Chi è che ci nutrirà?

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Punti Chiave

1. I contadini sono i principali o gli unici fornitori di cibo per più del 70% della popolazione mondiale. Producono cibo con molto meno del 25% delle risorse, incluse terra, acqua e combustibili fossili. 2. L’Agroindustria utilizza almeno il 75% delle risorse agricole mondiali ed è la maggiore fonte di emissione dei gas serra, inoltre fornisce cibo a meno del 30% della popolazione mondiale. 3. Per ogni dollaro che i consumatori pagano alla piccola distribuzione nell’Agroindustria, la società nel suo complesso spende altri 2 dollari per i danni alla salute e ambientali che essa stessa provoca. Il conto totale dei costi diretti e indiretti dell’Agroindustria, è cinque volte la spesa annuale in armamenti dei governi del mondo. (nel 2014 sono stati stimati 1,776 miliardi di dollari). 4. All’Agroindustria manca la flessibilità necessaria per rispondere ai cambiamenti climatici. La ricerca e sviluppo ad essa connessa, non solo sono distorte ma peggiorano tanto più avviene la concentrazione del mercato globale degli alimenti. 5. La Rete contadina alimenta e utilizza la biodiversità 9 volte di più dell’Agroindustria; attraverso piante, bestiame, pesci e foreste. I contadini hanno le conoscenze, lo spirito innovativo e il tessuto sociale necessari per rispondere al cambiamento climatico: hanno la visione e la scala operativa per farlo e sono i più vicini a chi soffre la fame e la malnutrizione. 6. Ci sono ancora molte cose che non sappiamo riguardo al nostro sistema alimentare. A volte l’Agroindustria sa ma non dice nulla. Altre volte i decisori politici non svolgono i controlli necessari. Molte volte non teniamo in conto adeguatamente, i saperi che esistono dei nella Rete contadina. 7. In conclusione: almeno 3,9 miliardi di persone sono affamate o malnutrite poiché l’Agroindustria è molto complicata, costosa, e dopo 70 anni, è incapace di alimentare il mondo.


Cosa Intendiamo Per…?

Cibo: include derivati dalle colture alimentari, il bestiame o il pesce (ogni specie commestibile, di acqua dolce o salata), il cibo che viene dalla caccia o dalla raccolta, cibi cresciuti in ambienti urbani o suburbani. Il cibo è spesso catalogato per peso, calorie (energia) o per valori nutrizionali e commerciali. Tuttavia, il cibo dovrebbe essere classificato anche in base al tempo e al luogo in cui è coltivato. Per esempio nelle settimane precedenti al raccolto o durante la stagione degli uragani un chilo di piante definite come cibo da carestia” sono più importanti per la sopravvivenza che parecchi chili di cibo ipercalorico in periodi di non carestia. Quando gli economisti descrivono il contributo dei differenti alimenti alla sicurezza alimentare è spesso poco chiaro se stanno descrivendo l’ammontare di ciò che è prodotto o di ciò che è consumato, oppure se quando parlano di alimenti prodotti includono anche quelli destinati all’agrocombustilibe, al foraggio per animali o agli alimenti per pesci prima che tutto questo arrivi a beneficiare la gente. Sarebbe, di certo, meglio se si potesse classificare il valore degli alimenti in base al suo contributo alla salute.

Risorse: il cibo per esistere necessita di un magazzino genetico (ovvero di animali o piante da cui si ricava), di un terreno, di acqua e di impollinatori. Tutto questo va protetto. Le altre risorse fondamentali per la coltivazione agricola sono: il clima stabile, l’aria pulita e adeguata luce solare. Anche queste risorse sono minacciate dai sistemi industriali e dal cambio climatico. L’Agroindustria si basa su risorse non rinnovabili così come sui fertilizzanti sintetici, combustibili fossili e macchinari.

Fame e malnutrizione: l’ONU stima che 795 milioni di persone sono soggette alla fame, ovvero non assumono sufficienti calorie o assumono cibo con poche calorie. Questo significa che il 10% della popolazione mondiale è affamata.Inoltre, è stato stimato che almeno 3.9 miliardi della popolazione mondiale (il 52%) soffre di malnutrizione. Questo numero include la gran parte di coloro che hanno sufficienti calorie ma soffrono di deficit nutrizionali o carenza di micronutrienti, vitamine e proteine o soffrono di malattie causate da eccessivo consumo. È tragicamente ironico che molti contadini e agricoltori abbiano a che fare con la fame e la malnutrizione nonostante vendano i loro prodotti agricoli alle multinazionali. In un mondo pieno di cibo, più della metà di noi non può accedere al cibo di cui ha bisogno. La più grande tragedia è che sia in numeri assoluti che in percentuale, le persone malnutrite sono in continuo aumento. La fame ha cause storiche e strutturali. Le carestie sono state causate da scelte politiche, di guadagno o ambientale, come quella in Irlanda del 1840, quella del Bengala nel 1940, quella dell’Unione Sovietica nel 1930, quella in Cina nel 1950 o quelle in Yemen e nel Sud del Sudan oggi. La fame cronica è pandemia in paesi ricchi di materie prime come il Congo, dove abbondano “terre rare” o ricche di petrolio come l’Angola e Nigeria. Il land grabbing (appropriazione di grandi terreni per speculazione) ha gravemente destabilizzato l’allevamento e l’agricoltura, mentre la monocoltura per l’esportazione ha espropriato alcuni dei territori più fertili di questo continente, come succede con le fattorie di produzioni di noci in Africa occidentale o dei fiori in Africa orientale.


Rete contadina: abbiamo adottato questo termine per descrivere i produttori su piccola scala, in molti casi famiglie guidate da donne, che includono agricoltori, allevatori, pastori, cacciatori, raccoglitori, pescatori e produttori urbani e semi-urbani. La nostra definizione include non solo coloro che hanno il controllo delle proprie risorse produttive, ma anche coloro che lavorano per altri al fine di produrre e fornire alimenti, che però sono stati espropriati dalle loro terre. I contadini per cause ambientali e socio economiche, a volte alternano la produzione di alimenti, con i lavori in cittĂ . Ăˆ importante ricordare che i contadini non sono sempre autosufficienti e alcune volte comprano il cibo dall’Agroindustria, che a sua volta in certi casi interagisce con la produzione contadina.


I contadini a volte non riescono a produrre tutto quello che consumano, commerciano con i propri vicini e vendono le loro eccedenze nei mercati locali. I contadini, mentre coltivano quello che possono in condizioni molti difficili, sono spesso malnutriti e al tempo stesso cercano occasioni per vendere il cibo. Il “contadino” spesso implica “indigeno”, ma è importante riconoscere che le popolazioni indigene hanno la propria identità e definiscono il loro stile di vita e sistema di alimentazione.

