i lavori era Finocchiaro.306 Poiché la Soprintendenza non diede corso alla richiesta del rettore di dare indicazioni e seguire la progettazione e l’esecuzione dei lavori, si ruppero i rapporti tra Soprintendenza e rettorato e tale rimasero fino a quando non si esaurì il primo finanziamento; l’Università soddisfò il bisogno di seguire i lavori attraverso la commissione nominata dal Rettore. Successivamente, subentrato il nuovo rettore D’Alessandro, fu lui a riallacciare i rapporti con la Soprintendenza e a richiamarla in causa per la progettazione, e subito dopo ottenne da parte di Vincenzo Tusa, soprintendente ad interim, alle antichità e anche ai monumenti, il conferimento dell’esecuzione dei lavori alle strutture di fiducia dell’Università. Nonostante l’intervento della commissione, la Soprintendenza fece a modo suo. Quali sono state le critiche maggiori rivolte alla Soprintendenza? Una di queste 306

Si tratta del soprintendente Francesco Sanguinetti e dell’architetto Piero Finocchiaro, che a partire dal 1968 si occupano dei lavori su Palazzo Steri.

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è stata quella di operare senza un vero e proprio progetto, come era uso a quell’epoca, un’esecuzione dei lavori “a braccio”, man mano che si andava avanti il direttore dei lavori prendeva decisioni sul momento; l’altra critica riguarda la tendenza ad operare un restauro stilistico, che era superato ormai dalla teoria di Brandi. Eravamo nel ‘73, come Lei sa la “teoria del Restauro” era appena nata, con il famoso volume che Brandi gli aveva dedicato (a parte le sue raccomandazioni dirette, come membro di una commissione).307 Infine, questo intervento sullo Steri è stato in un certo senso sconvolgente per l’edificio: anziché essere conservativo di alcuni valori, come quelli contenuti nei soffitti, nei solai, nelle opere di intaglio che arredavano anticamente lo Steri, tutto questo venne dismesso, perduto, disperso, in favore di una soluzione che era basata sull’uso del cemento armato, i solai in legno vennero sostituiti da solai in cemento armato. C’è una giustificazione, perché a quel tempo (eravamo qualche anno dopo il terremoto del 1968), Palermo era stata dotata di una normativa di carattere antisismico, per cui si riteneva fosse necessario sostituire solai in legno con solai in cemento armato, cosa che la Soprintendenza fece senza porsi tanti problemi. Si ebbero proprio delle “perdite di valore” sullo Steri, su quello che si poteva conservare, che l’Università contestò continuamente fino a ottener che finito il primo finanziamento potesse subentrare essa stessa nella gestione dei lavori.

W. L. Come vi siete avvicinati alla teoria di Brandi? Nel 1972 viene pubblicata la Carta del Restauro. Lo storico senese in quegli anni era inoltre membro di una commissione Ministeriale per lo studio dei Monumenti Arabo- Normanni. In che modo i nuovi ideali della Carta sono stati applicati?

N. V. Brandi intervenne durante la fase in cui i lavori erano gestiti dalla Soprintendenza, e tentò di dare delle particolari indicazioni sul piano della conservazione: ad esempio, criticando il restauro stilistico che era stato fatto per il ripristino delle facciate, che era stato eseguito esattamente come 307

Cesare BRANDI, Teoria del restauro, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1963. La Carta del restauro del 1972 è pubblicata nell’edizione Einaudi del 1977, pp. 131- 154.

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cinquant’anni prima, come avevano fatto Patricolo e Valente: dove mancava una colonnina veniva inventata e sostituita, in modo analogico e mimetico. Le cose cambiarono da quando subentrò il gruppo di lavoro diretto da Roberto Calandra, che era sinceramente convinto del restauro critico, condiviso anche da Carlo Scarpa, che anzi fu un antesignano di questo modo di operare sull’opera antica: diceva Scarpa, tra una parola e l’altra, “Vi farò un progetto così moderno, ma così moderno che vi sembrerà antico!”.

