NEUROSCIENZE
SCIENZA DEL CERVELLO
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Una introduzione per giovani studenti
Titolo originale:
Neuroscience - Science of the Brain
prodotto dalla British Neuroscience Association Traduzione italiana di Gabriele Garbin, PhD Stampato in proprio e distribuito gratuitamente da: Centro Interdipartimentale per le Neuroscienze dell’Università di Trieste - BRAIN (Basic Research And Integrative Neuroscience) e Comitato per la Promozione delle Neuroscienze per Neuroscience Cafè Con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
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1-Il Sistema Nervoso
Schema del Sistema Nervoso centrale umano: sono visualizzati il cervello ed il midollo spinale
Struttura fondamentale Il Sistema Nervoso è composto dal cervello, dal midollo spinale e dai nervi periferici. È costituito da cellule nervose, chiamate neuroni, e da cellule di supporto, dette cellule gliali.
I recettori sensibili a variazioni di luminosità, suoni, stimolimeccanici e chimici sono alla base delle funzioni sensoriali della visione, dell’ascolto, del tatto, dell’olfatto e del gusto. Quando uno stimolo meccanico, termico o chimico sulla pelle supera una certa intensità, esso può causare un danno al tessuto e uno speciale gruppo di recettori detti nocicettori viene attivato: questi danno origine sia ad un riflesso protettivo sia alla sensazione del dolore (vedi capitolo 5 su Tatto e Dolore). I motoneuroni, che controllano l’attività dei muscoli, sono responsabili di tutte le forme di comportamento, incluse la parola. Situati fra i neuroni sensoriali ed i motoneuroni si trovano gli interneuroni, che sono di gran lunga i più numerosi (nel cervello umano). Gli Interneuroni fanno da tramite per i riflessi semplici e sono responsabili delle più evolute funzioni del cervello. Oggi sappiamo che le Cellule Gliali, a lungo ritenute avere solamente una funzione di impalcatura per i neuroni, contribuiscono in maniera importante allo sviluppo del sistema nervoso ed alle sue funzioni nel cervello adulto. Benché siano molto più numerose, esse non trasmettono informazione come i neuroni.
Esistono tre tipi principali di cellule neuronali. I Neuroni Sensoriali sono collegati a recettori specializzati nel rilevamento di varie forme di energia e rispondono alle diverse caratteristiche dell’ambiente esterno ed interno. 1
Il cervello umano visto dall’alto, dal basso e di lato L’architettura del neurone consiste in un corpo cellulare e due strutture aggiuntive chiamate processi. Una di queste due strutture è detta assone: il suo lavoro consiste nel trasmettere l’informazione dal neurone ad altri a cui è connesso. L’altra struttura è costituita dai dendriti: essi hanno il compito di ricevere l’informazione che viene trasmessa dall’assone di altri neuroni. Questi processi sono in comunicazione attraverso dei connettori specializzati, detti sinapsi (vedi capitoli 2 e 3 su Potenziale d’Azione e Messaggeri Chimici). I neuroni sono organizzati in complesse catene e reti che sono la via di comunicazione attraverso la quale viene trasmessa l’informazione nel sistema nervoso. Il cervello ed il midollo spinale sono collegati ai recettori sensoriali ed ai muscoli attraverso lunghi assoni che costituiscono il sistema nervoso periferico. Il midollo spinale ha due funzioni: è la sede di riflessi semplici, come la flessione indotta del ginocchio o il gesto di ritrarre velocemente un arto da una fonte di calore o da un oggetto appuntito, così come di riflessi più complessi, e costituisce una grande via di comunicazione fra il corpo ed il cervello per consentire il passaggio di informazioni da una parte all’altra in entrambe le direzioni. Queste strutture di base del sistema nervoso sono le stesse in tutti i vertebrati. Ciò che contraddistingue il cervello umano sono le sue generose dimensioni
in rapporto a quelle dell’intero corpo. Questo è dovuto ad un enorme aumento del numero di interneuroni nel corso dell’evoluzione, che consente agli esseri umani una scelta incommensurabilmente ampia di reazioni all’ambiente circostante.
Anatomia del Cervello Il cervello è costituito dal tronco encefalico e dagli emisferi cerebrali. Il tronco encefalico è suddiviso in bulbo (o midollo allungato), ponte, e una struttura nella parte superiore chiamata diencefalo. Il bulbo è una prosecuzione del midollo spinale. Esso contiene reti di neuroni che costituiscono il centro di controllo delle funzioni vitali come la respirazione e la pressione sanguigna. Fra queste reti vi sono gruppi di neuroni la cui attività sovrintende tali funzioni. Dalla sommità del bulbo si estende il cervelletto, che gioca un ruolo assolutamente centrale nel controllo e nella temporizzazione dei movimenti (vedi il capitolo su Movimento e Dislessia). Il ponte contiene popolazioni di neuroni, ciascuna delle quali sembra utilizzare in maniera predominante un particolare tipo di messaggero chimico, ma tutte sono collegate agli emisferi cerebrali. Si ritiene che esse possano modulare l’attività dei neuroni nei centri superiori del cervello per mediare funzioni come il 2
sonno, l’attenzione, il senso di ricompensa in seguito ad un’azione. Il diencefalo è suddiviso in due aree molto differenti fra loro, chiamate talamo ed ipotalamo. Il talamo invia alla corteccia cerebrale gli impulsi che riceve da tutte le regioni del sistema sensoriale; a sua volta, la corteccia cerebrale invia come risposta dei segnali al talamo. Questo aspetto di “avanti e indietro” della connessione cerebrale è piuttosto intrigante: l’informazione non viaggia semplicemente in una sola direzione. L’ipotalamo controlla funzioni come il mangiare ed il bere, e regola inoltre il rilascio degli ormoni coinvolti nelle funzioni sessuali. Gli emisferi cerebrali sono costituiti da una parte centrale, nota come gangli della base, ed un foglio sottile ma esteso di neuroni che costituiscono la materia grigia della corteccia cerebrale. I
gangli della base giocano un ruolo di primo piano nella capacità di iniziare e controllare un movimento (vedi il capitolo 7 sul Movimento). Impacchettata nello spazio limitato del cranio, la corteccia cerebrale è accartocciata con pieghe verso l’interno e verso l’esterno, consentendo di avere una superficie disponibile molto maggiore di quanto altrimenti possibile per il foglio di neuroni che la compone. L’estensione della corteccia cerebrale è maggiore nel cervello degli esseri umani – quattro volte più grande di quello dei gorilla. È suddivisa in un gran numero di aree separate, ciascuna distinguibile in base ad una propria struttura stratiforme e specifiche connessioni. Le funzioni di molte di queste aree sono ben note, come le aree visiva, uditiva ed olfattiva, le aree che ricevono i segnali sensoriali dalla pelle (dette aree somatosensoriali) e numerose aree specializzate nel controllo del movimento. Le vie nervose che connettono i recettori sensoriali alla corteccia e la corteccia ai muscoli si incrociano da un emisfero all’altro. Ciò significa che i movimenti della parte destra del corpo sono controllati dalla parte sinistra della corteccia cerebrale (e vice versa). Analogamente, la parte sinistra del corpo invia segnali sensoriali all’emisfero destro cosicché, ad esempio, i suoni immessi nell’orecchio sinistro raggiungono principalmente la corteccia del lato destro. In ogni caso, le due metà del cervello non lavorano in maniera isolata, poiché la corteccia cerebrale destra e sinistra sono connesse da un largo tratto di fibre detto corpo calloso. La corteccia cerebrale è necessaria per le azioni volontarie, il linguaggio, la capacità di parlare e le funzioni superiori come pensare e ricordare. Molte di que3
ste funzioni sono svolte sia da un emisfero sia dall’altro, ma alcune di esse sono molto più lateralizzate su un emisfero rispetto all’altro. Aree connesse con alcune di queste funzioni superiori, come la capacità di parlare (che è lateralizzata sull’emisfero sinistro nella maggior parte delle persone), sono già state identificate. Resta comunque molto da imparare, specialmente su argomenti affascinanti come la coscienza, e pertanto lo studio delle funzioni della corteccia cerebrale è una delle più interessanti ed attive aree di ricerca delle Neuroscienze.
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2 - I Neuroni e il Potenziale d’Azione Che siano sensoriali o motori, piccoli o grandi, i neuroni hanno tutti in comune il fatto che la loro attività è sia elettrica che chimica. I neuroni cooperano e competono l’uno con l’altro nel regolare lo stato complessivo del sistema nervoso, all’incirca nel modo i cui gli individui di una società collaborano e competono nel prendere una decisione comune. I segnali chimici ricevuti nei dendriti dagli assoni con cui sono a contatto vengono trasformati in segnali elettrici, che si sommano o sottraggono ai segnali elettrici che vengono ricevuti da tutte le altre sinapsi, determinando così la decisione di propagare o meno il segnale risultante verso una nuova destinazione. In questo caso, i potenziali elettrici viaggiano lungo l’assone verso le sinapsi poste sui dendriti del neurone accanto ed il processo si ripete.
Come descritto nel capitolo precedente, un neurone è composto da dendriti, un corpo cellulare, un assone e delle terminazioni sinaptiche. Questa struttura riflette la suddivisione delle funzioni di ricezione, integrazione e trasmissione in parti diverse. Possiamo dire che il dendrite riceve, il corpo cellulare integra e l’assone trasmette – un concetto che è detto polarizzazione, poiché si suppone che l’informazione che essi elaborano vada in una sola direzione.
Tre differenti tipi di neuroni
I componenti essenziali di un neurone
Il neurone dinamico
Come ogni altra struttura, il neurone deve essere delimitato da qualcosa. La struttura esterna dei neuroni è una membrana costituita da sostanza grasse, avvolta attorno ad un citoscheletro costituito da bacchette di proteine tubulari e filamentose che si estendono anche nei dendriti e negli assoni. La struttura risultante assomiglia ad una tessuto teso ed avvolto intorno all’intreccio dei tubi di un telaio. 5
Le spine dendritiche sono quelle piccole protuberanze che sporgono dai dendriti (i sottili filamenti della figura) del neurone. Sono il luogo dove si trovano le sinapsi Le diverse parti di un neurone sono in continuo movimento, un processo di riassestamento che riflette la sua stessa attività e quella dei neuroni circostanti. I dendriti cambiano forma, creando nuove connessioni ed eliminandone altre, e l’assone aumenta o diminuisce le sue terminazioni se il neurone intende comunicare con i suoi consimili a voce più alta o più bassa. All’interno dei neuroni si trovano vari compartimenti. Essi sono costituiti da proteine, prodotte principalmente nel corpo cellulare, che vengono trasportate lungo il citoscheletro. Piccole protuberanze fuoriescono dai dendriti, dette spine dendritiche. Queste sono il luogo in cui gli assoni esterni creano la maggior parte delle loro connessioni in ingresso. Le proteine trasportate verso le spine sono importanti per creare e mantenere la connettività neuronale. Queste proteine sono costantemente rinnovate, venendo sostituite con nuove proteine quando hanno svolto il loro compito. Tutta questa attività ha bisogno di energia per essere svolta, e all’interno delle cellule esistono dei veri e propri generatori di energia (i mitocondri) che permettono all’insieme di funzionare. Le estremità degli assoni reagiscono inoltre ad alcune molecole dette fattori di crescita. Questi fattori vengono assorbiti e trasportati al corpo cellulare, dove influenzano
l’espressione dei geni neuronali e, conseguentemente, la produzione di nuove proteine che consentono al neurone di far crescere dendriti più lunghi o modificare in maniera dinamica la propria forma o le proprie funzioni. Le informazioni, il nutrimento e i messaggeri scorrono da e verso il corpo centrale in ogni istante.
Ricezione e decisione Sul lato ricevente della cellula, i dendriti hanno contatti ravvicinati con gli assoni provenienti da altri neuroni. Ciascun contatto avviene ad una minuscola distanza di circa 20 miliardesimi di metro. Un dendrite può ricevere contatti da una, alcune o persino centinaia di altre cellule neuronali. Questi punti di giunzione sono detti sinapsi, che in Greco Antico significa “unire assieme”. La maggior parte delle sinapsi nella corteccia cerebrale sono situate sulle spine dendritiche che fuoriescono come piccoli microfoni in cerca di segnali molto deboli. La comunicazione fra le cellule nervose attraverso questi contatti puntiformi è detta trasmissione sinaptica e coinvolge un processo chimico che verrà descritto nel prossimo Capitolo. Quando i dendriti ricevono un messaggero chimico che è stato espulso da un assone ed ha superato la distanza di giunzione, all’interno della spina dendritica si genera una minuscola corrente elettrica. Generalmente si tratta di correnti che si apprestano ad entrare nella cellula, e sono dette eccitatorie; se invece si tratta di correnti che si dirigono verso l’esterno della cellula, esse sono dette inibitorie. Tutte queste onde positive e negative di corrente si accumulano nei dendriti e si diffondono poi verso il corpo cellulare. Se non sono sufficientemente inten6
queste forze per ottenere qualcosa di utile. Gli assoni dei neuroni trasmettono impulsi elettrici che sono detti potenziali d’azione.
Il potenziale d’azione se, queste correnti sono destinate a dissolversi e non portano ad alcun effetto. Se, al contrario, l’intensità di queste correnti supera un certo valore di soglia, il neurone trasmetterà un messaggio ad altri neuroni. Il neurone è pertanto una sorta di calcolatore in miniatura che esegue addizioni e sottrazioni senza sosta. Ciò che viene aggiunto e sottratto sono i messaggi che provengono da altri neuroni. Alcune sinapsi producono eccitazione, altri inibizione, ed il modo in cui questi segnali costituiscano la base per le sensazioni, i movimenti ed il pensiero dipende moltissimo da com’è fatta la rete in cui i neuroni sono situati.
