Vanity fair italia 7 settembre 2016

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N. 35 SET TIMANALE | 7 SET TEMBRE 2016

N. 35 SET TIMANALE | 7 SET TEMBRE 2016

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C R ECARTEOA TEODEI R TE TT OTD DEI R OAD A

N INCI O LA SS CO LA WW I NI D IN GG ND IN RE RF EN FN


«Esiste una strada che collega l’occhio «Esiste una strada che collega l’occhio cuore senza passare l’intelletto. alal cuore senza passare perper l’intelletto. Gli uomini non litigano significato Gli uomini non litigano sulsul significato del tramonto; non mettono mai in discussione del tramonto; non mettono mai in discussione fatto che il biancospino dica il il fatto che il biancospino dica cosa migliore e più saggia sulla primavera» lala cosa migliore e più saggia sulla primavera» G.K. Chesterton G.K. Chesterton


Da sinistra VIT TOR IA PUCCI N I

34 anni, in Prada.

ALE SSAN DR A MA STRONAR DI

30 anni, in Chanel. M I R IAM LEON E

31 anni, in Gucci. SVE VA ALVITI

32 anni, in Fendi. Sandali, Ralph Lauren Collection. MATI LDE GIOLI

27 anni, in Valentino. Sandali, Valentino Garavani. MARTA GA STI N I

26 anni, in Alberta Ferretti. Anello, Giovanni Raspini. VALE R IA SOL AR I NO

36 anni, in Dior.

SAR A S E R R AIOCCO

26 anni, in Giorgio Armani. MATI LDA DE ANGE LI S

20 anni, in Ermanno Scervino. Sandali, René Caovilla. GI U LIA E LE T TR A GOR I E T TI

27 anni, in Marella.

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34 anni, in Versace. Sandali, Gucci. VALE R IA B I LE LLO

34 anni, in Louis Vuitton. S I MONA TABA SCO

22 anni, in Blumarine.








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24.08.16

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Alessandro Baricco A RC H I VO GE N E R A L DE I N DI A S

07.09.2016

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Amatrice (Rieti): qui 229 vittime accertate (e 10 dispersi), 11 nella vicina Accumoli, 50 nel comune di Arquata del Tronto (Ascoli Piceno). 26

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GREGORIO BORGIA

07.09.2016

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QUANDO IL BENE

È UNA COPERTA di G R E TA P R I V I T E R A

Il panino al formaggio che mai avrei immaginato di mangiare facendo slalom tra la disperazione. I denti che mi lavo a trenta metri da una casa dove stanno estraendo i corpi senza vita di due bambini. La donna che vedo sempre seduta sulla stessa panchina, ogni volta che passo in piazza. Bellissima, capelli castani lunghi e ondulati, naso all’insù, credo non abbia più di 45 anni. Guarda una casa crollata e piange senza sosta, ormai ripiegata su se stessa. Ha perso i genitori, ancora sotto le macerie. A volte ha accanto un uomo, altre un gruppo di amici, oggi una ragazzina, immagino sia sua figlia perché le assomiglia molto, pigia il touchscreen del cellulare a velocità olimpionica, alza lo sguardo dallo schermo solo per scattare foto e, ipotizzo, mandarle a qualcuno su WhatsApp. Lo scambio tra due anziani. «Quanto pagherei per un piatto di spaghetti fatti bene, come li facciamo noi». «Maledetta amatriciana». Le ore che, senza una casa e senza un lavoro, passano lentissime. Difficile, senza averlo vissuto, immaginare quanto. Voooom, eccolo di nuovo. «Questa era almeno 5», dice un anziano, al parco. C’è una coppia sdraiata in fondo. Non fanno una piega, continuano a prendere il sole come fossero in spiaggia. Le decorazioni dell’albero, i vestiti di Babbo Natale, la stella cometa, i disegni dei pupazzi di neve. Siccome è ancora estate, colpisce vederli spuntare da tanti cumuli di macerie. Sono rotolati giù dalle soffitte, come a dire: in questa casa si festeggiava la festa più bella di tutte.

I lacci di fortuna che chiudono le porte della zona rossa, nel 28

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tentativo di tener fuori gli sciacalli. Un signore di 86 anni indica la sua cucina senza muro, vorrebbe recuperare dal frigo la soppressata che senza elettricità andrà a male, ha paura che il ghiaccio si sciolga e rovini il pavimento. Di una casa che dovrà essere demolita. La ragazza che fuori dalla tenda si mette lo smalto alle unghie. Ai più non importa, in questo momento, di avere i capelli in ordine, i vestiti senza polvere, le ciabatte del numero giusto. L’odore dolce e acre che ti prende la gola, e ti fa smettere di respirare. «Lei conosce la puzza della morte?», mi chiede una signora. Nella decina di tende blu davanti a noi, oltre duecento corpi chiusi in sacchi bianchi, vestiti (o svestiti) come quando si va a dormire. I parenti, in attesa di identificarli, sono seduti a gruppi su sedie verdi di plastica, come quelle dei bar. La testa gira, un po’ per l’odore, un po’ per la disperazione. «Perché lei sì e io no», chiede un ragazzo. E una donna: «Non ho più nessuno». Un gesto quotidiano distrae dal dolore per un secondo. «Caffè, caffè, chi vuole il caffè?», chiedono i ragazzi della Croce Rossa. «Ci sono anche le brioche». Si smette di piangere, per poco, e si gira lo zucchero. La bambina di sei anni che mi fa, arrabbiatissima: «A settembre dovevo iniziare la scuola elementare ma è caduta. Io non voglio tornare all’asilo». L’ennesimo voooom che sveglia il palazzetto dello sport. Quando la terra si ferma, alle 5 del mattino, la quotidianità riprende il sopravvento. In un angolo un po’ più discreto, gli anziani in sedia a rotelle vengono lavati con la spugna e cambiati. Forse da figlie, o forse da vicine di casa. I legami di sangue adesso non contano poi tanto, questa è una grande famiglia. Il gesto più delicato che io abbia mai visto. Sono le tre di notte, si scava tra macerie che hanno tolto a una donna due bambini, il marito, i vecchi genitori. Il cane si ferma, abbaia: «Sono qui». I vigili del fuoco spostano le pietre a mani nude, poi cercano tra i resti della casa una coperta e la stendono sui due nonni, nel loro letto.

ARIANNA ARCARA

07.09.2016

CESURA

Il terremoto che suona come non mi aspettavo. «Voooom». Prima scossa della prima notte. Insonne per me, anche perché un volontario della protezione civile russa fortissimo a un metro dalle mie orecchie. Il terremoto mi fa scattare in piedi. Si alza anche lui: «Che è successo?». Il collega accanto gli fa: «A trattore, e meno male che t’ha svejato». Vede che sorrido, mi chiede scusa: «Ma sa, signorina, lavoro senza tregua da quindici ore».



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SONO TUTTI

FIGLI MIEI Caro direttore, ono 7 anni, 4 mesi e una manciata di giorni che ogni notte mi sveglio poco prima o poco dopo le 3 e 32, l’ora in cui ho perso mia figlia Claudia nel terremoto dell’Aquila del 2009. La notte del 24 agosto non mi sono svegliata da sola, ci ha pensato – alle 3 e 36 – una violenta scossa di terremoto, avvertita in una casa lontana dalla mia città e dai miei affetti. È un incubo o la realtà? Ben presto capisco che, purtroppo, è tutto vero. Il primo nome che grido è quello di mio nipote, lontano: il piccolo cucciolo che, da 3 anni a questa parte, ha ridonato un briciolo di vita a me e mio marito. Mi rendo conto dell’immane tragedia che ancora una volta ha colpito il nostro Paese alle 4 e 40, quando in Tv iniziano a scorrere le prime immagini. È tutto identico a quello che ho vissuto in prima persona a L’Aquila quella tremenda notte. Un tetto integro poggiato su un cumulo di macerie, una macchina impolverata… tutto appare simile alla scena di casa di mia figlia. Dopo quelle immagini non sono riuscita a vedere o leggere pressoché più nulla. Capisco che è una forma di protezione o, piuttosto, di vigliaccheria. So che sono in tanti ad aver perso la vita, molti sono bambini e giovani. Da quel momento tutti i bimbi sono diventati figli miei, e vorrei tanto abbracciare forte a una a una tutte le loro madri. Lo faccio qui, virtualmente. Niente e nessuno le consolerà. Quando ti muore un figlio, se ne va una parte di te. La forza per andare avanti dovranno trovarla nel ricordo dei loro cari, dovranno vivere per avere giustizia e fare in modo che questo triste destino non tocchi ancora e ancora ad altri. Madri, padri, figli, mariti, mogli, sorelle e fratelli. A volte, si ha la sensazione che sia più facile ricostruire che investire nella prevenzione e nella sicurezza e, dopo un primo momento di commozione generale, i morti restano tali solo per i congiunti. A me ha aiutato molto scrivere a mia figlia che non c’è più. «Lettere a Claudia» è una serie di scritti che lei chiaramente non leggerà mai, ma che a me hanno dato tanta forza. La vita non sarà più quella di prima, ci sarà sempre un prima e dopo il terremoto. I giorni passano lenti, tra le visite al cimitero e la quotidianità di vita in una città che non è più tale da troppo tempo. Il dolore cambia forma e colore, con il tempo diventa tutto drammaticamente vero ma non accettabile. I genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai propri figli.

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Care lettrici, cari lettori, la prima lettera di Fiorella Tomei arrivò a una settimana dal terremoto dell’Aquila. In una foto del nostro reportage, in una carta d’identità spuntata tra le macerie, aveva riconosciuto sua figlia. «Sono la mamma di Claudia», scriveva, «la cui immagine “dal bel viso che sorride e i lunghi capelli bruni” è apparsa su Vanity della scorsa settimana. Claudia, vostra lettrice, è morta a neanche 30 anni sotto le macerie di una delle palazzine crollate (...). Da piccola mi regalò un ciondolo a forma di luna, e nel biglietto che lo accompagnava c’era scritto: “Mamma, ti regalo la luna perché il sole che illumina la tua vita già ce l’hai, sono io!”. Tu non ci sei più, e io mi domando perché il sole continua ogni giorno a sorgere». In questi anni, siamo rimasti in contatto con Fiorella. Che ora, dopo il terremoto di Amatrice, Accumoli e Arquata, ha scelto di scriverci di nuovo. Lo so che la vita mescola lacrime e risate, e Vanity Fair cerca di fare lo stesso. Ma non me la sento di aggiungere a questa pagina le mie risposte sceme. Per una settimana, va così. Spero che capirete. Luca Dini

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VANITY FAIR

07.09.2016

NADIA SHIRA COHEN

PERCHÉ QUESTA LETTERA, PERCHÉ SOLO QUESTA



24.08.16 W E E K 03:36’32’’ RUBRICA BARBARICA

di DARIA BIGNARDI

QUANDO NON HAI PIÙ NIENTE

CHE COSA RIMANE? C

he cosa rimane, quando non hai più niente? Da quando le immagini e le voci della distruzione sono il sottofondo angosciante delle nostre giornate post 24 agosto h 3.36, la domanda che non se ne va più è questa: che cosa rimane quando hai perso tutto? Quando l’unica cosa che ti rimane è il fatto di essere vivo? È moltissimo, essere vivi. È tutto. Ma può non essere abbastanza, se rimani solo.

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ono soltanto una dei molti che quella notte era a Roma e si è svegliata alle 3.36 con la scossa interminabile, ha visto oscillare il lampadario, ha guardato Twitter e ci ha trovato la conferma di quel che temeva. Da quel momento Amatrice, Accumoli, Arquata, nomi che confesso non avevo mai sentito – il mio Appennino è quello toscoemiliano –, sono lo sfondo dei miei pensieri, quando non il primo. Leggo tutto, guardo tutto, mi faccio raccontare da chi c’è stato. Perché oltre ai doveri immediatamente professionali – coprire l’emergenza, variare la programmazione, calibrare Parla i toni, immaginare le esigenze informative delle con lei prossime settimane – sento il bisogno, come penPotete seguire so anche voi, di immedesimarmi, per capire coDARIA su Twitter me e che cosa raccontare, ma anche per sentir@dariabig o mi umanamente vicina a chi soffre. Cum-patire leggere tutte le vuol dire soffrire insieme, «patire con». Non ha sue rubriche su barbablog. niente di morboso, è un sentimento spontaneo e vanityfair.it. umano che non è incompatibile con la razionalità e l’azione, ma dovrebbe alimentarla.

È

ovvio che non potremo mai saperlo – non capisci mai bene fino a che non vivi le cose sulla tua pelle – che cosa si prova a perdere tutto. A tutti prima o poi succede di subire un lutto, di perdere una persona cara, un familiare stretto, ma difficilmente succede di perderne improvvisamente, precocemente, drammaticamente, due, tre, o anche di più. Può succedere di perdere un amico d’infanzia, ma non molti o tutti. Un vicino, non tutti i tuoi vicini. Può capitare, di 32

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perdere il lavoro – il negozio, l’attività – per un incidente. È infrequente ma succede. Anche perdere la casa in un incendio o un’esplosione è rarissimo, però è capitato. Ma perdere tutto insieme, il tuo paese, la casa, il lavoro, gli amici, i parenti, succede solo a chi subisce un terremoto o un’altra calamità. Uragani, alluvioni, guerre. Identificarsi è impossibile, se non li vivi. I Monti della Laga,  Sappiamo, dalle cronasopra Amatrice.  che, che la giornata del terremotato è lunga e impegnativa. In tenda la notte fa freddo e di giorno fa caldo. I bagni chimici sono bagni chimici. Dopo la colazione al campo mensa ci si mette in fila per avere le cose di prima necessità, un sapone, una felpa, i pannolini, le medicine. E per essere accompagnati dai Vigili del Fuoco dentro la Zona Rossa – dove non si entra senza un pompiere perché tutto può crollare ancora – a recuperare documenti, soldi, gioielli, scarpe, vestiti pesanti, ricordi.

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e polemiche sui «terremotati in tenda e gli immigrati negli alberghi» che ha inventato qualche giornale, subito ripresi sui social dagli odiatori professionisti da divano, fanno pietà. I terremotati non possono e non vogliono andarsene adesso. Molti di loro hanno ancora parenti da riconoscere, funerali da fare, cose da recuperare. In tenda non potranno stare molto, perché tra poco viene freddo, sugli Appennini. E c’è chi si dispera anche per le pecore, i maiali, le galline. Era una comunità agricola e turistica, quella colpita. Il pecorino e il guanciale dell’Amatriciana conosciuta in tutto il mondo si fanno con le pecore e i maiali. Era il lavoro di molti, fare la carne e il formaggio, ma era anche la loro identità, e ora non hanno più neanche quella. (Almeno delle farneticazioni sul karma di una scema vegana in Rete possiamo non parlare, vero?).

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chi ha perso tutto – i parenti, gli amici, la casa, il lavoro, il posto dove sei cresciuto, l’identità – che cosa rimane? Forse rimangono il cielo, e l’aria, e l’odore del posto dove vivevi. Il profilo di quelle montagne. Quel panorama. Quello, non un altro. 07.09.2016



24.08.16 W E E K 03:36’32’’ LA DANZA IMMOBILE

di MICHELE SERRA

C r on a ch e da u n Pae s e ch e s ta pe rd e n d o te m p o

QUELL’ILLUSIONE CHE SI CHIAMA

RISCHIO ZERO

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i piace immaginare che sia solo colpa nostra: della nostra imprevidenza, delle case costruite male e nei posti sbagliati, della prevenzione scadente. Perché se fosse «solo colpa nostra», vorrebbe dire che la sicurezza assoluta è un obiettivo realistico: dipende da noi, e basta. Ma non è completamente vero. Esiste un margine di insicurezza che non è eliminabile per sempre, e non è imputabile solamente alla incautela umana. «Rischio zero» non esiste. Buona parte delle vittime di incidenti di montagna è costituita da sprovveduti o da imprudenti, ma in montagna muoiono anche valenti guide alpine. Non tutto è preventivabile, non tutto evitabile, non tutto domabile dall’uomo. Nel 1996 in Garfagnana un torrente di montagna, dopo un tremendo temporale, prese le dimensioni di un mostro e distrusse il paese di Fornovolasco, facendo parecchie vittime. Scrissi sul

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mio giornale che la colpa era sicuramente degli argini troppo esili e dei crinali lasciati all’incuria. Ma era una sciocchezza, un pigro luogo comune. Gli amministratori locali (che ancora ringrazio) mi invitarono sul posto: gli argini erano gli stessi che per secoli avevano protetto il paese, i boschi dei crinali erano ben tenuti, il territorio meglio curato che in molte altre vallate. Banalmente, e atrocemente, era caduta in un’ora tanta acqua quanta non ne cadeva, in tempi così concentrati, da secoli. Durante quegli stessi secoli il paese si era sentito protetto e immune; ma i secoli, che a noi paiono bastioni monumentali, sono, per il pianeta Terra, solo briciole di tempo.

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dunque? Dunque bisogna rinforzare gli argini, costruire case antisismiche, pulire i boschi per prevenire gli incendi, non abitare sotto le frane e le valanghe, lavorare di più e spendere di più per la nostra sicurezza. Ma, per farlo meglio, bisognerebbe anche cambiare cultura. Avere contezza della natura significa anche avere contezza della morte. L’idea melensa della natura «buona», fatta di paesaggi idilliaci e di animaletti carini, è molto più pericolosa della natura stessa. La natura dà moltissimo e pretende altrettanto. Siamo noi a equivocare, quando dimentichiamo la nostra dipendenza dal sistema-natura e ci illudiamo, per esempio, che il sistema-tecnologia possa rimpiazzarlo in toto, e farci vivere in un eterno artificio che ci sottrae al dolore. La presunzione di eterna salute, sicurezza, giovinezza, benessere tipica dei nostri tempi non è una buona consigliera: vivere non è «un diritto», è una conquista e una fortuna. Il terremoto è, per noi italiani, un compagno di viaggio. Per imparare a vivere con lui, e a sopravvivergli, dobbiamo imparare a convivere con l’imperfezione, il rischio, la precarietà. Altrimenti rischiamo di avere, rispetto ai nostri avi, più tecnologia, più mezzi e meno coscienza: e non è un progresso.

ARIANNA ARCARA

07.09.2016

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ispetto ai terremoti italiani dei quali abbiamo memoria mediatica – dal Belice a oggi, direi – molte cose sono migliorate. I soccorsi, le cure sanitarie, la protezione civile (istituita nell’82, perfezionata nel ’92), la qualità e la tempestività delle comunicazioni; e persino la politica, checché se ne dica, è migliorata. Una sola cosa non è migliorata, ed è lo sbigottimento con il quale prendiamo atto – come se fosse sempre la prima volta, e come se fosse un tradimento inaspettato – che la natura può essere distruttiva. Può atterrarci come birilli, affogarci come pulcini, sbalzarci dalla faccia della terra come se la nostra vita fosse una variabile poco significativa dei grandi cicli naturali, geologici, climatici. Possiamo morire di terremoto, di tsunami, di alluvione, di frana, di valanga, di tempesta, inchiodati dalla folgore, assaliti dagli squali, punti da un insetto, morsicati da un serpente, soffocati da un incendio boschivo che corre alla velocità di un cavallo, assiderati dal gelo che ci sorprende allo scoperto.


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24.08.16 W E E K 03:36’32’’ C O R A Z Z ATA P O T Ë M K I N

d i D AV I D A L L E G R A N T I

Q uella n oti z i a ti se m b ra «un a cagata pazze s ca » ? Q u i s i p r o va a toglie rt i il d u bbio

QUEL RIMEDIO CHE SI CHIAMA

PREVENZIONE I

n Italia, negli ultimi 150 anni, si sono verificati terremoti che hanno provocato gravi danni a persone e cose in media una volta ogni 5 anni. Oltre 21,5 milioni di persone abitano in aree a rischio molto o abbastanza elevato (1 o 2), di queste 3 milioni nella zona 1, la più pericolosa. Altri 19 milioni vivono nella zona 3, che però non può essere considerata sicura, visto che molti comuni dell’Emilia-Romagna colpiti nel 2012 erano all’epoca classificati in quella fascia. Ovvero: la suddivisione in zone si basa sulla statistica degli eventi passati, e non è garanzia di nulla. Tradotto: siamo un Paese costantemente in pericolo ed è bene saperlo, perché con adeguata prevenzione si potrebbero salvare molte vite. Solo che la prevenzione GRAZIE costa: il Consiglio NazioL’estate del 2016 nale Ingegneri ha calcolasta finendo, to che servirebbero 93 migrazie a Dio. liardi di euro per mettere in sicurezza il patrimonio CAINO abitativo da eventi sismici dell’entità di quelli di Amatrice. Soldi necessari, visto che abbiamo case piuttosto vecchie: 15 milioni (oltre la metà) sono state costruite prima del 1974, in totale assenza di normativa antisismica. Di queste, 2,7 milioni prima del 1945 e 4 milioni prima del 1920: case che sono la nostra ricchezza, ma che presentano anche

IL PENSIER INO di Vivian Lamarque

TERREMOTO

Che pericolo il silenzio che domani calerà a coprire tutto, come oggi le macerie e la polvere bianca.

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CICATR ICE di Andrea Sarubbi Tra Norcia, Arquata, Accumoli e Amatrice la terra trema forte nella notte: lascia soltanto sassi in superficie; sogni e speranze, case e scuole inghiotte. Ci resta una profonda cicatrice, le lacrime per le vite interrotte: l’Italia nel dolore è una Nazione, ma lo sarà nella ricostruzione?

rischi con i quali dobbiamo convivere. Ricordando che i terremoti non sono eventi rari, e possono essere molto più forti, non solo in Calabria o a Messina: nel 1915, ad Avezzano (70 chilometri da Amatrice), un sisma di magnitudo 7, dunque decine di volte più distruttivo, fece oltre 30 mila morti.

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e case nuove devono essere, per legge, costruite rispettando la normativa antisismica: l’obiettivo non è che non vengano lesionate, ma che non crollino su chi ci vive. Sulle case già esistenti per ora non c’è alcun obbligo, anche se gli interventi sono fattibili, e – detto che il rischio zero non esiste – possono ridurre notevolmente la vulnerabilità di uno stabile. «Sugli edifici esistenti, sono di tre tipi: la riparazione locale, il miglioramento sismico, l’adeguamento sismico», dice a Vanity Fair l’ingegner Giovanni Cardinale, consigliere del Cni. «L’adeguamento sismico deve rendere una casa sismoresistente al pari di una nuova. Ma nei vecchi edifici è un intervento molto invasivo, molto costoso, e a volte sconsigliabile. Gli interventi di miglioramento sono i più diffusi, e possono ottenere grandi risultati nella salvaguardia delle vite umane». Non parliamo ovviamente degli interventi fai-da-te, tipo massicci tetti e cordoli e solai di cemento

armato piazzati sopra muratura scadente e non rinforzata: «In presenza di strutture verticali vecchie, la creazione di diaframmi orizzontali rigidi e pesanti, se non è attentamente valutata, può essere molto negativa».

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monte c’è un problema culturale. Se compriamo una casa sappiamo la sua classe energetica, ma non esiste un documento che ne attesti la sicurezza antisismica. «Il governo», dice Cardinale, «ha ora promesso che si farà finalmente il fascicolo del fabbricato, una “carta di identità”, finora mai fatta anche perché le grandi proprietà immobiliari temevano l’impatto negativo sul valore commerciale». Detto che l’inchiesta farà il suo corso, non si può liquidare il crollo parziale della scuola di Amatrice – ristrutturata nel 2012 – come Segui prova dell’insufficienza Allegranti Su Twitter delle misure antisismi@davidallegranti che: l’intervento fu, dice il sindaco, di miglioramento, non di adeguamento, e a dar retta al costruttore interessò solo parte dell’edificio, quella rimasta in piedi. L’ospedale di Amatrice invece è in piedi ma inagibile. «Solo dal 2008 la legge prescrive che un ospedale, in caso di sisma, non solo non crolli ma resti nella possibilità di continuare a funzionare. Questo però è realisticamente possibile solo per i nuovi edifici progettati secondo norma». Verrebbe da dire, allora: coraggio, abbattiamoli tutti gli ospedali che non possono essere utilizzati dopo un terremoto, e costruiamone di nuovi. Ma anche: le nostre case vecchie sono meravigliose, ma comportano la convivenza con un rischio. Lo Stato dovrà fare la sua parte, ricostruendo e magari evitando le orribili New Town, che hanno un impatto sociale non sostenibile. Ma anche i cittadini possono fare molto, per se stessi, se acquisiscono consapevolezza. 07.09.2016


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218 NEI PALAZZI DA GATTOPARDO

«CI SONO UOMINI, DONNE, FINTI UOMINI, FINTE DONNE

E POI NOI, DEL QUINTO SESSO» 190

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COPERTINA Uno straordinario servizio-film creato e diretto da Nicolas Winding Refn (vedi pagina seguente)

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WEEK Madre Teresa di Calcutta santa (e Folco Terzani la racconta)

162 MELISSA BENOIST: IO E SUPERMAN

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SPY Simone Biles, amicizia e ginnastica. Andrea Delogu «parla» al marito

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BEAUTY

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Consigli per gli uomini, gli sport «giusti» che arrivano da Rio

ALESSIO BONI: IO E LA MAFIA

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CARPE DIEM La serie Tv più intrigante della stagione, il guru della cucina sudafricana

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Ci accontentiamo semplicemente del meglio e creiamo i migliori prodotti editoriali. Per questo abbiamo Vanity Fair, il settimanale leader in Italia, Vogue, il mensile più autorevole, e Glamour, il mensile femminile più letto. Per questo siamo l’editore italiano più seguito sui social. Per questo ogni mese raggiungiamo 16 milioni di donne. Tradotto in una parola, Qualità. In due parole, Condé Nast. Direttore Responsabile LUCA DINI Vicedirettore ANTONELLA BUSSI Direttore Moda PAOLA VENTIMIGLIA Direttore Creativo Moda e Progetti Speciali ELISABETTA BARRACCHIA Photo Editor MARCO FINAZZI Art Director ALBERTO PEJRANO Web Editor GERMANO ANTONUCCI Caporedattore Centrale MARIO MANGIAGALLI Responsabile Spettacoli e Week SILVIA BOMBINO Vice Caporedattore Responsabile Beauty&Benessere MICHELA MOTTA Vice Caporedattore Ufficio Centrale ELEONORA PLATANIA Caporedattore, MARINA CAPPA Vice Caporedattore, LAURA FIENGO Caposervizio, LAURA PEZZINO Caposervizio, TAMARA FERRARI Vice Caposervizio, VALENTINA COLOSIMO, CHIARA ALPAGO-NOVELLO Caporedattore A.P. Redazione SILVIA NUCINI Caporedattore, ENRICA BROCARDO Inviato e Canale Pets, SARA FAILLACI Inviato, PAOLA JACOBBI Inviato, ANNA MAZZOTTI Caposervizio Redazione Style PAOLA SALTARI Vice Caporedattore, CRISTINA MANFREDI Caposervizio, BARBARA BARTOLINI Fashion Editor, ILARIA CHIAVACCI Beauty VALENTINA DEBERNARDI, FRANCESCA BUSSI Food & Lifestyle MADDALENA FOSSATI Caposervizio Immagine ANDREA ANNARATONE, CLAUDIO LA COGNATA Assistant Photo Editor, MARISA ZANATTA, ALICE CROSE Reparto Artistico ELISA ARDENI Assistant Art Director, LORENZA LAVRANO Assistant Art Director, BRUNO BRUNELLO Responsabile di Produzione, DANIELA SESENNA Vice Caposervizio, ANDREA BRINDISI, MARIANNA CISTERNINO, MASSIMO CORRADINI, ENZA PICCICUTO Collaboratore GISELLA GENNA VanityFair.it Ufficio Centrale MATTEO GAMBA Vice Caporedattore, VERONICA BIANCHINI Caposervizio, CAMILLA STRADA VanityFair.it Redazione FRANCESCA CIBRARIO Lifestyle, LAVINIA FARNESE People, ROSSELLA FIORE Vice Caposervizio Beauty, PAOLA MANFREDI Travel & Food, FRANCESCO OGGIANO News, GRETA PRIVITERA News, FEDERICO ROCCA Vice Caposervizio Moda, RAFFAELLA SERINI Show, LORENA SIRONI Benessere, VALERIA VANTAGGI Vice Caporedattore My Business Segreteria di Redazione DANIELA NARDUCCI Responsabile, ALESSANDRA CAPRA, ELENA LOTTO, ALESSANDRA LUCCHINI Assistente di Direzione, coordinamento Produzione ed Eventi ROBERTA PEZZANI Parigi: FRANÇOISE GUITTARD New York: CHRISTINA NICASTRI HANNO COLLABORATO DAVID ALLEGRANTI, FRANCESCA AMÉ, CARLA BARDELLI, ALESSANDRO BARICCO, STEFANO BARTEZZAGHI, JOSEPH BENNETT, DARIA BIGNARDI, IRENE BIGNARDI, NATASHA BRAIER, CAINO, ANTONIO CAPITANI, CLEO CASINI, MATTEO COLOMBO, MARGHERITA CORSI, FERDINANDO COTUGNO, CHIARA GAMBERALE, ELSA GIOVINE, MASSIMO GRAMELLINI, JOHN HISCOCK, AFEF JNIFEN, VIVIAN LAMARQUE, MATTEO MAFFUCCI, TIZIANO MARINO, MICHELA MARZANO, GEMMA MASCAGNI, ISABELLA MAZZITELLI, MARIANGELA MIANITI, LJUBA RIZZOLI, RICCARDO ROMANI, ANDREA SARUBBI, ANNAMARIA SBISÀ, MICHELE SERRA, SIMONA SIRI, WIDAD TAMIMI, FOLCO TERZANI, LUCA VENTURA, SIMONA VERRAZZO, VINCINO, IMMA VITELLI, NICOLAS WINDING REFN, PAOLO ZAMPOLLI International Editor at large SCIASCIA GAMBACCINI International Creative Director DEVIN PEDZWATER Direttore Editoriale FRANCA SOZZANI Direttore Centrale Marketing Clienti MARIANGELA BONATTO Divisione VANITY FAIR, LA CUCINA ITALIANA Direttore PAOLA CASTELLI Advertising Manager BENEDETTA BATAZZI, BEATRICE FERRARIO, CLAUDIA PROSERPIO Direttore Vendite GIANCARLO ROPA Digital Advertising: ELIA BLEI Direttore, CARLO CARRETTONI Responsabile Centri Media. Moda e Oggetti Personali: MATTIA MONDANI Direttore. Beauty: MARCO RAVASI Direttore Grandi Mercati: MARCO TOSETTI, Responsabile. Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta: MATTIA MONDANI Area Manager Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia: LORIS VARO Area Manager. Emilia Romagna, Marche, Toscana, Umbria: GIANCARLO ROPA Area Manager. Toscana, Umbria: ANTONINO ACANFORA Area Manager. Lazio e Sud Italia: ANTONELLA BASILE Area Manager. Uffici Pubblicità Estero - Parigi/Londra: ANGELA NEUMANN New York: ALESSANDRO CREMONA. Barcellona: SILVIA FAURÒ. Monaco: FILIPPO LAMI Digital Marketing: MANUELA MUZZA. Social Media: ROBERTA CIANETTI