W. L. Come lavorava Scarpa? So che lui inviava numerosi suggerimenti a distanza e che a Palermo veniva raramente, ma avrete avuto sicuramente delle occasioni di incontrarvi in cantiere… come era l’architetto veneziano in queste circostanze?

N. V. Beh, anzitutto, Scarpa era una persona di grande simpatia. Aveva un eloquio molto ricco, intenso, suggestivo. Il suo lavoro a Palermo è consistito in gran parte nell’avere lungamente riflettuto su quello che era lo Steri. Le prime volte che venne a Palermo andava in cantiere e fissava lungamente le strutture, i valori di carattere architettonico, si informava, approfondiva la storia dello Steri, il significato di ogni traccia del passato. Era abituato a osservare intensamente l’oggetto che aveva sott’occhio, variava il punto di vista, cercando quello che riteneva più appropriato: in un certo senso dialogava col monumento.

W. L. Aveva un approccio grafico basato in modo particolare sullo schizzo preparatorio: anche il vostro approccio grafico era tale?

N. V. Dopo queste lunghe osservazioni, tornava nello studio di Roberto Calandra e traduceva le sue idee progettuali sotto forma di schizzi, ipotizzando una infinità di soluzioni “schizzate”. Era caratteristico il modo in cui disegnava, amava usare matite all’antica con la punta lunghissima e affilata da lui stesso, e su carta trasparente sottilissima. Questa serie infinita di schizzi poi qualche volta si traduceva anche in disegno. Raramente lui disegnò personalmente, 209


alcune cose sì: per esempio la scala marmorea che si ha sull’ingresso su piazza Marina o le porte di ingresso sul loggiato sono state da lui disegnate, oltre che schizzate ovviamente. Da questi schizzi nasceva il progetto esecutivo di Roberto Calandra. Bisogna notare una cosa: i lavori si svolsero lentamente nel corso di otto anni, lo Steri fu “consegnato” nel 1984. Fino al 1978 Scarpa continuò a progettare; dopo il ’78, in base ai suoi schizzi, ai suoi suggerimenti, al modo di ragionare, a progettare continuò Calandra, in modo esemplare, perché questi era un progettista raffinato, che amava esprimersi con dettagli esecutivi che arrivavano fino alla scala al vero, lasciando una montagna di disegni che costituiscono il suo archivio…

W. L. Si può dire che il progetto è stato caratterizzato da una vicenda lunga e controversa? Quale era il rapporto con la Soprintendenza e con il Consiglio Superiore? Lo stesso Scarpa si lamentò perché non era stato approvato il suo progetto di collegamento tra le sale del palazzo.. e anche i giochi d’acqua del cortile…

N. V. Non fu soltanto colpa della Soprintendenza: alcune cose Scarpa le immaginò ma poi non furono realizzate per motivazioni oggettive. Per esempio Scarpa sognava di completare il terzo piano, ma era solo un sogno, perché nessuno riteneva possibile realizzare un terzo piano allo Steri, cosa che poteva immaginare solo lui con la sua grande fantasia. Invece fu diverso il caso della proposta di collegamento dei tre piani, con questa scala aerea che avrebbe portato dalla sala terrena alla sala magna, sboccando sulla sala magna con una sorta di effetto sorpresa; che era un po’ una sua cifra, questa della sorpresa finale dell’itinerario turistico, questo suo modo di inventare le emozioni del visitatore: così è avvenuto a Palazzo Abatellis, dove la sorpresa nel suo itinerario è costituita dal “Trionfo della Morte”; la stessa cosa avviene a Castelvecchio, dove l’itinerario si conclude con la statua del Cangrande, che è la sorpresa finale del percorso lungo il monumento. E quindi pensava di fare una cosa del genere, immaginando anche che la sala magna venisse sistemata in forma di “parlamentino inglese”. 210


Alcune cose si sarebbero potute realizzare se lui fosse vissuto più a lungo, altre cose non si ebbe il coraggio di farle. Una cosa che non si poté realizzare fu questa soluzione del portico con una vasca d’acqua un po’ arabeggiante. Così come avvenne nelle grate delle bifore e delle trifore, si voleva ricreare una sorta di musharabia.

