tre giorni d’architettura ciclo di incontri sul tema dell’abitare
Altamura 2011
tre giorni d’architettura ciclo di incontri sul tema dell’abitare Altamura 2011
a cur a di pa squale loiudice saverio massaro domenico sforza
Alle nostre famiglie e a tutti coloro i quali hanno creduto in questa nostra iniziativa.
interventi sommario
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antonino saggio architet to, docente universitario
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arturo cuccioll a architet to, docente universitario
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pa o l a g r e g o ry architet to, docente universitaria
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anna giovannelli architet to, docente universitaria
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lorenzo netti architet to, docente universitario
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armando sichenze architet to, docente universitario
ina mac aione architet to, docente universitaria
m a ria ita lia inset ti ingegnere, dottore di ricerca
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vincenzo paolo bagnato architet to, docente universitario
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cl audio colombo architetto
contributi sommario
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angel a barbanente a ssessore all a qualitĂ del territorio - regione puglia
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be atrice fumarol a a r c h i t e t t o , s e g r e t a r i o i n a r c h (i s t i t u t o n a z i o n a l e d i a r c h i t e t t u r a )
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m a rgherita colonn a a r c h i t e t t o , p r e s i d e n t e i n b a r (i s t i t u t o n a z i o n a l e d i b i o a r c h i t e t t u r a ) s e z i o n e d i b a r i
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biagio maiull ari i n g e g n e r e - d i r i g e n t e d e l s e t t o r e l a v o r i p u b b l i c i - c o m u n e d i a lt a m u r a
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antonio vendol a architetto
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sante simone architet to, dot tore di ricerc a
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marc antonio lorusso & emilia gramegna architetti
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pasquale gentile architetto
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alessandro iacovuzzi architet to, dot tore di ricerc a
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michele cornacchia ingegnere
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michele ventricelli av voc ato - consigliere regione puglia
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enzo colonna a v v o c a t o - c o n s i g l i e r e c o m u n e d i a lt a m u r a
tre giorni di architettura
“Nella società in cui viviamo è impensabile il progetto senza dialogo, senza conflitto e incontro, senza dubbio e convinzione, alternativamente, nella conquista di simultaneità e di libertà”. A. Siza La 3GA – Tre giorni di Architettura ad Altamura è un esperimento culturale nato in maniera proactive dall’iniziativa di tre giovani altamurani, studenti di architettura presso l’università La Sapienza di Roma, che decidono di mettersi in gioco e di organizzare un ciclo di incontri pubblici sul tema dell’abitare con l’intento di animare un fermento culturale sopito, promuovendo pratiche di cittadinanza attiva e incentivando la partecipazione dei cittadini nei processi di trasformazione della città. Se si intende l’architettura come strumento fondamentale dell’uomo per abitare la terra, risulta spontaneo chiedersi come mai non ci siano occasioni nel territorio altamurano per promuovere una cultura architettonica autorevole in grado di contrastare il dilagare dell’edilizia troppo spesso priva di qualità e fuori dalle regole. Il mondo dell’architettura è spesso visto come un ambito chiuso, accessibile e comprensibile solo per gli addetti ai lavori. A tal proposito la 3GA riunisce i principali soggetti del processo progettuale (pubblica amministrazione, professionisti e imprese, università e studenti), costituendosi come un’importante momento di dibattito e confronto sulle principali questioni relative al territorio e alla città. Si intende sensibilizzare i cittadini, riportando alla coscienza collettiva il tema sempre attuale dell’abitare, e ridurre le evidenti distanze esistenti tra il mondo universitario e quello professionale, offrendo la possibilità a studenti e giovani professionisti locali di confrontarsi, raccontando le proprie esperienze. In ultima analisi l’operazione crea i presupposti per un network di relazioni in grado di generare opportunità in chiave formativa e professionale per i giovani. Il ciclo di incontri si è tenuto ad Altamura nelle giornate 3, 4 e 5 Agosto 2011 presso l’aula magna del Liceo Classico “Luca de Samuele Cagnazzi”.
Gruppo Esperimenti Architettonici
È stata allestita la mostra dei progetti nello spazio d’accesso antistante l’aula magna. Qui, gli studenti che hanno esposto i propri progetti:
Fabrizio Berloco Università di Firenze Annamaria Buonavoglia Politecnico di Bari Stefano Buonavoglia Università di Firenze Valentina Cappiello Università La Sapienza di Roma Caterina Careccia Politecnico di Bari Serena Carlucci Università La Sapienza di Roma Pietro Colonna Politecnico di Bari Giovanni Debernardis Politecnico di Bari Ilaria Denora Politecnico di Bari Ernesto Di Santo Università La Sapienza di Roma Carmela Esposito Politecnico di Bari Antonio Guerrieri Università La Sapienza di Roma Pasquale Loiudice Università La Sapienza di Roma Eleonora Maino Università La Sapienza di Roma Saverio Massaro Università La Sapienza di Roma Mario Poggiani Politecnico di Bari Michele Ragone Politecnico di Bari Francesco Schiavariello Università La Sapienza di Roma Domenico Sforza Università La Sapienza di Roma Liborio Sforza Università La Sapienza di Roma
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Poeticamente abita l’uomo
introduzione
M. Heidegger La meditazione sul tema diventa per Heidegger un’ interrogazione costante sul senso del nostro esistere e del nostro fare, all’interno delle strutture materiali che hanno costituito e che costituiscono il mondo degli uomini. Heidegger invita a prendere sul serio il poetico, un’istanza questa, che discende dalla cognizione del poetare non come volo fantastico col quale abbandonare la terra per il cielo, bensì come il ricondurre l’uomo sulla terra, restituendolo all’essenza propria dell’abitare. Per abitare veramente un luogo, è importante tanto prendersi cura delle cose che ne determinano la forma e ne designano le caratteristiche, quanto aver cura delle persone che lo abitano insieme a noi. Le questioni trattate sono notoriamente molto complesse, nonché ambigue e controverse. Esse riguardano per un verso qualcosa di oggettivo, descrivibile in modo attendibile; per l’altro come ha scritto Henri Frédéric Amiel a proposito del paesaggio, come “un insieme di sensazioni indicibili” che per loro stessa natura non possono conseguire uno statuto concettuale definito e stabile. Data la condizione costituzionalmente incerta del paesaggio, non si tenterà in questo scritto di darne alcuna definizione conclusa, ma di analizzare i suoi aspetti strutturali più evidenti, per poi parlare nello specifico del paesaggio locale. La complessità dei temi sovra elencati e la forte componente progettuale che li caratterizza, obbliga, trattandosi appunto di progetto, a definire operazioni di astrazione, esclusione e approssimazione necessari al fine di comprendere le problematiche, nonché le strutture relative ad ognuno di essi. Questo modo di operare, sia in termini teorici, sia operativi, porta ad un procedere continuo dalla scala del paesaggio a quella dell’architettura, sulla base di un territorio sempre più denso di “segni” e di un ambiente continuamente soggetto a leggi di tutela e salvaguardia. La scelta stessa dei relatori che sono intervenuti nelle tre giornate, si muove su questa scacchiera tematica in cui ogni pedina ha il suo ruolo: da una parte si schiera l’apparato di
interventi e dall’altra il pubblico, in un continuo confronto oscillante tra apprendimento e discussione. La stessa impostazione informale delle tre giornate, la scelta di creare momenti di ristoro, coffee breaks ed estemporanee, destinati a tutti i presenti fanno capo alla volontà di uniformare il dibattito sul piano orizzontale del confronto, tra soggetti che nella stessa misura hanno un ruolo nel dibattito sull’abitare. L’organizzazione degli interventi, la mostra degli elaborati degli studenti di architettura (Bari, Roma e Firenze), la scelta di relatori provenienti da diversi ambiti di ricerca e luoghi geografici, sottolineano la necessità di estendere il più possibile la rete di competenze ed esperienze e di renderle disponibili al confronto.
Gruppo Esperimenti Architettonici
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angel a barbanente a s se s s or e a l l a q ua l i tà del t er r i t or io del l a r egione p u gl i a
Sono sinceramente grata ai giovani che hanno ideato e realizzato la 3GA – Tre Giorni di Architettura ad Altamura, per essersi fatti promotori, ‘dal basso’, di tale iniziativa. Questa, infatti, è in tale sintonia con obiettivi e approcci fatti propri dalla Regione Puglia per affermare una diversa cultura dell’abitare, del progettare e del costruire, da potersi considerare a pieno titolo un contributo all’attuazione del programma regionale. In una fase nella quale, in Italia, si sta cercando di interpretare il principio di sussidiarietà sociale nei termini di più equilibrati e corretti rapporti fra funzioni dei pubblici poteri e autorganizzazione della società civile per lo svolgimento di attività d’interesse pubblico, a me pare che 3GA costituisca un esempio di come questo rapporto possa proficuamente svilupparsi. In questi anni il governo regionale si è molto sforzato di diffondere l’idea che l’architettura e l’urbanistica non possono essere confinate in recinti tecnico-amministrativi che, a causa di pigrizie culturali, resistenze di poteri economici e politici, inerzie professionali e burocratiche, e degli stessi linguaggi utilizzati, escludono la più vasta società. Questo sforzo è dettato dalla convinzione che occorre creare le condizioni culturali per recuperare quella “coscienza di luogo” che negli ultimi decenni si è andata smarrendo, specie nei territori nei quali i processi di modernizzazione del secondo dopoguerra sono stati di inusitata velocità, e la cui mancanza è all’origine di atteggiamenti di distacco, incuria e offesa nei confronti del territorio e del paesaggio. Non è immaginabile che questi atteggiamenti possano essere contrastati affidandosi solo agli strumenti tipici dei pubblici poteri: regole, piani, programmi. La centralità attribuita alla partecipazione civica nei principali atti legislativi e amministrativi approvati negli ultimi anni dalla Regione Puglia (dalle leggi per l’abitare sostenibile, la qualità dell’architettura e la rigenerazione urbana al Documento regionale di assetto generale– Indirizzi per la pianificazione urbanistica generale ed esecutiva, al Piano
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paesaggistico territoriale), risponde a questa esigenza di apertura dei recinti per diffondere una diversa cultura dell’abitare. In Italia, è ben noto, lo Stato non si è certo distinto nella promozione della cultura architettonica. Langue il disegno di legge sulla qualità dell’architettura, approvato dal Consiglio dei Ministri nel novembre 2008 sull’onda delle sollecitazioni levatesi dal XXIII Congresso mondiale di architettura tenutosi a Torino. La Regione Puglia ha cercato di colmare questa lacuna, riconoscendo il pubblico interesse dell’ideazione e realizzazione delle opere di architettura mediante l’approvazione della legge regionale n. 14 “Norme per la qualità dell’architettura e delle trasformazioni urbane”. Sul piano operativo, ha istituito il Premio Apulia per opere di giovani progettisti e di committenza privata, ha previsto la possibilità di sottoporre a tutela le testimonianze più significative dell’architettura contemporanea per iniziativa non solo degli enti locali ma anche di ogni cittadino che ne abbia a cuore la salvaguardia, ha incentivato i concorsi di idee e di progettazione e, in coerenza con i programmi regionali Bollenti Spiriti e Principi Attivi, ha introdotto forme di sostegno riservate ai giovani progettisti nei concorsi finanziati dalla Regione e nel Premio Apulia. Tuttavia c’è la consapevolezza che i mutamenti culturali richiedono tempi lunghi e una forte tensione sociale. In una società complessa e plurale come quella contemporanea, la tentazione dirigistica può rivelarsi, al contrario, il maggiore ostacolo a un cambiamento che, invece, come dimostra l’iniziativa 3GA, può avere tanti centri di attivazione. È importante, invece, che l’ente pubblico crei l’humus culturale favorevole per lo sviluppo di una pluralità di iniziative, che non trascuri l’importanza della formazione per assicurare la messa in pratica di principi e obiettivi, che si apra al dialogo e all’apprendimento, che colga ogni indizio di vitalità sociale quale opportunità per migliorare le proprie politiche. In questi anni abbiamo provato a operare in tal modo. L’iniziativa 3GA ci incoraggia a proseguire in questa direzione.
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be atrice fumarol a s e g r e t a r i o d e l l’ i s t i t u t o n a z i o n a l e d i a r c h i t e t t u r a i n /a r c h
3 g a , a lta m u r a . 3 - 5 a g o s t o 2 0 1 1 . L’Istituto Nazionale di Architettura, quale luogo di incontro degli attori del processo edilizio, non può che plaudire la “3 GA” di Altamura per 2 motivi principali: perché è riuscita a portare un ampio ed importante dibattito culturale in Provincia, normalmente di competenza di realtà più grandi e di centri universitari. perché ha riunito intorno ad un unico tavolo: mondo dell’università, professionisti, pubblica amministrazione, con l’intento di farli dialogare sui temi della qualità dell’abitare. L’IN/ARCH è convinto che per poter incidere sulle trasformazioni del territorio è fondamentale promuovere e formare una qualità della domanda di progetto, avviare quindi quel processo di Alfabetizzazione all’ecologia e alla qualità delle trasformazioni degli ambienti di vita “Agire sulla domanda, elevarla, renderla consapevole ed esigente, è quindi la radice: il desiderio di cambiamento è il motore di ogni trasformazione e il progettista reale è un essere diffuso.” (Massimo Pica Ciamarra, Convegno internazionale Alfabetizzazione all’ecologia ed alla qualità dell’architettura, Firenze Palazzo Vecchio 21 giugno 2011).
qualità Nel mezzogiorno, «un’antica arte di abitare» conferisce all’architettura specifici caratteri, rilevati con intelligenza e sensibilità. Più che la poesia del focolare, domina quella della terrazza, del portico, del pergolato, soprattutto del recinto che conserva la pace e il raccoglimento del chiostro, eliminandone la clausura, offrendo un punto d’incontro tra edificio e paesaggio. I vicoli diventano funzionali alla residenza; frastagliati da scale e recessi, sono aree interpersonali dove la gente installa sedie e tavoli, e i bambini giocano. È nota la «simpatica» usanza, aspetto della civiltà del vicolo, di lavare il tratto di strada prospicente all’abitazione. (…) Probabilmente Mondrian ignorava l’esistenza di tali realtà. Ma i connotati insiti nel vicinato riemergono nell’immagine della sua città; disgregati, resistono come esigenze psicologiche ed estetiche (…). Bruno Zevi, Dialetti architettonici in L’arte di abitare nel Mezzogiorno
interventi
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antonino saggio
I r i s c h i d e l l’ i n s e g n a r e Insegnare è difficilissimo, ma imparare rappresenta una difficoltà, come dire, elevata al cubo. Le fatiche dell’apprendimento, però, dipendono in buona parte da una componente semplice da comprendere: i cattivi maestri. In qualsiasi interazione umana è, come è ovvio, la componente umana quella decisiva. Incontrare un buon maestro nella vita equivale ad un’epifania, a un evento raro. È quindi fondamentale riuscire a distinguere i buoni maestri dai cattivi: capire quando una persona aiuta a crescere e insegna ad imparare, quando chi parla dà veramente degli strumenti che hanno la capacità di crearne altri e quindi di moltiplicarsi. Bisogna capire insomma chi arma e chi disarma, chi crea in un sistema di recinti, di fortezze concatenate l’una con l’altra. Tali fortezze, sono conoscenze apparentemente utili e necessarie, ma che non ci aiutano a crescere, non risultano essere propulsive e tengono appunto bloccati e chiusi.
•••
Mi piace sottolineare come questa tre giorni sia un esempio che non ricordo uguale. Il fatto che delle giovani persone siano riuscite infatti, nella loro stessa comunità, ad organizzare un evento di questo tipo, mi sembra un atto encomiabile. L’occasione va ben oltre quello che può essere l’ambito locale, ma si configura come un vero e proprio “modello operativo”, che dovrebbe essere replicato. Anche se cerco di essere attento alle attività che i giovani svolgono, sia in rete che sul territorio, un’occasione simile a questa la ricordo solo quando Giovanni Bartolozzi, autore più tardi del libro su Leonardo Ricci nella serie Gli Architetti, organizzò partendo completamente da solo un convegno in onore di Bruno Zevi a Firenze. Aveva 21 anni ed eravamo nel 2001. In entrambi i casi qui ad Altamura e allora a Firenze è stata adoperata la stessa tecnica: avere una idea forte e successivamente cercare di individuare i partner con cui dialogare per sostenerla; la scelta delle persone con cui dialogare, in questi casi, è assolutamente cruciale. Insomma se si capisce il modello operativo una iniziativa come questa si deve moltiplicare. I contenuti che vi sto per presentare - mi è stato chiesto di parlarvi un poco della mia
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didattica - sono concatenati tra loro e intimamente connessi alla modalità stessa della mia presentazione. È una presentazione infatti che è già ora mentre la sto tenendo integralmente sul web ed è accessibile a tutti (vedi, ora anche con audio: www.arc1.uniroma1.it/saggio/Conferenze/Altamura/). È quindi una conferenza pubblica ed ipertestuale ad un tempo. Lo strumento, in questo caso la rete e la sua modalità di utilizzo, è per me parte integrale del messaggio. Importante è la definizione di strumento fornita dall’epistemologo Alexander Koyré, secondo il quale uno strumento, per esempio il telescopio, è la “materializzazione dello spirito”. Potremmo cercare di capire meglio il senso di questa definizione, se iniziassimo a pensare ad uno strumento quale quello musicale che è allo stesso tempo materializzazione dello spirito e che rappresenta una sfida al tempo stesso. Ora certamente insegnare non è dare informazioni e neanche soltanto conoscenze strutturate, ma dare veri e propri strumenti. Strumenti capaci di aprire e lanciare lo studente alla conquista del mondo. Ora è un dovere da parte degli architetti intessere con gli strumenti, sia intellettuali che tecnologici, un processo di interrogazione critica. Seppur non vi sia una netta linea di demarcazione tra l’utensile, inteso come pura estensione del corpo, e lo strumento, inteso come ampliamento o “protesi” che dilata le capacità cognitive, ma anche espressive dell’individuo, è sempre bene indagare su tali rapporti. Cercherò di mostrare in questa presentazione alcuni dei processi relativi all’insegnamento della progettazione architettonica che ho sviluppato in questi ultimi trent’anni. Ho iniziato infatti nel semestre autunnale del 1983 e dal 1984 sono stato, sempre a Carnegie-Mellon University di Pittsburgh, titolare di corsi di progettazione. ••• Entriamo nel nostro campo specifico. Lo facciamo naturalmente per salti. Per meglio comprendere di cosa si occupa la mia ricerca didattica in questo campo vi mostro
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alcuni progetti di tesi di laurea raccolti e pubblicati nel volume “Roma a-venire_proposte per una città dell’informazione e della storia viva” (Aracne editore e anche su Amazon. it vedi www.arc1.uniroma1.it/saggio/roma). il libro è stato concepito (insieme a quattro miei neo laureati che usavano la sigla Scanner@Nitro) come contributo alla città di Roma. All’interno del libro avviene un confronto tra 15 progetti internazionali e circa 25 proposte progettuali per la città, queste ultime basate su procedimenti compositivi, economici, programmatici del tutto simili a quelli dei progetti internazionali. Con questa operazione di confronto si voleva evidenziare come Roma (una ipotetica Roma a_venire, appunto) avrebbe l’opportunità di crescere e migliorare seguendo esempi e metodologie progettuali attuate in altre città del mondo. Un progetto esemplificativo a questo proposito, ed inserito nel libro, è la tesi di laurea “New European Network Systems” di Andrea Sollazzo che vi illustro per semplificarvi il metodo (www.arc1.uniroma1.it/saggio/didattica/Tesidilaurea/Sollazzo/1. htm). Il primo step del processo è l’individuazione, da parte dello studente laureando, di una “crisi” ovvero di un tema di forte potenzialità e altrettanta forte criticità. Questa ricerca è difficile e piena di interrogativi, ma è proprio in questa fase dura della formulazione della “tesi” che si apre la ricerca e che troverà alimento il lavoro successivo. Sempre lo studente presenta un ventaglio di ipotesi e viene scelta “insieme” quella che apre più possibilità “sinergiche”. L’analisi iniziale nel caso di Sollazzo portò ad evidenziare la carenza di veri e propri edifici Comunità Europea, che quindi di fatto per il cittadino si configura come entità astratta, che non ha luoghi neanche nelle capitali che ne fanno parte. E da qui, da questa crisi si articola la domanda: l’architettura potrebbe rappresentare un volano di utilità e di riconoscibilità della Comunità europea? Il lavoro svolto da questo candidato, come peraltro da tutti i miei laureandi, si fonda sul principio di mixitè dal punto di vista del programma funzionale. Tale principio comprende la presenza di 5 componenti interagenti in ogni progetto: quella residenziale, quella commerciale, quella produttiva, quelle del rebuilding nature e dell’infrastructuring. L’idea della monofunzionalità dell’edificio insomma è superata, mentre una forza trainante (quella dell’edificio per la comunità europea in questo caso) orienta e caratterizza le cinque caratteristiche sopra elencate.