EDIZIONI CONDÉ NAST S.p.A. Presidente e Amministratore Delegato GIAMPAOLO GRANDI Direttore Generale FEDELE USAI Vicedirettore Generale DOMENICO NOCCO Vice Presidente GIUSEPPE MONDANI, Direttore Business Development ROBERTA LA SELVA, Direttore Digital MARCO FORMENTO Direttore Comunicazione LAURA PIVA, Direttore di Produzione BRUNO MORONA, Direttore Circulation ALBERTO CAVARA Direttore Risorse Umane CRISTINA LIPPI, Direttore Amministrativo ORNELLA PAINI, Controller LUCA ROLDI Direttore Tecnologie GIUSEPPE SERRECCHIA, Direttore Prodotti Digitali BARBARA CORTI Direttore Creativo CN Studio CRISTINA BACCELLI, Direttore Branded Content RAFFAELLA BUDA Sede: 20121 Milano, piazza Castello 27 - tel. 0285611 - fax 028055716. Padova, via degli Zabarella 113, tel. 0498455777 - fax 0498455700. Bologna, via Carlo Farini 13, Palazzo Zambeccari, tel. 0512750147 - fax 051222099. Firenze, via Jacopo Nardi 6, tel. 0552638789 - fax 0552009540. Roma, via C. Monteverdi 20, tel. 0684046415 - fax 068079249. Parigi, 4 place du Palais Bourbon 75007 Paris - tel. 00331-44117885 - fax 00331-45569213. New York, 125 Park avenue suite 2511 - New York NY 10017 - tel. 212-3808236 - fax 212-7867572. Barcellona, Passeig de Gràcia 8/10, 3° 1a - 08007 Barcelona - tel. 0034932160161 - fax 0034933427041. Monaco di Baviera, Eierwiese 5b - 82031 Grünwald - Deutschland - tel. 0049-89-21578970 - fax 0049-89-21578973. REDAZIONE: PIAZZALE CADORNA, 5 - 20123 MILANO - TEL. 02.8561

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ANDIAMO A COMANDARE, MAMMA?

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Sul palco ha ricevuto 8 premi, tra cui quello per il video dell’anno con il mini film sull’orgoglio nero Formation e per il miglior video femminile con Hold Up. Ma, agli Mtv Music Awards al Madison Square Garden di New York, Beyoncé Knowles, 35 anni il 4 settembre, ha trionfato anche sul tappeto rosso, sfilando con la figlia Blue Ivy, 4, in abito principesco e con tiara di diamanti, per poi esibirsi in un medley di 5 successi del suo ultimo album Lemonade, in uno show applauditissimo.

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WEEK settimane – al disegno di legge sul Lavoro Agile, smart working veravorare meno per lavorare (e vivere) meglio: in Germania sione tricolore che introduce per la prima volta la possibilità di flesci pensano. Manuela Schwesig, ministro della Famiglia del sibilità di orari e luoghi di lavoro nei tradizionali contratti di lavoro governo Merkel, ha proposto un bonus di 300 euro al mesubordinato. Lavorare agile non significa farlo a tempo ridotto (quelse ai genitori di figli under 8 che scelgano entrambi di rilo è il part-time) né con il telelavoro, che prevede la necessità di credurre da 36 a 28 il numero totale di ore lavorate a settimana, e l’inare, con tutti gli oneri legati alla sicentivo sarà tra i temi caldi alle elecurezza, vere e proprie postazioni zioni del prossimo anno. di ufficio in casa. «Il Lavoro AgiChe il governo italiano possa penle è cucito addosso alle esigenze sare di intervenire con una misura dei singoli dipendenti», spiega simile appare improbabile, per la Cuomo. Vale a dire: elasticità dedifficoltà di reperire la copertura gli orari di entrata e uscita e possieconomica necessaria. Ma il punbilità, grazie alla tecnologia mobito è un altro. Quale azienda, da le, di lavorare parzialmente da renoi, farebbe propendere l’ago delCon lo smartphone si lavora sempre e ovunque. moto con i propri device. la bilancia tra vita privata dei diLo hanno capito in Germania, dove viene Privilegio di pochi, finora: su 200 pendenti e lavoro verso il primo incentivata la riduzione delle ore in azienda. aziende italiane con oltre 250 dipiatto? «Viviamo ancora nel mito E da noi? La speranza • il Çlavoro agileÈ pendenti (dati Sda Bocconi), sodell’“importante è esserci”», dice lo il 18% lo sperimenta. Vodafone Simona Cuomo, coordinatore del è l’azienda con più personale Diversity Management Lab alla di F R A NC E S C A A MÉ coinvolto: oltre 3.500 persone, Sda Bocconi. «Il numero di ore alper un massimo di 4 giorni al mela scrivania conta più della qualità se ciascuno, lavorano «da dove vogliono», in Accenture è conceseffettiva del lavoro: in azienda la riduzione oraria è percepita come so due giorni a settimana (e 500 ne giovano), in Microsoft la metà danno. In un approccio culturale al potere che resta gerarchico e podei dipendenti, top manager inclusi, lo sceglie quotidianamente. co partecipativo, il concetto di conciliazione tra vita privata e lavoro, Basterà una legge per uscire dal paradosso tutto nostrano del più per rendere al meglio in entrambi, non ha ancora attecchito». alto numero di ore passate alla scrivania per persona e dell’indice Eppure qualcosa sta cambiando: in estate la commissione lavoro di produttività individuale più basso d’Europa? del Senato ha lavorato – e se ne dibatterà in aula nelle prossime

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A NOI DUE, SCRIVANIA

Ricominciamo in un UFFICIO più felice Vi sentite deconcentrati e non ne azzeccate una? Spegnete l’aria condizionata. Uno studio della Cornell University ha rivelato che, aumentando la temperatura da 20 a 25 gradi, chi scrive al computer fa meno errori di battitura (fino al 44%) ed è più efficiente del 150%.

Le vacanze sono finite e non avete nessuna voglia di tornare al lavoro? Sorpresa: durante la vostra assenza, l’ufficio è diventato un’oasi di felicità e benessere. Magari non esattamente il vostro, ma sicuramente quello pensato dagli scienziati. Con pochi accorgimenti l’ufficio moderno tipico può diventare un luogo dove sentirsi più appagati, più energici e più tolleranti persino nei confronti dei colleghi capaci di provocare i vostri inconfessabili istinti omicidi. Più che scienza, fantascienza? Solo perché non avete provato ad ascoltare il cinguettio degli uccelli. luca ventura

CINGUETTIO SÌ, SILENZIO NO

FATE LE PAUSE, E CONTATE

Meglio il silenzio o la musica classica per concentrarsi? Né l’uno né l’altro. Piuttosto, suoni come il cinguettio degli uccelli o le onde del mare, che rallentano il battito cardiaco e riducono la tensione muscolare.

Secondo DeskTime, un software che monitora le abitudini di chi lavora al computer, gli impiegati più efficienti si danno da fare per circa 52 minuti e fanno pause di 17. Quindi: occhio all’orologio.

CONFUSI E CONTENTI Per anni vi è stato detto che con la scrivania ordinata si lavora meglio. Come non detto: nuovi studi dimostrano che il disordine stimola il pensiero creativo. Ancora meglio se il caos è «organizzato» in pile che formano una barriera protettiva: l’ufficio «open space» riduce la soddisfazione sul lavoro.

LA PIANTA DELL’UFFICIO Portare il cane al lavoro? Roba da Silicon Valley: il capo non lo permetterà mai. È però dimostrato che introdurre un po’ di natura nel luogo di lavoro aiuta a ridurre lo stress. Non avete il pollice verde per una pianta? Tranquilli: pare che basti una fotografia.

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MA CHE FREDDO FA



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BUONO E SOLIDALE

5 quintali di spaghetti,   200 chili di passata,   80 di guanciale per grandi  e piccoli: è la lista della  spesa per preparare, a Torino, i 5 mila piatti di  amatriciana «solidale» per il terremoto di Amatrice.

LE BUGIE NON SI DICONO Vale per i bambini, ma anche per i genitori. Che, sopraffatti da notizie di terremoti, terrorismo, guerre, preferirebbero edulcorare la realtà. Errore: per spiegare ai figli, le parole giuste esistono di E L S A G IO V INE

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amma, e se viene il terremoto?». Le immagini di Amafacile che il piccolo si preoccupi, ma in modo meno misurato, pertrice, le storie dei bambini morti sotto le macerie (ma ché non sa astrarre. Grazie ai “neuroni specchio” sente quello che anche di quelli siriani, dei baby kamikaze, dei migransentiamo noi». ti annegati) entrano nelle nostre case attraverso i teleE le opinioni? giornali, e spesso guardano anche i più piccoli. «Dire “se ne stessero a casa loro’’ alla notizia di una barca che si Dopo la strage di Nizza del 14 luglio, il Telefono Azzurro aveva stilarovescia, al di là di come uno la pensi, fa passare il concetto che il to un decalogo – tranquillizzare, coinvolgere, rifugiarsi nella routine mondo è un posto in cui difendersi dagli altri, a qualunque costo. – di «comunicazione genitore-bambino». Parlare ai figli di queste traMa questo, più che la psiche, riguarda la visione di mondo che vogedie non è facile, ma è necessario. «Se no si rischia un trauma indigliamo trasmettere. Io ai miei figli (Pellai ne ha 4, ndr) voglio far caretto», dice Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva. pire che l’uomo si è evoluto cooperando, non facendo guerre». «Non solo perché spesso le vittime delle notizie hanno l’età dei nostri E quando le vittime sono, anche, bambini? Come Omran il bimbo di figli. Ma anche perché gli adulti di casa si mostrano turbati, trasmetAleppo, i profughi, le vittime di casi di cronaca... tendo ansia». E alla comunicazione delle emozioni fra genitori e figli «C’è un trauma in più. Ma anche vedere adulti disperati è trauma– volontaria e no – è dedicato l’ultimo libro di Pellai, L’educazione tico. Rimanda alla grande paura dei piccoli fino a 9-10 anni: perdeemotiva. «Mamma e papà sono gli “allenatori emotivi’’ del piccolo. re i genitori». Oggi le neuroscienze ci insegnano che il suo cervello è in balia dell’eSpesso i bambini vorrebbero aiutare. motività: sta al genitore trovare le parole per descrivere le emozioni del «Soffrono nel sentirsi impotenti: un’adozione a distanza o una dobimbo, dare loro un senso e quindi regolarle». nazione a una onlus decisa insieme al bambino posE come? sono aiutare molto. Come di fronte a un lutto: se L’EDUCAZIONE «Sapendo, intanto, regolare le proprie, a partire da possiamo portare i fiori alla nonna abbiamo un ruoEMOTIVA ansia e collera: i danni più grandi sono fatti da genilo nel tenerne vivo il ricordo». di Alberto Pellai Alle domande – Se sparano anche al nostro McDotori che non le riconoscono e non sanno gestirle». (Fabbri Editori, nald’s? Se viene il terremoto? – come si risponde? Questo vale a tutto tondo. E davanti al tg? pagg. 250, ¤ 15), in libreria dal 1° settembre. «Mai con bugie. Non si dice “ma no, casa nostra è di «Il tg è il sunto del peggio di giornata, mostra che il ferro e non va giù’’. Meglio, certo relativizzare, ma mondo non è un posto bello e sicuro. E poi si aggananche rinforzare la nozione che “mamma e papà socia al cervello emotivo. Devono proprio vederlo? Sotno comunque con te. Se qualcosa succederà, la comto gli 8 anni, no. Anche perché non sanno “geolocabatteremo insieme’’. Se non basta, se ci troviamo di lizzare’’ le notizie. Mille chilometri di distanza tra il bimbo e il sisma non tranquillizzano il bimbo». fronte a reazioni estreme e prolungate – non voler enBisogna «misurare» le reazioni alle notizie? trare in mare per giorni perché “ci sono cadute le bar«Il tg è inadatto anche per questo: se di fronte a un che’’ – occorre coinvolgere un terapeuta. Ma il geniattentato commentiamo “non si può più uscire’’, è tore ha in genere i mezzi per fare da solo».



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UN TUFFO DOVE LA RETE È PIÙ BLU di F E R DIN A ND O C O T U G NO

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vete sentito parlare del «deep web», il lato oscuro di Internet, e avete voglia di capire meglio che TER ABY TE cos’è? Per cominciare, DI DAT I immaginate tutto l’Internet che usate ogni giorno, dalla casella email ai film su Netflix, a Facebook, come una casa. Voi pensate che Internet sia tutto lì, poi un giorno aprite la porta e scoprite che intorno a quella casa c’è un’intera città di cui non sapevate niente. Quella città è il «deep web», il «web profondo», tutto quello che è nascosto ai motori di ricerca. Un mondo digitale senza regole, popolato da chiunque abbia voglia (o bisogno) di tenere nascosta la propria attività online: spacciatori, mercanTER ABY TE ti di armi, pedofili, paranoici, ma anche attivisti e anarchici. LA PUNTA Aprire la porta ed entrarci non è DELL’ICEBERG difficile (né illegale), la chiave è un Il web visibile, ovvero  programma chiamato Tor, il «proindicizzato da Google,  getto cipolla» (The Onion Router, contiene 4,72 miliardi   di pagine. Sulle dimensioni   qualcosa di illegale. Molti hanno deuna crittografia a livelli, strati di cidel web invisibile   polla appunto) avviato dalla Marina ciso di trasferirsi qui (ci sono social esistono solo stime. americana negli anni ’90, che permetnetwork, indirizzi email, forum e piatte di navigare anonimi. Avviato Tor, il pritaforme blog) perché non vogliono più esmo luogo che si incontra è Hidden Wiki, una «Wisere spiati dai loro governi. «Per esempio, il “deep kipedia nascosta» che raccoglie indirizzi del «deweb” è un luogo sicuro per gli attivisti gay nel Meep web». Il più famoso, Silk Road, «la via della sedio Oriente e in Africa, l’unico posto dove si può ta», era la più grande piazza di spaccio di Internet. essere se stessi in Paesi dove l’omosessualità è illeOra è stato chiuso dall’Fbi e il suo fondatore, Ross gale e un post su Facebook può farti finire in galeUlbricht, è stato condannato all’ergastolo (anche ra», spiega Sheera Frenkel nel documentario Down se per molti è un eroe libertario). Ma al posto di the Deep, Dark Web. Silk Road sono nati altri siti, dove comprare e venPiù in profondità si trovano i canali dell’Isis o pagidere cannabis, allucinogeni, cocaina, eroina, mene di killer a pagamento. Le leggende metropolitatanfetamine, steroidi. Poi ci sono gli altri commerne (come quelle sulle redroom, i siti che trasmetteci illegali: con 6 mila dollari si compra un passarebbero torture in diretta) si intrecciano alle teorie porto americano, con 640 euro si ordina una pistodella cospirazione (si trovano video falsi su alieni la calibro 7 con tanto di proiettili. Si offrono anche o esperimenti scientifici). servizi: c’è il gestore di una pagina che, per esemE infine c’è il «deep web italiano», il cui forum più pio, per 1.000 dollari si offre di rovinare la reputafamoso è Italian Darknet Community: qui tutto è zione online e distruggere la vita di chiunque più all’italiana, dai consigli su come farsi arrivare («Avete voglia di far passare qualcuno per pedofila marijuana senza insospettire il portinaio all’oflo? Affidatevi a me»). Non accettano la vostra carferta di sigarette di contrabbando. C’è anche il post ta di credito però, tutto si paga in Bitcoin, la cripdi uno che racconta di essere stato arrestato in Catomoneta digitale anonima. nada per atti osceni in luogo pubblico: è libero su Ma se tutti gli abitanti del «deep web» hanno scelcauzione e chiede informazioni su come uscire dal to di essere nascosti, non tutti stanno facendo Paese senza presentarsi al processo.

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Ragazzi, tutti nel Far Web Il «deep web» non interessa solo alla polizia, agli spacciatori e agli anarchici. Paolo Fabbri, che con Umberto Eco è uno dei padri della semiologia italiana, ha analizzato il significato del lato oscuro di Internet e su questo tema terrà una conferenza al Festival della Comunicazione di Camogli (8-11 settembre, info: www. festivalcomunicazione.it). Perché questo interesse per il «deep web»? «Perché è il nuovo Far West, potremmo definirlo Far Web, un immenso luogo di frontiera. E le frontiere sono innanzitutto spazi di libertà». Libertà che però può essere usata anche male. «Certo. Ma proprio per questo è interessante. La nostra cultura è ossessionata dalla trasparenza, senza afferrare che il segreto è la parte più importante di ogni comunicazione. E il “deep web” contiene i segreti di Internet. È come se fosse il suo inconscio, il luogo dove finisce tutto quello che rimuoviamo». C’è un suo uso che trova interessante? «Mi piace molto quello che fa un collettivo di artisti di Zurigo. Va in una galleria, si connette al “deep web” e fa partire un programma che ordina in automatico acquisti dai mercati clandestini. La merce, dalle scarpe alla droga, arriva nella galleria e così si ricostruisce fisicamente quello che sul “deep web” è virtuale. Sono questi gli esperimenti che mi interessano». Ma lei sul «deep web» ci è mai andato? «Mai in prima persona, non saprei nemmeno come farlo, ho lavorato su materiali di seconda mano. Sono i giovani ricercatori che devono andare nel “deep web”, esplorarlo, capirlo. Serve una nuova antropologia di certi luoghi». 07.09.2016



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CAR A MIA , CE L’AB BIA MO FAT TA

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La storia e persino le immagini  sembrano prese da un film  Disney, ma nello zoo di Felsolajos,  in Ungheria, è realtà: Zahra  è un cucciolo di leonessa bianca  di 4 settimane che, nata con una  malattia infettiva, è stata rifiutata  dalla mamma. I guardiani  dello zoo l’hanno curata, e ora Zahra passa le sue giornate  in compagnia di Cecil, un  cucciolo di 10 settimane, anche  lui adottato dai guardiani, dato  che la mamma, che lo aveva  dato alla luce con parto cesareo,  non riusciva ad allattarlo.

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UNA SANTA MI DISSE I panni sudici, le piaghe, gli abbracci ai morenti. Mentre il 4 settembre MADRE TERESA DI CALCUTTA viene canonizzata a Roma, un volontario dal cognome ingombrante racconta la lezione imparata da lei di F OL C O T E R Z A NI ornate ai vostri Paesi, perché da voi la sofferenza è altrettanto grande! Solo che non la si vede così facilmente, perché lì più che una sofferenza fisica è una sofferenza spirituale». Così diceva Madre Teresa, poco prima di morire, a noi volontari a Calcutta. Era difficile crederle. Per mesi ormai avevo visto poveracci con piaghe brulicanti di bachi, che però non andavano tutti eliminati perché aiutavano a tenerle pulite. O quella volta che fui mandato a raccattare un lebbroso… Difficile immaginare che lungo le nostre strade, magari dietro a un paio d’occhiali da sole, i finestrini di una macchina, o le mura di una casa di riposo, si potesse nascondere altrettanto dolore. Una lebbra del cuore. Qualcosa che se uno sapeva farci attenzione poteva notare nell’opacità delle pupille. La depressione, il senso della propria inutilità. O, come lo spiegava Madre Teresa, «sentirsi soli, scartati, non amati».

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Certo, il giovane cugino di una mia amica svizzera, perfettamente benestante, si era suicidato senza un motivo apparente. Ma anche senza guardare tanto lontano, io stesso, pur avendo tutto, mi sentivo addosso uno strisciante senso di vuoto che neppure gli studi di filosofia a Cambridge erano riusciti a colmare. Allora, che fare? Nell’autunno del 1996 presi una decisione assurda: partire per Calcutta. Avevo sentito che là viveva, pur vecchia e malata, una donna di cui si diceva che era una «santa». Forse lei sapeva qualcosa di diverso, e me lo poteva insegnare?

Quel suo consiglio non era del tutto adatto a uno come me, abituato a studiare il mondo su libri e giornali. La sera saltai la messa, l’indomani, però, mi presentai puntualmente a Kalighat, dove Madre Teresa aveva la sua Casa dei morenti. Quello che vidi entrando, le brande con i derelitti della terra, i perdenti, gli abbandonati, era talmente drammatico che volevo subito scappare urlando. Nell’aria c’era uno strano puzzo di marcio e medicine. Poi vidi un ragazzo biondo che abbracciava un malato con un così tenero sorriso che mi dissi: «Vorrei scappare e non tornare mai più; ma ancor più vorrei diventare come lui». Quel giorno restai. La Casa dei morenti era la primissima casa che, molti anni avanti, una ignota Suor Teresa aveva aperto. Qui aveva portato i suoi primi ospiti, «i più poveri dei poveri». Pian piano aveva fondato un proprio ordine, che crebbe più veloce di qualsiasi altro ordine cattolico e si diffuse in tutto il mondo. Ma dove adesso lavoravo era il seme da cui tutto era nato. Lei ci era così legata, a questo luogo di morte, che lo chiamava «il mio primo amore».

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Calcutta, 1996: Folco Terzani a 27 anni con Madre Teresa. Sotto, il volontario tedesco che Terzani vide il suo primo giorno nella Casa dei morenti.

Un cartellino di legno accanto alla porta della Casa Madre annunciava: «Mother Teresa, IN». Bussai e una suora indiana aprì uno spiraglio. «Che cosa vuoi?». «Ehmm… Vorrei parlare con Madre Teresa». Pochi minuti dopo, debole, in carrozzella e senza scorta, eccola davanti a me. Mi colpì questo. Anche persone molto meno rinomate tendono a farci aspettare in sala d’attesa o non trovare mai il tempo per riceverci. Invece lei era lì, ad ascoltarmi. 07.09.2016

Cercai di spiegarle le ragioni per le quali ero venuto, ma lei subito tagliò corto. «Vai a lavorare nella Casa dei morenti!», disse. Poi mi chiese di spingere la sua carrozzella fino alla cappella, dove stavano per iniziare le preghiere serali.

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Mi danno un grembiule liso ma nessuno mi spiega cosa fare. Forse è ovvio? Basta non far finta di non vedere, non aspettare che qualcun altro, magari una organizzazione governativa, risolva il problema che mi trovo io davanti. A chi ha fame si dà da mangiare, a chi ha sete si dà dell’acqua, a quello là che si è fatto la diarrea addosso dovrò cambiare i pantaloni. Semplice. Sì, però i panni sporchi non li posso poi buttare nella

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Già questo mi diede molto da pensare, perché era un approccio completamente diverso dalle soluzioni pratiche e meccaniche a cui siamo abituati. Ancora più incomprensibile, a volte, pareva l’idea stessa di aiutare queste persone. È brutto dirlo, ma a cosa serviva mettere tempo e risorse in esseri ignoti che pochi giorni dopo sarebbero scomparsi? Un conto era dedicarsi ai bambini orfani, ma ai morenti? «Mostragli, per una volta nella loro vita, il volto dell’amore», mi rispose una suora. E mi commossi. Il lavoro più privilegiato lì, infatti, era quello di stare accanto a chi lasciava questa terra. La prima mattina che mi fu dato il compito di assistere un moribondo, mi parve di partire insieme a lui, attraverso la sala buia, verso la finestra aperta. Poi io tornai, e lui… Il suo corpo era ancora lì, esattamente come qualche minuto prima. Ma «lui» non c’era più. Rimasi sgomento. Per la prima volta mi sembrava di aver sentito – l’anima? Perché solo se l’anima esisteva questo lavoro aveva un senso. Il mio piano era stato di rimanere a Calcutta per due settimane, poi magari andarmi a fare un giro dell’India. Ma mi resi conto di aver già trovato quel che cercavo. Buttai via il biglietto di ritorno a casa e finii per restarci sette mesi. Vedevo Madre Teresa quasi ogni sera, avendo anch’io preso l’abitudine di recarmi in quella cappella scarna, senza ventilatori, senza seggiole, dove bisognava inginocchiarsi per terra mentre il rombo degli autobus travolgeva di continuo i dolci canti delle suore. Lei dalle sue suore richiedeva, mattina e sera, molte ore di preghiera. «Troppe», borbottava qualcuno a volte. Non sarebbe più utile dedicare quel tempo alle faccende pratiche? Ma su questo punto la Madre era ferma. Era solo nella preghiera che si sarebbe trovata la forza di fare questo lavoro non per un giorno o un mese o un anno, ma per una vita intera. E quando aprì la sua prima casa a New York, chi mandò a contrastare il marcio della Grande Mela? Suore contemplative, che non uscivano nemmeno! In questo era una mistica. Ho conosciuto ragazzi che sono stati trasformati dall’esperienza di quei luoghi, come quel dongiovanni argentino che poi aprì due orfanotrofi, o l’ex banchiere tedesco (il ragazzo biondo che mi aveva 72

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stupito il primo giorno) che oggi, vent’anni dopo, è ancora lì ad abbracciare allegramente quei brutti e dimenticati derelitti con cui nessun altro desidera stare. Anche a me la Casa dei morenti aveva sconvolto nel profondo. Sorse il desiderio di raccontare quello LA CARITÀ Ancora la Casa dei  che avevo vissuto in un morenti, e Teresa con  documentario. Folco, 46 anni, regista  Le suore erano scettie scrittore, figlio del  che, perché il permesgiornalista e scrittore  Tiziano Terzani, morto  so di filmare lì non venel 2004. niva dato, allora mi presentai da Madre Teresa con una camicia stirata e cercai di enumerarle le mie credenziali cinematografiche. «Tu sei fatto per cose più grandi», mi rispose guardandomi dentro come nessuno aveva mai fatto. «Per amare ed essere amato». Poi mi diede il permesso di filmare. «Fallo, ma fallo per Dio!». Quando lasciai Calcutta mi sentivo un altro. Nessuno mi aveva mai colpito come lei. I problemi esistenziali erano svaniti. Le mie priorità si erano ribaltate, avevo intravisto un amore più immenso di qualsiasi cosa conosciuta prima, un amore universale, per quel grande e terribile mistero che alcuni, in mancanza di parole, chiamano «Dio». Stavo appena finendo di montare il documentario quando ho saputo che Madre Teresa era morta. Non riuscii ad andare al suo funerale, per il quale gli indiani le concessero gli onori di Stato trasportando il corpo di questa suora albanese sullo stesso carro su cui avevano trasportato Gandhi. Pur essendo lei di un’altra religione, hanno avuto la grandezza di riconoscerla come santa: non una santa cristiana, ma di tutti. Ma «santa» che cosa vuol dire, esattamente? Me lo sono chiesto molte volte. Cos’è questo titolo che sembra significare ancor più che «lord», più che «generale» o «dottore», forse ancor più che «maestà»? Ora mi sembra di capirlo. Oltre a un abile organizzatore delle sorti umane, identifica un’anima che riesce a rompere i nostri schemi quotidiani e far da tramite fra noi e quello che c’è di eterno. Quello che non si vede bene con gli occhi, ma che ho intravisto nella Casa dei morenti di Calcutta e che tuttora so essere la cosa più importante che ho conosciuto. Il 4 settembre, allora, quando dichiareranno «santa» quella piccola donnina, in mezzo alla folla a San Pietro ci sarò anch’io. Perché ho da dirle ancora una cosa: grazie. Il documentario Il primo amore di Madre Teresa (1997) di Folco Terzani, da cui sono tratte alcune immagini di queste pagine, si può vedere liberamente su YouTube. 07.09.2016

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lavatrice, perché lavatrici qui non ci sono. Dobbiamo lavare i panni dei malati a mano, o meglio pestarli con i piedi nudi in una grande vasca. Non perché a Madre Teresa manchino le donazioni, ma perché lei questi macchinari non li vuole. Tutto deve rimanere semplice, immediato, povero: come quelli che serviamo.