Nessuna parola descrive adeguatamente la varietà di persone e stili di vita inclusi nella Rete contadina. La Rete non è un sinonimo di agro-ecologia, coltivazione organica, permacultura (sistema integrato di specie animali vegetali perenni e autoperpetuanti utili all’uomo), o di qualsiasi altro sistema di produzione. I contadini prendono le loro decisione su fertilizzanti sintetici o pesticidi per ragioni etiche, economiche, ambientali e di accessibilità. Alcuni utilizzano agenti chimici per i prodotti a fini commerciali ma non su quelli che consumano loro. Ciò nonostante, la maggioranza di ciò che producono i contadini è di fatto “organico”.


Agroindustria: è la sequenza lineare dei passaggi che intercorrono dall’ input di produzione fino a quello che consumiamo nelle nostre case. Il raccolto, l’allevamento, i pesticidi, le medicine veterinarie, i fertilizzanti, le macchine agricole, e poi il trasporto, lo stoccaggio, la macinazione e l’imballaggio, fino ad arrivare all’ultimo passaggio che è la vendita all’ingrosso e poi al dettaglio e alla fine l’arrivo nelle nostre case e nei ristoranti. In questo testo usiamo “industriale” o “corporativo” per descrivere le attività o prodotti dell’Agroindustria.

Così come non è possibile comprendere i contadini fuori dai loro contesti culturali ed ecologici altrettanto non si possono capire i passaggi dell’Agroindustria se non in connessione con l’economia globale di mercato, inserita in un sistema dominante che include le banche, gli speculatori e i decisori politici. L’agroindustria controlla le politiche che riguardano la risorsa più importante del mondo: la nostra alimentazione.


Domande all’Agroindustria e alla Rete dei Contadini


1. Da Dove Prendiamo la Maggioranza del Nostro Cibo? L’ETC stima che circa il 70% della popolazione (4,5/5,5 miliardi della popolazione mondiale) dipende dalla Rete contadina per la totalità o la maggior parte del cibo. Questo include i seguenti gruppi (spesso sovrapposti): - Quasi tutti i 3,5 miliardi di persone che vivono nelle zone rurali (inclusi i 2,7 miliardi che dipendono dalle biomasse o dal legname per cucinare). Ciò include anche decine di milioni di contadini del cosiddetto Nord globale e i loro soci in cooperative agricole o di pesca. - All’incirca un miliardo di produttori urbani di alimenti (in orti, serre, etc…) - La maggioranza delle 800 milioni di persone in tutto il mondo che dipendono dalla pesca su piccola scala per il loro sostentamento. - Centinaia di milioni di persone che regolarmente si affidano alla Rete contadina in tempo di carestia. Il dato del 70% sottostima di molto l’apporto vitale che la Rete contadina offre alla salute e alla sostenibilità. Grazie alla protezione che offre alla diversità agro-biologica, chi ricorre agli “alimenti per la carestia” in tempi di scarsezza o prima della coltivazione o quando ci sono disastri naturali (incluso donne incinta, che allattano e i loro figli), può sopravvivere per settimane o mesi in una zona in cui i prodotti dell’Agro-industria non arrivano o sono troppo costosi. L’importanza della Reta contadina supera di gran lunga qualsiasi calcolo del suo contributo calorico.



2. Chi Produce la maggior parte del nostro Cibo? La Rete non solo alimenta il 70% della gente, ma produce anche circa il 70% degli alimenti per il consumo umano (misurate in calorie e peso) • I contadini nel Sud globale raccolgono il 53% delle calorie coltivate per consumo umano (incluso l’80% della produzione globale di riso e il 75% di piante oleaginose). • A livello globale, l’agricoltura urbana fornisce il 15% del cibo consumato nelle aree urbane, incluso il 34% della carne e il 70% delle uova. 2,5 miliardi di persone (quasi tutte del Sud globale) si procurano parte o tutto il loro cibo dal piccolo commercio locale o da venditori informali che si servono dai contadini. • I pescatori artigianali raccolgono il 25% del pescato globale. • Almeno il 77% dei prodotti coltivati o degli animali allevati si consumano all’interno del paese dove si producono e la maggioranza di questi vengono prodotti dalla Rete contadina. Nelle precedenti edizioni di “Who will feed us” abbiamo stimato che la Rete produce il 70% del cibo e questo rimane un calcolo approssimativo e per certi versi statico. Non è possibile un calcolo preciso perché non esistono dati esaustivi. La stima del 70% dell’ETC è stata accolta con scetticismo nel 2009, quando è stata presentata per la prima volta, ma ora è ampliamente accettata dall’ONU, dal mondo accademico e persino dalle industrie.


3. Cosa succede alla maggior parte del cibo prodotto dall’agroindustria?

L’Agroindustria produce quantità incommensurabili di cibo. Come è possibile che nutra meno del 30% della popolazione? Parte della risposta è che l’Agroindustria raccoglie calorie che non sono destinate direttamente alla gente. Ecco i dati: • Il 44% delle calorie prodotte dall’Agroindustria viene perso nella produzione di carne (anche se la metà di tutte le calorie raccolte vengono utilizzate come foraggio per gli animali, solo il 12% arriva alla gente sotto forma di carne e latticini). • Un altro 9% delle calorie delle coltivazioni industriali è destinato ai biocarburanti o altri prodotti non alimentari. • Almeno il 15% delle calorie raccolte dall’Agroindustria si perde nel trasporto, nello stoccaggio e nella lavorazione. • Circa l’8% delle calorie dell’Agroindustria finiscono nell’immondizia come spreco. Fino a questo punto tutto ciò significa che il 76% del totale delle calorie prodotte dall’Agroindustria si disperdono prima di arrivare a tavola, e solo il 24% viene consumato dalle persone. Inoltre, si stima che la quarta parte di ciò che si mangia (in peso) costituisce un consumo eccessivo che genera malattie. Se calcoliamo che almeno il 2% delle calorie che provengono dall’Agroindustria sono dannose per la salute, risulta che il 78% della produzione alimentare si disperde e solamente il 22% nutre veramente le persone. Ciò che percepiamo come perdita dipende anche dal concetto che ogni cultura ha di spreco, o dai tipi di dieta presenti (carnivora, erbivora, onnivora). Le pagine seguenti offrono maggiori dettagli a riguardo. Una ragione in più che spiega perché l’Agroindustria alimenta solamente il 30% della gente è che gli abitanti delle zone rurali - che sono quasi la metà del mondo, nel Sud globale – ricevono il peggio degli alimenti lavorati e nelle loro comunità non vengono aperti grandi supermercati o ristoranti.



4. Chi sta esaurendo le nostre risorse agricole?

La Rete contadina usa meno del 25% delle terre agricole per coltivare cibo che nutre più del 70% della popolazione mondiale (provvedendo alla sussistenza primaria dei 2 miliardi di persone più a rischio). L’ETC stima inoltre che viene usata approssimativamente il 10% dell’energia fossile e non più del 20% dell’acqua complessivamente utilizzata nell’agricoltura, con praticamente zero devastazione di terreni e boschi. L’Agroindustria utilizza più del 75% delle terre agricole mondiali e nel processo di produzione distrugge annualmente 75 miliardi di tonnellate di terra fertile e abbatte 75 milioni di ettari di foreste. In più, è responsabile dell’utilizzo di almeno il 90% dei combustibili fossili utilizzati in agricoltura e almeno dell’80% di acqua dolce, lasciando un conto da pagare di 12,37 triliardi di dollari per il cibo e i danni connessi alla sua produzione. Inoltre, questo processo lascia 3,9 milioni di persone in condizione di denutrizione e malnutrizione.


