Pagine 2-3 Interviste Ruggero Pazzaglini Salottobuono
WAVe — Workshop Architettura Venezia
Pagine 4-5
Pagina 6
Interviste agli studenti Kelly, Assadi Salottobuono, Secchi
anno IV
numero 8
WS Andriani Fotogramma, Territorio Una lezione di Silvia Massotti.
giovedì 8 luglio 2010
Pagina 7 Scienza dell’architettura Costruisci il Tubolario delle affermazioni apodittiche
Quotidiano dell’Università Iuav di Venezia
Marcos de Azevedo Acayaba vs Felipe Assadi
Il principio della creatività
Deck house | Assadi-Pulido
Le difficoltà linguistiche diventano un ostacolo superabile quando gli argomenti hanno uno spessore significativo: l’incontro di martedì 6 luglio ne è la lampante dimostrazione.Due architetti: Marcos Acayaba, brasiliano e Felipe Assadi, cileno, si trovano a dialogare – in italiano – sul ruolo della creatività nel percorso progettuale, tema molto sentito all’interno di una facoltà di Architettura. “Il problema è la soluzione”: con questo ossimoro Assadi riassumerà il proprio approccio al progetto, raggiungendo un punto d’incontro con Acayaba. Quest’ultimo inizia a dipanare la matassa presentando un suo progetto realizzato a San Paolo: la residenza Hélio Olga. L’edificio si colloca in un terreno con una pendenza del 100% sviluppandosi in direzione normale alle curve di livello, con una struttura prefabbricata costituita da venti moduli quadrati e simmetrici. Era una sfida per mettere
alla prova le possibilità costruttive del legno in siti orograficamente molto complessi. Acayaba individua nello studio della struttura esposta, di forte impatto simbolico, la genesi del suo approccio progettuale. Opera una sistematica ricerca di soluzioni strutturali alternative a quelle consolidate, tentando di smuovere l’inerzia della cultura architettonica. L’architetto brasiliano rende partecipe l’uditorio della fede che ha nel processo cosmico, spazio-temporale. Dalla più piccola particella di materia all’universo nella sua totalità è presente lo spirito. Spetta a noi uomini, oltre alla comprensione di questa totalità, il dovere di essere responsabili nel mantenere la sua armonia e contribuire all’elevazione dello spirito, attraverso l’azione e il lavoro. All’interno di questo processo il peso dell’idea generatrice vale solamente il 5%, il resto deriva da un percorso culturale che prendendo spunto da grandi architetture
come riferimenti arriva a produrre qualcosa di nuovo. La parola passa ad Assadi, il quale fa emergere questioni più legate alla pratica, affermando che l’architetto non è solamente coinvolto in un processo di pura creatività. Infatti “ogni incarico si riferisce a una domanda specifica”. È sempre il committente che propone uno spunto progettuale, avanza una richiesta precisa alla quale il professionista deve trovare una soluzione. Propone l’idea che la riuscita di un buon progetto derivi in gran parte dal pensiero del cliente. Attraverso l’illustrazione di alcuni edifici realizzati dal suo studio il relatore cileno mostra come la natura possa offrire uno spunto progettuale che l’architetto deve essere in grado di razionalizzare. La soluzione ultima è la conseguenza di una serie di atti concatenati ed è quindi sostanzialmente ovvio che si approdi a figurazioni plastiche sempre nuove. Nel progetto per la casa Bahìa Azul, ad esempio, l’edificio segue la stessa conformazione topologica, adagiandosi su due colline lungo una linea diagonale mentre le finestre entrano in rapporto visivo con la linea dell’orizzonte. Il Big Viu Hotel, collocato nei pressi di una vigna, assume una forma che scaturisce da suggestioni percepite “in loco”; un esempio per tutti: i triangoli che risultano dalla reciproca posizione di traliccio e tirante. Acayaba interviene sottolineando come il procedimento del collega sia un processo e non un metodo. Infatti se fosse un metodo non permetterebbe di arrivare a una dimensione plastica continuamente nuova, trovando un equilibrio ottimale tra funzione ed estetica. Fa notare inoltre quanto sia interessante il processo di Assadi e Pulido che parte da una manifestazione naturale e approda a una relazione corretta con il luogo, testimoniata dall’accorta composizione degli spazi intermedi tra interno ed esterno degli edifici. Conclude, riferendosi alla
questione della creatività che deve partorire una forma, con quello che potrebbe essere uno slogan: “La semplicità è più difficile”, frase che si rapporta dialetticamente con quanto sostenuto dall’altro relatore. Entrambi gli interlocutori si affidano a riferimenti di natura diversa che fungono da guida nella strategia progettuale, ricordando che il principio della creatività non ha nulla a che vedere con la forma, la quale va ripetutamente verificata in tutte le sue implicazioni. —ELISA CANTERI —GIORDANO COVA
Casa Olga, San Paulo, 1990 | Marcos Acayaba
2 Intervista a Marcello Pazzaglini