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All’elaborazione di un programma di base, che nel caso di Sollazzo studiava le necessità degli edifici per la comunità europea (uffici; biblioteche sala convegni eccetera), segue la scelta del sito dove collocare il progetto. In questo caso è stata molto lunga e difficile ma alla fine estremamente interessante. Una ex caserma in via dismissione tra la stazione Termini e il Viale Castro pretorio. Solo in questa fase il candidato ha dato l’avvio allo sviluppo del progetto in particolare avvalendosi di tecniche informatiche che gli erano necessarie perché si era posto un obiettivo molto interessante. I nuovi edifici per la comunità europea dovevano essere ad un tempo tutti diversi ma anche riconoscibili come appartenenti, ad una sorta di brand. La loro funzione propagandistica è infatti altrettanto degli Attrattori che al variare del sito, articolava diversamente le configurazioni plastiche e spaziali dell’edificio distribuendo in maniera diversa le diverse funzioni. Naturalmente a questa fase devono seguire tutte le successive con le scelte di linguaggio, di materiali, di colori, di distribuzione al fine di conferire riconoscibilità e funzionalità a tali edifici per creare appunto un trademark architettonico della Comunità europea. Ho scelto questa tesi, tra la trentina che ho guidato a cominciare dal 1996, non solo per il suo valore esemplificativo, ne esistono moltissime altre efficaci, ma anche per ricordare che l’architetto Sollazzo è il mio primo studente ad aver pubblicato un libro in una delle mie collane. L’appena uscito e ottimo Van Berkel digitale (Edilstampa) con cui, dopo cinque anni di fermo, è reiniziata la collana di Informatica anche in Inglese. ••• Uno degli strumenti che da alcuni anni a questa parte forniscono un importante supporto al mio percorso di insegnamento è Google earth che ho imparato ad usare essendo incuriosito dalla sezione “Google earth per il Sociale”. Il 2006 fu l’anno dell’avvio del progetto “Urban Voids” con una serie di progetti di laureandi. Il primo laboratorio che ha sviluppato l’utilizzo di Google Maps, si è tenuto nel 2009. Grazie a Google maps si sono potuti mappare i vuoti urbani in una zona della città. I vuoti urbani sono delle “perdite costanti” all’interno delle città, sia sotto il profilo
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economico che sociale. Il lavoro svolto è consistito nel censimento di circa 70 vuoti urbani situati in un settore specifico della città di Roma, nell’area compresa tra il parco della Caffarella e il Parco dell’Appia. Il mio laboratorio si articola portando avanti 50 progetti diversi su 50 aree diverse. Sviluppo nelle lezioni delle chiare e ferree “regole del gioco” che consentono lo sviluppo di una ricerca progettuale, liberano le energie creative nei giovani e innescano processi che tendono a ribaltare i modi più tradizionali di ragionare all’interno della progettazione architettonica. Ogni progetto che lo studente elabora è collegato tramite un link al blog “Urban Voids” (vedi http://urbanvoids.blogspot.it/) in particolare nel post dell’area urbana “vuota e degradata” dove intende lavorare. Durante la prima fase del laboratorio gli studenti entrano in relazione con queste 50 micro aree di progetto, ma entrano anche in rapporto con la città grazie ad alcune lezioni sul tema della progettazione urbana contemporanea. Nella mente dello studente si sviluppa una sorta di nebulosa. È una fase volutamente “critica”. Critica perché mette in gioco simultaneamente tre o quattro livelli che sono rilevanti e che formano il campo “possibile” delle scelte. In particolare l’oscillazione riguarda la decisione di operare su un’area verso la quale si è attratti e dall’altra parte, la scelta di un possibile programma funzionale, l’esposizione all’idea della mixite e poi addirittura a quella del promoter (un cliente ipotetico che segue e dialoga con lo studente come fosse un cliente vero). Attraverso un processo di aggiustamento progressivo, lo studente determina la propria area sulla base dei suoi ragionamenti e delle sue aspirazioni, poi insieme al programma e poi al cliente, inizia con una serie di ondate successive lo sviluppo del progetto (lo spazio, la difesa del progetto, i sistemi ambientali e bioclimatici, i sistemi distributivi le scelte espressive). In questo processo ogni tanto mostro agli studenti che non siamo soli, in questo mondo ad operare. Per esempio, lo studio olandese NL Architekten è un prototipo di un atteggiamento “pro-active”, ovvero una forma di imprenditorialità secondo la quale le persone non aspettano di essere istruite su che lavoro fare, ma “inventano” loro stessi il proprio lavoro. Attraverso questo atteggiamento, gli architetti diventano promotori essi stessi delle proprie
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idee, evitando di presentare progetti utopistici con disegni del tutto astratti e avulsi dalla realtà come avveniva negli anni ’70, ma piuttosto concentrandosi sugli aspetti sostanziali della propria proposta sia dal vista economico che funzionale e naturalmente attraverso una forte attenzione al concept architettonico più significativo. Per anni ho ritenuto che il principale riferimento di questo modo di pensare fosse l’Olanda, con qualche puntata in Danimarca per esempio nel gruppo BIG, ma a seguito di un convegno organizzato da “Italia Decide” a Roma, in cui presentai il tema degli “Urban Voids”, con sorpresa venni a conoscenza dell’iniziativa della Regione Puglia sulle politiche giovanili, denominata “Bollenti Spiriti”; una iniziativa in perfetta sintonia con l’esperienza didattica portata avanti nei miei laboratori. Essere oggi in Puglia, in un convegno importante promosso da laureandi in Architettura fa sperare nel futuro e veramente mi auguro che essi abbiano la capacità di creare progetti che possano interessare la Regione. Abbiamo deciso di illustrare questo intervento con quattro nuovi progetti che si basano sull’esperienza sui vuoti urbani (tutti e quattro gli autori sono già stati pubblicati nel libro a cura di Marta Moccia e Vanina Ballini UrbanVoids, Lulu 2010 acquistabile su Amazon.it) ma qui abbiamo deciso di presentare i loro progetti di laurea nell’ambito della Urban green line, una infrastruttura ecologica e una rete tranviaria per Roma (Cfr “L’Arca” marzo 2012); Davide Motta e Rosamaria Faralli si occupano del nodo in cui la UGL scavalca il fascio di binari ferroviari paralleli alla via Casilina. In questo nodo, dopo un approfondito studio sui flussi, le giaciture, l’orografia creano un diagramma dinamico che accompagna la nascita dei propri progetti. Un centro per la creatività di tutte le età per Faralli che si appoggia alle curve di livello e crea terrazze parco, un liceo di nuova concezione aperto ai flussi e alle collaborazioni informatiche per Motta. Cristina Interdonato propone un centro basato sullo sport e sulla scuola materna ma che vive a ciclo continuo mentre Donatella Finelli propone un progetto di Co-Housing letteralmente attraversato e rivitalizzato dalla Ugl. Sono progetti proactive che stanno cominciando ad interessare veramente la città. Pensando alle polarità tematiche di questo convegno, attente anche al paesaggio e al recupero dei segni antropici, pensando al paesaggio del sud, al non-finito, al caos
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urbano, alla contraddittoria presenza degli elementi vernacolari, io rivendico la vitalità di un’esperienza artistica, culturale, di ricerca nelle viscere più complesse della realtà. Ve ne sono esempi e ne ho scritto molto (il mio libro su Gehry è del 1997 “Architettura e modernità” del 2010). Insomma, sono sempre molto sospettoso dell’utilizzo a-critico della tradizione, della pesantezza lapidea, dell’uso di stilemi fuori dal tempo; non credo sia questa la chiave per operare nei nostri contesti, proprio perché ne spengono ancora di più la vitalità. La vitalità va compresa, con operazioni complesse, che partono dal territorio e giungono, caso mai, al cheapscape. L’idea della condivisione del valore del paesaggio, è in qualche modo la chiave politica su cui fare leva. In passato ho espresso questa idea attraverso questa definzione: “Paesaggio è la rappresentazione estetica, condivisa collettivamente e culturalmente, ma in costante evoluzione, di una parte del mondo.” Come in ogni definizione, ogni parola è importante. L’inciso in particolare: il paesaggio si dà in quanto tale quando vi è il riconoscimento di una rappresentazione estetica, intesa come fatto collettivo e culturale. Bisogna quindi far emergere nell’immaginario della comunità la coscienza di una maniera ricca e complessa di intendere il proprio paesaggio. I segni esistenti nel paesaggio antropico sono un esempio apparentemente minimale ma molto importante per comprendere come avere questa lettura complessa - collettivamente e culturalmente condivisa - del paesaggio e come a partire da questa si debba sviluppare progettualmente questa coscienza. Il sistema ciclabile in Olanda non è, come avviene invece in Italia, un sistema dedicato per lo più al tempo libero, bensì è un sistema viario vitale. Tale sistema non si limita alla scala urbana, bensì a quella territoriale, sovrapponendosi agli altri sistemi viari esistenti. Attraverso questo esempio (che é sistemico perché culturale paesaggistico ludico sportivo e ovviamente funzionale) intendo sottolineare l’importanza che in futuro i sistemi territoriali - le vie cave, gli acquedotti, i tratturi, i percorsi dei pellegrinaggi, le vie delle transumanze, ecc. - potrebbero ricoprire anche in Italia, nel
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connettere diverse cittĂ e territori in maniera sostenibile e consentendo di riscoprire i valori della storia e della natura e facendo nascere anche nuovi progetti: bellissimi intelligentissimi arditi e consapevoli.
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TimeLines. Uno scenario mutevole per attività ludiche e didattiche. Tesi di Cristina Interdonato Relatore Antonino Saggio, Sapienza Università di Roma
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Kidult. Centri d’arte e sperimentazione senza tempo. Tesi di Rosamaria Faralli Relatore Antonino Saggio, Sapienza Università di Roma
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LINFA. Liceo per la nuova formazione artistica Tesi di Davide Motta Relatore Antonino Saggio, Sapienza UniversitĂ di Roma
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Co-Housing. Vivere una coresidenza lungo l’urban green line. Tesi di Donatella Finelli Relatore Antonino Saggio, Sapienza Università di Roma
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Per contribuire alla pubblicazione degli atti dell’interessante convegno 3GA di Altamura dell’estate 2011, mi sembra appropriato riproporre un mio articolo apparso sulla rivista Trekking & outdoor n. 251 del dicembre 2011 che tratta della questione dei tratturi di Puglia con un taglio sinteticamente divulgativo, e che avevo scritto riprendendo la riflessione fatta qualche mese prima proprio nel convegno altamurano. Il tema dei tratturi, della loro storia, del loro riuso, al quale da tempo pongo attenzione, mi appare infatti centrale nel quadro dei progetti e delle politiche di tutela e conservazione del paesaggio agricolo ed urbano. Ritengo che ancora troppo poco questo tema sia presente nel dibattito culturale, politico ed amministrativo e che sia necessario divulgarlo assai di più nell’opinione pubblica, ampliando un interesse che comincia, oggi, solo a delinearsi, ma è insufficiente ad innescare concreti interventi di valorizzazione. Sono convinto che riscattare dall’oblio e dalla misconoscenza le antiche vie della transumanza, riusandole per attivare flussi di utenza culturale, turistica e del tempo libero è essenziale sia per non disperdere fondamentali valori identitari delle nostre comunità, sia per inverare una seria politica di tutela del territorio e del paesaggio del nostro meridione. Da diversi anni, nell’attività didattica e di ricerca che contribuisco a svolgere nel Corso di laurea in Ingegneria Edile – Architettura del Politecnico di Bari, sono sempre più frequenti i lavori di ricerca storica e di progettazione che hanno come tema le vie della transumanza, portati avanti dagli studenti nei laboratori e nelle tesi di laurea; è questa un’inedita ed importante realtà di formazione di una particolare figura d’ingegnere, frutto di un’impostazione culturalmente aperta ed innovativa. Peraltro, ed è vicenda cominciata negli anni settanta e ottanta, ho visto, dando per quanto potevo il mio contributo, nascere e svilupparsi una nuova coscienza culturale e politica della questione dei tratturi, dimostrata, a livello nazionale, dall’approvazione dei Decreti
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del Ministero per i Beni Culturali (giugno 1976, marzo 1980, dicembre 1983) di vincolo ex L. 1089/39 dell’intera rete tratturale con l’istituzione dei Piani-quadro dei tratturi, ed, a livello regionale, dall’approvazione nel 2003 della L.R. n.29 per la Tutela e valorizzazione delle vie della transumanza e per la progressiva realizzazione del Parco Regionale dei Tratturi di Puglia, corredata da Linee guida per la redazione dei Piani Comunali Tratturi. Negli anni novanta ho avuto l’occasione di redigere il Piano quadro per la valorizzazione dei tratturi di Canosa di Puglia che, rimasto l’unico progetto di tale natura approvato in Puglia, ha costituito modello per la formulazione della citata L.R. n.29/2003, ed è stato attuato, con fondi P.O.P.-Puglia ’97-’99, nel tratto fra il Ponte romano sull’Ofanto ed il mausoleo Bagnoli, coincidente con il tracciato della via Appia-Traiana. Dal 2003 ad oggi si è poi aperta la “stagione” dei Piani comunali dei tratturi (P.C.T.), che ha visto fin’ora, fra luci ed ombre, la produzione di progetti da parte di circa quarantacinque Comuni di Puglia; circa la metà di tali progetti sono stati definitivamente approvati nella apposite Conferenze di servizi. Personalmente ho seguito, o sto seguendo, i P.C.T. di Canosa di Puglia, Terlizzi, Altamura ed Acquaviva delle Fonti. Alla luce di questa pluridecennale esperienza penso di poter esprimere un giudizio di prudente ottimismo: è infatti da considerare stabilmente e sensibilmente rafforzato l’approccio al tema dei tratturi in termini di studio, tutela e valorizzazione, anche se permangono in taluni casi atteggiamenti di insensibilità o addirittura di propensione alla svendita e alienazione del patrimonio demaniale. Per altro verso, va aumentando il numero dei P.C.T. regolarmente approvati, anche se il carattere troppo spesso localistico degli studi e delle previsioni progettuali impedisce per ora l’affermarsi di piani a valenza intercomunale. I casi di concreti interventi di valorizzazione sono ancora rari, sostanzialmente limitati all’intervento degli anni novanta a Canosa di Puglia ed al recente intervento sul tratturello
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Traiana n. 94, coincidente con la via Appia-Traiana nel Comune di Terlizzi. Per gli interventi concretamente avviati nel territorio, risulta determinante la questione della gestione delle opere realizzate: le piste ciclopedonali, i filari di alberi, le siepi, i luoghi di ristoro e di sosta, la nuova segnaletica sono manufatti esposti al vandalismo ed al rapido degrado se non affidati alla sorveglianza, alla cura ed alla periodica manutenzione di organizzazioni delegate alla gestione del bene demaniale recuperato, alla cura del verde ed alla organizzazione di visite, di percorsi guidati, di mostre ed attività collaterali. Gli interventi pilota fin qui realizzati riguardano, però, solo un piccolissima parte del patrimonio tratturale; è evidente, dunque, che bisogna puntare ad estendere gli interventi, puntando all’obiettivo fondamentale che è quello di costituire, nella maniera più ampia e completa, il Parco dei tratturi di Puglia. Dovrà essere un parco di conformazione lineare, coincidente il più possibile con “l’originaria consistenza” dei tratturi, lungo il quale sarà essenziale garantire la fruizione e la percorribilità per lunghi tratti senza interruzioni. Bisognerà curare, in punti strategici accuratamente prescelti, la sistemazione di aree a parcheggio per lo scambio intermodale, in modo che i visitatori, lasciata l’automobile o il pullman, passino allo spostamento lento a piedi o in bicicletta; bisognerà aver cura, inoltre, che i fruitori dei tratturi siano guidati a partire ed arrivare in luoghi precisamente caratterizzati per la presenza di “polarità” artistiche, storiche o naturalistiche, in modo da dare un senso pieno e comprensibile alla visita. Molto ancora, dunque, rimane da fare, ma la strada imboccata è quella giusta e bisogna mantenere per fermo il timone, compiendo tutti gli sforzi necessari per approfondire gli studi ed affinare gli strumenti di pianificazione e progettazione degli interventi.
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In tal senso, va segnalato che in questi ultimi mesi la Regione Puglia ha avviato la redazione di un “Testo unico”, concernente il “Demanio armentizio”, che dovrebbe inglobare la L.R. n.29/2003 riorganizzando la materia legislativa: è molto importante, a mio avviso, seguire tale lavoro, vigilando perché gli aspetti positivi di quanto fin qui fatto vengano conservati e rafforzati. In particolare bisognerà rafforzare da un lato la capacità di coordinamento ed indirizzo del governo regionale per la creazione del Parco dei tratturi di Puglia, dall’altro la capacità dei Comuni di redigere adeguati piani di dettaglio per interventi a carattere intercomunale utili a valorizzare i tratturi omogeneamente per l’intero loro percorso.
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tr at turi di puglia I tratturi di Puglia, coincidenti in parte con le grandi vie romane quali l’Appia e l’AppiaTraiana, sono il prodotto d’una storia antichissima, che si perde nella notte dei tempi; lungo queste lunghe vie erbose, come del resto in tutta l’area mediterranea, si sono mossi nei secoli milioni e milioni di animali, pecore soprattutto, per seguire l’ancestrale ciclo delle stagioni e degli erbaggi, sostanziando il ciclo vitale e l’economia fondamentale delle comunità. Dalle origini più lontane dell’allevamento fino alla rivoluzione industriale, ed anche oltre, fino a tutta la prima metà del ventesimo secolo, il ciclico discendere autunnale delle greggi dalle vette appenniniche abruzzesi, molisane, lucane per svernare nelle pianure adriatiche pugliesi ed il loro ritorno sulle montagne alla ricerca dei freschi pascoli estivi si è ripetuto, sia pure con periodi di splendore alternati a periodi di decadenza, con logiche immutabili che hanno dato vita ad un’economia ed una cultura fortemente radicata nei luoghi e negli uomini di Puglia. È una storia, certamente da non idealizzare con letture romantiche; una storia di duro lavoro, di uomini che vivevano larga parte della loro vita lontano dalle famiglie, di sfruttamento del lavoro minorile, di spietato contrasto d’interessi fra proprietari delle greggi e pastori. Dal secondo dopoguerra ad oggi, però, la grande transumanza delle greggi è profondamente mutata, avvalendosi per gli spostamenti dapprima del treno, poi, in misura purtroppo sempre crescente, degli autocarri che percorrono le strade ordinarie o addirittura le autostrade. Le imponenti vie della transumanza a piedi costituite dai lunghissimi pascoli lineari cantati da D’Annunzio come “erbal fiume silente” hanno perso sempre più l’originaria utilità, finendo con l’essere lentamente dimenticate e parzialmente alienate o utilizzate dallo Stato per la costruzione di strade, elettrodotti, canali ed altre infrastrutture. Nonostante il rapido oblio e la perdita di senso economico, però, ciò che resta intatto della
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rete tratturale o che di essa è recuperabile sia per le transumanze locali che non sono sparite, sia per un uso alternativo culturale e turistico, non è affatto poco e giustifica ampiamente il tentativo di riqualificare e valorizzare i tratturi nel quadro di una politica di difesa del paesaggio e di tutela del patrimonio storico ed architettonico del territorio. In Puglia si è imboccata questa strada, per lo meno a partire dal 2003, anno in cui è stata approvata all’unanimità la legge regionale n.29 per la tutela e valorizzazione delle vie della transumanza e che, a tal fine, prevede la progressiva realizzazione del Parco Regionale dei Tratturi di Puglia; tale legge è corredata da importanti linee guida per l’attuazione che facilitano, per i Comuni interessati dalla presenza di tratturi, la redazione di Piani Comunali Tratturi utili a programmare la loro riqualificazione. A distanza di qualche anno dall’emanazione della L.R. n.29 si può dire che ancora troppo pochi Comuni hanno applicato la legge, ma si può anche registrare sia la buona qualità di molti dei Piani redatti, sia l’avvio di concreti interventi di riqualificazione di alcuni tratturi; si tratta, dunque, di un processo che si avvia fra molte difficoltà, ma che va sostenuto e rafforzato perché i tratturi di Puglia sono parte certamente significativa del paesaggio regionale. I tratturi di Puglia portano l’impronta inalienabile dell’assetto loro dato dall’amministrazione aragonese a partire dal quindicesimo secolo, importando nel regno italiano le logiche organizzative della “Mesta” spagnola che, fondata nel 1272, durò fino al 1836. In Spagna la poderosa rete di tratturi, denominati “canadas reales “ e “canadas trasversos”, estesa dai Pirenei alle pianure della Mancia, dell’Estremadura e del Guadalquivir, era gestita da un organismo centralizzato e localizzato a Villanueva de la Serna, governato da un Consiglio generale formato da allevatori eletti. Sul modello della “Mesta”, ma secondo una logica ancor più centralizzata per controllare direttamente il gettito fiscale che costituiva la principale risorsa del regno italiano, il 1° Agosto 1447 Alfonso I° d’Aragona istituì la”Dogana delle pecore di Puglia”, insediandola nella città di Foggia ed affidandola a Francesco Montluber, catalano, nominato Doganiere a vita e responsabile della creazione e organizzazione della Dogana stessa.
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La Dogana alfonsina segnò, per l’Italia meridionale e per la Puglia, l’avvio di una prassi di gestione sistematica dell’intero sistema della transumanza sulla base d’un demanio di proprietà o di affitti statali largo e diffuso; parte non secondaria di questa gestione fu la redazione di cartografie e relazioni - in occasione delle periodiche “reintegre” del patrimonio demaniale - che, pur disperse e mutilate dagli eventi, costituiscono ancora oggi una documentazione di straordinaria ricchezza e significatività, anche ai fini di tutela e valorizzazione. Purtroppo i documenti d’archivio più antichi, concernenti il XV° sec., pur ancora esistenti nel XVII° sec., sono irrimediabilmente scomparsi insieme a molta parte dei documenti del XVI° sec.; però quel che resta - e non è poco - del materiale storico conservato a Foggia ed a Napoli costituisce un patrimonio prezioso per le azioni di tutela e valorizzazione oggi avviate. Francesco Montluber ha lasciato una traccia indelebile, articolando il sistema della transumanza in una complessa articolazione di manufatti e regole. Base del sistema erano i tratturi, tratturelli, bracci, le arterie viarie del sistema, concepiti gerarchicamente a partire dai tratturi principali, o tratturi regi, larghi 60 passi napoletani (un passo è pari a circa mt. 1,85) cioè mt. 111,11 circa; venivano poi i tratturelli ed i bracci, che costituivano i raccordi fra i tratturi principali ed avevano larghezza variabile da 20 a 10 passi napoletani, cioè da 37 a 18,50 mt. circa. Lungo queste vie della transumanza, delimitate da termini lapidei costituiti da cippi in pietra marcati con le iniziali R.T., cioè Regio Tratturo, era vietato piantare alberi, coltivare e dissodare; erano previsti, ove necessari, muretti laterali di contenimento delle greggi; era vietato far pascolare, sostando, il gregge, ed era, invece, consentito il pascolo a mazza battuta, cioè in movimento, per impedire che i greggi consumassero tutta l’erba del tratturo privando quelli soppravvenienti del necessario sostentamento lungo il viaggio. I tratturi raggiungevano le locazioni, cioè estensioni, di adeguata dimensione, di terreni fiscali dove far svernare le pecore secondo un preciso rapporto, detto possedibile fra quantità di pascolo e dimensione degli armenti. L’intero territorio pugliese fu suddiviso in
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locazioni che coincidevano talvolta con le città e paesi e talvolta con aree geografiche prive di cospicui insediamenti stabili; furono individuate 23 locazioni ordinarie e 20 locazioni straordinarie, essendo le prime stabili, le seconde saltuarie ed attivate nei momenti di necessità. Tratturi e terreni fiscali erano mantenuti a terre salde, cioè terre non dissodate dall’aratro, non coltivate e, perciò, adatte al pascolo che costituivano l’ erbaggio della locazione, cioè la quota parte messa a disposizione dei locati, cioè dei pastori che, pagate le relative tasse, conducevano i greggi transumanti. Gli erbaggi si suddividevano in ordinari soliti (quando appartenevano alla Corte e stavano all’interno delle locazioni ordinarie); in straordinari soliti (che pure appartenevano alla Corte, ma, talvolta, anche a privati, ed erano di ristoro, cioè di riserva ed integrazione degli erbaggi ordinari soliti); in straordinari insoliti che venivano affittate, a cura della Dogana, di volta in volta a seconda della necessità. Meta finale di ciascun gregge per svernare erano le poste, cioè i luoghi individuati all’interno delle locazioni, dove ricoverare i greggi; le poste erano composte da iazzi, cioè gli ovili, da un quadrone, cioè spianata connessa allo iazzo, da un mungituro dove mungere le pecore e da un’ aia cioè un manufatto destinato alla lavorazione del latte; Le terre di portata erano, all’interno delle locazioni, le terre escluse dal sistema della pastorizia e destinate al dissodamento ed alle coltivazioni. Le terre di portata erano frazionate in unità di coltura coincidenti con la masseria di campo tenuta, appunto, da un massaro di campo, così detto per distinguerlo dal massaro di pecore che, invece, era il capo dei pastori di un armento; la quinta parte del terreno coltivato della masseria di campo era detta mezzana, cioè terra salda - a pascolo - per i buoi aratori della masseria di campo; I riposi generali o riposi autunnali erano vaste estensioni di terre salde, esterne alle locazioni, dove l’insieme delle greggi sostava in attesa dell’assegnazione della relativa locazione e posta. In tali riposi generali le pecore venivano contate e veniva riscossa la fida, cioè il fitto annuale pagato alla Dogana in ragione di ciascun capo di bestiame; un altro tipo di riposo era quello detto riposo laterale, posto a fianco dei tratturi per consentire la
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sosta temporanea durante la transumanza. A fronte della fida pagata, ai pastori venivano garantiti vari servizi, fra cui i più importanti erano la manutenzione della rete tratturale e del sistema dei pascoli; la garanzia degli erbaggi; i diritti di passaggio; il mantenimento di una struttura burocratica di gestione; la fornitura del sale, necessario per purgare le pecore e per le lavorazioni del latte, a prezzo politico; il privilegio di un foro di giustizia riservato ai locati. Al di là, dunque, dei soprusi, delle connivenze, della corruzione che, pure, inficiavano non poco il sistema “teoricamente perfetto”, si trattava comunque d’un meccanismo amministrativo ed economico particolarmente attento a tutelare l’attività transumante e capace di attivare un “indotto” di non trascurabili proporzioni. Si pensi, ad esempio, alla annuale “Grande Fiera di Foggia” che, a partire da maggio fino ad agosto, era il luogo obbligatorio ed esclusivo di vendita dei prodotti della pastorizia (prodotti caseari, lana, agnelli); questa fiera, a carattere “internazionale” era il momento che segnava la fase finale del lungo viaggio che le greggi facevano per “lo venire de Abruczo in Puglia e tornare de Puglia in Abruczo”. Il sistema fin qui descritto, creato dal Montluber e perfezionato nei secoli successivi, era molto complesso e abbisognava di continuo controllo perché potesse funzionare, tanto più che risulta evidente la contraddizione di fondo che si apriva fra le due “classi” di lavoratori coinvolti dal fenomeno, cioè fra massari del campo e massari di pecore. Si trattava del millenario contrasto fra “contadino-stabile” e “pastore-transumante”, fra terra dissodata-coltivazione e terra salda-transumanza: questo provocava incessantemente piccoli e grandi abusi, sconfinamenti, liti, tensione sociale; in particolare ciò comportava modifiche, anche gravi, all’assetto delle suddivisioni territoriali ed alla forma e praticabilità dei tracciati tratturali. Di qui, il continuo bisogno di controllare e, se necessario, ripristinare lo stato dei luoghi, compito assolto per secoli dai funzionari della Regia Dogana della Mena delle pecore di Foggia tramite le reintegre, cioè il ripristino dello stato dei luoghi amministrati. Queste reintegre, redatte da compassatori doganali (cioè agrimensori), sono per noi, oggi, preziosa fonte di documentazione perché si tratta di minute descrizioni dei luoghi
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accompagnate da altrettanto dettagliate planimetrie dei tratturi; una fonte preziosa di conoscenza degli antichi assetti territoriali, che si affianca alle carte delle Locazioni, di cui si è detto più sopra. Il sistema dei tratturi organizzato dagli aragonesi, oltre ai percorsi costituiti da tratturi, tratturelli, bracci, ai riposi, alle poste, comprendeva un vasto e complesso insieme di aree e manufatti funzionalmente legati al fenomeno della transumanza: stazzi, jazzi, ricoveri, ovili sotterranei, pagliari, mungituri, recinzioni, contapecore, pietre antilupo, pile, pozzi, abbeveratoi, locande, bordelli, cappelle e chiese, guadi, ponti. Si trattava di una poderosa serie di infrastrutture attrezzate nel corso di una storia plurisecolare, coincidenti spesso con la grande viabilità antica soprattutto romana. Questo imponente lascito storico e architettonico, anche se in parte sparito o degradato per abbandono e incuria, rimane ancora oggi cospicuo e suscettibile di recupero e riuso. È proprio questo patrimonio che comincia ad essere reso fruibile e godibile per chi voglia tornare a percorrere i tratturi di Puglia a piedi, in bicicletta, a cavallo, per godere dell’osservazione dei paesaggi, della flora, della fauna, delle architetture e delle testimonianze storiche disseminate lungo i percorsi. La Regione Puglia ha avviato un processo che, si spera, porterà all’istituzione del Parco Regionale dei Tratturi e che potrà essere una straordinaria opportunità di attrezzare itinerari ciclopedonali di visita lungo percorsi di grande fascino storico, architettonico e paesaggistico. In attesa che le azioni di riqualificazione e riuso dei tratturi producano effetti su larga scala - mentre, peraltro, alcuni interventi esemplari, che prevedono la creazione di sentieri attrezzati, piste ciclopedonali, piazzette di sosta e di ristoro, stanno per essere completati, come nel caso della riqualificazione di un tratto della via Appia Traiana di Terlizzi (tratturello n.94 via Traiana) - si moltiplicano già oggi, in parallelo al crescere della conoscenza della realtà ed importanza delle vie della transumanza, le occasioni di percorrere, a piedi, in bicicletta, a cavallo i tronchi meglio conservati dei tratturi pugliesi. A titolo di significativo esempio si può qui riferire di una transumanza locale che da
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qualche anno è possibile fare aggregandosi, nei primi giorni di ottobre, ai pastori che spostano il loro gregge dalla piana foggiana partendo dalla località Amendola e andando verso il Gargano, percorrendo il Braccio “Cervaro- Candelaro” ed il tratturo n.12 Foggia – Campolato. Si tratta di una giornata, resa possibile dalla bella intesa che si è costruita fra pastori e funzionari dell’Ufficio Regionale Parco Tratturi di Foggia, che parte un po’ prima dell’alba con un percorso lungo il torrente Candelaro e si conclude nel pomeriggio inoltrato, arrivati alla masseria Signoritto, alle pendici delle balze fra San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo: è un esperienza che chi scrive ha fatto, con grande emozione e piacere, nel 2010 e che si accinge a replicare anche quest’anno.