Il Potenziale d’Azione Per comunicare da un neurone ad un altro, il segnale neuronale deve anzitutto percorrere la distanza dal corpo cellulare alla terminazione assonica attraverso l’intero assone. Come fanno in neuroni a far sì che questo avvenga? La risposta consiste nel mettere a frutto le energie immagazzinate in variazioni fisiche e chimiche, e mettere assieme
Questi impulsi viaggiano lungo le fibre nervose come un getto d’acqua scorre giù da una montagna. Il funzionamento di questo meccanismo e` assicurato dal fatto che la membrana assonica contiene canali ionici, che possono aprirsi e chiudersi per lasciar passare ioni elettricamente carichi. Alcuni canali favoriscono il passaggio degli ioni sodio (Na+) mentre altri lasciano passare ioni potassio (K+). Quando i canali sono aperti, gli ioni Na+ o K+ fluiscono creando differenze chimiche ed elettriche fra l’interno e l’esterno della cellula (gradienti), portando alla depolarizzazione elettrica della membrana. Quando un potenziale d’azione si origina nel corpo cellulare, i primi canali che si aprono sono quelli al Na+. Una manciata di ioni sodio entra nella cellula ed un nuovo equilibrio è così stabilito entro un millisecondo. In un batter d’occhio, il voltaggio da un lato all’altro della membrana varia di circa 100mV, da un valore negativo all’interno di circa -70mV ad un valore positivo di circa +30mV. Questa variazione causa l’apertura dei canali al K+, avviando la fuoriuscita di una certa quantità di ioni potassio all’esterno della cellula, all’incirca con la stessa rapidità con cui gli ioni Na+ erano entrati, e questo evento ha come conseguenza il ripristino dei valori di voltaggio originali, ossia negativi internamente. Il fenomeno del potenziale d’azione si esaurisce più velocemente del tempo che si impiega ad accendere una lampadina ed a spegnerla immediatamente, per quanto veloci si cerchi di essere. In realtà, solo un numero molto basso di ioni deve attraversare la membrana cellulare per ottenere que7
sto risultato, e le concentrazioni di ioni Na+ e K+ nel citoplasma non variano in maniera significativa durante un potenziale d’azione. Comunque, nel lungo termine le concentrazioni di questi ioni sono tenute sotto controllo da opportune pompe ioniche, il cui lavoro consiste nell’espellere l’eccesso di ioni sodio (e riprendere gli ioni potassio). Questo avviene all’incirca nello stesso modo in cui si può rimediare ad una piccola falla nello scafo di una barca in mare raccogliendo l’acqua che entra con un pentolino e gettandola all’esterno, senza che la struttura dello scafo rischi di cedere sotto la pressione dell’acqua su cui la barca sta navigando. Il potenziale d’azione è un evento elettrico, per quanto complesso. Le fibre nervose si comportano come conduttori elettrici (anche se meno efficienti di un cavo isolato), ed in tal modo un potenziale d’azione generato in un certo punto crea un altro gradiente di voltaggio fra la membrana attiva in cui si trova e quella in quiete intorno ad esso. Il potenziale d’azione viene così propagato in un’onda di depolarizzazione che viaggia da un capo all’altro della fibra nervosa. Un’analogia che può aiutare la comprensione di come viene propagato un potenziale d’azione è lo spostamento delle scintille di una stella filante dopo che è stata accesa all’estremità: all’inizio le scintille sono tantissime (questo punto equivale alla zona in cui gli ioni fluiscono verso l’interno e verso l’esterno in corrispondenza della posizione del potenziale d’azione), ma la successiva progressione dell’energia su bastoncino avviene molto più lentamente. La meravigliosa particolarità delle fibre nervose è che, dopo un brevissimo periodo di inattività (il periodo refrattario) la membrana riacqui-
sta la sua capacità di produrre scintille, pronta a consentire il trasferimento di un nuovo potenziale d’azione. La maggior parte di queste nozioni sono note da ormai 50 anni, grazie ad importanti esperimento che sono stati eseguiti utilizzando i neuroni e gli assoni di grosse dimensioni che sono tipici di certe creature marine. Lo spessore di questi assoni ha consentito agli scienziati di porre minuscoli elettrodi all’interno e
Ricerche di frontiera. Le fibre nervose (porpora) sono avvolte dalle cellule di Schwann (rosso) che ne isolano elettricamente dall’ambiente circostante. In colore sono mostrate sostanze fluorescenti che indicano la presenza di un complesso proteico scoperto recentemente. Il danneggiamento di questo complesso causa una malattia ereditaria che determina degenerazione muscolare.
misurare in tal modo le variazioni di voltaggio elettrico. Al giorno d’oggi, una moderna tecnica di registrazione elettrica nota come patch-clamping (che potrebbe suonare come “attaccare una toppa”) consente ai neuroscienziati di studiare il movimento degli ioni attraverso singoli canali ionici in ogni sorta di neurone, ed ottenere pertanto misure estremamente accurate di queste correnti in cervelli molto simili al nostro.
L’isolamento dei neuroni 8
Lungo molti assoni il potenziale d’azione si sposta con una certa facilità ma non molto velocemente. In altri, i potenziali d’azione balzano letteralmente da una parte all’altra. Questo accade perché lunghe porzioni dell’assone sono avvolte da fogli di un isolante composto da membrane di cellule gliali opportunamente stirate, dette guaine mieliniche. Nuove ricerche descrivono le caratteristiche delle proteine che compongono queste guaine. L’isolante ha il compito di impedire che le correnti generate dagli ioni possano disperdersi all’esterno e finire nel posto sbagliato. Ciononostante, in molti punti le cellule gliali lasciano scoperte piccole aree di membrana. Questo fatto è utile, poiché in tal punti gli assoni concentrano i loro canali ionici per Na+ e K+. Questi agglomerati di canali ionici fungono da amplificatori che riforniscono e mantengono il potenziale d’azione mentre esso salta letteralmente lungo la fibra nervosa. La sua velocità può essere veramente elevata: infatti, lungo un assone mielinizzato il potenziale d’azione può correre anche a 100 metri al secondo! I potenziali d’azione hanno la proprietà caratteristica di essere “tutto-o-nulla”: quello che varia non sono le loro dimensioni, bensì quanto frequentemente si presentano. Pertanto, l’unico modo in cui una singola cellula può interpretare l’intensità o la durata di uno stimolo è la variazione della frequenza dei potenziali d’azione. Gli assoni più efficienti riescono a condurre potenziali d’azione a frequenze che raggiungono le 1000 volte al secondo.
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3 - I Messaggeri Chimici I potenziali d’azione sono trasmessi lungo l’assone fino a delle zone specializzate chiamate sinapsi, che sono le aree in cui gli assoni entrano in contatto con i dendriti di altri neuroni. Le sinapsi sono costituite da una terminazione nervosa presinaptica che è separata da una breve distanza dalla componente postsinaptica, che spesso è localizzata su una spina dendritica. Le correnti elettriche responsabili della propagazione del potenziale d’azione lungo gli assoni non possono scavalcare la fessura sinaptica. La trasmissione attraverso questa fessura è consentita da messaggeri chimici chiamati neurotrasmettitori.
Trasmettitori chimici impacchettati in involucri sferici pronti per il rilascio attraverso la giunzione sinaptica
Immagazzinamento e Rilascio I neurotrasmettitori sono immagazzinati in delle piccole borse sferiche note come vescicole sinaptiche poste alla fine
come vescicole sinaptiche poste alla fine degli assoni. Esistono vescicole per l’immagazzinamento e vescicole più vicine al termine della fibra nervosa, pronte per essere rilasciate. L’arrivo di un potenziale d’azione causa l’apertura di canali ionici che consentono l’ingresso di ioni calcio (Ca++). Questo attiva alcuni enzimi che agiscono su una categoria di proteine presinaptiche dai nomi esotici come “snare”, “tagmin” e “brevin” – nomi adatti ai personaggi di una storia d’avventura scientifica. I neuroscienziati hanno appena scoperto che queste proteine presinaptiche se ne vanno in giro etichettando ed intrappolando le altre, causando una fusione fra la membrana e le vescicole sinaptiche per il rilascio, facendole scoppiare e rilasciare i messaggero chimico al di fuori della terminazione nervosa. Questo messaggero poi percorre i 20 nanometri della fessura sinaptica. Le vescicole sinaptiche si riformano quando le loro membrane vengono risucchiate dentro la terminazione nervosa, dove vengono nuovamente riempite di neurotrasmettitori che verranno successivamente emessi in un processo ciclico e continuo. Appena arrivato dall’altra parte – il che avviene in maniera incredibilmente veloce, in meno di un millisecondo -, il messaggero interagisce con specifiche strutture molecolari, dette recettori, situate nella membrana del neurone successivo. Anche le cellule gliali se ne stanno in agguato intorno alla fessura 10
sinaptica. Alcune di esse hanno microscopici aspirapolvere pronti all’uso, detti trasportatori, il cui compito è di risucchiare il trasmettitore che trovano nella fessura. In questo modo la zona della fessura viene ripulita prima dell’arrivo del prossimo potenziale d’azione. Tuttavia nulla viene sprecato, queste cellule gliali rielaborano il trasmettitore e lo rispediscono alla terminazione nervosa per essere immagazzinato nelle vescicole per un prossimo utilizzo. Le cellule gliali non sono le uniche a compiere questo lavoro di pulizia della fessura sinaptica dai neurotrasmettitori. A volte, la cellula nervosa richiama direttamente i trasmettitori verso le proprie terminazioni. In altri casi, il trasmettitore viene distrutto da altri agenti chimici presenti nella fessura.
Messaggeri che aprono canali ionici L’interazione dei neurotrasmettitori con i recettori ricorda molto quella della chiave con la serratura. L’incontro fra il neurotrasmettitore (la chiave) con il recettore (la serratura) generalmente causa l’apertura di un canale ionico; questi recettori sono detti recettori ionotropici (vedi Figura). Se il canale ionico consente l’ingresso di ioni positivi (Na+ o Ca++), l’immissione di cariche positive causa una eccitazione. Questo produce un’oscillazione nel potenziale di membrana detto “potenziale eccitatorio post-sinaptico” (epsp). Tipicamente, un gran numero di sinapsi convergono verso un neurone e, in qualsiasi istante, alcuni sono attivi ed altri non lo sono. Se la somma di questi “epsp” raggiunge la soglia per generare un impulso, un nuovo potenziale d’azione viene generato ed i segnali
vengono trasmessi lungo l’assone del neurone ricevente, come descritto nel capitolo precedente.
I recettori ionotropici (a sinistra) hanno un canale che può essere attraversato da ioni (come Na+ e K+). Il canale è costituito da cinque subunità disposte in modo circolare. I recettori metabotropici (a destra) non hanno canali, ma sono accoppiati, all’interno della membrana cellulare, a G-proteine che possono far andare avanti il segnale.
Il principale neurotrasmettitore eccitatorio nel cervello è il glutammato. La grande precisione dell’attività nervosa richiede che l’eccitazione di alcuni neuroni avvenga contemporaneamente alla soppressione dell’attività di altri neuroni. Questo è ottenuto attraverso una inibizione. In una sinapsi inibitoria, l’attivazione di recettori causa l’apertura di canali ionici che consentono l’ingresso di ioni carichi negativamente, dando origine ad un cambiamento nel potenziale di membrana detto “potenziale inibitorio post-sinaptico” (ipsp) (vedi Figura). Questo potenziale si oppone alla depolarizzazione della membrana e dunque alla possibilità di generare un potenziale d’azione da parte del corpo cellulare del neurone ricevente. Vi sono due neurotrasmettitori inibitori: il GABA e la glicina. La trasmissione sinaptica è un processo estremamente rapido:il tempo che intercorre fra l’arrivo del potenziale d’azione ad una sinapsi e la produzione di un epsp
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nel neurone successivo è brevissimo, 1/ 1000 di secondo.
Il potenziale sinaptico eccitatorio (EPSP) è una variazione del potenziale di membrana da -70 mV a un valore verso lo 0. Un potenziale sinaptico inibitorio (IPSP) è di segno opposto
Differenti neuroni devono programmare il rilascio del glutammato verso i loro consimili entro un certo intervallo di tempo utile, se gli epsp del neurone ricevente si stanno sommando per superare la soglia per l’inizio di un nuovo impulso. Analogamente, l’inibizione deve operare entro il medesimo intervallo di tempo per riuscire ad impedire che ciò avvenga.
Messaggeri che modulano La ricerca per identificare i neurotrasmettitori eccitatori ed inibitori ha inoltre rivelato l’esistenza di un gran numero di ulteriori agenti chimici che vengono rilasciati dai neuroni. Molti di essi influiscono sui meccanismi neuronali interagendo con un gruppo molto specializzato di proteine nelle membrane dei neuroni, dette recettori metabotropici. Questi recettori non contengono canali ionici, non sono sempre localizzati nella regione di una sinapsi e, importantissimo, non causano la produzione di un potenziale d’azione. Oggigiorno si pensa a questi recettori come a dei regolatori o modulatori della vasta gamma dei processi chimici che avvengono all’interno dei neuroni, e pertanto l’azione dei recettori me-
tabolici è detta neuro-modulazione. I recettori metabotropici si trovano abitualmente in agglomerati complessi che collegano la parte esterna della cellula ad enzimi contenuti nella cellula che possono agire sul metabolismo cellulare. Quando un neurotrasmettitore viene riconosciuto e legato dal un recettore metabotropico, vengono attivate contemporaneamente alcune molecole di collegamento dette proteine G ed altri enzimi legati alla membrana. L’effetto del legame di un trasmettitore con il sito di un recettore metabotropico può essere paragonato ad una chiave d’accensione: non apre una porta per gli ioni nella membrana, come fanno i recettori ionotropici, ma invece mettono in azione dei secondi messaggeri intracellulari, originando una sequenza di eventi biochimici (vedi Figura). Il motore metabotropico del neurone allora va su di giri e comincia a funzionare. Gli effetti della neuro-modulazione includono cambiamenti nei canali ionici, nei recettori, nei trasportatori e persino nell’espressione dei geni. Questi cambiamenti sono più lenti ad iniziare e più duraturi di quelli indotti da trasmettitori eccitatori ed inibitori, ed i loro effetto si estendono ben oltre la sinapsi. Anche se non danno origine ad un potenziale d’azione, essi hanno profondi effetti sul traffico di impulsi che avviene nelle reti neuronali.
L’identificazione dei Messaggeri Fra i molti messaggeri che agiscono sui recettori accoppiati alle proteine G vi sono acetilcolina, dopamina e noradrenalina. I neuroni che rilasciano questi 12
trasmettitori non hanno solo un diverso effetto sulle cellule, ma anche la loro organizzazione anatomica è rimarchevole perché, pur essendo numericamente pochi, i loro assoni si proiettano a lunghe distanze attraverso il cervello (vedi figura). Vi sono solo 1600 neuroni che rilasciano noradrenalina nel cervello umano, ma essi inviano assoni a tutte le parti del cervello e del midollo spinale. I trasmettitori neuro-modulatori non inviano una precisa informazione sensoriale, ma alcuni neuroni con una calibratura raffinata sparsi qua e la` si assemblano per migliorare la propria efficienza.
zioni emozionali positive (vedi Capitolo 4). L’acetilcolina, invece, sembra poter avere ambedue gli effetti, agendo sia sui recettori ionotropici sia su quelli metabotropici. Questo neurotrasmettitore è stato scoperto per primo, utilizza meccanismi ionici per inviare un segnale attraverso la giunzione neuromuscolare di motoneuroni alle fibre del muscolo striato. Può anche fungere da neuromodulatore, ad esempio quando si vuole focalizzare l’attenzione su qualcosa – modulando finemente i neuroni nel cervello verso il compito di recepire solo le informazioni rilevanti.
Le cellule noradrenergiche sono situate nel locus coeruleus (LC). Gli assoni di queste cellule si distribuiscono in tutto il tronco dell’encefalo, raggiungendo l’ipotalamo (Hyp), il cervelletto (C) e la corteccia cerebrale.
La noradrenalina è rilasciata in risposta a vari stati di stress o eventi nuovi ed aiuta l’organizzazione di una reazione complessa dell’individuo a queste condizioni. Molte reti neuronali potrebbero avere bisogno di sapere che l’organismo è sotto stress. La dopamina fornisce una sensazione di ricompensa per l’individuo, agendo sui centri del cervello associati alle sensa-
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4 - Droghe e Cervello
Molte persone sembrano avere un costante desiderio di alterare il proprio stato di coscienza mediante l’uso di droghe. Alcuni usano droghe stimolanti che li aiutino a restare svegli la sera per andare a ballare. Altri usano sedativi per calmare i nervi. Altri ancora assumono sostanze che consentano di provare nuove forme di coscienza e dimenticare i problemi di tutti i giorni. Tutte queste droghe agiscono in modi diversi con i sistemi dei neurotrasmettitori ed altri messaggeri chimici nel cervello. In molti casi, le droghe dirottano i sistemi che nel cervello hanno naturalmente a che fare con il piacere e il senso di ricompensa: processi psicologici che sono importanti nelle funzioni nutritive, sessuali e persino di apprendimento e memoria.