L’Umanesimo della Ferrari WAVe Sappiamo che il suo Workshop prevede il progetto di tre edifici a Roma: una residenza per studenti, un centro scientifico, un museo per la Ferrari. Da che cosa nasce l’idea del tema? MP Il tema, in realtà, è progettare su Via Giulia, importante asse storico. È la prima via di carattere rinascimentale costruita a Roma, da Giulio II. Ha subito moltissime vicissitudini e oggi reca le tracce di tutte le architetture che si sono succedute dal Cinquecento in poi, come Palazzo Farnese e San Giovanni dei Fiorentini. Il tracciato è sempre rimasto incompiuto; nel tempo si sono sovrapposte anche le varianti dei vari piani regolatori di Roma. Inoltre sono intervenuti gli sventramenti e il disegno di nuovi tracciati viari, tra cui Corso Vittorio. La cosa che mi ha sempre interessato è riuscire a capire come l’architettura contemporanea possa intervenire in questi spazi. Il più importante è la testata di via Giulia, dove verrà localizzato il progetto delle residenze per studenti, in modo che diventi uno spazio pubblico pedonale. Le “facciate abitate” costituiranno il terminale di via Giulia e dovranno instaurare una relazione con uno dei bracci del piccolo Tridente il cui punto di mira è ponte Sant’Angelo. Quest’asse laterale si collega direttamente a San Giovanni dei Fiorentini. Tutti e tre gli edifici, inoltre, devono rispondere alla strategia della sostenibilità, all’uso di fonti energetiche rinnovabili. Si rende quindi necessario affrontare la questione fondamentale: com’è possibile realizzare un intervento sostenibile nel tessuto urbano di Roma, uno dei più grandi centri storici del mondo? È un tema aperto e sarà una bella sfida per i ragazzi. WAVe Il tema più singolare sembra essere il museo dedicato alla Ferrari... MP Una possibilità di intervento nel centro
Marcello Pazzaglini
Noi, come gruppo Metamorph, abbiamo cercato di rinnovare o citare alcune opere dei grandi maestri dell’architettura contemporanea, come Le Corbusier. In realtà, un intervento che vorrei realizzare è la trasformazione di un paesaggio, che sia caratterizzata da intime connessioni tra la scala architettonica e quella del landscape. storico consiste nel collocare oggetti che esprimano la contemporaneità. Uno di questi potrebbe riguardare il concetto di velocità e la sua massima espressione, a mio parere, è proprio la Ferrari! Si genera un elemento di rottura del tessuto storico. L’idea mi è venuta osservando lo show-room Renault sugli Champs-Élysées, a Parigi. La Ferrari è un prodotto per pochi: tuttavia, se venisse costruita una sorta di museo visitabile da tutti, si potrebbe prevedere un’accessibilità destinata a un pubblico più vasto. Potrei essere accusato di progettare delle architetture non popolari, ma questo concetto non mi ha mai convinto. Ho vissuto gli anni della contestazione in cui si tenevano discussioni piuttosto accanite al riguardo. WAVe Come hanno reagito gli studenti al tema proposto? MP Gli studenti sembrano stimolati soprattutto dalla questione della sostenibilità. Li abbiamo divisi in tre grandi gruppi per costruire il plastico del contesto. Il progetto vero e proprio sarà poi realizzato da micro-gruppi, formati al massimo da quattro persone. WAVe Quale architettura del passato o della contemporaneità avrebbe voluto costruire? MP Non esiste un progetto che io avrei voluto costruire. Noi, come gruppo Metamorph, abbiamo cercato di rinnovare o citare alcune opere dei grandi maestri dell’architettura contemporanea, come Le Corbusier. In realtà, un intervento che vorrei realizzare è la trasformazione di un paesaggio, che sia caratterizzata da intime connessioni tra la scala architettonica e quella del landscape. WAVe Che riferimenti propone ai suoi studenti? MP Ho mostrato una serie di esempi di architetture bioclimatiche per ragionare sulla capacità di selezionare i materiali in relazione al processo compositivo. Ho cercato di trasmettere l’importanza di non ridurre il problema della sostenibilità a una questione puramente tecnologica, prestazionale. Alla base c’è la necessità di ragionare su un diverso rapporto tra uomo, architettura e natura, inteso come un ritorno a una sorta di nuovo Umanesimo. —MARCO LUDOVICO —CATERINA VIGNADUZZO
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numero 8 | giovedì 08 luglio 2010
Intervista a Salottobuono
Cinque parole per un unico archivio di architetture
Salottobuono
WAVe All’interno del vostro Workshop vengono sviluppati i cinque temi affrontati da Superstudio (Vita, Educazione, Cerimonia, Amore, Morte) dai quali vorreste ricavare un archivio di architetture. Da cosa nasce l’idea di lavorare in direzione opposta a quanto solitamente avviene? SB Nel caso del Workshop l’archivio è solamente un passaggio, una possibilità per arrivare a un progetto finale. Si ha a disposizione un archivio di architetture, patrimonio universale, che possono essere manipolate e interpretate. Sicuramente questa abitudine si è sviluppata lavorando per «Abitare» perché è lì che abbiamo iniziato a capire che ci interessava il progetto non tanto in quanto atto autoriale ma come patrimonio dal quale attingere e come dispositivo, ossia come insieme di atti non solamente architettonici ma che fanno riferimento a tutto ciò che circonda
il momento progettuale e quindi i pensieri, le tecniche costruttive, le leggi e le normative. WAVe Nel vostro programma parlate di “Architettura Radicale”, un movimento nato dal tentativo di portare l’impegno politico all’interno dell’architettura per cercare di liberarla dalle rigidità istituzionali rendendola partecipe dei problemi sociali. Secondo voi adesso quali sono i problemi dei quali l’architettura dovrebbe occuparsi? SB Questo è proprio il tema del Workshop: è una sfida che lanciamo agli studenti ma anche a noi stessi e che non sapremo che esiti avrà. Proviamo a riprendere un tema che è stato abbandonato quarant’anni fa cercando di attualizzarlo. Sicuramente le condizioni sono cambiate moltissimo visto che all’epoca ci si trovava nel pieno di un’ondata di contestazione alimentata dal desiderio di liberarsi da una serie di