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Atlante Michele 1686. Particolare.
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Locazione De Castiglione. Atlante Michele 1686.
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Transumanza sul Tratturo Foggia Campolato 2011.
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Canosa. Piano Quadro Tratturi 1993. Planimetria generale.
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Tratturo Terlizzi. Esecutivo piazzetta.
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Tratturo Terlizzi. Logo PRT.
Tratturo Terlizzi PCT. Stato di fatto.
Tratturo Terlizzi. Piazzetta sosta A.
Tratturo Terlizzi. Dissuasore velocitĂ .
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pa o l a g r e g o ry
n u o v i p a e s a g g i s m i : p e r u n p r o g e t t o s i s t e m i c o d e l l’a r c h i t e t t u r a Inserendoci nel dibattito sulla “qualità architettonica”, con l’espressione nuovi paesaggismi intendiamo riflettere su una pratica di pensiero – e quindi di progetto - che, relazionando fra loro discipline diverse attinenti alla “trasformazione” dei luoghi, sia in grado di suggerire nuove dimensioni dell’architettura e del suo pensiero: dimensioni non più isolate e autoreferenziali, bensì eteronome ed eterodosse, capaci – come sottolinea lo stesso concetto di paesaggio, che include in sé quello di orizzonte quale linea immaginaria e inattingibile – di incentivare ampi margini di sperimentazione, deriva e sconfinamento. Considerando il paesaggio non come una realtà oggettiva, bensì quale sua mise en forme in grado di riconoscere, restituire e/o incrementare, attraverso la mediazione di un progetto, il carattere distintivo dei luoghi, il suo riferimento all’architettura s’investe di molteplici connotazioni e valori, capaci nelle loro interrelazioni di catalizzare, in un possibile processo configurativo, il quadro esistenziale della realtà (i suoi valori e rapporti ecologici, ambientali sociali, storici, economici) con la cultura collettiva di cui quel paesaggio – quale “identità estetica dei luoghi”1 – è impregnato. Costruzione della realtà che unisce dati oggettivi e punto di vista di un soggetto, il paesaggio diviene, con riferimento all’architettura, “immagine” visiva e mentale dello stesso processo e prodotto progettuale: non solo sfondo, spazio geografico o “materiale operabile” dell’intervento architettonico, bensì luogo della mente e modo di pensare il reale, che travalica l’ampliamento di scala dell’opera architettonica, ovvero la dilatazione del “territorio dell’architettura”2 , supera la semplice idea di contesto, trascende la sensibilità ambientalista e la stessa attenzione ecologista. La sua grande attualità è semmai nella capacità di porsi quale “epifania” dell’estetica contemporanea, rappresentazione visiva
1
P. D’Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Roma-Bari 2001.
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V. Gregotti, Il territorio dell’architettura, Milano 1966.
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e simbolica dell’attuale condizione urbana-metropolitana, e parallelamente possibile modalità formativa del progetto, riconoscibile in singole declinazioni tematiche e poetiche. In questa ottica il paesaggio in situ e in visu - a ricordare la doppia artialisatiion di Alain Roger3 , diretta la prima, indiretta la seconda – è un modo di pensare lo spazio come insieme di relazioni e interazioni mai univocamente definibili o afferrabili, in cui si fondono e si con-fondono le componenti storiche e geografiche, il sensibile e il fisico, l’immaginario e il visibile e tutti gli aspetti, anche labili e fluttuanti, che designano un luogo come paesaggio nella memoria individuale e/o collettiva. Conviene infatti ricordare come il termine paesaggio - che la lunga stratificazione di significati ci consegna nel duplice ruolo di immagine e realtà in una continua oscillazione fra estetica e scienza - si distingua da concetti contigui e tuttavia differenti. Il paesaggio non è il territorio che ha un significato quasi esclusivamente spaziale e un valore estensivo-quantitativo piuttosto che intensivo qualitativo, essendo con Rosario Assunto “una più o meno vasta estensione della superficie terrestre […] delimitata da divisioni geofisiche, differenze linguistiche, delimitazioni politico-economiche”4 , ma il territorio costituisce senza dubbio il supporto materiale da cui si apre la questione dei paesaggi. Il paesaggio non è l’ambiente nel doppio significato biologico-ecologico e storico-culturale. “Nell’ambiente c’è il territorio – sottolineava ancora Assunto – con in più la vita, la storia e la cultura”. L’ambiente – ci ricordano fra gli altri Roger e Augustin Berque – è, rispetto al paesaggio, un concetto molto più recente, oggetto quasi esclusivo di conoscenza e trattazione scientifica. Tuttavia se “può esserci paesaggio anche con l’acqua inquinata” – come afferma, per sgomberare il campo da equivoci, Bernard Lassus – la qualità dell’ambiente (sia come ricchezza degli ecosistemi e delle biodiversità, sia come stratificazione di differenti etnie, culture, tradizioni) costituisce un valore paesaggistico
3
A. Roger, Court traité du paysage, Paris 1997
4 Oltre al fondamentale testo di R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica, 2 voll., Napoli 1973, cfr. in particolare: Id., Paesaggio, ambiente, territorio: un tentativo di precisazione concettuale, in “Rassegna di Architettura e Urbanistica”, n. 47-48, 1980, pp. 49-51.
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importante. Il paesaggio non è la natura, se intendiamo per natura ciò che Roger designa come patrimonio, riserva di possibilità per l’umanità, che gli interessi economici, ecologici ed estetici – fra gli altri – raccomandano di utilizzare non solo razionalmente ma ragionevolmente. Tuttavia una riflessione su questo patrimonio può servire per una corretta politica di gestione. Infine il paesaggio non è il giardino, porzione delimitata di territorio, piantumata per ragioni nutrizionali e/o estetiche. Ma il giardino costituisce un laboratorio sperimentale di primaria importanza per il paesaggio, trattato in molte importanti tradizioni (Cina, Giappone ed Europa, soprattutto a partire dal XVIII secolo) come una “composizione di paesaggi” (René Louis de Girardin). Il paesaggio è un valore distinto poiché è con Assunto “la forma che l’ambiente [come funzione o contenuto] conferisce al territorio come ‘materia della quale si serve”, ovvero una costruzione percettiva, multisensoriale e culturale di una realtà, che implica sempre un rapporto dialettico, una tensione irrisolta, fra significante e significato, interiorità ed esteriorità, realtà e rappresentazione, secondo quel concetto di “idealità dell’orizzonte” di Maurice Merleau-Ponty, per cui un’idea non è il contrario del sensibile, piuttosto ne è “l’altra faccia o la profondità”5 . “Manifestazione sensibile di una médiance” come “il senso della relazione di una società al proprio ambiente”6 il paesaggio supera, nella sua dimensione fisica e fenomenica, la dicotomica opposizione natura-cultura, arte-scienza, soggetto-oggetto, immaginerealtà, indicandoci una dimensione che potremmo definire intermediaria. Essa rivela del soggettivo e dell’oggettivo, dell’ecologico e del simbolico, per delineare con le parole di Berque l’emergere di un paradigma écouménal, espressione del ricongiungimento fra il mondo fisico-ecologico e il mondo fenomenico-fenomenologico che la visione moderna aveva separato.
5 M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, trad. it., Milano 1994 (ed. or. 1964). 6 A. Berque, Médiance de mileux en paysages, Montpellier 1990; Id., Les raisons du paysage. De la Chine antique aux environnements de synthèse, Paris 1995.
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Un ricongiungimento peraltro emerso nella stessa “Convenzione Europea del Paesaggio”, dove la definizione di paesaggio quale “parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere risulta dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”7 pone in essere una concezione policentrica costantemente tesa fra le “ragioni” del mondo oggettivo e quelle intrinseche al mondo soggettivo, ovvero dispiegata fra saperi diversi da correlare e integrare nell’iter conoscitivo e progettuale. Riflettendo “l’uni-dualità” del mondo (Edgar Morin) per afferrare relazioni significative inerenti a un insieme (reale e concettuale) non più smontabile nelle singole componenti e nel quale l’osservatore e l’atto di osservazione costituiscono parte integrante e fondamentale, il paesaggio in situ e in visu diviene – o può divenire – strategia flessibile e multifocale del progetto contemporaneo, in grado di assorbire l’aleatorietà presente e futura. Non quindi l’oggetto o il tema centrale di un “settore disciplinare” – definire il paesaggio all’interno di rigidi steccati priverebbe il termine di quel fertile dinamismo, di quella feconda ambiguità che ne costituisce la sua essenza (la “nebulosa chiarezza” la definiva J. Wolfgang Goethe) – quanto l’indicazione di un orientamento verso modalità progettuali capaci di restituire il paesaggio alla sua complessa e stratificata significatività, in grado cioè di farsi interpreti di una verità più ricca e sfocata, basata sull’interrelazione, interazione e interferenza fra diversi saperi sviluppati dentro e mediante il suo innato policentrismo. La processualità interdisciplinare ne costituisce perciò l’incipit, per cui qualsiasi sia l’oggetto del progetto - un edificio, un parco, un giardino, un’opera d’arte – le ricerche (progettuali) si riuniscono sull’orizzonte mutevole del paesaggio, pensato come orizzonte comune di appartenenza. In esso prevalgano i rapporti fra le parti (lo spazio dell’in-between o intervallo vibrante fra le cose) piuttosto che le cose stesse, la relazione dialettica fra dimensione fisica e dimensione fenomenica, la trasformazione dinamica e il principio di metamorfosi ed evoluzione temporale, l’interscalarità e l’interconnessione messa in opera dall’azione del progetto.
7
Cfr. R. Priore, Convenzione europea del paesaggio. Il testo tradotto e commentato, Reggio Calabria 2006.
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Non è quindi un caso che la crisi dell’oggetto architettonico, autoriflessivo e autoreferenziale, ovvero dell’architettura tradizionalmente intesa come stato di cose, oggetto, figura, abbia indotto a invocare le ragioni del paesaggio come paradigma inclusivo e indeterminato, mutevole e processuale, in grado di comprendere, adattare e integrare architettura e infrastruttura, ecologia e pianificazione, politiche sociali e attività urbane secondo una necessaria e indissolubile sistematicità. Ne nascono quelle “architetturepaesaggio”, architetture come “metafore del paesaggio”, opere di landscape architecture, di land-architecture, di land art, di environmental art, di landscape urbanism (solo per ricordare alcune possibili declinazioni in cui può svilupparsi il tema del paesaggio) che, rispondendo a modalità d’intervento capaci di superare l’abituale distinzione oggetto-sito/figura-sfondo/ artificio-natura, sembrano rimettere in causa gli stessi ambiti disciplinari nel continuo dispiegarsi di fenomenologie progettuali più aperte e sfumate: fenomenologie che investono in maniera complementare e dialogica, dinamica ed evolutiva gli spazi edificati, gli spazi aperti e gli spazi di relazione, attraverso molteplici e infinite concatenazioni che le supportano, le conformano, le attraversano. In questo senso l’espressione nuovi paesaggismi, non indicando ambiti specifici scalari e tematici, bensì un orientamento trasversale presente in molte e differenziate sperimentazioni contemporanee, intende ampliare l’interpretazione del progetto a quadri di relazione più vasta, a territori incerti, fluttuanti, ibridi, forse offuscati: territori in cui alle rigide polarità del moderno si sostituiscono le dinamiche interrelate ed evolutive di “nuove alleanze” fra modalità interpretative e operative non più dicotomiche, ma correlate in una nuova visione sistemica.
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Progetto di una nuova Centralità locale ad Acilia Sud (Roma): tesi di laurea triennale in “Tecniche dell’architettura e della costruzione”, Roma, A.A. 2009-10. Laureando Valerio Frattaroli; Relatore Paola Gregory.
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Progetto di un centro polifunzionale e di un complesso residenziale fra la Via Ardeatina e il G.R.A a Roma: tesi di laurea specialistica in “Progettazione architettonica e urbana�, Roma, A.A. 2009-10. Laureando Macrina Gesino; Relatore Paola Gregory.
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i l p r o g e t t o d i d a t t i c o d e l l’a r c h i t e t t u r a L’architettura non permette e non accetta l’improvvisazione, l’idea immediata e direttamene trasposta. L’architettura è rivelazione del desiderio collettivo nebulosamente latente. Questo non si può insegnare, ma è possibile imparare a desiderarlo. A.Siza Quando frequentavo la facoltà di architettura non pensavo affatto all’insegnamento come attività principale del mio futuro professionale e, del resto, non credevo di appassionarmi poi così tanto alla ricerca, che mi ha visto impegnata non soltanto negli anni di corso del dottorato ma anche in altre esperienze di ricerca teorica e progettuale, tali da delineare i tratti di un architetto che pratica l’architettura e la sua didattica. L’esperienza di docente intrecciata a quella di progettista pone alcune necessarie riflessioni sulle ragioni e i fondamenti della conoscenza e dell’esercizio dell’architettura. Quando si avvia un progetto didattico si cerca di predisporre una specie di metodologia dell’apprendimento della disciplina, soprattutto se ci si confronta con l’insegnamento ai primi anni, dove lo spazio del laboratorio di progettazione rappresenta il luogo eletto per l’apprendimento del fare architettura. I laboratori di progettazione sono, infatti, gli ambiti didattici entro i quali gli studenti imparano progressivamente la pratica dell’architettura mediante l’acquisizione degli strumenti conoscitivi della composizione: qui si attua un rapporto significativo tra la conoscenza della cultura architettonica e il fare progettuale; è il luogo dove si impara a leggere l’architettura attraverso esercizi di scomposizione critica di opere realizzate e non, mediante il ridisegno, lo schizzo e la costruzione di modelli interpretativi, con lo scopo di elaborare una sintesi concettuale attraverso l’elaborazione di schemi e diagrammi compositivi. Nei laboratori si lavora con gli studenti per accrescere la loro capacità critica, per riflettere insieme su esperienze di progetto e comprendere modi diversi di fare architettura per poi confrontarli, per elaborare tecniche nell’uso delle forme, delle strutture e delle materie degli edifici; tutto ciò rappresenta l’approccio primario di
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chi avvia il proprio percorso di conoscenza e pratica del progetto dentro l’esperienza del laboratorio, ovvero imparare l’architettura, analizzandola, comparandola e interpretandola per giungere consapevolmente alla propria scrittura architettonica, lungo un itinerario critico necessario all’esercizio del progetto. In questi ultimi anni le facoltà di architettura si sono dotate di un’ampia offerta formativa con profili specifici che hanno delineato percorsi differenti nella organizzazione dei corsi di studio. Ma nelle differenze tuttavia è presente la costante del progetto di architettura declinato alle diverse scale. In realtà i corsi di laurea, nelle loro specifiche denominazioni hanno voluto far corrispondere la formazione con la specializzazione professionale, cercando di ricomprendere nell’ambito di singoli corsi, benché integrati con altre discipline, la vastità di conoscenze, norme e tecniche che investono l’architettura nella sua plurale condizione disciplinare. Architettura della città, disegno degli spazi aperti, architettura del paesaggio, architettura degli interni e dell’allestimento descrivono ambiti terminologicamente diversi, ma in effetti legati dal filo rosso della finalità del percorso progettuale: il risultato della forma, nelle sue diverse scale dimensionali, nelle sue configurazioni contestuali, nei suoi contenitori esistenti nel paesaggio urbano rappresenta lo sfondo delle diverse figure del progetto. In questo senso ci si confronta con un progetto didattico multiforme, complesso, orientato a ritrovare i propri fondamenti, il proprio linguaggio specifico nella mutevole necessità di assegnare un tema che rinnova continuamente lo sguardo del progetto di architettura verso la realtà dello spazio. E forse è proprio questo l’intento di costruire un progetto didattico, ossia la volontà di trasmettere un sapere e un saper-fare attraverso l’esperienza dell’architettura, con lo sguardo rivolto all’enigma della forma, che ogni volta si confronta con tematiche differenti e offre agli studenti, come al docente, lo spazio di riflessione e di sfida progettuale.
il linguaggio del proget to didat tico: l avor are per elementi primari dell a forma Ogni arte ha un proprio linguaggio “specifico” (G. della Volpe, 1960) ovvero una propria specificità linguistica e il linguaggio dell’architettura è il linguaggio delle forme. Ogni
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progetto di architettura, già nella sua concezione originaria di composizione di forme nello spazio, si esprime attraverso la rappresentazione, che è lo strumento che traduce l’idea in un sistema di segni e significati in grado di descrivere le forme stesse nella loro effettiva configurazione. Ecco che per avviare un progetto è necessario elaborare il sistema di segni che possa esprimere, già nella fase del diagramma concettuale l’idea che presiede alla forma architettonica. Operando una riduzione al grado zero della forma mediante un procedimento di astrazione delle parti dell’organismo architettonico, le superf ici, i volumi, i segmenti divengono le parole che designano la forma nella sua condizione originaria. In questo senso occorre che la didattica del progetto di architettura, soprattutto agli inizi dell’apprendimento del comporre, si basi su una grammatica generativa (N. Chomsky, 1979) delle forme, che impiega le parole dell’architettura per designare attraverso un diagramma i concetti che sono alla base della scelta progettuale. È dunque il diagramma lo strumento in grado di esprimere il concetto, non tanto attraverso le regole della rappresentazione, ma mediante la visualizzazione, ossia attraverso quel sistema di informazioni che rende “intuitivi i concetti” (M. Ferraris, 2011). Non si tratta di comprimere le informazioni della forma architettonica in un mero riepilogo grafico dei dati del progetto, ma di elaborare una “mappatura” degli elementi primari della composizione nello spazio, precisandone i rapporti e le relazioni tra le parti. L’esercizio diagrammatico che procede con gli sviluppi del progetto di architettura, quello che comunemente viene definito concept, rappresenta un irrinunciabile esercizio interpretativo che descrive, nella sintesi di un grafo o in un modello, il sistema complesso della composizione architettonica. Il diagramma tuttavia non attiene solo alla elaborazione del progetto, ma anche alla sua conoscenza critica. La lettura interpretativa quale fondamento dell’apprendimento, può essere supportata dall’ausilio di mappe, modelli che traducono in segni intuitivi l’idea, che è alla base del progetto, come i celebri plastici critici di Luigi Moretti, che riproducono nella inversione della forma, gli aspetti qualitativi delle architetture oggetto di un suo raffinato studio sulla “Struttura e sequenza di spazi” dell’architettura (L. Moretti, 1953). E dunque la didattica del progetto di architettura deve necessariamente poggiare i propri fondamenti su modi e
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strumenti della conoscenza, in cui le parole e le immagini rivelino la capacità del saper leggere la forma architettonica e adoperare la pratica diagrammatica quale strumento eletto di interpretazione critica, che incide in modo significativo sulle capacità dello studente di formarsi come architetto.
costruire il proget to didat tico Ma forse l’approccio analitico non basta, anche perché le conoscenze acquisibili in fase di formazione universitaria spesso non riescono ad abbracciare il campo vasto della pratica teorica dell’architettura, e dunque l’apprendimento richiede che si sviluppi un potenziale latente in ciascuno studente, ossia quella capacità critica di interrogarsi e di interrogare la realtà, di riuscire sempre a vivere l’esperienza della conoscenza come un momento di crescita e di superamento delle condizioni della propria realtà contingente. Esiste poi una dimensione fisica, non solo spaziale, che investe l’architettura nella sua costruzione, nel suo rapporto con la realtà dello spazio antropizzato e trasformato, con le regole della struttura dei luoghi e delle comunità sociali che li abitano, ma soprattutto quella che si esprime attraverso il desiderio individuale di progettare e costruire l’architettura. E allora la dimensione critica, apparentemente astratta, che interroga il proprio intelletto nella lettura e interpretazione delle forme si sposta nella realtà vera, quella della struttura sociale ed economica, dello spazio ambientale e dello spazio geografico in cui si opera, che richiede un’attitudine del soggetto al confronto continuo con la pluralità del reale. Ed è per questo che il progetto didattico ha il difficile compito di avviare lo studente verso quella necessaria distanza critica che egli deve porre tra se stesso e la realtà, evitando ogni gratuita gestualità che si alimenta con la proliferazione dei linguaggi della contemporaneità. La grande lezione della Modernità, che adopera la riflessione analitica per la costruzione della forma architettonica, rappresenta un’importante risorsa metodologica per la costruzione della didattica del progetto. È l’affermazione del plusvalore anonimo del progetto didattico, che non deve imporre l’univocità di un metodo d’insegnamento e al contempo non vuole lasciare lo studente immergersi e navigare a vista nella infinita congerie di immagini che abitano la rete. La conoscenza e la pratica del progetto indicano la strada obbligata per chi deve imparare a fare l’architettura, che
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permette a chi la intraprende di affinare la capacità critica nella lettura e nelle argomentazioni tematiche della forma per giungere con autonomia intellettuale all’elaborazione di una propria visione della forma, di una propria interpretazione del progetto nelle sue componenti funzionali e strutturali ed estetiche, insomma di scrivere il proprio testo architettonico. Su questi fondamenti concettuali si costruisce il progetto didattico che orienta le proprie scelte entro una pluralità di temi dell’architettura. Insegnare l’architettura in laboratori di progettazione di un corso di laurea di Architettura o di Disegno Industriale o ancora di Architettura degli Interni e Allestimento comporta l’inevitabile declinazione delle problematiche del progetto nelle opportune scale dimensionali e nella specificità delle sue funzioni, ma questo non definisce una mutazione dei fondamenti della conoscenza delle forme attraverso il percorso didattico. Occorre saper vedere il luogo del progetto, cioè individuarne il contesto di appartenenza per poter poi declinare il significato delle sue forme. La metafora albertiana del corpo-edificio-città supporta questa visione sistemica della forma architettonica nelle sue diverse configurazioni: dalla forma della città a quella dell’edificio, dall’interno architettonico fino all’oggetto, il rapporto tra le parti e il tutto si basa su “il modo e la ragione o regola di pigliare le somiglianze”(L.B. Alberti, 1485). Ed è la somiglianza concettuale di Louis Kahn, che scrive in “the Room, the Street and Human Agreement” (1971): la “stanza è l’inizio e l’origine dell’architettura (…) è il luogo della mente: nella stanza, con le sue dimensioni, la sua struttura, con la sua luce che risponde ai suoi stessi caratteri spaziali, la sua aura spirituale, si riconosce ciò che le intenzioni umane traducono in forma spaziale e forma di vita. La forma architettonica è ordinata nella pianta che egli concepisce come una società di stanze, (che) si relazionano tra loro nella forza della loro unica natura”. Questa visione unitaria e tuttavia molteplice dell’architettura designa i compiti e le sfide di un architetto, ma non ne delimita gli ambiti di applicazione per specifiche competenze ove la “specializzazione rovina l’essenza della rivelazione della forma con le sue parti inseparabili concepite come unica entità” (ibidem). Ciò avvalora l’idea che il progetto didattico debba fondarsi sulla generalità delle conoscenze e sulla versatilità della pratica dell’architettura: come L. Kahn anche grandi architetti e maestri quali Le Corbusier, Mies, e Siza, ci insegnano che l’architetto non è uno specialista, ma lavora con gli specialisti, così la costruzione del progetto didattico deve corrispondere e rapportarsi alla condizione plurale del fare architettura.