Il cammino verso l’assue-fazione e la dipendenza Le droghe che agiscono sul cervello o sull’apporto sanguigno al cervello sono utilissime, così come quelle usate per ridurre il dolore. Le droghe utilizzate per uso ricreativo hanno uno scopo ben diverso, ed il problema in questo caso sta nel fatto che possono portare ad un abuso nell’as-sun-
zione. Chi fa uso di queste sostanze può facilmente diventare dipendente o persino assuefatto, e soffrire di spiacevolissimi sintomi di astinenza sia fisici sia psicologici quando la somministrazione viene interrotta. Questo stato di dipendenza può condurre una persona a volere a tutti i costi assumere una certa sostanza, anche se questo dovesse sicuramente danneggiare la sua vita lavorativa, la sua salute, la sua famiglia. In casi estremi, la persona potrebbe essere indotta a commettere dei crimini per potersi permettere di comprare una certa quantità di droga. Fortunatamente, non tutte le persone che assumono una qualche droga ricreazionale diventano dipendenti da essa. Le droghe hanno diverse capacità di indurre dipendenza, da un rischio elevato per cocaina, eroina, e nicotina ad un rischio più basso per alcol, cannabis, ecstasy e amfetamine. Durante lo sviluppo della dipendenza da droghe, il corpo ed il cervello si adattano lentamente alla presenza ripetuta della sostanza, ma quali cambiamenti realmente avvengano nel cervello resta un mistero. Anche se è noto che i siti primari di eroina, amfetamine, nicotina, cocaina e cannabis sono tutti diversi, queste droghe hanno in comune l’abilità di incoraggiare la produzione di un messaggero chimico, la dopamina, in certe regioni del cervello. 14
Benché questo non sia necessariamente collegato ad un meccanismo per ottenere una sensazione di “piacere”, si ritiene che il rilascio di dopamina indotto da una droga possa essere un importante percorso finale comune per il “piacere” nel cervello. Questo è il passo iniziale che porta una persona a continuare ad assumere la sostanza.
Le droghe individuali – Come funzionano e cosa si rischia Alcool L’alcol agisce su sistemi di neurotrasmissione nel cervello per abbassare gli effetti dei messaggi eccitatori ed incoraggiare l’inibizione dell’attività neuronale. L’azione dell’alcol parte da uno stato di rilassamento e buon umore, al primo bicchiere, portando poi a sonnolenza e perdita di coscienza. Questo è il motivo per cui le forze di polizia sono molto severe con chi guida avendo assunto alcol, ed il motivo di così tanta attenzione da parte delle strutture sociali. Alcune persone diventano molto aggressive e persino violente quando hanno bevuto, e circa un bevitore abituale su dieci diventa un alcolista dipendente. L’uso dell’alcol nel lungo termine causa danni all’organismo, specialmente al fegato, e può provocare danni permanenti al cervello. Le donne in stato di gravidanza che assumono alcol rischiano di avere bambini con danni cerebrali e forme di ritardo mentale. Più di 30.000 persone muoiono ogni anno solo in Gran Bretagna per patologie legate all’alcol.
Nicotina
La nicotina è l’ingrediente attivo in tutti i prodotti a base di tabacco. La nicotina agisce su quei recettori del cervello che normalmente riconoscono il neurotrasmettitore acetilcolina, tendendo ad attivare i naturali meccanismi di allerta nel cervello. Sapendo ciò, non sorprende che i fumatori dicano che le sigarette li aiutano a concentrarsi ed hanno un effetto calmante. Il problema è che la nicotina crea forte assuefazione e molti fumatori di lungo corso continuano a fumare solo per evitare le spiacevoli sensazioni che insorgono se provano a smettere. Il piacere, in questo caso, se n’è andato da tempo. Mentre sembrano non esserci effetti deleteri sul cervello, il fumo di tabacco è estremamente pericoloso per i polmoni e un’esposizione prolungata può portare a cancro polmonare ed altre patologie sia dei polmoni sia del cuore. In Gran Bretagna, più di 100.000 persone muoiono ogni anno per patologie legate al fumo.
Cervello con sigaretta accesa. Vincent Van Gogh, 1885
Cannabis 15
La cannabis si presenta come un rompicapo, perché agisce su un importante sistema naturale del cervello che utilizza neurotrasmettitori che le assomigliano moltissimo. Questo sistema ha a che fare con il controllo dei muscoli e con la regolazione della sensazione del dolore. Usata in maniera controllata ed in contesto medico, la cannabis può essere una droga molto utile. Si tratta tuttavia di una sostanza intossicante che può essere piacevole e rilassante, e può causare uno stato di quasi-sogno nel quale le percezioni dei suoni, dei colori e del tempo sono fortemente alterate. Nessuno sembra essere mai morto per un uso eccessivo di cannabis, anche se si riportano casi di spiacevoli attacchi di panico dopo un uso notevole. La cannabis è stata usata almeno una volta da quasi la metà della popolazione britannica al di sotto dei 30 anni d’età. Alcuni ritengono che dovrebbe essere resa legale, e così facendo si spezzerebbe il legame fra le droghe ad uso di supporto ed altre molto più pericolose. Sfortunatamente, così come per la nicotina, il modo più efficace per introdurre la sostanza nel corpo consiste nel fumarla. Il fumo di cannabis contiene all’incirca la stessa mistura di veleni del fumo di sigarette (e viene spesso mescolata con il tabacco). I fumatori di cannabis tendono a sviluppare malattie polmonari e corrono il rischio di incorrere in tumori ai polmoni, per quanto questo non sia ancora stato dimostrato. Circa un fumatore di cannabis su dieci può diventare dipendente, cosa di cui i venditori di droga sono ben consapevoli ed evitano cautamente. L’uso ripetuto ed in quantità è incompatibile con la possibilità di guidare e con lavori che richiedano abilità intellettive. Alcuni esperimenti hanno stabilito che le persone intossicate dall’uso di cannabis sono
incapaci di portare a termine compiti complessi di ragionamento . Anche se non è stato ancora provato, vi sono alcune evidenze che l’uso massiccio da parte di soggetti giovani potrebbe portare ad una malattia mentale come la schizofrenia (vedi il capitolo 17) in individui più vulnerabili.
Amfetamine Le amfetamine sono sostanze chimiche prodotte dall’uomo che includono “Dexedrina”, “Speed”, ed il derivato della metamfetamina noto come “Ecstasy”. Queste droghe agiscono nel cervello causando il rilascio di due neurotrasmettitori naturalmente presenti. Uno e` la dopamina – il che probabilmente spiega l’effetto di forte sovreccitazione e di piacere associato alle amfetamine. L’altro è la serotonina – che si ritiene essere responsabile delle sensazioni di benessere e di stato di quasi-sogno che può includere allucinazioni. La Deoxidrina e lo Speed spingono soprattutto il rilascio di dopamina, l’Ecstasy principalmente quello di serotonina. L’allucinogeno che è persino più potente di questi, il d-LSD, agisce anch’esso sui meccanismi della serotonina nel cervello. Le amfetamine sono potentissimi psicostimolanti e possono essere pericolose, specialmente in dosi elevate. Esperimenti su animali hanno dimostrato che l’Ecstasy può causare una riduzione prolungata o persino permanente delle cellule che producono serotonina. Questo può essere la causa della “malinconia di metà settimana” di cui soffrono molti consumatori del sabato sera di Ecstasy. Ogni anno, dozzine di giovani muoiono in seguito all’assunzione di questa droga. Spaventose psicosi schizofreniche possono insorgere dopo l’assunzione di Dexedrina e Speed. Si potrebbe essere portati a 16
pensare che lo Speed possa aiutare uno studente a passare un esame: be’, non è il caso, non serve.
Eroina L’eroina è un prodotto dell’uomo derivato dal prodotto vegetale morfina. Come la cannabis, l’eroina distorce il funzionamento di un sistema che impiega neurotrasmettitori normalmente presenti nel cervello noti come endorfine. Questi elementi sono importanti nel controllo del dolore – e pertanto le droghe che riescono a riprodurre i loro effetti sono molto utili in medicina. L’eroina può essere iniettata o fumata, nel qual caso provoca un effetto immediato di piacere, forse dovuto ad un effetto delle endorfine sui meccanismi della gratificazione. Essa crea elevata assuefazione ma, con il crescere della dipendenza, la sensazione di piacere lascia presto il posto ad un’incessante necessità di una nuova dose. È una droga estremamente pericolosa che può uccidere anche con un modesto sovra-dosaggio, perché sopprime la facoltà automatica della respirazione. L’eroina ha letteralmente rovinato la vita a molte persone.
pericolosa. Le persone intossicate da questa sostanza, specialmente nella forma che può essere fumata detta “crack”, possono diventare immediatamente violente ed aggressive, ed esiste un rischio concreto di mettere a rischio la propria vita in caso di overdose. L’induzione di dipendenza è elevata, ed i costi per mantenere uno stile di vita di dipendenza da cocaina portano in molti casi a commettere crimini.
Cocaina La cocaina è un altro derivato chimico di un prodotto vegetale che può causare intense sensazioni di piacere ed agire come un potente psicostimolante. Come le amfetamine, la cocaina rende una maggior quantità di dopamina e serotonina disponibili nel cervello. In più, come l’eroina, la cocaina è una droga altamente
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5 - Tatto e Dolore Il tatto è qualcosa di speciale – una stretta di mano, un bacio, un battesimo. Esso fornisce il nostro primo contatto con il mondo. Schiere di recettori su tutto il nostro corpo sono dedicate al rilevamento dei diversi aspetti del mondo somatosensoriale – tatto, temperatura e posizione del corpo – ed in più altri per la percezione del dolore. La possibilità di distinguere il tatto varia lungo la superficie corporea, ed è estremamente sensibile in aree come i polpastrelli delle nostre dita.
L’esplorazione attiva è altrettanto importante, interagendo in maniera significativa con il sistema motorio. La sensazione del dolore serve ad informarci e metterci in allerta contro possibili danni al nostro corpo. Essa ha un forte impatto emozionale, ed è sog-
getta ad un controllo notevole all’interno del corpo e del cervello.
Tutto comincia nella pelle Negli strati del derma della pelle, in prossimità della superficie, si trovano molti tipi di minuscoli recettori. Essi prendono il nome degli scienziati che per primi li hanno identificati al microscopio: i corpuscoli di Pacini e di Meissner, i dischi di Merkel e le terminazioni di Ruffini descrivono diversi aspetti del tatto. Tutti questi recettori hanno canali ionici che si aprono in risposta a deformazioni meccaniche, dando inizio a potenziali d’azione che possono essere osservati sperimentalmente con sottili elettrodi. Alcuni affascinanti esperimenti sono stati fatti alcuni anni fa da scienziati che hanno sperimentato su se stessi, inserendo gli elettrodi nella propria pelle e registrando da singoli nervi sensoriali. Da questi ed analoghi esperimenti su animali anestetizzati, sappiamo ora che i due tipi principali di recettori si adattano velocemente e quindi rispondono in maniera ottimale a sensazioni che variano rapidamente (senso della vibrazione e dell’oscillazione). Il disco di Merkel risponde bene ad una prolungata sollecitazione della pelle (senso della pressione), mentre le terminazioni di Ruffini rispondono a sollecitazioni che avvengono lentamente. 18
Un concetto importante riguardo ai recettori somatosensoriali è quello del campo recettivo. Si tratta dell’area della pelle di pertinenza di ciascun recettore. I corpuscoli di Pacini hanno campi recettivi ben più ampi ci quelli dei corpuscoli di Meissner. Lavorando assieme, sia gli uni sia gli altri consentono di poter avere sensazioni tattili su tutta la superficie del corpo. Una volta individuato uno stimolo, i recettori come risposta inviano impulsi lungo i nervi sensoriali che entrano nelle radici dorsali del midollo spinale. Gli assoni che connettono i recettori del tatto al midollo spinale sono fibre mielinizzate di grandi dimensioni che convogliano l’informazione dalla periferia in maniera estremamente rapida. Il freddo, il caldo e il dolore sono rilevati da sottili assoni con terminazioni “scoperte”, che trasmettono più lentamente. I recettori per la temperatura dimostrano una capacità di adattamento (vedi la Casella Sperimentale). Ci sono stazioni di servizio per il tatto nel bulbo e nel talamo, prima di proiettarsi verso l’area sensoriale primaria sulla corteccia, detta corteccia somatosensoriale. Le fibre nervose attraversano la linea mediana del corpo, cosicché la parte destra del corpo è rappresentata nell’emisfero sinistra e la parte sinistra nell’emisfero destro. Le informazioni che arrivano dal corpo vengono sistematicamente “mappate” lungo la corteccia somatosensoriale per formare una rappresentazione della superficie corporea. Alcune parti del corpo, come la punta delle dita e la bocca, hanno un’elevata densità di recettori ed un corrispondente numero elevato di nervi sensoriali. Aree come la schiena hanno meno recettori e nervi. Comunque, nella corteccia somatosensoriale, la densità di aggregazione dei neuroni è uni-
forme. Un esperimento sull’adattamento alla temperatura. Questo esperimento è molto semplice. Hai bisgno di un filo metallico di circa un metro di lunghezza, che puoi ricavare da una gruccia di lavanderia e due bacinelle d’acqua. In una metterai acqua abbastanza calda, nell’altra acqua più fredda che puoi. Poi immergi la mano sinistra nell’acqua calda e la destra in quella fredda e rimani così per almeno un minuto. Passato il minuto, tira fuori le mani, asciugale velocemente e prendi il filo metallico per le estremità. Ti sembreranno di temperatura diversa. Perché? Conseguentemente, la “mappa” della superficie corporea nella corteccia è molto deformata ed è nota anche con il nome di homunculus sensoriale. Se esistesse una persona in carne ed ossa con le caratteristiche di estensione corporea di questa mappa, avrebbe un corpo decisamente bizzarro. Ciascuno può sperimentare sul proprio corpo questa differente abilità sensoriale mediante il cosiddetto test di discriminazione a due punti. Si prendano alcune clips per i fogli e le si pieghino ad U, alcune con uno spazio di 2 o 3 centimetri fra le punte, altre con distanze più ravvicinate. Poi, ad occhi bendati, si chieda ad un amico di toccare vari parti del nostro corpo con ogni tipo di clip. Provate a farlo: sentite una sola punta oppure due? Sentite una sola punta anche quando venite toccati da entrambe? Perché?
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L’omuncolo. L’immagine di una persona è disegnata lungo la superficie della corteccia somatosensitiva in proporzione al numero di recettori che si trovano in ciascuna parte del corpo. Ne viene fuori una forma molto distorta.