280 280. Palazzo Chiaramonte- Steri, sezione longitudinale della “Sala Terrana”, con il soppalco progettato da Carlo Scarpa e Roberto Calandra, in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 186.

W. L. Quale è stato il suo contributo più grande al progetto dello Steri?

N. V. Il mio contributo personale è stato quello di essere un giovane assistente, non architetto ma ingegnere, che da un suo aiuto sul piano delle sue competenze tecniche. L’impegno maggiore è stato quello della direzione dei lavori condotta insieme a Roberto Calandra, perché fu di certo il momento più interessante, quello in cui bisognava attendere alla scelta dei materiali, a cui ho contribuito, ma che fu frutto soprattutto della grande esperienza di Roberto Calandra. In tal senso, mi ritengo un collaboratore minore.

W. L. Dove è riconoscibile, secondo Lei, la mano di Calandra e quanto nel progetto, invece, è di Scarpa?

N. V. Difficile distinguere, perché Roberto Calandra parte dalle ispirazioni di Scarpa, sia nel modo in cui lui ha lasciato schizzate alcune idee, sia nella sua opera complessiva: per esempio i grigliati e carabottini alludono evidentemente a precedenti esperienze di Scarpa rielaborate con molta bravura da Calandra.

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Da notare che l’ultima fase delle opere, avvenuta vent’anni dopo la morte di Scarpa, il restauro della sala magna, è esclusivamente un progetto di Calandra: lì la sua mano si riconosce per esempio nelle porte e controporte di ingresso della sala magna, nei grigliati che sono stati apposti come schermi e nell’arredamento. Una cosa poco conosciuta, e che noi contestiamo all’Università, è che l’arredamento faceva parte del progetto ed è stato concepito da Roberto Calandra in omaggio alla figura di Carlo Scarpa, scegliendo una serie di oggetti da lui progettati: il divano Cornaro,308 e così via. Gli uffici furono dotati di una serie di oggetti in vetro e cristallo di Murano, proprio per ricordare Scarpa che per anni lavorò per la Venini. Ci fu anche questa fase finale del progetto, dunque, che fu esclusivamente frutto delle scelte di Roberto Calandra: questi arredi furono un po’ dispersi, sono passati trent’anni e molte di queste cose sono andate perdute.

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281. Palazzo Steri, veduta del sistema di collegamento tra piano terra e piano ammezzato in seguito alla realizzazione della griglia che separa la portineria dagli ambienti della sala est, in Cesare AJROLDI, 2007, p. 192; 282. interno del vestibolo sud- est del palazzo Chiaramonte di Palermo, in Antonietta Iolanda LIMA, 2006 (b), p. 193.

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Divano imbottito con struttura in legno massello, disegnato da Carlo Scarpa agli inizi degli anni Settanta.

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W. L. In che modo l’esperienza dello Steri ha influito sulla pratica del restauro in Sicilia negli anni successivi? E secondo Lei quanto l’insegnamento di Calandra, sia come docente universitario che nella pratica, ha influenzato le pratiche del restauro attualmente impiegate in Sicilia? Ha fatto “scuola” Calandra?

N. V. Nella facoltà di architettura è stato il solo docente che ha dato il suo insegnamento sotto il profilo del progetto critico del restauro, tutti gli altri che lo hanno preceduto si sono rivolti ad un tipo di restauro materiale più che progettuale e critico. Quelle generazioni che sono state allevate ai tempi in cui Calandra fu docente sono state influenzate da questo taglio. Che purtroppo non si ripete, perché in questo momento il restauro è in crisi sotto questo profilo, ci sono vari modi di concepirlo, varie teorie in conflitto. (Vicari cita poi Paolo Marconi309 come teorico che “ha dato un taglio diverso” alla disciplina, n.d.r).