stereotipi. Oggi forse siamo in una situazione diametralmente opposta, caratterizzata da uno stato di apatia estrema; proprio per questo ci sembra utile rispolverare questi atteggiamenti di sfida e di presa di posizione per cercare di aiutare gli studenti, già dal secondo e terzo anno di studi, a maturare una coscienza propria, se non politica almeno ideale, con la quale poi possano affrontare i temi dell’architettura. WAVe L’anno scorso il tema del Workshop era “Architetture per cerimonie sconosciute” e anche quest’anno ritorna il tema della cerimonia… che ruolo ha per voi il rito nell’architettura? SB Ci stiamo rendendo conto che l’architettura contemporanea ha per lungo tempo risposto prettamente a problemi prestazionali (come ripararsi dalla pioggia, climatizzare un ambiente…) tralasciando la relazione tra spazio architettonico e rito, inteso non solo nell’ambito religioso ma anche nel vissuto di ogni giorno. Proprio considerando la relazione che sussiste tra rito e quotidianità si possono trovare grandi spunti di progettazione. WAVe È il rito che influenza l’architettura o viceversa? SB Per rispondere a questa domanda è utile partire proprio da un progetto di Superstudio: una superficie totale organizzata secondo una griglia di infrastrutture attraverso le quali posso accedere a tutti i servizi di cui ho bisogno. Qui gli elementi strutturali dell’architettura divengono totalmente inutili, l’unica necessità è quella di doversi agganciare a dei luoghi e, in questo caso, non esistono più le città come comunemente le intendiamo; esistono solamente le persone che si spostano da un punto A a un punto B e raggruppandosi costituiscono paesi, città, metropoli. Quindi sono proprio le presenze fisiche che costituiscono lo spazio architettonico. Potremmo fare un altro esempio riferendoci alla sede storica dell’Iuav. Un tempo era il chiostro di un convento, adesso ha cambiato completamente funzione: lo spazio quindi è mutato in relazione ai riti che vi vengono svolti. —ELISA CANTERI—STEFANIA MANGINI
Sotto: “Dreaming Milano” (2009), un progetto per il riuso di sette grandi scali ferroviari abbandonati attorno alla cintura metropolitana di Milano (con YellowOffice)
LE MAPPE DEI MIEI SOGNI Reif Larsen, Mondadori, Milano 2010 «Fin da quando avevo scarabocchiato quella mappa sulla possibilità di stringere la mano a Dio, avevo imparato che la rappresentazione non deve essere confusa con la realtà, ma anche che, in un certo senso, lo scarto è ciò che rende le rappresentazioni così significative: la distanza tra una mappa e il territorio che descrive ci lascia lo spazio per respirare e capire in quale punto ci troviamo». TS Spivet ha dodici anni, vive in una fattoria nel Montana e da quando ha memoria disegna mappe. Per dare un senso alla realtà che lo circonda (la paradossale ricerca entomologica in cui è impegnata la madre, il cliché del padre cowboy, la perdita del fratello). È un libro intelligente, coraggioso a partire dalla formaracconto, intessuto com’è di disegni, diagrammi, schemi che dovrebbero aiutare a ridurre l’intera vita a evento misurabile. Ed è anche un’epica Avventura. ΩMB
Manual of Decolonization – DEPARCELLING Manual of Decolonization – nella forma di un manuale di istruzioni per l’uso – raccoglie una serie di strategie di trasformazione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, nell’ipotesi in cui essi vengano dismessi dalla funzione militare che ora li caratterizza. Il libro indaga, alla scala del dettaglio architettonico, possibili scenari di conversione delle strutture esistenti per accogliere nuovi usi collettivi.
4 Gli studenti del WS Assadi/Pulido
La Zona WAVe Avete scelto voi questo Workshop? Conoscevate già i docenti? S1 Era la mia seconda scelta. Nonostante non conoscessi i docenti il tema mi attirava comunque molto. S2 Ho scelto io di venire qui. Avevo indicato questo Workshop come prima preferenza, ma non risultavo assegnata a questo laboratorio. Felipe Assadi e Francisca Pulido mi hanno accettata, e ne sono stata felice. S3 Anche io non ero stata assegnata a questo corso, ma poiché mi interessava molto ho fatto il possibile per essere presa. WAVe Che impressione vi siete fatta di questo Workshop? Gli studi degli anni passati vi aiutano ad affrontare il tema proposto? S1 È un’esperienza diversa. Questo è il mio terzo Workshop. Ha un’impronta più teatrale che architettonica, è una sorta di esercizio di arti visive. Ogni laboratorio ha le sue difficoltà e questo lo sto affrontando con uno spirito diverso rispetto agli anni precedenti. Sono sicuramente più completo nella mia formazione, e questo mi aiuta ad affrontare le varie tematiche. S2 Io personalmente mi aspettavo di più. Secondo me ha poco a che fare con l’architettura, è molto concettuale. Essendo il terzo Workshop cui partecipo so come muovermi, e visto che al termine avrò solo l’idoneità sono più sereno. S3 Questo è il mio primo Workshop, non mi aspettavo fosse così. Le ore da passare qui sono moltissime, ed essendo pendolare arrivo a casa tutte le sere alle 21.00. Nonostante questo preferisco il Workshop intensivo rispetto a un corso di progettazione tradizionale: dedicandosi solo a una materia ci si riesce a concentrare meglio.