Il Fascino discreto della discriminazione L’abilità nel percepire i dettagli più raffinati di un oggetto varia notevolmente a seconda delle diverse parti del corpo ed è maggiormente sviluppata sulla punta delle dita e sulle labbra. La pelle è sufficientemente sensibile da percepire un punto su un foglio in rilievo di meno di 1/ 100 di millimetro, se lo si accarezza come fa una persona che legge l’alfabeto Braille. Un settore della ricerca è molto attivo nel chiedersi come diversi tipi di recettori contribuiscano all’esecuzione di diversi compiti, come discriminare diversi tipi di tessuto o identificare la trama di un oggetto. Il tatto non è solo un senso che passivamente reagisce solo a quanto riceve. Es-
so è anche coinvolto nel controllo attivo del movimento. I neuroni che nella corteccia motoria controllano i movimenti che attraverso il braccio portano al movimento delle dita della mano ricevono stimoli sensoriali dai recettori per il tatto nei polpastrelli. Quale modo migliore per riconoscere un oggetto sulla mano che farlo scivolare mettendo in rapida comunicazione i sistemi motorio e sensoriale? La comunicazione incrociata fra i sistemi motorio e sensoriale inizia appena l’informazione arriva nel midollo spinale, invia un feedback (un avviso di ricevimento) propriocettivo ai motoneuroni, e continua a tutti i livelli del sistema somatosensoriale. Nel cervello, la corteccia motoria e sensoriale primaria sono poste l’una immediatamente dopo l’altra. L’esplorazione attiva è una componente cruciale per il senso del tatto. Immaginate di stare discriminando alcune minuscole differenze fra due campioni di tessuto, ad esempio provenienti da diverse manifatture o con diverso grado di rugosità. Quale delle seguenti condizioni ritenete siano in grado di generare la più raffinata discriminazione fra essi? -
Appoggiare i polpastrelli sopra i diversi campioni? Far scorrere i polpastrelli lungo la trama? Avere una macchina che fa scorrere il tessuto sotto le dita?
L’esito di questo esperimento comportamentale porta a quesiti su dove le informazioni sensoriali rilevanti siano analizzate nel cervello. Le tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale suggeriscono che l’identificazione delle caratteristiche di un tessuto mediante il tatto coinvolga diverse regioni della corteccia. L’imaging cerebrale (l’insieme di tecniche 20
che consentono la visualizzazione del cervello in vivo) sta inoltre cominciando a fornire informazioni sulla plasticità corticale, evidenziando che la mappa del corpo nell’area somatosensoriale può variare con l’esperienza. Ad esempio, le persone cieche in grado di leggere i caratteri alfabetici Braille hanno una rappresentazione corticale molto più sviluppata per l’indice della mano utilizzata per la lettura, ed i suonatori di strumenti a corde hanno una rappresentazione corticale più estesa per le dita della mano sinistra.
Il Dolore Molto spesso si classifica il dolore come una variante del senso del tatto; in realtà, si tratta di un sistema con funzioni molto diverse da esso e con una organizzazione anatomica molto diversa. Le sue principali caratteristiche sono di essere sgradevole, di variare notevolmente fra un individuo ed un altro e, sorprendentemente, che l’informazione fornita dai recettori per il dolore non dice granché sulla natura dello stimolo che l’ha provocato (c’è ben poca differenza fra la sensazione di dolore provocata da un’abrasione e quella che si ha sfiorando una pianta d’ortica). Gli antichi Greci ritenevano che i dolore fosse un’emozione, non una sensazione. La registrazione elettrica effettuata su singole fibre sensoriali negli animali ci dice quali sono le risposte a stimoli che possono causare o minacciare un danno ad un tessuto – stimolazioni meccaniche intense come dei pizzicotti, calore intenso, ed una varietà di stimoli chimici. Ma questi esperimenti non ci dicono nulla di concreto su quale sia l’esperienza sog-
gettiva. Le tecniche della biologia molecolare hanno ora rilevato le caratteristiche e la struttura di un gran numero di nocicettori. Questi includono i recettori che rispondono a temperature che superano i 46 °C, all’acidità del tessuto e – un’altra sorpresa – all’ingrediente attivo del peperoncino. I geni per i recettori che rispondono a stimolazioni meccaniche intense non sono stati ancora identificati, ma devono pur esserci. Due classi di fibre afferenti dalla periferia rispondono a stimoli dolorosi: fibre mielinizzate relativamente veloci, dette fibre A (Adelta), e fibre molto lente e non mielinizzate, dette fibre C. Questi due gruppi di fibre nervose entrano nel midollo spinale, dove creano sinapsi con una serie di neuroni che proiettano fino alla corteccia cerebrale. Ciò avviene attraverso percorsi ascendenti paralleli, uno cui compete la localiz-zazione del dolore (simile alla via usata per il tatto), l’altro responsabile degli aspetti emozionali del dolore.
Vie ascendenti del dolore da una regione del midollo spinale (in basso), fino a diverse regioni del tronco dell’encefalo e della corteccia cerebrale, comporesa la corteccia anteriore del cingolo (ACC) e l’insula.
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Questo secondo percorso proietta verso aree decisamente differenti dalla corteccia somatosensoriale, che includono la corteccia anteriore del cingolo e la corteccia dell’insula. Negli esperimenti di imaging cerebrale che utilizzano l’ipnosi, è stato possibile separare la mera sensazione di dolore dalla “sensazione spiacevole” ad esso associata. I soggetti immergevano le mani in acqua bollente e subito posti sotto suggestione ipnotica per provare più o meno dolore, o a non provare un’emozione spiacevole mentre percepivano il dolore. Usando la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), si è scoperto che mentre si passava da un’intensità di dolore ad un’altra si aveva un’attivazione della corteccia somatosensoriale, mentre l’esperienza del dolore senza dispiacere era accompagnata da un’attivazione nel giro anteriore del cingolo.
Una vita senza dolore? Visto il desiderio comune di evitare tutto ciò che può provocare dolore, come l’appuntamento dal dentista, si potrebbe immaginare che una vita senza dolore sia fantastica. In realtà non è così, poiché una delle funzioni chiave del dolore è quella di insegnarci ad evitare le situazioni che possano provocare dolore stesso. I potenziali d’azione che dai nervi nocicettivi entrano nel midollo spinale danno origine a riflessi protettivi automatici, come il riflesso di ritrarre immediatamente un arto. Essi forniscono inoltre l’esatta informazione che consente di apprendere come evitare le situazioni pericolose o minacciose.
Un’altra funzione chiave del dolore è di inibire l’attività: quel periodo di pausa che consente la guarigione dopo il danneggiamento di un tessuto. Naturalmente, in alcune situazioni è necessario che l’attività e la reazione a scappare non vengano inibite. Per poter far fronte a queste situazioni, alcuni meccanismi psicologici si sono sviluppati per sopprimere o esaltare la sensazione del dolore. Il primo di questi meccanismi di modulazione ad essere scoperto è stato il rilascio di analgesici endogeni. Sotto una condizione di potenziale pericolo, come quella in cui si trova un soldato in battaglia, la sensazione del dolore è ridotta ad un livello sorprendentemente basso – probabilmente proprio perché vengono rilasciate queste sostanze. Esperimenti su animali hanno rivelato che la stimolazione elettrica di aree cerebrali come la sostanza grigia periacqueduttale, causa un marcato innalzamento della soglia del dolore e questo è dovuto alla mediazione di una via discendente dal ponte al midollo spinale.
Diversi neurotrasmettitori sono coinvolti in questo processo, inclusi oppioidi endogeni come la meta-encefalina. Il soppressore di dolore morfina agisce sugli stessi recettori su cui agiscono alcuni degli oppioidi endogeni. Il fenomeno opposto, ovvero l’aumento del dolore, è chiamato iperalgesia. Ad esso corrisponde un abbassamento della soglia del dolore, un aumento d’intensità dello stesso, ed a volte un aumento dell’area sulla quale il dolore viene percepito 22
e persino la possibilità di provare dolore senza che vi sia alcuna stimolazione dolorosa. Ciò può rappresentare un importante problema clinico. La iperalgesia coinvolge la sensibilità dei recettori periferici, oltre a complessi fenomeni a vari livelli delle vie ascendenti del dolore. Questi includono l’intera-zione di eccitazione ed inibizione mediate chimicamente. L’iperalgesia osservata in stati di dolore cronico risulta dall’aumento di eccitazione e dminuzione di inibizione. La causa è spesso dovuta a cambiamenti nella capacità di risposta dei neuroni che elaborano l’informazione sensoriale. Cambiamenti importanti avvengono nelle molecole dei recettori che mediano l’azione dei principali neurotrasmettitori. Nonostante i progressi nella comprensione dei meccanismi cellulari dell’iperalgesia, il trattamento del dolore cronico è ancora tristemente inadeguato.
Frontiere della ricerca
La Medicina tradizionale cinese usa la “agopuntura” per il sollievo dal dolore. Essa utilizza sottili aghi, che vengono inseriti sotto la pelle in punti precisi del corpo lungo quelli che sono chiamati meridiani, e vengono poi ruotati o fatti vibrare dalla persona che ha in cura il paziente. Questo metodo è efficace nell’alleviare il dolore ma, fino ad ora, nessuno è riuscito a spiegarne il motivo. Quarant’anni fa è stato creato in Cina un laboratorio per indagare i motivi dei risultati dell’agopuntura. Si è evidenziato che la stimolazione elettrica ad una determinata frequenza di vibrazione attiva il rilascio di oppioidi endogeni detti endorfine, come la meta-encefalina, mentre la stimolazione ad un’altra frequenza attiva un sistema sensibile alle dinorfine. Questo studio ha condotto allo sviluppo di una economica apparecchiatura per l’agopuntura (figura a sinistra) che può essere usata per attenuare il dolore al posto dei farmaci. Una coppia di elettrodi viene posizionata nei punti “Heku” sulla mano (figura a destra), un terzo elettrodo viene posto sull’area dolorante
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6 - La Visione
Gli esseri umani sono una specie altamente dipendente dal senso della visione, ed usano gli occhi costantemente per valutare il mondo circostante. Con occhi rivolti in avanti come gli altri primati, usiamo la visione per percepire quei molti aspetti del-l’ambiente che sono lontani dal nostro corpo. La luce è una forma di energia elettromagnetica che entra nei nostri occhi ed agisce sui fotorecettori posti
Esistono percorsi separati che raggiungono il ponte e la corteccia cerebrale per mediare diverse funzioni – rilevare e rappresentare il movimento, le forme, i colori ed altri caratteri distintivi del mondo visibile. Alcuni di questi meccanismi, ma non tutti, sono accessibili dalla nostra coscienza. Nella corteccia, i neuroni in una gran numero di aree visive distinte sono specializzati nel compiere diversi tipi di decisioni visive.
Luce sull’occhio
Schema dell’occhio umano. La luce che entra nell’occhio è messa a fuoco dal cristallino sulla retina, che si trova in fondo. I suoi recettori rilevano l’energia luminosa e, con un processo di trasduzione, generano i potenziali d’azione che viaggiano poi lungo il nervo ottico.
sulla retina. Questo dà l’avvio a processi attraverso i quali vengono generati impulsi neurali che attraversano i percorsi e le reti di quelle parti del cervello dedicate alla visione, o cervello visivo.
La luce entra nell’occhio attraverso la pupilla ed è fatta convergere, dalla cornea e dal cristallino, sulla retina che è posta sulla parete posteriore del-l’occhio. La pupilla è circondata da un’iride pigmentata che può espandersi o contrarsi, rendendo la pupilla più grande o più piccola al variare del livello di luce incidente. E’ naturale supporre che l’occhio si comporti come una macchina fotografica, che crea una sorta di “immagine” del mondo, ma questa è una metafora fuorviante sotto molti punti di… vista. Anzitutto, non esistono immagini statiche nella visione, poiché gli occhi si muovono in continuazione. Secondo, anche se un’immagine sulla retina fosse inviata come immagine al cervello, servirebbe allora una seconda persona – piccola pic24
cola, dentro il cranio - per vedere quest’altra immagine! Per evitare un’infinita catena di persone che si guardano nella testa senza avere ancora capito cosa stiano guardando, consideriamo il vero problema che il cervello visivo deve risolvere: come usare i messaggi criptati che arrivano dagli occhi per interpretare il mondo visibile e prendere decisioni su di esso.
La retina. La luce attraversa le fibre che danno origine al nervo ottico e una complessa rete di cellule (bipolari, amacrine, ecc.) per arrivare ai bastoncelli e ai coni, che si trovano nella parte posteriore della retina.
Una volta fatta convergere sulla retina, i 125 milioni di fotorecettori posizionati sulla superficie della retina rispondono alla presenza della luce che li colpisce generando minuscoli potenziali elettrici. Questi segnali passano per via sinaptica in una rete di cellule nella retina, attivando cellule gangliari retiniche i cui assoni si raggruppano formando il nervo ottico posto sull’altro lato della parete posteriore dell’occhio. Gli assoni entrano nel cervello, dove trasmettono i potenziali d’azione a differenti regioni visive con diverse funzioni.
Un esperimento sull’adattamento ai colori
Fissa lo sguardo sulla piccola croce che si trova in mezzo ai due cerchi più grandi, per almeno 30 secondi. Poi trasferisci lo sguardo sulla croce più in basso. I due cerchi “gialli” sembreranno di colori diversi. Puoi spiegartelo?
Molto si conosce di questa prima parte del meccanismo della visione. I fotorecettori più numerosi, detti bastoncelli, sono circa 1000 volte più sensibili alla luce degli altri, molto meno numerosi, detti coni. In maniera sommaria, si può dire che di notte si vede con i bastoncelli e di giorno con i coni. Esistono tre tipi di coni, sensibili a diverse lunghezze d’onda della luce. È una notevole semplificazione dire che i coni producono la visione a colori – ma sono essenziali per questo scopo. Se vengono sovra-esposti alla luce di un solo colore, i pigmenti dei coni si adattano per fornire un minore contributo alla nostra percezione di quel colore per un breve lasso di tempo (vedi Casella Sperimentale). Nel corso degli ultimi 25 anni, sono state fatte importanti scoperte sul processo di fototrasduzione (la conversione della luce in segnali elettrici nei bastoncelli e nei coni), sulle basi genetiche della cecità ad alcuni colori che è dovuta all’assenza di alcuni pigmenti, sulle funzioni delle 25
connessioni nella retina e sulla presenza di due tipi distinti di cellule gangliari. Circa il 90% di queste cellule sono molto piccole, mentre un altro 5% è costituito da cellule più grandi, dette di Tipo M, o magnocellulari. Vedremo in seguito che le anomalie nelle cellule di Tipo M possono essere all’origine di alcuni casi di dislessia (Capitolo 9).