BOX 1: AGROECOLOGIA e DIVERSITÀ VS LE MONOCOLTURE INDUSTRIALI La Rete contadina è affidabile e capace di rispondere positivamente ai cambiamenti. In un’annata normale o anormale, che i suoli siano fertili o meno, uomini e donne che lavorano con raccolti diversificati, pesci e bestiame produrranno più cibo per ettaro rispetto all’Agroindustria. Usando strategie ecologiche, la Rete contadina produce una quantità maggiore di alimenti senza rischio per la popolazione e il pianeta. In un’annata normale, con sufficiente capitale, macchinari e lavoro, in terreni fertili e usando varietà di coltivazioni e bestiame ad alto rendimento commerciale e monocolture ittiche, l’Agroindustria può essere in grado di produrre una maggior quantità commercializzabile per ettaro rispetto alle varietà della stessa specie prodotte dai piccoli contadini. Però, negli ultimi decenni, il rendimento di quattro delle principali coltivazioni agroindustriali (mais, riso, grano e soia), che costituiscono il 57% delle calorie, si è fermato o è crollato. Il fatto che le coltivazioni agroindustriali siano omogenee dal punto di vista genetico ha causato il devastante fenomeno del “Corn Leaf Blight” negli USA nel 1970; una nuova malattia del grano sta inoltre minacciando il raccolto in Africa e in tutto il mondo; la “black sigatoka” (malattia della foglia) sta distruggendo le piantagioni di banane geneticamente uniformi, mentre le infestazioni del virus tungro e un’invasione di cicale hanno devastato le coltivazioni di riso del sud-est asiatico.Le colture che vanno dal caffè, alle arance e al caucciù continuano ad essere molto vulnerabili a causa della loro omogeneità. Prima dell’Agroindustria, questo ha provocato la carestia delle patate in Irlanda negli anni ’40 dell’’800, che uccise un milione di persone e forzò un altro milione ad emigrare. Nonostante ciò, l’Agroindustria riceve fondi pubblici e privati per un totale di 50 miliardi di dollari all’anno. Esistono poche informazioni riguardo ai finanziamenti destinati a sostenere la ricerca attuata dalla Rete contadina o per l’agro-tecnologia, si stima però che rappresentino meno dell’1% della somma destinata alla ricerca e sviluppo. Ridurre i fondi pubblici destinati alla ricerca privata beneficerebbe tanto la popolazione quanto il pianeta e dedicare tali fondi al sostgno dell’agro-ecologia cambierebbe totalmente le regole del gioco.


5. Chi promuove le colture alimentari I contadini hanno coltivato e donato (a banche genetiche nazionali e internazionali) 2,1 milioni di varietà delle 7000 specie di piante coltivate nel mondo. L’80% - 90% delle sementi vengono da scambi o regali, sono selezionate dal precedente ciclo o si comprano localmente, ma non dalle multinazionali. Tuttavia, più importante per l’adattamento dell’agricoltura al cambiamento climatico è il fatto che gli agricoltori proteggono e ogni tanto incrociano, senza alcun profitto, dalle 50 alle 60 mila varietà selvatiche di specie coltivate, il cui potenziale valore economico sarebbe di 196 miliardi di dollari. Anche se molte di queste specie sono colture minori, esse sono importanti per alcuni paesi o ecosistemi, in cui potrebbero diventare cibo essenziale durante le carestie. Praticamente nessuna di queste coltivazioni appare nelle statistiche alimentari della FAO o in quelle nazionali. Nell’Agroindustria, ingenti investimenti vengono impiegati per coltivare pochissime specie di colture. I produttori commerciali hanno il monopolio su 0.1 milioni di varietà, ma il 56% di quelle commerciate nell’Unione Europea sono piante ornamentali (es. rose, crisantemi...) e non alimentari. Lavorano coltivando solo 137 specie e unicamente da 16 di queste dipende l’86% della produzione mondiale di alimenti. Ad esempio, il solo raccolto di mais riceve il 45% degli investimenti privati di ricerca e sviluppo. La selezione agricola dell’Agroindustria è ugualmente costosa: portare al mercato una




6. Chi alleva il nostro Pesce e il nostro Bestiame?

I contadini hanno addomesticato almeno 34 specie di bestiame, continuano ad allevare e far riprodurre più di 8.774 razze rare. Originariamente hanno allevato la maggior parte delle razze commerciali utilizzate oggi. Questa diversità è assicurata dai 640 milioni di agricoltori con allevamenti all’aperto, 190 milioni di pastori e un miliardo di coltivatori in aree urbane (il 66% dei quali sono donne) che ricavano dal 33% al 55% del loro reddito dall’allevamento del bestiame. Nonostante i lavoratori del settore primario si occupino anche di pesca, si hanno poche informazioni sul loro ruolo relativo all’allevamento ittico. Nel frattempo l’Agroindustria si concentra quasi esclusivamente su 5 specie di bestiame: bovini per carne e prodotti caseari, pollame per carne e uova, suini, ovini per carne e lana e caprini per carne e latte. In totale, questa produzione rappresenta meno di 100 razze presenti nel mercato, la maggior parte delle quali originariamente allevate dai contadini. Al giorno d’oggi, meno di 7 consorzi di allevamento dominano la genetica del bestiame. Due o tre corporazioni controllano praticamente tutto l’allevamento e la riproduzione commerciale di pollame e suini. Analogamente, 5 delle 7 compagnie che controllano la genetica del bestiame si sono estese al controllo anche della genetica del pesce; tra queste, 2 dominano l’allevamento delle principali specie marine. Nonostante esistano decine di migliaia di specie marine, l’Agroindustria concentra la sua attività di ricerca e sviluppo su solo 25 specie.



