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ROSA MOREA DI VENTO E DI TEMPESTE Prefazione di Alberto Mirabella
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In copertina acquerello di Pino Oliva “Di vento e di tempeste” - 2018 Prima edizione - 2018 Copyright © 2018 · NAJADE EDIZIONI · Tutti i diritti riservati. CODICE ISBN - XXXXXXX Finito di stampare presso printered.it nel mese di agosto 2018 Tutto ció che é riportato nel libro DI VENTO E DI TEMPESTE, documentazione, contenuti, testi, immagini, il logo, il lavoro artistico, immagine in copertina e la grafica sono di proprietá dell'autore e sono protetti dal diritto d´autore nonché dal diritto di proprietà intellettuale. Sarà quindi assolutamente vietato copiare, appropriarsi, ridistribuire, riprodurre qualsiasi frase, contento o immagine presente su di questo libro perché frutto del lavoro e dell´intelletto dell'autore stesso. É vietata la copia e la riproduzione dei contenuti e immagini in qualsiasi forma. É vietata la redistribuzione e la pubblicazione dei contenuti e immagini non autorizzata espressamente dall'autore.
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Ci sono luoghi dove il vento non sarà mai tempesta ...è lÏ che voglio andare
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Ai miei genitori e a mia figlia che, in tempi e modi diversi, mi hanno dato la vita
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PREFAZIONE “est deus in nobis, agitante calescimus illo”. P. Ovidii Nasonis, Fastorum Liber sextus C’è in noi un dio: quando ci sommuove, via via ci riscaldiamo.
Prima di addentrami nell’analisi dell’antologia di liriche Di vento e di tempeste di Rosa Morea intendo soffermarmi propedeuticamente sul valore della poesia e sulle sue finalità. Per Valerio Magrelli: “Sembra davvero che la lirica stia tornando ad essere letta e diffusa. Magari anche perché, nell’era della comunicazione veloce, riesce a trasmettere emozioni. Occorre rifiutare l’equivoco che si tratti di una forma elitaria di espressione. Tanto vale arrendersi all’ evidenza: rispetto all’ ampio e ricco mondo delle lettere, la poesia cova nascosta, silenziosa, come una forza segreta e insurrezionale. È un contagio gioioso, sotterraneo, ciclicamente pronto a riemergere improvviso”. Ma qual è il valore essenziale della poesia. La poesia è stata spesso diversamente apprezzata. D’Alembert così asseriva: “La poesia, è tale quando ci fa sentire qualcosa”. Al contrario, Mallarmé, al quale veniva chiesto: “Maestro, piangi nei tuoi versi?”. Rispondeva di no. Così da una poesia inutile a una poesia venerata, molte arti poetiche ci hanno mostrato come i loro autori concepivano il valore essenziale della poesia. Dal poeta Orazio, la poesia è stata spesso considerata come un quadro (ut pictura poesis - Orazio, A. Pisone, 361), una rappresentazione bella della natura. La sua missione è di fornire il pittoresco. La poesia più bella è un’opera con alti colori, pittura di genere vera. La poesia potrebbe non essere 9
altro che un’arte della rappresentazione, dal momento in cui ci sarebbero temi più poetici di altri come l’amore, la natura, il destino, la morte. La poesia è uno strumento d’azione o di conoscenza? Altri hanno portato la poesia sul versante dell’azione: volevano attraverso la forma poetica suscitare entusiasmo o indignazione dei loro contemporanei. La poesia [...] ha nessun altro scopo che sé stessa. Come siamo lontani da questa dichiarazione di Jean Giono (1895-1970): “Il poeta deve essere un professore di esperienza. A questa sola condizione, ha il suo posto al fianco di uomini che lavorano e ha diritto al pane e il vino”. Da ciò deriva quell’ atteggiamento di vedere nel poeta una guida, un pensatore, il Mosè de Vigny, un mago investito della missione divina dei suoi contemporanei per distillare le verità eterne. In questa avventura, la poesia diventerà uno strumento di conoscenza, un modo per entrare nel mistero sacro del tempio. Il poeta viene poi preso dalla vertigine davanti all’insondabile abisso di Ce que dit la bouche d’ombre come Hugo. Passa “le porte di corno e avorio” esplorando sistematicamente il suo sogno come il Nerval delle Filles du feu. Vuole intravedere “lo splendore che si trova dietro la tomba”, come Baudelaire, portare alcune braci di questo fuoco indicibile e divino come Rimbaud che esclamava: “Io sostengo che bisogna essere un veggente, farsi veggente - il poeta si fa veggente per un disturbo lungo, immenso e ragionato di tutti i sensi.” Questa avventura prometeica è una saison en enfer; il poeta spesso affonda nella follia o in stupore silenzioso dopo aver creato pagine vibranti, incredibili, una vera e propria “opera favolosa” secondo le parole proprie di Rimbaud. La poesia è dunque un accordo tra il mondo e la sensibilità di un poeta, come affermava Henri Lemaître: “L’essenza della poesia [...] è forse il sentimento continuo di segrete corrispondenze, sia tra gli oggetti dei nostri diversi sensi, forme, colori, suoni e profumi, sia tra i fenomeni dell’universo fisico e quelli 10