Le conoscenze che ho acquisito in questo anno di università riesco a metterle in pratica, e mi sono molto utili. S4 Per me questo Workshop è più facile rispetto all’anno scorso: allora ho dovuto veramente lavorare moltissimo. La cosa positiva è che il laboratorio era focalizzato sulla disciplina dell’urbanistica e questo mi ha aiutato durante il corso “tradizionale” che ho seguito durante l’anno, rispetto ad altri che non avevano avuto l’occasione di partecipare al mio stesso
laboratorio. Quest’anno trovo il tema molto stimolante, per nulla canonico. Secondo me seguire corsi con docenti stranieri è un’ottima opportunità. WAVe Cosa ci potete dire delle conferenze? Le seguite? S1 So che si tengono, ma andremo solo a quella in cui sarà presente Assadi [martedì 6 luglio, ndr]. Il tempo non manca, ma molte volte i relatori si dilungano troppo e l’interesse cala. Nonostante questo penso siano sicuramente molto utili: c’è
comunque sempre molto da imparare. S2 Quest’anno non ci vado: sono stanco, ho ancora diversi esami da sostenere e non so come organizzarmi, è una sovrapposizione di impegni difficile da gestire. È un po’ il problema del terzo anno, quando rimangono gli ultimi esami da fare. Contando che basta l’idoneità non mi sforzo troppo. S3 Io finisco di lavorare in aula alle 19.00: non ho il tempo materiale di seguire le conferenze. —VALENTINA VOLPATO —GIORDANO COVA
Gli studenti del WS Kelly
Latitudine 42/46 sud. Progettare il territorio del Chubut WAVe Rispetto agli anni passati come stai vivendo l’esperienza del Workshop? Hai avuto difficoltà nell’avvicinarvi a una realtà lontana come quella Argentina? S1 Ritengo sia un’esperienza molto positiva rispetto a quella dell’anno passato, che è stata piuttosto deprimente a causa di molti fattori, tra cui l’atteggiamento della docenza. Quest’anno è totalmente diverso: Federico Kelly ha stabilito passo dopo passo il programma e noi lavoriamo a ritmi molto serrati, ma con ottimi risultati. S2 Quest’anno è la prima volta che partecipo a un Workshop e trovo interessante la possibilità di lavorare in maniera intensiva, con revisioni quotidiane. Mi piace l’approccio che i docenti hanno nei nostri confronti, molto meno accademico rispetto a quello cui siamo abituati. È stimolante il contesto in cui stiamo lavorando, così diverso dall’Italia; la principale difficoltà di questo laboratorio sta nel fatto che, essendo abituati ad avere un lotto specifico come area di progetto, risulta più difficile lavorare in un grandissimo territorio. S3 Diversamente dagli altri, questo Workshop è organizzato a tappe e le scadenze giornaliere sono ben definite; questo è un sistema molto comodo perché non siamo costretti a portarci il lavoro a casa, soprattutto durante il fine settimana. S4 Sono al terzo anno e sono molto contenta della mia scelta, i docenti sono entusiasti e il programma delle tre settimane mi sembra interessante. Ci hanno
fatto iniziare da un’idea molto astratta e non era del tutto chiaro quali risultati si aspettassero; adesso hanno definito le date delle consegne e hanno così dato un ritmo e un ordine al nostro lavoro. S5 Il tema di quest’anno è molto diverso da quello del Workshop dell’edizione precedente che trattava di urbanistica; questo è concentrato maggiormente sui dispositivi architettonici. Anche la metodologia di lavoro è diversa da quella che ho riscontrato nei corsi progettuali all’Iuav; infatti ci fanno produrre tanto materiale in poco tempo perché si basano soprattutto sull’intuizione. Per seguire lo stato di avanzamento dei progetti hanno fatto aprire a ciascun gruppo un Blog, interamente auto-gestito, in cui si possono esporre idee e progetti in maniera immediata a tutti gli altri studenti e ai professori. WAVe Partecipi alle conferenze? S1 Le ritengo molto interessanti perché sono l’unica possibilità che abbiamo di conoscere alcuni progetti direttamente dalla voce di chi li ha pensati; può essere uno strumento utile per capire realmente il lavoro dell’architetto. S3 Sono andato solo a quella del mio professore, mentre gli anni precedenti non ho mai avuto tempo di partecipare. S4 Purtroppo sono riuscita ad andare solo a quella tenuta da Federico Kelly perché, a causa dei ritmi serrati, siamo tra gli ultimi ad uscire dalle aule e tra i primi ad arrivare la mattina. S5 Ho partecipato al dibattito tra Philippe
Rahm e il mio docente e l’ho trovato molto interessante, sfortunatamente non sono riuscita ad andare a quella in cui parlava Bernardo Secchi a cui tenevo, ma il tempo è poco e le scadenze sono quasi giornaliere. WAVe Leggi il giornale? Hai dei suggerimenti? S3 Il giornale lo prendo tutti i giorni perché
mi interessano le interviste; a casa ho anche la collezione degli anni passati. S4 Lo leggo sempre anche se è difficile da trovare perché a differenza degli altri anni non c’è nessuno che lo porta in aula ma dobbiamo andarlo a cercare nelle portinerie, dove non sempre si trova. —MARIA BECCARIA —ELISA CANTERI