7. Chi si preoccupa della salute del bestiame? I contadini e i pastori allevano e proteggono il bestiame, il quale tuttavia ha di per sé uno sviluppato senso di adattamento e resistenza. Ad esempio, i cammelli sopravvivono 14 giorni senza acqua, le pecore possono digerire le alghe marine quando c’è scarsità di cibo, e altre specie sono immuni a malattie o riescono a tollerare condizioni climatiche estreme. I contadini spesso si affidano a pratiche veterinarie tradizionali che hanno superato la prova del tempo e si sono sviluppate a partire da risorse locali. Nell’Agroindustria invece, la salute del bestiame è una industria gigantesca: la vendita globale di farmaci per animali ammonta a 23.9 milioni di dollari all’anno e solo 10 compagnie controllano l’83% del mercato. Nonostante ciò, il 60% delle malattie infettive dell’uomo sono trasmesse dagli animali con omogeneità genetica, allevati per la produzione di massa di carne e derivati (ad esempio l’Aviaria). Invece di allevare e far riprodurre specie e varietà animali per la diversità genetica e una maggiore resistenza, esistono campagne per l’eliminazione delle razze autoctone di pollame e suini per mantenere l’omogeneità genetica delle specie destinate al commercio. Corporazioni statunitensi e coreane cominciarono a guadagnare dalla clonazione del bestiame e un’impresa cino-coreana ha proposto di inviare in Cina 100.000 capi di bestiame clonato ogni anno. Nonostante alcuni divieti, gli antibiotici sono ancora utilizzati nell’allevamento come stimolanti per la crescita del bestiame. Anche se alcuni governi hanno promesso di eliminarne l’abuso, il loro utilizzo negli Stati Uniti è aumentato del 23% dal 2009 al 2014. La resistenza agli antibiotici costa annualmente 55 miliardi di dollari all’economia statunitense. Solo ora, quando potrebbe essere troppo tardi, i governi del mondo riconoscono che tale resistenza agli antibiotici è una minaccia per l’umanità, paragonabile a quella del cambiamento climatico.


8. Chi salvaguarda le attività di pesca?

800 milioni di pescatori pescano 15.000 specie di pesci di acqua dolce e 20.000 specie di acqua salata. Con tecniche artigianali di pesca si ricava il 25% del pescato marino globale. Il 90% sono donne, che danno un contributo fondamentale all’alimentazione di oltre 3 miliardi di persone, per i quali le specie marine sono una fonte di proteine più importante della carne. L’Agroindustria pesca 1600 specie marine e ne alleva oltre 500. Tuttavia, il 40% della loro pesca marina è composta da sole 23 specie e l’itticoltura è dominata da solo 25 specie. Viene fatto un uso limitato della diversità, ma c’è un impatto molto ampio: il 91% degli stock ittici nell’oceano è sovrasfruttato o al massimo grado di sfruttamento. Dagli anni ’70 si è registrato un calo del 39% delle popolazioni marine e un calo del 76% delle specie di acqua dolce. Per questo motivo, per ogni ora passata a pescare, i pescatori oggi catturano solo il 6% di ciò che i loro antenati facevano 120 anni fa, nonostante le nuove tecnologie di localizzazione dei pesci. Circa il 25% della pesca marina realizzata dell’Agroindustria è illegale o non dichiarata e il suo valore oscilla da i 10 ai 24 miliardi di dollari per anno. In effetti, 28 nazioni in cui si concentra il 40% della pesca mondiale violano regolarmente il codice di pesca imposto dalla FAO. Annualmente, si perdono 50 miliardi di dollari per la sbagliata gestione della pesca, equivalenti a più del 50% del commercio globale di prodotti marini. 1/3 dei prodotti marini venduti nei negozi e nei ristoranti statunitensi è etichettato in modo errato. Nonostante ciò, i governi destinano annualmente 35 miliardi di dollari in sussidi per carburanti e assicurazioni per la pesca industriale. L’industria dei prodotti ittici commerciabili si sta concentrando a una velocità vertiginosa, al punto che attualmente solo 10 grandi aziende rappresentano più del 25% del mercato globale.




9. Cosa sta succedendo alla diversità del cibo? La produzione agricola e l’allevamento del bestiame a conduzione contadina promuovo la diversità sia per la sicurezza alimentare che per la nutrizione. Le donne, che svolgono la maggior parte di queste attività, si concentrano sul miglioramento della nutrizione e sulle caratteristiche che favoriscono la lavorazione e la conservazione. L’agro-ecologia diversificata si basa sulla massimizzazione delle sinergie tra le specie. Per esempio, in Kenya la combinazione del mais e i mangimi per il bestiame ha ne duplicato la produzione, con quella del latte, e le sinergie tra il seme del riso e l’allevamento di anatre in Bangladesh ha aumentato del 20% la produttività del riso in 5 anni. Dal 1961, nei mercati controllati dall’Agroindustria si è verificata una “implosione” del 36% nel numero di specie preferite dalle imprese di lavorazione alimentare e di vendita al dettaglio (cioè, meno varietà di miglio, legumi e tuberi, e più di mais, fagioli di soia e insalata). Sebbene queste specie non siano del tutto scomparse, tra quelle più commercializzate si è registrata una perdita del 75% nella diversità genetica disponibile per poterle migliorare. Sono già migliaia le specie che non si conoscono o possono trovarsi unicamente in alcuni allevamenti. Come se non fosse abbastanza, le qualità nutrizionali delle specie allevate dall’Agroindustria sono crollate tra il 5% e il 40%, a seconda della specie (per esempio ci sono tipi di granturco, frutti e vegetali con più zuccheri e meno di tutti gli altri nutrienti).


10. Chi controlla i fattori di produzione agricoli? La Rete dei contadini utilizza principalmente prodotti di base locali: le varietà di culture e bestiame allevate nelle comunità, sterco del bestiame e tecnologie tradizionali sostenibili per contrastare i parassiti. Quasi il 90% delle sementi che i contadini usano, provengono dalle loro scorte o sono scambiate con altri contadini nei mercati locali. L’Agroindustria dipende dal mercato commerciale delle sementi il cui valore ammonta a 41 miliardi di dollari. Solo 3 società, Monsanto, DuPont e Syngenta, controllano il 55% di questo mercato. Gli agricoltori industriali dipendono da pesticidi destinati a coltivazioni geneticamente modificate, i quali vengono acquistati principalmente da Syngenta, BASF e Bayer. Queste tre imprese controllano il 51% delle vendite globali, per un valore complessivo di 63 miliardi di dollari. Dall’introduzione delle sementi geneticamente modificate, circa 20 anni fa, ci sono state più di 200 acquisizioni di piccole aziende produttrici di sementi e, se le mega-fusioni corporative che sono ora in corso di negoziazione venissero attuate, solamente 3 nuove imprese monopolizzerebbero il 60 % del mercato di sementi e il 71% del mercato dei pesticidi agricoli.