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ba sic a rchitec ture. eserci zi di comp osi zione elementa re Dal 2008 all’interno del Corso di Laurea in Ingegneria Edile-Architettura del Politecnico di Bari è stata sviluppata, nell’ambito dei corsi di Architettura e Composizione architettonica 1, una forma di didattica sperimentale i cui esiti parziali sono qui presentati. L’insegnamento, pur inserito nel secondo anno di studi, costituisce il primo contatto tra gli allievi ingegneri e il progetto di architettura. Una forma di noviziato alla composizione destinata a produrre ‘imprinting’ per la pratica di quella disciplina. L’ambito di interesse del corso è costituito dall’architettura domestica: la casa quale bene primario e embrione della città. Lo strumento è la rappresentazione nella sua ampia accezione di mezzo conoscitivo, strumento di analisi, atto espressivo e di comunicazione visiva. Nel corso si pratica il progetto attraverso il disegno come linguaggio grafico applicato ai processi di formazione dell’idea e della sua definizione. Il percorso formativo propone lo sviluppo e il controllo dei problemi della composizione. La scala prescelta è il progetto di massima (1/100). Le deroghe ritenute utili alla definizione del progetto sono il contesto e i modi di costruzione-produzione dell’architettura. L’azione didattica si svolge in due fasi. Nella prima fase, attraverso l’uso degli strumenti e delle tecniche del disegno si promuove la comprensione critica di un’opera assegnata scelta tra le abitazioni singole e singolari realizzate nel mondo negli ultimi 5/10 anni. La selezione prevede un lavoro di ricerca condotto a partire dal magma delle rassegne bibliografiche sul tema, proposta all’allievo attraverso una scheda A3 con dati e immagini essenziali (disegni e fotografie). In questa fase ogni studente riespone l’opera assegnata secondo un rigido protocollo d’esecuzione che prevede disegni normati sia dal punto di vista grafico sia da quello del metodo di rappresentazione del progetto di architettura. Tale esercizio, solo in apparenza operativo, unifica i processi per determinare la forma dell’architettura assegnata e evidenzia per confronto le differenze tra le opere selezionate costituendosi quale primo catalogo di elementi e immagini. Nella seconda fase ogni studente è chiamato a progettare una nuova casa le cui specifiche prescrizioni cambiano anno per anno.
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Nel primo anno è stato la Casa Doppia. Si chiedeva un progetto in prossimità della casa assegnata nella fase iniziale ponendo all’allievo il tema della relazione con una forma preesistente e quindi di comporre scegliendo tra un limitato numero di disposizioni sul suolo, di relazioni con il confine del lotto, di dimensioni e di forma. Nel secondo anno l’argomento prescelto è stato la Casa Elementare. Il compito è stato avviato a partire dagli esiti della prima fase di studio nella quale era richiesto il riconoscimento degli elementi costituenti la casa assegnata. La nuova composizione ha quindi preso le mosse dall’abaco di questi elementi ordinati in maniera prima incerta e poi sempre più definita su da una griglia-reticolo regolare che, come un pentagramma, ha guidato la loro disposizione. L’attenzione dei due distinti esperimenti didattici alla questione della composizione è rafforzata dalla drastica scelta di espungere dai temi del progetto il luogo, il materiale e il colore. Il metodo condotto con l’ausilio di un nutrito gruppo di tutor-studenti degli ultimi anni dello stesso corso di laurea, ha prodotto altre 150 composizioni esemplari sviluppate nella parte finale del corso e in particolare in un seminario di sintesi in cui i disegni, rigorosamente eseguiti secondo il protocollo sperimentato nella prima fase, costituiscono un’utile esperienza tesa a disvelare le potenzialità del disegno come modellazione grafica e mettendo a frutto la conoscenza già acquisita del disegno automatico e delle relazioni tra disegni a mano libera e plastici/modello per lo sviluppo dell’idea-progetto.
loren zo net ti - sen z a agget tivi. proget ti recenti per l a cit tà di bari
sen z a agget tivi. proget ti recenti per l a cit tà di ba ri Tre progetti realizzati o prossimi all’avvio dei lavori sono la traccia del recente lavoro di approfondimento sui temi della conservazione dell’energia e del disegno orientato alle questioni del rapporto tra costruzione e ambiente. Progetti senza aggettivi in cui il dettaglio dell’architettura diventa medium tra la qualità dell’opera, il contesto della città e le prestazioni degli edifici in termini di consumo energetico nelle sue diverse fasi, a partire dalla realizzazione fino all’estinguersi dello stato di necessità. Questioni nuove che pongono al progetto di architettura nuovi traguardi e impongono riflessioni non più dilazionabili ma tutte profondamente incardinate nell’ambito di azione del progetto quale mezzo per la comprensione e la trasformazione del mondo reale. Superata l’euforia, quasi la sbornia per le potenzialità dei nuovi strumenti digitali, Economia, Ambiente e Architettura tornano al centro degli interessi dell’uomo consapevole del suo destino di abitante della Terra. L’architettura non ha mai, né può e né deve arretrare di fronte a queste responsabilità. Il suo ruolo di interprete delle esigenze umane le riassegna oggi compiti essenziali di guida e orientamento per una gestione delle risorse disponibili (suolo, acqua, materiali) non più basato sul consumo di energie fisiche e intellettuali ma improntato ad un’azione razionale e responsabile nell’uso di quelle non rinnovabili. Allo stesso tempo però deve essere ricostruita la visione di un futuro teso a ricomporre la frammentazione e la dispersione attuale delle aree periferiche delle città, aree non più collocate solo ai margini geografici dell’insediamento ma incuneatesi nei tessuti urbani che credevamo immuni da fenomeni di degrado. L’obiettivo può apparire ambizioso, fuori della portata di una pratica tecnica e allo stesso tempo artistica come l’architettura, laterale rispetto ai propositi della politica, specie in tempo di crisi. Ma la strategia condotta attraverso il sistematico e reiterato insediamento di pur piccole opere nel corpo vivo della città o con l’uso delle vecchie e nuove forme di comunicazione per additare al grande pubblico gli esiti più significativi delle ricerche in campo architettonico o ancora il coinvolgimento del mondo delle imprese in iniziative di
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promozione e conoscenza dell’architettura è già in atto: i risultati non tarderanno. Specie se contribuiranno alla nuova stagione dell’Architettura Italiana l’abolizione degli Ordini professionali, da sempre retroguardia a difesa di interessi corporativi e non qualitativi, il ridimensionamento del ruolo invasivo delle Soprintendenze, tra i fattori frenanti dello sviluppo dell’architettura moderna e il rinnovato mondo dell’accademia, luogo deputato per la formazione degli architetti (e ingegneri) a cui la recente riforma universitaria ha offerto una opportunità di cambiamento definita epocale ma forse solo necessaria. Il tempo che ci è davanti non è un ostacolo ma lo spazio dell’azione. Cogliere ogni opportunità per perseguire il disegno qui tratteggiato è un impegno per noi architetti. Alvaro Siza in un recente intervento a Milano in occasione della inaugurazione della mostra di suoi disegni ha affermato ‘Misurare le risorse non è una novità per gli architetti, appartiene anzi alla loro storia e questa dimostra che si può fare una buona e bella architettura con programmi economici ristretti’. Lorenzo Netti
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n u o v a f a c c i a t a f o t o v o l t a i c a p e r l’ h o t e l l e o n d ’ o r o bari | pia z z a aldo moro, 4 La realizzazione nasce dalla necessità di riqualificare i fronti dell’Hotel Leon d’Oro di Bari, costruito nel 1972 su progetto dell’arch. Onofrio Mangini nella piazza della Stazione ferroviaria della città. La riqualificazione delle facciate ha interessato la revisione dei fronti rivestiti in ceramica, ma l’operazione cardine del progetto è stata la sostituzione dei frangisole esistenti con nuovi pannelli delle stesse dimensioni in vetro stratificato con cellule fotovoltaiche sostenuti da strutture in acciaio inox appositamente progettate. I pannelli si compongono di due lastre di vetro temprato (spessore 6+12 mm) a spigoli arrotondati con interposte le cellule fotovoltaiche. Le staffe trasversali alla facciata sono collegate tra loro da una trave di irrigidimento in acciaio che consente il cablaggio longitudinale. Il collegamento alla rete elettrica avviene attraverso un cavedio verticale fino alla quota di copertura, dove sono posizionati i moduli di gestione dell’impianto. Il pannello fotovoltaico conferisce un nuovo aspetto alla facciata brise-soleil introducendo la funzionalità energetica all’elemento architettonico e qualificando al contempo la quinta architettonica verso la piazza.
LDH01. Scorcio del fronte dell’Hotel da piazza Aldo Moro LDH02. Dettaglio dei pannelli fotovoltaici dal basso
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student center bari | via orabona, 4 Il progetto propone la realizzazione di spazi di studio collettivo e servizi come il primo intervento sanitario nel Campus dell’Università e del Politecnico di Bari. La collocazione di queste nuove funzioni non comporterà aumento della superficie coperta in quanto il progetto si inserisce all’interno di aree di transito esistenti e sottoutilizzate dei corpi edilizi del Politecnico. Al piano terra sarà realizzato il nuovo ambulatorio per il pronto soccorso costituito da un piccolo volume indipendente con annesso il vano tecnico per le attrezzature e i nuovi impianti. Al primo piano sarà collocato il vasto ambiente per le attività comuni degli studenti ricavato dalla chiusura del ballatoio di 400 mq attraverso l’ausilio di pareti vetrate continue in acciaio inox protette dall’irraggiamento grazie a una doppia facciata esterna in doghe di legno di larice orizzontali o verticali secondo le necessità di illuminazione degli spazi funzionali; al secondo piano è prevista, invece, una chiusura parziale del ballatoio per ottenere due aule di circa 250 mq di superficie. Le aule, arretrate rispetto al filo esterno del ballatoio consentiranno di mantenere il percorso anulare tra la vetrata ed il parapetto esterno per l’accesso degli studenti alle grandi aule esistenti.
SC01. Rappresentazione tridimensionale dello Student Center SC03. Assonometria schematica della facciata
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edificio residenziale picos _ 01 bari | via napol i 192 /194 L’edificio realizzato si compone di un piano terra con l’androne di accesso al vano scala, l’autorimessa passaggio per l’area scoperta interna destinata a parcheggio e dei piani 1°, 2°, 3° e 4°, collegati da un unico vano scala-ascensore, per complessivi 8 alloggi, due per piano ognuno dei quali affacciato su uno dei fronti. I due prospetti sono caratterizzati da un unico disegno segnato da cinque lesene verticali larghe 70 cm che compongono la partitura delle facciate e contengono, su via Napoli, l’ingresso pedonale, il varco carrabile, le finestre e le piccole logge degli alloggi di piccolo taglio e, sul prospetto interno, le ampie logge arretrate per le abitazioni più grandi a protezione di finestre altrimenti fortemente irraggiate per l’esposizione a mezzogiorno. I fronti si presentano quindi senza sporgenza alcuna dal filo del fabbricato, ciò mette in risalto le modanature e gli aggetti delle cornici e dei balconi degli edifici lungo la quinta stradale di via Napoli e, allo stesso modo, garantisce la privacy degli alloggi, evitando VN01. Particolare del basamento del fronte dell’edificio su via Napoli VN02. il prospetto inserito nella quinta stradale di via Napoli
l’introspezione dagli edifici prospicienti. La scansione regolare delle lesene interpreta inoltre la trama degli edifici classicisti declinando in modo ‘contemporaneo’ gli ordini architettonici che li caratterizzano e con essi questa parte della città di Bari.
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armando sichenze ina mac aione m a r i a i ta l i a i n s e t t i
apprendere nel progetto a costruire senza ostruire
Come probabilmente non tutti sanno con la Riforma delle università le Facoltà scompariranno. Resteranno solo i corsi universitari, collocati all’interno di Dipartimenti in cui è difficile immaginare come tutta l’attività culturale, oggi svolta dalle Facoltà riuscirà a trovare nuove forme organizzative o se invece prevarranno interessi di “ricerca” e professionalità, totalmente scissi dagli interessi (didattici) degli studenti e (sostenibili) dei territori. Comunque vadano le cose riteniamo che sia molto importante riuscire a prendere iniziative come questa di 3gA, se sono in grado di promuovere una cultura del confronto tra diverse università e di coinvolgere le cittadinanze attive (e passive) praticando quella “cultura di rete” da cui dipenderà la migliore “produzione culturale” di ogni città e persino la sua collocazione effettiva nel mondo. Di questi tempi, una vera “industria culturale” urbana non può più basarsi solo sulla produzione di grandi Eventi, che al pari degli intrattenimenti televisivi, svolgono funzioni an-estetizzanti (annullando ogni sensibilità) nei confronti delle popolazioni. Annientando anche la sensibilità allo scambio culturale. Per cui quando per esempio le amministrazioni pubbliche invitano grandi nomi, il Nobel o qualunque star di turno nei vari campi, compresi quelli dell’architettura, senza poi riuscire a portare i personaggi emergenti ad un confronto con le popolazioni, il vero evento culturale – quello della crescita culturale della popolazione - di fatto, nonostante le apparenze, non si produce e la gente assiste passiva, annichilita, stupita (o stupida?), ad una ricerca della spettacolarità invece che a una spettacolare ricerca comune in cui realmente può immergersi una creatività responsabile, interattiva,“pro-attivamente”, come ci sembra dicesse Nino Saggio. Perciò apprezziamo molto questa iniziativa sensibilizzante di 3gA. Con queste idee di fondo affrontiamo il tema della didattica. Ma non come insegnamento teorico del progetto. Vogliamo solo raccontare criticamente un’esperienza quarantennale di apprendimento ideativo, avvenuta durante il modo di procedere del
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progetto stesso. Questa è l’oggetto della nostra riflessione e questo l’atteggiamento. Ma di quale architetto stiamo parlando? Noi lavoriamo alla formazione di un architetto che si qualifica producendo lo spazio vuoto per COSTRUIRE, SENZA OSTRUIRE, il GRANDE NEL PICCOLO, in un orizzonte che si annuncia con forti discontinuità e con un metodo che quindi tratta l’architettura non come un sapere “tutto già saputo”, ma come un fenomeno. Ecco riassunto in poche righe il cosa, il chi, il come del nostro lavoro per la didattica. Orbene come si può tutto ciò per riflettere sui cambiamenti odierni e sulle molte differenze di diversi fenomeni progettuali? Stiamo allestendo un quadro comparativo, di circa 100 progetti, da noi ben conosciuti perché nostri (quindi narrabili), organizzato in 66 differenti concept delle idee di progetto, dove la trasmissione didattica, sempre accessibile dal Web, deve avvenire attraverso la scrittura dell’architettura. Questa è intesa come “costruzione scritta dello spazio” che transita durante l’elaborazione del pro(cesso-og)getto letto, ripensato e riscritto in chiave compositiva, producendo figure e immagini talvolta destinate a scomparire completamente nel disegno finale dell’opera, o tal altra non del tutto, lasciando solo alcune tracce di cose, di altri luoghi e tempi, di differenze di contenuto nei materiali, nelle luci e nei colori. Su questa base stiamo anche studiando una pratica interattiva dei procedimenti che consentirebbe agli studenti, messi in rete su Internet, di interloquire anche tra di loro, attraverso ri-scritture continue, ma a partire appunto da una prima base (i 100 progetti di cui sopra). Seguirà una fase di riapertura della ricerca in chiave di “costruzioni di Rete e di mondo”. Ma qui, per ragioni di brevità, dobbiamo fermarci. La sezione del nostro sito progettuale (www.unibas.it/utenti/sichenze/home.html) si apre con un ideo(dia)gramma indicante la spaccatura orizzontale della città che abbiamo conosciuto fino ai primi del Novecento. Questa frattura, che si determina nell’“epoca della riproducibilità tecnica” della seconda rivoluzione industriale, giungendo ormai al suo apice di crisi determina il maggior distacco delle città in costruzione dal supporto terrestre. Ciò significa che il taglio delle radici storiche e naturali, l’interruzione di un legame profondo con il senso valoriale delle archeologie, le separazioni che si determinano nei tempi stessi
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di ri-generazione della natura, insomma tutte le scissioni a catena che si producono con le crescite delle industrializzazioni provocano una frammentazione violenta delle unità e delle continuità armoniche tra le piccole e le grandi cose dell’umanità che quindi restano accessibili solo a pochi fortunati. In breve la serie di tagli, interruzioni, separazioni, scissioni, frammentazioni, fa emergere lo spazio vuoto di quel distacco tra i luoghi, nonché tra questi e gli spazi di futuro e di progetto, che solo il termine ETEROTOPIA riesce ad esprimere efficacemente. In senso negativo l’eterotopia corrisponde, nel territorio, a problemi emergenti e diffusi come la perdita dell’eredità storica o la dismissione di aree produttive (da quelle industriali alle estrattive), il degrado e la degenerazione della vita e dell’abitare, l’an-estetizzazione umana insieme allo spreco o all’assoluta mancanza di risorse naturali e ambientali, l’assenza di vision (strategiche) e di progetti culturalmente condivisi, ma soprattutto la sconnessione degli interventi urbani in grado di attraversare la crisi e creare valori aggiunti o di affrontare i problemi di grandi masse d’umanità. Da qui nasce una esigenza di progetto che posta nella realtà vissuta dei vuoti di discontinuità di questa immensa eterotopia, in cui vagano resti, macerie, rifiuti, scorie, frammenti, scarti, rovine e via dicendo. Da qui scaturiscono i temi d’intervento e le idee architettoniche di ridefinizione degli SPAZI VUOTI, in un quadro di sostenibilità, riconoscibili nell’articolazione mnemonica 10 R: Risanamento (e Riparazione), Riuso, Recupero, Risparmio, Riciclo, Rigenerazione (riferita non solo alla natura ma anche alla civiltà), Riqualificazione, riferita alla visione di una nuova qualità urbana nei processi di identificazione anche di aree e impianti dismessi. Questi vengono resi nuovamente riconoscibili, come parti necessarie di un paesaggio e di una Rimodellazione dei sistemi di riferimenti sperimentali per una più generale Riconversione ecologica. Perciò la città, anzitutto, se cambia è una città di Ripartenze. Una città-natura, diciamo noi. In sostanza le azioni consapevoli ed eticamente responsabili del fare-pensando-creando, si affidano ad operazioni di Recupero, Riuso e Riciclo, ma anzitutto in un quadro di Ripartenze e di Ri-generazioni che si esprimono a varie scale di intervento, in un ORIZZONTE DI CITTÀ-NATURA. Locuzione questa in cui riassumiamo quella che crediamo
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sia l’idea di città del nostro tempo, riferibile a una visione, impensabile u-topicamente nella sua interezza (in assoluta continuità di origine e destino) e che invece si compone di tanti inizi di città tramite alcune delle 10 R che nascono in molteplici siti urbani, ripensandosi insieme alla natura.
proget ti di cit tà Ogni concept qui può indicare un’infrastruttura che connette interventi in diverse aree di una città, ma anche rappresentare un modello di città oppure un progetto urbano unitario, talvolta riproponibile con variazioni, in altre situazioni analoghe. In riferimento a 10 R si tratta, in ogni caso, di fenomeni da cui emergono idee sui caratteri dell’architettura per la città. Per cui ognuno di questi “progetti di città” propone una fenomenologia progettuale che apprende a relazionare la natura con la città. Ciò avviene tramite le 10 condizioni di apparizione fenomenica di tutto ciò che fa grande la città come RICCHEZZA connettiva che si rende riconoscibile come tale nelle seguenti qualità urbane: domesticità, naturalità, insularità, centralità, topicità, coesistenzialità, temporalità, inizialità, paesisticità e rappresentatività.
composizione di edifici per l a riqualific a zione urbana Qui si affronta il rapporto tra architettura e urbanistica, nella composizione di più edifici, ma a partire dalla riduzione ad una scala planovolumetrica di una medesima area. In questa si tratta di scoprire di volta in volta la natura dello spazio vuoto, aperto come un limite comune tra più edifici. Uno spazio che, quando si attraversa, talvolta provoca l’incontro come nella “traslimitazione” di una frontiera. Si producono così quei luoghi tipici, come le strade e le piazze, in cui sembra che la città prenda di volta in volta inizio con una sua originalità, incontrando il paesaggio, o anche le presenze forti e visibili della natura, del tempo, dell’umanità nella sua cultura di ricchezza e differenza che si rappresenta nel bene comune.
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composizioni complesse riferite ad un edificio con principi di cit tà Talvolta un solo edificio può contenere quella complessità progettuale di diversi punti di vista che genera un nuovo inizio di città. E la città del nostro tempo sembra ricominciare di nuovo in ogni punto del suo spazio proponendoci una sorta di eco-minimum di città-natura. In questo si vuol tenere conto sia delle identità stabili quanto del variare degli ingredienti della natura, dei luoghi caratterizzanti della città, dello scambio tra diverse coesistenzialità, del modo di esprimere il rapporto tra le tre figure del tempo (ciclico, scopico, escatologico), della necessità d’inserirsi nel paesaggio e in determinati sistemi di rappresentazione.
composizioni riqualific ative con principi rigener ativi Qui troviamo piccole costruzioni integralmente nuove, per lo più residenziali, con una riconoscibile identità di luogo. Dove la composizione è la manifestazione di una mente che vuole rigenerarsi, esprimendo la bellezza e l’intelligenza del costruire, in una tecnica del fare che legge lo spazio. Ciò può avvenire anche nella creazione di un vuoto sul limite. Questo del resto è un primo modo per mettere il grande nel piccolo, l’esterno lontano nel piccolo più vicino, l’Altro, apparentemente più estraneo e differente, in una realtà intesa come componente essenziale di una identità più ricca.
composizioni in edifici preesistenti Nella ristrutturazione di spazi dentro edifici esistenti la composizione architettonica ha il compito fondamentale di “fare spazio”, di svuotare e liberare le preesistenze abitative, per conquistare un nuovo senso di attraversamento della contemporaneità nel vivere il nostro “spazio-tempo”. Ma così facendo si avverte lo spessore dello “spazio del tempo”, nelle sue differenze, “creando” uno spazio che prima non c’era. Uno spazio che i progetti migliori percepiscono nella contemporaneità di diverse figure come: 1) il tempo ciclico della natura, 2) il tempo “scopico” degli scopi delle attività da svolgere, 3) il tempo lungo escatologico (del sacro), non necessariamente di natura religiosa. Così le cose dello spazio ci indicano,
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nella cultura della casa soprattutto, le tracce, le traiettorie e i tracciati delle istituzioni umane, della ciclicità della natura, della vita e del paesaggio. E poi sono tanto le funzionalità immediate che i simboli delle aspirazioni a spingersi oltre le immediatezze, per entrare nelle grandezze del mondo, della città, della storia (nel senso di una ereditarietà) e persino della scienza e della religione.
c o m p o s i z i o n i b i o c o s t r u t t i v e e /o e c o v e g e tat i v e La biocostruzione si fonda anzitutto su un’idea ri-generativa insita nella natura. Perciò nel pro(cesso-og)getto si pensa prima di tutto a comporre nello spazio la presenza di elementi della natura, in quanto oggetti che ci stanno di fronte o intorno: il sole, l’acqua, il vento, la terra, con il loro agire secondo processi rigenerativi (per esempio il soleggiamento, la pluviazione, l’aerazione, la vegetazione ecc.) nelle risorse naturali. In questa idea del pro(cesso-og)getto si compongono cose e oggetti che contengono una massa naturale messa in blocchi e spessori di “costruzione-natura” dove possono essere contenuti il terreno, la vegetazione, l’areazione, l’acqua, il vuoto luminoso e/o areato, le pannellature solari e qualunque altro dispositivo o altra entità abbia un rapporto rigenerativo o cumulativo rispetto alla natura. Ma il “capitale della natura” si esprime anche in quegli spessori delle entità naturali che sono per esempio terrapieni, basamenti, recinti, gruppi di alberi, piscine, pozzi, forni, cisterne ecc. Così nell’architettura il “pieno naturale” entra in composizione con gli spazi più vuoti dell’abitare.