Le vie nervose dagli occhi al cervello
I passi successivi nel processo visivo Il nervo ottico di ciascun occhio entra nel cervello. Le fibre di ciascun nervo si incontrano in una struttura detta chiasma ottico; metà di esse passa nell’emisfero opposto, e si unisce alla metà del nervo ottico che non è passata dall’altra parte. Assieme, questi fasci di fibre costituiscono i tratti ottici, che ora contengono fibre provenienti da ambedue gli occhi e che si dirigono (attraverso un intrico di cellule e sinapsi in una struttura chiamata nucleo genicolato laterale) verso la corteccia cerebrale. Questo è il luogo in cui vengono create le “rappresentazioni interne” dello spazio visibile che ci circonda. In modo analogo a quanto avviene per il tatto (Capitolo prece-
dente), la parte sinistra del mondo visibile viene rappresentata nell’emisfero destro, e la parte destra nell’emisfero sinistro. La rappresentazione neurale viene fatta a partire da informazioni provenienti da ciascun occhio e quindi le cellule nelle aree visive poste nella parte posteriore del cervello (dette V1, V2, eccetera) possono reagire in risposta ad una immagine che provenga indifferentemente da un occhi o dall’altro. Questa capacità è nota come binocularità. La corteccia visiva è costituita da un certo numero di aree, ciascuna delle quali è dedicata ad uno degli aspetti del mondo visibile quali la forma, il colore, il movimento, la distanza, ecc. Le sue cellule sono organizzate in colonne. Un concetto importante riguardo la capacità reattiva delle cellule è quello del campo recettivo: la porzione di retina sulla quale le cellule rispondono ad un tipo di immagine piuttosto che ad un altro. In V1, ove avviene il primo stadio dell’elaborazione corticale, i neuroni rispondono meglio all’osservazione di linee o margini in un particolare orientamento. È stato importante scoprire che tutti i neuroni che compongono ogni singola colonna rispondono maggiormente a linee o margini con un specifico orientamento, mentre la colonna adiacente risponde meglio a linee o margini con un orientamento leggermente diverso dal precedente, e così via su tutta la superficie di V1. Questo significa che le cellule della corteccia visiva hanno un’organizzazione intrinseca per l’interpretazione del mondo, ma non è un’organizzazione che non cambia mai. La varietà di direzioni alla quale una singola cellula può essere reattiva viene modificata dall’esperienza attraverso i segnali che provengono dall’occhio destro o dall’occhio sinistro. Come per tutti i sistemi sensoriali, la corteccia visiva ma26
nifesta anch’essa quella capacità che abbiamo chiamato plasticità.
Frontiere della ricerca Puoi vedere se sei cieco? Certamente no. La scoperta della presenza di più aree visive, però, ha mostrato come alcune capacità visive si attuino in modo inconsapevole. Persone che hanno un danno esteso alla corteccia visiva primaria (V1) riferiscono di non poter vedere gli oggetti presenti nel loro campo visivo ma, se viene loro chiesto di pren-dere un oggetto che non possono vede-re, lo fanno con notevole accuratezza. Questo curioso e affascinante fenomeno è noto come “visione cieca” ed è probabilmente mediato da connessioni parallele che vanno dagli occhi ad altre regioni, integre, della corteccia cerebrale.
Le registrazioni elettriche effettuate da David Hubel e Tornsten Wiesel hanno rivelato alcune caratteristiche affascinanti delle cellule della corteccia visiva. Fra queste vi sono la selettività all’orientamento dello stimolo, la loro ordinata organizzazione colonnare e la plasticità dell’intero sistema. Queste scoperte hanno portato alla assegnazione del Premio Nobel.
Non riconoscere le cose che si vedono è un fenomeno comune nella vita di tutti i giorni delle persone normali. Se si chiacchiera con un passeggero mentre si guida l’auto, la propria attenzione può essere interamente diretta verso la conversazione, ma si continua a guidare correttamente, fermandosi ai semafori ed evitando gli ostacoli. Questa capacità riflette un certo tipo di visione cieca funzionale.
L’intricata circuiteria della corteccia visiva è uno dei grandi rompicapo che hanno incuriosito i neuroscienziati. Differenti tipi di neuroni sono disposti in sei strati corticali, connessi a formare precisi circuiti locali che solo ora stiamo iniziando a comprendere.
in cui ciascuna informazione elementare del cervello visivo fornisce un’interpretazione dei diversi aspetti del mondo visivo. Inoltre, gli studi sulle illusioni ottiche hanno dato spunti sul tipo di processi che potrebbero avvenire passo per passo nell’analisi visiva.
Alcune delle connessioni sono eccitatorie ed altre inibitorie. Qualche neuroscienziato ha proposto l’ipotesi che esistano microcircuiti corticali canonici – come i circuiti integrati all’interno di un computer. Non tutti sono d’accordo. Ora si ritiene che la circuiteria in un’area visiva abbia notevoli somiglianze con quella in un’altra, ma potrebbero esserci sottili differenze che riflettono i diversi modi
Le strisce di questa famosa decorazione di un caffé di Bristol (a sinistra) sono perfettamente rettangolari, ma non sembrano tali. La disposizione degli elementi verticali crea 27
una illusione causata da complesse interazioni eccitatorie e inibitorie fra i neuroni che elaborano le linee e i contorni. Il Triangolo di Kanizsa (a destra) in realtà non esiste, ma ciò non impedisce di vederlo. Il sistema visivo “decide” che un triangolo bianco si trova al di sopra degli altri oggetti della scena.
Decisione e Indecisione Una funzione chiave della corteccia cerebrale è la capacità di mettere assieme informazioni sensoriali provenienti da diverse fonti ed elaborarle. L’abilità di prendere una decisione è una parte critica di questa capacità. Questa è la parte del processo che ha a che fare con il pensiero e il confronto con elementi noti, o “processo cognitivo”. I dati sensoriali disponibili devono essere soppesati ed elaborati per formulare la scelta (ad esempio, muoversi o restare fermi) che meglio si adatti alla circostanza nel modo migliore possibile. Vi sono decisioni complesse che richiedono un ragionamento poderoso ed altre che possono essere semplici ed automatiche. Persino le decisioni più semplici possono coinvolgere la collaborazione fra le informazioni sensoriali e ciò che già si sa. Un modo per cercare di comprendere le basi neurali del processo di decisione potrebbe essere quello di registrare l’attività dei neuroni di una persona durante le sue normali attività quotidiane. Potremmo immaginare di essere in grado di registrare, con una precisione di un millisecondo, l’attività di ognuno dei 1011 neuroni del cervello. In questo mo do, non solo avremmo una quantità ingestibile di dati, ma anche il compito di doverli interpretare, il che complicherebbe ulteriormente le cose. Per capire il perché, si pensi un istante al motivo per cui le persone compiono certe operazioni.
Una persona che vediamo camminare in una stazione ferroviaria potrebbe trovarsi là per prendere un treno, incontrare qualcuno che sta arrivando, o persino per fare dei graffiti sui vagoni. Senza sapere quali siano le sue intenzioni, potrebbe risultare decisamente difficile interpretare le correlazioni fra qualsiasi modalità di attivazione nel suo cervello ed il suo comportamento. Per questo motivo, ai neuroscienziati piace valutare il comportamento in situazioni tenute sotto un preciso controllo sperimentale. Questo può essere ottenuto mettendo a punto un compito specifico, assicurandosi che i soggetti umani lo eseguano al meglio delle loro possibilità dopo un intenso allenamento, e poi tenere sotto controllo l’esecuzione del
Solo macchie nere? All’inizio è difficile riconoscere bordi e superfici in questa immagine, ma una volta che si sa che si tratta di un cane dalmata, l’immagine “salta fuori”. Il cervello visivo usa le proprie rappresentazioni per interpretare le scene fornite dai sensi.
compito. Il compito meglio configurato deve avere la caratteristica di essere sufficientemente complesso da essere interessante, ma anche sufficientemente semplice da offrire la possibilità di es28
sere seguito per capire cosa stia succedendo. Un buon esempio è costituito dal processo di prendere una decisione sulle caratteristiche di due stimoli visivi – generalmente non più di due – e fornire una semplice risposta (ad esempio, quale sorgente luminosa è più intensa, o quale la più estesa). Benché si tratti di un compito semplice, ad esso si accompagna un ciclo completo di processo decisionale. L’informazione sensoriale viene acquisita ed analizzata; vi sono risposte corrette e sbagliate per la decisione che viene presa; si può pensare di assegnare una ricompensa a seconda che il compito venga eseguito in maniera corretta o meno. Questo tipo di ricerca è una sorta di “fisica della visione”
essa eseguiva una semplice decisione sul percorso di un insieme di punti in movimento. La maggior parte dei punti veniva fatta muovere in maniera casuale in diverse direzioni, mentre solo alcuni si spostavano costantemente in una stessa direzione – verso l’alto, verso il basso, a destra o a sinistra. L’osservatore doveva giudicare quale fosse la direzione del movimento preferenziale di tutto l’insieme. Il compito poteva essere reso molto semplice aumentando la percentuale di punti che si muovevano uniformemente, o più difficile riducendo questa percentuale.
Decisioni sul Movimento e i Colori Un argomento di grande interesse attuale è come i neuroni siano coinvolti nel prendere decisioni sulla visione del movimento. Sapere se un oggetto si sta muovendo o no, ed in quale direzione, è importante per gli esseri umani e per tutti gli altri esseri viventi. Il movimento relativo indica generalmente che un oggetto è differente da quelli che gli stanno attorno. Le regioni del cervello visivo che sono coinvolte nella elaborazione delle informazioni sul movimento possono essere identificate come regioni anatomicamente distinte esaminando i percorsi delle fibre e le connessioni fra le aree cerebrali mediante te-cniche di imaging cerebrale nell’uomo (Capitolo 14) e registrando l’attività di singoli neuroni negli altri animali. L’attività elettrica dei neuroni in una di queste aree, detta area MT o anche V5, è stata registrata nella scimmia, mentre
Il cubo di Necker si inverte percettivamente. L’immagine sulla retina non cambia, ma il cubo può essere visto con l’angolo in alto a sinistra sia vicino all’osservatore sia in profondità. A volte, ma raramente, può anche essere visto come una serie di linee che si incrociano su una superficie piana. Esistono molti tipi di figure reversibili, alcune delle quali sono state utilizzate per esplorare i segnali nervosi che vengono coinvolti quando il cervello visivo prende decisioni su quale configurazione sia dominante in ogni momento.
Il risultato di questo esperimento è che l’attività delle cellule in V5 riflette accuratamente l’intensità del segnale for29
Sensibilità al movimento. A. Vista laterale del cervello di scimmia con la corteccia visiva primaria (V1) a sinistra e l’area MT (chiamata anche V5) dove si trovano i neuroni sensibili al movimento. B. Attività elettrica (potenziali d’azione: linee verticali) di un neurone sensibile al movimento di uno stimolo (barra bianca) che si muove da sud-est a nord-ovest, ma non in direzione opposta. C. Stimoli utilizzati negli esperimenti sulla sensibilità al movimento, dove i cerchietti si muovono in tutte le direzioni (0% di coerenza) o in una sola direzione (100% di coerenza). D. La capacità della scimmia di indicare la più probabile direzione dei cerchietti aumenta con la coerenza del loro movimento (linea gialla). La microstimolazione elettrica delle colonne di diverso orientamento sposta la linea della stima della direzione preferita (linea blu).
nito dal movimento uniforme. I neuroni in quest’area rispondono selettivamente a particolari direzioni di movimento, aumentando sistematicamente ed accuratamente la loro attività quando aumenta la percentuale di punti che si spostano nella direzione preferenziale delle cellule neurali. Sorprendentemente, alcuni singoli neuroni riescono ad identificare il movimento dei puntini come fa un osservatore, sia esso una scimmia o un essere umano, compiendo una scelta decisionale. La microstimolazione di questi neuroni attraverso l’elettrodo che si usa normalmente per la registrazione può persino influenzare il giudizio della scimmia sullo spostamento relativo. Questo è notevole,
poiché un gran numero di neuroni è sensibile alla osservazione del movimento e ci si potrebbe aspettare che la decisione sia basata sull’attività di molti neuroni anziché solo di pochi. Le decisioni prese sul colore procedono in maniera simile (vedi la casella sulle Frontiere della Ricerca).
Vedere per Credere L’area V5 fa qualcosa di più della sola ricognizione del movimento di uno stimolo visivo, essa registra anche la percezione del movimento. Usando alcuni trucchi visivi per far sembrare che un gruppo di 30
puntini si stia spostando in una direzione muovendo opportunamente i puntini circostanti, dunque fornendo l’illusione del movimento, si osserva che i neuroni corrispondenti all’area dell’illusione inviano segnali differenti se lo spostamento illusorio è percepito verso sinistra o verso destra. Se il movimento è completamente casuale, i neuroni che normalmente preferiscono lo spostamento verso destra si attiveranno un po’ di più se l’osservatore riferisce che il movimento casuale dei puntini sembra andare complessivamente verso destra (e viceversa). Le differenze fra le decisioni neuronali di “movimento verso destra” o “verso sinistra” riflettono il giudizio dell’osservatore sulla modalità del moto, non la natura assoluta del moto che viene presentato. Altri esempi di decisione o indecisione visiva includono le reazioni alla percezione di oggetti veramente ambigui, come il cosiddetto cubo di Necker (vedi Figura). Con questo tipo di stimolo, l’osservatore è posto in uno stato forzato di indecisione e fluttua continuamente fra un’interpretazione ed un’altra. Un simile conflitto interiore si può sperimentare guardando un gruppo di linee verticali con l’occhio sinistro mentre con l’occhio destro si guardano delle linee orizzontali. La percezione risultante è detta rivalità binoculare, poiché l’osservatore riferisce inizialmente di vedere soprattutto linee verticali, poi orizzontali e poi nuovamente verticali. Di nuovo, i neuroni in diverse aree della corteccia visiva reagiscono diversamente quando la percezione dell’osservatore cambia da orizzontale a verticale e viceversa.
occhi ci permette di apprezzare il mondo intorno a noi, dalla semplicità di certi oggetti alle opere d’arte che ci abbaglia-
Colin Blakmore ha contribuito alla comprensione di come il sistema visivo si sviluppi, compiendo studi pionieristici con culture cellulari per studiare le interazioni fra porzioni diverse delle vie nervose nel cervello dell’embrione (a sinistra). A destra sono mostrati assoni (colorati in verde) che scendono dalla corteccia verso altre fibre (colorate in arancione) e che “si stringono la mano” prima di salire verso la corteccia.
no ed incantano. Milioni e milioni di neuroni sono coinvolti, con diversi ruoli che vanno dal fotorecettore retinico che risponde ad un puntino luminoso al neurone in area V5 che decide se qualcosa nel mondo visibile si sta muovendo. Tutto ciò avviene apparentemente senza sforzo nel nostro cervello. Non siamo ancora in grado di capire tutto questo, ma i neuroscienziati ci stanno lavorando e progrediscono a grandi passi.
Il nostro mondo visibile è un posto affascinante. La luce che entra negli 31
Frontiere della ricerca Cellule sensibili ai colori. Alcuni neuroni mostrano attività elettriche diverse a seconda della lunghezza d’onda della luce. Alcuni rispondono meglio alle onde lunghe, altri a quelle corte. Si potrebbe pensare che ciò sia sufficiente a percepire i colori, ma non è sempre così. Si paragoni l’attività della cellula a sinistra con quella della cellula a destra. Qual’è la differenza? Sotto è riportata una rappresentazione ragionata di uno sfondo colorato chiamato Mondrian (dall’artista Peter Mondrian). Può essere illuminato con differente combinazioni di onde lunghe, medie e corte, così che ogni pannello colorato rifletta esattamente la stessa miscela luminosa: ciò nonostante si continuerebbero a percepire colori diversi a causa della presenza dei pannelli circostanti.