Se le mega fusioni andassero oltre 3 corporazione controllerebbero:


11. Chi protegge le nostre foreste e gli alimenti che ne derivano? La sussistenza dei contadini dipende da circa 80.000 specie forestali e 2,7 miliardi di persone cucinano con legna da ardere dei boschi. Di questi, più di 1 miliardo di persone utilizzano 513 milioni di ettari di “aree protette” per la loro sicurezza alimentare e sostentamento. In totale, l’80% del Sud del mondo cura i boschi per ottenere legname, carburante, cibo, medicine, abbigliamento e strumenti. In un recente sondaggio, le popolazioni indigene in Guatemala, Bolivia e Brasile sono risultate essere dalle 6 alle 22 volte più efficaci nel tutelare le “aree protette” rispetto ai Governi. Sebbene i contadini siano accusati di deforestazione, in Indonesia, il paese con il più alto tasso di deforestazione, circa il 90% è attribuibile a grandi imprese private che producono olio di palma da vendere poi a multinazionali alimentari. In America Latina, l’aumento del bestiame industriale, causa il 71% della deforestazione. Inoltre, l’Agroindustria e i Governi incentivano in maniera continua lo sfruttamento e il danneggiamento dei boschi. • Secondo l’UNEP, tra il 50 % e il 90% del taglio del legname tropicale commerciato è illegale e sottostimato. • Nel 2014 i satelliti hanno calcolato con un margine di errore del 25% la biomassa dell’Amazzonia • Tra il 1990 e il 2010, il tasso di deforestazione delle foreste tropicali è aumentato del 62% invece di diminuire del 25% come auspicato. • Solo di recente viene accettato come dato scientifico che he l’aspettativa di vita degli alberi tropicali è diminuita del 33% dagli anni ’80: gli alberi crescono più velocemente ma muoiono prima. Questi errori di calcolo significano che dagli anni ’90 la quantità di carbonio assorbito in Amazzonia non è di 2 miliardi di tonnellate, bensì di solamente la metà.



12. Chi protegge il nostro suolo? In meno del 50% delle terre coltivate dai contadini si usano fertilizzanti chimici. Normalmente, i contadini usano infatti il letame, gli scarti delle colture e gli stessi microrganismi del suolo per fissare da 70 a 40 milioni di tonnellate di azoto all’anno, equivalenti a circa 90 miliardi di dollari in vendite di fertilizzanti azotati. I contadini hanno le proprie strategie di protezione del suolo: barriere di alberi anti-vento, varietà di piante con radici di profondità che fissano l’azoto e conservano l’umidità, sistemi misti di agricoltura e allevamento. I pescatori artigianali proteggono gli ecosistemi di mangrovie inestimabili per biodiversità, le praterie marine e le torbiere. Al contrario, l’Agroindustria è responsabile di quasi tutti i 75 miliardi di tonnellate di suolo perso, con danni che costano 400 miliardi di dollari all’anno. Dominano oltre il 75% delle terre agricole globali e utilizzano la maggior parte dei fertilizzanti sintetici del mondo, che creano danni all’ambiente per 365 miliardi annui. Le vendite annuali del settore dei fertilizzanti sintetici ammontano a 175 miliardi di dollari. Per ogni dollaro che costa un fertilizzante, dobbiamo pagare altre 4 dollari per il costo dei danni che il loro uso produco su ambiente e suolo. Solo metà dei fertilizzanti sintetici arrivano effettivamente alle coltivazioni e l’Agroindustria non genera incentivi per ridurre gli sprechi. L’80% del fertilizzante sintetico utilizzato dall’Agroindustria è destinato al foraggio per il bestiame, e l’80% del terreno agricolo viene utilizzato per attività legate all’allevamento. L’Agroindustria afferma che con l’aumento della popolazione e della ricchezza, la domanda di carne e latticini salirà del 70% entro il 2050, il che richiederà ogni ettaro di terra coltivabile, senza lasciare spazio alla produzione di cibo per il consumo umano diretto. Di fronte a questa possibilità, l’Agroindustria propone nuove rischiose tecnologie.


13. Chi si preoccupa per gli impollinatori e per i microbi benefici per l’agricoltura?

Nella Rete di contadini gli impollinatori selvatici, tra cui oltre 20.000 specie di api, altri insetti, uccelli e pipistrelli sono protetti, in parte perché gli indigeni e i contadini dipendono dagli stessi habitat per la caccia e la raccolta di alimenti e piante medicinali. Questi animali impollinano almeno il 75% delle principali colture alimentari globali (spesso industriali). La produzione agroindustriale distrugge gli impollinatori naturali, quindi 1/3 delle sue colture dipende oggi da costosi alveari commerciali. Le perdite di produttività si stimano tra 235 e 577 miliardi di dollari per il collasso delle specie di impollinatori legate all’abuso di insetticidi. La soluzione dell’Agroindustria? Tecniche di modifica genetica come “Terminator” per sterilizzare le colture in modo che non abbiano bisogno di impollinazione, anche se gli agricoltori dovrebbero così comprare nuovi semi per ogni ciclo. Solo dall’1 al 5% delle applicazioni di pesticidi agisce sul parassita bersaglio, danneggiando gravemente l’ecosistema e la nostra salute. L’omogeneità genetica delle colture e del bestiame, combinata con l’uso di fertilizzanti e pesticidi sintetici, ha decimato i microbi benefici, danneggiando profondamente il suolo, riducendo l’efficienza alimentare e rendendo vulnerabili gli animali. La sedimentazione di azoto uccide il muschio di “sphagnum”, minacciando la capacità delle torbiere di immagazzinare carbonio, vitale per la rigenerazione delle paludi. Similmente, la strategia di produzione di massa dell’Agroindustria ha accelerato l’uso di antibiotici, riducendo la diversità dei batteri nei microbiomi umani e del bestiame, il che si crede contribuisca all’obesità, l’asma, malattie infiammatorie intestinali, psoriasi e problemi di salute mentale.


14. Chi monopolizza e spreca la nostra acqua? I contadini e le popolazioni indigene sanno quanto è importante l’acqua per la vita, hanno utilizzato metodi olistici come la raccolta dell’acqua piovana (riducendo del 50% la necessità dell’irrigazione) e la rotazione delle coltivazioni che incrementano la disponibilità d’acqua fino al 20%. Nelle falde acquifere curate dalla Rete contadina si infiltrano 4 volte meno nitrati rispetto ai campi della catena agro-industriale. Il settore agricolo mondiale consuma il 70% delle riserve di acqua potabile ma l’Agroindustria alimentare consuma la maggior parte di queste acque per l’irrigazione, per l’allevamento di bestiame e la sua lavorazione. Un terzo delle principali falde acquifere sono sovra-sfruttate, mentre gli altri due terzi sono in via di esaurimento. Solo l’allevamento di bestiame rappresenta il 27% del nostro consumo di acqua. Il fatto che l’Agroindustria si concentri nella produzione di carne significa produrre calorie animali che necessitano una quantità di acqua cinque volte superiore rispetto a quella necessaria per la produzione di calorie vegetali. L’impronta idrica della Coca Cola è sufficiente a coprire le necessità personali di due miliardi di persone. La globalizzazione dei sistemi alimentari comporta che il cibo che mangiamo viene prodotto con le risorse idriche di altri popoli o paesi. Per esempio, il 75% dell’impronta idrica degli inglesi si traccia fuori dal suo territorio.


15. Chi ha più bisogno di carbon-fossile? La Rete contadina utilizza 9 volte meno energia che l’Agroindustria per produrre lo stesso kilogrammo di riso e tre volte meno per il mais. In termini generali, l’Agroindustria richiede 10 kcal di energia per produrre 1 kcal di energia alimentare, mentre i contadini consumano solo 4 kcal. Nonostante il cambiamento climatico, l’Agroindustria continua ad utilizzare dal 3 al 5% dell’offerta annuale di gas naturale per la produzione di fertilizzanti sintetici. Vengono utilizzati 62 Litri di combustibile fossile per produrre e distribuire l’azoto necessario per ogni ettaro di terreno coltivato. Il 50% dell’energia che l’Agroindustria utilizza per coltivare il grano, è utilizzata per fabbricare fertilizzanti e pesticidi. L’americano medio consuma annualmente l’equivalente di 2000 L di petrolio per portare il cibo a tavola.