del mondo morale, o ancora tra gli aspetti della natura e delle funzioni dell’umanità”. E per finire: se la poesia è dramma, dramma dell’esistenza di un uomo, il suo segreto è dunque la sua capacità di far rinascere la morte come vita nella parola; la sua speranza lo strappare al fondo ambiguo dell’oblio e della memoria una luce, la sola che non s’offusca mai una volta conquistata. Nell’itinerario di Rosa Morea possiamo individuare sette momenti esistenziali fondamentali: l’amore, i desideri, le dimenticanze e i ricordi, l’attesa, i luoghi, i viaggi e i sogni, le solitudini e gli addii. Si tratta di un diario poetico estremamente coerente con frequenti spunti autobiografici visti con occhi malinconici e con un forte rimpianto. Il linguaggio è ovunque levigato, scorrevole, aperto a tutte le suggestioni della parola-nota verleniana, con effetti di lenta e misurata musicalità. Sostanzialmente è un tipo di poesia intimistica dove il senso di smarrimento e di delusione per un AMORE finito non sfocia giammai in una imprecazione, e né c’è un gemito troppo scoperto di dolore. Ogni fremito di passione, ogni impulso d’affetto, di desiderio, di volontà, ogni moto interiore, tutto ricade nella sfera di una sofferenza tanto profonda quanto riservata, non sollevata da una rassegnazione che non è pacificazione dello spirito ma fiera accettazione della dolorosa e ineluttabile avventura della vita. La silloge si apre con i versi Amore ostinato in cui c’è la forte presenza di un amore ormai lontano/infranto, ma che è sempre presente ostinatamente per mezzo di “tante piccole cose abbandonate / dietro una porta socchiusa”. Poteva mai mancare in questa raccolta il tema dell’AMORE? Certamente no! Esso ha sempre ispirato tanti poeti sin dall’antichità e con Dante asseriamo: Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, Amor, ch’a nullo amato amar perdona (v. 100 - v. 103). Un amore terminato dà adito a tanti pensieri, l’amore spezzato 11
provoca una tranquilla rassegnazione ed una solitudine cristallizzata. Secondo Marina Cvetaeva, “l’amore odia i poeti” che hanno troppo gusto per l’anima e il desiderio inconsolabile per la perfetta fusione di corpi e anime. “L’amore vive nelle parole e muore nei fatti”, scrisse a Rilke il 22 agosto 1926. E Steiger, dieci anni dopo: “Voglio sapere con te solo una cosa che non si può chiamare un sogno a occhi aperti, no, mi piacerebbe entrare con te in un sogno e vivere lì”. Ogni amore è profondamente e appassionatamente unico. Bellissimi i versi che chiudono questa parte dedicata all’amore: Ti verrò a cercare e che in appena quattro versi Morea ci fa intravedere il dramma di un amore al tramonto e la scelta della stagione autunnale ci fa osservare questo inesorabile declino: E ti verrò a cercare / in un sogno di viali rossi / d’autunno / e cioccolato amaro. L’amore è il fulcro della nostra grama vita terrena e sin dai lirici greci troviamo la vis amoris ovvero la forza dell’amore come ci dimostra Anacreonte in questi versi: Ancora Eros m’ha colpito / con un gran maglio, / come un fabbro, / e mi ha temprato tuffandomi / in una fiumana invernale. In Il prezzo dei desideri si avverte con immediatezza il senso di solitudine reso più forte dagli elementi atmosferici quali la pioggia gelida, che mentre lucida le panchine, finisce per annerire l’asfalto. E un interrogativo complesso viene posto per chiedersi: Quanto daresti di te per soddisfarne uno / uno soltanto / quello che ti tiene sveglia di notte / divora i tuoi anni / risucchia energie / azzera progetti? Un amore che macera il proprio animo ma che travalica ogni angoscia e che pur con termini molto forti auspica un ritorno passionale. In Sarò per te i versi fanno adombrare e/o auspicare il travalicamento del pathos (πάθος) e il ritorno dell’amore: sarò mandorlo fiorito nel tuo petto / Rami di biancospino sul cuore / petali candidi 12
striati del tuo sangue […] Goccia calda di caffè amaro / miele tradito / e mai dimenticato. Nei versi a cui si è accennato ed in quelli che seguono come in Tela di ragno, Un giorno di vento, lo smarrimento si agita nei suoi antri di oscurità, senza una imprecazione, senza una maledizione, senza un gemito troppo scoperto di dolore; ogni fremito di passione, ogni impulso d’affetto, di desiderio, di volontà, ogni moto interiore, tutto ricade nella sfera di una sofferenza tanto profonda quanto riservata e quasi pudica di se stessa, non sollevata da una rassegnazione che non è pacificazione dello spirito ma fiera accettazione della dolorosa e ineluttabile avventura della vita. In Un giorno di vento si accenna con accenti aulici a questo elemento della Natura perché possa spazzare via nebbie stagnanti / scampoli di amore riesumati / e cocciute nostalgie. Con extrema ratio si chiede al vento e alla sua forza di poter allontanare l’onda degli onnipresenti ricordi che finiscono per far tornare costantemente antichi pensieri bagnati di pianto. A questo punto è importante rilevare come un così intenso tumulto riesca a controllarsi, come la poesia di Rosa Morea sa sottrarsi al rischio di risolversi nel mero stato d’animo. In Dimenticanze e ricordi il dolore viene rappresentato senza alcuna edulcorazione o compiacimento; ed infatti le parole e le figure allegoriche rappresentate subito ci pongono di fronte ad un dolore incommensurabile: Era uno stagno il mio dolore / fermo, putrido / a rinsecchire il cuore ad ogni battito e poi/ Ho trasformato in fiume il mio dolore / per farmi attraversare / e ripulire il fondo / Portare luce sulle pietre rare / il sangue e i pensieri ossigenare. Si vuole affidare al dolore una funzione catartica, purificatrice di modo che possano essere annullati i maligni pensieri frequenti che ne sono la causa. Ma tutto risulta vano! A tal punto ci appare opportuno chiederci: 13