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numero 8 | giovedì 08 luglio 2010
Gli studenti del WS Salottobuono
L’unica architettura sarà la nostra vita WAVe Siete informati dell’esistenza delle conferenze? S1 Siamo tenuti a seguire tutte le lezioni che vengono tenute nella nostra aula, e sono molte. Alcune sono stimolanti, altre un po’ troppo impegnative e lunghe. Non sapevo delle conferenze che si tengono a S. Marta, ma non avrei comunque tempo per seguirle. S2 Io ho trovato molto interessante la lezione che Flavio Albanese ha tenuto nella nostra aula qualche giorno fa. Si intitolava “Amore, architettura e pornografia”. È stata coinvolgente, ha parlato dell’amore in modo non scontato. Hanno partecipato anche molti dei suoi studenti e mi è sembrato fosse presente anche qualcuno che aveva seguito il suo Workshop dell’anno scorso. WAVe I docenti sono molto giovani. Com’è il rapporto con loro? S1 Fin dall’inizio hanno premesso che il Workshop sarebbe stato diverso dagli altri. Il prodotto finale non è un progetto; mirano piuttosto al confronto di idee, al dialogo. C’è un rapporto praticamente alla pari, la soggezione quasi scompare. L’aspetto negativo è che alle volte dei miei colleghi, poco rispettosi, non si rivolgono a loro in modo adeguato o li sottovalutano. S2 Io trovo gratificante il fatto che ci seguano con attenzione. Quando esponiamo le nostre idee prendono appunti, si interessano a fondo a quello che diciamo. S3 Sì, in base a quello che noi proponiamo viene fatta una scelta. È interessante il modo in cui operano perché non prendono decisioni al nostro posto, ma cercano sempre di confrontarsi con noi e capire qual è la nostra opinione. WAVe Il gruppo che avete formato è composto da studenti di anni diversi. Come vi trovate a lavorare?
S2 Io sono del primo anno. Lavorare con colleghi più grandi non è facile, tendono un po’ a metterti i piedi in testa. S3 Quando si lavora in gruppo alle volte è difficile confrontarsi, non sempre tutti sono disposti al dialogo. Io sono iscritto al secondo anno, e vedo che i ragazzi che stanno affrontando il loro primo Workshop sono molto attivi. Mi piace lavorare con loro. WAVe Cosa ne pensate degli esami che si accavallano al Workshop? S1 Io li ho finiti tutti a parte Storia dell’architettura, ma ho deciso di sostenerlo a settembre per evitare che coincidesse con il Workshop. Il problema di fondo è che gli studenti del terzo anno devono consegnare entro luglio il Portfolio. Non avendo il problema del voto al termine del laboratorio, si concentrano molto di più sulla laurea imminente che sul Workshop. S3 Per me non è un problema, riesco a conciliare revisioni ed esami. Dipende però dal tipo di prova che devi affrontare. Sicuramente preparare un esame di storia dell’architettura è impensabile dovendo restare in aula tutto il giorno per portare avanti il lavoro. WAVe Come era già successo in un’altra intervista gli studenti esprimono la loro opinione sulla sede dei Magazzini Ligabue… S1 Secondo noi la sede dei Magazzini non è adeguata a ospitare un Workshop. Manca un bar dove si possa pranzare, siamo sempre costretti a spostarci. I distributori automatici al piano terra molte volte sono fuori servizio. Inoltre i servizi igienici – peraltro firmati – sono molto piccoli, e per le ragazze assolutamente scomodi. —VALENTINA VOLPATO —MARCO LUDOVICO
Gli studenti del WS Secchi
Attraversare le scale: progetti per la città diffusa
WAVe Il nostro Preside si è appena pronunciato con una lettera aperta indirizzata agli studenti nel tentativo di “smuoverli” dalle aule in cui spesso si rinchiudono, ignorando le offerte culturali che si susseguono in questi giorni, come le conferenze, ad esempio. S1 Vogliamo parlare del dibattito “Il principio dell’astrazione” che si è svolto tra Bernardo Secchi e Franco Purini? Era tutt’altro che semplice! Hanno iniziato a parlare tra loro di argomenti complessi, come due vecchi amici che si fanno delle confidenze. S2 Io non penso sia un problema legato ai Workshop: durante l’anno si svolgono incontri (debitamente pubblicizzati tramite locandine e avvisi sul sito) promossi dalla Scuola di Dottorato, tuttavia non abbiamo mai visto partecipare che qualche studente del triennio. S3 Non possiamo meravigliarci di questo “assenteismo”. Si fa già fatica a trovare il tempo per girare tra le aule, dare un’occhiata a cosa stanno facendo gli altri,