W. L. Che criteri avete adottato per quanto riguarda i materiali e l’integrazione tra vecchio e nuovo? N. V. Non so se Lei ha letto l’articolo su Demetra,310 dove Calandra dice che i materiali devono essere di così grande qualità e così modesti da distinguersi da quelli antichi, però con taglio tradizionale, escludendo tutti i materiali che stridono (alluminio, etc..). E’ stato un modo di atteggiarsi per quanto riguarda la scelta dei materiali, ma anche delle tecniche: nei grigliati dei cancelli a maglia scozzese non c’è un punto di saldatura.

W. L. Una soluzione voluta da Carlo Scarpa…

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Paolo Marconi si è laureato in Architettura nel 1958 ed è stato libero docente in Storia dell'Arte e Storia e Stili dell'Architettura e professore ordinario in Storia dell'Architettura dal 1976 al 1980, e di Restauro dei monumenti dal 1980/81 alla Facoltà di Architettura de “La Sapienza” di Roma e dal 1993/94 all’università di Roma Tre. Ha studiato la storia e la filosofia del restauro architettonico nel mondo, con numerose pubblicazioni prodotte da Editori di primo piano (Electa, Laterza, Marsilio, Skira). La sua attività di architetto- restauratore è iniziata nel ruolo di Architetto Principale della Soprintendenza ai Monumenti di Roma nel 1967. Come libero professionista ha lavorato in tutta Italia, curando vari restauri anche in Sicilia. 310 Roberto CALANDRA, 1991 (b).

213


N. V. Gli architetti moderni copiano Scarpa ma non tengono conto di questa componente artigianale. Anche la tecnica di tipo artigianale è difficilissima da riprendere. Lo stesso vale per gli stucchi che sono stati importati da Venezia su indicazione di Carlo Scarpa attraverso il suo collaboratore De Luigi. Stucchi artigianali, difficilissimi da eseguire. Oggi si adoperano stucchi industrializzati, facilmente trovabili sul mercato, ma che non hanno niente a che fare, per chi ha un minimo di sensibilità estetica, con quella delicatezza che hanno questi intonaci.

W. L. Qual è stata l’esperienza professionale con Roberto Calandra che ricorda con più piacere?

N. V. Diciamo che il rapporto con Calandra è stato prima di collaboratore, poi di grande amico, di cui mi onoro di essere tutt’ora. Abbiamo condiviso pensieri e battaglie, che abbiamo combattuto anche sul piano del volontariato culturale. Lui è stato fondatore e poi primo presidente della fondazione “Salvare Palermo”, io poi sono stato presidente della suddetta fondazione, a cui ci siamo dedicati con quella che oggi si definisce “passione civile”.

W. L. Com’era il rapporto tra Calandra e Scarpa?

N. V. Erano grandi amici, e con una reciproca stima. Naturalmente tenendo conto che Scarpa aveva 10 anni in più, dunque aveva un atteggiamento un po’ paterno nei confronti di Calandra, ma nutriva anche una profonda stima per quest’ultimo. Lavoravano bene insieme.

W. L. Avevano due approcci diversi all’architettura, due visioni diverse…?

N. V. Le due figure non sono paragonabili. Roberto Calandra è stato un architetto a tutto campo, è stato urbanista, si è occupato non solo di restauro ma anche di costruzioni nelle opere pubbliche. Aveva un’esperienza 214


assolutamente diversa rispetto a quella di Carlo Scarpa. Si sviluppò tuttavia, in occasione del restauro di Palazzo Steri, una consonanza nelle idee e nel modo di progettare .