la poesia nasce sempre dal dolore provato dal poeta o può avere altre fonti creatrici ispiratrici? La sofferenza è necessaria al poeta per scrivere i suoi poemi? É indispensabile per un autore esprimere la propria sofferenza fisica o morale nei suoi scritti? In realtà il dolore e il mal di vivere del poeta possono essere essenziali alla scrittura. Si tratta in effetti di una fonte d’ispirazione innegabile. Spesso i poeti esprimono le loro pene soprattutto d’amore negli scritti che sono a volte di carattere autobiografico. La poesia è uno sfogo che consente al poeta di liberarsi dal dolore. Rivedere foto di momenti di felicità passata provocano un rigurgito di nostalgia / Arriva in gola / acido / e scioglie distanze/ che cosa triste rivedere quei momenti in cui / Siamo così ancora / abbracciati / eternamente giovani / Tu che mi tieni stretta / io che mi aggrappo a te. Queste nostalgie vengono ritenute inutili in Vecchio refrain e i rimpianti sono assurdi. In l’Attesa si sente forte la presenza dell’impotenza a reagire di fronte ad una futile attesa, del resto non sai fuggire / nemmeno vuoi. Il dolore riappare e con la sua forza ti mette di fronte ad una nuda ed impietosa realtà: Paghi il pedaggio e l’attraversi / muta / coi pugni stretti / a berti tutto il dolore che ti costa / attendere / in una casa vuota / dagli orologi rotti / Non sai neppure cosa. Pure gli orologi rotti stanno a significare che il tempo si è fermato inesorabilmente. Ed allora con Alfred de Musset possiamo asserire “L’Homme est un apprenti, la douleur est son maître, Et nul ne se connait tant qu’il n’a pas souffert. La souffrance est donc un thème poétique universel.” L’uomo è un apprendista, il dolore è il suo padrone e nessuno conosce veramente se stesso fino a quando non ha sofferto. La sofferenza è quindi un tema poetico universale. 14
Nell’Attesa visto che è diventata vana ci si reca altrove ad aspettare, fino a dimenticare; nei sogni la presenza dell’amato si avverte, ma al risveglio torna in bocca il sale / la sete eterna che mi dà / aspettare. E l’AMORE in Finestre viene visto anche per l’eros che da esso emerge ma che purtroppo è puro pensiero senza corpo. E come risulta coerente l’accostamento con Penelope che tesse con speranza la tela, ma questa Penelope dal cuore assetato / beve illusioni. / Non ha clessidra / non ha uno specchio / Crono impietoso / le ha già imbiancato i capelli. Che pessimismo emerge da questi versi! Nella sezione Luoghi e più esattamente in Cancelli traspaiono tout court le difficoltà insormontabili ed infatti abbiamo Varchi angusti da scavalcare / con animo ardito / quando hai smarrito le chiavi. In Case di pietra vari elementi ci raffigurano un quadro fosco perché vi sono stanze vuote e bello ci appare l’ossimoro Echi di silenzi. In La verità nel bianco siamo di fronte a versi delicati in cui la neve viene rappresentata in modo piacevole e lo sguardo torna fanciullo ed ecco il miracolo: per un attimo Tutto sembra lontano / anche le angosce. / Nel bianco / riflette in ogni dove / perfetta e silenziosa / la verità. I versi in Via dei gerani li potremmo definire ottativi, cioè un desiderio o auspicio da potersi avverare. La Morea si chiede E ci sarà una via / di chianche lisce e bianche / da camminare piano / sotto la pioggia che fa scivolare / rivoli d’acqua e passi traballanti. Commovente la citazione del pane caldo che profuma il forno / e risa di bambini da ascoltare. / Sì, ci sarà una via / illuminata pure in piena notte / Da camminare / senza alcun timore / coi cani che ti scortano felici / mentre leggero continuo ad avanzare. Di fronte al senso di tristezza, angoscia, dolore che abbiamo 15
visto aleggiare nei versi precedenti qui abbiamo un raggio di sole che squarcia le tenebre, quasi lux in tenebris, che consente all’Autrice di riscattarsi dal cupo pessimismo e saper intravedere nuove vie. In Solitudini e addii ritorna la negatività (Di giorni e di vuoti) e la natura circostante rafforza questo sentimento, infatti certi giorni sono come campi brulli / lande gelate / senza un filo d’erba […] Cerco, distesa / il cuore della terra / senza trovarne il battito. La stanza degli addii ci offre una descrizione impietosa ma realistica: resta una parte di noi / nelle stanze degli addii / Vaga in eterno / tra le pareti nude / ferite di buchi senza chiodi / su quadri che non ci sono più. I ricordi nei versi di Rosa Morea sono numerosi, costituiscono il filo rosso e rivestono un doppio ruolo, sono la materia narrativa primaria della silloge che crea così la sua tensione descrittiva. Ma l’acme dell’atroce dolore si avverte in Solitudine quando la poetessa ci fa intravedere la Donna schiava della solitudine / Bella e fredda / Porcellana nascosta / nella teca di un crudele antiquario. Nelle varie liriche della sezione Viaggi e sogni emerge la disillusione e la chiara visione di una realtà negativa. Ed infatti in Ti porto la luna leggiamo nella chiosa finale A te si arriva stanchi / senza sete / senza fame / senza voce / Portando in dono / la luna. La lirica che completa la sezione s’intitola Sogni maligni e anche qui si appalesa un quadro totalmente negativo Sogni di notti insonni / senza stelle / Occhi spalancati / Finestre aperte su strade buie / Passi incerti su lastre di cera / Biglietto di sola andata / per un gelido inferno. Si resta esterrefatti di fronte a tanta negatività e se per caso non avesse Lei ragione come i tanti poeti che hanno trattato “Il mal di vivere” come Eugenio Montale o anche Giacomo Leopardi 16