16. Che differenza c’è tra conservare e lavorare il cibo?

“Conservare” è una strategia per sopravvivere ai periodi di magra. Le popolazioni indigene hanno inventato praticamente ogni metodo di conservazione oggi conosciuto (essiccare, affumicare, salare, mettere sotto aceto, fermentare e congelare) molto prima che l’Agroindustria inventasse il sottovuoto. Contadini e indigeni hanno sviluppato più di 117 strategie di fermentazione che permettono di conservare importanti vitamine e minerali. 2 miliardi di persone nel Sud del mondo utilizzano processi artigianali per arricchire e conservare i propri alimenti. I prodotti alimentari elaborati costituiscono fino al 75% delle sue vendite. Dal 2002, il consumo di alimenti imballati è balzato al 92%, fino a raggiungere i 2,2 trilioni di dollari l’anno. L’industria alimentare negli Stati Uniti utilizza attualmente 3mila additivi, rispetto ai soli 704 utilizzati 60 anni fa. Questi additivi non smettono di uccidere i microbi dopo che li abbiamo ingeriti e potrebbero essere un fattore che contribuisce all’emergere di problemi gastrointestinali. Nano-particelle come il biossido di titanio, l’ossido di silicio e l’ossido di zinco si aggiungono a centinaia di alimenti lavorati e consumati in quantità crescente senza alcuni tipo di regolamentazione o prova di sicurezza. Il processo industriale degli alimenti non solo ha contribuito a indebolire i mercati locali, ma ha ridotto la diversità stimolando un’alimentazione dannosa che contribuisce all’obesità. Inoltre, la lavorazione industriale del cibo provoca anche l’inquinamento: ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, un terzo delle quali deriva dalla produzione e dai processi dell’Agroindustria. Se non si riduce questo fenomeno, entro il 2050 negli oceani del mondo ci sarà, letteralmente, più plastica che pesci.


17. Dov’è lo spreco?

La perdita di cibo nella Rete dei contadini è un problema significativo. Nelle regioni più povere del mondo (Africa sub-sahariana, sud dell’Asia), vengono sprecati annualmente dai 6 agli 11 kg di cibo per famiglia. In altre parti si perdono ogni anno tra i 120 kg e i 150 kg di cibo a persona. Inversioni minime nel miglioramento dei sistemi di stoccaggio e trasporto potrebbero ridurre queste perdite in maniera incisiva e immediata. Tuttavia, almeno una parte di questo cibo torna nei terreni o è utilizzata per alimentare il bestiame.

Lo spreco di alimenti nell’Agroindustria è grave e ingiustificabile. Meno del 5% dei suoi investimenti in ricerca e sviluppo viene investito per risolvere le perdite postraccolta. Dei 4 miliardi di tonnellate di cibo prodotti ogni anno, dal 33% al 50 % viene sprecato nelle varie tappe della catena di produzione, costando ai consumatori quasi 2,5 trilioni di dollari l’anno. Un cittadino medio negli Stati Uniti o in Europa spreca tra i 280kg e i 300kg di cibo ogni anno. Solo negli Stati Uniti, lo spreco di cibo include che 350 milioni di barili di petrolio e 40 trilioni di litri d'acqua vengono annualmente dilapidati. L’Agroindustria si vanta della sua efficienza, ma ammette anche che solo metà dei fertilizzanti utilizzati nella produzione di alimenti (e ancora meno pesticidi) arrivano alle coltivazioni, e che appena la metà dei suoi prodotti vengono consumati.


18. Abbiamo bisogno di tutto il cibo che produciamo?

A causa dei sussidi governativi che hanno causato un eccesso di offerta, l’Agroindustria produce più cibo del necessario per un’alimentazione sana, nonché molti alimenti dannosi per la salute, causando il 30% dell’obesità e del sovrappeso a livello globale (un problema più comune della fame). Gli statunitensi mangiano 25% di cibo in più di quello che realmente necessitano. Se tutti nel mondo facessero lo stesso, sarebbe come aggiungere 1 miliardo di persone in più da sfamare. Nei paesi OCSE, l’obesità riduce l’aspettativa di vita di circa 10 anni, un impatto simile a quello del fumo. Globalmente, le conseguenze dell’obesità costano annualmente 2 trilioni di dollari. L’Agroindustria contribuirà al raddoppiamento previsto del numero di persone in sovrappeso od obese, 4 miliardi entro il 2030, e ad un aumento del 50% del numero di persone diabetiche entro il 2040.


19. Quanto costa l’Agroindustria? Per ogni dollaro che i consumatori nel mondo spendono per prodotti dell’Agroindustria, noi tutti dobbiamo pagare 2 dollari in più per la distruzione causata, ovvero: spreco di cibo che non viene consumato (un terzo della produzione totale dell’Agroindustria) e consumo eccessivo (circa il 17% della produzione totale). I costi totali includono, oltre al prezzo diretto ai consumatori, anche i costi indiretti pagati dai governi e dalla società per i danni ambientali e alla salute, che equivalgono a più della metà del costo indiretto per gli alimenti. Potremmo salvare delle persone, il nostro clima e trilioni di dollari, se sostenessimo la Rete dei contadini. Di seguito i dati: il costo annuale per il cibo industriale è di 7,55 trilioni di dollari, il che include 2,49 trilioni di dollari per perdite o sprechi lungo la catena di produzione, così come un conto di 1,26 trilioni per il consumo eccessivo di cibo, che insieme ammontano a 3,75 trilioni di dollari (o il 50 % del conto diretto che i consumatori pagano per il cibo). Oltre al prezzo alimentare diretto, vi è un costo aggiuntivo di 4,8 trilioni di dollari per i danni sociali, ambientali e sanitari, causati dall’Agroindustria, che fa salire a 12,37 trilioni di dollari il saldo della fattura globale. Il costo dello spreco, il sovra consumo e i danni indiretti, ammontano a 8,56 trilioni, ciò significa che il 69% del costo totale dell’Agroindustria è contro-produttivo. Per fare un confronto, il suo costo totale è pari a 5 volte la spesa militare annuale a livello globale ed è diretta a nutrire solamente il 30% della popolazione. Tuttavia, queste cifre non considerano i rischi di malattie catastrofiche trasmesse da diversi animali selvatici a specie geneticamente omogenee, o malattie trasmesse tramite gli alimenti, che, secondo quanto sostiene l’UNEP, costerebbero trilioni di dollari se si verificasse un’epidemia.