W. L. Lei ha un ricordo particolare di Scarpa? Non so, una battuta, o un aneddoto..?

N. V. Una volta che lo incontrai a Roma con mia moglie, lo invitammo a colazione. Lui accettò volentieri. Alla fine tentai di pagare il conto, ma lui disse: “Guarda, è la prima volta che mia moglie mi da un libretto di conto corrente che io non ho mai firmato. Fammi questo piacere di farmi pagare!”. Era così distante dalle questioni di carattere materiale, non si occupava neanche del lato materiale della sua professione. Questo si vedeva anche nel fatto che metteva a confronto la sua esperienza di designer con quello di suo figlio Tobia. Diceva: “Tobia si che è bravo a guadagnare soldi! A me danno pochi spiccioli, che non sono paragonabili con quelli di mio figlio!” Questo per dire com’era distaccato dalle questioni di carattere economico e materiale.

W. L. Cosa possono imparare i giovani architetti o restauratori di oggi dall’esperienza dello Steri?

N. V. Ritengo che dobbiate ristudiare attentamente quello che è il processo progettuale che ha portato ad alcune esperienze, processo che si può talvolta ricostruire, in particolare sullo Steri esiste una grande documentazione. Io mi auguro che questa documentazione, che è costituita da tutta una serie di schizzi, disegni di Carlo Scarpa, che sono conservati per fortuna presso vari archivi (Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI a Roma), e la documentazione progettuale, che costituisce l’archivio di Calandra, venga ristudiata e possa servire a ricostruire questo processo progettuale che secondo me è fondamentale ai fini di quella che è la formazione di un giovane restauratore.

215


W. L. Ho letto un articolo 311 dove l’architetto Matteo Iannello sostiene che il progetto dello Steri è stato tradito… si riferisce all’arredo…

N. V. Non solo l’arredo, ma anche le opere di intervento e di manutenzione ordinaria o straordinaria non tengono sempre conto della buona conservazione dei materiali e del rispetto delle preesistenze. Abbiamo contestato alcuni modi di intervenire come le pannellature vitree che sono state apposte alla scala marmorea o alla scala esterna cinquecentesca; pannellature che sono state realizzate per conto dell’Università, che le ha ritenute necessarie ai fini della sicurezza, ma che sono assolutamente inconcepibili nella visione di Carlo Scarpa e Roberto Calandra. Quello che ci si auspica dunque è che ci sia un maggior rispetto del progetto originario.

311

Matteo IANNELLO, Glenda SCOLARO, 2009.

216


ROBERTO CALANDRA: REGESTO DELLE OPERE

1936. Littoriali di Architettura di Venezia (progetto di caserma di artiglieria divisionale). 1938. Concorso per la Casa del fascio di Verona (con V. Caravacci, U. Sissa). 1939- 1940. Ente colonizzazione latifondo siciliano. Borgo rurale tra Agrigento e Palma di Montechiaro in contrada Burrainiti (con M. Calandra). 1946. Concorso per la sistemazione urbanistica e turistica del Lido di Venezia (con M. Calandra, C. Dall'Olio, L. Piccinato, A. Galliussi, A. Giurgola, P. Marabotto, E. Tedeschi). 1946-1947. Concorso per il Piano regolatore generale del Comune di Enna (con N. Cutrufelli). 1947. Concorso per la sistemazione della Fiera di Messina (con N. Cutrufelli, G. De Cola). 1947. Dispensario antitubercolare (con P. Marino) a Messina. 1948-1949. Piano di ricostruzione dell'abitato di Patti (ME). 1948-1949. Concorso case per i dipendenti comunali di Riposto (CT). Soluzione A (progetto vincitore) e Soluzione B (con I. Giordano Calandra, ingg. G. De Cola ed E. Mazzullo). 1949. Padiglione del turismo alla X Fiera di Messina (con l'ing. E. Mazzullo). 1949. Nucleo residenziale e case lavoratori Escal a Pace del Mela (ME) (con I. Giordano). 1949. Concorso progetti-tipo case per lavoratori della Regione Siciliana, Messina (con l'ing. Tullio Russo). 1949. Piano di Ricostruzione dell’abitato di Rosello (CH). 1949. Palazzo del turismo di Messina (con I. Giordano, V. Pantano, N. Cutrufelli, G. De Cola, E. Mazzullo). 1950. Piano di ricostruzione del Comune di Enna, Enna (con R. Calandra e N. Cutrufelli). 1950. Albergo Niosi. Progetto di trasformazione di uno stabile di civile abitazione nell'albergo "modernissimo" a Patti (ME). 1951. Chiesa parrocchiale di Braidi Montalbano (ME) (con C. Ziino). 1952-1953. Restauro del Palazzo dei Duchi di Santo Stefano a Taormina (ME).