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UNA SANTA PER AMICA di S IM ON A V E R R A Z Z O Hillary Clinton, 22 anni fa, già le chiedeva: perché non c’è ancora una donna come presidente? Al Bano la voleva in famiglia, Lady Diana la adorava. Madre Teresa di Calcutta ha segnato l’esistenza di chi l’ha incontrata: e adesso, il 4 settembre, viene canonizzata – in tempi record, a nove anni dalla morte – a Roma. Ecco le tappe della sua vita, tra momenti epici (il Nobel), quotidiani (con i poveri) e insoliti (con la Carrà).

1910

L’IRLANDA

LA «CHIAMATA NELLA CHIAMATA»

Lascia Skopje per andare a fare la missionaria nella Repubblica d’Irlanda. Il suo legame con l’isola rimarrà sempre fortissimo.

Durante un viaggio in India ha, come da sue stesse parole, «la chiamata nella chiamata». Da allora decide di dedicarsi ai più poveri tra i poveri: i lebbrosi di Calcutta. Nel 1950 nasce ufficialmente la sua congregazione, le Missionarie della Carità, che oggi è presente in tutti i continenti con più di 5.200 sorelle e oltre 700 «Case della Carità».

1928

1937

1946

1979 PRONTO, RAFFAELLA?

IL PRINCIPIO Anjezë Gonxhe Bojaxhiu nasce il 26 agosto a Skopje, in Macedonia, da una famiglia albanese-kosovara benestante. Orfana di padre a 8 anni, comincia per lei un lungo periodo di ristrettezze. Sopra, a sinistra, in costume tradizionale, con la sorella.

Il 13 aprile la Carrà la intervista nel corso del programma Pronto, Raffaella? su Raiuno.

DIVENTA SUORA Il 24 maggio prende i voti perpetui nella congregazione delle Suore di Loreto.

MESSAGGERA D’AMORE Nel 1975 è sulla copertina di Time. Nel 1979 le viene conferito il Nobel per la Pace. Chiede che i 6 mila dollari del banchetto d’onore siano dati in beneficenza.

COSÌ DIVERSE, COSÌ VICINE La principessa Diana visita una delle Case della Carità a Roma, ricevuta da Madre Teresa. Legate da profondo affetto, muoiono lo stesso anno, nel 1997, a pochi giorni di distanza: Diana il 31 agosto e Madre Teresa il 5 settembre.

1984

1986

1992

1985 L’AMICO Papa Giovanni Paolo II prepara una visita in India. Incontrerà l’anno dopo Madre Teresa, a Nirmal Hriday, la casa dei morenti da lei fondata. Tra i due, entrambi santi in tempi velocissimi, c’è una vera amicizia che dura tutta la vita.

FELICITÀ È madrina di battesimo di Cristèl Carrisi, terzogenita di Al Bano e Romina Power.

SENZA PAROLE La first lady Hillary Clinton (a sinistra con la figlia Chelsea) e Madre Teresa si conoscono nel 1994. Durante un pranzo alla Casa Bianca, nel 1995, Hillary le chiede come mai una donna non è ancora presidente. E lei risponde: «Perché probabilmente è stata abortita».

1997

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L’ULTIMO GIORNO

SANTA SUBITO

Il 5 settembre muore a Calcutta. Il 19 ottobre 2003 è stata proclamata beata da Papa Wojtyla.

Il 4 settembre viene canonizzata da Papa Francesco, a Roma.

GETTY IMAGES

1994

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TEMPO DI LETTURA

«GIRLS WILL BE GIRLS» BY ANITA KUNZ, THE NEW YORKER JULY 30, 2007

Tre donne, tre Islam

Sabah, Amal e Nadira si velano e si svelano, in Occidente. Storie e scelte che parlano di libertà: quella di non rassegnarsi alle trappole dell’immobilità, quella di discutere sui dubbi dell’educazione, quella di tornare ai valori della tradizione di WIDAD TAMIMI 07.09.2016

ILLUSTRAZIONE

ANITA KUNZ

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na mattina come un’altra, alle prime luci dell’alba, Sabah si preparava per uscire di casa. La prima lezione cominciava presto e lei, pendolare da una zona di periferia, impiegava quasi due ore a raggiungere l’Università. Sovrappensiero, abituata a quel rituale da anni, prese il foulard, lo puntò sulla testa, ripiegò gli angoli ai lati e, con un gesto rapido, una sorta di meccanismo istintivo, lo premette sotto il mento per fissare lo spillino nel tessuto. Come ogni mattina uscì dalla propria stanza, percorse il corridoio fino allo specchio sopra il mobile di legno, si voltò per controllare la spessa linea di kajal attorno agli occhi, prima di entrare in cucina, dove sua madre la attendeva per il consueto caffè insieme, loro due sole. Ma quella mattina, scevra soltanto dall’aggravante della premeditazione, non sarebbe stata una mattina come tutte le altre. Sabah, colta da un raptus improvviso, atto secco e teatrale, inconsciamente destinato ad abbreviare i tempi e a ridurre la fatica di una inesorabile metamorfosi, si strappò di dosso il velo. Con le dita scosse i capelli, come a spolverarli dal peso dei condizionamenti stratificati in anni e secoli di storia. Molto tempo dopo, in una vacanza al mare con la madre, Sabah ripensa a quella mattina. Lo sconvolgimento nella sua famiglia, credente, praticante e molto tradizionale, era stato devastante. Eppure inevitabile. Come inevitabile è perseverare nella ormai lucida affermazione del binomio che la lega ai suoi, nell’amore e nella diversità. «Mamma, sia chiaro: tu vestiti come vuoi, ma questo è il mio bikini». Sfodera un due pezzi nero nuovo di zecca con la stessa determinazione di un guerriero con la sciabola. Madre e figlia sono in spiaggia: Sabah mostra ventre, braccia e gambe; la madre si rifugia su una sedia sotto l’ombrellone, vestita di tutto punto, con tanto di velo sulla testa. Sabah si massaggia la pelle con creme e oli abbronzanti, la madre legge una rivista per signore. Chiacchierano, fanno le parole crociate, passano una bella giornata insieme. Niente di più, niente di meno.

mal era sempre stata certa che non si sarebbe sposata. Per scelta, per sottrarsi al martirio della vita domestica e alle privazioni che sapeva non avrebbe tollerato. A cominciare dalle limitazioni della carriera, che era stata brillante, seguita rapidamente alla laurea in matematica, con posizioni di tutto rispetto in aziende giordane e internazionali, cui non intendeva rinunciare. Viveva da sola, alle volte ospitava fratelli e sorelle più giovani, poi con gli anni i nipoti, che sosteneva agli studi affinché si laureassero. Fino al traguardo dei suoi quarant’anni, festeggiati in Italia, a seguito di una rivoluzione non programmata. L’amore, bello e inaspettato come in ogni storia che fulmina, l’aveva saputa strappare alla promessa di vivere da sola. Fatte le valigie e comprato l’abito da sposa, era partita per unirsi al suo amore arabo e musulmano, ma – al contrario di lei – non praticante. Amal si veste in modo discreto e poco appariscente come aveva

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sempre fatto, il velo non l’aveva mai portato, certa che l’abbigliamento è un condizionamento sociale, non un atto religioso. Digiuna nel mese di Ramadan, si rivolge alla Mecca cinque volte al giorno, non beve alcolici e non mangia carne di maiale, ma dedica tempo e attenzioni ai capelli spessi e corvini che le cadono, invidiabili, sulle spalle. I figli li ha educati all’Islam, eppure ascolta i loro dubbi e discute le esigenze giovanili della sperimentazione. Crede nell’essenzialità delle cose, Amal, e nel confronto. La religione è una scelta personale e sostanziale che deve svincolarsi dagli usi sociali e dai costumi. L’ostentazione, del troppo nudo così come del troppo coperto, stona. adira non era praticante. Non era neppure certa di essere credente, se non per adesione alla tradizione, così come spesso accade con la pratica religiosa, quando essa è soltanto condivisione passiva di un tessuto storico sociale, non rivitalizzata da una decisione personale e trasformata in un sistema di valori della propria vita. Nadira era una donna curata, profumata di vanità, forse persino un po’ succube dei capricci della moda. Fino a un momento cruciale, quando un’esperienza di malattia irrompe nella sua vita a relativizzare tutto. Nadira si angoscia, si interroga, cerca conforto e risposte di senso che la quotidianità non sa offrirle. Si affida e confida nella fede. I passaggi sono graduali: prima la preghiera, poi il Ramadan, infine decide di mettere il velo. Per lei diventa di importanza fondamentale l’atto di appartenenza alla comunità musulmana e parte integrante del suo percorso di ricerca. Il marito rispetta la sua decisione, ma non aderisce alle scelte della moglie. Musulmano per tradizione, non avverte l’esigenza di praticare. Accetta con comprensione, non giudica, osserva rispettosamente la trasformazione della moglie in attesa del passare del tempo che guarisce, restituendo equilibrio e misura ai cambiamenti radicali.

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re donne, tre storie, tre scelte. Sabah, Amal e Nadira sono accomunate dal desiderio di vivere in modo libero il proprio rapporto con l’Islam. Si velano e si svelano dei tulle colorati che ognuno di noi indossa fin dall’infanzia, tra usi e costumi che educano, proteggono, ordinano e strutturano i nostri percorsi, con il rischio di diventare, per alcuni, trappole da superare. La libertà ci permette di riconfermare ciò che ci appartiene e respingere ciò che passivamente subiamo e ci soffoca. Sabah, Amal e Nadira scelgono tra strappi e ricuciture, come ognuno di noi. Sono libere. Libere di non rassegnarsi alla staticità, libere di confrontarsi e scontrarsi con i principi di coloro che le hanno cresciute, anche a costo della sofferenza acerrima che ogni recisione radicale comporta, libere di scegliere una vita diversa, così come di abbracciare valori e costumi che non credevamo i loro. L’Occidente ha saputo diventare casa di tutte queste libertà, rinunciarvi sarebbe un vero peccato.

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D i c on o

Che una coppia di fama stellare abbia perso smalto ma non talento. Vogliono far credere che si amano, ma a casa fanno vite separate. Che non si lascino per amore della prole? No, dei quattrini. Dicono.

Esclusivo!

FARFALLE IN VOLO

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Sole, mare e tuffi? In spiaggia a Rio, prima di tornare negli Stati Uniti, Simone Biles, 19 anni, salta e volteggia sulla spiaggia con l’amica e collega Madison Kocian, 19, e con Alexandra Raisman, 22 (nella pagina seguente). La ginnasta americana, che ha stupito con il suo «The Biles», un doppio salto mortale con mezzo avvitamento, all’Olimpiade ha vinto 4 medaglie d’oro e una di bronzo. Ma guai a dirle che lei è la nuova Usain Bolt o Michael Phelps. «Sono la prima Simone Biles», risponde. Non si può darle torto.

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O R O ’ D E Z RAGAZ

ginnastica, i d e n g a p m o c le In spiaggia con il bagno, ma non il cellulare lta» SIMONE BILES «sa

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CHIAMAMI, ZAC! Salti mortali sì, acqua gelida no.   Al mare con le sue compagne di squadra  Alexandra Raisman, un oro e due argenti,   e Madison Kocian (in bikini rosa),   un oro e un argento, Simone Biles si bagna   i piedi e scappa. La campionessa di ginnastica,  però, non si separa mai dal cellulare.   Che aspetti una chiamata da Zac Efron?   L’attore, suo idolo, è volato a Rio   per festeggiarla (a sinistra).   E lei ha postato «il bacio»   su Instagram. 07.09.2016

LAPRESSE, INSTAGRAM

Brividi social


giovanniraspini.com

MILANO ROMA FIRENZE MONTECARLO VENEZIA


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LA MIA FORMULA SEXY

Bionda e tacchi vertiginosi, FEDERICA MASOLIN sarà tra i protagonisti, in Tv, del Gran Premio d’Italia a Monza. In auto se la cava bene («Alonso mi ha fatto i complimenti»), ma una spia può innervosirla di TAMAR A F E R R AR I

PAPÀ E VILLENEUVE I genitori sono friulani, ma Federica  Masolin è cresciuta a Milano.   «Da bambina studiavo danza,  andavo con papà allo stadio   e a vedere la Formula 1 a Monza.  Mi portavo le Barbie». Poi  si è appassionata: «Il mio idolo era  Jacques Villeneuve, sognavo di  incontrarlo». E quando ha scoperto  che a Sky avrebbe lavorato con lui,  «a momenti svenivo».

GRAZIE FERNANDO, CIAO JULES Guida bene, «ma uso i sensori per   i parcheggi e guai se si accende una spia.  Però Fernando Alonso (sopra, tra Federica e Jacques Villeneuve) è stato in auto con me  e mi ha fatto i complimenti». Ci ha provato?  «Certo che no (sta con Linda Morselli, ex di Valentino Rossi, ndr). Nessun pilota  l’ha fatto. Il più simpatico è Daniel Ricciardo,   il più disponibile Carlos Sainz.   Chi non dimenticherò mai è Jules Bianchi  (morto nel 2015 dopo nove mesi di coma seguiti all’incidente nel Gp del Giappone, ndr). Eravamo   molto amici».

BUONGIORNO DA LEONI

AMORE DI ZIA Ha una sorella più piccola   e un nipotino, Dodo, che,   dice, «è l’uomo della mia vita».   È fidanzata, «ma vivo sola».  Ama fare shopping   e le scarpe altissime.   «Ma quello che mi fa impazzire  è la pizza, la cerco sempre,   anche quando   sono all’estero».

SEMPRE IN DIRETTA Federica Masolin, 31 anni,   è padrona di casa della Formula 1  su Sky Sport F1 HD, che trasmette  in diretta il campionato   del mondo: il 4 settembre si corre  a Monza. Nel suo Paddock Live  è affiancata dai piloti Jacques  Villeneuve, campione del mondo  di F1 nel 1997, e Davide Valsecchi.

Da piccola voleva diventare  una rockstar. La sua canzone  preferita? «Adoro Ben Harper,  Lenny Kravitz e Radiohead.   Ma ascolto ogni mattina  Hakuna Matata: con il pilota   e collega Davide Valsecchi   la mettiamo prima di lavorare,  ci mette di buonumore».

B AG AT E L L E d i L J U B A R I Z Z O L I

Nel 1962, mentre aspettavo Isabella, ho incontrato Francine Weisweiller, la vicina di Cap Ferrat: la mia Tour St. Hospice era  incollata alla sua Villa Santo Sospir. «Vede, madame Rizzoli, ho ospitato Chagall, Churchill e Picasso. Ma è stato il colpo d’amicizia  con Jean Cocteau a renderla magica», dettagliava. Il poeta aveva mischiato polveri pastello al latte crudo per dipingere   «muri troppo bianchi» per Cocteau. «Ha tatuato pareti e porte. E poi lastricato pavimenti con mosaici, rendendo ogni angolo   una storia dell’arte». Ieri la villa è stata comprata da un ignoto oligarca russo. La terrà ancora aperta a tutti? Lo spero.

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SPY FATTI, NON PAROLE A Polignano a Mare, in Puglia, Andrea Delogu,  34 anni, conduttrice di Parla con lei (FoxLife), e Francesco Montanari, 31,  il Libanese di Romanzo criminale, si abbandonano a baci e bagni. La coppia,  legata da tre anni, si è  sposata il 27 giugno.

SAPORE DI MARE

PROVE DI LUNA DI MIELE Due mesi dopo il matrimonio in una chiesa sconsacrata a Roma, e in attesa del viaggio di nozze («in Giappone, a dicembre»), ANDREA DELOGU e FRANCESCO MONTANARI sono in vacanza in Puglia, dove hanno casa. La passione, intanto, resta alta

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BRINDISI A NEW YORK

MESSAGGI D’AMORE Per dire no all’Aids, JOHN LEGEND canta e beve vodka. Pensando alla figlia

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di S I MONA S I R I

oglio diffondere l’amore nel mondo. Da quando sono diventato padre sento ancora più forte la responsabilità di fare del bene per lasciare a mia figlia Luna un mondo migliore». John Legend è un uomo di parola ma anche di azione. Artista da dieci Grammy Awards, un Oscar e un Golden Globe, il 14 aprile scorso è diventato papà. E ora è ambasciatore della campagna «Make the Difference» di Belvedere (RED), l’iniziativa di Belvedere Vodka per la quale l’artista sudafricana Esther Mahlangu ha creato una speciale bottiglia in edizione limitata: il 50 per cento delle vendite va alla lotta all’Aids. Proprio pensando a questa campagna Legend ha composto la canzone Love Me Now, che sarà nel suo nuovo disco e che ha cantato a New York, nel mitico Apollo Theater per l’occasione trasformato in un club. «Nel mondo ci sono tante notizie tristi, ma anche cose buone. Prendiamo la lotta all’Hiv: tanto si è fatto in questi anni per dare ai malati un’aspettativa di vita maggiore e una vita normale. Questa iniziativa permette alle persone di fare del bene bevendo qualcosa che avrebbero consumato a prescindere. Io bevo vodka e sono felice, così, di fare della beneficenza». Gli fa eco Charles Gibb, presidente di Belvedere Vodka: «I brand devono comportarsi come le persone, in modo responsabile e virtuoso». E siccome diffondere l’amore è una cosa che a John Legend riesce benissimo, eccolo anche produttore di Southside With You, il film sulla storia tra Michelle e Barack Obama, da poco uscito nei cinema americani. 94

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ARTE E MUSICA In alto, da sinistra:  Charles Gibb,   presidente   di Belvedere Vodka,  l’artista sudafricana  Esther Mahlangu (a lato, mentre  dipinge una bottiglia),  John Legend, Lupita Nyong’o e Deb Dugan, Ceo di RED.  Sopra, John Legend  durante il concerto  all’Apollo Theater di New York.

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Diciotto giovani donne in abito da sera si presentano alla reception di una villa italiana dal fascino inquietante: ricche tappezzerie nelle suite invase dalla semioscurità, bar rétro, candelabri, chiavi misteriose, sotterranei segreti, stormire di alberi nella notte, una piscina vuota, bagliore di specchi porcellane e lame di coltello, e l’inquietante visione psichedelica di un triangolo di neon luminescente. È come se Nicolas Winding Refn, regista visionario di fama mondiale, avesse aggiunto un nuovo capitolo a The Neon Demon – recente e acclamato horror psicologico, viaggio dark attraverso il mondo della moda visto nella sua crudeltà e nella sua ossessione per la bellezza – e avesse spostato l’azione da Los Angeles a Roma, dove le attrici del cinema italiano fanno rivivere la ricerca sanguinaria della perfezione e della giovinezza che, nel film, possedeva la innocente Jesse, interpretata da Elle Fanning, e le modelle sue rivali. Non è (ancora) un film, ma è molto più di un servizio di moda. E, vi garantisco, è qualcosa che non avete mai visto. LUCA DINI 07.09.2016

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Il Demone della Bellezza Vanity

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Creato e diretto da

NICOLAS WINDING REFN

(Beyond The Neon Demon)

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Daphne Scoccia Abito, Patrizia Pepe. Sandali, Valentino Garavani. A destra: DĂŠcolletĂŠes con lacci, Roberto Cavalli.

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Sveva Alviti Abito lungo, Atelier Emé. Anello d’argento e quarzo, Giovanni Raspini.

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Valeria Bilello Abito, Dior. Bracciale placcato oro, may mOma. Sandali, RenĂŠ Caovilla.

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Vittoria Puccini Abito, Valentino.  Sandali, Casadei.

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Sara Serraiocco Miniabito, Fay.   Orecchini placcati   oro, may mOma.   Décolletées, Le Silla.

Matilde Gioli Abito, Prada.   Orecchini d’oro rosa,   Swarovski. Orologio,   Jaeger-LeCoultre. Pagina accanto: Abito lungo, Blumarine.   Collier d’oro bianco   e smeraldi, Bulgari   Alta Gioielleria.

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Marianna Di Martino Abito con ricami floreali,  Blumarine.

Marta Gastini Abito con ruches,   Fendi.

Tea Falco Abito di pizzo ricamato,   Etro.

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Giulia Elettra Gorietti Eco-pelliccia, Alabama Muse. Lingerie, Intimissimi. Sandali, Giuseppe Zanotti Design.

Valentina Romani Abito, Les Copains. Sandali, RenĂŠ Caovilla.

Simona Tabasco Gilet di piume, Twinset Simona Barbieri. Sandali, Roberto Cavalli.

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Marianna Di Martino Abito monospalla, Roberto Cavalli. Bracciale d’argento e diamanti, Buccellati.

Matilda De Angelis Abito, Miu Miu. Anello di platino, oro giallo e diamanti, Tiffany & Co. Sandali, RenĂŠ Caovilla.

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Catrinel Marlon Abito, Pronovias.  Décolletées,   Christian Louboutin.

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Giulia Elettra Gorietti Abito smanicato,   Missoni.

Catrinel Marlon Abito rosso,   Alberta Ferretti.

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Top e gonna, Chanel. Sandali, René Caovilla.

Alessandra Mastronardi


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Catrinel Marlon Miniabito, Roberto Cavalli.  Décolletées, Oscar Tiye.

Giulia Elettra Gorietti  Miniabito di paillettes,  Les Cocktails de Liu Jo.  Anelli d’oro giallo, tzavoriti,  brillanti, ametista e topazio,  Roberto Coin.

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Miriam Leone Abito, Gucci.   A destra, trench,  Lanvin.

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Margareth Madè Top e gonna,   Ralph Lauren  Collection.

Valeria Solarino Tailleur-pantaloni,  Giorgio Armani.  Collana, Jean Paul  Gaultier for   Atelier Swarovski.

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Margareth Madè Abito, Giorgio  Armani. Collier d’oro bianco, lacca,  smeraldi, onice   e diamanti,   Panthère de Cartier.

Marta Gastini Abito, Vivienne  Westwood.

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Margareth Madè Abito a balze, Gucci.

Alessandra Mastronardi Abito effetto choker, Chanel.

Giulia Elettra Gorietti Abito con mantellina, Marella. Décolletées, Malone Souliers.

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In alto, da sinistra, in senso orario:  con zeppa, Stuart  Weitzman. Effetto  nudo, Giuseppe  Zanotti Design. Con  fibbia dorata, Prada.  A listini sottilissimi,  Giuseppe Zanotti  Design. Di glitter,  Sergio Rossi. Con punta dorata,  Sebastian. Con fibbia  gioiello, Dior. Di paillettes, Dior.  Con doppi listini, Giuseppe Zanotti  Design. D’argento,  René Caovilla. Con fiori di ottone  dorato, Loriblu. Di strass, René Caovilla. Rétro, Valentino. Con profilatura glitter,  Malone Souliers.  Punta décor, Miu Miu.  A listini incrociati,  Christian Louboutin.


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Giulia Elettra Gorietti Miniabito, Max & Co.  Collana di metallo rodiato e cristalli, Swarovski.

Alessandra Mastronardi Abito e collana di perle,  Chanel.

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C R E ATO E D I R E T TO DA

NICOLAS W INDING R EFN


FOTOGR AFIA

PRODUCTION DESIGN

ART DIRECTION

STYLING

NATA S H A B R A I E R

JOSEPH BENNETT

D E V I N P E D Z WA T E R

BA R BA R A BA RT OL I N I & GE M M A M A S C AGN I

( T E AM D I PRO D UZ I O N E : V E D I SO M M AR I O)


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Il regista Ha preso le attrici e le ha ingabbiate, armate di coltelli, fatte urlare. Così NICOLAS WINDING REFN, autore premiato dai festival internazionali, ha debuttato come fotografo, con questo nostro servizio ispirato al suo ultimo film. Leggete l’intervista, e poi tornate su questa pagina. A guardargli la mano di P A O L A J A C O B B I

THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO

I passi frettolosi sulla ghiaia e il frinire delle cicale sono le uniche brecce che aprono il silenzio. Si lavora, in tanti, ma con grande concentrazione. Nicolas Winding Refn, bermuda blu e camicia bianca, si sposta da un punto all’altro di Villa Miriam (Ciampino, Roma), studia le inquadrature da lontano e da vicino, analizza volti, abiti, dettagli, attraversando così il cuore caldo di quattro giorni d’estate che hanno visto la realizzazione di questo progetto: un servizio fotografico sulla moda della prossima stagione, interpretato da un gruppo di attrici del cinema italiano e «diretto» dal regista danese.

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FOTO

JULIEN MIGNOT

Refn è autore di dieci film tra cui Drive (che ha lanciato Ryan Gosling), Solo Dio perdona e – più di recente – The Neon Demon. Ha 45 anni, il suo talento è stato immediatamente riconosciuto e celebrato ai festival (premio per la miglior regia a Cannes nel 2011). Il suo nome può dividere pubblico e critica come solo i grandi sanno fare. È il regista che amiamo odiare per le sue provocazioni visive estreme, ma è anche il regista che odiamo amare perché il suo cinema sfacciato, i suoi eroi solitari, la struggente disperazione di tutto quello che i suoi film raccontano, prima o poi, toccano l’anima.

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Vanity Fair gli ha chiesto di diventare fotografo di moda, e lui ha accettato creando il racconto per immagini che potete gustare in queste pagine, un racconto pieno di riferimenti al suo cinema, ma non solo. Lo spunto principale viene da The Neon Demon, ambientato proprio nel mondo della moda, analisi spietata dell’ossessione per la bellezza. Elle Fanning è un’aspirante modella, vittima sacrificale di un sistema sempre in cerca di «sangue fresco», metafora che, nella fantasia di Refn, diventa letterale. Il film si trasforma, infatti, in un racconto di vampiri ispirato alla vicenda della contessa ungherese Elizabeth Báthory (1560-1614), una specie di Dracula al femminile, prima serial killer donna della storia: uccideva ragazze vergini e si faceva il bagno nel loro sangue per conservare la giovinezza. Il risultato è un po’ novella gotica, un po’ fiaba nordica e un (bel) po’ omaggio all’horror italiano di cui Refn è fan: non a caso ha presentato a Cannes il restauro di Terrore nello spazio di Mario Bava, e con Dario Argento «battezza» a Venezia quello di Zombi di George A. Romero.