per il quale “l’uomo è una foglia in balìa del vento, non sa nulla, non è nulla, non conosce nulla e solo per uno sciocco orgoglio crede che il mondo sia fatto per lui”! Ed allora i nostri antichi Romani avevano ben capito l’effimera realtà esistenziale e ci invitavano al CARPE DIEM! Questa silloge poetica di Rosa Morea si caratterizza come una poesia d’indagine interiore, fatta di accenti accorati e veritieri. Altro discorso meriterebbero i materiali linguistici adoperati in questa raccolta, ricorrenti per la messa a punto dell’immagine. Morea mostra una particolare disposizione alla poesia di scavo interiore che ci fa recuperare nella poesia l’essenza dell’uomo con tutta la sua quotidiana fragilità. Salerno 26 luglio 2018 Prof. Alberto Mirabella Saggista e Critico d’Arte Università degli Studi di Salerno Scienze della Formazione Primaria
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“Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra col dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. E’ qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia. Attraversarlo, un passo dopo l’altro. Non troverai sole né luna, nessuna direzione, e forse nemmeno il tempo. Soltanto una sabbia bianca, finissima, come fatta di ossa polverizzate, che danza in alto nel cielo. Devi immaginare questa tempesta di sabbia. E naturalmente dovrai attraversarla, quella violenta tempesta di sabbia. E’ una tempesta metafisica e simbolica. Ma per quanto metafisica e simbolica, lacera la carne come mille rasoi. Molte persone verseranno il loro sangue, e anche tu forse verserai il tuo. Sangue caldo e rosso. Che ti macchierà le mani. E’ il tuo sangue, e anche sangue di altri. Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia”. Haruki Murakami – “Kafka sulla spiaggia”
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Non conoscevo questo libro quando ho scelto il titolo della la mia raccolta di poesie. Un pomeriggio d’estate del 2018, quasi senza pensarci e di certo senza ragione, ho fornito a Google le tre parole chiave del mio lavoro: “vento”, “tempesta”, “destino”, e Google mi ha risposto con questa pagina di Murakami, tratta da “Kafka sulla spiaggia”. Da occidentale ho pensato: “Che strana coincidenza!” Murakami mi ha suggerito: “nulla accade per caso, a ciascuno il suo karma”. Ho letto subito questo brano in cui le parole vento e tempesta si ripetono quasi ossessivamente; di più, l’ho bevuto d’un fiato. E come in un film ho rivisto in pochi minuti buona parte della mia vita, fotogramma dopo fotogramma. Gli anni percorsi attraversando ad occhi chiusi tempeste di sabbia, anni in cui sono andata avanti senza sapere veramente cosa stesse accadendo intorno a me e dentro di me. Avanzavo alla cieca e anche il solo rimanere in piedi certi giorni era una fatica enorme, un’impresa eroica. Sono stati gli anni che hanno maggiormente segnato la mia vita, in cui non ho scritto neanche una frase, un pensiero, una parola che non fosse la lista della spesa o qualcosa di strettamente attinente alla mia attività professionale. Completamente assorbita e provata da altro. Vento e sabbia compiono nel tempo l’erosione della dura roccia. Fanno lo stesso con le anime nella tempesta. Le fanno sanguinare, ne cambiano i colori. Uscita dal vento burrascoso di quegli anni non ero più la stessa. Quando ho smesso di sanguinare, pian piano sono riemersi il bisogno e il piacere di scrivere. Dalla lontana e mai sepolta adolescenza è risorto l’amore per la poesia. Rosa Morea
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AMORE
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Amore ostinato In compagnia della tua assenza scopro frammenti di te dimenticati in ogni angolo La casa ne è piena rimpallano dispettosi nella testa s’insinuano nel sangue invadono i pensieri Piccole cose abbandonate dietro una porta socchiusa Ricordi corde d’acciaio colla dolciastra che frena i passi serra le ciglia in sogni confusi sogni impastati di rimpianti e speranze Presenza crudele, la tua assenza Distante, guarda questo amore ostinato e ride Api operose stillano un miele avvelenato in questa vita senza fiori Vorrei ucciderle e non so farlo
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In morte del padre Troppo grande si era fatto il tuo giaciglio e tu bimbo rannicchiato nella neve sei diventato figlio della mia tenerezza nell’ultimo abbraccio terreno Luci gialle di candele al crepuscolo rifuggo Non posso scendere con te questi gradini... Vai via da solo e solo qui mi lasci con un gran nodo in gola da allentare Ma non saranno lacrime a sgorgare per te soltanto petali nell’aria a volteggiare persi dagli occhi stanchi e dalle dita nude Consegno in dono al vento dolci profumi a sera Non sarà incenso per il tuo sudario ma alito di rose vive, rosse e palpitanti Ninfee leggere sul fiume della vita all’ombra di quei salici che abbiamo tanto amato Ti parlerò con un linguaggio nuovo e ascolterò in silenzio il sussurrar del vento a primavera cercando tra le viole la tua voce e finalmente un attimo di pace 23
Inutili ritorni Per certi amori il tempo è circolare curva leggero come il ferro di vecchie ringhiere Curva e s’insinua il tempo come corrente in mare Invisibile ai sensi nei giorni solitari Non sai che c’è ma ti respira accanto mimando il ritmo del tuo stesso petto Non lo senti se non in certi sogni dove il risveglio è un limbo sospeso tra gioia stupida del cuore e rovi aggrovigliati della mente Curva il tempo e certi amori in moto circolare ritornano Ritornano e lì si rompe il cerchio dove tutto è mutato fuori e dentro di te Ritornano e sono solo cenere di un fuoco antico e spento 24
L’amore senza di noi Non ti penso Scorrono i giorni nei soliti gesti rivoli che levigano pietre lentamente Non ci sei tra gli oggetti e gli odori, nei cassetti, nelle stanze Ballo da sola una musica antica Un vinile gira, nero e lucido dolcemente imperfetto Non ci sei Di notte mi svesto distratta lontana da specchi e da sguardi senza abbracci né desideri Non ti aspetto Scivolo lenta in un sonno senza sogni Tranquilla rassegnazione solitudine cristallizzata L’inferno condiviso più non ci tocca L’amore vive senza di noi e non ti cerco e non mi cerchi