217


1952- 1953. Allestimento Mostra del turismo alla XIV Fiera di Messina (con S. Radiconcini). 1953. Allestimento Mostra Antonello da Messina e pittura siciliana del '400 a Messina (con C. Scarpa). 1953. Quartiere IACP in contrada Villa Lina a Messina (con N. Cutrufelli e F. Girlanda). 1953- 1954. Ufficio informazioni turistiche per l'Ente per il turismo a Taormina (ME). 1953- 1958. Restauro ed utilizzazione ad antiquarium della Badia Vecchia di Taormina (ME) (con A. Barone). 1953- 1959 Progetto di piccolo caffè di proprietà Rizzo, Messina. 1954. Sistemazione turistica del complesso monumentale del castello di Lombardia, Enna (con M. Calandra). 1954. Concorso Palazzo della Regione Siciliana, Palermo (con P. Ajroldi, I. Arcara, A. Bonafede, P. F. Borghese, M. Calandra, E. Caracciolo, E. Mazzullo, G. Pirrone). 1954-

1965.

Cooperativa

Mongibello

I-II,

Messina

(con

A.

Barone).

1955. Concorso per il Piano regolatore generale di Vittoria, Ragusa (con N. Cutrufelli). 1955- 1957. Quartiere di case per lavoratori Ina-casa 2° settennio, Messina (con I. Giordano, N. Cutrufelli, G. De Cola, A. Barone, A. D'Amore). 1956- 1957. Borgo Ulivia nucleo residenziale sperimentale del Comitato edilizio produttività, Palermo (con G. Samonà [capogruppo], A. Bonafede, R. Calandra, E. Caracciolo). 1956- 1957. Piano di ricostruzione del Comune di Sciacca (AG). 1956- 1959. Palazzo comunale di Pace del Mela (ME) (inaugurato il 25 Aprile 1960). 1957- 1963. Progetto per l'autodromo intorno al lago di Pergusa (EN) (con la collaborazione degli ingg. S. Campolino del Comune e G. D. Cammarata del Genio civile). 1957- 1958. Concorso per il Piano regolatore generale di S. Agata di Militello (ME) (con A. Bonafede, S. Prescia, S. Teresi). 1957- 1959. Progetto per la zona industriale di Enna, Enna (con gli ingg. S. Campolino e G. D.Cammarata). 218