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Sul nostro set è arrivato accompagnato dal production designer Joseph Bennett e dal direttore della fotografia Natasha Braier. La moglie Liv è passata a trovarlo, spargendo sorrisi affettuosi. Le attrici italiane si sono prestate al suo gioco interpretando signorine da romanzo vittoriano, figure stilizzate come in un quadro di Klimt, e addirittura donne-uccello ingabbiate in una voliera. PerchŽ ha accettato questo lavoro insolito? «Non avevo mai fatto nulla del genere, e io adoro essere messo nelle condizioni di fare cose che non conosco. Mi obbliga a vedere tutto in una prospettiva nuova». Ma le piace fotografare? «Neppure ho una macchina fotografica, ce l’ha mia moglie! E mia madre ha lavorato come fotografa, ha ritratto Miles Davis e Jimi Hendrix. Io al massimo armeggio con l’iPhone. Ero anche preoccupato di saperne troppo poco, infatti ho contattato Ellen von Unwerth e ci siamo dati un appuntamento telefonico in cui lei – generosamente – mi avrebbe dato consigli. Poi, tra impegni miei e suoi, non

I suoi film

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ci siamo riusciti e io mi sono ritrovato già sull’aereo che atterrava a Roma. Meglio così, alla fine: la sfida mi ha ispirato». Come ha lavorato con le attrici? «Non le avevo mai incontrate, e c’era poco tempo per provare. Quindi, man mano, creavo per loro una situazione, cambiando di continuo gli ambienti, lavorando ogni volta su un’idea di inquadratura che poi si trasformava in una foto. Situazione molto simile a quella di The Neon Demon: anche in quel caso abbiamo girato in un’unica villa, a Los Angeles, spostandoci di volta in volta in stanze diverse. Mi sono fidato del mio istinto, improvvisando, e invitando loro a improvvisare. Sono state bravissime». Sul set chiedeva ad Alessandra Mastronardi di fare gesti ampi con le mani. Nel documentario di sua moglie che racconta il Çmaking ofÈ di Solo Dio perdona la si vede preparare cos“ una scena con Ryan Gosling. «Ha ragione! Io ho una specie di feticismo per le mani. Con le mani puoi dire tante cose, sono un tocco gentile o un pugno, una parte del corpo terribilmente espressiva. E poi, guardi le mie di mani, anzi le tocchi. Ho la pelle morbidissima. Mia madre,

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BRONSON

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Inizio davvero: per l’attore Mads Mikkelsen, al debutto, e per il venticinquenne Refn, che pensava di girare un corto e ne esce con una trilogia sul mondo della droga.

Una storia vera e la grande occasione per Tom Hardy, che grazie a 16 chili in più (e una bravura impressionante) si trasforma nel pugile galeotto Charles Bronson.

Dall’Ira al Sacrificio: sei capitoli di sangue, sei tappe del viaggio di un guerriero muto (ancora Mikkelsen) assieme a un bambino, dalle terre vichinghe alla Terrasanta.

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DRIVE

SOLO DIO PERDONA

THE NEON DEMON

80 milioni di dollari di incassi, premio alla regia a Cannes, nomination agli Oscar. E il lancio nella carriera di Ryan Gosling, pilota in corsa fra rapine e amore.

Ancora Gosling (e Kristin Scott Thomas), per una storia satura di colori, sangue e morte. Partendo da un club di boxe thailandese.

Il più recente, presentato all’ultimo Cannes. Protagonista Elle Fanning, il film è ambientato nel mondo della moda, con scene sempre più forti e violente.

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quando ero piccolo, mi faceva dei trattamenti con la paraffina perché fossero lisce. Mi è rimasta questa fissazione». The Neon Demon era ambientato nel mondo della moda, questo è un servizio di moda: che cos’è la moda per lei? «È un aspetto molto rilevante nelle nostre vite, ha valenza simbolica, sociologica, economica. Mescola volgarità e glamour, creazione artistica e consumo superficiale. È un sistema di segni molto più complesso di quel che può sembrare, infatti tutti hanno un’opinione sulla moda, esattamente come tutti hanno un’opinione sulla bellezza». I suoi film precedenti esploravano il mondo maschile, dai vichinghi di Valhalla Rising alle automobili di Drive. The Neon Demon è il suo primo sguardo sul mondo femminile. «Ho liberato la mia parte femminile, le mie fantasie su che cosa significa essere una bella ragazza oggi». Lei è padre di due figlie, la maggiore già adolescente. Che cosa significa essere una ragazzina oggi, al tempo dei social media? «La grande novità è l’accettazione, anzi l’incoraggiamento del narcisismo. Io sono cresciuto in un’epoca e in una cultura, quella scandinava, in cui non ci si esibisce e il narcisismo è una specie di tabù. La rivoluzione digitale oggi è il liquido in cui Narciso si specchia. E non è detto che sia un male».

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In che senso? «Il narcisismo, per me, non è necessariamente qualcosa di negativo, anzi. Può essere il primo passo verso l’accettazione di se stessi, che è fondamentale per crescere. Inoltre, se non sei completamente preso da te stesso, se non segui le tue ossessioni, difficilmente creerai qualcosa di originale». Ma in questo mondo di immagini in cui la realtà è sempre abbellita, resa perfetta, il mondo di Instagram, non c’è il rischio di non sapere più che cosa è reale e che cosa no? «Forse, ma è il futuro. La mia generazione sa ancora distinguere tra vero e artificiale, quella delle mie figlie, e delle figlie delle mie figlie, vivrà in un universo in cui dominerà quella che io chiamo realtà artificiale. Criticare il mondo che verrà non serve, è solo la proiezione delle nostre paure». Il cinema horror, che lei ama, è proprio questo: proiezione delle nostre paure. «Guardi che non amo solo quello. Non sono un’enciclopedia ambulante di cinema ma mi piacciono anche Il Gattopardo, La vita è meravigliosa, Le notti di Cabiria…». Ha in progetto una serie da girare in Italia. È il momento della Tv anche per lei? «Sa com’è: oggi se un regista non ha un progetto televisivo non è nessuno! (ride).

Scherzi a parte, sì, ho un progetto con il produttore italiano Fulvio Lucisano. Non vedo l’ora. Adoro l’Italia». Di recente ho incontrato Peter Greenaway… «Ah, è ancora vivo?». Vivo e vegeto. Però dice che il cinema è morto perché non inventa più nulla di originale, si basa solo su libri e fumetti. «Parole dettate dalla mancanza di rispetto verso i giovani e dall’arroganza di chi è convinto che la sua generazione sia stata l’unica a creare qualcosa di buono. I film tratti dai libri si sono sempre fatti e alcuni sono capolavori. Non esistono ispirazioni “giuste” o “sbagliate”. Oggi c’è più creatività che mai, sono solo cambiate le tecnologie e le regole. Nulla ti impedisce di essere creativo e, grazie a Internet, puoi distribuire le tue idee da solo a milioni di persone». La competizione è mondiale, chiunque può insidiare chiunque. «Ma la paura della competizione, per me, è la benzina della creatività». Ha paura degli altri registi? «Non più. Quando ho iniziato, pensavo di essere in una gara dove vince chi diventa il più grande regista di tutti i tempi. Poi ho capito che non lo sarei diventato, e allora ho deciso di diventare il miglior regista dei miei film. C’è voluto qualche anno per imparare, ma ora va bene così».

Gli artisti

Joseph Bennett

Natasha Braier

PRODUCTION DESIGNER

DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA

Ha studiato arte, voleva fare il pittore ma è diventato production designer. Joseph Bennett, inglese, aveva già lavorato con Refn in alcuni spot e il regista lo ha voluto anche per questo progetto con Vanity Fair. «Condividiamo la passione per i colori saturi, tipici dell’horror, e per gli ambienti ricercati. La villa in cui abbiamo scattato ci ha scatenato le idee». Bennett ha creato i set di molti film, dalla fantascienza di Punto di non ritorno a drammi in costume come Jude con Kate Winslet. A lui si deve la ricostruzione di Roma antica per la serie Tv Rome, che gli ha fatto vincere due Emmy e le cui scenografie sono ancora in uso a Cinecittà. Ha collaborato con Alexander McQueen, realizzandone le sfilate e firmando una grande mostra sullo stilista al Metropolitan di New York. Nel suo curriculum anche la realizzazione del Royal Barge, lo spettacolare barcone con cui la regina Elisabetta ha attraversato il Tamigi in occasione del Diamond Jubilee nel 2012.

«Sogno da sempre di diventare fotografa di moda: questo progetto è stato entusiasmante, voglio farne ancora!». Natasha Braier, direttore della fotografia di The Neon Demon, è stata chiamata a Roma da Refn a illuminare il nostro set. Argentina, ha vinto premi nel suo Paese per il lavoro in XXY, film della connazionale Lucía Puenzo, e in Australia per The Rover, con Robert Pattinson. Entrambi titoli che hanno girato i festival di mezzo mondo. Natasha dice che il rapporto tra un regista e un direttore della fotografia è quanto di più simile si possa avere, nella vita adulta, a quello tra due compagni di giochi. «Un giornalista inglese venne sul set di The Neon Demon e definì Nicolas e me “i gemelli malvagi”. In effetti, ci capiamo al volo. A entrambi piace improvvisare e trovare sempre nuove forme per realizzare le nostre idee. In questo lavoro per Vanity Fair abbiamo fatto rivivere lo spirito di The Neon Demon. E, come al solito, ci siamo divertiti moltissimo».

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S V E VA A LV I T I

VA L E R I A BILELLO

M AT I L D A DE ANGELIS

32 anni. Top model da quando ne aveva 17. Recita a Broadway e in alcuni film americani, accanto a Glenn Close e Alec Baldwin. Sarà Dalida nel film di Lisa Azuelos che ricorda la cantante a trent’anni dalla morte, e che uscirà nel gennaio 2017.

34 anni. Veniva accoltellata da Alba Rohrwacher nel Papà di Giovanna di Pupi Avati, poi ha lavorato con Gabriele Salvatores in Happy Family e con Valeria Golino in Miele, ma anche con David Frankel in One Chance. Nel 2016 è stata protagonista della serie Rai Il sistema.

20 anni. Da quando ne aveva 13 compone testi e musiche di canzoni, e canta in una band. Il regista Matteo Rovere la sceglie come protagonista di Veloce come il vento, con Stefano Accorsi. Ha appena girato Youtopia di Berardo Carboni, con Alessandro Haber.

MARIANNA D I M A RT I N O

T E A FA L C O

M A R TA GASTINI

26 anni, catanese. Inizia come modella, poi arriva seconda (dopo Miriam Leone) a Miss Italia. Studia recitazione a New York, torna in Italia, e al cinema la scopre Leonardo Pieraccioni con Un fantastico via vai. In autunno sarà nella miniserie Fox Hundred to Go.

30 anni. Fotografa e poi attrice, Bernardo Bertolucci ne fa la protagonista di Io e te. Dopo il corto Giro di giostra con Michele Riondino, a settembre comincia a girare la nuova serie Sky 1993, e ha appena diretto il suo primo docufilm: Persone.

26 anni. Una delle più internazionali fra le italiane, ha lavorato anche con Anthony Hopkins (nel Rito), e in ottobre la vedremo protagonista del film americano Autumn Light. Nel frattempo, è a Venezia con Questi giorni di Giuseppe Piccioni.

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M AT I L D E GIOLI

GIULIA ELETTRA GORIETTI

MIRIAM LEONE

27 anni il 2 settembre. Lanciata nel 2014 dal Capitale umano di Paolo Virzì. Premiata quest’anno come miglior attrice emergente, dopo aver partecipato al nuovo Rischiatutto torna al cinema con Alessandro D’Alatri in The start up e Mamma o papˆ di Riccardo Milani.

27 anni. Ha debuttato ragazzina con il Virzì di Caterina va in cittˆ. L’anno scorso ha interpretato la giovane escort Sabrina nel film Suburra, di Stefano Sollima. A fine novembre, torna al cinema con Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti nella Cena di Natale.

31 anni, nel 2008 la rossa catanese diventa Miss Italia. E non si ferma più. Nei prossimi mesi la ritroviamo al cinema con In guerra per amore di Pif e in Fai bei sogni di Marco Bellocchio (presentato a Cannes), mentre in Tv sarà protagonista dei Medici con Dustin Hoffman.

MARGARETH MADÈ

C AT R I N E L MARLON

ALE SSANDRA MASTRONARDI

34 anni. Faceva la modella quando Giuseppe Tornatore la volle per Baar“a. Ha proseguito alternando moda, Tv e cinema. Dopo che ha partecipato quest’anno a Ballando con le stelle, in novembre la rivedremo nel film Il velo di Maya di Elisabetta Rocchetti.

30 anni, romena. L’hanno tutti notata negli aderenti panni della fotografa del Chiambretti Sunday Show. Al cinema ha cominciato con Luigi Lo Cascio nella Cittˆ ideale e proseguito con Matteo Garrone nel Racconto dei racconti. E adesso sarà Ines nella serie Donne.

30 anni. A 20 diventa famosa grazie ai Cesaroni. Nel 2011 Woody Allen la sceglie per To Rome with Love. L’anno scorso era la diva Pierangeli in Life, film su James Dean. In autunno la vedremo protagonista della serie LÕallieva per la regia di Luca Ribuoli.

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VITTORIA PUCCINI

VA L E N T I N A ROMANI

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34 anni. Nel 2003 diventa la famosa Elisa di Rivombrosa. Lavora al cinema per Sergio Rubini, Pupi Avati, Gabriele Muccino. A teatro ha recitato La gatta sul tetto che scotta. Adesso sta girando Romanzo famigliare, nuova serie di Francesca Archibugi.

20 anni. In Tv si è fatta notare con la serie Questo è il mio paese, dove era la figlia di Violante Placido. Al cinema quest’anno è stata Blu, una dei tre protagonisti bullizzati di Un bacio di Ivan Cotroneo. Ha appena girato La verità di Anna di Carlo Lucarelli.

21 anni. Scoperta mentre faceva la cameriera a Roma, ha debuttato con Fiore di Claudio Giovannesi, presentato quest’anno a Cannes. Adesso sta girando Niente di serio, primo lungometraggio del regista Laszlo Barbo, con Claudia Cardinale.

SARA SERRAIOCCO

VA L E R I A SOLARINO

SIMONA TA B A S C O

26 anni. Si fa notare al cinema con Cloro, presentato al Sundance Festival. Alla Mostra di Venezia presenta La ragazza del mondo, con Michele Riondino. A seguire: il film di Giovanni Veronesi Non è un paese per giovani e Brutti e cattivi con Claudio Santamaria.

36 anni. Debutta con La felicità non costa niente di Mimmo Calopresti. Alterna film drammatici (Viola di Mare sull’omosessualità femminile, Era d’estate dove è la moglie di Falcone) e commedie. Ora ha girato per la Rai Il commissario Maltese con Kim Rossi Stuart.

22 anni. Al cinema comincia con Perez., dove è la figlia di Luca Zingaretti. In Tv interpreta Nunzia nella serie È arrivata la felicità. Sempre per la Rai, la vedremo nei Bastardi di Pizzofalcone. Mentre in ottobre è protagonista del film I babysitter, con Diego Abatantuono.

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IL RITORNO

9 anni dopo, MATT DAMON trionfa di nuovo al cinema con Jason Bourne, l’uomo con la pistola che lo ha salvato dal declino. A salvargli la vita, invece, è stata sua moglie. Perché il matrimonio «è folle come idea», ma c’è un’eccezione. Indovinate quale

Fortuna,

Matt Damon, 45 anni,  torna al cinema  dal 1° settembre in Jason Bourne, il quinto film  della saga sull’ex spia  della Cia.

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di J O HN HI S C O C K

il tuo nome è Luciana

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Matt Damon piace fingersi uno qualunque: un umile lavoratore che più di ogni altra cosa ama «guardare la partita» e passare il tempo con le figlie. È talmente normale che una volta ha dichiarato di dovere delle scuse al pubblico: «La gente, secondo me, quando esce da un posto dove ci sono anch’io pensa: “Ma dai, quello non può essere una star del cinema! Così ci riesco pure io”». Ma se questo apparente «uomo qualunque» in realtà fosse un personaggio? Quando passi un po’ di tempo con Matt Damon cominci a sospettarlo. Dietro la sua bellezza da ragazzino si nasconde un adulto sveglio, curioso e sensibile. Sono queste le caratteristiche che ne hanno fatto una delle star più redditizie per gli studios. Dopo l’Oscar vinto per il suo primo film importante, Will Hunting - Genio ribelle, Damon ha realizzato successi come The Departed - Il bene e il male, Interstellar e Sopravvissuto - The Martian, ognuno dei quali ne ha messo in mostra l’empatia e il carisma tranquillo. Ma il suo fiore all’occhiello resta la serie cinematografica di Bourne. Film d’azione intelligenti che hanno costretto James Bond a darsi una rapida rinfrescata, facendogli guadagnare il plauso della critica e degli spettatori. E adesso, 9 anni dopo aver indossato per l’ultima volta i panni dell’ex agente della Cia convertitosi in sicario (in The Bourne Legacy del 2012 non appariva), Damon è tornato a fare record di incassi con il film Jason Bourne. Perché ha aspettato tanto? «Non avevamo una storia e non sapevamo in che direzione andare», risponde l’attore durante il nostro incontro a Los Angeles, il giorno dopo la prima americana. «Ci chiedevamo: “C’è materiale per un altro? Abbiamo ancora una storia?”. Io e Paul (Greengrass, regista del film, ndr) ne parlavamo in continuazione, e 158

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a fare questi film avevo 29 anni. Adesso ne ho 45 ed è tutto molto diverso. Avevo due allenamenti al giorno e una dieta strettissima. E per ottenere un certo tipo di fisico non esistono scorciatoie. È una specie di lavoro a tempo pieno». Un argomento di cui Damon ama discutere meno è il conflitto fra l’armatissimo Bourne e le sue posizioni personali, che vorrebbero maggiori controlli sulle armi in America. In diverse occasioni l’attore ha dichiarato che Bourne uccide solo per legittima difesa, anche se capisce perché l’attrice e sceneggiatrice Lena Dunham si sia offesa per la locandina del film nella quale l’attore impugna una pistola, specie all’indomani delle stragi di Baton Rouge, Dallas e Orlando. Ai primi di luglio Dunham ha risposto a un appello di Tami Sagher, coproduttrice della sua serie Hbo Girls, che invitava a «staccare dai vagoni della metro le locandine di Jason Bourne con la pistola». Damon definisce la questione del controllo delle armi «un argomento cruciale. Capisco perfettamente, e a Lena non ho nulla da replicare. Jason Bourne è uno che gira armato, per cui nella pubblicità non c’è nulla di gratuito, ma alla luce degli eventi capisco il desiderio di strappare dalla locandina quella pistola».

Al primo Bourne riconosce il merito di avergli salvato la carriera quando cominciava a declinare. Damon era esploso a Hollywood nel 1997, vincendo l’Oscar con l’amico Ben Affleck per la sceneggiatura di Will Hunting — Genio ribelle, per poi diventare una star a pieno titolo con film come Il coraggio delGRANDE FAMIGLIA Matt Damon la verità, Il talencon l’amico e collega to di Mr. Ripley, Ben Affleck, 44 anni, L’uomo della pioge, sopra, con la moglie Luciana, 40, e le figlie gia e Salvate il solStella, 5, Gia, 8, dato Ryan. Ma poi Isabella, 10. le cose hanno cominciato a guastarsi. Dopo il successo di Ripley e di Ocean’s Eleven - Fate il vostro gioco, Damon ha preso parte a flop come Gerry, The Majestic e Confessioni di una mente pericolosa, e quando arrivi hai la faccia di uno che negli il telefono ha smesso di squillare. ultimi dieci anni ha vissuto bene, perdiamo «Per sei mesi non ho ricevuto mezza offeril film. Deve sembrare che hai sofferto. E ta di lavoro», ricorda oggi. «Erano appel’unico modo per riuscirci è soffrire”. Uno na usciti Passione ribelle (film del 2000 di dei vantaggi di aver lavorato tanto è che soBilly Bob Thornton, ndr), e La leggenda di no migliorato, per cui trovare il personagBagger Vance (di Robert Redford, del 2000, gio è stato più semplice. Ma la parte fisica è ndr), e tutti e due erano andati peggio stata pesantissima. Quando ho cominciato del previsto, oltre a essere stroncati dalla 07.09.2016

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gli ripetevo che l’avrei fatto se lo faceva anche lui. Si è trattato solo di aspettare che il mondo cambiasse un po’». L’evento che, infine, ha fornito alla coppia creativa l’ispirazione desiderata è stato l’emergere della «cyber-guerra», tanto che Jason Bourne contiene riferimenti sia a Edward Snowden che alla nuova generazione dei super-hacker. «Bourne si ritrova in questo nuovo mondo della guerra informatica. È un’anima profondamente tormentata, e all’inizio del film attraversa un bruttissimo momento». È anche un uomo di poche parole. C’è chi ha stimato che Damon pronunci in tutto 25 battute. Considerato che per questo ruolo pare abbia preso 23 milioni di euro, fanno circa 930 mila euro a battuta. Ma la preparazione fisica per la parte ha richiesto molto impegno. Damon si è sottoposto a un regime d’allenamento massacrante, trascorrendo ogni giorno varie ore su una macchina «da arrampicata». «Paul mi ha detto: “Se



CAPELLI D’ANGELO ALLA CINESE

critica. In coda c’era The Bourne Identity, che aveva tutte le carte in regola per fare flop. L’avevano rimandato, c’erano stati ritardi, scene da rigirare, e tutti che dicevano: “È un fiasco annunciato”. Poi però è uscito, e tutti l’hanno scoperto». È così che Matt Damon torna a essere uno dei giovani attori più richiesti di Hollywood. «Mi ha fatto di colpo finire nel gruppetto di quelli che riuscivano a far produrre i film, tanto che a chiamarmi erano i registi, e io gli facevo fare i film che volevano». Il suo ruolino di marcia dimostra gusti variegati e il desiderio di collaborare con registi di prim’ordine. Dopo The Martian di Ridley Scott, per il quale ha ricevuto una nomination all’Oscar, ha girato The Great Wall, un kolossal epico ambientato nella Cina del 1100 e diretto da Zhang Yimou, e adesso partirà per la Norvegia a girare la commedia satirica di Alexander Payne Downsizing, nella quale interpreta un uomo che si fa rimpicciolire fino a misurare dieci centimetri. Dopo, lo aspetta un altro film con l’amico George Clooney. «Anche se gli ultimi due anni sono stati pieni, quando ripenso alla mia vita la trovo frenetica ma fattibile», dice. «E l’emozione più grande continuano a darmela le cose che ho fatto e che sono riuscito a produrre, o a far produrre, o che hanno un futuro». Lo inorgoglisce in particolare aver prodotto l’imminente Manchester by the Sea, un film a piccolo budget per il quale ha raccolto i soldi, commissionato a Ken Lonergan 160

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la sceneggiatura, e poi diretto scegliendo come protagonista Casey Affleck. Con il fratello Ben, suo vecchio amico e collega, Damon sta anche lavorando al reality televisivo per aspiranti registi Project Greenlight, ma al momento non ci sono altre collaborazioni in programma. «A Ben voglio bene, mi piace quello che fa e siamo amici da 35 anni. Insieme abbiamo una società, collaboriamo a un sacco di progetti, ma ritagliarsi il tempo è davvero difficile. Mi chiedono sempre: “Hai in programma di fare un film con Ben?”. E io rispondo: “Be’, è un ottimo regista e con lui lavorerei anche domani, ma il problema è che quando dirige un film la parte migliore la tiene sempre per sé”». E, con un gran sorriso: «Finché non gli passa questo vizio, nessuno può collaborare con Ben». Lui e Affleck, che vivono nella stessa via delle Pacific Palisades, una zona di Los Angeles, sono cresciuti insieme a Boston, e da giovani hanno avuto storie di alto profilo: Damon con, fra le altre, Minnie Driver, Claire Danes e Winona Ryder. Se però Affleck si è da pochi mesi separato dalla moglie Jennifer Garner, Damon rimane felicemente sposato con l’argentina Luciana Barroso, conosciuta nel 2002 mentre lui girava la commedia Fratelli per la pelle e lei faceva la cameriera. Insieme hanno avuto 3 bambine che oggi hanno fra i 5 e i 10 anni, mentre Luciana ha una figlia dal precedente matrimonio che ne ha compiuti 18.

«Sono fortunato ad averla incontrata», dice Damon. «Credo che il matrimonio sia così difficile solo perché è davvero dura trovare una partner che abbia tutto quel che cerchi. Quando ci pensi oggettivamente, è un’idea che sembra folle. Per cui non è tanto che mi piaccia il matrimonio in generale, ma mi piace un sacco essere sposato con lei. La differenza sta lì. E che abbia avuto fortuna è poco ma sicuro». La moglie e le figlie lo accompagnano nei suoi viaggi per il mondo da un set all’altro, e Damon trova che questo sia molto istruttivo. «Cerchiamo di assorbire quel che vediamo, e in fin dei conti credo che per le mie figlie sia questa la vera istruzione. Uno dei grandi problemi dell’America è l’isolamento geografico, che crea situazioni tipo Donald Trump, dove alla gente sembra una buona idea tirare su un muro fra noi e gli altri. Spero che portandole in giro per il mondo le mie figlie diventino persone aperte. Cosa che le aiuterà moltissimo». Ma tutti questi viaggi lo faranno tornare anche da Bourne, per un sesto episodio della saga? «Come dice Paul, il momento peggiore per valutare l’ipotesi di un altro film di Bourne è subito dopo averne finito uno. Lui deve prendersi una vacanza e fare almeno un altro film. Solo allora gli dirò che forse dobbiamo farne un altro». (Traduzione di Matteo Colombo) TEMPO DI LETTURA PREVISTO: 10 MINUTI

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© THE TELEGRAPH 2016. GETTY IMAGES, WEBPHOTO

Con Franka Potente, 42 anni, in The Bourne Identity (2002), primo capitolo della saga, e nell’ultimo Jason Bourne; nel kolossal Great Wall di Zhang Yimou, ambientato nella Cina del 1100 (in uscita nel 2017). L’acconciatura della parte gli dev’essere piaciuta perché, giorni fa a Pechino (a fianco), l’ha sfoggiata di nuovo.



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NOI DONNE siamo tutte

SUPER In Tv prende il volo («Pensare che fino a 19 anni non sapevo andare in bici») con Supergirl, cugina di Superman. Ma per MELISSA BENOIST le eroine non esistono solo nella finzione. Si trovano nella musica (sapete chi è la più tosta?), in famiglia e, lei si augura, anche alla presidenza degli Stati Uniti di T I Z I A N O M A R IN O

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TOMMASO MEI

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KARA STELLA

Melissa Benoist, 27 anni, è Kara, la supercugina di Superman, nella serie Supergirl, su Italia 1 dal 2 settembre.

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e dispiace se mangio qualcosa? Come si fa a dire di no a un piatto di pasta al pesto?». Inizia così, nel giardino di una villa sulle Hollywood Hills, l’incontro con Melissa Benoist. 27 anni, capelli raccolti, maglietta bianca, leggings e sandali, la voce bassa delle persone timide: Melissa è la classica ragazza della porta accanto. Nel suo piatto ci sono rigatoni e un’insalata di pomodori e ceci. «In Italia sono venuta la prima volta l’anno scorso, con mio marito (l’attore e cantante Blake Jenner, ndr). A Roma, in Toscana... Sono rimasta folgorata da Orvieto, e dal cibo! A pensarci, mi viene ancora l’acquolina in bocca. Io provo a limitare i carboidrati, ma non ce la faccio». Almeno in questo, Melissa Benoist non è una ragazza di un altro pianeta. Tantomeno di Krypton, da dove atterrerà su Italia 1 il 2 settembre, quando andrà in onda la prima puntata di Supergirl. La serie racconta le vicende di Kara, cugina di Superman che, dopo aver trascorso dodici anni a nascondersi, decide di uscire allo scoperto. Come Superman, anche lei ha una vita parallela e nella quotidianità è l’impacciata assistente di Cat Grant (Calista Flockhart), direttrice dell’emittente CatCo Worldwide Media. Quanto c’è in lei di Kara e quanto di Supergirl? «Kara è come me: strana, impacciata, molto insicura. Con Supergirl, invece, credo di avere in comune la determinazione, il fatto di non arrendermi mai, la volontà di cercare sempre un modo per risolvere le situazioni difficili». Secondo lei, perché le storie dei fumetti piacciono tanto? «Sono una via di fuga, la speranza che qualcuno arrivi a salvarci dalle cose che ci fanno paura. E cose terribili da cui voler scappare ce ne sono sempre di più».