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Senza chiedere niente Ho fatto spazio in me per ospitare parte del tuo inverno Sciogliere fiumi di ghiaccio vetri taglienti dentro le tue vene Ho accolto neve e sangue sul mio cuore poi ti ho donato fiori e miele d’arancio per le tue ferite Ho inventato scampoli di primavera solo per te
Ti verrò a cercare E ti verrò a cercare in un sogno di viali rossi d’autunno e cioccolato amaro
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DESIDERI
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Il prezzo dei desideri Vaga lo sguardo febbrile cerco divinazioni nei fondi del caffè Sola al tavolo di un bar, attendo La pioggia gelida lucida panchine annerisce l’asfalto disegna rivoli su ombrelli e ciocche scomposte Attendo Tra le dita rotea la tazza fredda Seguo linee e punti neri macchie che dipanano un codice indecifrabile Desideri insidiosi insetti invisibili trovano varchi nelle narici colonizzano la mente Alzo lo sguardo a fatica incrocio due occhi che mi scrutano Quanto daresti di te per soddisfarne uno uno soltanto quello che ti tiene sveglia di notte divora i tuoi anni, risucchia energie azzera progetti? Gli occhi mi guardano dal vetro muto riflesso senza risposta 28
Il rosa Il rosa è malattia Esplode una mattina all’improvviso e non lo puoi arginare Accorda in un concerto bacche di sicomoro e uccelli fitti roseti e sbuffi di acquerelli Vizia le albe quando il mare è d’oro sfiora gambe e seni a primavera con seta lucida e mussola leggera Il rosa è nota dolce si scioglie sul palato e ne assapori il gusto in un tripudio armonico di fragole e lamponi
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Sarò per te Sarò creatura d’acqua e di sale Alito fresco del mattino Pioggia profumata di zagare a primavera Sarò mandorlo fiorito nel tuo petto Rami di biancospino sul cuore Petali candidi striati dal tuo sangue Sarò il pensiero che ti sorprenderà nell’attimo sospeso vulnerabile incanto del niente e ti s’insinuerà tra le labbra socchiuse Goccia calda di caffè amaro Miele tradito e mai dimenticato
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Tela di ragno Insidie geometriche trappole ridondanti invisibili Fragili fili di seta Riflessi tremuli gocce di pioggia in bilico Agita la mosca il dorso di smeraldo ali inutili zampe impazzite Distante il ragno pregusta il suo pasto
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Un giorno di vento Regalami un giorno di vento di quelli che fanno mulinelli di ogni cosa carte gettate via mozziconi calpestati polvere accumulata negli angoli delle strade e nei cuori tormentati Regalami un giorno di vento di quelli che spazzano via nebbie stagnanti scampoli di amori riesumati e cocciute nostalgie Di quelli che risanano l’aria da morbi e la fanno gorgogliare giÚ per la gola frizzante e inebriante come vino Regalami un giorno di vento coi panni stesi al sole come vele e antichi pensieri bagnati di pianto ad asciugare Con prati mossi come il mare onde verdi da sfiorare a piedi nudi ed una leggerezza che ancora non so avere
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DIMENTICANZE E RICORDI
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Dolore Era uno stagno il mio dolore fermo, putrido a rinsecchire il cuore ad ogni battito Sorda rimescolavo fanghi coi miei respiri ansiosi e sassi sulla riva Nugoli di moscerini neri nei pomeriggi afosi unica vita, unico rumore Ho trasformato in fiume il mio dolore per farmi attraversare e ripulire il fondo Portare luce sulle pietre rare il sangue ed i pensieri ossigenare E son comparsi i fiori insetti iridescenti sorrisi e arditi voli libellule e zanzare
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Si specchiano le nuvole sbuffi di panna e latte morbidi azzurri e placide colline Immergo dita e sogni nel lungo fiume fresco Lo sento andare lo sento respirare saltare scogli e tronchi poi placido fluire Guardo le pieghe i giochi di colore riflessi di raggi tra le foglie Tolgo rifiuti e rami tra flussi gorgoglianti e mulinelli sempre piĂš distanti
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E poi, sorridi! Quando me ne sarò andata non distrarti tra le malinconie che avrò lasciato tra i mobili di casa Dimenticate come le sciarpe nei cassetti ed il profumo nell’armadio Continua a bere appuntamenti e sfide con il caffè di ogni mattina E guarda fuori oltre il giardino e le sconfitte le tue speranze intatte nuovi sentieri e albe mai sognate E poi, sorridi! Sorridi sempre come se ci fossi ancora
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Fotografie Ho un rigurgito di nostalgia Arriva in gola acido e scioglie distanze Fotografie Attimi cristallizzati dilatati in un per sempre inviolabile Siamo così ancora abbracciati eternamente giovani Tu che mi tieni stretta io che mi aggrappo a te A occhi chiusi indovino le linee del tuo viso il ciuffo ribelle che cade sulla fronte l’angolo della bocca impaziente Il naso sfiora il collo vulnerabile lì, dove palpita la vita e ne respiro un po’ mischiata al tuo profumo Fotografie che ingialliranno in una scatola di latta e un giorno come oggi torneranno tra le dita Carte rimescolate da un giocatore occulto che non conosce la parola fine 37