Sinistra. La cellula a sinistra, registrata Destra. Una vera cellula sensibile ai colori
in V1, risponde più o meno allo stesso modo in tutti i casi. Non “percepisce” i colori: semplicemente risponde alle identiche miscele di lunghezze d’onda riflesse da ciascun pannello.
dell’area V4 risponde bene a un’area del Mondrian che viene percepita rossa, ma molto meno agli altri pannelli. La diversità di risposta si verifica anche quando la stessa tripletta di lunghezze d’onda è riflessa da ciascun pannello. V4 può quindi essere la parte del cervello che consente di percepire i colori, anche se alcuni neuroscienziati ritengono che non sia l’unica.
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7 - Il Movimento
Pensate di afferrare un pallone. Sembra facile, ma anche per eseguire questo semplice movimento il cervello deve compiere alcuni notevoli passaggi. Noi diamo tutto per scontato, eppure serve una certa pianificazione: il pallone sarà leggero o pesante? Da quale direzione sta arrivando e con quale velocità? Serve anche una certa coordinazione: come si fa a coordinare automaticamente le braccia per afferrarlo e quale sarà il modo migliore per farlo? Occorre inoltre eseguire il movimento: riusciranno le braccia ad arrivare in tempo nel posto giusto e le dita a chiudersi al momento opportuno? I neuroscienziati ora sanno che sono molte le aree del cervello coinvolte. L’attività neurale in queste aree si combina per formare una lunga catena di comandi – una gerarchia motoria – dalla corteccia motoria ed i gangli della base al cervelletto ed al midollo spinale.
La Giunzione Neuromuscolare All’estremo inferiore della catena gerarchica del movimento, il midollo spinale, centinaia di migliaia di cellule nervose specializzate dette motoneuroni aumentano la frequenza della loro attività elettrica. Gli assoni di questi neuroni proiettano verso i muscoli dove attivano
le fibre muscolari contrattili.
Per far contrarre i muscoli, i nervi formano contatti specializzati con ogni singola fibra muscolare, a livello delle giunzioni neuromuscolari. Man mano che si sviluppano, più fibre nervose si dirigono verso ciascuna fibra muscolare ma, a causa della competizione fra neuroni, vengono tutte eliminate, tranne una. La fibra che rimane rilascia il suo neurotrasmettitore acetilcolina su molecole recettrici specializzate nella “placca muscolare” (in rosso). L’immagine è stata ottenuta con un microscopio confocale.
I rami terminali degli assoni di ciascun motoneurone formano giunzioni neuromuscolari specializzate con un numero limitato di fibre muscolari su ogni muscolo (vedi Figura). Ciascun potenziale d’azione in un motoneurone causa il rilascio di un neurotrasmettitore dalle terminazioni nervose e genera un corrispondente potenziale d’azione nelle fibre muscolari. Questo provoca il rilascio di ioni Ca++ da parte di opportuni magazzini intracellulari localizzati in ciascuna fibra muscolare. Conseguentemente si ha l’inizio della contrazione muscolare, che produce la forza ed il movimento.
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piuttosto particolare, perché coinvolge solo due tipi di cellule nervose – i neuroni sensoriali che rilevano l’allungamento del muscolo, connessi attraverso sinapsi ai motoneuroni che ne causano la contrazione. Un esperimento sul movimento. Registrazione dell’attività elettrica (elettromiogramma, EMG) di un muscolo durante la sua contrazione.
Gli eventi elettrici nei muscoli del braccio possono essere registrati con un amplificatore, anche attraverso la pelle, e queste registrazioni elettromiografiche (EMG) possono esser utilizzate per misurare il livello di attività in ciascun muscolo (vedi Figura).
Le sette regioni del cervello coinvolte nel movimento.
Il midollo spinale gioca un ruolo importante nel controllo dei muscoli attraverso un gran numero di diversi percorsi riflessi. Fra questi c’è il riflesso di ritrazione che ci protegge dagli oggetti appuntiti o incandescenti, ed il riflesso di estensione che ha un ruolo nella postura del corpo. Il ben noto riflesso del “martelletto” è un esempio di riflesso di estensione
Chi è che mi muove? Fai questo esperimento con un amico. Metti un libro pesante sul palmo della tua mano destra. Adesso solleva il libro con la mano sinistra. Devi riuscire a tenere ferma la mano destra. Ti sembrerà facile. Adesso prova di nuovo, tenendo la mano con il libro assolutamente ferma mentre il tuo amico lo solleva. Poche persone ci riescono. Non ti preoccupare: bisogna provare molte volte, prima di avvicinarsi a quanto ti è stato facile farlo da solo. Questo esperimento dimostra che le aree sensitivo-motorie del tuo cervello conoscono meglio quello che fai interamente da solo che quando sono altri ad avviare le tue azioni. Questi riflessi si combinano con altri più complessi, in circuiti spinali che organizzano comportamenti più o meno completi, come il movimento ritmico degli arti quando camminiamo o corriamo. Questo coinvolge l’eccitazione e la inibizione coordinata dei motoneuroni. I motoneuroni sono la via finale comune verso i muscoli che muovono le nostre ossa. Il cervello ha notevoli problemi nel controllare l’attività di queste cellule. Quali muscoli deve far muovere per compiere una qualsiasi particolare azione, per quanto ed in che ordine?
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Il vertice della gerarchia – la corteccia motoria All’opposto dell’estremità inferiore della gerarchia motoria, nella corteccia cerebrale, uno sconcertante numero di calcoli deve essere eseguito in ogni istante da molte decine di migliaia di cellule per ciascuna componente del movimento. Questi calcoli garantiscono che il movimento venga eseguito con abilità e precisione. A metà strada fra la corteccia cerebrale ed i motoneuroni del midollo spinale, alcune aree di estrema importanza nel tronco cerebrale combinano le informazioni, riguardanti gli arti e i muscoli, che salgono dal midollo spinale con le informazioni che discendono dalla corteccia cerebrale. La corteccia motoria è un sottile foglio di tessuto che si estende sulla superficie del cervello, esattamente davanti alla corteccia somatosensoriale (vedi il capitolo 5). Qui si trova una completa mappa del corpo: le cellule nervose che causano il movimento nei differenti arti (attraverso connessioni con i motoneuroni situati nel midollo spinale) sono organizzate topograficamente. Usando un elettrodo per la registrazione, si possono ritrovare in ogni parte di questa mappa neuroni che sono attivi circa 100 millisecondi prima che inizi l’attività nei muscoli appropriati. Che cosa venga codificato nella corteccia motoria è stato a lungo argomento di discussione – chiedendosi se le cellule nella corteccia codificano l’azione che una persona vuole eseguire o i singoli muscoli che devono essere con-
tratti per eseguirla. La risposta a questa domanda è risultata essere un po’ inattesa: i singoli neuroni non si occupano di nessuna di queste due attività. Il meccanismo utilizzato è una codifica di popolazione in cui le azioni sono specificate dalla compartecipazione attiva di un insieme di neuroni. Anteriormente alla corteccia motoria si estendono le importanti aree premotorie che sono coinvolte nella progettazione delle azioni, nella preparazione al movimento dei circuiti spinali , ed in processi che stabiliscono collegamenti fra la visione delle azioni e la comprensione della gestualità. Nuovi studi hanno portato alla notevole scoperta dei neuroni specchio, che nelle scimmie rispon-dono sia quando il primate vede il movimento di una mano sia quando è esso stesso a muoverla. I neuroni specchio sembrano essere importanti per le facoltà imitative e per comprendere le azioni. Posteriormente alla corteccia motoria, nella corteccia parietale, un certo numero di aree differenti è coinvolto nella rappresentazione spaziale del corpo e degli elementi visibili e sonori che ci circondano. Queste aree sembrano contenere una mappa di dove si trovano i nostri arti, e di dove sono situati obiettivi interessanti intorno e rispetto a noi. Danni a queste aree, ad esempio dopo un ictus, possono causare una perdita dell’abilità di raggiungere un oggetto o persino non riuscire a vedere o percepire una parte di ciò che ci sta attorno. Pazienti che soffrono di un cosiddetto neglect parziale non riescono a notare la presenza di oggetti
“... i neuroni specchio faranno per la psicologia quello che il DNA ha fatto per la biologia: forniranno una visione unificata e aiuteranno a spiegare una quantità di capacità mentali che sono ancora misteriose e inaccessibili alla sperimentazione” V.S. Ramachandran 35
(spesso se posti alla loro sinistra) ed alcuni ignorano persino la parte sinistra del proprio corpo.
I Gangli della Base I gangli della base sono un agglomerato di aree interconnesse localizzate al di sotto della corteccia nelle profondità degli emisferi cerebrali. Essi sono cruciali per poter iniziare un movimento, anche se il modo in cui agiscono è ancora poco chiaro. I gangli della base sembrano agire come un complesso filtro, che seleziona le informazioni nella mischia dell’enorme numero di diversi impulsi che ricevono dalla metà anteriore della corteccia (le regioni sensoriale, motoria, prefrontale e limbica). Ciò che è analizzato dai gangli della base viene rispedito alle aree della corteccia motoria. Una malattia piuttosto diffusa del sistema motorio umano, il morbo di Parkinson, è caratterizzata da tremori e dall’inabilità ad iniziare un movimento. È come se il filtro selettivo nei gangli della base fosse bloccato. Il problema è identificato nella degenerazione dei neuroni in un’area del cervello chiamata substantia nigra (il nome deriva dal fatto che appare di colore molto scuro), i cui lunghi assoni rilasciano il neurotrasmettitore dopamina nei gangli della base (vedi la casella Frontiere della Ricerca). La precisa disposizione degli assoni che rilasciano dopamina sui neuroni bersaglio nei gangli della base è piuttosto intricata, suggerendo un’importante interazione fra diversi neurotrasmettitori. Il trattamento con il farmaco L-Dopa, che è convertito in dopamina nel cervello, ripristina i livelli di dopamina e consente nuovamente il movimento (vedi Capitolo
16). I gangli della base sono anche ritenuti importanti per l’apprendimento, consentendo la selezione di azioni che portino ad una gratificazione.
Il Cervelletto Il cervelletto è essenziale per i movimenti che richiedono abilità e coerenza. Si tratta di una meravigliosa
macchina neuronale la cui intricata architettura cellulare è stata mappata con grande dettaglio. Come i gangli della base, esso è interconnesso estensivamente con le aree corticali coinvolte nel controllo del movimento, ed anche con le strutture del tronco cerebrale. Danni al cervelletto causano una riduzione della coordinazione motoria, perdita dell’equili-brio, difficoltà di parola, ed anche un certo numero di difficoltà cognitive. Tutto questo suona familiare? L’alcol ha un potentissimo effetto sul cervelletto.
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Il cervelletto è inoltre vitale per l’apprendimento motorio e l’adattabilità dei movimenti. Quasi tutte le azioni volontarie si basano sul controllo fine dei circuiti motori, ed il cervelletto è importante per la loro regolazione ottimale – ad esempio nel caso della temporizzazione
Frontiere della ricerca
Una storia inaspettata sulla dopamina.
Cellula del Purkinje del cervelletto, con la estesa “arborizzazione” dei suoi dendriti. Essa serve a ricevere la miriade di impulsi necessari per la precisa temporizzazione dei movimenti di abilità che impariamo.
dei gesti. La sua struttura corticale è molto regolare, e sembra essersi evoluto per far conver-gere grandi quantità di informazioni dal sistema sensoriale, le aree corticali motorie, il midollo spinale
La chimica che sottostà alle azioni e alle abitudini coinvolge il neurotrasmettitore dopamina, che è rilasciato sui neuroni dei gangli della base, dove agisce su recettori metobotropici (cap. 3). Viene utilizzato sia come incentivo all’azione che come ricompensa per le azione svolte in modo appropriato. Una scoperta inaspettata è che il rilascio di dopamina è maggiore quando la ricompensa è imprevista. In altre parole, l’attività dei neuroni dopaminergici è molto elevata a uno stadio dell’appren-dimento quando è particolarmente utile fornire un forte rinforzo al sistema motorio per aver prodotto la giusta attività. I movimenti possono così essere raccolti insieme nella sequenza appropriata tramite la liberazione di successive ondate di dopamina. Successivamente, in particolare se movimenti complessi diventano abitudinari, il sistema lavora liberamente senza più la ricompensa dopaminergica. A questo punto, sopratutto se il movimento deve essere accuratamente temporizzato, inizia il ruolo del cervelletto.
e il tronco cerebrale. L’acquisizione di abilità motorie dipende da un meccanismo di apprendimento cellulare chiamato “depressione a lungo termine” (LTD), che riduce l’intensità di alcune connessioni sinaptiche (vedi il capitolo sulla Plasticità).
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Esistono molte teorie sulla funzione del cervelletto: alcune esprimono l’idea che esso generi un “modello” di come il sistema motorio lavora – una sorta di simulatore di realtà virtuale del vostro corpo nella vostra testa. Il cervelletto costruirebbe questo modello usando la plasticità sinaptica che è intrinseca al suo complicato intreccio. Allora, prova ad afferrare nuovamente il pallone, e capirai che quasi tutti i livelli della tua gerarchia motoria sono coinvolti – dalla pianificazione dell’azio-ne in relazione all’obiettivo visivo, alla programmazione del movimento degli arti, alla corretta posizione del braccio. A tutti questi livelli, avrai certamente bisogno di integrare l’informazione sensoriale con il fiume di segnali che vanno ai tuoi muscoli.
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8 - Lo Sviluppo del Sistema Nervoso La struttura di base del cervello è virtualmente identica da persona a persona ed è abbastanza simile in tutti i mammiferi. È determinata principalmente da fattori genetici, ma i piccoli dettagli delle connessioni sono influenzati dall’attività elettrica del cervello, specialmente nei primi anni di vita. La sua complessità è tale che siamo ancora lontani da una comprensione completa di come il cervello si sviluppi, anche se delle chiare indicazioni sono emerse in anni recenti grazie alla rivoluzione genetica.
Prendi un uovo fertilizzato e segui le istruzioni Il corpo umano ed il suo cervello si sviluppano da una singola cellula: l’uovo fertilizzato. Ma come fanno? Il principio cardine della biologia evolutiva è che il genoma è un insieme di istruzioni per creare un organo del corpo, non un progetto dettagliato. Il genoma è l’insieme di circa 40.000 geni che orchestrano questo processo. Eseguire queste istruzioni è un po’ come piegare un foglio secondo l’antica arte cinese – un limitato numero di operazioni di piegatura produce una struttura che per essere descritta nel dettaglio con un disegno richiede-rebbe un gran numero di fogli. Iniziando dall’embrione, un insieme comparabilmente limitato di istruzioni genetiche è in grado di
La placca neurale si piega per formare il tubo neurale. A: Un embrione umano a tre settimane dal concepimento. B: La placca neurale forma la parte superiore (dorsale) dell’embrione. C: Pochi giorni dopo, l’embrione sviluppa le pie-ghe più ampie per la testa all’estremità frontale (anteriore). La placca neurale resta aperta sia all’estremità in testa sia in coda ma si è chiusa nella parte centrale. D, E, F: I differenti livelli dell’asse dalla testa alla coda eviden-ziano diverse fasi della chiusura del tubo neurale. 39
generare l’enorme diversità di cellule e connessioni del cervello durante lo
sviluppo. Sorprendentemente, abbiamo molti geni in comune con il moscerino della frutta, la Drosofila. In verità, la maggior parte dei geni importanti per il sistema nervo-so umano è stata scoperta inizialmente grazie a studi sul moscerino della frutta. Per studiare lo sviluppo del cervello i neuroscienziati esaminano una gran varietà di animali – il pesciolino zebra-fish (danio rerio o pesce juventino), la rana, il pulcino e il topo – ciascuno dei quali è vantaggioso per esaminare parti-colari eventi molecolari o cellulari. L’embrione di zebrafish è trasparente, e questo consente di vedere al microscopio ogni cellula
Morfogenesi del cervello umano fra 4 (A) e 7 (D) settimane dal concepimento. Differenti regioni si espandono e vi sono varie piegature lungo l’asse testa-coda.
durante lo sviluppo. I topi si 40
riproducono rapidamente, ed il loro ge-noma è stato mappato e sequenziato qua-si completamente. I pulcini e le rane sono meno utili per gli studi genetici, ma i loro embrioni di grosse dimensioni con-sentono manipolazioni microchirurgiche – come la sperimentazione su cosa succede se alcune cellule vengono spostate in po-sizioni diverse da quelle originali.