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e s p e r i m e n t i d i d a t t i c i s u l l’ a b i t a r e : l e c o s t r u z i o n i a s c h i e r a Il tema dell’abitare ha sempre costituito nell’ambito della didattica delle Facoltà di Architettura un campo di ricerca centrale e irrinunciabile per lo studio, l’indagine, la sperimentazione delle questioni essenziali che caratterizzano il territorio dell’architettura. Ciò è sempre avvenuto in maniera trasversale rispetto alle varie discipline di insegnamento, dalla composizione alla progettazione architettonica, dalla teoria dell’architettura al design; ma è nel settore della tecnologia che il tema dell’abitare diviene oggi particolarmente importante in virtù dell’affermarsi sempre più insistente del concetto di “sostenibilità” e di “risparmio energetico” con cui il mondo delle costruzioni si trova a doversi necessariamente confrontare. La presa di coscienza dell’emergenza energetico/ambientale è diventata un vero e proprio imperativo per ogni trasformazione sul territorio e ciò ha determinato una corsa verso la codificazione legislativa e normativa da un lato e verso la definizione di cataloghi di soluzioni tecniche dall’altro. In questo quadro, il ruolo della sperimentazione didattica (in particolare nel campo della tecnologia) diviene fondamentale per contribuire a mantenere il baricentro delle decisioni progettuali all’interno del territorio dell’architettura ed evitare che queste possano essere subordinate alle scelte di natura tecnica imposte dall’industria delle costruzioni. Al margine della possibilità di codificare e discutere concetti generali che prescindano dalle specificità tipologiche delle singole costruzioni, mi interessa in questa sede concentrare la riflessione sul caso delle costruzioni a schiera che rappresentano, seppur nella loro possibile ibridazione con il tipo “a patio”, un interessante campo d’indagine nel quale individuare plausibili soluzioni al problema del rapporto tra tettonica e tecnologia nell’abitare attraverso la definizione di alcuni principi fondamentali: Recupero del rapporto fra costruzione e contesto climatico; Aggiornamento costruttivo del modello mediterraneo; Definizione e sperimentazione sulla costruzione compatta a schiera;
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il recupero del r apporto fr a costruzione e contesto climatico Il rapporto tra costruzione e contesto è il legame tra la forma costruita e le caratteristiche ambientali in cui essa sorge, attraverso un progetto di architettura che sia concepito come operazione tettonica fondata sul rispetto delle caratteristiche climatiche naturali e non sull’opposizione o sull’indifferenza rispetto ad esse. Gli effetti del calore e della luce del sole, dell’aria, del vento, ecc. condizionano fortemente sia il comfort abitativo sia il ciclo di vita di un edificio (dalla sua costruzione fino alla sua gestione) pertanto le scelte relative all’orientamento, ai materiali, alle bucature, ai sistemi costruttivi, ecc. sono considerati estranei solo ad una idea di forma intesa come fine a se stessa. Nella concezione, invece, di un’architettura quale arte del costruire non si può prescindere dalle caratteristiche ambientali e in questo senso il già citato concetto di sostenibilità non è affatto nuovo ma da sempre insito nella natura stessa della disciplina: la forma architettonica acquisisce valore proprio nella sua capacità di essere permeabile alle diverse specificità e tipicità dei luoghi; una forma basata sulla semplicità volumetrica, tipicamente mediterranea, e sul valore della “differenziazione”, contrapposta all’attuale tendenza all’omologazione che confonde l’estetica con l’immagine esteriore.
aggiornamento costrut tivo del modello mediterraneo Lo sviluppo tecnologico avvenuto negli ultimi decenni, nei suoi effetti sul mondo delle costruzioni, ha sostituito i modelli costruttivi tradizionali basati sulle specificità delle risorse locali (climatiche, tecniche, materiche, ecc.) con modelli “universali” generalmente tarati sulle esigenze dei paesi più avanzati (Germania, USA, Canada): la conseguenza sui paesi di area mediterranea è che l’impiego dell’una o dell’altra soluzione avviene ormai in modo sempre meno critico e sempre più legato a sistemi d’importazione validi a prescindere dalle specificità del singolo edificio. Reyner Banham (1922-1988), studioso e teorico dell’architettura, nel suo libro “The Architecture of the Well-Tempered Environment” (Londra, 1969) riassume le possibili
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relazioni tra l’impiego di tecnologie (tradizionali o innovative) e lo sfruttamento degli elementi naturali del contesto codificando quattro tipologie di modelli energetici: conservativo, selettivo, rigenerativo e bioclimatico. Il modello conservativo, adatto per climi molto freddi e/o molto caldi, si basa sull’ impiego di volumi compatti a grandi masse murarie di ampio spessore e poche misurate bucature. Il modello selettivo, adatto per climi tropicali con elevata umidità relativa, ventilazione e soleggiamento, si basa sull’impiego di elementi costruttivi e architettonici che “selezionano”, cioè filtrano il passaggio delle condizioni climatiche verso l’interno. Il modello rigenerativo, adatto per qualsiasi clima, si basa sull’impiego di dispositivi tecnologico-impiantistici che riproducono artificialmente le condizioni termiche ed igrometriche all’interno degli ambienti. Il modello bioclimatico, adatto anch’esso per qualsiasi contesto climatico, al contrario del precedente è basato sulla completa armonia tra costruzione e contesto, ottenibile attraverso opportune scelte progettuali (in relazione all’orientamento, alla distribuzione degli spazi, alla scelta dei materiali, all’articolazione dei volumi) legate e vincolate alle caratteristiche ambientali e climatiche del contesto. Le costruzioni in area mediterranea sono sempre state caratterizzate da un modello di tipo prevalentemente conservativo; oggi, la reinterpretazione delle caratteristiche architettonico-costruttive della tradizione mediterranea unita alla concreta necessità di applicare un modello di funzionamento passivo degli edifici ci porta a concepire la costruzione architettonica come risultante di un insieme di soluzioni (principalmente formali e tettoniche ma anche impiantistiche) che aumentino l’efficienza del comportamento energetico ambientale e al contempo riducano le emissioni nell’intero ciclo di vita dell’edificio. Per ciò che attiene la scelta dei materiali, l’aggiornamento del modello costruttivo mediterraneo passa attraverso le seguenti strategie: Innovatività, sia rispetto alla tradizione costruttiva che alle attuali potenzialità tecnologiche e tecniche;
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Congruenza rispetto alle dimensioni dell’edificio e alle sue reali necessità staticostrutturali e di protezione dagli agenti atmosferici; Bassa deperibilità e basso impatto ambientale, in accordo con la a-temporalità caratteristica delle costruzioni della tradizione culturale mediterranea.
defini zione e sperimenta zione sull a costruzione compat ta a schiera La costruzione “compatta” è una costruzione caratterizzata da un basso rapporto tra superfici disperdenti e volume complessivo e basata sul principio per il quale si può ottenere la massima efficienza energetica agendo principalmente sul controllo della sua forma, senza necessariamente dipendere esclusivamente da dispositivi impiantistici. L’attività didattica del Laboratorio di Costruzione 1B1 della Facoltà di Architettura di Bari sviluppa un’esperienza progettuale che, partendo dall’analisi delle specificità del contesto geografico mediterraneo, cerca di codificare plausibili risposte al problema della costruzione residenziale attraverso l’applicazione dei principi della compattezza ad un piccolo organismo residenziale a schiera. Viene definito un modello di unità residenziale che, in deroga dimensionale rispetto al tipo tradizionale, sia inscrivibile in un lotto di 8x12 metri e in cui venga inserito un patio, centrale, frontale o retrostante. Il patio, anch’esso presente nella cultura costruttiva mediterranea (si pensi alla domus romana o al recinto islamico) ibrida la tipologia a schiera e la fonde con il tipo a corte, permettendo di creare uno spazio attorno a cui articolare secondo libere ma ragionate configurazioni gli ambienti della casa e le soluzioni di carattere costruttivo e formale.
1 Il Laboratorio di Costruzione dell’Architettura 1B è composto dal corso di Progettazione di Sistemi Costruttivi (Prof. Spartaco Paris) e dal corso di Progettazione Esecutiva dell’Architettura (Prof. Vincenzo P. Bagnato). I progetti illustrati in questo scritto costituiscono una selezione dei lavori prodotti dagli studenti durante l’A.A. 2010/2011.
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Dal punto di vista funzionale e dimensionale, il modello residenziale di riferimento viene strutturato su due livelli (altezza pari a 6,70 m) all’interno di uno spazio a pianta rettangolare compreso tra due muri paralleli longitudinali lunghi 12 m. La sezione trasversale viene divisa in tre fasce: la prima contenente gli spazi di servizio e/o la struttura di collegamento verticale (2,5 m), la seconda l’ambito di attraversamento longitudinale (1,5 m) e l’ultima uno degli ambienti principali (4 m), per un totale di 8 metri di larghezza. Il pianterreno è strutturato come unico grande spazio sostanzialmente privo di divisioni interne; la zona notte, al livello superiore, è composta da due camere da letto che hanno la possibilità di essere orientate o una verso est e l’altra verso ovest, oppure, in virtù della presenza del patio, entrambe verso est o verso ovest. Dal punto di vista costruttivo, la misura degli 8 metri impone l’interruzione della luce tra i due muri ad una distanza che può variare in base alla posizione del patio o della scala rispetto agli altri ambienti della casa: ciò consente da un lato la massima riduzione nella dimensione degli elementi costruttivi (sostegni, orizzontamenti, ecc.) e dall’altro la possibilità di “progettare” e quindi prevedere il massimo grado di semplificazione in una ipotetica cantierizzazione. I muri paralleli longitudinali possono essere considerati come non disperdenti perché di confine tra due ambienti riscaldati (le unità residenziali contigue), il che implica la possibilità di limitare le dispersioni in inverno e aumentare il raffrescamento d’estate, attraverso la ventilazione naturale. Le condizioni ottimali di illuminazione, apparentemente più difficili da ottenere in una casa a schiera compatta seppur orientata sull’asse est-ovest, possono essere regolate dalla libertà nella definizione del sistema delle bucature (da concentrare sui lati corti della casa) e dalla presenza del patio. I muri paralleli longitudinali, il patio e il sistema di interruzione strutturale sono elementi che possono essere considerati “invarianti” su cui articolare le risposte a tre temi fondamentali:
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La “campata”, cioè lo spazio compreso tra due elementi strutturali portanti che sottende a determinati vincoli statici in relazione al sistema costruttivo scelto; I “nodi tettonici”, cioè le connessioni e le discontinuità tra strutture verticali e orizzontali o tra muri e bucature, la tessitura muraria degli alzati, gli elementi di collegamento verticale; Il “muro” e l’”involucro”, in relazione al sistema costruttivo, sia esso continuo o discontinuo, e come elementi di rapporto tra interno ed esterno. A questi temi si aggiunge la possibilità di definire un abaco di elementi architettonici (frangisole, persiane, pensiline, corpi aggettanti, rientranze, balconi, logge, diaframmi, ecc.), recuperabili e innovabili rispetto ai caratteri tradizionali consolidati, che individuino le specificità di ogni singolo esito progettuale. Il risultato dell’attività del progetto, a volte tendente verso un pastiche linguistico di matrice organica e a volte verso un’ idea di montaggio basata sulla riconoscibilità degli elementi costruttivi rispetto al sistema, rappresenta nel suo complesso un riesame critico del rapporto tra congruenza tettonica e correttezza tecnica, tra etica morfologico-formale e opportunità delle soluzioni tecnologiche.
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Walter Gropius, Minimalwohnung. Studio delle combinazioni sull’alloggio minimo, 1923.
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Progetto di una casa a schiera su un lotto di 8 x 12 m. Modelli di studio. Studenti: Greta Torsello, Erika Viterbo
Progetto di casa a schiera su un lotto di 8 x 12 m. Modelli di studio, piante e spaccato assonometrico. Studenti: Elisabetta Liuzzi, Beatrice Messa
Progetto di una casa a schiera su un lotto di 8 x 12 m. Modello di studio. Studenti: Francesca Papa, Maura Pinto.
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Progetto di casa a schiera su un lotto di 8 x 12 m. Modelli di studio, piante e spaccato assonometrico. Studenti: Elisabetta Liuzzi, Beatrice Messa
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Progetto di una casa a schiera su un lotto di 8 x 12 m. Spaccato assonometrico. Studenti: Alessandro Marotta, Nicola Sinisi.
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qua lità a rchitet tonic a , a rchitet tur a e didat tic a , r e a ltà l o c a l e e s v i l u p p i f u t u r i La mia relazione vuole rappresentare un ideale ponte di collegamento tra la didattica universitaria e la professione dell’architetto sulla base della mia decennale esperienza come libero professionista da un lato, per aver ospitato come tirocinanti all’interno del mio studio diversi laureandi e laureati, e dall’altro come collaboratore alla didattica per quattro anni e correlatore di alcune tesi di laurea all’interno del Corso di Laurea in Architettura degli Interni presso l’Università di Roma – Valle Giulia. In particolare mi preme soffermarmi su quanto ho cercato di trasmettere in qualità di docente e di datore di lavoro ai ragazzi e su cosa ho potuto osservare negli studenti alle prese con le prime esperienze della professione di architetto. Per quanto riguarda il primo punto, il mio impegno è sempre stato quello di far capire agli studenti l’importanza di costruire, passo dopo passo, un proprio metodo di approccio alla progettazione ossia un itinerario che si basa su poche ma significative regole basilari per poter accostarsi alla progettazione senza la paura del foglio bianco e con la consapevolezza che i vincoli sono allo stesso tempo stimolo e guida per indirizzare il progetto verso la piena soddisfazione delle necessità del cliente e della, altrettanto fondamentale, soddisfazione dell’ambizione dell’architetto. Tale convinzione trova origine nella mia esperienza formativa in cui era a me evidente come raramente i corsi universitari insegnassero un percorso progettuale preferendo il bel disegno o la soluzione più accattivante ma spesso carente negli aspetti tecnologici, costruttivi, di relazione con l’intorno, di capacità di prefigurare uno scenario futuro. Partendo da tali considerazioni ho preferito dedicare il momento conclusivo della mia esperienza universitaria, ovvero la tesi di laurea, proprio alla ricerca di un metodo per progettare, partendo da una situazione specifica a me ben nota e cercando di affrontare
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il tema della trasformazione urbana partendo dalla scala metropolitana fino ad arrivare a quella del dettaglio architettonico. È stato sicuramente un cammino lento e faticoso ma, ritengo ad oggi, di aver potuto così individuare alcune invarianti che mi tornano sempre utili nella quotidianità della professione che svolgo. Mi riferisco in particolare alla necessità di svolgere una analisi dettagliata del luogo in cui siamo chiamati ad intervenire sia in termini di presenze fisiche che di vocazioni e potenzialità; alla ricerca della dimensione temporale come criterio per guardare all’opera di architettura; alla complementarietà delle discipline e quindi alla necessità di collaborare con professionisti diversi; alla consapevolezza che il progetto di architettura a qualsiasi scala modifica le relazioni sociali tra le persone e che, pertanto, va compreso e pensato anche in relazione a queste ultime. È per queste ragioni che ogni mio intervento, riuscito o meno, è sempre improntato ad un desiderio di relazionarmi con il committente e di sviscerare insieme a lui tutte le implicazioni dell’opera nel momento della realizzazione e in scenari di più lungo periodo. Per quanto riguarda il secondo punto, ossia osservare come si avvicinano alla professione gli studenti, le considerazioni che ho fatto hanno confermato da un lato la grande distanza che ancora esiste tra la didattica e la professione in termini di lacune dei processi gestionali del progetto, di non conoscenza di strumenti necessari per la professione quali computistica e tecniche costruttive e dall’altro come le ambizioni dello studente alle prese con un’opera da realizzare spesso vengono sminuite proprio dalla scarsa conoscenza di strumenti per poterle attuare e dalla paura di osare per adeguarsi a quello che la pratica quotidiana ci presenta. Ritengo quindi di primaria importanza per un giovane laureato avere occasioni di formazione continua presso studi professionali o all’interno delle Pubbliche Amministrazioni attraverso il tirocinio inteso come possibilità per lo studente di verificare le proprie conoscenze e di metterle alla prova con il fare architettura, all’interno dei meccanismi che ben conosciamo per cui la qualità del progetto è diventata un elemento del tutto estraneo alle dinamiche del costruire a scapito di criteri, pur importanti ma non
cl audio colombo - architet tur a e didat tic a universitaria . esperien ze form ative e metodologie a confronto
esaustivi, quali il rispetto delle normative, i vincoli spesso mortificanti di tempi e costi. Sarebbe opportuno che gli ordini professionali e i singoli professionisti fossero più determinati a rimettere al centro della discussione l’importanza del progetto e della qualità architettonica garantendo i giusti tempi e modalità per la redazione dei progetti. La mia esperienza professionale insegna che allo stato delle cose la qualità architettonica è una condizione che il professionista, se lo vuole, deve caricarsi interamente sulle proprie spalle sapendo che all’Amministrazione interessa quasi nulla, preoccupata com’è di avere le carte a posto e di non voler affrontare alcun tipo di problema. Mi permetto di mostrare qualche intervento realizzato dal mio studio, con il pudore necessario e assolutamente certo che tanti avrebbero potuto fare meglio o diversamente, solo per cercare di far comprendere meglio la mia posizione circa la qualità architettonica. Si tratta nella quasi totalità dei casi di piccoli interventi realizzati con fondi pubblici allo scopo di dotare dei piccoli centri urbani di strutture più consone alle necessità della popolazione o di rivitalizzare dei luoghi da tempo in stati di quasi abbandono. Mi fa piacere mostrare sempre un’immagine dello stato di fatto ed una dello stato finale allo scopo di dimostrare come interventi anche di piccola entità ma attentamente studiati, progettati e diretti possono restituire dignità a luoghi e situazioni che meritano più di quello a cui si sono tristemente abituati. Voglio precisare che tali interventi si sono sempre realizzati all’interno dei finanziamenti ricevuti e che i riconoscimenti che più mi hanno reso soddisfatto sono quelli delle persone che hanno potuto fruire degli spazi così realizzati. Attraverso la presentazione di questi interventi colgo l’occasione per ritornare ai principi basilari della mia relazione e sui quali si incentra la “Tre Giorni di Architettura”, ovvero quelli di “qualità architettonica”, “architettura e didattica”, “realtà locale e sviluppi futuri”. Trovo che il concetto di qualità architettonica sia un criterio difficilmente misurabile con strumenti e parametri tecnici o desunto da normative. Piuttosto, ritengo che la qualità di un opera di architettura la si dovrebbe misurare con il grado di felicità di chi quell’opera la vive, la abita o la frequenta e che questa felicità è il risultato che più va perseguito se
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Restauro conservativo, risanamento e ristrutturazione di un centro civico Comune di Sonnino (Lt).
vogliamo che la gente si riappropri del territorio e lo intenda non come bene di nessuno ma come bene di tutti, cioè anche mio e possa quindi incidere positivamente sulle scelte che l’Amministrazione porta avanti riguardo alla realtà locale e agli scenari che si immaginano
Adeguamento, ristrutturazione ed integrazione delle opere esistenti della Parrocchia S. Luca – Latina
per tale realtà. Per quanto riguarda il tema dell’architettura e didattica di cui mi sono occupato all’inizio vorrei chiudere con una citazione di un autore di fine ottocento, Arthur Conan Doyle, che scherzando aveva detto: “Come faccio a far capire a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra, sto lavorando?” A questa io aggiungo: “Come faccio a far accettare a mia moglie che quando torno a casa sporco di calce è perchè sto lavorando?” Ecco, credo che il lavoro dell’architetto sia un continuo muoversi avanti e indietro tra questi due interrogativi.
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Ristrutturazione ed adeguamento liturgico della chiesa Maria Immacolata – B.go Carso (LT) Ampliamento e ristrutturazione della casa della parrocchia S. Francesco d’Assisi – B.go Bainsizza (LT)
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partec ipa zion e L’architettura è troppo importante per essere lasciata agli architetti. Giancarlo De Carlo, 1969
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m a rgherita colonn a pre sidente is tit u to na zionale di bioarchite t t ur a - sezione b ari
e c o s o s t e n i b i l i tà e b i o c o m p a t i b i l i tà i n p u g l i a : u n a s f i d a p o s s i b i l e La Bioarchitettura è una visione olistica dell’architettura che obbliga a scoprire con rinnovata sensibilità la continuità con la storia, le tradizioni, il paesaggio, attraverso le nuove consapevolezze della ecosostenibilità e della biocompatibilità. Può essere definito ecosostenibile qualsiasi materiale, prodotto, attività o processo che nel suo divenire continuo mantenga inalterate le regole a fondamento della realtà ecosistemica in cui si trova ad essere, “consentendo alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la capacità delle future di fare altrettanto…” (Rapporto Brundtland, 1987). Un edificio ecosostenibile, pertanto, è necessariamente efficiente dal punto di vista energetico ed è costruito con materiali reperiti senza inutili sprechi energetici (esempio: per trasporto), facilmente re-integrabili una volta dismesso, così da non provocare alterazioni “quantitative” della capacità di carico dell’ecosistema in cui si trova. Può essere definito biocompatibile qualsiasi materiale, prodotto, attività o processo che nel suo divenire continuo non provochi alterazioni alla normale esistenza delle componenti biotiche dell’ecosistema con cui si trova ad interagire. Un edificio biocompatibile, quindi, durante il suo ciclo di vita (dalla fase di progettazione a quella di dismissione) non produce alterazioni negative sulla “qualità” di vita dei viventi con cui si troverà ad interagire, in termini di energia e materia, mediante emissioni di diversa natura fisica, per lo più gassose. Ecosostenibilità e biocompatibilità hanno permeato da sempre la produzione architettonica di ogni luogo. Tuttavia nell’ultimo secolo, per una serie di ragioni che in questa sede non approfondiremo, l’architettura ha progressivamente perduto il senso di “appartenenza” a un preciso contesto, fino a raggiungere una totale autonomia rispetto all’ambiente naturale. L’architettura che nasce indipendentemente dal clima, e ignora i concetti di
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ecosostenibilità e biocompatibilità, non può risultare che disarmonica e carente. È pertanto necessario recuperare all’interno del processo progettuale l’idea di edificio come regolatore ambientale, trasferendo gran parte delle funzioni energetiche dall’impianto all’edificio stesso. Ciò comporta che siano ottimizzate le caratteristiche intrinseche dell’edificio, attraverso un’attenta valutazione dell’orientazione, della forma, del rapporto superficie volume, del posizionamento e dimensionamento delle aperture, della scelta dei materiali, dell’inserimento di componenti solari passivi. Solo in ultima analisi si definiranno gli aspetti legati all’efficienza energetica degli impianti e l’eventuale presenza di sistemi per lo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili. La scarsa diffusione di tali qualità dell’architettura nel territorio pugliese, pertanto, può essere ascritta prevalentemente a due ordini di problemi: il timore che soluzioni architettoniche ecosostenibili e biocompatibili comportino dei costi aggiuntivi (in contrasto con una prassi costruttiva votata al massimo risparmio economico); insufficienti competenze tecnologiche da parte degli esecutori e, di conseguenza, timore, da parte degli stessi, nello sperimentare soluzioni innovative. Le più recenti disposizioni normative nazionali e regionali stanno contribuendo alla diffusione di nuove prassi costruttive, soprattutto per quello che concerne gli aspetti legati al risparmio energetico. La legge regionale “Norme per l’abitare sostenibile” (n. 13 del 2008) rappresenta il principale punto di riferimento per promuovere e incentivare la sostenibilità ambientale sia nelle trasformazioni territoriali e urbane, sia nella realizzazione delle opere edilizie. Essa stabilisce, fra le altre cose, che per gli interventi di edilizia sostenibile che rispondono ai requisiti fissati dal Protocollo ITACA Puglia e raggiungono almeno il livello di prestazione 1 (in base al Sistema di Valutazione approvato con deliberazione GR 1471/2009 ed integrato con deliberazione GR 2272/2009), i Comuni, dopo aver provveduto con apposita deliberazione a graduare gli incentivi, possono prevedere: • Riduzioni dell’ICI e di altre imposte comunali, degli oneri di urbanizzazione secondaria o del costo di costruzione in misura crescente in base al livello di sostenibilità ottenuto;
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• Incrementi fino al 10% del massimo volume consentito dagli strumenti urbanistici vigenti al netto delle murature, per interventi di nuova costruzione, ampliamento, sostituzione e ristrutturazione degli edifici esistenti. In assenza della graduazione degli incentivi da parte dei comuni è possibile usufruire del 10% di incremento della volumetria realizzabile (massimo incentivo previsto) se si raggiunge almeno il livello 3 di sostenibilità, corrispondente a un notevole miglioramento della prestazione rispetto ai regolamenti edilizi vigenti. Altro dispositivo normativo che ha in parte contribuito alla diffusione della sostenibilità in edilizia è la L.R. n.14/2009 e ss.mm.ii. che prevedeva incentivi previo raggiungimento del Livello 2 del Sistema di Valutazione di Sostenibilità (Protocollo ITACA Puglia): “Al fine di migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente sono ammessi interventi di demolizione e ricostruzione di edifici destinati a residenza almeno in misura pari al 75% della volumetria complessiva, con realizzazione di un aumento di volumetria sino al 35% di quella legittimamente esistente a condizione che la ricostruzione venga realizzata secondo i criteri di edilizia sostenibile nel rispetto delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici” (L.R. n.14/2009, art.4). L’edilizia sostenibile è una opportunità che il sistema delle costruzioni non può perdere in termini di investimento poiché è evidente che una costruzione di tale natura - oltre a rappresentare un nuovo modello produttivo - possa determinare in apparenza maggiori costi nelle fasi della progettazione e realizzazione, ma altrettanto evidenti sono i maggiori benefici sia in termini economici, ambientali e di qualità della vita che si riscontreranno per tutta la vita dell’opera. In conclusione, gli strumenti di legge attualmente presenti in Puglia permettono di stabilire, secondo un protocollo certificato, l’effettiva sostenibilità dell’intervento, inoltre i parametri premiali, se applicati già in fase di progettazione permettono un sostanziale rientro dell’investimento. Costruire sostenibile diventa, inoltre, un ottimo biglietto da visita… uno spot promozionale tramite il quale si rende noto quel salto di qualità e di innovazione che si è scelto di fare per non rimanere fuori dalla logica del mercato. Quando lo strumento funziona e viene applicato rigorosamente vi sono vantaggi per tutti gli attori del processo…
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Enti pubblici: 1. avvio di una politica energetica efficiente e responsabile 2. punto di riferimento per un’edilizia virtuosa 3. trasmissione di un segnale importante ai cittadini Cittadini: 1. conoscere il livello di efficienza dell’abitazione, apprendendo in anticipo i consumi, permette di prevedere i futuri costi di gestione (risparmio) 2. comfort abitativo 3. efficienza coincide con maggiore Valore immobiliare Progettisti: 1.Creazione di nuove figure professionali 2. impulso ad una maggiore qualità progettuale 3. progettazione partecipata Imprese: 1. marketing- ritorno di immagine e di investimento iniziale 2. le certificazioni aiutano l’acquirente ad orientarsi nel mercato edilizio scegliendo gli edifici più efficienti dal punto di vista energetico-ambientale.