Il vecchio giocoliere Cianfrusaglie chincaglierie di un leggero bagaglio liberano suoni dissonanti ad ogni passo Concerto cacofonico colonna sonora di un’ultima scena Cammina il giocoliere senza voltarsi le spalle curve lo sguardo a terra Annega i pensieri lungo il viale Inciampa Scivola A ogni metro sfida la sua vecchiezza scomposta Ultimo sguardo tremulo sorriso triste Foglie autunnali Tappeti caldi ai bordi della strada ..o coriandoli rossi e gialli nella nebbia
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Vecchio refrain A volte l’aria mi attraversa e s’insinua nei vuoti interiori Vuoti amorfi e mutevoli scavati nel tempo goccia a goccia da inutili nostalgie assurdi rimpianti e malinconie agrodolci Vuoti pesanti che si dilatano falsano il tempo amplificano ricordi Il disco gira sulle stesse note di un vecchio refrain consunto Una voce che non mi riconosco segue il motivo canta in sordina Voce graffiata da sabbia e rancore sbaglia parole note per ribaltarne il senso
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L’ATTESA
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All’ombra dei tigli Distesa all’ombra dei tigli sfoglio il tuo silenzio come petali di rose E spingo forte nella carne le sue spine Senza fiatare senza sanguinare Ho imparato il potere del silenzio e del dolore vasi comunicanti nella nostra vita Circola caldo il veleno dietro gli occhi asciutti mentre aspiro forte il profumo dei gelsomini a maggio Quanta stanchezza sento nelle ossa! Saranno cento anni che son qui o forse piÚ A maneggiar silenzi come rose ad infilzarmi il petto con le spine Nuda per sempre di ogni leggerezza
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Attendere Respiri bolle di aria densa Come gelatina trasparente si deforma e t’invade Riempie cavità Ingoia desideri asfittici agonizzanti forse morti Uccelli imbalsamati dagli occhi di vetro La trappola dorata ti guarda Specchio di stagno tremulo ti attrae Non sai fuggire nemmeno vuoi Paghi il pedaggio e l’attraversi muta coi pugni stretti a berti tutto il dolore che ti costa attendere in una casa vuota dagli orologi rotti Non sai neppure cosa
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Attesa E me ne sono andata ad aspettare altrove Ed ho aspettato ovunque negli occhi della gente che ho incontrato nei fondi del caffè davanti al mare Ed ho aspettato a lungo fino a dimenticarti Ma non nei sogni dove ancora vivi mi chiami ritorni e chiudi cerchi apri finestre di albe nuove e mescoli il tuo odore con il mio Sogni confusi dove tutto è bianco cielo leggero e pagine da scrivere Poi nel risveglio torna in bocca il sale la sete eterna che mi dà aspettare
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Finestre Finestre varchi sui mondi sguardi inquieti sull’anima Occhi bambini inseguono quel che non sanno ancora Occhi di donna scrutano la strada nell’attesa dai contorni indefiniti tra i vapori di un caffè amaro Donna in controluce Sensualità delicata e muta Fulgida bellezza che nessuno ammira Orfana di desiderio carnale Puro pensiero senza corpo Tende i sensi cerca suoni di passi che si avvicinano Sente quelli che vanno e non faranno ritorno Senza guardare per non morire ancora Orbite vuote secche di vento Senza più lacrime Senza speranza
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Penelope Tesse Penelope orditi di speranza trame di nostalgia invisibili intrecci Tela pesante intrisa di piombo fuso colato dal tempo Attesa Vita sospesa Sedia vuota inutilmente illuminata Brilla la polvere fluttuante a mezz’aria Penelope dal cuore assetato beve illusioni Non ha clessidra non ha uno specchio Crono impietoso le ha già imbiancato i capelli
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LUOGHI
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Cancelli Ricami, merletti Sbarre arrugginite tra mondi che si spiano e tutto sanno l’uno dell’altro Confini fioriti ornati da edere e rimpianti Nei cimiteri incontri tra anime Inizio e fine di viali polverosi Passaggi barocchi sofisticate promesse Palesi cambiamenti di passo, di norme di vita Varchi angusti da scavalcare con animo ardito quando hai smarrito le chiavi
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Case di pietra Case di pietra inondate dal sole Affacciate su orizzonti lontani tra azzurro e aspre sterpaglie Stanze vuote Echi di silenzi e risa di bimbi che inseguono una palla ora immobile sbiadita in un angolo incollata al muro da una ragnatela Pareti scrostate disegni di antiche leggende violati dal tempo e da lucertole in cerca di tepore Case di pietra accarezzate dal vento della valle gonfio di odori lontani viola di more e giallo di ginestre
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Eva dopo la tempesta Quando tempesta decide di placarsi lascia tesori per farsi perdonare Ossi di seppia bianchi come neve stelle e conchiglie in cui è racchiuso il mare Sabbia bagnata accoglie il passo lieve e lo conserva in orme da seguire Trova il suo pasto il timido gabbiano che lascia il volo rapito da una triglia Scioglie catene ed ogni sogno vano Eva accarezza ciondoli attorno alla caviglia
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La verità nel bianco Stupore come la prima la volta La neve cambia l’aspetto delle cose Sottrae colori, rumori e ansie rallenta il tempo e i respiri Lo sguardo torna fanciullo Segue la danza di ballerine leggere Accarezza le forme mutate del mondo La coltre candida si distende soffice, placida Un soffio di vento crea mulinelli e montagnole in angoli gelati Nei parchi, tra gli alberi enormi fogli candidi tracciati da piccoli segni Ideogrammi indecifrabili lasciati da arti sottili e piume e becchi affamati di un seme, una briciola Residui di passaggi umani La luce gialla dei lampioni cola oro fuso nella notte senza luna e senza stelle Tutto sembra lontano anche le angosce Nel bianco riflette in ogni dove perfetta e silenziosa la verità 51