Primi passi… Il primo passo nello sviluppo del cervello è la divisione cellulare. Un altro passo fondamentale è la differenziazione cel-lulare durante la quale alcune cellule smettono di dividersi ed assumono speci-fiche caratteristiche – ad esempio, i neuroni o le cellule gliali. La differenzia-zione causa una riorganizzazione spazia-le. Differenti tipi di neuroni migrano verso le loro varie collocazioni in un processo noto come “formazione della trama”, come un tessuto. Il primo evento saliente della formazione della trama inizia nell’embrione umano durante la terza settimana di gestazione, quando l’embrione è costituito solo da due fogli di cellule che si stanno dividendo. Una piccola toppa di cellule sulla superficie superiore di questo doppio strato ha le istruzioni per creare l’intero cervello ed il midollo spinale. Queste cellule formano una struttura simile ad una racchetta da tennis, detta placca neurale, la cui parte anteriore è destinata a formare il cervello, la parte posteriore il midollo spina-le. I segnali che segnano il destino di queste cellule provengono dallo strato sottostante che andrà a formare lo scheletro e i muscoli dell’embrione.
Molte regioni del sistema nervoso primordiale esprimono diversi sottogrup-pi di geni, che preparano la formazione delle aree cerebrali – cervello anteriore, bulbo e ponte – con architetture cellulari e funzioni distinte.
Rotoliamo oltre Una settimana dopo, la placca neurale si arrotola su se stesso chiudendosi come un tubo ed inserendosi nell’embrione, do-ve viene avvolta dalla futura epidermide. Nelle settimane immediatamente successive avvengono ulteriori profondi cambiamenti, incluse variazioni nella forma delle cellule, divisioni, migrazioni e adesione fra cellule. Ad esempio, il tubo neurale si piega in modo tale che la regione della testa sia curvata ad angolo retto rispetto alla regione del tronco. Questo modellamento prosegue con livelli sempre più raffinati di risoluzione, fino a conferire un’identità individuale ai giovani neuroni. A volte le cose vanno male. Un’errata chiusura del tubo neurale porta alla spina bifida, una condizione che generalmente riguarda solo il tratto finale del midollo spinale. È certamente disabilitante, ma non mette in pericolo di vita. Al contrario, un’errata chiusura del tubo neurale dalla parte della testa può portare alla completa assenza di un cer-vello organizzato, una condizione nota come anencefalia.
Conosci il tuo posto nella vita Il principio non dichiarato del modellamento è che le cellule vengono a sapere qual è la loro posizione rispetto agli assi 41
principali del sistema nervoso – anteroposteriore e dall’alto verso il basso. In effetti, ciascuna cellula misura la propria posizione rispetto a queste coordinate ortogonali come chi consulta di una mappa determina la propria posizione misurando la propria distanza da alcuni punti fissi. Questo funziona a livello molecolare grazie al fatto che l’embrione crea un certo numero di zone polarizzate che sono localizzate nel tubo neurale e secernono molecole che fungono da segnale. In ogni caso, queste molecole diffondono dalla loro sorgente creando dei gradienti di concentrazione che dipendono dalla distanza. Un esempio di questo meccanismo dipendente dalla posizione è l’asse dorsoventrale (dall’alto in basso) del midollo spinale. La parte inferiore del tubo neurale secerne una proteina con un nome fantastico – Sonic hedgehog, il nome di un popolare porcospino superve-loce dei cartoni animati. Questo porco-spino si propaga dal pavimento della plac-ca e interagisce con cellule poste sull’as-se dorsoventrale in maniera proporzio-nale alla loro distanza dal pavimento della placca stessa. Quando si chiude su se stesso, il porcospino Sonic induce l’espressione di un gene che crea un particolare tipo di interneurone. In seguito, la concentrazione ora ridotta di porcospini Sonic induce l’espressione di un altro gene che crea i motoneuroni.
Resta dove sei o sappi dove vai Quando un neurone acquisisce la propria identità individuale e smette di dividersi, inizia a prolungare il suo assone a partire da una punta allargata detta cono di crescita. Quasi come un’agile guida di montagna, il cono di crescita è specializzato nello spostamento lungo il tessuto, usan-
do le sue capacità per scegliere una via
Vari tipi di guide che i neuroni (in blu) incon-trano estendendo i loro assoni e i coni di crescita (attività elettrica alle estremità). Sostanze sia locali che distanti possono at-trarre (+) o respingere (-) il cono di
favorevole. Nel fare questo, si tira dietro l’assone come un cane con un guinzaglio estendibile. Quando raggiunge il suo obiettivo, il cono di crescita perde la capacità di muoversi e forma una sinapsi. Il controllo (o guida) assonale è una for-midabile proprietà di navigazione, accu-rata per distanze sia brevi che lunghe. È inoltre un processo decisamente ben pensato, poiché non solo la cellula bersa-glio viene raggiunta con gran precisione ma, per arrivarci, il cono di crescita può dover superare altri coni di crescita che si stanno muovendo in diverse direzioni. Lungo il percorso, opportuni suggerimen-ti direzionali che attraggono (+) o re-spingono (-) i coni di crescita li aiutano a trovare la loro strada, anche se i mecca-nismi molecolari che sono responsabili di regolare l’espressione di questi suggeri-menti resta poco compreso.
Scolpire con l’attività elettrica 42
Anche se si è già raggiunto un notevole grado di precisione sia nella sistemazione spaziale dei neuroni sia nella loro connettività rispetto alle fasi iniziali, in una fase ulteriore la connessione di alcune parti del sistema nervoso è soggetta a un raffinamento dipendente dall’attività, come la potatura di assoni e la sop-pressione di neuroni. Queste perdite potrebbero sembrare uno spreco di risorse, ma non è sempre possibile o desiderabile creare un cervello completo e perfetto solo seguendo i piani di costruzione. L’evoluzione può sembrare un po’ maneggiona, ma è anche uno scul-tore. Per esempio, la mappatura punto per punto fra i neuroni negli occhi ed il cervello, assolutamente indispensabile per una corretta visione, si ottiene in parte grazie al fatto che l’attività elet-trica nella retina avviene punto per pun-to come fosse la trama di un tessuto. Inoltre, un insieme inizialmente esube-rante di connessioni viene scolpito du-rante un periodo critico, dopo il quale la struttura di base del sistema visivo è completa, all’incirca nell’ottava settimana di vita nelle scimmie, forse dopo un ano negli esseri umani. Una questione intri-gante è se questi programmi iniziali di sviluppo possano mai essere riattivati nel caso di perdita neuronale a causa di una patologia (come nelle malattie di Parkin-son e di Alzheimer) o in caso di danneg-giamenti del midollo spinale che possono portare a paralisi. Nel secondo caso, gli assoni possono già ora essere indotti a crescere nuovamente recuperando così il danno, ma il modo in cui farli riconnettere appropriatamente resta un’area di intenso studio.
La rivoluzione genomica Stiamo rapidamente costituendo un catalogo completo de geni necessari a costruire un cervello. Grazie al potere pro-
Frontiere della ricerca
Le cellule staminali sono cellule del corpo che possiedono la potenzialità di diventare qualsiasi altro tipo di cellula. Alcune, chiamate cellule staminali embrionali, proliferano molto precocemente durante lo sviluppo. Altre si trovano nel midollo osseo e nel cordone ombelicale che connette il neonato alla madre. I neuroscienziati statto cercando di capire se le cellule staminali possono essere utilizzate per riparare i neuroni danneggiati del cervello adulto. La maggior parte del lavoro, al momento. Viene svolta sugli animali, ma la speranza è di poter riparare parti del cervello danneggiate da malattie come il morbo di Parkinson.
digioso dei metodi della biologia molecolare, possiamo testare la funzioni dei geni modulando la loro espressione quando e come vogliamo durante lo sviluppo. Il maggior impegno ora è lavo-rare sulla gerarchia del controllo gene-tico che converte un foglio di cellule in un cervello che funziona. Questa è una delle grandi sfide delle neuroscienze.
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9 - La Dislessia
Vi ricordate quanto è stato difficile imparare a leggere? Al contrario della capacità di parlare, la cui origini evoluzionistiche sono antichissime, leggere e scrivere sono invenzioni umane relativamente recenti. Circa un migliaio di anni fa, le diverse comunità sparse per il mondo hanno capito che la miriade di parole che possono esse-re pronunciate è formata da un piccolo numero di suoni distinti (nella lingua Inglese sono 44) e che questi possono essere rappresentati da un numero persino più piccolo di simboli grafici. Imparare questi simboli richiede tempo, ed alcuni studenti incontrano difficoltà notevoli. Questo non è dovuto ad alcuna mancanza di intelligenza, ma al fatto che il loro cervello trova diffi-cile maneggiare la particolare facoltà della lettura. All’incirca una persona su dieci può trovarsi in questa condi-zione, oggi nota con il suo termine neurologico, dislessia nello sviluppo. La dislessia è molto comune, e può essere causa di sconforto per quei bambini che ne soffrono e che non riescono a capire il perché trovino così difficile la lettura mentre sanno di essere altrettanto intelligenti dei loro amici che non hanno questa difficoltà. Molti bambini perdono la fiducia, e questo può portare ad una spirale discendente di frustra-zione, ribellione, aggressione e per-
sino delinquenza. In molti casi però i disles sici mostrano talenti notevoli in altre sfere – sport, scienza, computer, com-mercio o arti varie – sempre che i pro-blemi iniziali che hanno incontrato con la lettura non li abbiano portati a perdere la speranza e l’autostima. Capire le basi biologiche che portano alla dislessia non è dunque soltanto importante di per se, ma è anche un contributo per prevenire una situazione di infelicità. Capire il pro-cesso che porta a leggere meglio può fornire un metodo per risolvere o trattare adeguatamente il problema.
Imparare a leggere La lettura dipende dall’abilità di riconoscere i simboli visivi alfabetici nel loro giusto ordine – l’ortografia di qualunque lingua un bambino stia imparando – e di sentire i singoli suoni in una parola nel loro esatto ordine. Ciò coinvolge la capacità di estrarre quella che è chiamata struttura fonetica, che consente di tradurre i simboli nei suoni corrispon-denti corretti. Sfortunatamente, la maggior parte dei dislessici è lenta ed non accurata nell’analizzare le carat-teristiche sia ortografiche sia fonolo-giche delle parole. L’abilità nel mettere in sequenza le parole e i suoni in maniera accurata dipende da meccanismi tanto visivi quanto uditivi. Per le parole incon-suete, e tutte le parole sono inconsuete quando si 44
inizia a leggere, tutte le let-tere devono essere identificate e poi messe nel giusto ordine. Questo pro-cesso non è così semplice come sembra, perché gli occhi fanno piccoli movimenti passando da una lettera all’altra. Le let-tere vengono identificate durante cia-scun istante di fissazione dell’occhio ma il loro ordine è dato dal punto in cui l’occhio guardava quando ciascuna lette-ra veniva vista. Quello che gli occhi ve-dono deve essere integrato con i segnali motori provenienti dall’apparato motorio dell’occhio; i dislessici hanno dei proble-mi proprio con
La parola DOG (cane) viene analizzata lettera per lettera (in alto) e tutta intera (in basso). Nel primo caso si ha una analiso fonologica delle singole lettere, nel secondo caso l’analisi visiva diretta dell’intera parola. I due processi portano quindi all’attribuzione del significato (semantica) della parola.
questa integrazione visuo-motoria. Il controllo visivo del sistema motorio dell’occhio è dominato da una rete di neuroni di grandi dimensioni nota come sistema magnocellulare. Il nome deriva proprio dal fatto che le cellule sono molto grandi (magno). Questa rete si dipana dalla retina, attraverso il per-corso verso la corteccia cerebrale e il cervelletto, fino ai motoneuroni dei mu-scoli oculari. Essa è specializzata nel rispondere particolarmente bene agli stimoli in movimento ed è pertanto importante per rintracciare oggetti in moto. Una caratteristica importante di questo sistema è che
esso genera segnali motori durante la lettura, causando uno spostamento degli occhi dalle lettere che dovrebbero stare fissando. Questo segnale di errore del movimento è ri-spedito al sistema di movimento oculare per riportare gli occhi sul giusto obiet-tivo. Il sistema magnocellulare gioca un ruolo cruciale nell’aiutare a posizionare l’occhio saldamente su ciascuna lettera in sequenza, e dunque nel determinare il loro ordine. I neuro-
Registrazione dei movimenti oculari durante la lettura. Spostamenti della penna verso l’alto e verso il basso corrispondono a movi-menti verso sinistra e verso destra, rispetti-vamente. I tracciati si riferiscono a un soggetto dislessico (in alto), a un cattivo lettore (in centro) e a un lettore normale (in basso).
scienziati hanno sco-perto che il sistema visivo magnocellula-re è parzialmente inabile in molti disles-sici. Un modo per verificarlo consiste nel guardare direttamente il tessuto cere-brale (vedi Figura); inoltre, la sensibilità del sistema visuomotorio nei dislessici è minore di quella dei soggetti che leggono normalmente e le risposte elettriche cerebrali agli stimoli motori sono anomale. Le tecniche di visualizzazione cere-brale hanno inoltre rilevato delle altera-zioni negli schemi di attivazione funzio-nale in regioni sensibili alle operazioni visuomotorie (vedi il Capitolo 15 sulla visualizzazione del cervello). Il controllo degli occhi nei dislessici è meno forte; perciò questi tendono a lamentarsi del fatto che le lettere sembrano muoversi e cambiare posto mentre stanno cercando di legge45
Sezioni istologiche del nucleo genicolato laterale, con evidenti i due strati parvo-cellulare (cellule piccole, in alto) e magno-cellulare (cellule grandi, in basso). A sini-stra, preparato di un soggetto normale (controllo); a destra preparato in una forma di dislessia, dove si vede la disorganizzazio-ne dello strato
re. La confusione visiva è pro-babilmente il risultato di un fallito ten9 tativo del sistema magnocellulare di sta-bilizzare gli occhi così come avviene nei buoni lettori.