BOX 2: EMISSIONI DI GAS SERRA DELL’AGROINDUSTRIA Il problema: dal campo alla tavola, l'agricoltura è responsabile dal 44 al 57% di tutte le emissioni di gas serra, un terzo delle quali è attribuito all’allevamento di bestiame. Ci si aspetta che le emissioni prodotte dall’agricoltura aumenteranno del 35% entro il 2050, anche se sarebbe urgente e necessario una loro massiccia riduzione. L’Agroindustria controlla più del 75% delle terre coltivate, utilizza la maggior parte delle macchine per l’allevamento e produce la maggior parte della carne (una dieta a base di carne genera quasi il doppio delle emissioni di una dieta vegetariana) è quindi giusto stimare che è responsabile per l'85-90% di tutte le emissioni di gas provenienti dall’agricoltura. Questa stima include anche i pescherecci che ricevono sussidi per il carburante e che rilasciano 1 miliardo di tonnellate di CO2 ogni anno, mentre le navi più piccole possono raccogliere la stessa quantità di pesce con 1/5 del carburante. Le soluzioni: dare la priorità alla produzione di cibo proveniente dai contadini e alla riduzione del consumo di carne significherebbe fare grandi passi verso la giusta direzione. (1) La Rete contadina salvaguarda la cultura e le pratiche che nutrono la terra, l'acqua, la diversità di specie di bestiame e la diversità microbica, riducendo così le emissioni di anidride carbonica e fornendo al tempo stesso una dieta sana a base vegetale. (2) Se la popolazione mondiale riducesse della metà il consumo di carne rispetto al normale, questo da solo ridurrebbe del 10% le emissioni totali di gas serra e abbatterebbe la concentrazione atmosferica di CO2 di 30ppm, mantenendo il livello del consumo al di sotto di 420ppm entro il 2050.


20. Chi incoraggia la diversità culturale?

Le popolazioni indigene hanno scoperto, protetto, addomesticato, allevato e fatto riprodurre ogni specie commestibili che usiamo. La Rete dei contadini vede la diversità culturale come connessa all'agricoltura e come garante della sostenibilità ambientale. I valori culturali influenzano la produzione, il consumo e il nostro rispetto per la Terra. La Rete dei contadini garantisce più varietà e possibilità per alimentare sempre la gente, a differenza dell'uniformità che impone l’Agroindustria per mantenere i suoi profitti. L’Agroindustria considera la diversità culturale un ostacolo per il monopolio del mercato e, negando le migliaia di modi diversi di relazionarsi con la Terra, contribuisce alla perdita di 3.500 delle settemila lingue (e culture) che esistono attualmente nel mondo. La sicurezza alimentare e l’integrità ambientale sono minacciati quando i territori sono sotto il controllo di chi non possiede le conoscenze specifiche e non è interessato alle complesse relazioni tra le comunità e il loro ambiente, come per esempio gli impresari agricoli che sfruttano le terre del Sudamerica. I meccanismi espansivi del mercato sono solitamente realizzati dagli uomini e richiedono la sottomissione di chiunque abbia una profonda conoscenza della flora, della fauna, e dei sistemi di alimentazione. Per questo tendenzialmente le donne sono il primo obiettivo della macchina di distruzione dell’autonomia locale. I sistemi alimentari di monocoltura allontanano i consumatori dai contadini e dalla terra, cambiano le nostre scelte alimentari e le abitudini, accelerando la perdita di diversità biologica e culturale. L’Agroindustria omogeneizza gli stili di vita, di produzione e di consumo anche se i nostri climi, condizioni di vita e mezzi di sussistenza fanno emergere nuove e diverse esigenze nutrizionali. Per tutti i discorsi sui “Big Data” e sull' “Intelligenza Artificiale”, la nostra generazione potrebbe essere la prima nella storia a perdere più conoscenze a supporto della vita di quante non ne guadagni.


Il problema: dal campo alla tavola, l'agricoltura è responsabile dal 44 al 57% di tutte le emissioni di gas serra, un terzo delle quali è attribuito all’allevamento di bestiame. Ci si aspetta che le emissioni prodotte dall’agricoltura aumenteranno del 35% entro il 2050, anche se sarebbe urgente e necessario una loro massiccia riduzione. L’Agroindustria controlla più del 75% delle terre coltivate, utilizza la maggior parte delle macchine per l’allevamento e produce la maggior parte della carne (una dieta a base di carne genera quasi il doppio delle emissioni di una dieta vegetariana) è quindi giusto stimare che è responsabile per l'85-90% di tutte le emissioni di gas provenienti dall’agricoltura. Questa stima include anche i pescherecci che ricevono sussidi per il carburante e che rilasciano 1 miliardo di tonnellate di CO2 ogni anno, mentre le navi più piccole possono raccogliere la stessa quantità di pesce con 1/5 del carburante. Le soluzioni: dare la priorità alla produzione di cibo proveniente dai contadini e alla riduzione del consumo di carne significherebbe fare grandi passi verso la giusta direzione. (1) La Rete contadina salvaguarda la cultura e le pratiche che nutrono la terra, l'acqua, la diversità di specie di bestiame e la diversità microbica, riducendo così le emissioni di anidride carbonica e fornendo al tempo stesso una dieta sana a base vegetale. (2) Se la popolazione mondiale riducesse della metà il consumo di carne rispetto al normale, questo da solo ridurrebbe del 10% le emissioni totali di gas serra e abbatterebbe la concentrazione atmosferica di CO2 di 30ppm, mantenendo il livello del consumo al di sottodi 420ppm entro il 2050.


21. Chi protegge i mezzi di sussistenza e i Diritti Umani? Le terre dei contadini producono il 30% in più di opportunità per mantenersi che i campi dell’Agroindustria. I lavoratori dei terreni organici hanno un reddito maggiore. Più di 2,6 miliardi di persone nel mondo ricevono sostentamento dall’agricoltura, dalla pesca, dalla pastorizia. Due terzi di famiglie nel Sud globale (spesso guidate da donne) producono qualche tipo di cibo. L’Agroindustria non rispetta né i mezzi di sostentamento né i diritti umani. • Ha praticamente spazzato via la maggior parte dei terreni a conduzione familiare nei paesi industrializzati, concentrando la produzione nelle cosiddette “fattorie moderne” che impiegano almeno l’1% della popolazione globale (50 milioni di lavoratori), mentre le famiglie di contadini vengono forzate a emigrare nelle città. • Espone i contadini e i lavoratori agricoli a gravi rischi per la salute derivanti dal contatto con pesticidi, causando la morte di 220 mila persone ogni anno. • Droni e robot stanno sostituendo i lavoratori agricoli. Nel 2015 1 tazza di riso su 3 in Giappone è stata prodotta dai droni, e per il 2020 si prevede l’utilizzo di trattori e mietitrebbie senza conducente nelle risaie. • Il 52% dei lavoratori statunitensi nei fast food dipende dai buoni pasto e coupones. Il fatto che i lavoratori abbiano un salario così basso rappresenta un sussidio indiretto pari a 7 miliardi di dollari l’anno per l’Agroindustria. Le condizioni di lavoro imposte dall’Agroindustria non rispettano i diritti umani, arrivando a includere casi di schiavitù: nella produzione di canna da zucchero in Brasile, nell’acquacoltura in Thailandia e Bangladesh, o nei quasi 100 milioni di casi di bambini sfruttati nell’agricoltura mondiale. L’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), stima che il 60% di questi bambini, sono impiegati nell’agricoltura, per coltivare l’olio di palma, o nelle piantagioni di canna da zucchero in India e nelle Filippine, o nelle piantagioni di cacao nell’Africa occidentale. La violenza verso contadini e lavoratori è tragicamente e rapidamente aumentata così come sono aumentate le persone cacciate dalle loro terre e uccise o perseguitate per aver protetto i loro sementi e aver nutrito le loro famiglie.