Via dei gerani E ci sarà una via di chianche lisce e bianche da camminare piano sotto la pioggia che fa scivolare rivoli d’acqua e passi traballanti Col sole che rimbalza su tutte le vetrate e i tavoli dei bar Col vento fresco di nuove primavere e gli organetti dei musici di strada E ci sarà una via di passi ticchettanti a mezzogiorno e gatti addormentati tra i gerani Col pane caldo che profuma il forno e risa di bambini da ascoltare Sì, ci sarà una via illuminata pure in piena notte Da camminare senza alcun timore coi cani che ti scortano felici mentre leggero continui ad avanzare
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VIAGGI E SOGNI
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Alice sa volare Impara a volare, Alice staccando ogni giorno un pezzetto di cuore e di vita passata Gratta, smussa, taglia frammenti di rancore pesanti come pietre Impara a volare, Alice spiegando esangui ali accartocciate di piume stropicciate come i suoi pensieri Alleggerisce l’anima di piombo asciuga gli occhi e guarda il cielo non piÚ le scarpe contando un passo dietro l’altro sul bordo della strada
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Impara a volare, Alice Trasforma il camminare in danza quasi non tocca terra la sfiora sulle punte e salta, volteggia si libra a mezz’aria Tenera foglia sospesa dal vento Allunga le dita a lambire le stelle La luna è un palloncino e lei ne tiene il filo Ora vola, Alice plana su tetti e fossati A terra lascia le sue croci e i fantasmi della vita Inchiodati
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In viaggio Guarda la vita la sua al di là del vetro di un treno in corsa Tutto scorre senza contorni senza confini Giorni ingoiati dai giorni e notti di strani lampioni distorti, asimmetrici scie gialle e blu zigzaganti sul terreno bagnato Cerca un segno una ragione il momento in cui è caduto il seme dell’errore Spinge lo sguardo in là cerca il bivio la scelta sbagliata il battito della farfalla che ha causato la tempesta
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I ricordi si confondono si sfilacciano sfumano prima di trovare il fuoco cose persone odori lacrime polvere e sangue gioie e disperazione Il caos Il treno rallenta, si ferma Fuori dal finestrino al di lĂ della pioggia al di lĂ dei fantasmi una stazione Uguale a tante altre
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On the road Avanzi vecchio bambino senza etĂ Laceri panni induriti dal gelo la tua corazza Piccoli passi senza eco Avanzi Getti il cuore oltre le curve puntelli speranze Inganni fame e sete con previsioni ardite giochi della mente cantilene inventate ricordi smarriti e ripescati Avanzi arrancando Gambe di legno senza giunture Pesante fardello incollato alla schiena Macigno nel petto Sole e pioggia Giorni e giorni non sai quanti
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E caldo e freddo e tutti i colori sfrangiati della luce ingoiati dal buio Tutto è mutevole anche quel che sembra uguale: i fili d’erba, i ciottoli viscidi, le buche insidiose Precipizi, pendenze e falsipiani già visti e vissuti mai uguali Avanzi vecchio bambino senza età Solo Questo è il tuo viaggio questa è la tua strada
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Sogni maligni Scuoto sogni maligni impigliati tra i capelli Pidocchi ostinati si oppongono al vento alle dita alla volontĂ fiaccata dal tempo Sogni di notti insonni senza stelle Occhi spalancati Finestre aperte su strade buie Passi incerti su lastre di cera Biglietto di sola andata per un gelido inferno
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Ti porto la luna A te si arriva attraversando il silenzio deserto di sale senza parole E inquietudini celate Tempeste senza onde Vortici che ti risucchiano al fondo A te si arriva scalando pareti a mani nude Dita e cuore graffiati ghiacciati di sangue nero rappreso A te si arriva per crepacci insidiosi a schiena curva Con gli occhi a terra brucianti secchi di lacrime e vento A te si arriva stanchi senza sete senza fame senza voce Portando in dono la luna
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SOLITUDINI E ADDII
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Di giorni e di vuoti Ci sono giorni come campi brulli lande gelate senza un filo d’erba Con occhi asciutti appiccicati al cielo mastico nuvole raggi sfuggenti e stracci d’immensità mutevole Cerco, distesa il cuore della terra senza trovarne il battito Sgretolo zolle friabili Sterile polvere dispersa tra le dita Preda del vento corrompe alveoli contorni di ogni cosa e orizzonti lontani
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Le mie solitudini Le incontro ogni mattina nello specchio Piccole arpie silenti mi cambiano la faccia Una si annida nello sguardo stanco un’altra scava rughe ai lati della bocca dove i sorrisi annegano sconfitti Segnano strade sulle tempie diafane isole brune tra le guance esangui Mi guardano beffarde mi sfidano a duello gettano un guanto gelido col ghigno strafottente della vittoria in tasca Lascio che cada e scorra con l’acqua della doccia Mi asciugo lentamente dura come una roccia Fate quel che volete di questo volto mio tanto non perdo mai perchÊ vi ho scelto io