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biagio maiull ari ingegnere d i r i g e n t e d e l s e t t o r e l a v o r i p u b b l i c i - c o m u n e d i a lt a m u r a
Per quanto riguarda le attività di realizzazione di opere pubbliche da parte dell’Amministrazione Comunale di Altamura si può certamente affermare che con l’assunzione negli ultimi anni di professionalità tecniche adeguate (nel senso di figure tecniche laureate) anche la fase relativa alla progettazione ha subito un notevole incremento dal punto di vista della qualità architettonica, strutturale e impiantistica assumendo atteggiamenti nuovi (nel senso di applicazione di nuovi sistemi costruttuvi) e soprattutto piu’ attenti all’utilizzo di nuove tecnologie e fonti energetiche. Stesso atteggiamento innovativo e profondamente diverso dal passato è stato “trasferito” all’esterno ossia nel caso di attività di progettazione affidate a tecnici esterni forti della consapevolezza che “all’esterno” sono piu’ preparati e formati sulle nuove frontiere dell’architettura sotto piu’ aspetti (urbanistici, ambientali, architettonici ecc.)… Non sempre è cosi’… A tal proposito voglio ricordare alcune delle utime opere pubbliche progettate da tecnici esterni associati con l’impresa aggiudicataria sulla base del progetto preliminare redatto dagli uffici del vi settore ll .Pp. Quali: la ristrutturazione dell’ex monastero di s. Croce e la ristrutturazione della rimanente parte del complesso dell’ex mattaoio comunale, entrambe finanziate nell’ambito del p.O. Fesr 2007/2013 area vasta la città murgiana. Tali opere rappresentano un elevato risultato della qualità architettonica (recupero architettonico) con ultilizzo di componenti tecnologiche all’avanguradia nel rispetto delle esigenze ambientali e del contesto urbanistico in cui sono ubicati gli immobili e della conservazione dei materiali e delle tradizioni costruttive. Rappresentano esempi di “buona architettura” Anche nel campo specifico dell’applicazione di sistemi energetici innovati la realizzazione,
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di oo.Pp. ha subito un buon incremento progettando opere, ammesse a finanziamento regionale, che prevedono la realizzazione di sistemi in pannelli fotovoltaici sulle coperture piane di alcuni edifici scolastici per soddisfare il fabbisogno energetico delle strutture interessate. Qui si ricorda in particolare quella da realizzare sulla scuola materna Tagliaferri in via Minniti. Altro esempio di attenzione alla qualità architettonica nel senso di utilizzo di materiali nuovi e diversi dal passato è quello della realizzazione delle coperture delle cupole (palazzetti dello sport) di via Manzoni e via Piccinni con tegole in zinco titanio su struttura autoportante in modo da non interessare la struttura portante originaria a cupola. Lo stesso intervento prevede la realizzazione di pensiline fotovoltaiche portate da struttura indipendente di forma ad arco di cerchio aderente alla struttura della cupola. Un buon esempio di adeguamento di strutture obsolete utilizzando componenti innovativi. Questi esempi non significano che il sistema di realizzazione di opere pubbliche nel nostro ente sia all’avangiardia o che sia una costante ma rappresentano dei piccoli passi verso una nuovo modo di concepire l’opera pubblica attenta anche alle nuove metodologie e sistemi costruttivi e nel campo del restauro anche con riproposizione di sistemi e materiali tradizionali. A ciò bisogna aggiungere e ricordare che nella maggior parte dei casi (quasi sempre) la realizzazione di un’opera pubblica, che nasce per soddisfare eseginze e/o obiettivi pubblici, è sempre limitata e condizionata dal bilancio comunale o dalla possibilità di accedere ad un finanziamento comunitario e/o regionale che comunque prevede un cofinanziamento a carico dello stesso bilancio comunale. La qualità di un’opera soprattutto pubblica dipende fortemente dal budget a disposizione. Altro concetto da evidenziare è quello che nel caso di realizzazione di un’opera pubblica la scelta di chi poi deve materialemnte mettere in atto il “progetto di costruzione dell’opera” non può essere libera ma è fortemente condizionata dalla gara d’appalto. La qualità dell’opera dipende fortemente da chi poi la esegue. Lo sforzo enorme a cui sono sottoposti gli uffici tecnici dell’amministrazione è quello del controllo dei materiali e della corretta esecuzione che in molti casi lascia a desisderare proprio per il vecchio concetto di opera
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pubblica – l’importante è farla- senza poi preoccuparsi dei costi di gestione, del mantenimento dell’opera e del degrado che ne subirà. Eseguire un’opera che minimizzi i costi della futura gestione rappresenta un importante fattore della qualità dell’opera stessa. Molto è ancora da fare soprattutto nella formazione del personale tecnico al fine di allaragare la visione delle nuove frontiere dell’architettura applicata al sistema di realizzazione delle opere pubbliche. A mio modesto parere bisogna fare molto anche per scardinare dalla mentalità di tecnici e imprese e soprattutto degli amministratori il legame, consolidato, alle vecchie tecniche costruttive (quelle conosciute), dovuto anche ad un certo timore del nuovo. Attenzione….. Non voglio dire tecniche tradizionali che soprattutto nell’arte del recupero e ristrutturazione rappresentano un altro sistema fortemente qualitatitivo. Questo è possibile con iniziative come quelle che stiamo vivendo che dovrebbero essere all’ordine del giorno in un territorio come il nostro “esperto” e “dedito” nell’attività del costruire che possono e devono dare una svolta.
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antonio vendol a architet to
l a 3g a: a rchitet tur a e per seguimento dell a qua lità: binomio indissolubile. È nell’ambito dell’iniziativa promossa ed intitolata la 3GA che ci si è interrogati sul rapporto che lega l’architettura e lo stesso perseguimento della qualità architettonica nelle scelte progettuali. Se ci chiedessero cos’è l’architettura, tutti risponderemmo che è un modo per risolvere problemi sociali, per migliorare la qualità della vita attraverso la creazione di ambienti confortevoli, rispettando la funzionalità tra il manufatto edilizio creato e la sua estetica. Nel contesto odierno, si assiste spesso ad un’architettura fine a se stessa che utilizza una qualità essenziale, riduttiva, subordinata e sottomessa a logiche economiche e di potere, priva di un’analisi e di studi approfonditi che valutino l’inserimento di un manufatto edilizio all’interno di un contesto paesaggistico ben preciso e con dei propri connotati e proprie caratteristiche. È importante, invece, iniziare a pensare alla qualità dell’architettura come ricerca di forma ed estetica nel suo prezioso rapporto con l’ambiente ed il territorio in cui un manufatto è inserito. Tale ricerca della qualità deve considerarsi una condizione imprescindibile di chi progetta; la qualità non deve ridursi ad un trend, ad un elemento momentaneo ed effimero, ma deve essere un elemento costante, fondamentale che ben deve integrarsi all’interno di un processo creativo in sede di progettazione. La ricerca della qualità nel riferimento all’integrazione in un preciso contesto ambientale, la ricerca di contenuti studiati, di una filosofia architettonica che abbia quale elemento portante l’estetica nel rispetto della funzionalità, la creatività che parta dalla passione di guardarsi intorno, di farsi domande per cercare di trovare la soluzione che coniughi al meglio l’equilibrio tra forma estetica e comfort, nel rispetto di una perfetta integrazione
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con il paesaggio nell’impatto sociale sono ormai aspetti trascurati se non addirittura soppiantati e sopraffatti da valutazioni meramente economiche e di marketing che non permettono sicuramente di investire sulla ricerca e sulla creatività stessa, nell’obiettivo di migliorare la qualità della vita. L’architettura dovrebbe iniziare a svegliarsi, a ritrovare e riscoprire la sua vera essenza e non vaporizzarsi quale architettura autoreferenziale senza considerare il prodotto e la sua qualità, in una mera considerazione di pura e riduttiva realizzazione al solo fine di occupare spazi, quali meri involucri da riempire. Nell’esperienza quotidiana assistiamo spesso a due tendenze opposte: le piccole realtà provinciali dove si evince spesso un’estrema aridità architettonica e contrapposte riduzioni dell’architettura delle grandi città a forme di spettacolo; in entrambi i casi la qualità viene a mancare; nel primo caso perché non perseguita, nel secondo perché si pensa che la soluzione a tutto sia solo quella di costruire “monumenti glamorous” nella mera ricerca dell’effetto speciale. In entrambi i casi lo spazio progettato si allontana sempre più da quello vissuto. Si deve sempre più convincersi che l’architettura non ha perso ed esaurito la sua funzione, ma deve sempre più ritrovarsi per sanare situazioni di emergenza di città e spazi sempre più inabitabili. Le scelte progettuali devono coniugare sempre più tutti questi concetti, valori di architettura e design, senza che vi sia un mero consumo di spazio e di forme e senza che il perseguimento della qualità sia un trend effimero e momentaneo. La qualità nell’architettura non è solo una questione di moda, sembra opportuno riportare l’architettura ad un atto di trasformazione dell’ambiente che abbia insito in sé un connubio di etica, razionalità, sensibilità, capacità tecnica, tale da consentire un progetto altamente confortevole, appropriato, funzionale, bello e congruo nel rapporto con l’ambiente. È in tale espressione che dobbiamo ricondurre il senso di un progetto architettonico. Tale importante obiettivo di sensibilizzazione e di ritorno al concetto puro e basilare dell’architettura è stato proprio quello perseguito dalla “3GA - La tre giorni di architettura”.
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È necessario iniziare a concepire l’abitare come un’attività di tutti e di comprendere come la qualità dell’architettura sia anche un riflesso diretto del grado di evoluzione culturale di un paese. Di qui, la scelta di sensibilizzare il senso comune a ritornare o addirittura ad iniziare a concepire l’architettura non solo nel prodotto finito, ma nella considerazione della sua qualità, valutando ciò che c’era prima della realizzazione del progetto e delle scelte progettuali fatte in seguito, assumendo consapevolezza delle responsabilità derivanti da tali scelte che incidono sul nostro modo di vivere la vita con i suoi spazi. È importante convincersi che la qualità dell’architettura corrisponde anche ad una qualità della rete culturale di un popolo e di un paese; per far ciò spesso è necessario “alfabetizzare” la sterile mentalità comune all’ importante connubio tra uomo ed ambiente; nell’immaginario collettivo anche il solo termine architettura sembra ridursi al semplice e riduttivo concetto di dar vita ad edifici che debbano soddisfare esigenze economiche, senza percepirlo come trasformazione dell’ambiente fisico per contribuire a migliorare la condizione umana, nella ricerca della qualità nell’ambiente in cui si colloca una realizzazione architettonica. Con tali iniziative si persegue l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini, in particolare i giovani, a ricercare e pretendere la qualità degli ambienti di vita, sviluppando una cultura che coinvolga attivamente utenti finali, committenti e operatori pubblici e privati. L’architettura unita alla costante ricerca della qualità deve dialogare positivamente con il paesaggio, l’ambiente, le singole peculiarità che caratterizzano ogni luogo, in una logica di perenne collaborazione e relazione tra tali elementi. La qualità dell’architettura deve essere pertanto la ricerca di un linguaggio capace di interpretare il senso del tempo e dello spazio in cui viviamo, sopperendo alle esigenze di vita. Bisogna essere rivali e competitivi in tale ricerca nel pieno confronto culturale, cercando di sfidarsi sul terreno delle idee e non certamente solo su quello dei fatturati, bisogna essere interpreti del luogo e del tempo per dar vita ad uno spazio da vivere e non solo da riempire, dando valore alla sensibilità espressiva al servizio del territorio e della gente che vi abita. Tutto ciò implica la necessità di gestire le risorse in modo efficace, guardando alla qualità ed alle diversità architettoniche quali componenti della diversità culturale ed alla
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preservazione, valorizzazione del patrimonio e all’identità singolare dei paesaggi naturali o urbani. Da ultimo, è necessario ribadire e far capire alla coscienza comune come la qualità non si trovi solo nei grandi progetti, ma anche e soprattutto si deve misurarla e cercarla nelle piccole cose, nelle piccole realtà cittadine, sviluppando un maggiore senso di appartenenza ed entrando nell’ottica che gli spazi vanno progettati nell’obiettivo di viverli a pieno nel comfort più totale, in un disegno di adeguatezza e proporzione che parte anche da un’etica professionale. Compito anche del cittadino è pretendere anche dalle amministrazioni una qualità urbana spesso negata in un senso di appartenenza culturale. In conclusione, è innegabile che l’architettura abbia una grande potenzialità da sfruttare perché da essa dipende anche la buona sorte della qualità della vita, la potenza creatrice e riproduttiva, salvaguardando quella imprescindibile ricerca della qualità. È questo il compito e lo sforzo di tali iniziative come la 3GA che vede coinvolti giovani professionisti architetti che cercano di educare, attraverso la loro attività, al bello, all’armonioso vivere dell’uomo nello spazio, a comprendere la relazione che esiste tra lo spazio e i volumi che lo determinano.
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sante simone archite t to, d ot tore di ricerc a
a zione in difes a dell a cit tà I tre giorni di dibattito organizzati ad Altamura nel mese di agosto confermano l’urgenza di un confronto critico sui temi messi in atto nella costruzione delle città che noi giovani architetti ereditiamo. In un momento in cui la totale perdita di certezze ci disorienta, unita a una totale svalutazione dell’architettura - intesa non più come arte del costruire - e ancora vittime di un mercato troppo cinico, siamo portati a rivedere, attraverso operazioni collettive, i termini dell’architettura e i valori - non solo economici - che ancora sono alla base della costruzione della forma urbana. L’urgenza di capire che strada percorrere all’inizio di una attività professionale per definire obiettivi chiari da seguire, vede sempre più gruppi di giovani architetti organizzare, a partire dal web, forum di discussione. Questi preziosi momenti di confronto organizzati nelle aule del Liceo classico ‘Cagnazzi’, luogo votato alla cultura per la comunità altamurana, hanno però immediatamente manifestato i limiti reali della produzione architettonica della città. Il primo limite è nel fatto che in Italia non si può dare un progetto di architettura nuovo se la politica che è insieme ideologia e conflitto, non diventa la struttura su cui costruire il teorema di una innovazione culturale alternativa. Il secondo potrebbe essere visto nella distanza -ormai retorica- tra gli attori del processo costruttivo, in particolare tra chi produce l’edilizia e chi pensa l’Architettura, e ancora nella consapevolezza da parte di chi finanzia la costruzione di non avere nulla da dire rispetto agli strumenti del progetto. La forma della città, china su cartoncino
Siamo ormai consapevoli che gli architetti non possono fare politica con il progetto, anche se spesso è possibile fare dell’architettura un problema politico. Allo stesso
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tempo, però, qualsiasi attività umana, in particolare l’arte di costruire la città, è sempre frutto di una visione del mondo. Lo slogan urlato negli anni ‘70 per cui con l’architettura non è possibile fare la rivoluzione ha, però, completamente annullato e disincantato i nostri padri dal prendere posizioni critiche verso la città. L’architettura, agendo su un livello sovrastruttuale, non ha le possibilità di modificare le condizioni economiche che sovraintendono le dinamiche sociali, ma può solo rappresentarle. Questo non riscatta gli architetti che hanno costruito la forma urbana, che noi adesso ereditiamo, dalla colpa di non aver avuto una idea sulla città prima della politica. Questa idea doveva essere poi diversamente declinata nei contesti urbani a partire da bisogni reali e da condizioni economiche specifiche. I progettisti del ventennio, ad esempio, come ci ricorda Pier Paolo Pasolini, nonostante seguissero le direttive di un gruppo di criminali al potere, non sono riusciti a distruggere l’Italia popolare, rustica e contadina, ad azzerare la storia dei luoghi, anzi in un attento processo di modernizzazione internazionalista, hanno rispettato la forma della città nella sua totalità culturale. Adesso, invece, il potere della società dei consumi, con le armi della speculazione e il cancro dell’omologazione, sta distruggendo il paese nel profondo della sua identità. I criminali, ora democratici, attraverso le logiche del Real Estate annullano il diverso modo di essere Uomini che ha caratterizzato la storia dei luoghi italiani. Alla fine, quindi, l’architettura è sempre politica poichè esprime un giudizio sul mondo e sulla città. Questa assenza di giudizio non ha valore penale finchè resta nella dimensione del progetto. Si carica di colpa quando interviene nella definizione della forma urbana costruita. Bisogna quindi quotidianamente ricordarsi di difendere la forma della città come un opera d’arte d’autore, opera di una intera storia, costruita -anche- da una inf inità di esseri anonimi, all’inteno della quale ogni nuovo intervento deve ricercare una coesistenza e non una autoreferenziale presenza. Per questo a noi progettisti non ci resta che offrire proposte chiare e dirette che parlino alla gente e guardino al percorso della storia in maniera continua senza
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inopportuni strappi causati dal desiderio di ammaliare attraverso seduzioni formali attinte da settimanali patinati. Costruire con la capacità creativa di chi riconosce un potenziale nei vincoli che la normativa, il contesto e l’economia quotidianamente impongono e ritornare a inseguire la Bellezza nascosta nella storia dei luoghi.
Paesaggio murgiano, china su cartoncino
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Masseria 610, progetto di casa a corte sull’alta murgia, pianta piano terra.
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Masseria 610, progetto di casa a corte sull’alta murgia, prospetti
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emilia gramegna marc antonio lorusso architet ti
Durante l’esperienza professionale maturata operando nella nostra città, sono emerse molteplici problematiche legate allo spazio urbano, diverse a seconda della zona in cui si interveniva, ma tutte riconducibili allo stesso tema che è quello della qualità architet tonica nello spaz io abitato; l’analisi del contesto urbano all’interno del quale si opera, se già ben definito o se al contrario configurato come uno spazio anonimo e senza identità, tipico purtroppo delle nostre periferie urbane è indiscutibilmente il punto di partenza per la nuova progettazione.
“il genius loci” La realizzazione di un edificio residenziale in Via Napoli, angolo Via Verona è l’occasione per introdurre il concetto di “g enius loci” utilizzato nella progettazione all’interno di una maglia urbana storicamente già ben individuata della nostra città di Altamura; le riprese di elementi e di caratteri tipologici presenti nell’architettura urbana ottonovecentesca, quali il basamento ed il coronamento di un edificio, il loggiato, che consentiva di allinearsi con gli edifici circostanti e nel contempo di arretrarsi ai piani superiori per potervi affacciare gli ambienti più importanti, dei materiali propri della tecnica costruttiva del passato e quindi delle cromie con l’uso del mazzaro nella parte basamentale dell’edificio e del semplice intonaco ai piani superiori, sono filtrate da un’architettura contemporanea che si esplicita nelle forme nuove delle aperture, dei formati dei materiali di rivestimento e quindi nell’aspetto complessivo dell’edificio.
“il piano urbanistico concepito come un organismo” Il tema del residenziale fuori “dalle mura” del centro cittadino ormai consolidato, lì dove
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manca ancora un disegno della città nuova, la redazione di un piano di lottizzazione diventa occasione per il progettista di disegnare un piccolo pezzo di città all’interno delle nostre periferie urbane, dove spesso mancano i servizi, dove diventa difficile orientarsi. Il progetto proposto su Via Bari, alle porte della città, è un piccolo piano di lottizzazione, concepito non come assemblaggio di singole palazzine, magari tutte uguali e disposte disordinatamente in uno spazio indefinito, con facciate cieche perché magari costruite in aderenza a lotti che non saranno mai edificati, o la cui aggregazione fa nascere avanzi di suolo che indicato come verde rimarrà poi per sempre terreno incolto e abbandonato, bensì un vero e proprio organismo edilizio, una minuscola cittadella, dove tutto è collegato, dove i negozi si distinguono anche con la loro tipologia dalle abitazioni, dove i percorsi sono ben individuati e dove il verde è progettato.
“ r e c u p e r o e r i u t i l i z z o d i u n ’a n t i c a s t r u t t u r a r u r a l e ” Il progetto del resort Calderoni Martini sposta lo sguardo sul recupero di immobili rurali dimessi con una nuova destinazione d’uso. Si è intervenuti qui con la demolizione di due volumi ormai fatiscenti, una stalla ed un fienile, ma la loro ricostruzione è avvenuta con due nuovi volumi altrettanto semplici, sia nell’involucro esterno che nell’ambiente interno laddove, ad esempio, l’immagine dell’antico fienile è rievocata tramite l’utilizzo delle capriate in ferro che già reggevano la vecchia copertura: il tutto si è poi arricchito con la progettazione di un allestimento interno moderno ed equilibrato, fatto di pochi elementi ma di grande impatto.
“ i l s i g n i f i c at o d e i s e r v i z i a d a lta m u r a” Un fabbricato destinato a “servizi di quartiere S2A” ad Altamura, in prossimità di Via Stazione è contraddistinto da un’architettura che un po’ si discosta da quella comune e cittadina, ma è la funzione che ne consente l’innovazione planimetrica e delle forme, nei volumi e nei materiali proposti. Si è cercato di pensare degli edifici “simbolo” e, perché la loro destinazione li fa diventare dei poli di attrazione per la gente, dei luoghi di aggregazione, si è pensato a dare
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un’immagine di forte richiamo agli edifici proposti, tale che questi diventassero anche dei punti di riferimento all’interno della nostra periferia urbana ormai sempre più contraddistinta dai “non luoghi”.
“nuova frui zione di un a pia z z a cit ta din a con servi zi a nnessi” Un esempio di “PROJECT FYNANCING”è la proposta di risistemazione di Piazza Castello ad Altamura, con annessi parcheggi e servizi: un operazione delicatissima, perché proposta in un luogo storico della città ma in una posizione nevralgica per la collocazione e dei parcheggi pubblici, ovviamente interrati e di una piazza cittadina che opportunamente sistemata ed attrezzata, potesse con un bassissimo impatto riqualificare quello che adesso è uno squallido piazzale di asfalto, che di giorno ospita 3 o 4 ambulanti ortofrutticoli e di sera diventa una distesa di automobili parcheggiate. Da questo breve excursus attraverso alcune tra le esperienze fatte operando all’interno della nostra città di Altamura, senz’altro emerge la consapevolezza dell’impossibilità di avere un’unica filosofia d’intervento nella progettazione architettonica, in quanto a forme, o a caratteri tipologici, o a materiali da utilizzare, in quanto il contesto condiziona fortemente il nostro lavoro, ma anche il nostro unico obiettivo di migliorare lo spazio in cui viviamo, sapendo rispettare i luoghi esistenti ma anche avendo il coraggio di crearne dei nuovi, altrettanto interessanti.