22. Chi innova veramente?

Gli oligopoli dominano quasi ogni anello dell’Agroindustria e l'innovazione ne soffre. Senza difendere l'uso dei pesticidi da parte dell’Agroindustria, nel 2000 sono stati sviluppati 70 nuovi principi attivi pesticidi, ma solo 28 nel 2012. Dal 1995, il costo di portare un nuovo pesticida sul mercato è aumentato dell'88%. Per l’Agroindustria è molto più conveniente e proficuo presentarsi come innovatori, attraverso le relazioni pubbliche, piuttosto che spendere denaro nella ricerca. Mano a mano che si fa più stringente la necessità di prendere misure per adattarci al cambio climatico, l’Agroindustria parla molto e fa poco. Le grandi imprese chimiche e di sementi, hanno imparato che è più economico del 50% adattare le piante ai prodotti chimici piuttosto che adattare le sostanze chimiche alle coltivazioni: 136 milioni di dollari per allevare una pianta transgenica negli Stati Uniti; $ 286 milioni per commercializzare un nuovo pesticida. La storia mostra che le persone possono adattare rapidamente le strategie alimentari quando necessario. In gergo cibernetico, si tratta di “collaborazione aperta”. • Prima dell’avvento di trasporto e comunicazione moderni, i contadini africani adattarono una nuova specie, il mais, ai diversi ecosistemi del continente in meno di un secolo. • Più di 600 popolazioni nella Papua Nuova Guinea hanno ricevuto diverse varietà di patate e le adattarono come cibo e foraggio dalle mangrovie sulla costa, fino alle cime montuose, sempre in meno di un secolo. • Nell’800, gli agricoltori statunitensi adattarono una varietà di grano da New York al Midwest, nonostante le condizioni di crescita drammaticamente diverse, paragonabili a quelle previste nella regione delle grandi pianure nel corso del 21 ° secolo, a causa dei cambiamenti climatici.


23. Perché i presupposti dell’agroindustria non vengono messi in discussione

La presunzione che l’Agroindustria stia alimentando il mondo e che debba continuare a farlo, procede incontrastata perché dipendiamo dalle statistiche e dalle interpretazioni limitate fornite dall’Agrobusiness. Si insiste che l’agricoltura industriale non può essere fermata e vengono fornite sempre meno informazioni sulla realtà dei mercati e sulla loro concentrazione. Sin dalla fine degli anni ’70, le singole società e gli analisti del settore sono diventati sempre più riservati. Questo è dovuto al fatto che gli analisti delle aziende si concentrano sempre di più sulle informazioni per trarne profitti. Non intendono divulgare le informazioni sulle attività brevettate per quanto riguarda la produzione industriale degli alimenti, né al pubblico né ai governi. Di conseguenza, la classe politica accetta “miti” come quello dell’“inevitabile” incremento nel consumo di carne e latticini o quello della necessità di continuare a utilizzare prodotti chimici per produrre cibo per tutta l’umanità. Dal canto suo la società civile che si è assunta il compito di vigilare sul comportamento delle imprese o dell’Agroindustria non può accedere alle informazioni per screditare questi miti. Inoltre, gli statistici e gli analisti degli investimenti raramente parlano con la Rete dei contadini. I cosiddetti “big data” ignorano i piccoli dati locali, l’analisi olistica utilizzata dalla Rete dei contadini. I dati dei Governi e delle industrie non sono affidabili: sottovalutano grossolanamente la pesca globale di almeno del 25% e calcolano erroneamente il fenomeno della deforestazione causata dalle monocolture e dall’allevamento del bestiame, a cui si somma il fatto che dal 50 al 90% del taglio di alberi tropicali è condotto in modo illegale. L’Agroindustria sta “truccando” sempre più frequentemente le sue cifre: la rivista “The Economist” stima che le imprese agroindustriali riportino nell’informazione pubblica dati relativi ai guadagni gonfiati del 20%. Mentre molti errori di calcolo sono dovuti alla natura complessa del cibo e dei sistemi alpimentari, l’Agroindustria trae vantaggio da questa disinformazione.


24. Quali cambiamenti politici sono necessari? La sovranità alimentare raggiunta attraverso le reti di sussistenza dei contadini è la base per la sicurezza alimentare mondiale. Supportare la Rete è la nostra unica scelta realistica di fronte ai cambiamenti climatici. Entro la fine del secolo, la agricoltura che abbiamo conosciuto per almeno 12.000 anni, potrebbe dover affrontare condizioni climatiche che il Mondo non ha mai visto in 3 milioni di anni. I contadini non saranno in grado di nutrire il mondo se non vengono attuati dei grandi cambiamenti. Con le giuste politiche, accesso alle terre e ai diritti, le strategie agro-ecologiche condotte dai contadini potrebbero raddoppiare o addirittura triplicare l’occupazione rurale, riducendo sostanzialmente la pressione sulle città esercitata della migrazione urbana, migliorando significativamente la qualità nutrizionale degli alimenti così come la sua disponibilità per eliminare la fame, riducendo contemporaneamente le emissioni di gas serra dell’agricoltura di più del 90%. Per far si che i miliardi di persone della Rete dei contadini continuino a nutrire sé stessi e gli altri, sono necessarie politiche come le seguenti: 1. una riforma agraria, che includa il diritto al suolo (terra, acqua, boschi, pescato, terre per l’allevamento e la caccia); 2. Ripristinare il diritto a salvaguardare, seminare, inter-cambiare, vendere e migliorare le sementi e il bestiame, senza restrizioni; 3. Rimuovere le regolamentazioni che ostacolano lo sviluppo dei mercati locali e la diversità; 4. Riorientare le attività pubbliche di ricerca affinché siano guidate dai contadini e rispondano alle loro necessità; 5. Istituire un tipo di commercio equo, determinato da politiche proposte dai contadini e contadine; 6. Stabilire condizioni di lavoro e salari equi per i lavoratori del settore agricolo e dell’alimentazione.


Traduzione a cura di: Borgherini Alessandro, Calore Marco, Scandolara Benedetta, Scapolo Pietro. Liceo I. Nievo (PD), durante le ore di Alternanza Scuola Lavoro. Associazione “Ya Basta!� Padova. info: www.yabasta.it


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