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Le stanze degli addii Resta una parte di noi nelle stanze degli addii Vaga in eterno tra le pareti nude ferite di buchi senza chiodi su quadri che non ci sono piĂš Sfiora muri freddi piagati da crepe antri bui per larve e ricordi ricettacoli di voci odori e ritornelli stonati Frammenti di giorni passati perduti, guastati e mai dimenticati Briciole di pane secco Bambole rotte e pianto Resta la coppa vuota opaca e polverosa che conteneva il fiele bevuto come vino
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Mattini senza risvegli Mattini senza risvegli con sogni cattivi che ti restano addosso e non c’è doccia che li lavi via E ti ritrovi dentro una canzone di note stonate che muoiono in gola E non ti riconosci nello specchio Non hai piÚ la tua pelle Le linee del tuo corpo non sono piÚ le stesse Il tempo ti ha fregato non ti ha concesso sconti Neppure un misero baratto qualche maceria in cambio di dimenticanze E un grammo di perdono per ricominciare
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Mi disfo piano Annaspo in acqua verde Smeraldo liquido caldo, stagnante e infetto Mi disfo piano Carne molle, imbibita sfugge e si nega sotto le dita incredule Sfiorano la fronte triste i capelli sottili Come alghe morte incollate al capo per una strana scommessa non ancora giocata Cerco al mio interno soliditĂ perdute Ossa liquefatte e disperse sconfitte da tenerezze inutili e amori folli senza speranza
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Parole perdute Immobile nella mia ombra inseguo parole perdute Parole non dette fiori mai nati sulla fredda pietra E quelle rabbiose lame taglienti stille di fiele nei giorni piagati Percorro a ritroso solchi tortuosi scavati dai silenzi seccati dal sole d’estate dal gelo d’inverno Mi perdo Le vedo danzare vicine lontane in un paesaggio lunare Allungo una mano e stringo il nulla Mi sfuggono Tutte PiÚ non mi appartengono Eppure sono qui nella mia testa Orchestra assordante senza spartito Muta mi sfinisce anche nei sogni 69
Solitudine Passi Sabbia bagnata Uno, sento ancora il tuo respiro Due, non mi volto Tre, sei più lontano Quattro, non mi rincorri... Lo so e lo sa il mare la tunica leggera non salva la pelle da brividi e sale S’infrange l’onda con il suo canto L’eco è celata nelle conchiglie e tu l’ascolti Sconfitta Donna schiava della tua solitudine Bella e fredda Porcellana nascosta nella teca di un crudele antiquario
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Ringraziamenti Desidero ringraziare tutti coloro che in modi diversi mi hanno aiutato nella stesura di questa opera. Ringrazio: Marta, mia figlia. Faro della mia vita. I miei genitori, sempre presenti. Porto sicuro, conforto e sostegno. Le mie amiche, poche e vere. Rifugio, costruttivo confronto e sana allegria. Il prof. Alberto Mirabella, docente dell’Università di Salerno, che mi ha concesso l’onore di curare la Prefazione. Pino Sozio, amico fin dai tempi della scuola, docente d’Inglese del Liceo “Fermi” di Policoro e musicista. Per l’incoraggiamento e l’aiuto nel difficile momento della selezione. Pino Oliva, illustratore, grafico, fumettista, pittore. Artista materano di grande talento. Sua è l’immagine di copertina. Beniamino Carella e Paolo Falcone, che si sono occupati con competenza e gentilezza della pubblicazione. Calliope, magica mitigatrice di silenzi, tristezza e solitudine. Najade Edizioni che ha pubblicato l’opera. Grazie, infine, a tutti coloro che ho incontrato nel mio cammino. Ciascuno ha lasciato e preso qualcosa determinando cambiamenti, evoluzione del pensiero, crescita umana.
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Indice 9 18
Prefazione Nota dell’autore 47 Luoghi 48 Cancelli 49 Case di pietra 50 Eva dopo la tempesta 51 La verità nel bianco 52 Via dei gerani
21 Amore 22 Amore ostinato 23 In morte del padre 24 Inutili ritorni 25 L’amore senza di noi 26 Senza chiedere niente 26 Ti verrò a cercare
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27 Desideri 28 Il prezzo dei desideri 29 Il rosa 30 Sarò per te 31 Tela di ragno 32 Un giorno di vento
Viaggi E Sogni Alice sa volare In viaggio On the road Sogni maligni Ti porto la luna
63 Solitudini e addii 64 Di giorni e di vuoti 65 Le mie solitudini 66 Le stanze degli addii 67 Mattini senza risvegli 68 Mi disfo piano 69 Parole perdute 70 Solitudine
33 Dimenticanze E Ricordi 34 Dolore.. 36 E poi, sorridi 37 Fotografie 38 Il vecchio giocoliere 39 Vecchio refrain 41 Attesa 42 All’ombra dei tigli 43 Attendere 44 Attesa 45 Finestre 46 Penelope
73 Ringraziamenti
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Rosa I. Morea è nata nel novembre del 1958 a Putignano (BA) e vive a Policoro (MT). Dopo la laurea in Scienze Biologiche ha proseguito gli studi universitari con corsi in Biopsicosessuologia e in Metodologia della Ricerca di Laboratorio. Si è in seguito specializzata in Scienza dell’Alimentazione. Ha lavorato per diversi anni all’Università di Bologna, dove ha fatto ricerche di Genetica. Risale a quegli anni una sua pubblicazione scientifica negli Atti della Società Italiana delle Scienze Veterinarie, Vol XXXVIII- 1984. Ha svolto per molti anni la libera professione di nutrizionista e insegnato discipline scientifiche in diverse scuole medie e superiori. Attualmente è docente di Matematica e Scienze nella scuola secondaria di primo grado di Rotondella (MT). La passione per la lettura e la scrittura ha segnato tutta la sua formazione e la sua crescita personale. La poesia “Tela di ragno”, che fa parte di questa raccolta, ha ottenuto una menzione d’onore al concorso letterario nazionale “Memorial Miriam Sermoneta”, VI edizione.
CODICE ISBN - XXXXXXX
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