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i n t e r v i s t a a l l’a r c h i t e t t o p a s q u a l e g e n t i l e L’evento 3ga di Altamura, qual è la tua opinione in merito e qual è stato il tuo contributo? L’idea mi è sembrata fin da subito interessante e coraggiosa. Anche io in passato avevo provato a creare qualcosa del genere con amici e colleghi, purtroppo senza mai riuscirci. La 3ga si potrebbe definire come un frutto acerbo che col tempo sicuramente giungerà a maturazione. Attraverso il mio intervento provocatorio, intendevo far emergere la specificità della figura professionale dell’architetto:“l’architetto è una figura fondamentale e necessaria per la storia, la cultura e la vita di tutti”. Oltremodo ho inteso mettere in evidenza uno strumento che in Italia è poco e mal utilizzato, come quello del concorso. A mio modo di vedere, esso se applicato con criterio e trasparenza, risulta essere ancora molto valido per premiare progettisti e progetti votati alla qualità. Quali sono i fattori che danno qualità ad un progetto? Sono tre i parametri che in assoluto caratterizzano il percorso professionale e umano di un architetto: passione, curiosità e soddisfazione. Quest’ultima in particolare, rende esplicita la qualità di un progetto, nel momento in cui accomuna alla stessa maniera il committente ed il progettista. Credo che l’orizzonte di ricerca a cui si debba tendere è magistralmente sintetizzato da una frase di Aldo Businaro in memoria dell’architetto Carlo Scarpa, che recita così: “Il mediocre non ci interessa, il bello lo conosciamo…noi andiamo alla ricerca del sublime”. Qual è il tuo rapporto con il contesto socio-culturale ed architettonico del nostro territorio? Ritengo il nostro territorio una sorta di “microcosmo” perfetto per intraprendere l’attività professionale. Personalmente la considero una ideale palestra di sperimentazione, soprattutto per quanto riguarda l’ambito degli interni architettonici. Presto particolare attenzione ad un aspetto determinante per la riuscita del progetto,
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cioè l’ottimizzazione dei costi. Controllare il budget di ogni singolo elemento, fa sì che il progetto risulti più convincente, senza perdere in qualità ed estetica. Senza dubbio la parte più impegnativa e delicata del nostro mestiere è quella relativa alla comunicazione con la committenza, trasmettere le informazioni del progetto e far comprendere la composizione spaziale del progetto. Lo strumento che prediligo, per raccontare lo spazio da me pensato, è il disegno prospettico a mano con il quale rappresento lo spazio ad altezza dell’occhio umano. Questi schizzi progettuali, che generalmente caratterizzano le pareti ancora grezze del cantiere, consentono a me di coinvolgere ed emozionare il cliente e a quest’ultimo di comprendere in maniera rapida ed efficace la qualità dello spazio che si sta progettando. Ricordo ad riguardo un aneddoto avvenuto anni fa, quando un mio cliente voleva incorniciare un mio schizzo realizzato sulla parete, per farne una parte integrante della cucina. Ovviamente tale desiderio non fu messo in pratica per non marcare una presenza predominante della figura dell’architetto. Come il tema della sostenibilità viene declinato all’interno della tua pratica professionale? I lavori inerenti all’interno architettonico ovviamente lasciano poco spazio per l’applicazione dei criteri di sostenibilità. Oltremodo tra i problemi in cui ci si imbatte sul nostro territorio vi sono l’impreparazione collettiva riguardo a determinate tematiche, e la lentezza di talune istituzioni ad aggiornarsi e a recepire le nuove normative. Nel mio piccolo presto molta attenzione all’utilizzo di materiali naturali locali. Come potresti definire il rapporto tra lo spazio pensato in rapporto al suo fruitore? Tale rapporto cambia se lo spazio è privato o pubblico? Riuscire a far collimare l’idea di spazio che si vuole realizzare con lo spazio concretamente realizzato, è impresa ardua. Tuttavia a volte è piacevole constatare quanto lo spazio realizzato risulti essere più bello di come lo si aveva immaginato. La differenza tra pubblico e privato di fatto non esiste, poiché quando lavoro ad uno spazio
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domestico, mi preoccupo non solo di coloro che dovranno viverlo in prima persona, ma anche di tutti coloro che avranno modo di vederlo. Quindi lavoro pensando a molteplici punti di vista che vadano oltre il singolo sguardo del committente. Degrado urbano. Come un tecnico affronta il problema e fa in modo che una proposta risulti vincente e adeguata? Mi vengono in mente esempi in cui il degrado è stata la matrice per far emergere qualità urbana ed architettonica; uno su tutti quello di Alejandro Aravena, il quale porta a termine il progetto Elemental realizzando abitazioni a basso costo nell’area semidesertica di Iquique, in Cile. Il progetto si può ritenere un successo per i bassi costi e il positivo impatto sociale sulla comunità locale. In casi come questo, il dialogo con la popolazione, l’ascolto delle esigenze e la formula dell’intervista, sono gli strumenti chiave per giungere ad una buona riuscita del progetto. Attuare le stesse tecniche con il singolo committente privato garantisce qualità e soddisfazione da ambo le parti.
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alessandro iacovuzzi archite t to, d ot tore di ricerc a
l a qua lità a rchitet tonic a dello spa zio a bitato: i l c a s o d i a lta m u r a La Leonessa delle Puglie del XXI secolo in edilizia non vanta un livello qualitativo degno del suo nome. Sembra che la formula sia l’esaurimento completo dei metri quadri edificabili col minimo costo di costruzione. Fatte salvo – ovviamente – alcune eccezioni. Una rassegna delle recenti costruzioni ci presenta un variegato coinvolgimento di stili e caratteri che seguono una identità autonoma dettata dalle linee guida del committente, dalla volontà dell’impresa costruttrice e da qualche suggerimento (iniziale) del progettista. Quest’ultimo, se mira alla riconoscibilità del proprio intervento, ovvero alla cd. f irma, completa la “creazione di mostri” privi di una concettualità architettonicoformale o totalmente avulse dal contesto. Edifici con pilastri circolari in ferro che non assecondano il naturale percorso dei carichi, ma si distorcono e si piegano in risposta ad illusori effetti speciali; architetture improvvisate multicolori contenenti suggerimenti rubati a riviste o pach-work di soluzioni apprese dal grande contenitore del web; opere “decomposte” in cui i materiali diventano l’unico mezzo per giustificare l’apparente qualità architettonica. Certo, la bellezza è un insieme di qualità percepite che rispondono a determinati modelli e che suscitano piacevoli sensazioni. I greci la subordinavano ai moduli proporzionali di Lisippo e Policleto, obbedienti ai canoni classici ideali ma non reali. Plotino, agli albori del Tardoantico, stravolse il pensiero greco sostenendo il principio unico dell’Uno come origine del molteplice in cui si fondono ideale e reale. «Il prodotto può dirsi bello quando l’artista forma ciò che ha dentro di sé, per cui l’occhio dell’uomo vede,
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nell’opera d’arte, soltanto un’imitazione di ciò che esso uomo ha nel suo nous, nel suo intelletto»1 . Infine, a cavallo tra Ottocento e Novecento dello scorso millennio, gli storici d’arte Franz Wickhoff e Alois Riegl, fondatori della Scuola Viennese, elaborarono la teoria del “cambio di gusto” (cd. Kunstwollen) in cui si sosteneva la bellezza inscindibile dall’ambiente culturale che circonda l’artista e la sua volontà. In questo sintetico e rapido quadro storico sul tema - da sempre dibattuto - della bellezza, si evince una complessità sia nella valutazione del bello, sia nelle difficoltà per un artista (che nel campo delle costruzioni viene trasposto nella figura del progettista) di “generare il bello”. «Definire il Bello è facile: è ciò che fa disperare» sosteneva il noto scrittore e poeta francese Paul Valéry. E forse sono davvero pochi i progettisti degli ultimi decenni che si disperano per produrre “bellezza” nelle nostre città, in particolare in quella di Altamura. Perseguire tuttavia un percorso razionale che porti alla “corretta” e “responsabile” definizione di un prospetto o di una pianta piuttosto che di soluzioni di interno e di dettaglio, non può prescindere dai principi vitruviani di perfetta sintonia tra utilitas, f irmitas e venustas. Per cui la progettazione non è solamente soddisfare il criterio di funzionalità (nel caso di Altamura) a scapito dell’estetica e della solidità nella statica e nei materiali, ma è la sintesi di un processo in cui confluiscono fattori che vanno dal replicare alle esigenze del luogo, ai materiali e tecniche da utilizzare; dalla risposta alle funzioni dell’edificio, alla corrispondenza interno-esterno, pianta-prospetto, sezione-dettaglio costruttivo; dal rispetto del contesto in cui dovrà sorgere l’edificio, al contenimento energetico ed alla salvaguardia ambientale. Quest’ultimo aspetto porta con sé una serie di ulteriori istanze quali la disposizione degli ambienti in base all’esposizione solare, le soluzioni di isolamento strutturale, il recupero delle acque piovane e il loro riutilizzo per gli scarichi dei wc e l’irrigazione, l’impiego di pannelli solari per la produzione di acqua calda o di pannelli fotovoltaici per l’energia elettrica,
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Plotino, Enneadi V, 8, 1.
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l’introduzione di sistemi naturali di ventilazione e schermatura dei raggi solari estivi, l’uso di serramenti con telaio in legno e vetrocamera riempita di gas, e così via... Un ulteriore accorgimento progettuale - non di second’ordine - è lo studio del dettaglio. «L’architettura a volte vive grazie ad un assemblaggio di una sorta di “microelementi”. Franco Albini o lo stesso Mario Ridolti, hanno fatto del dettaglio, o meglio dal dettaglio, le loro architetture. C’è una parte del dettaglio che nasce insieme all’opera facendo cioè parte dell’idea stessa ed essendo da essa inscindibile. Ma l’aspetto forse più interessante è quando il dettaglio nasce dal colloquio tra l’architetto e l’opera»2 . Nel cantiere moderno, purtroppo, il dialogo è notevolmente ridotto e spesso si rimanda lo studio dei particolari al momento della necessità esecutiva interpretando il dettaglio come schermatura di un problema imprevisto. Il particolare costruttivo o architettonico, invece, contribuisce alla definizione dell’insieme in maniera integrante con la struttura edilizia ed è già definito nella progettazione preliminare, per poi essere costantemente monitorato ed aggiornato o rielaborato. Se tali principi permangono continuamente nella mente del progettista, sin dalla fase ideativa, si possono ottenere eccellenti risultati non soltanto dal punto di vista teoricoformale, ma anche nei diversi aspetti pratici, funzionali, estetici ed ambientali. «Possiamo dire che l’architettura che noi vorremmo essere poesia dovrebbe chiamarsi armonia, come un bellissimo viso di donna. Ci sono forme che esprimono qualche cosa. L’architettura è un linguaggio molto difficile da comprendere, è misterioso, a differenza delle altre arti, della musica in particolare, più direttamente comprensibili... Il valore di un’opera consiste nella sua espressione: quando una cosa è espressa bene, il suo valore diviene molto alto». (Carlo Scarpa, 1976) All’armonia, alla bellezza, alla statica ed alla funzionalità – difficili da riscontrare contemporaneamente nella compagine urbana locale – si accosta la continua ricerca architettonica ed ingegneristica che, con l’applicazione di innovativi risultati sui
2 E. Faroldi, M. Pilar Vettori, Dialoghi di architettura, 2004
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materiali, sulle tecniche e sui sistemi compositivi, deve rapportarsi alle reali dinamiche edili. I materiali innovativi e le nuove tecnologie vengono visti dalla committenza e dall’impresa con scetticismo; non sono apprezzabili quando hanno un impatto economico sull’intera struttura anche se, a lungo termine, consentono di risparmiare da diversi punti di vista. Di conseguenza sorge spontanea una domanda. Come cambia il progetto in funzione delle committenze, delle imprese, del linguaggio architettonico, dei costi, in relazione alla sensibilità all’innovazione tecnologica e ambientale, nel riconoscimento della qualità? La risposta a tale quesito è congiunta ad alcuni concetti chiave quali l’educazione della committenza, la responsabilità del professionista e la particolare – direi profana – formamentis locale (soprattutto dei legali rappresentanti delle molte imprese edili) in cui spesso prevale il risultato utilitaristico a scapito di quello qualitativo. Proprio le realtà costruttive quasi sempre disilludono e fanno perdere l’entusiasmo sia ai tecnici più tenaci che ai volenterosi neo-diplomati o neo-laureati alle prese con i primi lavori. I risultati si rispecchiano poi in quello che ci circonda, negli orrori edili di via Pietro Colletta o negli scempi della pianificazione urbana spesso datata e mai aggiornata alle evoluzioni sociali, culturali e architettoniche (un esempio per tutti è il quartiere di Trenta Capilli). Oggi, quello che si impara alle università attraverso i numerosi corsi accademici ed esami, è il saper progettare in maniera corretta, intelligente e responsabile. Analizzare il contesto e reinterpretare tecniche e materiali tradizionali in chiave moderna e con le tecnologie contemporanee. Purtroppo anche coloro che riescono a progettare responsabilmente, sono costretti a modificare diverse volte il progetto per rispondere ad esigenze economiche e funzionali. In definitiva siamo noi attori dell’evoluzione delle nostre città i responsabili del livello qualitativo edilizio ed urbano. Frank Lloyd Wright diceva di “mettere arte in ogni cosa”... ma nella vecchia Leonessa delle Puglie del XXI secolo forse è troppo filosofico o da intellettuali.
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BIBLIOGRAFIA
A. Pinotti (a cura di), Estetica ed empatia, Guerini, Milano, 1997; A. Pinotti, Il corpo dello stile: storia dell’arte come storia dell’estetica a partire da Semper, Riegl, Wölfflin, Mimesis Edizioni, 2001; A. Riegl, Grammatica storica delle arti figurative, (tr. it. C.Armentano, a cura di A. Pinotti), Quodlibet, Macerata, 2008; A. von Hildebrand, Il problema della Forma nell’arte figurativa, (a cura di F.Scrivano, tr. it. A.Pinotti), Aesthetica, PA, 2001; C. Carbonara, La filosofia di Plotino, Ferraro, Napoli, 1954; E. Faroldi, M. Pilar Vettori, Dialoghi di architettura, 2004; G. Giovannoni, Architetture di pensiero e pensieri sull’architettura, Roma, 1945; tesi di dottorato di A.Iacovuzzi “Le variazioni morfologiche dei complessi monumentali nel periodo storico tra età imperiale e tardo antico. Caso di studio: il foro severiano di Leptis Magna, Libia”, Bari, Maggio 2011.
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michele cornacchia ingegnere
Capita spesso di sentir parlare del concetto di sviluppo sostenibile attraverso giornali, televisioni e altri mezzi di comunicazione di massa, eppure, di frequente, il significato di questa espressione sfugge alla maggioranza delle persone. Ma cosa vuol dire in realtà sviluppo sostenibile? Esso è “sviluppo economico compatibile con la salvaguardia e la conservazione delle risorse ambientali”. Questa spiegazione, sebbene indicata dal linguaggio comune, ha il pregio di porre in primo piano i due soggetti centrali dell’argomento: economia e ambiente. Dalla capacità di mettere in relazione nel migliore dei modi questi due soggetti deriva un’efficace politica di sviluppo sostenibile. L’efficacia risulta dal riuscire a salvaguardare e conservare le risorse, e ciò vuol dire prendere coscienza del fatto che le risorse presenti in natura non sono illimitate (per lo meno quelle maggiormente utilizzate dall’uomo), e quindi è necessario saperle gestire in modo quanto mai razionale, affinché le future generazioni possano godere degli stessi privilegi di cui fanno abbondantemente uso le generazioni attuali. Lo sviluppo sostenibile però, non fa riferimento solo alla gestione delle risorse, ma allarga i suoi orizzonti a tutte le attività gestite dall’uomo, poiché garantire una vita dignitosa alle generazioni future, vuol dire anche dare loro un ambiente sano e capace di garantire una vita serena. In tal senso vanno viste le fonti energetiche rinnovabili che permettono un’alta produzione energetica con un impatto ambientale quasi del tutto inesistente. L’importanza di usare fonti rinnovabili e di gestire in modo oculato le risorse limitate presenti in natura rientrano nelle capacità delle imprese di attuare delle politiche economiche compatibili con l’ambiente. Conoscere le problematiche non è però sufficiente affinché si possa assistere ad un’improvvisa inversione di tendenza nella gestione delle imprese. I problemi che si incontrano sono due: il primo riguarda il problema culturale, che vede la maggior parte degli imprenditori restii a politiche di gestione dell’impresa più
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ecologiche, legati come sono al vecchio modo di fare marketing e ad un indispensabile profitto di breve periodo. Il secondo problema è invece di carattere economico e riguarda in particolare le piccole e medie imprese che senza adeguati finanziamenti di origine statale o internazionale non sono nelle condizioni di rendere più ecologiche le loro attività. Quindi lo sviluppo sostenibile non può essere un argomento trattato pensando solo a riutilizzare o a come utilizzare alcune risorse, ma bensì per comprendere ed attuare tali concetti bisogna scendere in profondità, alla base, valutando ed approfondendo il punto di vista culturale e sociale. Perché fino a quando l’approccio non sarà elementare, sarà difficile spingersi a livelli alti di sostenibilità, quindi bisognerà che i tecnici e le imprese si facciano carico di questo peso, affinché si colmino le lacune della popolazione, facendo notare l’importanza e la lungimiranza di fare sostenibilità, quindi applicando politiche non a breve e medio termine, ma a lungo termine, che ormai dimostrano risultati eccellenti sotto tutti i punti di vista, in modo particolare economico-culturale-sociale.
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michele ventricelli av vo c ato - consigliere regione p uglia
Un’ inziativa bella, generosa, interessante, accattivante e soprattutto utile per il territorio murgiano e per la nostra città. È a questi aggettivi che vorrei collegare il mio giudizio sulla manifestazione della “3 Giorni di Architettura” organizzata lo scorso Agosto ad Altamura dall’associazione Esperimenti Architettonici. Se “l’esperimento” era quello di chiamare ad esprimersi alcuni tra i maggiori studiosi e architetti italiani e dare una forte sollecitazione ad un ambiente politico -culturaleprofessionale sopito, animando un dibattito sulla questione principale di “governo e programmazione” di un territorio e una città, credo si sia raggiunto l’obiettivo. Ciò posso confermarlo sicuramente dal versante politico legislativo regionale per il quale l’evento ha suscitato un’apprezzabile attenzione che avrà sicuramente continuità. Era tempo che non si discuteva di governo del territorio, qualità dell’abitare, ruolo degli architetti e qualità della loro formazione. Tutti temi questi da riconsiderare vitali per una sano approccio alla dimensione pianificatoria della città. Temi su cui la Regione Puglia in questi ultimi anni grazie alla sagacia dell’urbanista prof.ssa Angela Barbanente, chiamata a svolgere il delicato ruolo di assessore regionale all’assetto del territorio, ha realizzato le performance legislative più apprezzate e incisive come lei stessa a sostenuto: “Il lavoro svolto dall’assessorato sin dall’inizio della legislatura è stato volto innanzitutto a promuovere una concezione del territorio radicalmente diverso da quello del passato, funzionale ad un modello di sviluppo economico inadeguato ad affrontare le sfide lanciate da una competizione mondiale sempre più travolgente, oltre che responsabile di gravi danni ambientali: un modello di sviluppo che ha ridotto il territorio ad una sorta di foglio bianco da riempire di funzioni, a mero supporto fisico adattabile ad ogni tipo di attività non considerandone le
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intrinseche qualità e fragilità, da sottoporre a scriteriato consumo come fosse dotato di illimitata capacità di carico”. Il lavoro della Regione si è invece incentrato sulla ri-scoperta del territorio quale bene comune che se tutelato, curato e messo a valore può offrire inesplorate possibilità per lo sviluppo oltre che migliorare la qualità dell’ambiente di vita delle popolazioni pugliesi. Ho trovato la “3 GIORNI” molto in assonanza con questa missione, questo progetto culturale e politico che ha avuto come principi ispiratori legislativi “le norme sull’abitare sostenibile (l.r. 13/2006), le “Misure a sostegno della qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio (l.r. 14/2008), le “norme per la rigenerazione urbana” (l.r. 21/2008). È sembrato che affiancare la parola “urbanistica” - entrata purtroppo a far parte del lessico politico come sinonimo di spartizione, consorteria, interesse privato - alla parola partecipazione non sia un fatto comune e scontato nè facile da essere interpretato immediatamente nel suo significato positivo. L’urbanistica è in verità scienza della pianificazione dello sviluppo di un territorio nella comprensione di tutte quelle esigenze ambientali, demografiche, sociali e culturali. La partecipazione invece è da sempre lo strumento principe della discussione democratica nella scelta politica: essa è il metodo della volontà generale di interrogare e di ricevere risposte nelle assemblee pubbliche individuato da Roussoau nel contratto sociale. Per questo essersi ispirato anche a questa logica appare assolutamente qualificante. Una volta tanto la politica ispira la riflessione culturale - professionale e viceversa. Forse questo è un metodo che va assolutamente perseguito e questo grazie all’esempio e al lavoro di questi “giovani moschettieri” dell’architettura che il nostro territorio e la nostra città devono saper apprezzare e valorizzare. In questo la “buona politica” che ha cuore le sorti di un territorio eccezionale come la Murgia, deve dare un sostegno importante.
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enzo colonna a v v o c a t o - c o n s i g l i e r e c o m u n e d i a lt a m u r a
l a tregiorni di a rchitet tur a? conoscen z a , intuito, cre atività . «Lei valuta in modo errato la funzione della politica,» riprese quello continuando a teorizzare: «La politica di un tempo pretendeva di essere onnipotente, e si è così ridotta a mera retorica. La necessità ci ha costretti a riconsiderare la politica. Da groviglio indissolubile, di ideologie, passioni, istinti, violenza, buona volontà e affarismo, la politica è diventata un fatto di ragione, concreta quanto spassionata. È diventata economia, scienza per rendere il globo praticabile all’uomo, è diventata arte d’abitare su questo pianeta. La guerra è diventata impossibile non perché gli uomini si siano fatti migliori, ma perché la politica non ha più saputo che farsene d’uno strumento superato. Compito della politica non è più quello di garantire gli Stati l’uno rispetto all’altro, ma di fare della terra un grande spazio, per così dire matematico, e socialmente garantito.» «E con questo genere di politica non cavate un ragno dal buco,» dissi ridendo. «È una politica a cui siamo costretti,» disse lui. «Non possiamo permettercene un’altra.» «E la libertà?» chiesi. «È diventata l’obiettivo del singolo individuo» rispose. «Allora il singolo può essere ancora libero solo se diventa un criminale», dissi, spavaldo. «E mi scusi se impongo alle sue astrazioni un coronamento logico.» Il funzionario mi fissò. «Noi paventiamo assai questa sua conclusione errata», disse. (Friedrich Dürrenmatt) • A lungo non ho capito perché i “ragazzi” della Tregiornidiarchitettura (3GA) insistessero, con affetto e pazienza, affinché io scrivessi “qualche riga” a commento di quella iniziativa. Per settimane, mi sono sottratto, schermivo questa mia difficoltà. Nel compiere i gesti della preparazione della traduzione in forma scritta dell’intervento svolto in quelle giornate,
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articolando giudizi, mettendo ordine alle sensazioni, rileggendo parole e segni appuntati e tornando a praticare, con la memoria, suggestioni e temi proposti dai relatori, ho poi capito. Ciò che mi si chiedeva non era un intervento scritto, era altro: un tipo di complicità (mi si passi il termine) che non è quella di chi in qualche modo ha contribuito a determinare un ‘fatto’, ma di chi, dall’esterno, è stato testimone di quello che sta succedendo o è successo. Voglio dire che ogni testo, evento, accadimento, ha il proprio discorso, che bisogna cogliere e comprendere. A me si chiedeva – ho concluso – di aiutare ad esplicitare questo discorso, almeno nei termini in cui io lo avevo inteso. Basta allora un gesto, una parola, un particolare, a generare quel senso di complicità che lega spettatori e protagonisti, uditori e relatori, lettori e scrittori. Chi parla, chi opera o scrive è un soggetto collocato in un preciso momento storico, è situato in un preciso (particolare) contesto sociale, culturale e politico, è all’interno di una lotta generale, da una parte o dall’altra: è nella battaglia, ha degli avversari, si batte per ottenere una vittoria che è e resta particolare. È ancorato ad una storia e, al contempo, decentrato rispetto all’universalità. E se il soggetto che parla, parla della verità o dei valori, sarà di quel genere di verità o valori che non sono la verità o i valori universali del filosofo o del religioso. Non si tratta di discorsi forti, ma stabiliscono legami tra rapporti di forza (sociali, culturali, politici, ecc.); non dicono la verità, ma istituiscono relazioni di verità; non fa la storia, ma è espressione di contesti storici. Allora, si dirà tanto più la verità quanto più si è situati all’interno di un certo campo. In altri termini, dobbiamo essere consapevoli della relatività delle verità nelle quali crediamo giorno per giorno, ma dobbiamo pure sapere che l’unica cosa che possiamo fare è di dare ad esse rigore, continuità, forma, e di comportarci come se queste verità storiche, parziali, fossero la sola verità che abbiamo. Ebbene, la scelta di campo degli organizzatori della Tregiornidiarchitettura è stata netta, le coordinate chiare e programmaticamente proposte nel manifesto: Ambiente, Qualità, Territorio, Didattica, Paesaggio. Questo il vocabolario offerto, che è anche uno specchio. Ebbene, questa onestà, questa partigianeria, questa nitidezza, mi sono piaciute.