discutere di come vanno i corsi...non è semplice mollare tutto alle cinque e andare in Auditorium. WAVe Possiamo pensare che si tratti di un problema di “formula”, ovvero: ritenete si possa trovare una modalità di svolgimento del dibattito (su questioni che tra l’altro ci riguardano molto da vicino) che sia maggiormente capace di attrarre gli studenti? S1 Mi viene in mente un docente dei Workshop dell’anno scorso, Francis Kéré: era incredibilmente coinvolgente, parlava con un’energia tale da tenere gli studenti incollati alle sedie, eppure era in cattedra come tanti altri, che invece hanno grandi difficoltà a comunicare. S2 ... ad un certo punto ricordo che si è alzato e ha mimato una danza popolare, battendo ritmicamente i piedi in terra! WAVe Con quale spirito vi siete avvicinati a questi Workshop? S4 Personalmente io non faccio mai calcoli, per cercare magari il laboratorio in cui si lavora meno: leggo i temi e scelgo
unicamente in base al mio interesse. S2 C’è chi sceglie in base al desiderio di voler fare un’esperienza particolare, come per esempio seguire un laboratorio nel quale ci sia un tema fortemente legato alla manualità, e chi invece è indeciso e non sa dove andare. Ci sono trenta laboratori diversi, io ritengo ci sia modo di trovare quello giusto a patto di scegliere con criterio, per evitare poi di lamentarsi o di rimanere delusi! S3 Io invece mi meraviglio che un’università come l’Iuav, unica in Italia a offrire l’esperienza dei Workshop estivi,
non ritenga opportuno permettere agli studenti di poter vivere la propria giornata senza interruzioni. Se le sedi rimanessero aperte fino a mezzanotte [come invece accade solo gli ultimi tre giorni, ndr] credo che il “problema conferenze” non si porrebbe, si potrebbero organizzare molto meglio i tempi, ci sarebbe il modo per andare a seguire i dibattiti, mangiare e poi con calma tornare a lavorare dopo cena. Di sicuro anche le relazioni umane e il tempo passato insieme ne guadagnerebbero in qualità. — GIAN PAOLO GUACCI
6 Fotogramma, Territorio
Una lezione di Silvia Massotti al WS Andriani
Silvia Massotti ©
Il viaggio, la fotografia e la "Land-Art". Inquadrare un luogo significa determinare una peculiare visione del paesaggio, costruire un ordine stabilito, appropriarsi di un tempo che può diventare, esso stesso, figura del peregrinare. Durante la giornata di martedì 6 luglio si è tenuto, nell'ambito del Workshop diretto da Carmen Andriani, un intervento da parte di Silvia Massotti, originaria di Milano ma che vive e lavora come fotografa a Roma. Capo-redattore dal 1976 al 1982 al fianco di Bruno Zevi per la collana “Comunicare l’architettura” è un’attenta osservatrice della città. Ne percorre liberamente gli spazi con lo scopo di fermarne dei tratti, degli ambiti che permettano al dettaglio colto di assumere un valore altro, quasi sospeso dal tempo. Questa lezione si proponeva come
un’introduzione sui rapporti tra il viaggio, la fotografia e la Land-Art. Il viaggio è un tema affascinante che, attraverso la ricerca del suo significato, da sempre incuriosisce le persone che si prestano a compierlo. Non si può tuttavia introdurre il tema del viaggio senza parlare anche di geografia. Il viaggio è scoperta, rivelazione, si compie per conoscere. Il viaggio ci lascia, anche in modo inconscio, nuove mappe come quella di Fra’ Mauro (1459) orientata con il Sud posto in alto, alla maniera araba. Il viaggio, infatti, mettendoci a confronto con altre culture ci può spingere a rivedere la nostra idea di geografia e ampliando i nostri confini farci capire, come già avvenuto in passato, che non rivestiamo il ruolo di centro del mondo, che non esiste un unico punto di vista, che se vogliamo capire ciò che vediamo forse dobbiamo spostarci un po’ più in là. Alla fine della strada davanti a noi. Non ci resta altro che la fatica (o il piacere) di percorrerla. Durante il nostro viaggiare, inevitabilmente, saremmo colpiti dalla grande
varietà di paesaggi che ci si porranno d'innanzi. Già nel termine stesso vi è il riferimento all’unico modo noto, nelle epoche passate, per tramandare, nel tempo del nostro andare, queste immagini: attraverso la pittura del paesaggio. Nel Seicento assistiamo al momento d’oro di quest’arte. Ad esempio, nella Fuga in Egitto di Claude Lorrain possiamo notare come i piani scenici siano ben definiti; nella Sera con nuvole di Caspar David Friedrich (1824) notiamo come s’inizino a porre questioni fondamentali anche per la fotografia. Circa quindici anni dopo è ufficialmente presentata al pubblico la fotografia, che riproduce la realtà in modo infinitamente più dettagliato rispetto a quanto possa fare la pittura, arte che inizia a domandarsi perché continuare a produrre immagini che la nuova tecnica permette di ottenere rapidamente e con un grado di accuratezza superiore. Nascono, anche in conseguenza di ciò, correnti come l’Impressionismo. Non c’è più interesse nei confronti del dettaglio. Silvia Massotti ci ricorda come non si Silvia Massotti © ©