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È importante, oggi, una supereroina? «Moltissimo. Il mondo è composto da uomini e donne, e se esistono supereroi maschi ci devono essere anche supereroine. Alla fine l’abbiamo capita. In questo senso, sono molto positiva per il futuro». Anche con la prospettiva di un presidente misogino come Donald Trump? «Lui è un caso a parte. Non sono d’accordo con niente di quello che dice. Ci vorrebbe Supergirl per combatterlo». In mancanza di Supergirl, Hillary Clinton è quella giusta? «Sì. Ma ci sono altri esempi di donne forti e combattive, capaci di fare la differenza nel mondo. La mia preferita è Ayaan Hirsi Ali (politica e scrittrice somala nota per il suo impegno in favore dei diritti delle donne, ndr),

AFFARI DI FAMIGLIA

Melissa nei panni di Kara (Supergirl), con la sorella adottiva Chyler Leigh, 34 anni. In basso, nel film Whiplash, uscito l’anno scorso in Italia, con Miles Teller, 29.

ma anche Beyoncé: dice sempre ciò che pensa, si preoccupa delle donne, è una forza della natura». Chi è stata la Supergirl della sua vita? «Mia madre Julie, che riesce a superare con grazia le difficoltà. Viviamo in un mondo pazzo, per questo ogni donna forte e sicura di sé per me è un’eroina». A Hollywood come se la passano le donne? «Le discriminazioni sono ancora tante, ma credo che le cose stiano cambiando». Che cosa glielo fa pensare? «L’altro giorno, sul set, mi sono guardata attorno e mi sono resa conto che eravamo tutte donne, dalle attrici alle aiutanti alla regista stessa. Buon segno». Lei è stata definita un sex symbol. «Mi conosco, e non riesco a vedermi sotto quella luce». E sotto quale luce si vede? «Sono una ragazza che vuole imparare il più possibile, ogni giorno. Sono anche molto asociale, ma ci sto lavorando». Come? «Cercando di usare i social network, per esempio. Per me sono ancora strumenti molto strani, in questo mi sento un po’ vecchia. E in più sono molto timida». Che cosa fa nel tempo libero? «Leggo molto. Ho sempre un libro sul comodino. Ho appena finito Dune (di Frank Herbert, 1965, ndr). Sono pazza di Jonathan Franzen, anche se non ho ancora terminato Purity. Adoro i romanzi di Harry Potter. Quanto vorrei recitare nella saga, però so che mi rovinerebbe tutta la magia». Harry Potter a parte, che cosa vorrebbe dal futuro? «Una famiglia felice, con tanti figli». Perché sul piede ha il tatuaggio di una bicicletta? «Ho imparato ad andare in bici solo a 19 anni, e ora grazie a Supergirl volo! Mi ricorda di andare sempre dritta per la mia strada, di non lasciarmi scoraggiare dalla paura di non farcela, di non abbattermi». Perché guardare Supergirl? «Perché alla fine il bene vince sempre sul male. Non è quello che tutti vorremmo?». TEMPO DI LETTURA PREVISTO: 6 MINUTI

Pagg. 162-163: abito, The Row. Sul braccio sinistro, bracciale, David Webb. Anello, Beladora.com. Sul braccio destro, bracciali, Effy e Pesavento su Beladora.com. Fashion editor Jill Lincoln e Jordan Johnson. Make-up Jamie Greenberg. Hair Bridget Brager. Si ringrazia per l’ospitalità Michela Goldschmied.

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UNA PRODUZIONE IN ESCLUSIVA PER VANITY FAIR. DARREN MICHAELS/CBS

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Infatti Melissa si alza di scatto e scappa. La colpa, in questo caso, è di un moscone. Lei chiede scusa, ma non riesce a rimanere seduta con quella creatura che le vola intorno. Solo quando lo allontaniamo riprende a parlare, con un filo di voce.





LĂ•HO DIRETTA

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Francesco Carrozzini, 34 anni il 9 settembre, ha diretto Franca. Chaos and Creation, documentario sulla madre Franca Sozzani, direttore di Vogue Italia e L’Uomo Vogue. Il film partecipa alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Cinema nel Giardino.

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IL FILM DELLA NOSTRA VITA LEONI

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Quando FRANCA SOZZANI vide per la prima volta FRANCESCO CARROZZINI, pensò: «Che figlio brutto». Adesso che è cresciuto (e brutto certo non è), lui si vendica tirandole fuori in un documentario «le cose che non avevo mai avuto il coraggio di chiedere» di P A O L A J A C O B B I

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ROSI DI STEFANO

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l 9 settembre di 34 anni fa, Franca Sozzani partorì il suo primo e unico figlio, Francesco Carrozzini. Aveva lavorato in redazione fino all’ultimo giorno. Per non perdere il turno al corso di ginnastica pre-parto aveva fatto iscrivere la sua segretaria Lucia. Ma poi, di fatto, non era riuscita ad andare nemmeno alle ultime, decisive, lezioni. Non fu un parto facile: 15 ore di travaglio, molto dolore e la contestuale decisione di non avere più figli. Non solo: quando il bambino nasce – magrolino, due chili e quattrocento grammi – Sozzani non è soddisfatta. «Era bruttissimo», racconta. «Aveva l’ittero, era tutto giallo, e con una macchia rossa sulle palpebre che temevo non sarebbe mai più andata via. Pensai

l’interessante materia prima del documentario firmato da Francesco e intitolato Franca. Chaos and Creation, che sarà presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia. Poi girerà per festival, avrà un’altra première a New York e dovrebbe uscire in sala in Italia nella primavera del 2017. Il film spiega molto bene, con l’intervento di alcune celebrità – da Bernard-Henri Lévy a Courtney Love ai più grandi fotografi di moda del mondo –, in che cosa consista il Sozzani touch nell’editoria (scansare l’ovvio, cercare la provocazione, portare i talenti allo zenit della loro capacità espressiva), ma anche che tipo di donna e madre sia Franca. La Sozzani professionista avrebbe potuto raccontarla chiunque, tutto il resto poteva solo raccontarlo Francesco. Si comincia con una passeggiata a due a Central Park, New York, dove Francesco vive da 14 anni e lavora come fotografo e regista. Francesco Carrozzini: «Era il 2010, mio padre stava morendo. Ho pensato che fosse arrivato il momento di saperne di più sulla mia, sulla nostra storia familiare. E soprattutto su mia madre, perché era quello che mi rimaneva. All’inizio doveva essere una cosa privata, solo per noi, per conserva-

F.S.: «Proprio così, non glielo avevo mai detto. Ma soprattutto non gli avevo detto che io non sono mai stata veramente innamorata di nessuno, che mi è mancata quella grazia del grande amore, e che è una cosa di cui mi dispiaccio parecchio. Alla fine, l’uomo più importante della mia vita è stato suo padre, ma solo perché da quella relazione è nato Francesco». Prima di conoscerlo, si era sposata con un altro uomo, a 21 anni. Un matrimonio durato pochi mesi. F.S.: «Un errore. Il giorno delle nozze ero fuori di me, non ci volevo più andare. Mi aveva fatto schifo il bouquet che mi aveva spedito mia suocera e lo buttai via. Mia sorella, con molta pazienza, me ne fece un altro, di margherite raccolte in giardino. Arrivai in chiesa con un’ora di ritardo e un muso lunghissimo». F.C.: «Le ho chiesto perché ci fosse andata comunque. Mi ha risposto: “Perché ero già vestita!”». Neanche con il padre di Francesco durò molto: dopo pochi anni vi siete lasciati. F.S.: «Sì, e con Francesco andai per un lungo periodo a vivere in albergo, al Duca di Milano, vicino al Principe di Savoia». F.C.: «Proprio quando vivevamo in hotel è stata nominata direttrice di Vogue. Ricordo che sono tornato da scuola e c’era la stan-

«C’È UNA COSA DI CUI MI DISPIACCIO, E CHE NON AVEVO MAI DETTO A FRANCESCO: MI È MANCATA

LA GRAZIA DEL GRANDE AMORE» che, appena fossero cresciuti i capelli, gli avrei fatto fare una bella frangia per coprirla. Ero furibonda. Per di più la mia vicina di letto aveva avuto un bambino stupendo e io non mi capacitavo, visto che lei e il marito non erano esattamente bellissimi. Ho persino pensato che me lo avessero scambiato nella culla». Impossibile. Perché non solo Franca e Francesco si somigliano in modo inequivocabile, ma il bebè con l’ittero è anche diventato un gran bel ragazzo con tanto di fidanzate celebri (come l’ex Lana Del Rey), che, ridendo e indicando la madre, dice: «Meno male che la disgrazia estetica è stata evitata, altrimenti qui non ci saremmo mai più ripresi». Complici e affini ma anche sinceramente conflittuali, Franca e Francesco sono 170

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re la memoria, riguardare i filmini di famiglia che aveva girato il nonno e che ritraggono Franca da ragazzina. Fin lì, lei è stata molto disponibile. Quando però le ho detto che volevo farlo diventare un film vero, già non ne voleva più sapere». Franca Sozzani: «Anche se la mia vita è molto esposta al pubblico, io sono una persona riservata. Non mi piace parlare del mio privato. E poi, onestamente, il dialogo con un figlio è molto difficile: hai pudori che non avresti nella conversazione con un’amica». F.C.: «E invece sono venute fuori tante cose, cose che io non avevo mai avuto il coraggio di chiedere né lei di raccontare». Per esempio, intervistandola, Francesco ha scoperto che suo padre, al tempo in cui Franca rimase incinta, era sposato.

za piena di fiori, non capivo che cosa fosse successo». Che madre è stata Franca? F.C.: «Quando avevo bisogno di lei, c’era. Mi ha persino aiutato nei compiti di latino e greco al liceo, era bravissima. Però è stata anche molto assente. Si è persa il mio esame di quinta elementare perché è arrivata il giorno dopo». C’è l’inquadratura di un’immagine di repertorio che torna due volte nel film: Franca intervistata all’evento per i trent’anni di Vogue Italia e lei, piccolino, tra sua madre e l’intervistatrice. F.C.: «Sì, e lì l’intervistatrice le chiede di fare lo spelling del suo nome perché non era ancora la Franca Sozzani che tutti conoscono. Ho rimontato la stessa immagine alla fine, assieme ai momenti in cui 07.09.2016



«LE HO CHIESTO PERCHÉ SI ERA SPOSATA SEBBENE NON VOLESSE PIÙ FARLO. MI HA RISPOSTO:

“PERCHÉ ERO GIÀ VESTITA”» riceve la Légion d’honneur a Parigi, per ribadire che ci sono anch’io accanto al suo straordinario percorso professionale». Si intuisce che, benché da piccolo forse l’avrebbe voluta tutta per sé, come una mamma normale, lei prova un’ammirazione sconfinata per Franca. F.C.: «Sì, ma ogni volta che provo a dirglielo, lei si infuria». F.S.: «Avrei detestato un film in cui non si fa altro che dire quanto è brava di qui, quanto è geniale di là. Non mi piacciono i santini e le autocelebrazioni». Nei suoi numerosi viaggi di lavoro, ha mai portato Francesco con sé? F.S.: «Spesso. Una volta andammo in Giappone, lui avrà avuto 12 anni. La sera del nostro arrivo a Tokyo, andiamo a cena con la stilista Rei Kawakubo e il marito. Una serata difficile, i due parlavano pochissimo e noi eravamo stravolti dal jet lag. In macchina, tornando in albergo, gli dissi: “Sei stato bravissimo, Francesco”. Lui mi rispose: “Mamma, ero troppo stanco per fare l’antipatichetto”». Ha incoraggiato l’interesse di Francesco per il cinema? F.S.: «Da subito. Siccome già a 13 anni lui aveva cominciato a dire che voleva fare il regista, due anni dopo, pur di non vederlo spiaggiato tutta l’estate a Forte dei Marmi o a Portofino, lo mandai a fare un corso di cinema a Los Angeles. Tornò entusiasta e non ha più cambiato idea. Ha lavorato e ancora lavora anche come fotografo, e io sono felice. Abbiamo un dialogo interessante, su argomenti che ci appassionano entrambi. Avesse scelto di fare il medico o l’avvocato, sarebbe stata una sfortuna per me». Essere il figlio di Franca Sozzani è solo un privilegio o anche un ostacolo? F.C.: «Certamente un privilegio, per l’aria che ho respirato, perché come fotografo 172

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E lei, Franca, che cosa risponde alle accuse di nepotismo? INFANZIA AL TOP Francesco con la mamma  F.S.: «Quale genitore non Franca nel 1988,  aiuterebbe un figlio? Poi, tu anno in cui lei diventò  le possibilità le dai, ma se direttore di Vogue Italia:   non si hanno le capacità si a quell’epoca vivevano   in albergo a Milano. cade da soli. Non si semina sul cemento. Per esempio, nel 2007, io ho mandato Francesco a fotografare Tim Burton per L’Uomo Vogue. Prima di chiamare lui avevo cercato altri fotografi, ma Burton poteva solo l’8 agosto a Cuernavaca, in Messico, ed erano tutti in vacanza. Francesco parte, arriva lì e Tim Burton ha cambiato idea. Non vuole fare le foto, erano a duemila metri e gli mancava l’aria. Francesco mi chiama e mi dice che ci sono questi problemi. Io rispondo “arrangiati” e gli butto giù il telefono. Si è arrangiato, è riuscito a convincerlo, il servizio era bello, la sua occasione non l’ha certo sprecata». Nel film ci sono molti momenti in cui vi scontrate a muso duro. F.C.: «Non seguiva le mie ho avuto lo stesso mentore che hanno avuistruzioni, dovevo farle ripetere le frasi milto dei grandissimi come Peter Lindbergh o le volte e lei si spazientiva!». Steven Meisel. È un privilegio perché, graF.S.: «Insomma, tutti mi accusano di non zie al suo amico Helmut Lang, a 21 anni sapermi spiegare perché troppo sintetica, sono stato due settimane sul set di Oliver lui è l’unico al mondo che mi accusa di esTwist di Roman Polanski, dove ho avuto sere prolissa!». la folgorazione definitiva per il cinema. È C’è una cosa, nel film, che ho trovato teneun ostacolo, ma di minor importanza, perra e che non mi aspettavo. Lei dice che speché la gente ha dei pregiudizi. Molti penra ancora di incontrare un grande amore, sano che io sia un raccomandato. Del reun principe azzurro. sto, è vero che ho avuto una partenza molF.S.: «Sì, perché sognare non costa niento veloce, e in più sto riuscendo in quello te, a nessuna età. Anche se, a dirla tutta, che faccio. È ovvio che si creino inimicise davvero lo incontrassi, non sono sicura zie. Va detto che anche lei, nella sua posiche vorrei mettermelo in casa, questo prinzione, ha un sacco di nemici. Anzi, ogni cipe azzurro». tanto la chiamo e le chiedo se per favore T E M P O   D I   L E T T U R A   P R E V I S T O :   1 1   M I N U T I  può evitare di litigare con Tizio o Caio perché non vorrei finire vittima di una di quePagg. 168-169: per Franca Sozzani,  ste antipatie transitive…». abito Schiaparelli Haute Couture. 07.09.2016



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on vi ingannino la balbuzie specchio di emotività né certe uscite poco diplomatiche scritte sui social media che gli fanno inutilmente collezionare nemici su Internet (un giorno i doppiatori, un altro i custodi dell’estetica di Pier Paolo Pasolini, domani chissà, le fanatiche di uncinetto), e non vi inganni neppure il suo cinema che spesso illumina il nostro lato più fragile, quello dei sentimenti. Gabriele Muccino è un uomo molto più solido di quel che possono far pensare la sua biografia sentimentale (tre figli da tre donne diverse) e la sua filmografia. È un combattente puro e indomito, uno che si rialza sempre, pronto a ricominciare ogni volta. Lo incontro a Roma, mi parla con entusiasmo di un grandioso progetto (un kolossal sulla storia di Greenpeace) ma soprattutto ha una gran voglia di sviscerare il suo decimo film: L’estate addosso, in anteprima fuori concorso alla Mostra di Venezia, e poi nelle sale dal 15 settembre. Nato senza grandi budget e senza star, ha però la colonna sonora firmata dall’amico e testimone di nozze (quelle in corso di validità, con Angelica Russo) Jovanotti. Il film è romantico e ha un tocco gentile. Racconta di Marco e Maria (interpretati da Brando Pacitto e Matilda Lutz), due neomaturati italiani in vacanza a San Francisco protagonisti, con una coppia di ragazzi gay americani (gli attori Taylor Frey e Joseph Haro), di un quadrilatero amoroso in cui tutti sono innamorati di qualcuno che però è innamorato di qualcun altro. L’estate addosso segna un ritorno alle origini, all’atmosfera dei suoi primi film. «Dopo quattro film americani non scritti da me, alcuni in sintonia con la mia sensibilità e altri che ho dovuto un po’ 1 74

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Dopo dieci anni vissuti a Los Angeles, «non ho un amico». Per questo GABRIELE MUCCINO ha scritto un film che lo ha fatto tornare «da dove vengo», lontano da quel posto dove «si prendono grandissime mazzate» di P A O L A J A C O B B I

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FABIO LOVINO


ESTATE AL LIDO

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Gabriele Muccino, 49 anni, il 1° settembre presenta alla Mostra di Venezia, nella sezione Cinema nel Giardino, il suo nuovo film L’estate addosso, che uscirà in sala il 15 settembre.

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tipo che i miei film gli avevano cambiato la vita, ho letto gran belle recensioni e stroncature terribili, e mica solo in Italia. Mi hanno fatto a pezzi anche a Sydney, Singapore e Buenos Aires. Può far male, certo, ma io sono ancora qui, penso che valga sempre la pena giocarsi tutto quello che si ha come se fosse l’ultimo giorno». Nell’Estate addosso si dice: «Quando smetti di contarli, i giorni cominciano a volare». Tra un anno compie i 50: che effetto fa? «Mi fa paura il tempo che passa perché amo troppo la vita per accettare che scivoli via. Oggi non sono più lo stesso uomo dei miei primi film. Allora non sapevo nemmeno che cosa volesse dire essere un regista, essere marito, padre, ex marito. Ci sono momenti della nostra vita in cui scattano dei clic, in cui capiamo che nulla sarà più come prima. In questo senso, L’estate addosso è un film esistenziale. Racconto l’attimo di passaggio di due giovanissimi, ma per tutti, a tutte le età, c’è la fine di qualcosa e l’inizio di qualcosa d’altro». Quali sono stati i suoi «clic»? «Uno dei miei primi lavori: sei mesi in Africa a girare documentari sugli animali. Il periodo immediatamente successivo all’uscita dell’Ultimo bacio. La lavorazione della Ricerca della felicità che è un po’ «IN AMERICA NESSUNO SA CHE SONO l’inizio della mia avventura americana, BALBUZIENTE PERCHÉ, SE PARLO INGLESE, quando ho avuto l’impressione di essere finito su Marte a vivere con i marziani. Sensazioni irripetibili». E la sua estate dopo la maturità come fu? APPENA TORNO IN ITALIA, RICOMINCIO. «Andai a Rodi con quattro amici, che anÈ COLPA DELLA MIA INSICUREZZA» cora frequento. Eravamo in cerca di pischelle, non ne trovammo nessuna. Sfigati». Il suo primo amore come si chiaTUTTI AL MARE mava? Muccino con i protagonisti del suo  «Antonella, compagna di scuofilm: Joseph Haro, 29  la. Ero gelosissimo, e come tutti anni; Brando Pacitto,  i gelosi finii ampiamente cornifi20; Taylor Frey, 27;  cato. Lo scoprii per caso da una Matilda Lutz, 24. tizia, a una festa. Venne a dirmi: “Tu sei Gabriele Muccino? Ecco, sappi che il mio ragazzo sta con la tua ragazza”». A quell’età si pensa che di mal d’amore si può morire. «E poi si smette di pensarlo, per fortuna. Più la vita ti sbatte in faccia dolori e delusioni, più sviluppi quegli anticorpi che si chiamano disincanto». Ha preso le distanze anche dalle polemiche di suo fratello Silvio? «Sì. Non ho niente da dire».

addomesticare, tutti con risultati molto diversi tra loro, ho sentito il bisogno di tornare da dove vengo, tornare alla mia Itaca, alle storie che mi interessano davvero, e anche a un modo di metterle in scena più essenziale. In un certo senso, L’estate addosso è stato un percorso di guarigione». Dalle ferite hollywoodiane? «Hollywood è complessa, traumatica. Solo chi c’è stato può capirne la realtà al di là del sogno e dei luoghi comuni. Lavorare lì è una benedizione, per molti aspetti. Ma è anche il posto più cinico della terra, si prendono grandissime mazzate». Pensa di aver peccato di ingenuità? «Le dico solo una cosa: dopo dieci anni di vita a Los Angeles, non ho un amico. Ma non sono certo l’unico. Questa è un’industria dove gli amici non esistono. Una volta che l’ho capito, mi sono rassegnato e isolato, cominciando a guardare le cose con una penombra nello sguardo che non mi piace avere. Allora, per reagire, ho preso in mano il soggetto dell’Estate addosso, che avevo cominciato a scrivere molti anni fa, tutto ispirato a storie vere, storie di persone che conosco».

Il film è parlato in due lingue e racconta anche un po’ l’incontro tra due culture, italiana e americana. «Ogni viaggio è un’iniziazione a un’altra forma di vita, una possibilità di rimettersi in gioco, di far crollare pregiudizi e buttare via qualche parte di sé. Per esempio, io in inglese non balbetto. In America nessuno sa che sono balbuziente. Appena torno in Italia, ricomincio. La mia balbuzie è figlia della mia insicurezza, che ha radici nella mia adolescenza solitaria». Quanto la influenzano i giudizi degli altri? «Ho impiegato tutta la vita a dimostrare a me stesso che io sono migliore di come mi pensano gli altri. È una battaglia mai finita. In pratica, passo il tempo a convincermi che gli altri hanno torto. Ma, come dicono in C’eravamo tanto amati: chi vince la battaglia con la coscienza ha vinto la guerra dell’esistenza». Sì, ma non le fa paura andare a Venezia? Lei comunque suscita grandi divisioni, e alla Mostra c’è sempre un certo accanimento nei confronti dei film italiani. «Nel tempo ho incontrato gente che mi ha detto cose meravigliose, persino esagerate,

IO NON BALBETTO.

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È diventata famosa come terrorista, oggi si ritrova fidanzata con il Commissario. SONIA BERGAMASCO, che in Laguna torna da madrina, ha imparato a smussare gli angoli di E NR I C A B R O C A R D O

REGINA DI VENEZIA

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SERVIZIO

BARBARA BARTOLINI

Sonia Bergamasco,  50 anni, dopo Venezia  a novembre sarà a  teatro, al Franco Parenti  di Milano, con  lo spettacolo tratto  da Il trentesimo anno  di Ingeborg Bachmann.  È ambasciatrice  Jaeger-LeCoultre,  da 11 anni main sponsor  della Mostra del Cinema.


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i sono momenti in cui la vita ti sorprende senza prenderti alle spalle. Sonia Bergamasco sembra essere in uno di quei momenti lì: un film, Quo vado? di Checco Zalone, e il ruolo di Livia nelle nuove puntate del Commissario Montalbano le hanno dato una popolarità inedita, più solare rispetto a quella conquistata 13 anni fa con il personaggio di Giulia, la terrorista della Meglio gioventù. E, ora, la attendono altre due novità: la regia teatrale, la prima di uno spettacolo in cui non è in scena, di una produzione del Piccolo di Milano, Louise e Renée (debutto il 21 marzo

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2017) e la partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia nel ruolo di madrina. Mentre scrivo, mi domando se lei sarebbe d’accordo con le parole che ho usato per descrivere questo periodo della sua vita. È come se la Bergamasco avesse il potere di spingerti a un esame di coscienza. Senti che riprodurre al meglio ciò che ti ha detto è un regalo che puoi fare a te stessa, prima che a lei. «L’ha visto questo film? Deve farlo assolutamente». «È un libro bellissimo. Lo legga, le piacerà». Lo ripete spesso nel corso della conversazione. E capisci che non lo dice per sfoggiare una superiorità intellettuale. Nella voce ci sono la voglia e l’entusiasmo di condividere quello che l’ha emozionata. Madrina alla Mostra del Cinema di Venezia. Una proposta che l’ha sorpresa? «Sì, sono rimasta molto stupita. E anche felice. Il direttore Alberto Barbera mi ha chiesto se mi poteva piacere l’idea. “Be’, certo, è una madrina un po’ âgée”. E lui: “Ma, no, che dici?”». In effetti, considerati i precedenti: Elisa Sednaoui l’anno scorso. E, prima, Luisa Ranieri, Eva Riccobono, Kasia Smutniak.

«La mia è una fisicità diversa. Sono contenta anche per questo, mi sembra un bel segnale». Un ruolo fondamentalmente di immagine. Come lo vive? «Come un personaggio da interpretare (ride). Vorrei farlo con leggerezza, grazia, attenzione. E poi mi piace cambiare». Il suo debutto come attrice di cinema ha coinciso anche con la sua prima volta alla Mostra di Venezia, una ventina di anni fa, in un cortometraggio di Silvio Soldini. «All’epoca facevo solo teatro. Quello di Soldini era un progetto in tre parti intitolato Miracoli. Io ero una ragazza che leggeva a un vecchio signore per tenergli compagnia. Il miracolo stava nel fatto che alcuni elementi di quello che c’era sulle pagine scritte li ritrovavo nella vita vera». Che cosa si ricorda di quella prima volta alla Mostra? «Sono andata senza sapere nulla e senza aspettarmi nulla. Con gli occhi aperti per guardarmi intorno. Una “novizia”». Poi, nel 2001, è tornata a Venezia con un film, L’amore probabilmente di Giuseppe Bertolucci. Una curiosità: è vero che non le fece fare un provino?

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«NON HO LA FISICITÀ DI CHI MI HA PRECEDUTO A VENEZIA, È UN BEL SEGNALE. ME L’HANNO PROPOSTO, HO DETTO:

«Sì, mi scelse. Ma di audizioni ne ho fatte tante e continuo a farle. È faticoso per un attore, è come stare su un vetrino ed essere osservato al microscopio. Ricordo, per esempio, che proprio il provino con Soldini fu disastroso. Però mi prese lo stesso, capì che bastava spiegarmi come fare». A Cannes, invece, andò due anni dopo con La meglio gioventù. «Un’avventura bellissima. Lo mandano in onda ancora oggi e molte persone lo riguardano e lo fanno vedere ai loro figli. Con le mie (Valeria, 12 anni, e Maria, 10, avute dal marito Fabrizio Gifuni, ndr) lo abbiamo visto insieme per la prima volta l’anno scorso. Sono ragazze del Duemila, non sanno nulla del periodo delle Brigate Rosse». Quel ruolo le è rimasto incollato addosso per molto tempo. «Per il pubblico, e anche per gli addetti ai lavori, per parecchi anni sono rimasta “la terrorista”. Anche se, invece, avrei potuto essere la dottoressa Sironi, il mio personaggio in Quo Vado?, già allora. A volte il caso gioca un ruolo importante. Per esempio, c’è un film, La straniera di Marco Turco del 2009, nel quale interpretavo una parte completamente diversa, una poliziotta incinta. E lo ero sul serio, di sette mesi. Una donna goffa, sgraziata. Ho adorato quel ruolo. Purtroppo quasi nessuno ha visto il film per via di una distribuzione molto sofferta». A Venezia c’è qualche star internazionale che le piacerebbe incontrare? «Anche quando ero agli inizi della mia carriera, non ho mai pensato di chiedere l’autografo o di farmi fotografare con qualcuno. Ma non per un senso di superiorità o per snobismo. L’ammirazione serve se ti aiuta a lavorare su te stesso. Amo Meryl Streep e so che, a ottobre, verrà alla Festa del Cinema di Roma. Mi sono detta: “Mi piacerebbe incontrarla”. Ma poi ho pensato: “E quando me la trovo davanti, che cosa le dico?”». 182

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PRIMA E DOPO

L’attrice con Luigi Lo Cascio, 48 anni, nella Meglio gioventù, film che la lanciò nel 2003. Sotto, con Luca Zingaretti, 54, nel Commissario Montalbano, dove da quest’anno interpreta Livia, la storica fidanzata del Nord.

I suoi ricordi del cinema, prima di farlo? «Le sale di parrocchia con le gomme da masticare ovunque e i ragazzi che andavano lì non tanto per guardare un film ma per fare altro. Poi, l’Obraz, a Milano, un cineforum di quelli tosti, con i sedili di legno pieghevoli, scomodissimi, che cigolavano. Oggi al cinema mi piace andarci anche da sola, al pomeriggio. È una bella cura, una carezza». Quando va con le sue figlie le pilota o si fa pilotare? «A vedere i film che piacciono ai ragazzi della sua età, Valeria ci va con le amiche.