1957- 1961. Quartiere di espansione e case popolari in contrada S. Anna, Enna (con ingg. N. Cutrufelli e G. D. Cammarata). 1959- 1960. Quartiere autosufficiente C.E.P.in contrada Contesse, Messina (con G. Samonà, A. Barone, N. Cutrufelli, A. D'Amore, G. De Cola, I. Giordano, A. Maimone, N. Vicari). 1960. Concorso Piano regolatore generale di Messina, Messina (con G. Samonà [capogruppo], A. Bonafede, N. Cutrufelli, G. De Cola, A. Samonà). 1961- 1964. Progetto per il Palazzo di città di Enna. 1962. Piano regolatore Generale del comune di Adrano (CT). 1962. Quartiere di case lavoratori Ina-casa-Inps in contrada S.Filippo a Messina (con N. Cutrufelli, A. D'Amore, G. De Cola, I. Giordano). 1962. Concorso nazionale Piano regolatore generale del Comune di Milazzo. (ME) (con G. Samonà, A. Bonafede, N. Cutrufelli, G. De Cola, D. Riolo, A. Samonà, N. Vicari). 1963. Piano regolatore generale del Comune di Villa S. Giovanni (RC) (con G. Samonà, capogruppo, A.Bonafede, N. Cutrufelli, G. De Cola, A. Samonà). 1963. Complesso residenziale Villa Luce, Società immobiliare Cofi Roma (Bosurgi), Messina. 1963. Progetto per il Nucleo Tirreno di industrializzazione della provincia di Messina (con G. Samonà, A. Bonafede, A. D'amore, G. De Cola, A. Marotta, G. Merlino, G. Pantano, S. Ruberto, A. Samonà) 1963- 1966. Programma di fabbricazione del Comune di Enna (con Sismiconsult). 1965. Edilizia economica e popolare a Borgo Ulivia "2", Palermo (con A. Bonafede e Mazzacurati). 1965- 1966. Piano per l'edilizia economica e popolare del comune di Agrigento (con A. Bonafede e D. Rubino). 1966. Istituto Giovanni XXIII dei Padri Camilliani a Riposto (CT). 1966. Ospedale Maggiore di Modica, Ragusa 1966- 1967. Ospedale psichiatrico "L. Mandalari", ampliamento e nuova sede in contrada Papardo a Messina (con M. Autore, N. Cutrufelli, G. De Cola, N. Vicari, A. D'Amore).

219


1966- 1967. Nuovo quartiere funzionale ed autosufficiente in contrada Villa Seta, piano generale, Agrigento (con A. Bonafede, A. D'Amore, M. Ghio, N. Vicari). 1966- 1971. Piano di sviluppo generale e Piano regolatore generale intercomunale dei comuni di Licata e Palma di Montechiaro (AG). 1966. Piano territoriale di consolidamento del comprensorio turistico della provincia di Messina (con Sismiconsult). 1966. Piano per l'Edilizia economica e popolare del comune di Enna. 1966. Programma di fabbricazione del comune di Agrigento. 1967. Piano regolatore generale del comune di Cefal첫 (PA). 1967-1968. Complesso parrocchiale S. Pio X, Messina. 1968. Progetto per un edificio La Rinascente in via Roma, Palermo (con Sismiconsult che realizza il progetto definitivo) 1968- 1969. Piano urbanistico del comprensorio n째 9, Sicilia, province di Messina e Palermo (con A. Bonafede, F. P. Amoroso, N. Colajanni, N. Vicari). 1970. Progetto e direzione dei lavori della scuola media "Juvarra", Messina (con N. Cutrufelli) 1969. Regolamento edilizio con annesso Piano di Fabbricazione del comune di Lipari (ME). 1969. Piano regolatore generale del comune di S. Agata di Militello (ME) (con A. Bonafede, G. Brancatelli, N. Vicari). 1969. Istituto tecnico commerciale di Bagheria (PA). 1970- 1971. Villaggio turistico alberghiero nel comune di Terme Vigliatore (ME). 1970- 1978. Teatro "Vittorio Emanuele" a Messina. 1970. Alloggi per terremotati a S. Stefano di Camastra (ME) (con N. Vicari). 1970. Istituto di neuropsichiatria infantile, Messina (con N. Cutrufelli, A. D'Amore, G. De Cola, N. Vicari). 1972- 1975. Regolamento edilizio e Programma di fabbricazione del comune di Capo d'Orlando (ME). 1972. Piano particolareggiato del comune di Santo Stefano di Camastra (ME) (con V. Giorgio e N. Vicari). 1972. Programma di fabbricazione con annesso Regolamento edilizio del comune di Brolo (ME) (con B. Busacca). 1972. Piano regolatore generale del comune di Augusta (SR). 220