UN LIBRO TEKENIKA Giuliano Giongo, Raetia, Bolzano 1992 Il meranese Giuliano Giongo, privo di qualsiasi equipaggiamento di sicurezza, senza mezzi di supporto e in barba alle autorità cilene, salpa da Punta Arenas a bordo di un peschereccio male in arnese alla volta di Capo Horn. Una volta liberatosi dell’ultimo contatto con la civiltà, l’esploratore si ritrova in completa solitudine al cospetto di luoghi il cui nome farebbe impallidire i più esperti marinai: Canale di Beagle, Ushuaia, Terra del Fuoco. Da un viaggio nel deserto (anche se d’acqua) a volte non si torna. La scelta di Giongo, al termine del suo peregrinare solitario, è profondamente coerente col suo spirito: lontano dai riflettori, fa perdere ogni traccia di sé. — G.P. GUACCI
possa parlare di fotografia senza iniziare l’indagine dall’arte figurativa. Da allora in poi i viaggiatori iniziano a cimentarsi con la fotografia, scoprendovi un’importantissima proprietà: la foto ci permette di “guardare dopo” e questo è fondamentale. Vedere è pratica comune, guardare è un atto specifico. La foto è ciò che noi vogliamo guardare, non vedere. Scattando si determina una visione del paesaggio. Guardando attraverso il mirino dobbiamo costruirci lo spazio e per fare questo cerchiamo un punto di appoggio, o in alternativa creiamo delle direttrici che, come accade nella piana di Nazca, separano e allo stesso tempo collegano. Non si scatta a caso, ogni foto ha in sé un ordine, deciso attraverso il mirino. Inoltre la foto ci permette di ragionare su un altro concetto; quello del tempo. Ogni foto ne contiene di due tipi: un primo intrinseco (un “click”, di fatto un istante senza valore) e quello che l’immagine coglie. È questo tempo che è importante, perché lo scatto ferma l’oggetto e ne condensa in sé il tempo. La foto diventa l’immagine finale, che è in grado di trasportare il soggetto nel tempo e in un altro spazio, prendendo vita autonoma. Vale anche, e in maniera più drammatica, quando il soggetto dell’immagine è la persona. Tutto è letto attraverso il filtro delle nostre conoscenze. Il valore di un paesaggio è dato dalla cultura che hanno maturato i popoli che lo vivono e lo vedono. In quest’ambito si sviluppa la Land-Art, che va a definire degli accentratori di visuale, o “totem”, che non sono eventi. È attorno ad essi che accade l’evento. Su queste emergenze la natura cuce l’intorno. Il “totem” non è necessariamente un oggetto: può essere il cielo, o l’acqua. Elemento quest’ultimo molto particolare; è infatti un moltiplicatore e un mezzo. L’acqua “porta” a qualcosa, a seconda di com’è usata può dare il senso di distanza o gerarchizzare. Questo nostro viaggio ci riporta infine al tema del Workshop, il deserto. Considerato da molti come l’assoluto vuoto, è in realtà una mancanza di pieno. È in ogni caso superficie terrestre, spazio, che ci colpisce poiché la mente umana reagisce al contrasto. Il deserto non è solo geografico, è una mancanza di qualcosa, un’improvvisa frattura del tessuto urbano nel territorio. Ricordiamoci che non occorre essere persi tra le sabbie per essere soli. —STEFANO TONIATO Silvia Massotti © ©
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numero 8 | giovedì 08 luglio 2010
Scienza dell’architettura
La costruzione del Tubolario
Vi servono: 1 tubo di cartone di un rotolo di carta per cucina, le 7 fascette, 5 elastici, colla stick, un cutter, 2 dischi di cartoncino, una matita.
«L’architettura è un’interfaccia. Non da oggi, è sempre stato così». Questa, l’avrete notato, è l’ora delle affermazioni apodittiche, è l’ora in cui i dubbi e le perplessità lascino il posto a qualche certezza. WAVe, che fondamentalmente è un quotidiano che si occupa di linguistica strutturalista con un occhio di riguardo verso la progettazione, ha riesumato uno strumento utilissimo e ingiustamente dimenticato (il Tubolario) con il quale costruire affermazioni incontrovertibili. Le potrete utilizzare a sostegno dei vostri progetti davanti al docente del Workshop cui siete iscritti, o in ogni occasione in cui sia necessario fare valere un’opinione, non necessariamente coincidente con la vostra ma utile alla causa. Seguite le semplici istruzioni e in pochi minuti avrete a disposizione un’arma finale per porre termine a ogni diatriba.
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Istruzioni: 1. Dividete il tubo in 7 parti uguali e segnatele con la matita. 2. Disegnate e ritagliate le 7 fascette con i testi. 3. Incollatene le linguette in modo da ottenere 7 anelli con la parte scritta rivolta verso l’esterno. 4. Incollate uno dei dischi a un’estremità del tubo di cartone.
5. Infilate l’anello n. 1, infilate l’elastico. 6. Infilate l’anello n. 2, il secondo elastico e così via. Terminate le fascette e gli elastici incollate l’altro disco di cartoncino alla seconda estremità del tubo. 7. Ruotate le fascette ad arte: otterrete frasi di senso compiuto di rara portata oggettuale. Buon divertimento.