Mi piace far scoprire loro titoli che da sole non sceglierebbero mai. Qualche tempo fa siamo andate alla proiezione della versione restaurata di Vogliamo vivere! di Lubitsch (del 1942, ndr). Lo ha visto? Uno dei film più belli della storia del cinema. Si sono divertite molto». Le nuove puntate di Montalbano in cui, da quest’anno, interpreta l’eterna fidanzata del commissario, hanno avuto un grande successo di audience, però su Internet in molti l’hanno criticata. «Lo zoccolo duro dei fan vorrebbe sempre che tutto rimanesse com’era. La donna del Nord che vive lontana, un po’ rompiscatole, fa parte di un immaginario che può essere rischioso toccare. Eppure sono stati lo stesso Camilleri con gli altri autori, il regista e Luca Zingaretti, a voler aggiornare la relazione fra i due, che da tempo si svolgeva al telefono, sempre giocata sulla conflittualità. Non sono piaciuta a tutti? Un po’ mi dispiace, ma pazienza». È un periodo molto bello per lei, pienissimo di cose. Si è domandata se dipenda da un suo mutamento interiore o da congiunture esterne? «Credo che ci sia più apertura da parte mia, una maggiore disponibilità, fiducia. Di solito col passare degli anni ci si chiude, ci si indurisce, a me sta accadendo l’opposto. Mi assumo gran parte della responsabilità per cose non fatte o non accadute in passato. Vivo il presente con la consapevolezza che domani potrebbe non essere altrettanto piacevole. E continuo a lavorare come ho sempre fatto. Egoisticamente. Per me stessa, perché mi dà gioia». TEMPO DI LETTURA PREVISTO: 8 MINUTI

In tutto il servizio: abiti, Giorgio Armani. Orologi, Jaeger-LeCoultre. Ha collaborato Flavia Figà Talamanca. Make-up Irene Legramandi using Giorgio Armani Beauty. Hair Germano Sgambelluri per Schwarzkopf Professional using Osis Salt Mist. Si ringrazia Hotel Aldrovandi Villa Borghese, Roma, LHW.com/aldrovandi.

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UNA PRODUZIONE IN ESCLUSIVA PER VANITY FAIR. WEBPHOTO, FABRIZIO DI GIULIO

BE’, UNA MADRINA UN PO’ ÂGÉE»



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botta che non passa In Tv scopre la mafia, nella vita ha arrestato, una volta, una femminista. Eppure sogna un primo ministro donna e non ha mai dato una sberla a una ragazza («Le ho prese, piuttosto»). È altro quello che ALESSIO BONI non si perdona: «L’unica cosa che non rifarei di tutta la mia vita» di E NR I C A B R O C A R D O

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GIANMARCO CHIEREGATO

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UOMO D’AFFARI

Alessio Boni, 50 anni, dal 12 settembre sarĂ nella nuova fiction Catturandi - Nel nome del padre: sei puntate su Raiuno, in prima serata.

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Lei ha un ricordo che non vorrebbe assolutamente perdere? «Sarà banale, ma gli abbracci di mia nonna Maddalena, che non c’è più». E momenti della vita in cui non si è piaciuto per niente e che le piacerebbe cancellare? «Tre anni fa ho commesso un grande errore e ne pago ancora oggi le conseguenze. Avrei dovuto reagire in modo diverso. È l’unica cosa, di tutta la mia vita, che non rifarei». Che tipo di sbaglio? «Non posso dirlo. È troppo personale. Straziante».

Cambiamo discorso. In un’altra fiction, Di padre in figlia, che andrà in onda nella prossima stagione, lei è un industriale del Nordest, un patriarca degli anni Cinquanta. «Un padre padrone. Ma allora era normale. È una storia interessante proprio perché dà l’idea dei progressi fatti dalla donna nella società, i traguardi raggiunti e gli sforzi per arrivarci. Eppure, ancora oggi c’è parecchio maschilismo. È come se ci fosse sempre bisogno di una sorta di concessione da parte dell’uomo: “Vabbè, questa volta eleggiamo una sindaca”. Perché non abbiamo mai avuto un primo ministro o un

«C’è ancora troppo maschilismo, troppo bisogno di concessioni da parte dell’uomo: “Vabbè, stavolta

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na fiction coraggiosa. Racconta una mafia siciliana che non è più coppola e asinello, ma è radicata nelle istituzioni». Alessio Boni parla di Catturandi - Nel nome del padre, la nuova serie che lo vede dal 12 settembre su Raiuno nel ruolo di «un imprenditore milanese che va nelle Madonie per fare un investimento enorme sulle pale eoliche, e così entra in contatto con la mafia». Da qualche settimana, però, Boni sta girando un’altra serie a Torino. Dove fa «vita di residence» con i colleghi di set. Come Sergio Rubini, che incontro davanti all’ingresso, mentre lui scende qualche minuto dopo, riccioloni da far invidia a un putto, camicia e pantaloni di lino per combattere il caldo umido dell’agosto piemontese. La serie, anche questa della Rai (probabilmente in palinsesto l’anno prossimo), s’intitola La strada di casa. «Il mio personaggio va a sbattere con la macchina contro un tir. Stacco. Lo si rivede in ospedale. Sembra sia appena stato ricoverato, in realtà sono passati cinque anni. Casi come questo sono rarissimi. Ho parlato con uno psicologo, mi ha detto che la mente cancella i ricordi negativi perché fanno male al cervello e trattiene solo quelli positivi. Lui ricorda che amava sua moglie, però ha dimenticato che negli ultimi anni la tradiva e la maltrattava. Lo scopre dopo, e non si piace».



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«Non proprio ricco e spietato, ma quando ho deciso di smettere di lavorare nella ditta di piastrelle di mio padre, per un paio di anni non ci siamo quasi parlati. In quella fase mi era scattato il “ti faccio vedere io che ce la posso fare”». All’inizio dell’intervista, Boni mi aveva fatto il riassunto del percorso che lo ha portato a fare l’attore. A doppia velocità perché, dice, «sono trent’anni che lo ripeto»: piastrellista nella ditta del padre, poi il servizio militare in polizia, «fuga» a San Diego per studiare inglese. Rientro in Italia «senza una lira», animatore nei villaggi turistici, quindi l’esame per entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia senza sapere nulla di recitazione. «Per me Stanislavskij poteva benissimo essere un centravanti russo». Ci sono dieci posti, arriva undicesimo. Un anno dopo riprova con l’Accademia d’Arte drammatica. E, questa volta, lo prendono. Una curiosità, come si era trovato in polizia? «In casa nostra non si parlava mai di politica, i miei non erano né di destra né di sinistra. Non avevo preconcetti altrimenti, forse, in polizia non ci sarei andato. In realtà volevo solo scappare dalla provincia (è nato a Sarnico, vicino a Bergamo, ndr), non volevo rischiare di finire negli alpini, non abbastanza lontano da casa. Così ho fatto domanda per i carabinieri, la polizia, la guardia di finanza e i paracadutisti». Ha preso qualche criminale? «Niente di che. Una volta ho arrestato una femminista in un corteo a Milano. Erano le peggiori: ti lanciavano i pomodori con dentro le lamette e ti prendevano a calci nei coglioni perché sapevano che, se le toccavi, andavi nei guai. Però alla fine è stata un’esperienza utile. Marco Tullio Giordana dopo il provino per La meglio gioventù mi disse: “Non voglio controfigure, il mio maestro d’armi ti spiegherà come s’impugna una pistola, come si tiene lo scudo”. Lo fermai: “Scusa se ti interrompo, ma ho fatto il militare in polizia, reparto celere”. Sul set ero io a insegnare agli altri come si usa il manganello». TEMPO DI LETTURA PREVISTO: 9 MINUTI

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PHILIPPE ANTONELLO, WEBPHOTO

presidente donna? Spesso si fa solo finta di essere emancipati». Lei, invece, ha trattato sempre le donne alla pari? «Le mie compagne, mia madre, le colleghe? Certo. E sono molto attratto dalle donne in gamba. Voi avete fatto tutto, conquistato i vostri diritti, mi sa che adesso tocca a noi darci da fare, lavorare su noi stessi. Perché non è possibile che ancora oggi moltissime siano vittime della violenza maschile. Non voglio fare il puritano, uno schiaffo durante una lite può anche scappare, ma qui stiamo parlando di altro». Di schiaffi ne ha più presi o più dati? «Qualche sberla dalle donne l’ho presa. Date, mai. Mi dà fastidio solo l’idea. Mio padre e mia madre litigavano anche furiosamente, ma lui non ha mai alzato le mani. Fin dalla prima elementare bisognerebbe insegnare ai bambini che è sbagliato. E fare educazione sessuale. Molti arrivano ad avere figli senza essere pronti». A proposito, non molto tempo fa ha detto che le sarebbe piaciuto adottare un bambino. «Parlavo in generale. Perché nel mondo ci sono un sacco di orfani e tantissime persone che vorrebbero un figlio. Vogliamo dare delle priorità? Facciamolo pure: prima vengono le coppie etero, poi quelle omosessuali formate da due donne, poi da due uomini, infine i single». TIPO VERSATILE Da anni fa il testimonial Dall’alto, Boni nel per diverse organizzazio2003, poliziotto nella ni che si occupano di infanMeglio gioventù; in Catturandi - Nel zia e ha visitato molti orfaStava per diventare padre e nome del padre con, notrofi in giro per il mondo. poi per qualche motivo non a sinistra, Leo Gullotta, Ha mai avuto il desiderio di è successo? 70 anni; nel suo ultimo «rubare» uno dei bambini «Prossima domanda». film Il manoscritto. che ha incontrato? Capito. Lei sta lavorando «Sempre, in ogni viaggio. tantissimo. Oltre alle serie Ma il peggio è che, poi, torni qui e in Tv Tv, ha girato anche un film, Il manoscritto, c’è la pubblicità del cibo perfetto per lo in uscita prossimamente. stomachino dei cani castrati. Mi fa venire «Sottintende che, non avendo una vita l’orticaria. Guardi che io adoro gli animamia, riempio il tempo così? Interpreto un li, ma non esageriamo. C’è un bellissimo cabalista ebreo. Mi è piaciuto molto peraforisma della poetessa Alda Merini: “Chi ché è lontanissimo da me. Adoro trasforama troppo il proprio figlio spesso lo samarmi. Se mi dicono: “Saresti perfetto per crifica al proprio io”. Se vale per i bambiquesto personaggio perché ti somiglia”, lani, tanto più per i cani, no?». scio perdere». Ha mai pensato di avere un figlio suo? La sua prima fiction è stata Il conto Mon«Sì. Ed è quella la “botta” di cui le parlavo tecristo, nel 1996. Le è mai capitato di penprima. Ne sto uscendo ora». sare «tornerò ricco e spietato»?



Vanity I L D O N O

I maschi. Le femmine. I maschi che si sentono femmine. Le femmine che si sentono maschi. E poi le «creature di mezzo», vicine agli dei, come quella che ha preparato queste nozze islamiche. Sì, islamiche, avete capito bene. Succede nell’isola SULAWESI dove, «se hai occhi che vanno oltre», puoi persino vedere il serpente invisibile di IM M A V I T E L L I

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SPOSI IN ROSSO

Il matrimonio di Hardianti Latif (a sinistra), figlia dell’imam Abdel, con il fidanzato Tawakkal nel distretto di Segeri, nell’isola Sulawesi (Indonesia), dove vivono le sacerdotesse androgine «Bissu».

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MARCELLO BONFANTI

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l matrimonio è pazzesco. Non c’è un altro modo per definirlo. Fa caldo, questo è certo. La sala è abbagliante, con festoni d’oro, ed entrarvi è stato un salto in una vivida fiamma. Ma non ho le allucinazioni. Lo sposo pare il principe di Labuan, tutto rosso, con la spada e le gemme e un grosso fiore giallo sulla fronte. Ma non è la potenza del folklore a estasiarmi. È che ad aspettarlo, sulla pedana, con il Corano e i documenti in arabo, è il suocero, il papà della sposa, un signore alto e lieto, che si rivela essere un imam. È che l’imam non batte ciglio quando vede che ad accompagnare lo sposo all’altare è Juleha, un uomo, anzi una donna, anzi una Bissu, una delle ultime sacerdotesse né uomo né donna dell’isola Sulawesi. Mi stropiccio gli occhi, incredula. L’imam e la sacerdotessa uomo-donna? In Indonesia? È il più popoloso Paese islamico della Terra e qui vicino, in queste stesse ore, l’esercito sta facendo un’altra festa, al più ricercato terrorista islamista, l’al Baghdadi dell’arcipelago, tale Santoso. E allora, di che cosa stiamo parlando? Posso solo raccontarvi un viaggio nelle pieghe del tempo, dentro un universo magico, sulle tracce di un serpente mistico, custode di un sacro legno. Un mondo antico, di miti e di riti e di spiriti che parlano alla casta dei preti, i puri dell’etnia Bugis.

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Il loro nome è Bissu, vuol dire santo. E santo è il loro ruolo in una cultura che riconosce cinque generi, il maschile e il femminile e ciò che segue, l’ambivalenza, il dubbio, la diversità, il maschio che si sente femmina (calabai), la femmina che si sente maschio (calalai), e infine, la più sacra delle identità, che le contiene tutte in armonia, quella delle Bissu. «Sono creature di mezzo», mi ha spiegato un noto antropologo che le ha a lungo studiate, il professor Halilintar Lathief della Makassar State University. «Sono intermediari tra il Cielo e la Terra, simili agli dei, e gli dei come è noto non hanno sesso». Parlano una loro lingua e fanno parte di un popolo antico, con una loro Bibbia di nome La Galigo. In essa l’eroe s’innamora di una donna e invia come suo messaggero un uomo che si sente donna, una trans calabai che è andata oltre, che è quasi morta, sul tetto di una palafitta, ed è rinata Bissu. Ma spietato è stato il tempo, e non c’entra la scienza, bensì la storia con le sue onde di fanatismo. La loro persecuzione è stata durissima. Pogrom, torture, umiliazioni, tutto l’usuale corollario che accompagna le insurrezioni islamiste. Negli anni Sessanta e poi di nuovo negli anni Novanta, gli estremisti andavano dicendo che erano peggio dei cani, il più impuro degli animali, nell’islam. «Oggi ne rimangono circa cinquanta», dice ancora l’antropologo, fondatore dell’associazione Jalin Sutra, che si batte per la loro sopravvivenza. «La loro leader è Juleha». 07.09.2016


CERIMONIA SACRA

La festa a casa della sposa. A sinistra, la Bissu Juleha prepara lo sposo. Sotto, il guardiano delle pietre sacre del laghetto, dove si svolge un solenne rituale.

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LA BISSU E IL PRINCIPE

La Bissu Juleha (in piedi)  alla cerimonia nuziale  celebrata dal padre della  sposa, l’imam Abdel Latif.  Sotto, il principe Puang   Ali Bombong, erede di uno  dei tre reami di Segeri.

i Juleha, so molte cose. Alcune di queste cose me le ha raccontate un personaggio curioso, un principe senza trono, Puang Ali Bombong, alla lettera il «Signor Ali della Vetta», nella campagna del distretto di Segeri. Costui mi spiega che in passato le isole erano divise in reami, e che suo nonno è stato uno degli ultimi sovrani. Al tempo l’Indonesia era una colonia olandese, e prima di perdere terre e scettro i vari re impiegavano a corte 40 sciamane. Di quel tempo glorioso restano gli oggetti sacri, custoditi in un tempio, e riesumati per le feste. E restano le Bissu, identificate con una selezione potenzialmente letale. «Per quattro giorni e quattro notti, i candidati devono giacere immobili avvolti dentro un tessuto bianco. Non mangeranno, non berranno, non si muoveranno, imiteranno la morte, avvolti nel loro sudario», spiega Puang Ali Bombong. Le case hanno tre piani; rappresentano i diversi livelli dell’universo. Per essere scelta, Juleha è salita sul tetto e lì si è misurata col suo limite. L’idea è che solo così facendo potesse trovare il suo Dio partner, il guru, il maestro. «C’erano tre rischi», dice il principe. «Poteva impazzire, svenire o morire. Oppure riemergere in possesso dei suoi poteri. Stiamo parlando del sesto senso, l’abilità di sentire le cose, di parlare con le creature intangibili».

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Un esempio? «Alcuni musulmani hanno provato ad attaccarci, durante i riti, volevano distruggere gli oggetti sacri». E che cosa è successo? «Le Bissu hanno chiamato un serpente gigantesco che li ha messi in fuga». Un serpente? «Io l’ho visto», interviene un altro signore, perentorio. Il suo nome è Arifin Mudi, avrà una settantina d’anni, ed è il segretario del Consiglio dei Riti, l’ente che mantiene in vita l’antico cerimoniale. «È il guardiano del Tempio». Gli chiedo che aspetto abbia e, mentre lo chiedo, rifletto su quanto siamo diversi. Simbolo del Male, in Occidente, il serpente ha tutt’altro significato in Oriente, dove incarna l’energia immortale di ogni forma di vita sulla Terra, lo spirito che si reincarna, cambiando pelle. Ora il signor Mudi mi sta dicendo che esso è divino: protegge gli oggetti sacri, di cui si servono le sacerdotesse, per invocare prosperità e abbondanza dei raccolti di riso. «Sarà lungo quattro metri e ha la testa lunga quanto il mio avambraccio». Il signor Mudi aggiunge che per visitare il Tempio sono necessarie delle offerte: torte, riso, noci di cocco. Parte una trattativa e, quando il denaro ha cambiato di mano, l’uomo ci accompagna a una verde solitaria palafitta, nota come l’Arajang. 07.09.2016



«Ho la forza del maschile e del femminile, ho la forza del mortale e del divino,

sono uomo e sono donna» Di queste conversazioni, non dice niente («Sono segrete»), ma molto dice sul suo credo. SULAWESI «Ci sono tre livelli di vita: quello sopra le sfere celesti, quello sopra la terra, quello sotto la terra. Ci sono creature tangibili, come me, come te, e creature intangibili che pochi vedono. E poi ci sono gli angeli, tantissimi. Sono buoni e cattivi. I cattivi causano la malasorte, i buoni Seg eri pregano per il nostro benessere». La cosa più difficile? «I rituali. Sono un peso. Tutto deve funzionaINDONESIA re, gli utensili, le offerte. Devo essere certa di offrire ciò che è richiesto. Ho sempre paura di fallire. Se va bene, lo sento. Il peso sparisce». Le chiedo che cosa crede che accada, oltre. «Il corpo muore, lo spirito è immortale». uleha alla fine si fa viva. Le chiedo del serpente custode del Tempio. È molto occupata, c’interessa raggiungerla a un matrimonio? «È uno spirito che ci protegge». Da quando non c’è più un re, a pagare i conti, le Bissu hanMi guarda, consapevole del mio scetticismo di bianca occidenno dovuto cercarsi un lavoro; essendo grandi maestre di cerimotale, e dice: «Per vedere qualcosa, ci vogliono occhi che vadanie, sono ricercatissime dai ragazzi che a loro si affidano per conno oltre». volare a nozze. Ed è così che finiamo a casa dello sposo; e una baraonda di odori e a non è necessario. Almeno non il giorno dopo, poiché sapori ci avvolge in una palafitta che vibra di letizia. vedo benissimo la scena del principe di Labuan, lo sposo, Non so che cosa mi aspettassi dalla Bussu; so che cosa vedo: un che arriva a casa dell’imam al braccio di Juleha. solido cinquantenne, in sarong e camicia, il volto stanco sotto un E sono esilarata quando l’uomo, il suocero, Abdel Latif, dice che trucco leggero. sì certo, quella delle Bissu è una tradizione, noi musulmani non la Si aggira per la festa dando ordini, pacati; l’osservo mentre versa capiamo, sono animisti, sono buddhisti, sono induisti: «Ma in fonuna densa miscela in tazzine di rame. «È l’henné», spiega. «Serdo fanno cose buone, per la comunità». ve alla purificazione, allontana i fantasmi del passato». Ogni ospiE dunque la convivenza è possibile, la tolleranza anche, si può, te intingerà le mani nella tintura e sfiorerà il palmo della sposa, ausotto il tavolo che ci divide, tenersi in segreto per mano. gurandole purezza. A Makassar, il professor Lathief conferma: «Il peggio è passato. A questo punto succede la prima cosa strana. La gente si è stretta attorno alle Bissu proteggendole». Fino a quel momento, di islamico, il matrimonio non aveva avuto A me, resta un rovello, una curiosità: il serpente. niente. Non c’erano veli, sui capi delle donne, e gli uomini avevano «L’ho visto». accettato la nostra intrusione con incuriosita grazia. Professore? E ora sono lì, a recitare versi del Corano, a cantare in un crescendo «È successo anni fa. Ero nel Tempio e ho aperto una vecchia scamistico, voci che si rincorrono nella notte tropicale. tola di ferro e sotto c’era un serpente. Le Bissu hanno cominciato E questo mentre Juleha mi dice: «Sono una trans. Sono un uomo e a pregare e così è nato il mito del custode dell’Arajang». sono una donna, sono un uomo che si sente una donna». Lathief mi invita a riflettere. In fondo, l’intera vita umana è un’oMolte trans ricorrono al bisturi per risolvere il dilemma, dico. pera di fiction, dice. Le storie che ci raccontiamo, dall’alba dei «Sì lo so, lo fanno anche qui, se loro sono contenti lo sono anch’io tempi, dalle pitture rupestri, nelle caverne, non sono forse il nostro per loro, non è stata questa la mia scelta. Sono una Bissu». esorcismo al cospetto di un inafferrabile trascendente? E che vuol dire? I riti sono trampolini, verso il cielo. «Ho un dono, la forza del maschile e del femminile, del mortale e I miti, leggende che ci inventiamo per sperimentare l’immortalità. del divino». E allora, forse, ho capito. L’ascolto e penso che Dio è ciò su cui si concentra il tuo interesse, Il serpente è il custode di un profondo desiderio, sapere qui e ora Dio è ciò che hai di più caro. che cosa succederà sopra il cielo, sotto la terra, quando saremo polvere. «Ho amato molto il mio maestro», dice. «E alla sua morte, ho preso il suo posto. Mi ha insegnato tante cose. A parlare con gli spiriti, T E M P O   D I   L E T T U R A   P R E V I S T O :   1 2   M I N U T I  soprattutto. Ma solo in momenti particolari». Il signor Mudi, fino ad allora molto composto, scassina a martellate il lucchetto. «Juleha è sparita», spiega soave, «e lei sola ha la chiave». Che sia sparita Juleha, mi è chiaro: sono giorni che si fa negare. Dentro, si profila il più spartano dei santuari: più che altro una rimessa, da cui pende, nell’oscurità, un totem avvolto in un panno rosso. Makassar L’oggetto sacro, sospeso nell’aria immobile dell’afa tropicale, è un aratro. E il signor Mudi ora è prostrato, al suo cospetto, un po’ come i musulmani quando pregano chinandosi verso la Mecca. E il serpente? «Il serpente sarà andato a farsi un giro».

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PELLE NUDA Tutti gli esemplari di Eau de Voyage, l’ultimo profumo Louis Vuitton creato nel 1946, sono evaporati negli anni senza lasciare traccia. Ora, dopo una lunga attesa, la maison torna con sette fragranze, una più buona e preziosa dell’altra. Create nei laboratori della tenuta Les Fontaines Parfumées di Grasse, sono un invito a viaggiare, proprio come i bauli da cui traggono ispirazione. Per noi, quello emblematico è Dans La Peau: note di albicocche candite e musk sostenute da un vero infuso di cuoio naturale, lo stesso impiegato per i manici e le tracolle delle borse. «Volevo un estratto di pelle», dice Jacques Cavallier, maître parfumeur Louis Vuitton, «così, ho preso il vero cuoio e ne ho estratto l’odore con lo stesso procedimento che si usa per i fiori. Ho lasciato la pelle in alcol per una settimana e il risultato è stato sublime». Vero: un’allure carnale e sexy, e molto elegante, ha preso corpo (¤ 200).

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L’aria che profuma di LIBERTÀ

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Un viaggio «sulla strada» lascia una scia poetica anche al ritorno e il miglior souvenir sono le sensazioni e gli odori di un luogo. L’aroma del caldo nel Grand Canyon o la resina pungente degli alberi nello Utah, gli schiaffi salati delle onde in California... Per «mantenere» un bel ricordo di L AV INI A F A R NE S E

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Emozioni istantanee 1. Un femminile fruttato con fiori bianchi, accenti vellutati di pesca e note di cuoio:  Eau Sensuelle di Bottega Veneta (da ¤ 64). 2. Dedicato al fiore di reseda,  pianta aromatica mediterranea: Velvet Pure di Dolce & Gabbana (¤ 205).   3. Come l’odore di legno e muschio, passeggiando tra querce secolari: Quercia Eau de Cologne Concentrée di Acqua di Parma (¤ 172). 4. La ricchezza dell’iris  più nobile affiancato a note inedite di carota e lievito di champagne: L’Attesa di Masque Milano (¤ 138). 5. Dopo l’Eau de Parfum e l’Extrait, arriva una versione  più luminosa con peonie e fiori di osmanto: Ever Bloom Eau de Toilette di Shiseido (da ¤ 47,50). 6. Rievoca le scie notturne e molto intense che emanano  tuberose, ylang ylang e gelsomini: McQueen Eau de Parfum (da ¤ 65).

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Superando l’America letteraria d’asfalto e tralicci in legno di Kerouac e le piscine di cloro dei motel di Sofia Coppola, mi saliva alla mente una frase dei Pesci non chiudono gli occhi, di Erri De Luca: «Mantenere a dieci anni era il mio verbo preferito. Comportava la promessa di tenere per mano, man-tenere». E in effetti, l’odore della libertà e il suo respiro, quel profumo di rivoluzione, l’essenza che la negligenza è fertile, mi stavano tenendo per mano. E l’avrebbero fatto fino al mio rientro e oltre. Ancora oggi. 07.09.2016

VALENTINA DEBERNARDI

Intanto passavo. Tra nuovi distributori di benzina ed ex stazioni di servizio, andava live la musica country, le cameriere con camicie a quadri alla Daisy di Hazzard servivano fagioli e pannocchie di mais, e i cowboy piacioni puntavano i loro stivali verso le mie infradito, invitandomi a ballare.

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La libertà ha un profumo tutto suo, e mi ha raggiunta. L’ha fatto in un viaggio «nell’intimità dei misteri del mondo», avrebbe scritto Alda Merini. Le correvo in testa da anni, resistendole bene, obbedendo a quasi tutte le regole. E invece stavolta no. Si è presentata improvvisa e imperiosa, su una strada degli Stati Uniti che da larga cinque corsie veloci era diventata stretta, lenta, vuota, assottigliandosi sempre di più in quel tratto di Route 66 che allontana dalla California e avvicina all’Arizona, preparando al Grand Canyon. Lì sapeva di natura vasta e sconosciuta, rocce e rocce a perdersi e stupore. Si divertiva in un gioco che sembrava lasciarti senza parole, e invece era l’esatto contrario: al ritorno, il vocabolario interiore sarebbe diventato perfetto, e ogni cosa avrebbe preso il nome esatto che ha.


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Un’altra, altrove.

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Ho mantenuto poi con me l’altrove di curve sinuose, eppure così familiari, che sono l’Antelope Canyon, con le sue erosioni morbide e millenarie che danno l’impressione di essere adulti nel ventre della propria madre. E i cinque sensi si potevano riscoprire protetti com’erano ancora prima di venire al mondo. Ho mantenuto con me anche la terra arsa dei coralli fossili, del deserto duro e depresso sotto il livello del mare della Death Valley in Nevada. L’odore della pelle che bruciava al sole, mentre la sabbia e il sale correvano nelle narici, con le folate bollenti e dense dei 120 gradi Fahrenheit (che è meglio non convertire in Celsius).