1972- 1973. Piano regolatore generale del comune di Brolo, Messina (con M. La Scalia). 1972- 1973. Sala conferenze nella ex- Sala Borsa, Messina. 1973. Complesso alberghiero Bellavista nel comune di Savoca , Messina (con F. Lombardo). 1973. Boccone del Povero sede via Cusmano, Palermo. 1973. Piano delle zone del comune di Capo d'Orlando (ME). 1973- 1997. Restauro Palazzo Chiaramonte (Steri) a Palermo (con C. Filangeri, N. Vicari e la consulenza di Carlo Scarpa). 1974. Complesso alberghiero a Zafferana Etnea (CT), ditta Leotta, Catania (con F. Lombardo). 1974. Residenze Trio in contrada Rodia, Messina. 1974- 1976. Nuovo museo nazionale di Messina (con C. Scarpa). 1974- 1977. Prg 1977 del comune di Adrano, Catania. 1975. Casa Leotta a Zafferana Etnea (CT) (con F. Lombardo) 1975- 1979. Restauro e sistemazione del castello Luna a Sciacca (AG), realizzati parzialmente (con R. La Franca, G. Gangemi). 1975- 1991. Parziale ricostruzione e ristrutturazione Istituto Regina Margherita, Palermo (con N. Vicari e C. Filangeri). 1975. Edilizia residenziale pubblica I.A.C.P. a Villabate (PA) (con A. Bonafede, N. Vicari, B. Colajanni, G. Pirrone, S. Incorpora). 1975. Residenze universitarie in piazza Marina a Palermo (con M. Giuffrè, C. Filangeri, G. Naselli). 1977. Intervento di restauro nel Duomo di Cefalù (PA) (progettisti: M. Asso, R. Calandra; associati: M. Giuffrè, p. Culotta, C. Filangeri). 1977. Regolamento edilizio con annesso Piano di fabbricazione e Piano per l'edilizia economica e popolare del comune di Licata (AG) (con A. Bonafede e A. Cangemi). 1978- 1980. Regolamento edilizio con annesso Piano di fabbricazione del comune di Portopalo di Capo Passero (SR) (con F. Lombardo). 1981. Piano per l'edilizia economica e popolare e Piano delle zone del comune di Enna, n° 5 comprensori (con A. Sposito).

221


1986- 1990. Piano regolatore generale con Piano particolareggiato esecutivo decennale del comune di Santo Stefano di Camastra (ME) (con V. Giorgio e N. Vicari). 1987-1999. Sale Duca di Montalto, ripristino e sistemazione dei reperti archeologici del sottosuolo, Palermo (collaborazione per le strutture A. Rizzo e G. Beccali per gli impianti speciali). 1988- 1989. Sacrario nel camposanto di S. Spirito, Palermo (con C. Leto, M. Santangelo) 1993. Complesso residenziale d'Ateneo in piazza Marina a Palermo. Progetto generale di restauro (associato D. Ciriminna).

222


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Carlo Scarpa, schizzi di assonometria per lo studio del supporto per il Trittico del Mabuse, Fondo Carlo Scarpa, Galleria interdisciplinare regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis, Palermo, n. 118 r.

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Carlo Scarpa, edificio “La Rinascente” a Catania: studi per pianta e veduta assonometrica, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI, inv. 045738.

Carlo Scarpa, studi planimetrici e funzionali per l’edificio “La Rinascente”, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI, inv. 045732.

Carlo Scarpa, schizzi progettuali per l’edificio “La Rinascente” a Catania, con sezione e studio delle caratteristiche volumetriche dell’edificio, Centro Carlo Scarpa presso Archivio di Stato di Treviso, Fondazione MAXXI, inv. 045745.

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