L’architettura spiegata al popolo® Il popolo non capisce nulla di architettura e si fa costruire case imbarazzanti dai colori accesi e dalle forme improbabili, ma non è colpa sua. Nessuno ha mai spiegato l’architettura al popolo. Prima d’ora. Se tu, popolo, ti senti inadeguato a capire l’architettura (e lo sei), corri in edicola! Ti aspetta il primo numero de L’architettura spiegata al popolo®, una pubblicazione finalmente chiara e riccamente illustrata che ti guiderà dagli abissi dell’ignoranza
compositiva alle vette della conoscenza tipo-morfologica. Perché dorico, ionico e corinzio non vanno più? E il tuscanico? Era il figlio della serva? Perché per costruire un edificio si parla di morfema, piegatura, scaling, layer, diagramma, topologia? E che cosa vogliono dire tutti questi paroloni? Perché è moralmente disdicevole desiderare
una casa tonda come quella dei Barbapapà? A queste e altre domande risponde L’architettura spiegata al popolo®. E con il numero 1 la videocassetta: “BaubauHaus: quei matti al tavolo da disegno, storia breve e divertente della progettazione nella Germania di Weimar”. L’architettura spiegata al popolo®, e ne saprai più di loro. ΩMB
Università Iuav di Venezia
APPUNTAMENTI Workshop The sublime Vertigo Flavio Albanese 8 luglio Aula O1 Anna Ferrino Tecnologie e materiali per vivere la montagna e affrontare la sfida degli elementi
9 luglio, ore 10 Aula O1 Vitaliano Trevisan Contraffazione semantica, manipolazione dei significati e azioni di de-offuscamento della visione
Giovedì 08 luglio 2010 WAVe — Workshop Architettura Venezia numero 8 Supplemento a Iuav- giornale dell'Università Registro stampa n. 1391 Tribunale di Venezia ISSN 2038-6257 Responsabili scientifici Enrico Camplani Massimiliano Ciammaichella Marina Montuori
Workshop Latitudine 42/46 Sud Federico Kelly 8 luglio, ore 14 Aula 1.1/1.3 Ignasi Pérez Arnal Lezione aperta Workshop Attraversare le scale: progetti per la città diffusa Bernardo Secchi 8 luglio, ore 14.30 Aula 2.3 Stefano Munarin Tracce di città, dieci anni dopo
Direttore redazione testi e immagini Massimiliano Botti Direttore blog/ multimedia Massimiliano Ciammaichella Direttore redazione grafica Elisa Pasqual Tutor Ketty Brocca Laboratorio interfacoltà Far/Fda Nell’ambito dei workshop estivi a.a. 2009-10 Far/ Fda_Iuav Redazione testi e immagini studenti Far-clasa Eleonora Canetti Elisa Canteri Giordano Cova Andrea Gambardella Gian Paolo Guacci Marco Ludovico Stefania Mangini Stefano Toniato Caterina Vignaduzzo Valentina Volpato Redazione grafica studentiFda-clasvem Alessandro Arena (p 8) Matteo Bisinella (p 4-5) Arianna Cremona (p 2-3) Xiao Mei Hu (p 1) Anna Polon (p 6) Giordano Zanotto (p 7) Redazione web video studenti Far-clasa/Fda Carlo Albertini Maria Beccaria Luca Pastore
FOTO DI CARLO ALBERTINI
online http://farworkshop. wordpress.com email laboratorio10@iuav.edu Progetto grafico Elisa Pasqual con la consulenza di Enrico Camplani Coordinamento generale Esther Giani
ATELIER COTONIFICIO SANTA MARTA
MAGAZZINI LIGABUE-EDIFICIO 6
Piano terra
Piano terra
A1 Maurizio/ Tatano A2 Chun/Longhi B Bocchi/Campinos Poças C Purini/Thermes D Mazzoleni E Cecchetto F Maffioletti/ Lenoci G Pierantoni I Lovero
0.1-0.3 Guedes 0.2-0.4 Morpurgo/ Mastinu 0.5-0.7 Laner 0.8-0.10 Assadi/ Pulido
Piano primo L1 Tagliabue L2 Okada M1 Acayaba M2 Croset N1 Pazzaglini N2 Deganello O1 Albanese O2 Flores/Prats
Piano primo 1.1-1.3 Kelly 1.2-1.4 Longo 1.5-1.6 Redazioni WAVe e Blog 1.7-1.9 Dal Fabbro 1.8 Rahm Piano secondo 2.2 Salottobuono 2.3 Secchi 2.4 Torricelli 2.5 Andriani
CALENDARIO 29/06-08/07 Auditorium Cotonificio ore 16.30
Errata corrige:
Nel testo di Massimiliano Ciammaichella Collecting Connecting :: 4, per un errore, gli studenti del claDEM sono stati indicati come “veneziani”. In realtà, com’è noto, il corso di laurea si tiene a Treviso e gli studenti provengono da tutta Italia e dall’estero. Ce ne rammarichiamo e ci scusiamo con gli interessati. ΩRED
8 appuntamenti che contrappongono in una dialettica particolarmente vivace docenti dei Workshop. 8 incontri aperti al pubblico, oltre che ai 1800 studenti dei WS10, che indagano gli orientamenti dell’architettura. 8 Luglio Vitruvius Mozambicanus Pancho Guedes