Ho mantenuto con me, sì, anche il profumo della resina pungente degli abeti secolari nello Utah, roccaforte di mormoni, bibbie e praterie. Ho mantenuto con me le raffiche marine gelide e improvvise di Monterey, luogo (vittoriano) del cuore di John Steinbeck, l’autore di Furore, per non dimenticare che l’estate non dura, ma va comunque cercata. Magari più in là, sulle coste docili che sanno di burro di cacao e creme solari della storica Pacific Highway, la n. 1. Lì, nel tratto da Carmel al Big Sur, blu cobalti e a picco, cavalloni che montano e sbattono, leoni marini pigrissimi in compagnia di quella giostra su cui nessuno mai dovrebbe negarsi un giro: la ruota panoramica sul molo di Santa Monica. Era la tappa di iodio che anticipava l’oceano di San Diego: fragoroso e potente, sfrontato e disteso insieme, proprio come l’odore che restituisce la sua risacca, e si mischia a quello del caffè bollente stretto tra le mani sul Pier dai pescatori. Ricordo che lo portava il vento, selvaggio. Lo stesso che spingeva giù per la spiaggia infinita la gioventù, in canottiera, su numerose varianti di skate, bici, pattini. Ricordo i fruscii di palme e freschezza, misti al caramello e allo zucchero filato che vendono sotto le montagne russe del Belmont Park. Lo stesso che soffiava dal

bianco faro di Point Loma, da cui ci si può improvvisare per diletto guardiani della baia, delle vele e dei gabbiani. Da lassù, la luna piena sembrava disegnata col compasso. Ho mantenuto con me, infine, l’entusiasmo infantile di una lezione di surf a Pacific Beach. Erano schiaffi in faccia dalle onde, e dai fisici tonicissimi e coordinati delle bagnine bionde, lì pronte a lanciarsi leggere col salvagente rosso sottobraccio a ogni mio accennato, ripetuto, goffo gargarismo. Ho imparato che l’equilibrio illude d’essere un causa-effetto facile (piede destro, piede sinistro, ti sollevi, cavalchi, domini), ma lo è sempre e solo in teoria. Questo «mantenere» salva da ogni abitudine e routine. Perché quel «tornare lì» con la mente, spesso può sorprendere: è il souvenir migliore per l’inverno, il modo per trattenere negli occhi e nel naso le onde salate in faccia, l’alba rosa che faceva dello svegliarsi presto al mattino un privilegio, il sentirsi amabili resti dopo essere stati «infuocati» da un tramonto. Novanta lunghi secondi che si ripetevano ogni sera, da quando il sole toccava l’orizzonte a che scompariva sommerso. Anche allora rimaneva un profumo. Il profumo di qualcosa che non può durare (perché così è la vita). Ma che si può comunque ricordare.

ASCOLTA IL TUO NASO Andare in giro per il pianeta a scoprire buoni odori e nuove note, assaporando la dimensione quasi impalpabile che regalano: i grandi profumi nascono così e durano nel tempo d i M A D DA L E NA F O S SAT I

’è un paese di poco più di 5 mila abitanti in Calabria che si chiama Condofuri. È una delle destinazioni (insospettabili) esplorate da Jean-Claude Ellena e raccontate nel suo diario Viaggio sentimentale tra i profumi del mondo (Salani Editore, pagg. 158, € 14,90). Ogni luogo – dal Giappone al Sud della Francia, a Mosca – offre incontri olfattivi che diventano poi ispirazioni. Nella nostra piccola località il maître parfumeur della maison

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Terre d’Hermès   compie 10 anni   e la maison lo celebra  con un Flacon H  in edizione limitata.   In Italia è al terzo posto  nelle vendite. 206

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Hermès scopre l’odore bruto del bergamotto, avvolgente, quasi fisico; a Parigi, passando fugacemente davanti a un fiorista rimane ipnotizzato dalla cicerchia odorosa; al mercato di Ventimiglia dalla potenza sensoriale di una cassetta di pere. In Marocco, ai piedi dell’Atlante, trova il cedro con cui creare la struttura verticale di Terre d’Hermès, l’eau de toilette che nel 2016 festeggia 10 anni, tra pompelmo e arancia, sentore freddo di silice, pepe e bacche rosa. La serie profumata dei Jardin lo ha poi accompagnato nel mondo. Perché «l’odore è una parola, il profumo è letteratura». 07.09.2016

CHRISTIANE VON ENZBERG/LUZ PHOTO

Così, ho «mantenuto» con me l’arancio, il rosso, il verde, il giallo, l’azzurro e il blu della Monument Valley, regno dei Navajo (o di quel che di loro resta): sembrava uno screensaver, un’acre cartolina filtrata su Instagram, oppure una quinta di C’era una volta il west o Ombre rosse. E invece era talmente vera che era un peccato sbattere le ciglia di giorno, nonostante ci fosse tanta luce, o andare a dormire nei lodge la notte. Quel luogo aveva anche un’esalazione, soprattutto quando la valle si faceva densa di rumori d’insetti lontani e di stelle vicine. In quell’istante quasi ci si illudeva di sentire come un aroma, quello del caldo che si stava raffreddando nel buio.



B E A U T Y For Men Only Con note di rum e cuoio conciato:  Bulgari Man Black Orient, Bulgari (¤ 70).

UOMINI ALLO SCOPERTO d i F R A N C E S C A BUS S I

Vichinghi moderni ta facendo impazzire i social, Lasse Løkken Matberg, modello e tenente della Marina norvegese di stanza tra i fiordi di Stavanger. Basta guardare il suo profilo Instagram (@lasselom) per capire perché: quasi 2 metri d’altezza per 120 kg di pettorali e bicipiti, allena i colleghi della base navale. E sfoggia biondissimi capelli lunghi, sciolti o raccolti in trecce e chignon, e una barba ipercurata premiata come «barba di Norvegia 2015». Un look «alla Thor» da replicare anche ad altre latitudini. Con prodotti grooming come quelli Bad Norwegian, per esempio: ideati da un ex militare e da un designer norvegesi, sono realizzati in Scandinavia senza alcol, parabeni o siliconi, con ingredienti naturali locali. Un prodotto al top creato da uomini per uomini. E infatti sulle confezioni la dicitura è chiara: not for women, «non per donne» (badnorwegian.com).

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In titanio,   con una  lamina d’oro:  Series 9,  Braun (¤ 449). Gel-crema  antirughe:  Anti-Rides Fermeté,   Clarins Men (¤ 61).

Sa di ambra,  pompelmo e pepe  rosa: lnvictus Aqua,  Paco Rabanne (¤ 74).

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La mappa del tesoro (rosso) Si calcola che al mondo siano meno del 2%, ma la percentuale sale al 13% in Scozia e al 10% in Irlanda: quelli rossi sono i capelli naturali meno diffusi al mondo, e si manifestano in chi ha una mutazione del gene MC1R. Un fenomeno così raro che, qualche anno fa, aveva portato alcuni media a gridare alla loro prossima estinzione (per fortuna, pare che non sia vero). È anche per «preservare» tutti quelli che hanno le chiome rosse che adesso MC1R, la prima rivista a loro dedicata, ha deciso di mapparli in giro per il mondo. Basta registrarsi su redheadmap.com, inserendo Paese, età e sesso: i dati serviranno a sfatare miti e leggende e a capire la portata del fenomeno. Una sorta di convention globale virtuale, sul modello di quelle olandesi e irlandesi, e di quella promossa da Redken ogni anno a Milano. Chissà se parteciperà al sondaggio anche Michael Fassbender, 39 anni, tra gli attori fulvi più amati («Orgoglioso di esserne il portabandiera», ha detto). Per ora, lo si può ammirare alla Mostra del Cinema di Venezia, dove è in concorso con The Light Between Oceans, il film di Derek Cianfrance che l’ha fatto innamorare della fidanzata Alicia Vikander.

DIVINITÀ DI INSTAGRAM

Da un paio d’anni spopola il man bun, lo chignon da uomo.   Come quello della star social  norvegese Lasse Løkken Matberg.

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GETTY IMAGES, INSTAGRAM

Ha note  pregiate   di oud e rosa:  Eau de Nuit Oud, Giorgio Armani (¤ 95).



B E A U T Y Ispirazioni Trattamento liquido  antiossidante rimpolpante:  Énergie de Vie Liquid Care, Lancôme (30 ml, ¤ 42).

SCATTI GREEN Bucce, foglie, frutti   e fiori: con questa immagine   il fotografo americano   Dana Hursey è entrato   tra i finalisti del concorso   a tema cibo Pink Lady Food Photographer of the Year 2016.

Acqua di colonia concentrata  al 15% al bergamotto  di Calabria: Bergamote Soleil, Atelier Cologne (30 ml, ¤ 60).

Sapone liquido   agli agrumi   di Provenza: Panier des Sens (¤ 19,90  il kit con crema  corpo su Qvc.it).

Potere vitaminico Sieri come spremute, colonie che sanno di agrumi, make-up a tutta energia

Profuma di scorza  di cedro:   Blu Mediterraneo  Cedro di Taormina,  Acqua di Parma (¤ 68).

Maschera  occhi alla  vitamina C:  Force C3 Yeux, Helena Rubinstein (¤ 85).

Siero multivitaminico  energizzante e idratante:  Mésolift Serum,   Lierac (¤ 46,50). 210

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Lozione corpo tonificante   al profumo di pomelo dell’Asia:   Skin Tight Body Lotion, Prtty Peaushun (¤ 32, su Beautyaholicshop.com)

Cappello panama a tesa larga:  Caldaia, MaxMara (¤ 99).

Matita occhi waterproof: Aqua XL Eye Pencil,  Make Up For Ever (¤ 23,90).   07.09.2016

DANA HURSEY, COURTESY OF PINK LADY FOOD PHOTOGRAPHER OF THE YEAR 2016

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B E A U T Y Sul podio

GLORIE AZZURRE

La judoka romana   Odette Giuffrida, 21 anni   (in bianco), ha vinto l’argento  a Rio nella categoria 52 kg.  Anche la catanese   Rossella Fiamingo, 25,   qui sotto, è arrivata seconda,  ma nella spada.

Incontri positivi Ai Giochi judo e scherma ci hanno entusiasmato, ma ora è arrivato il momento di provarli noi. Per imparare a comunicare con gli altri. Lavorando d’istinto e di emozioni

Saranno anche finite, le Olimpiadi di Rio, ma la loro eredità ha un’onda lunga, e non solo in termini di medaglie. Tra gli aspetti positivi c’è sicuramente la voglia di scoprire nuovi sport, di quelli che si possono praticare anche da adulti, senza essere campioni o fare agonismo. A partire da un punto di forza all’apparenza molto semplice: «Il dialogo. In un mondo in cui si comunica sempre peggio, ci diverte rapportarci agli altri». Parola di Enrico Di Ciolo, maestro del Club Scherma Pisa Antonio Di Ciolo (e allenatore dello spadista Paolo Pizzo, argento a squadre ai Giochi). Prendiamo proprio la scherma: «È una metafora della vita: difficilmente siamo da soli, ci si deve sempre rapportare agli altri. Lo stesso vale per questa disciplina: non è individuale, ma di contrasto. Si parte dalla relazione con l’altro». Non a caso, la chiamano «arte della persuasione»: «Bisogna comunicare all’avversario le proprie intenzioni, per persuaderlo. Ecco perché è adatto per elaborare bene le relazioni interpersonali. C’è il rispetto delle emozioni: il gioco consiste proprio nel modularle al meglio. Senza emozioni, non c’è scherma». Braccia, gambe, cervello Movimento e filosofia, lo stesso binomio che si ritrova nel judo. «Prenda dei cuccioli di qualsiasi animale, e li metta insieme: faranno la lotta, è naturale. Ecco, il judo è una lotta particolare. Bisogna sviluppare una tattica e il senso di come affrontare l’avversario. E il beneficio è anche per la psiche: come tutti gli sport di combattimento, è una valvola di sfogo e aiuta a superare anche difficoltà di carattere», dice Marco Petrucci, medico del Centro olimpico della Federazione italiana di judo, lotta, karate e arti marziali. In

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fondo, la parola judo stessa è un concetto filosofico: è la «via della cedevolezza», della morbidezza, della flessibilità. «Proprio perché c’è una preparazione psicologica, è uno sport completo che aiuta la crescita in tutti i sensi. Ecco perché viene consigliato anche ai bambini». Ma senza avere paura: «Esistono tecniche per cadere senza farsi male». Lo può praticare chiunque, «dai 5 anni agli 80 anni. È fatto di ginnastica, di preparazione, e la lotta vera e propria è riservata solo all’agonismo», spiega Petrucci. «È uno sport simmetrico, che utilizza sia gli arti inferiori che superiori. La preparazione atletica è fisica, con un allenamento di resistenza, ed esercizi come la corsa per potenziare la muscolatura di braccia e gambe. Stimola molto l’apparato cardiovascolare, e aiuta ad abbassare la pressione». La logica della natura Uno sport per tutte le età, come la scherma. «Agli adulti consiglierei soprattutto la spada, fra le tre armi, perché serve anche la logica, che da adulti si sfrutta meglio. Fioretto e sciabola, infatti, sono più “naturali”: se un avversario cerca di colpirmi, la prima cosa che faccio è difendermi. Con la spada, invece, se sono attaccato, devo cercare di colpire per primo», dice Di Ciolo. «La spada, poi, è indicata per gli adulti anche dal punto di vista fisiologico: ha movimenti che tendono più alla resistenza. E infatti come preparazione, che non va mai dimenticata per mettersi al riparo dagli infortuni, si lavora principalmente su quella e sulla forza. Un lavoro muscolare, anche con esercizi di ginnastica classica per braccia e gambe, piegamenti, affondi». E i corsi, che si tengono in tutta Italia, sono anche misti: per capire ancora meglio il dialogo con l’altro (info: federscherma.it e fijlkam.it). 07.09.2016

ANSA

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MANGANO

MILANO / FIRENZE / DESENZANO / FORTE DEI MARMI / MILANO MARITTIMA / MANGANO.COM


BEAUTY

TEMPO DI VENDEMMIA A Graves, terra di grandi vini  francesi a est di Bordeaux,  il profumo dell’uva è nell’aria:  è iniziata la raccolta e le cantine  sono in fermento. È il momento  perfetto per visitare Le Source  de Caudalie, spa di vinoterapia  collegata alla cantina dei vini  Château Smith Haut Lafitte.  Oltre al Bain Barrique,  un’immersione nella vinaccia  fresca antiossidante, e al  famoso Gommage Crushed Cabernet a base di vinaccioli,  miele e zucchero di canna,  ora si aggiunge il rituale corpo  Eau de Beauté, che distende  i muscoli e allevia le tensioni  (¤ 255, caudalie.com).

COVER STELLARI Alzando gli occhi   al cielo possiamo vedere   fino a duemila stelle,  a 50 milioni di anni luce da noi.  Ma ce n’è una che sta   in un palmo di mano,   profuma di buono   e indossa  un abito cosmico decorato con centinaia  di costellazioni: è l’Étoile Nomade Angel, la più piccola  stella di Thierry Mugler da 25 ml.  Il suo flacone è ricaricabile,  mentre la sua speciale cover  la protegge, proprio come  fosse un cellulare (¤ 72,50).

Memo di V A L E N T I N A D E B E R N A R D I

NASI A FIRENZE Da venerdì 9 a domenica 11 settembre,  alla Stazione Leopolda aprirà la 14esima  edizione di Pitti Fragranze: 270 marchi  presenteranno i loro profumi cult e le novità  sul tema Numbers & Flowers, proporzioni  numeriche e armonie olfattive. Tra gli ospiti  celebri, l’attore Luca Calvani, creatore della  linea di candele Inspiritu (pittimmagine.com).

Mai viste così tante nuance di correttore: oltre a coprire occhiaie  e imperfezioni, i dieci Studio Skin 24H di Smashbox hanno una formula  idratante e waterproof, la stessa dei prodotti usati negli shooting moda,  quando si sta ore sotto i riflettori (¤ 25). E per garantire un effetto sempre  naturale, sono stati testati sotto ogni tipo di luce, dalla solare al neon.   Prima però, stendere sul viso Photo Finish Primer: con poco prodotto  (una dose come il cerchio a sinistra) si uniforma la grana della pelle (¤ 32). 214

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SHUTTERSTOCK

EQUAZIONI PERFEZIONISTE


deha.it

#femininecertiďŹ ed



LA DANZA SU ROVERETO Nessun fotoritocco: a Rovereto arrivano le spettacolari coreografie della compagnia inglese Motionhouse, ospite di Oriente Occidente, tra i più importanti festival di teatrodanza in Europa, fino all’11 settembre. Apre, il 31, il grande Jan Fabre, con lo spettacolo Attends, attends, attends... (pour mon père).

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DAN TUCKER

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10 MILA LUCI

Il Salone degli Specchi di Palazzo Valguarnera Gangi di Palermo dove, nel 1963, Luchino Visconti girò Il Gattopardo, tratto dal libro di Tomasi di Lampedusa. Il cast era stellare: Burt Lancaster nei panni del Principe Fabrizio di Salina, Claudia Cardinale in quelli di Angelica Sedara e Alain Delon in quelli dell’erede Tancredi. Per la scena del ballo, filmata peraltro in piena estate, vennero usate 10 mila candele.

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ANDREA FRAZZETTA

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CARPE DIEM

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Set di film memorabili, hotel-museo dove trascorrere la notte, cattedrali dell’arte contemporanea, location d’eccellenza per eventi privati. I palazzi nobiliari di Palermo, che abbiamo riscoperto in un tour senza tempo, stanno vivendo una seconda giovinezza. Senza perdere un grammo del loro fascino di L A UR A P E Z Z IN O

Al ballo con Angelica 07.09.2016

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CARPE DIEM SICILIA MAI VISTA

A sinistra, un salone   di Palazzo Pantelleria, nel quale  è possibile pernottare. In basso a sinistra, la Sala della Minerva di Palazzo Mazzarino, con le opere  di Damien Hirst. Sotto, il Trionfo della Morte a Palazzo Abatellis. Il tour dei palazzi nobiliari di Palermo è stato organizzato per noi da JustSicily, tour operator di donne preparate e appassionate specializzato in itinerari tematici (i luoghi di Montalbano, i vigneti isolani) e su misura (justsicily.it).

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ecnicamente funziona così: «Presunta serie di disturbi mentali, provocati dall’impossibilità di tollerare una relazione appassionata con l’opera d’arte, che colpirebbe turisti e visitatori di centri storico-artistici» (Devoto-Oli). A inizio Ottocento, Stendhal collassò dopo avere visitato Santa Croce a Firenze. Troppa bellezza, tutta in una volta. Qualcosa di simile a quella sindrome accade navigando tra gli ori del Salone degli Specchi dove Luchino Visconti girò il ballo del Gattopardo, con quella iperbolica doppia volta traforata per cielo, e per tappeto una distesa di maioliche di Vietri del 1750, che fanno sentire le gobbe degli anni sotto le scarpe. Inizia da Palazzo Valguarnera Gangi (piazza Croce dei Vespri 3) il tour delle meraviglie dei palazzi nobiliari di Palermo, alcuni solitamente chiusi al pubblico. In cima allo spettacolare scalone a tenaglia, uno dei più belli del barocco, ci accoglie l’attuale proprietaria, Carine Vanni Calvello Mantegna di Gangi, moglie di Giuseppe principe di San Vincenzo, che ci fa strada per la spettacolare enfilade di saloni, quello dei «suicidi», quello rosso con lo splendido mobile dell’ebanista Coco, l’azzurro e quello del ballo, con il ritratto di Marianna Ucrìa, moglie di Pietro Valguarnera (di cui si parla nel bel libro di Eugenio Murrali Lontananze perdute - La Sicilia di Dacia Maraini, Giulio Perrone Editore). È stata lei che, negli ultimi anni (e 220

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«senza alcun sostegno da parte dello Stato italiano: pensi che restaurare un unico pouf mi costa 50 mila euro»), si è occupata del mantenimento di questi 8 mila metri quadrati di inestimabile valore. Il palazzo può essere visitato solo privatamente. Chi invece ha optato per un’altra forma di «autofinanziamento» sono i proprietari milanesi di Palazzo Pantelleria (largo Cavalieri di Malta 2), che ne hanno messo in affitto un’ala. La dimora del ’400 è stata ristrutturata in maniera conservativa e fantasiosa, in pieno stile eclettico: la biblioteca raccoglie 15 mila titoli (una parete intera è dedicata alla poesia, il proprietario è amante di Montale), il lampadario di Murano è alto tre metri, quadri antichi e oggetti recuperati hanno iniziato qui una seconda vita (un paio di splendide colonne di coro gotiche oggi servono da portavasi). L’operazione «una notte nella casa museo» (ci sono otto posti letto) sta andando benissimo, e l’emozione di dormire in un letto del ’700 o accanto a un guscio di testuggine è unica (labellapalermo.com). I marchesi Berlingieri di Valle Perrotta, eredi di Palazzo Mazzarino (via Maqueda 383), hanno invece trasformato il loro scrigno secentesco in una cattedrale della bellezza. Tra i più grandi collezionisti d’arte d’Europa, nonché soci del board del Guggenheim, a piano terra hanno sistemato opere di Jeff Koons, Christo e Bill Viola, e stanno riadattando la Cavallerizza a sala espositiva, mentre al primo 07.09.2016



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SUA ALTEZZA

A sinistra, lo scalone di Palazzo  Valguarnera Gangi.  A destra, una veduta di piazza   San Domenico. Sotto, da sinistra: Claudia  Chiaramonte Bordonaro,   la principessa Carine Vanni  Calvello Mantegna di Gangi   e il principe Bernardo   Tortorici di Raffadali.

21), che sorge nel parco della Favorita con vista sul monte Pellegrino, la «casa» di Santa Rosalia. Voluta da Ferdinando di Borbone, fu snobbata dalla consorte Maria Carolina che le preferiva come location dei suoi party la vicina Palazzina Cinese. Costruita nel secondo Settecento, ha la forma di un ferro di cavallo e la servitù veniva alloggiata all’ultimo piano, come in Downton Abbey. Oggi la villa è gestita da Claudia, moglie del proprietario Luigi, e può essere affittata per feste e ricevimenti (villachiaramontebordonaro.it). Fare la prima colazione nella Sala delle Grida della «Wall Street siciliana» dell’800 non ha prezzo. È in questo arioso palazzo liberty, opera di Ernesto Basile, che sorge ora il Grand Hotel Piazza Borsa (piazzaborsa.it), il cui direttore cita Tacito e ammalia raccontando di quando lì sorgeva il convento dei Padri della Mercede, che avevano il compito di liberare gli schiavi cristiani in mano ai musulmani. Per finire, shopping aristo-local. Quattro gli indirizzi: Il carrettino di Luigi Santangelo (di fronte alla cattedrale), che da 50 anni intreccia a mano le coffe (borse di foglie di palma) più belle della città; il ceramista Antonino Piscitello (via Libertà 73), da cui fare incetta di «matrangele», ispirate alla Grande Madre e portatrici di prosperità; la boutique Nasta Sansone (via Garzilli 41), per un Amunì («andiamo», in siciliano), splendidi gioielli con i simboli siciliani; e l’argenteria storica di Antonino Amato (piazza Meli 5), perché visitare il suo laboratorio vale un viaggio. UNA PRODUZIONE ESCLUSIVA PER VANITY FAIR

piano, nella Sala della Minerva, è appesa una serie di teche ogivali decorate con farfalle vere, opera di Damien Hirst (le visite sono solo su appuntamento, palazzomazzarino.com). Siamo riusciti a dare un’occhiata a Palazzo Raffadali (vicolo Panormita), costruito nel ’400 sulle mura che davano sul Kemonia, torrente ora interrato, solo grazie a un invito personale a colazione da parte della principessa Stefania, donna colta e d’ironia (in questi casi, il tesserino da giornalista e il fotografo al seguito sollevano dal dilemma: e ora, che cosa mi metto?). Dopo il pranzo semplice e squisito, opera della cuoca di cui la nobildonna tesse le lodi per tutto il tempo, a mostrarci il salone e la camera da letto padronale del ’700 è il figlio, il Principe (come lo chiama la madre, quando parla di lui col maggiordomo) Bernardo Tortorici di Raffadali, che è anche presidente dell’associazione Amici dei Musei Siciliani. A Palazzo Abatellis (via Alloro 4), splendido esemplare di gotico spagnolo del Cinquecento ristrutturato da quel genio di Carlo Scarpa, ha ora sede la Galleria regionale della Sicilia. Arte medievale e barocco, tra cui luccicano tre gemme: un bellissimo busto di Eleonora d’Aragona del Laurana del XV secolo, l’Annunziata di Antonello da Messina e il Trionfo della Morte, affresco del 1450 che ispirò a Wim Wenders una scena del film Palermo Shooting (2008). Le nobil-case, ça va sans dire, popolavano anche le campagne. Un esempio è Villa Chiaramonte Bordonaro ai Colli (via delle Croci

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LEZIONI DI NUOTO

Florence Loiret-Caille,  41 anni, e Samir  Guesmi, 48,   in una scena del film  L’effetto acquatico,   da poco uscito   al cinema.

CINEMA

Cerco l’amore in Islanda Due cuori e una piscina, in una commedia sentimentale ad alto tasso di «vita» e geyser. L’attrice FLORENCE LOIRET-CAILLE interpreta un personaggio libero e ricorda un’amica che non c’è più d i S I M O NA S I R I

amir manovra le gru a Montreuil. Agathe fa l’istruttrice di nuoto in piscina. Quando i due si incontrano, la scintilla non scocca subito, ma Samir per conquistarla decide di fingere di non saper nuotare e di prendere lezioni da lei. Quello che poi succede finirà per portarli addirittura in Islanda, in una specie di road movie alla ricerca dell’amore, tra politici che sembrano occupanti di centri sociali, musicisti indie e gli immancabili geyser. È la trama dell’Effetto acquatico, commedia romantica ma per nulla banale, splendidamente interpretata da Samir Guesmi e Florence Loiret-Caille e diretta dalla regista franco-islandese Sólveig Anspach, scomparsa l’anno scorso a 54 anni.

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Presentato all’ultimo Festival di Cannes e appena uscito in Italia, Effetto acquatico è anche il testamento della regista, girato durante gli ultimi momenti della malattia e uscito postumo. «È un regalo che Sólveig ci ha lasciato», racconta la protagonista Florence Loiret-Caille. Quarantuno anni, l’attrice francese aveva già lavorato con Anspach nel film Queen of Montreuil, e prima ancora con Claire Denis in Cannibal Love - Mangiata viva e con Michael Haneke nel Tempo dei lupi. Agathe non è un personaggio particolarmente amabile, almeno all’inizio. 224

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«Sì, appare rude e antipatica, ma poi il suo vero carattere esce fuori. Agathe ha molte fragilità, e grazie a Samir impara a essere più aperta verso il prossimo e capisce finalmente che può essere amata. È il bello del cinema di Sólveig: raccontare donne vere, non particolarmente belle ma originali e libere di urlare e di rendersi ridicole». Girare in Islanda è stato così divertente come si intuisce dal film? «Fantastico. Siccome c’è luce anche di notte, girare lì è completamente diverso, anche un po’ folle. Si può incontrare gente FOTO

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ubriaca e felicissima che alle 3 del mattino prende il sole». La chimica tra lei e Samir Guesmi è incredibile. «Ci conosciamo da anni, siamo amici, ma il merito è di Sólveig e del modo in cui i nostri personaggi sono scritti, liberi e ispirati. La caratteristica di Sólveig è il modo generoso che aveva di guardare alle persone e una capacità incredibile di tirare fuori il bello da ciascuno». Che effetto le fa parlare di Effetto acquatico ora che Sólveig non c’è più? «Girare questo film è stato difficile e strano: lei era già malata, e ha fatto in tempo a seguire solo tre quarti del montaggio. La sua scomparsa mi ha sconvolto perché io e lei eravamo molto amiche, era la madrina di mio figlio. Ora però è giusto parlare di vita e io sono qui per questo. La morte è ovunque, è un momento dell’esistenza, ma questo film non parla di lacrime, parla di risate e di amore e vuole solo celebrare la vita». 07.09.2016


THE SPIRIT OF PROJECT

RIMADESIO.IT

CABINA ARMADIO COVER DESIGN G.BAVUSO


CARPE DIEM TV

Tradimenti, bugie e omicidi Debutta in Italia THE AFFAIR, la serie più coinvolgente della stagione. C’è l’amore (proibito) e c’è anche un giallo da risolvere. Ognuno racconta la sua versione, ma qual è la verità? d i M A RG H E R I TA C O R S I

RUTH WILSON Alison Lockhart Se siete fan di Luther, riconoscerete Alice Morgan, la geniale (e psicopatica) amica del detective interpretato da Idris Elba. Qui, l’attrice inglese è Alison Lockhart, cameriera di Montauk, negli Hamptons. È sposata con Cole, ma non riesce a superare la morte del figlio. Il ruolo le è valso il Golden Globe 2015 come migliore attrice protagonista.

DOMINIC WEST Noah Solloway Per cinque anni è stato il volto di The Wire, serie poliziesca che ha fatto la storia della Tv americana. Il suo personaggio, il detective Jimmy McNulty, era infedele e donnaiolo proprio come l’alter ego di The Affair, Noah Solloway: insegnante, aspirante scrittore, è sposato con Helen, da cui ha avuto tre figli.

JOSHUA JACKSON Cole Lockhart

MAURA TIERNEY Helen Solloway Il personaggio che l’ha resa famosa, Abby Lockhart, ha lo stesso cognome della rivale che qui le soffia il marito. L’ex infermiera di E.R. - Medici in prima linea è Helen Solloway, la cui ricca famiglia non approva il matrimonio con Noah. Tierney ha vinto il Golden Globe 2016 come migliore attrice non protagonista.