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•• Le parole sono state scelte e a queste, durante le tre giornate, è stato dato un senso, attribuito il significato. È stato uno straordinario momento dedicato alla comprensione e analisi, alla scomposizione e ricomposizione, alla differenziazione e contrapposizione di termini e concetti, con il fine di offrire una griglia lessicale e concettuale di riferimento. Ne ho tratto la convinzione, con la lucidità che consente la distanza di tempo, che la Tregiornidiarchitettura effettivamente non abbia (solo) posto o affrontato questioni di architettura, ma – più realisticamente e, ad un tempo, corretto scientificamente – una questione di metodo. I temi e i lavori presentati sono stati allora, consapevolmente o meno non importa, solo il pretesto per affrontare tale tema che è preliminare ad ogni altro: come affrontare un problema urbanistico, architettonico, costruttivo, paesaggistico, con quale approccio, con quali strumenti, come pervenire a tentativi di risposta, attraverso quali procedure e percorsi. Ecco, nella Tregiornidiarchitettura è andata in scena, prepotente, la questione (prima, preliminare e normalmente negletta) del metodo che è – detta con un riferimento più volte presente nel programma (e qui gli organizzatori tradiscono le loro reali intenzioni, oltre che la loro anagrafe che li vede, con scioltezza ed entusiasmo, da poco emersi o ancora tutti immersi dal/nel tumulto formativo universitario) – una questione specificatamente e autenticamente didattica. Le azioni politiche in campo urbanistico o edilizio, come in qualunque altro settore sociale, sono azioni tese a dare una qualche soluzione a ciò che viene sentito come problema, da qualcuno, da pochi o molti, in un contesto sociale. Come e di cosa sono elaborate tali azioni? Chi le sollecita, sulla base di quali indici un problema è tale, come lo si riconosce? Chi è chiamato a definire l’agire politico, a trattarlo, a interpretarlo? Al decisore politico ed economico si presenta una congerie complessa di fatti, eventi, conflitti, persone, con natura, interessi, contenuti diversissimi. Nella definizione del nesso problema -> soluzione, nella recherche di modelli interpretativi che consentano di rappresentare e di restituire la complessità dei problemi affrontati il rischio è duplice, si presentano due tipi di tentazioni:
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quella più forte è di scartare un’informazione o una circostanza quando questa risulti incompatibile con il modello prescelto, in tal modo il rischio è di ridurre anziché gestire la complessità; l’altra suggerisce di rispondere con il nuovo, con altro che non sia già quello conosciuto, il rischio è allora di sostituire il complesso con il sofisticato. La questione del metodo è dunque essenziale e lì che si infrangono normalmente (e, da noi, il più delle volte si sono infranti miseramente) tentativi e programmi di diverso contenuto (programmi di aggiornamento urbanistico e manovre di speculazione cementizia, ambizioni architettoniche e catastrofi estetiche) e segno (goffi, velleitari, sensati, sinceri, realistici, imbarazzanti, spesso subdolamente camuffati). Ove non si era in presenza di operazioni banalmente speculative e predatorie, anche in quelle rare circostanze in cui a muovere era un genuino impulso a generare positività in termini urbanistici e architettonici, comunque azioni politiche e iniziative economiche sono fallite o sono destinate al fallimento, perché, al di là del merito, sbagliato è risultato l’approccio. Tutte ispirate da un’idea che così è possibile stilizzare: l’Autorità offre, paternalisticamente e filantropicamente, la “soluzione”, la “risposta” al cittadino abitante, non a quello vero, ma ad un’entità del tutto astratta. In un simile approccio, l’interlocutore dell’autorità e del professionista tecnico è una figura di abitante oggettivato, un “non soggetto”, privo di tangibilità, di attualità, di vita quindi; un’entità identificata per il suo genere, nei suoi connotati astratti e potenziali (il tedesco existenz minimum, l’idea ordinante degli standards), e non certo per il suo carico attuale e concreto di bisogni vitali e di esperienza vissuta che ne fanno un individuo in un contesto di relazioni e capace di relazioni, quindi persona.
•••
Ebbene, la Tregiornidiarchitettura ha demolito questa idea. Lo ha fatto in due modi, a mio parere. 1) Dai numerosi e qualificatissimi interventi dei docenti, dagli spunti e dalle idee progettuali proposti dagli organizzatori e partecipanti, dall’insistito richiamo al paesaggio come trama di storie e di interventi, come contesto naturale/spaziale/temporale in cui necessariamente si devono muovere i testi/disegni urbanistici e architettonici, ho visto
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riaffermata l’idea che abitare non è una dimensione puramente fisica, è un fatto umano, si nutre del passato (cancellandolo, manipolandolo, riscrivendolo) e alimenta attese e ambizioni future, speranze, è essenzialmente un processo o, meglio, il risultato di processi e azioni umane, un costruire appunto, un trasformare, un creare, in un contesto di tempo e di luogo, di umanità dunque. Ciò implica l’importanza del lavoro del tecnico (urbanista, architetto, ecc.) sotto un duplice profilo: a) è il suo gesto/segno, quello concretamente scelto e usato, ad attribuire il senso ad attrezzi (quelli dell’architettura, dell’urbanista, ecc.) diversamente privi di senso (analogamente a quanto diceva Wittgenstein a proposito delle parole e del linguaggio, una “scatola degli attrezzi” di per sé insensati, in quanto è il gesto dell’uso ad attribuire loro un senso, un significato); b) tocca al suo gesto/segno assicurare quella lenta (uso l’espressione ad evocare la calma dell’ineluttabile, dell’ineludibile) continuità, quella fitta (seppure leggera) trama di rapporti che lega nello spazio e nel tempo generazioni presenti passate e future, donne e uomini vicini e lontani, una continuità che attraversa tutti noi e che non termina con noi, qui ed ora. Presente, passato e futuro sono punti di riferimento dialogici necessari a verità molto relative. Questa è l’idea che ho visto riaffermata. È l’idea di fondo che ci richiama tutti ad un impegno comune, forse troppo legato al concetto del “tempo che passa”, a tener vivo un racconto che parte da lontano, da voci ed immagini lontane nel tempo, da coloro che hanno lasciato tracce sul suolo, tracce che hanno formato quel sentiero che noi abbiamo imboccato e che lasceremo «sperando che qualcuno, percorrendolo, lo renda compiuto». Ecco, durante la Tregiornidiarchitettura, ho visto professionisti in formazione e giovani professionisti riaffermare e rinnovare questo impegno. 2) La Tregiornidiarchitettura, orientata ad esaminare la relazione tra architettura, società, ambiente, in una prospettiva interattiva, di crescita reciproca, ci ha ricordato cosa sia necessario per far crescere la creatura che è in noi. Sul piano personale, mi ha fatto venire alla mente l’esperienza educativa di Danilo Dolci, figura a cui la mia formazione deve molto. Per dirla con Dolci, appunto, il tema di fondo (non dichiarato) della Tregiornidiarchitettura è stato il problema del “comunicare”, inteso come “legge di vita”, come
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“palpitare di nessi” tra “creature”: comunicare significa soprattutto “avere in comune”, “condividere”, “sopportare insieme”. Comunicare è attività, che, nel dialogo maieutico, manifesta, talvolta, un interesse vitale: un essere che è tra noi e che qualifica la nostra esistenza. Si tratta di una tensione spirituale che si cala nel corpo, nelle cose, che si rinnova in un processo continuo di reciprocità creativa. Con la Tregiornidiarchitettura i “ragazzi”, forse inconsapevolmente, hanno dato vita ad un laboratorio maieutico, uno di quelli che sempre Dolci definiva “nuclei di resistenza attiva”, capaci di riprodursi, creando così un tessuto sociale vivente. Una struttura, definita nel campo di azione e di interesse e fuori dalle istituzione ufficiali, che rende possibili valutazioni comparative, nelle quali ognuno può esprimersi per riconoscere i propri bisogni concreti, per condividere la propria esperienza o il proprio vissuto, per ricercare linguaggi e contatti che possano risultare più efficaci affinché ognuno si interroghi. Hanno dato vita, ne è la riprova il lavoro svolto da quei giorni sino ad ora (con il gruppo E.A.A. – Esperimenti Architettonici Altamurani), a una struttura comunicativa, in cui è possibile ricercare e sperimentare opportune metodologie e strategie per ampliare confronti e iniziative. Le conversazioni della Tregiornidiarchitettura hanno così favorito l’instaurarsi di un colloquio insolito e informale, rilevanti anche nell’esperienza formativa degli studenti di urbanistica/ architettura, come pure hanno fatto osservare i docenti intervenuti. L’interagire comunicativo significa – riprendo ancora Dolci – «partecipare a strutture che favoriscono la scoperta e l’esprimersi, come esperienza alternativa ai tradizionali rapporti unidirezionali». In questa direzione la maieutica, intesa come «metodologia educativa strutturante», pur attenta ai favorevoli condizionamenti dell’ambiente, valorizza le esperienze di ognuno e cerca di fornire occasioni sia alla crescita personale e collettiva, sia all’apprendimento specifico. Scriveva Dolci: «Se vivere è imparare ad adattarsi adattando, l’invenzione e l’impiego di un nostro nuovo potere costituiscono la creatività, la quale ha la stessa origine di crescere: connettere il preesistente in modo nuovo, concepire, suscitare generando. Chi asservisce non sa, non può costruire la città, la politica».
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In estrema sintesi, i “ragazzi” della Tregiornidiarchitettura ci hanno fatto capire che costruire un nuovo modo di sentire e di agire, far nascere una nuova consapevolezza, non solo è un’impellenza che tutti (e non solo loro) dovremmo sentire, ma è un processo complesso e in quanto tale è necessario aiutarlo con una pratica maieutica. Fare evolvere la conoscenza, l’intuito e la creatività, che possono aiutare a crescere in autonomia e dare origine a modi di vivere e di agire responsabili, è il compito indifferibile del nostro tempo.
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conclusioni
Il passo più importante è stato compiuto, ed è stato volto a dimostrare come i giovani siano la grande risorsa di questo paese e come la cultura sia il primo vero patrimonio su cui è necessario e doveroso puntare, a partire da un approccio votato al confronto, che abbia come fine ultimo la crescita personale di ognuno di noi. È stata apprezzata la volontà dei curatori di apportare un contributo conoscitivo all’interno di una comunità chiusa, al fine di farla interagire con un circuito culturale più vasto. La complessità delle questioni affrontate e dibattute non fa altro che ribadire l’importanza del ruolo sociale dell’architetto, che si configura come intellettuale completo, figura la cui preparazione oscilla costantemente tra l’applicazione della tecknè e l’astrazione del pensiero, in grado di cogliere, analizzare e interpretare aspetti antropologici e sociali latenti. Con la 3GA si è sperimentato un format culturale di cui se ne ipotizza uno sviluppo a livello territoriale, se non nazionale, che incrementi un sistema a rete con l’obiettivo di generare un modello partecipativo incentrato su una continua dialettica tra apporti conoscitivi e teorici di carattere generale e specificità locali. A malincuore occorre tuttavia evidenziare come nel corso delle tre giornate, ad una costante partecipazione dei cittadini, si sia contrapposta una scarsa attenzione da parte di alcuni rappresentanti della pubblica amministrazione locale e l’ingiustificata assenza delle imprese invitate; un segnale questo poco confortante, ma che speriamo possa avere positive evoluzioni nel prossimo futuro. Coinvolgente è stato l’entusiasmo di diversi giovani studenti che hanno deciso di offrire il proprio contributo per continuare le attività intraprese con la 3GA. È così che nei mesi successivi si è costituito il gruppo Esperimenti Architettonici, composto prevalentemente da studenti e giovani professionisti altamurani, con l’intento di sensibilizzare i cittadini riguardo temi quali la qualità urbana e la partecipazione attiva. Nel nostro piccolo abbiamo provato a cambiare le cose, promuovendo un’azione dal basso; non sappiamo esattamente quali siano state le ripercussioni nella realtà. Riteniamo di non aver raggiunto alcun traguardo storico, tuttavia per fare tutto ciò abbiamo avuto il coraggio di superare la crisi più difficile: cambiare noi stessi.
Gruppo Esperimenti Architettonici
bio relatori
Antonino Saggio
Arturo Cucciolla
Architetto
Architetto
Docente di progettazione architettonica e urbana presso l’Uni-
Docente di Storia dell’Architettura contemporanea e Laboratorio
versità della Sapienza di Roma, Facoltà di Architettura;
di Progettazione nel Politecnico di Bari. Tratto caratteristico della
Coordinatore del corso di Dottorato in Architettura Teorie e Pro-
sua ricerca teorico-scientifica e della sua attività progettuale è il
getto;
forte intreccio fra analisi storica e progetto.
Direttore della Collana “IT Revolution In Architecture / La Rivo-
Ha redatto piani e progetti complessi di riqualificazione e rigene-
luzione Informatica”;
razione per molti tessuti urbani stratificati, fra cui la Città Vec-
Tra i suoi libri recenti si ricordano: Introduzione alla Rivolu-
chia di Bari, ed ha curato il recupero e riuso di molteplici spazi ed
zione Informatica in Architettura (Carocci 2007), Giuseppe Ter-
edifici pubblici (fra cui le piazze Ferrarese e Madonnella a Bari;
ragni Vita e Opere (Laterza, 1995 e 2004, 2005, 2011), Peter Ei-
Plebiscito a Valenzano; Vittorio Emanuele a Monopoli e complessi
senman. Trivellazioni nel futuro (Testo&Immagine 1996, 1997,
come il Policlinico di Bari).
1998), Frank O. Gehry Architetture residuali (Testo&Immagine
Ha realizzato numerosi interventi di edilizia residenziale sociale
1997, 1998) e l’ultimo Architettura e Modernità. Dal Bauhaus
a Bari ed in provincia, di strutture sanitarie (fra cui il complesso
alla Rivoluzione Informatica in Architettura (Carocci, 2010);
chirurgico Asclepios nel Policlinico di Bari), universitarie (fra cui
Fondatore del gruppo “nITroSaggio”.
la Facoltà di Lingue a Bari) e scolastiche di vario grado. Negli ultimi anni, a partire da una vasta ricerca negli archivi
[www.arc1.uniroma1.it/saggio]
della “Dogana delle pecore” custoditi nell’Archivio di Stato di
[www.nitrosaggio.net]
Foggia, si è dedicato, con particolare attenzione, all’attuazione della L.R.29/2003 per la tutela e valorizzazione dei tratturi di Puglia, redigendo i “Piani Comunali dei Tratturi” di Canosa di Puglia, Altamura, Terlizzi ed Acquaviva delle Fonti. Fra le sue pubblicazioni significative si segnalano: “BauhausLo spazio dell’architettura” (Edipuglia-Bari- 1984); “Il Piano Quadro dei tratturi di Canosa di Puglia” (in “La civiltà della Transumanza” Cosmo Iannone editore-Isernia-1999); “Vecchie città/Città nuove-Concezio Petrucci 1926-1946” (Edizioni Dedalo-Bari-2006).
Paola Gregory
Anna Giovannelli
Architetto
Architetto
Ricercatore confermato presso la Facoltà di Architettura
Ricercatore confermato in Architettura degli Interni e Allesti-
dell’Università a Sapienza di Roma;
mento presso La Sapienza - Università di Roma.
Attualmente svolge attività di ricerca presso il DiAr (Diparti-
Svolge attività di ricerca e progettazione presso il DIAP (Diparti-
mento di Architettura) e attività didattica nel Corso di laurea
mento di Ricerca e Progetto). È membro del Collegio dei docenti
in Scienze dell’Architettura con il Laboratorio di Progettazione
del Dottorato in Architettura Teorie e Progetto.
Architettonica e Urbana e nel Corso di laurea magistrale in Ar-
Professore a contratto in progettazione architettonica presso la
chitettura Progettazione architettonica e urbana con il corso di
facoltà si Architettura e Società del Politecnico di Milano dal
Teoria della ricerca architettonica contemporanea.
1999 al 2004. Attualmente è docente di Progettazione Architet-
Membro del Collegio dei docenti del Dottorato in Architettura.
tonica presso il corso di laurea magistrale di Architettura U.E.
Teoria e progetto;
della Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma.
Da molti anni si interessa dei rapporti fra teoria e progetto, con
Ha partecipato a numerosi convegni e workshop nazionali in-
particolare attenzione agli aspetti fenomenologici ed eco-siste-
ternazionali. Ha pubblicato articoli e saggi sull’architettura
mici dell’architettura, in relazione a una dimensione paesaggi-
moderna e contemporanea in libri e riviste specializzate, tra
stica del progetto alle diverse scale di studio.
i quali:
Tra le sue pubblicazioni, si ricordano:
Re-convertible city. Mutazioni interne ai corpi urbani,in DIID (disegno
- La dimensione paesaggistica dell’architettura nel progetto
industriale industrial design) n.45.
contemporaneo. L’architettura come metafora del paesaggio,
Riusare l’esistente. Dall’interno, in Gli interni nel progetto sull’esistente.
Laterza, Roma-Bari 1998.
A cura di A. Cornoldi, Padova 2007
- Territori della complessità New Scapes, Testo & Immagine,
La Fabbrica dell’architetto in Itinerari d’impresa n. 3/2004
Torino 2003, (trad. ingl., New Scapes. Territories of complexi-
È autrice del libro Laboratori di architettura. Conoscenza e pratica del
ty, Birkhner, Basel-Boston-Berlin 2003).
progetto, Milano 2003
- P. Gregory, Paesaggio-Architettura (voce) per la Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, Appendice 2000 e XXI Secolo. Settima Appendice, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma (rispettivamente) 2000 e 2007. - Teorie di architettura contemporanea. Percorsi del postmodernismo, Carocci, Roma 2010.
Lorenzo Netti
Armando Sichenze
Architetto
Architetto
Lorenzo Netti é docente di Disegno presso il Politecnico di Bari
Presidente, dal 2007, del Comitato ordinatore della Facoltà di
dove insegna anche Progettazione Architettonica e Urbana.
Architettura dell’Università della Basilicata;
È membro dalla sua costituzione dell’Agenzia Italiana d’Archi-
Professore ordinario di Composizione Architettonica e Urbana
tettura e componente della redazione della rivista di architettu-
presso l’Università degli studi della Basilicata, Facoltà di Inge-
ra arte comunicazione e design ‘Il Progetto’.
gneria;
Nel 1996 è stato invitato alla ‘VI Mostra Internazionale di Archi-
Coordinatore del Dottorato Internazionale in ARCHITECTURE
tettura’ della Biennale di Venezia. Nel 1998 con Gloria A.Valente
and Urban Phenomenology (ciclo XXIII, XXIV e XXV), presso
ha fondato la Netti Architetti che si occupa di ricerca e proget-
l’Università degli Studi della Basilicata;
tazione. Nel 2002 ha partecipato a ‘Lonely living’ nell’ambito
Direttore del Laboratorio Multimediale e di Progettazione (LaMuP)
della VIII Mostra Internazionale di Architettura della Biennale
del Dipartimento di architettura, pianificazione e infrastrutture
di Venezia.
di trasporto dell’Università degli studi della Basilicata;
Nel 2006 è stato selezionato per la medaglia d’Oro dell’Architet-
Direttore, dal 2005, della Collana Architettura e Fenomenologia
tura Italiana e per il Premio Inarch.
della Città Natura della casa editrice FrancoAngeli, Milano.
Nel 2011 l’edificio residenziale di via Napoli a Bari è stato segnalato dal Premio Apulia. Oggetti e progetti di Lorenzo Netti sono stati pubblicati da Domus, Casabella, Abitare, Area, d’A, Modulo, Ottagono e sono stati proposti al pubblico in esposizioni nazionali e internazionali. La galleria AAM ha gli ha dedicato una mostra monografica dal titolo ‘Netti Architetti. Disegno/Costruzione’. In corso progetti e realizzazioni per il Politecnico di Bari e per la Città di Bari. [www.nettiarchitetti.itl]
[www.unibas.it/utenti/sichenze/home.html]
Vincenzo Paolo Bagnato
Claudio Colombo
Architetto
Architetto
Professore di Progettazione esecutiva dell’architettura [Labo-
Laurea in Architettura presso l’Università di Roma La Sapienza,
ratorio di Costruzione dell’Architettura I] presso la Facoltà di
partecipa a corsi post laurea riguardanti l’uso razionale di ener-
Architettura del Politecnico di Bari;
gia e riceve menzioni in numerosi concorsi.
Membro della IAAR [International Association of Architectural
Ha svolto attività didattica presso la Facoltà di Architettura Val-
Research] con sede a Barcellona;
le Giulia.
È tra gli autori dell’opera “L’Architettura. Architettura, Proget-
Lo studio si occupa di progettazione architettonica, allestimen-
tazione, Restauro, Tecnologia, Urbanistica”, Ed. UTET - Scienze
ti, restauri conservativi e riuso di edifici storici e di luoghi per
Tecniche.
il culto. Ha partecipato alla redazione di progetti nell’ambito della ri-
[www.bdfarchitetti.com]
qualificazione ambientale, urbana ed energetica cofinanziati dalla CE-DG XVII, esposti nella XXI International IBA Conference, Berlino. Restauri conservativi: Palazzo Margani, chiesa S. Giacomo Ap., centro civico S. Pietro, chiesa e sagrato SS.ma Annunziata, Palazzo Senni, Palazzo Origo; Ristrutturazioni e ampliamenti: chiesa S. Francesco d’Assisi, chiesa S. Luca, sede BAT Italia, chiesa Maria Immacolata; Allestimenti: gioiellerie Tiffany & Co, Dolce Vita Jazz Festival, TEiST (Temporary Store), showroom Energetica Futura, Herba volant, Bottega Sicula. MC2_architetti [www.mc2architetti.com]
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La Gazzetta del Mezzogiorno
Onofrio Bruno
Luca de Samuele Cagnazzi - Altamura
Altamuralive
Pino Colonna
Prof.ssa Orsola Quattromini
Altamuralife
Prof. Filippo Tarantino già Dirigente Scolastico del Liceo Classico
graphic design Mimmo Laterza
Vice Preside del Liceo Classico Luca de Samuele Cagnazzi - Altamura
Notizie-online Tipografia Studio Stampa
il personale scolastico del Liceo Classico
Free
di Nicola Schiraldi
Il Resto
Grafiche Castellano
La Nuova Murgia
Agenzia Viaggi CoranTour
Luca de Samuele Cagnazzi - Altamura Mario Stacca Sindaco Comune di Altamura
Altamura Giovanni Saponaro
Lab Magazine Bar-Pasticceria Saicaf
Assessore alla Cultura - Comune di Altamura Radio Regio Ufficio Affissioni Comune di Altamura
Radio Altamura 1 La Cattolica Assicurazioni
Altamura
Pasquale Loiudice
Saverio Massaro
Domenico Sforza
[Altamura, 1987]
[Bari, 1986]
[Bari, 1984]
Laureando in Architettura UE presso
Laurea Triennale in Architettura degli
Laurea Triennale in Architettura degli
“La Sapienza” Università di Roma - Val-
interni e allestimento presso “La Sapien-
interni presso “La Sapienza” Università
le Giulia
za” Università di Roma - L.Quaroni
di Roma - Valle Giulia
Relatore: prof. Franco Purini
Tema: Nuova scuola nazionale di cinema
Tema: Centro congressuale all’interno di
Tirocinio formativo presso Studio Tran-
a Cinecittà di Roma
un palazzo storico in Roma
sit-Roma(2010)
Relatore: Anna Giovannelli
Relatore: Massimo Pascucci
Collaborazione presso Studio di architet-
Programma Erasmus 2010/2011 presso la
Laureando in Architettura - Progettazio-
tura Lorusso&Gramegna-Altamura(2010)
TUM-Technische Universitaet Muenchen
ne Architettonica e Urbana presso “La Sa-
Partecipazione al festival dell’ architettu-
- Monaco di Baviera
pienza” Università di Roma - L.Quaroni
ra di Parma Modena e Reggio Emilia “ar-
Studente in corso di Architettura - Pro-
Relatore: prof. Sergio Petrini
chitettura di rara bellezza” (2006)
gettazione Architettonica e Urbana pres-
Partecipazione a vari concorsi di idee.
Partecipazione a vari concorsi di idee e
so “La Sapienza” Università di Roma -
Menzione al concorso di idee ICEBERG
mostre di architettura e pittura.
L.Quaroni
2007 - BOLOGNA
Partecipazione a vari concorsi di idee e
Tirocinio formativo presso lo studio di
di grafica. Vincitore ex-aequo concorso di
Architettura Marco Petreschi Architetto
idee Mind the Difference 2011.
(2010)
Tirocini formativi effettuati presso: Stu-
Collaborazione presso Studio di archi-
dio Ibase-Roma (2008), Design Associa-
tettura mc2_architetti-Roma e P&V pro-
tes-Monaco di Baviera (2011).
getti srl.
w w w. e s p e r i m e n t i a r c h i t e t t o n i c i . i t
Titolo | Tre giorni d’architettura. Ciclo di incontri sul tema dell’abitare Autori | Pasquale Loiudice - Saverio Massaro - Domenico Sforza ISBN | 3ULPD HGL]LRQH GLJLWDOH
Š Tutti i diritti riservati agli Autori. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso degli Autori. Youcanprint Self-Publishing Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy www.youcanprint.it info@youcanprint.it Facebook: facebook.com/youcanprint.it Twitter: twitter.com/youcanprintit