SERIE DORATA

The Affair Una relazione pericolosa, Golden Globe per la migliore serie drammatica nel 2015, parte il 7 settembre su Sky Atlantic.

arlare di tradimento in televisione e schivare le banalità è una bella sfida. The Affair - Una relazione pericolosa, dal 7 settembre su Sky Atlantic (dopo il debutto negli Stati Uniti nel 2014), l’ha vinta. Con tanto di Golden Globe alla migliore serie drammatica del 2015. Il merito è dei creatori Hagai Levi e Sarah Treem, già autori della serie di culto In Treatment, che stavolta raccontano la passione proibita fra Noah, scrittore e marito frustrato, e Alison, cameriera degli Hamptons (meta vacanziera dell’élite newyorkese), con un matrimonio in crisi e un trauma che non riesce a lasciarsi alle spalle. Quello che potrebbe scadere in un copione visto e rivisto

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VANITY FAIR

Chi l’avrebbe detto che Pacey Witter sarebbe diventato «cornuto»? L’ex rubacuori scapestrato, che ha fatto capitolare Joey (e milioni di adolescenti) nell’amata serie Tv Dawson’s Creek, è il marito di Alison, Cole Lockhart. Lavora nel ranch di famiglia, ma le entrate di casa non sono tutte legali.

diventa invece un thriller dalle mille e nessuna verità. C’è un omicidio da risolvere. E ogni episodio è diviso in due capitoli: uno mostra il punto di vista di Alison, l’altro quello di Noah. Perfino i vestiti non sono gli stessi, nei flashback dei protagonisti, interrogati per trovare l’assassino. Ma qual è la versione «giusta»? Sempre ammesso che ne esista una. Come già avevano fatto nello studio di psicoanalisi del «dottor» Gabriel Byrne, Treem e Levi portano sullo schermo lo sdoppiamento della realtà e ipnotizzano il pubblico. A mettere in scena la scrittura intrigante, c’è un cast composto da quattro vecchie conoscenze, protagoniste di alcune fra le serie Tv più popolari di sempre. Ve li ricordate? 07.09.2016



CARPE DIEM MUSICA

La mia rabbia in mutande Dagli slip ai leccaculo: RAIGE, nome scelto non a caso, detesta diverse cose. Per˜ adesso • in Çuna fase di transizioneÈ e qualcosa sta cambiando. A partire dalla musica del suo nuovo disco d i F E R D I NA N D O C O T UG N O

DAL RAP AL POP

Alex Andrea Vella (in arte Raige), 33 anni, fratello di Ensi, il 9 settembre pubblica il nuovo  album Alex.

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VANITY FAIR

aige è quel tipo di rapper con cui è più facile finire a parlare di scrittori americani che di Kanye West (o di soldi, attrici e macchine tamarre). A 33 anni, Raige (Alex Andrea Vella, fratello di un altro rapper, Ensi) ha trovato una collocazione anomala nel rap italiano, con uno stile letterario nei testi e pop nelle strutture. Alex, il suo nuovo album, esce il 9 settembre, contiene il singolo Domani e un insolito duetto con Marco Masini. Alex è un ritorno al suo vero nome, a se stesso o cosa? «L’obiettivo era liberarmi dalle paure. Mi sono allontanato dal rap, dai suoi meccanismi, dalle costrizioni mentali. Questo è un album di transizione tra ciò che ero e ciò che sarò». E la destinazione si chiama pop, giusto? «Alex ha un Dna pop e non c’è niente di male. Mi fa più sorridere l’etichetta “canzone d’autore”, la giustificazione che diamo a lagne tremende dei presunti nuovi De André. Io cerco l’accessibilità, parlare al ragazzino e alla massaia. Prima mi sentivo bravo se usavo tante parole, ora ho scoperto che quelli bravi dicono la stessa cosa con quattro, semplici parole». Lei scelse Raige perché veniva da rage, rabbia in inglese. Che cosa la fa arrabbiare oggi? «Opportunisti, leccaculo, e la musica è piena di leccaculo, arrampicatori sociali, le mutande strette e i letti sfatti, e anche qui si cambia: da piccolo la mia stanza era una Sarajevo anni ’90, poi mi sono dato un’educazione siberiana, è tutto in ordine, preciso». Mi racconta perché Marco Masini? «Per me era un mito, ha sempre avuto l’atteggiamento del rapper, le sue canzoni sono un resoconto crudo della vita e lui è un personaggio borderline». La carriera del rapper oggi comincia in strada e finisce in Tv: la troveremo giudice di talent? «Per farlo, serve un sesto senso per le cose che funzionano. E io non credo ai buoni samaritani, se uno quel sesto senso ce l’ha, lo usa per se stesso». Magari invece scriverà un romanzo. «In realtà, ne sto già scrivendo uno, sull’incredibile storia della mia famiglia. Mio padre è figlio di nobili siciliani che hanno perso tutto perché il mio bisnonno si ammalò, e la moglie per curarlo diede tutto quello che aveva ai maghi. Il bisnonno aveva vinto uno sproposito giocando ai cavalli, mio nonno aveva il nome del cavallo che aveva vinto una gara. È come Cent’anni di solitudine, la mia famiglia».

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CARPE DIEM A un certo punto, lei scrive che Harry «non è né maschio né femmina, ma un’offerta speciale: un due per uno», una cosa che potrebbe fare vacillare l’identità di un partner: «Il genere è fluido per chiunque. L’autoidentificazione di una NON SOLO SAGGI persona può essere molto diversa Maggie Nelson,   43 anni, è una delle  da quello che gli altri, da fuori, scrittrici di non-fiction  possono pensare». più importanti degli  Un libro, Gli Argonauti, sul «diveStati Uniti. nire»: del corpo, dell’amore, dell’identità. «È anche una sorta di capsula del tempo che contiene quello che succedeva negli Stati Uniti nel periodo a cui il libro si riferisce, dal 2007 al 2014. Un periodo interessante». Alla fine del quale, una donna corre per la Casa Bianca: «Hillary Clinton non è di sinistra, ma condividiamo lo stesso punto di vista su donne e femminismo». Su Trump: «Le sue parole possono causare danni reali, non lascerò che i miei figli le ascoltino. Se dovesse vincere, terrò la Tv spenta per 4 anni». E non sarà nemmeno semplice spiegargli la particolarità della loro famiglia: «Noi non ci LIBRI sentiamo particolari. Ogni famiglia che conosco ha molte cose da spiegare. Le famiglie sono famiglie e sono complicate. Saremo onesti, gli diremo da dove vengono». Non la fa arrabbiare che Beyoncé sia consiLui era lei. Ma ora ha messo su famiglia con Maggie Nelson, che parte derata un simbolo femminista? «No! Ancodalla propria storia sentimentale per scrivere il «solito» caso letterario ra oggi, fare coming out come femministe non d i L AU R A P E Z Z I N O giova alla carriera di nessuna. Anzi, può essere rischioso. Esistono studi sui diversi significati di “femminismo”, ma non sarò di cera polizia della felicità verrà ad arrearistotelico di categorizzare ogni cosa». Sarà to io a dire cosa sia giusto e cosa no. È ancostarci, se andiamo avanti così. Ci metche ogni cosa che esce dalla sua testa (nonora talmente difficile per le giovani identificarteranno dentro per la fortuna che abstante lei dica di scrivere «dal cuore, anche se si nel femminismo che qualsiasi cosa le metbiamo. è fuori moda») negli Stati Uniti diventa orata su quella strada va bene». La fortuna, per Maggie Nelson, è di colo, come per i precedenti Jane: a Murder, essersi innamorata di Harry, ricamThe Art of Cruelty, Bluets, i suoi Argonauti Il titolo del libro è un omaggio a Roland Barbiata. L’avevano messa in guardia: è un bad hanno vinto premi e sono stati un caso lettethes: in un suo scritto, paragonò la persona boy, non vorrà impegnarsi. Eppure. Sono anrario. Ogni volta, Nelson prende spunto dalche pronuncia per prima la frase «ti amo» dati a convivere a Los Angeles, lui portava la propria vita. In Jane: a Murder, era lo stuall’Argonauta che rinnova la nave durante il con sé il bagaglio di un figlio, col tempo lei è pro e omicidio della zia alla fiviaggio senza cambiarle il norimasta incinta, e ora i figli sono due. ne degli anni ’60. Qui è la sua me. Le parti potranno essere rimpiazzate nel tempo, ma la Lui, lei: sono pronomi. «I pronomi sono prestoria con un uomo imprigionave continuerà a chiamarsi potenti e chiassosi», dice. nato nel corpo di una donna, le Argo. «Allo stesso modo, tutte Perché Harry era nato Wendy, e solo dopo nozze, il «brodo ormonale» nel le volte che l’innamorato dirà era diventato l’artista transgender Harry quale si immergono quasi con“ti amo”, il suo significato verDodge. È di lui che Maggie si innamora, e l’etemporaneamente, lei con i rà rinnovato a ogni utilizzo». pisodio (i venti di Santa Ana, il sesso violententativi della fecondazione asCome dire, l’amore è un lavoto) è raccontato nelle prime righe degli Argosistita, lui alle prese con testoro, un cantiere aperto, un rinnauti (Il Saggiatore). sterone e mastectomia. novarsi. Libro complesso e viscerale: una sequenza di Eppure, rendere pubbliche coGLI Ora si capisce meglio il dilemparagrafi, riflessioni filosofiche, ricordi, crise così intime non la spaventaARGONAUTI tica del linguaggio, è un trattato sulla materva: «Sono uno di quegli scrittoma dei pronomi. Ma ci sono di Maggie Nelson (Il Saggiatore, pagg. dei sostituti? «Io penso sia nità (che definisce queer, bizzarra, per via ri al servizio del libro, ai lettori 224, ¤ 19; trad. di sempre giusto chiamare le perdella radicale trasformazione che comporta), penso dopo. Certo, ho dovuto Francesca Crescentini, sone come queste vogliono essul gender, sul corpo, sul femminismo. È tutfarlo leggere a Harry, non voleesce l’8 settembre). sere chiamate». to questo, e sfugge al nostro «bisogno vo rovinare un matrimonio».

Amore non • un pronome

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REDUX/CONTRASTO

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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA Maglia a maniche lunghe (¤ 15,90) e pantaloni a righe in punto Milano (¤ 15,90).

Abitino a maniche lunghe (¤ 25,90) e pantaloni a pois in punto Milano (¤ 15,90).

Una calda accoglienza Ai nuovi arrivati ci pensano i corredini My First Chicco con orsetti, righe e pois Impossibile non cedere a tenerezza e romanticismo nel vestire i bebé: nuance tenui e orsacchiotti la fanno da padrone nei look dei piccolissimi. Nella sua linea 0-24 Chicco propone completini coordinati che, accanto alle classiche tonalità, sposano tinte autunnali e vezzi da ometti e signorine: applicazioni che imitano cravatte e bretelle oppure dettagli di glitter e eco pelliccia. Cimato, velluto, interlock e tubico i tessuti in cui si declina la collezione.


CARPE DIEM

AI CUOCHI!

FOOD

Il Pot Luck Club,  a sinistra. Sopra,  Luke Dale Roberts, 45 anni, inglese (a destra), con il delfino  Wesley Randles, 29,  sudafricano.

Il Capo della fortuna di M A D DA L E NA F O S SAT I

o chef si chiama Luke Dale Roberts ed è il guru dell’alta cucina sudafricana. Il suo ristorante The Test Kitchen a Città del Capo è al 22esimo posto nella classifica The World’s 50 Best Restaurants ed è stato eletto il migliore del continente africano. C’è però un’ulteriore perla da assaggiare: basta salire al piano superiore del ristorante per scoprire il Pot Luck Club, la versione smart casual della sua alta cucina, dove ai fornelli c’è il delfino di Luke, l’aitante e delizioso Wesley Randles. Locale luminoso, brigata sorridente, concept conviviale in stile tapas con sharing plates, piatti da condividere con gli ospiti. I sapori minuettano sul palato, salato, amaro, dolce, aspro, molti gli ingredienti asiatici tra cui le verdure fermentate coreane kimchi, e il pesce freschissimo. E poi c’è il n. 5, l’umami, il quinto gusto giapponese, fino allo sweet ending, i dessert. E sempre in città hanno aperto da poco lo Shortmarket Club (thepotluckclub.co.za).

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SASHIMI DI BRANZINO E POMODORO Ingredienti per 4 persone: 500 g di pomodorini,  350 g di pesce bianco freschissimo tipo il branzino, un mazzo  di cavolo riccio, olio extravergine d’oliva, pepe e sale.  Per la salsa Macha: mezza tazza di peperoncini verdi senza semi,  una tazza di olio extravergine d’oliva, mezza tazza di pinoli,  4 spicchi d’aglio, un cucchiaio di sesamo tostato, 1 cucchiaino  di fiocchi di sale, un cucchiaio di zucchero di canna,  1 cucchiaio di soia, 2 cucchiaini di aceto di vino.

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VANITY FAIR

FOTO

Preparazione (20 minuti): per la salsa, saltate nell’olio caldo l’aglio  a fettine e i pinoli. Cuocete fino a quando si colorano, aggiungete  il peperoncino e, a seguire, il sesamo. Dopo un paio di minuti togliete  dal fuoco, salate, versate lo zucchero, la soia e l’aceto. Mescolate bene.  Immergete il cavolo pulito e tagliato per 20 secondi nell’acqua bollente  e raffreddatelo nel ghiaccio. Asciugatelo e conditelo con un po’ d’olio,  tostatelo per un minuto in forno (180°). Distribuite tutto sul piatto,  con i pomodorini tagliati a metà, il pesce a straccetti e la salsa.

ROBERT HOLDEN

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CARPE DIEM

STAR SUL GREEN Il 6 settembre il Circolo  Golf Venezia al Lido  ospita la terza edizione  della Star-Am, il torneo  di golf di Vanity Fair.  A giocarsela sul campo  ci saranno gli attori della 73esima edizione  della Mostra del Cinema  oltre a una serie di ospiti. Si brinderà con lo champagne Veuve Clicquot, le signore  saranno pettinate da Cotril mentre i look  saranno opera di Berwich.

PENSANDO AL FUTURO

TEATRO DIFFUSO Inaugura il 4 settembre (fino al 3  novembre), a Viterbo, la 20esima edizione  del festival Quartieri dell’Arte (sopra, la locandina di Makkox). Si apre con la Fura  dels Baus e la nuova edizione di Free Bach 212, la cantata contadina di Bach  unita a musica elettronica e flamenco, per  proseguire celebrando i 400 anni della  morte di Shakespeare (quartieridellarte.it).

Ci si vede il 17 settembre  a Leolandia, il  parco  di Capriate San Gervasio  (Bergamo), per Puliamo il MiniMondo, l’evento  creato con Legambiente  che coinvolge 300 bambini.  Oltre a raccogliere  i rifiuti s’impara come  differenziarli (leolandia.it).

Memo di M A D D A L E N A F O S S A T I

DA RIO CON AMORE

SIMONE MANZO, VERONICA PONS

Quando nel 2001 Barbara Olivi arrivò alla Rocinha  a Rio de Janeiro, era in corso una guerra tra narcos  e polizia e di speranza ce n’era pochina. Oggi grazie anche  alla sua onlus Il Sorriso dei Miei Bimbi, la favela è un luogo più vivo  e più sicuro. L’associazione ha creato un asilo, una scuola,  un caffè letterario e una Green House, struttura che ospita  i tanti volontari e servirà come sede di seminari e corsi  su questioni ambientali. «Sopravviviamo grazie alle donazioni  dei turisti», spiega Barbara, «ma a causa dell’Olimpiade  e i prezzi alle stelle, è stato un agosto drammatico con pochissime visite». E allora rimediamo, aiutandoli!  (ilsorrisodeimieibimbi.org). riccardo romani

ULTIMI TOCCHI D’ESTATE Avviso a coloro che transitano sulle spiagge d’Italia e del mondo:  ci sono le nuove racchette in legno per sfidarsi a Frescobol, il tennis brasiliano senza rete da praticare rigorosamente su sabbia  e bagnasciuga, evoluzione dei racchettoni classici (tocafrescobol.com). 234

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CARPE DIEM 31 AGOSTO – 6 SETTEMBRE

d i A N T O N I O C A P I TA N I

Bilancia, colpi di clou 21 .03 – 20.04

24 .08 – 22 .09

Ariete

Vergine

Bilancia

Aspirazioni e ambizioni si realizzano. Anche se forse alla velocità dei continenti e dovendovi fare un cicinìn di sedere a parallelepipedo. Tutto richiede comunque tanta arguzia e niente scleri, dal lavoro ai rapporti. Cosa che vi aiuterà pure a salvare faccia e glutei santi. Economia ni, festose chance suine divertono.

Potete conseguire successi nel lavoro, coronare sogni personali e sbaragliare quei fallocefali che di recente hanno stuzzicato spesso la vostra componente antropofaga. L’amor per voi stessi, però, latita forse un cicinìn e andrebbe rinfocolato. Suinamente, invece, siete ecumenici, aperti a tutti/e. E ciò vi fa onore.

Rivolgere lo sguardo oltre i soliti territori e indirizzare aspirazioni e curricula anche in campi mai testati, ma ambìti, potrebbe scandire una fase clou della vostra vita. Con colpi di clou multipli. Potenziati dall’arrivo di Giove chez vous dalla settimana prossima. Amor e fornicazion intanto abbondano e ridondano.

21.04 – 20.05

Toro I vostri talenti sono tanti, ma quelli che in questo momento spiccano di più paiono essere la creatività e la faccia di glutei, apprezzatissime al punto, in molti casi, da farvi trovare, migliorare, espandere oltre i soliti confini il lavoro. L’amor, poi, vi pervade capillarly, la disinvoltura è il vostro fiore al sudombelico. 21 .05 – 21 .06

Gemelli Amore e forma psicofisica recupericchiano, grazie a Venere sponsorizzante. Ma avete gente intorno a voi che è più pesante di un’incudine sul piloro. Perché polemizza, si lamenta, non aiuta, sparla, sbrocca. Pure al lavoro. Pure in famiglia. E pure durante la fornicazione. Ussignùr. Dalla settimana prossima migliora. 22 .06 – 22 .07

2 3 .1 0 – 2 2 .1 1

I L S E G N O F O R T U N AT O 21.01 – 19.02

ACQUARIO Le vostre (innumerevoli) capacità, unite al sostegno di certi «potenti», possono dar luogo a exploit nel lavoro e a svolte di vita quasi epocali. Tanta gente, inoltre, v’approva, altrettanta ci prova sul piano suino. Perché siete degustabili e fornichevoli. L’amor, poi, giunge e vi zucchera mucho. E il meglio addavenì…

Scorpione Potete cogliere l’ottimo, in questi giorni densi di colpi di glutei. Evidenziandovi nel lavoro, trovandolo, spiccando nel novero di aspiranti a ricoprire un ruolo particolarmente goloso. Pure il King Kong style tipico di molti di voi s’attenua, mentre la cura del dettaglio cresce. Anche nelle fornicatorie intimità. Bene. 2 3 .1 1 – 2 1 .1 2

Sagittario Il vostro trend è in crescitissima. Complici Venere, Urano e pure Saturnone. Tutti astri che potrebbero far diventare beatitudo l’amor e convincere sponsor e sostenitori a coinvolgervi in progetti di lavoro redditizi. La vita suina intanto s’intensifica e si esprime pure fra spiagge, radure, pruni e sicomori. Evviva. 2 2 .1 2 – 2 0 . 0 1

Cancro

Capricorno

Fra un mottetto, una battuta di spirito e un cicinìn di candida faccia di glutei, intortate chiunque e arrivate dove volete. Nel lavoro in primis. Lo charme ha però bisogno di una ravvivatina. Come l’amor, a little lagnous. O assente proprio. Sudombelico ad accensione digitale: manco vi sfiorano che parte la scintilla.

Giove da una parte rafforza l’ottimismo e dall’altra rassoda il saldo bancario. Portandovi anche consensi di pubblico, di critica, economici che vi immergono in a brod of giuggiols. E se l’amor sfigopenzola un cicinìn, la fornicazione naked and crud offre un ampio ventaglio di possibilità d’espressione, tranquilli.

2 3 .07 – 2 3 .08

Leone Mentre rapporti amorosi e di lavoro, saldo bancario e progetti personali assumono una solidità sempre più rassicurante, voi acquisite un fascino che lèvati, utile a rimanere impressi e a portare dalla vostra parte chi desiderate che lo sia. Pure la coguara dispotica che usualmente dimora in voi si cheta. E fornica. Tanto. 236

2 3 . 0 9 – 2 2 .1 0

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VANITY FAIR

CARO CAPITANI Ma posso scendere così in basso perché mi manca l’amore? L.L. Pesci ascendente Bilancia, smettila per favore di piangerti addosso. E di combinare le sciocchezze che mi elenchi nella mail. Amati, concediti il meglio, non lasciarti condizionare dalle opinioni altrui. Insomma, vivi! L’amore potrebbe arrivare comunque fra gennaio e settembre 2017. Scrivete a: capitani@vanityfair.it Un quesito per volta (amore, lavoro, denaro...) con ora, giorno, mese, anno e luogo di nascita

20.02 – 20.03

Pesci Dalla settimana prossima spireranno sul vostro segno refoli di serenità. Per ora le insoddisfazioni, in molti di voi, serpeggiano e le ambizioni ristagnano. Così rischiate di sconfinare nel prefica style. Don’t lagn e don’t mord the fren. L’amor non è granché e suinamente siete tutt’altro che braccatissimi. Migliorerà. 07.09.2016


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2. Aida vocalist italiana. 7. Una donna vistosa. 11. Centro di Roma. 13. Kostner campionessa di sci. 15. Tali da combattere le epidemie. 19. Compongono il melting pot. 20. Il tema del rosa. 21. Ha vinto per la sua carriera all’hashtag della settimana del 1998. 22. Rende scabrosa una scena. 23. Germi regista (iniz.). 24. Un capolavoro di Spinoza. 26. Il romanzo «dell’ardore» di Vladimir Nabokov. 27. I concittadini di Sergio Zavoli. 30. L’inizio della settimana. 31. Contribuire a un aumento. 34. C’è quel di lana. 35. La madrina dell’hashtag della settimana. 37. Presiede la giuria dell’hashtag della settimana. 38. La Deborah che ha vinto l’Oscar solo per la carriera. 40. L’hashtag della settimana. 42. L’azione del fotografo. 44. Religioso e politico italiano. 45. Una provincia come Isernia. 47. Motociclismo fuoristrada. 48. Lo fondò Mattei. 49. Allen raccontò quella dell’amore.

1. La città di Gianna Nannini. 2. Passibili di pena. 3. Una tecnica per pittori. 4. È nata nella poesia antica. 5. Il poeta Eluard (iniz.). 6. Una memoria artificiale (sigla). 7. Una sconfitta statunitense. 8. Volta della pila (iniz.). 9. Permetteva di evitare la leva. 10. Furono uccisi da Ulisse. 11. Incita il torero. 12. La grande Liza. 14. Grandi case cinematografiche americane. 16. Un voto al referendum. 17. I primi gradi della febbre. 18. Misura agraria. 20. Comandava gli Achei. 23. Una rendita che si ottiene. 25. Un suicidio rituale. 28. Un font nel computer. 29. Il coautore di Marx. 30. La settima nota. 32. La metafora per le microspie. 33. Franca dello spettacolo. 34. Questionario da compilare. 36. Dialetto latino-americano. 39. L’apice di una carriera. 41. Ci sono case a essa dedicate. 43. Il Nol cambogiano. 46. Sandrelli al cinema (iniz.).

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IL POSTINO RICOMINCIAMO di MASSIMO GRAMELLINI

NON C’È VITA NELLA

LISTA D’ATTESA Caro Massimo, ho conosciuto sette anni fa, quando di anni ne avevo 25 e non sapevo che cosa fosse l’amore. Non me ne sono più liberata. Sono disperatamente innamorata di un uomo sposato che, pur facendomi sentire amata, non è mai stato disposto a regalarmi la vita che sognavo. Si è allontanato quel poco che bastava per consentirmi almeno tecnicamente di non rinunciare a un futuro, ma poi ha deciso di riagganciarmi e non perché volesse cambiare qualcosa, ma solo per tentare l’unica strada per lui possibile: convincermi che la vita vera sono quei giorni di felicità che riusciamo a strappare e a godere in mezzo al grigiore quotidiano delle responsabilità. Un mondo adulto con cui io non riesco a fare pace. E allora mi dispero, mi agito, mi logoro, rendo la vita di tutti un inferno e mi chiedo perché. Io con questo amore sulle spalle non riesco a costruire niente di vero. Non ho un’alternativa all’andarmene, eppure non ce la faccio. Mi trovo a dovere uccidere la vita per vivere. —A

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La lista d’attesa è la condizione sentimentale atroce per eccellenza. Ciò che la rende così poco raccomandabile è la sensazione di stasi e di eterna ripetizione che la caratterizza. Lei (perché di solito è una lei) si innamora, riamata, di un uomo più grande. Sulle prime quest’uomo si presenta, o comunque le appare, libero di nuotare dove più gli garba. Ma ben presto scoprirà che sguazza dentro un acquario, i cui vetri sono le pareti del suo matrimonio. Per un po’ lei si illude che lui voglia rompere quei vetri. Pervasa dalla passione, rifiuta l’ipotesi che ragionamenti utilitaristici o compassionevoli possano arginare la forza rivoluzionaria dell’amore. Ma si tratta di un inganno a cui fingono entrambi di credere. Anche lui infatti legittima le speranze di lei, reiterando la promessa di un colloquio risolutivo con i familiari che invece procrastina di mese in mese, adducendo sempre nuove scuse: la malattia della suocera, il compleanno della bambina, lo stress sul lavoro. In realtà non sa nemmeno da quale parte si comincia a lasciare una moglie con cui non fa più l’amore dai tempi del governo Monti, ma a cui vuole ancora bene e che non gli rende la vita un inferno. È proprio la difficoltà di smontare quella vita, fatta di sicurezze psicologiche e materiali, a frenare le sue velleità di distacco. 240

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ILLUSTRAZIONE

La donna in lista d’attesa si sente tradita nella fiducia e finisce col disprezzare se stessa, per averci creduto, e l’amore, per averla ingannata. Il comportamento di lui le sembra meschino, arriva persino a dubitare dei suoi sentimenti. Non essendo sposata, o non essendolo più, ha smarrito quella parità di condizioni che è alla base di tutti i rapporti che funzionano, anche dei più astrusi. Sa che non esiste via di uscita diversa dalla sofferenza. Si tratta solo di scegliere il tipo di veleno. Restare a macerarsi dentro la relazione, fingendo di credere alla favola che prima o poi lui uscirà di casa e intanto accontentandosi delle briciole. Oppure sparire, negandosi l’indubbio piacere che la passione ricambiata sa offrire, pur di concedersi la possibilità di ricominciare con qualcun altro da qualche altra parte, in futuro. Ma quale futuro, se ai suoi occhi l’intero genere maschile è un coacervo di felloni infingardi, promettitori a vanvera e disinvolti indossatori di doppie scarpe nel medesimo piede? La paura della solitudine, mescolandosi al disgusto per la situazione, provoca il bizzarro esito di perpetuarla. La speranza è l’ultima a morire: non si sa chi sia stata la prima a dirlo, ma di sicuro era una donna in lista d’attesa. Prima di Scrivere e leggere arrendersi le proverà tutte: ricatti, gelosie, rottuScrivete (non oltre re bollenti, seguite da altrettanto bollenti riconi 1.000 caratteri) ciliazioni. Ma lui la terrà a bada con l’unica ara: ricominciamo@ vanityfair.it. ma che possiede: l’inesausta capacità di generaTutte le risposte re illusioni. Finché arriva il giorno in cui dentro di Massimo Gramellini su di lei qualcosa si rompe. Anche il cuore più devanityfair.it. voto all’amore ha una riserva limitata di masochismo. E i bisogni finiscono sempre per prevalere sui desideri. Ti auguro che quel giorno sia arrivato. Sarà come tuffarsi nell’acqua gelida: una frustata al cuore e ti sembrerà di morire, ma un attimo dopo ricomincerai a vivere. P.S. Naturalmente esiste qualcuno che rompe il matrimonio per inseguire il grande amore della vita. Ma quasi mai la sua scelta dipende dal comportamento del coniuge o dell’amante. Dipende soltanto dalla sua evoluzione interiore. Da quanto in lui il bisogno di essere coerente prevalga su quello di vivere comodo e la necessità di cambiare sulla paura di farlo. ANDRÉ DA LOBA

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photo: Mauro Pilotto


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