Mettere i suoni nel giusto ordine Molti dislessici hanno inoltre problemi nel mettere i suoni delle parole nel loro esatto ordine e tendono dunque a sba-gliarne la pronuncia (ad esempio, “neca” anziché cane) e non sono bravi negli scioglilingua. Quando devono leggere, sono più lenti e meno accurati nel tradurre le lettere nei suoni corrispondenti. Le loro difficoltà fonologiche, come nel caso di quelle visive, sono probabilmente radicate in una ridotta capacità delle facoltà uditive di base. Le persone dis-tinguono i suoni associati alle lettere, detti fonemi, individuando le sottili dif-ferenze nella variazione di frequenza ed intensità del suono che li caratterizzano. La capacità di rilevare queste modulazioni acustiche è consentita da un sistema di grossi neuroni uditivi che rintracciano
i cambiamenti di intensità e frequenza dei suoni. Vi è una crescente evidenza del fatto che questi neuroni non si sviluppano nei dislessici quanto nei buoni lettori e che i confini che separano i suoni simili, come “b” e “d”, sono più difficili per loro da individuare (vedi Figura). In molti dislessici si evidenzia uno sviluppo ridotto di alcune cellule cerebrali, estendendo ulteriormente le difficoltà visive ed uditive che hanno nella lettura. Si tratta di problemi nei neuroni che forma reti estese in tutto il cervello che sembrerebbero essere specializzate nel rilevare le variazioni temporali. Tutte le cel-lule hanno la le stesse molecole sulla su-perficie, attraverso le quali si riconoscono e creano connessioni l’una con l’altra, ma che possono renderle vulnera-bili all’attacco di anticorpi. Il sistema magnocelluare fornisce un flusso di informazioni decisamente rilevante al cervelletto (vedi Capitolo 7 sul Movimen-to). È interessante notare che alcuni dis-lessici sono piuttosto maldestri e la loro grafia nello scrivere è spesso imprecisa. Le tecniche di visualizzazione cerebrale e gli studi metabolici sul cervelletto hanno indicato che la sua funzione può essere ridotta nei dislessici, e ciò potrebbe essere alla base della loro difficoltà nella scrittura. Alcuni neuroscienziati ritengono che il cervelletto sia coinvolto in molto di più della sola esecuzione del movimento, come la scrittura, le capacità verbali, e persino alcuni aspetti delle capacità cognitive. Se tale ipotesi fosse corretta, disfunzioni del cervelletto potrebbero riflettersi in problemi nella capacità di imparare a leggere, scrivere e parlare.
Che si può fare? 46
Ci sono numerosi trattamenti specifici per la dislessia, ciascuno in relazione con la diversa ipotesi sulla causa sottostante. Alcuni mettono sotto accusa il sistema magnocellulare, altri tengono conto
della distinzione fra diverse forme di dislessia, dette superficiale e profonda, che potrebbero richiedere diversi tipi di trattamento. Tutti i trattamenti sono favoriti da una diagnosi precoce. Non sempre gli scienziati sono d’accordo su tutto, e l’individuazione della migliore cura per la dislessia appartiene a quest’area di disaccordo. Recentemente è stato ipotizzato che i problemi nella analisi dei suoni spingano alcuni dislessici ad apprenderli in modo sbagliato, usando i normali meccanismi di plasticità del cervello. L’idea è che si possa attuare una correzione nei bambini incoraggian-doli a giocare al computer a giochi in cui i suoni siano rallentati al punto in cui la separazione fra i fonemi è più chiara. Questi suoni verrebbero poi gradual-mente accelerati. Si ritiene che questo metodo possa essere molto efficace, ma esperimenti indipendenti sono ancora in corso. Quello che è scientificamente interessante di quest’idea è che i pro-cessi di
un cervello assolutamente nor-male interagiscano con un’anomalia gene-tica allo stadio iniziale fornendo un ef-fetto enorme. È un esempio calzante di possibile interazione fra i geni e l’am-biente. È importante rimarcare il fatto che i dislessici possono avere capacità persino migliori dei buoni lettori in ope-razioni di discriminazione dei colori e nella percezione globale anziché fram-mentata delle forme. Questo spinge ad una possibile spiegazione del perché molti dislessici siano in grado di fare associazioni a lungo raggio, associazioni del tutto inattese e possiedano in gene-rale un “pensiero olistico”. Basti ricor-dare che Leonardo da Vinci, Hans Christian Andersen, Edison, Einstein e molti altri inventori ed artisti creativi erano dislessici.
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10 - La Plasticità Il nostro cervello cambia continuamente durante la nostra vita. Questa capacità del cervello di cambiare è detta plasticità - si pensi ad un modellino di plastilina le cui componenti interne possano essere costantemente rimodellate. Non è il cervello nella sua totalità a poter essere modificato bensì i singoli neuroni e per diverse ragioni: durante lo sviluppo nella fase giovanile, se sopravviene un trauma, e durante l’apprendimento. Esistono vari meccanismi di plasticità, il più importante dei quali è la plasticità sinaptica – la scienza che studia come i neuroni modifichino le loro capacità di comunicare l’uno con l’altro.
Plasmare il nostro avvenire Come abbiamo visto nel capitolo precedente, le connessioni fra i neuroni nei primi anni di vita richiedono una regolazione fine. Quando interagiamo con l’ambiente circostante, queste connessioni sinaptiche cominciano a cambiare – ne vengono create di nuove, vengono rese più forti quelle più utili, mentre le connessioni meno usate si fanno più deboli o vengono persino eliminate. Le sinapsi attive e quelle che cambiano attivamente vengono mantenute, quelle inattive vengono eliminate. Il nostro cervello viene allora modellato attraverso una sorta di criterio di usa o getta. Le trasmissioni sinaptiche coinvolgono il rilascio di un
neurotrasmettitore chimico che poi attiva specifiche molecole proteiche dette recettori. La normale risposta elettrica al rilascio del neurotrasmettitore è una misura della forza sinaptica. Essa può variare ed il cambiamento può durare
I recettori NMDA (in rosso) sono le macchine molecolari per l’apprendimento. Il neurotrasmettitore è rilasciato sia a riposo che durante la induzione della LTP (in alto a sinistra). Il sito dove Mg2+ (piccoli cerchi neri in alto a destra) blocca i canali al Ca2+ si trova all’interno della membrana cellulare e si sposta in seguito a una forte depolarizzazione (schema successivo, sotto). Questo si verifica qando i neuroni modificano le loro connessioni con altri neuroni. La LTP può essere espressa sia con un maggior numero di recettori AMPA (in giallo in basso a sinistra) che con recettori AMPA più efficienti (in basso a destra).
pochi secondi, alcuni minuti o persino una vita intera. I neuroscienziati sono particolarmente interessati dai cambiamenti di lunga durata nella forza sinaptica che possono essere prodotti da brevi periodi 48
Il glutammato viene liberato dalle terminazioni presinaptiche, attraversa lo spazio sinaptico e si lega ai diversi recettori (AMPA, NMDA e mGLUR) che si trovano sulla membrana della terminazione postsinaptica dell’altro neurone. In alcune sinapsi, oltre ai recettori per il glutammato se ne trovano anche per il kainato.
di attività neuronale, individuabile in due processi noti come potenziamento a lungo termine (LTP), che causa un aumento della forza, e depressione a lungo termine (LTD), che ne causa una diminuzione.
Il sapore della plasticità Il glutammato è un comune amminoacido che viene impiegato in tutto il nostro corpo per costruire le proteine. Potreste essere incappati in questo elemento sotto forma di ingrediente per esaltare i sapori noto come monoglutammato di sodio. È il neurotrasmettitore che funziona nelle sinapsi più plastiche del nostro cervello – quelle che manifestano LTP e LTD. I recettori del glutammato, che sono posizionati soprattutto nella parte ricevente della sinapsi (terminazione post-sinaptica), sono disponibili in quattro varietà: tre di esse sono recettori ionotropici, detti AMPA, NMDA e kainato. Il quarto tipo è un recettore metabolico ed è detto mGluR. Anche se questi quattro tipi di recettori per il glutammato rispondono tutti allo stesso neurotra-
smettitore, essi hanno funzioni diverse. I recettori ionotropici per il glutammato usano i loro canali ionici per generare un potenziale eccitatorio post-sinaptico (epsp) mentre i recettori metabolici per il glutammato, come le operazioni neuromodulatorie descritte in precedenza, modulano la dimensione e la natura della risposta. Tutti questi tipi sono importanti per la plasticità sinaptica, ma i recettori AMPA e NMDA sono quelli su cui si hanno più informazioni, e vengono spesso ritenuti essere delle molecole della memoria. La maggior parte di queste conoscenze è derivata dai lavori per sviluppare nuovi farmaci che agiscono su questi recettori per modificare le loro attività. I recettori AMPA sono i più rapidi ad entrare in azione. Quando il glutammato si lega a questi recettori, essi aprono rapidamente i loro canali ionici per produrre un potenziale transiente eccitatorio postsinaptico (gli epsp sono descritti nel Capitolo 3). Il glutammato resta legato ai recettori AMPA solo per una frazione di secondo e, quando si distacca e viene rimosso dalla sinapsi, i canali ionici si chiudono ed il potenziale elettrico ritorna al sui stato di quiete. Questo è 49
I recettori NMDA (in rosso) sono le macchine molecolari per l’apprendimento. Il neurotrasmettitore è rilasciato sia a riposo che durante la induzione della LTP (in alto a sinistra). Il sito dove Mg2+ (piccoli cerchi neri in alto a destra) blocca i canali al Ca2+ si trova all’interno della membrana cellulare e si sposta in seguito a una forte depolarizzazione (schema successivo, sotto). Questo si verifica qando i neuroni modificano le loro connessioni con altri neuroni. La LTP può essere espressa sia con un maggior numero di recettori AMPA (in giallo in basso a sinistra) che con recettori AMPA più efficienti (in basso a destra).
ciò che accade quando i neuroni nel cervello si inviano informazioni l’un l’altro velocemente.
I recettori NMDA: macchine molecolari che avviano la plasticità
Il glutammato si lega anche ai recettori NMDA sul neurone postsinaptico. Questi sono delle importanti macchine molecolari che danno l’avvio alla plasticità neuronale. Se la sinapsi è attivata lentamente, i recettori NMDA non giocano alcun ruolo o quasi. Questo avviene perché appena i recettori NMDA aprono i loro canali ionici essi vengono riempiti da un altro ione presente nella sinapsi, il magnesio (Mg++). Invece, se le sinapsi vengono attivate da un gran numero di impulsi che arrivano molto velocemente ad un insieme di punti d’ingresso sul neurone, i recettori NMDA rilevano immediatamente questa eccitazione. Questa aumentata attività sinaptica causa una notevole depolarizzazione nel neurone postsinaptico e questa causa l’espulsione di Mg++ dai canali ionici dei recettori NMDA con un processo di repulsione elettrica. 50
I recettori AMPA: macchine molecolari per immagazzinare i ricordi
Apparato sperimentale per registrare i minus.coli voltaggi elettrici che si trovano nelle sinapsi
I recettori NMDA sono allora immediatamente in grado di partecipare alla comunicazione sinaptica, e lo fanno in due modi: anzitutto, come i recettori AMPA, portano Na+ e K+ che causano la depolarizzazione; secondo, consentono al calcio (Ca++) di entrare nel neurone. In altre parole, i recettori NMDA percepiscono le attività neuronali intense e inviano un segnale al neurone sotto forma di un’ondata di Ca++. Questa ondata di Ca++ è peraltro breve, dura non più di un secondo, mentre il glutammato è legato ai recettori NMDA. Il Ca++ è un componente cruciale poiché segnala al neurone anche l’istante in cui i recettori NMDA sono stati attivati. Una volta entrato nel neurone, il Ca++ si lega a proteine situate molto vicine alle sinapsi nelle quali i recettori NMDA sono stati attivati. Molte di queste proteine sono fisicamente connesse con i recettori NMDA con cui costituiscono una macchina molecolare. Alcune sono enzimi che sono attivati dal Ca++ e questo causa la modificazione chimica di altre proteine all’interno della sinapsi o nelle sue vicinanze. Queste modificazioni chimiche sono la prima fase della formazione della memoria.
Se l’attivazione dei recettori NMDA avvia la plasticità sinaptica nella connettività fra i neuroni, che cosa causa la variazione nella forza? Si potrebbe pensare che venga rilasciato un ulteriore trasmettitore chimico. Questo può accadere, ma siamo abbastanza sicuri che vi sia una serie di meccanismi che coinvolgono i recettori AMPA sul lato post-sinaptico della sinapsi. Ci sono molti modi in cui questo può accadere. Un modo potrebbe consistere nel far funzionare i recettori AMPA in maniera più efficiente, ad esempio facendo passare più corrente nel neurone a seguito dell’attivazione. Un secondo modo potrebbe essere quello di consentire che un maggior numero di recettori AMPA siano inseriti nelle sinapsi. In entrambe i casi si ottiene un epsp più grande: è il fenomeno della LTP. La variazione opposta, una riduzione di efficienza o del numero di recettori AMPA, può causare una LTD. La bellezza di questo meccanismo per causare LTP e LTD sta nella sua semplice eleganza: può avvenire in una singola spina dendritica e in tal modo alterare la forza sinaptica in maniera altamente localizzata. La memoria potrebbe essere organizzata in questo modo: un argomento sul quale ritorneremo nel capitolo successivo.
Esercitare il cervello Le variazioni nel funzionamento dei recettori AMPA non sono tutta la storia. Quando le memorie diventano più permanenti, avvengono dei cambiamenti strutturali. Le sinapsi contenenti un maggior 51
numero di recettori AMPA in seguito all’induzione di LTP cambiano forma o possono aumentare di dimensioni, oppure nuove sinapsi possono comparire da un dendrite cosicché il lavoro di una sinapsi possa ora essere svolto da due. All’opposto, le sinapsi che hanno perso recettori AMPA in seguito all’induzione di LTD possono rimpicciolirsi e morire. La materia di cui il nostro cervello è composto si modifica in risposta all’attività cerebrale. Ai cervelli piace esercitarsi: esercizi mentali, naturalmente! Come i nostri muscoli si fortificano quando facciamo esercizio fisico, così ora sembra che le nostre connessioni sinaptiche diventano più numerose e meglio organizzate quando le usiamo molto.
rare più a lungo.
Il medico interno La plasticità sinaptica ha un’ulteriore funzione importante nel nostro cervello: può aiutarlo a guarire da un danno. Ad esempio, se i neuroni che controllano particolari movimenti vengono distrutti, come capita in caso di infarto o di un grave colpo alla testa, non tutto è necessariamente perso. Nella maggior parte dei casi, i neuroni stessi non ricrescono. Accade invece che altri neuroni si adattano ed a volte assumono funzioni simili a quelle dei neuroni persi, formando un’altra rete simile alla precedente. Questo è un processo di ri-apprendimento e mette in luce determinate capacità riabilitative
La mente sulla memoria La possibilità di apprendere bene è grandemente influenzata dal nostro stato emozionale – tendiamo a ricordare eventi associati ad esperienze particolarmente allegre, tristi o dolorose. Inoltre, impariamo meglio quando stiamo attenti! Questi stati della mente coinvolgono il rilascio di neuromodulatori, come l’acetilcolina (durante l’attenzione più elevata), dopamina, noradrenalina ed ormoni steroidei come il cortisolo (durante eventi inattesi, stress e ansia). I modulatori agiscono sui neuroni in diversi modi, molti dei quali riguardano modificazioni del funzionamento dei recettori NMDA. Altre azioni coinvolgono l’attivazione di speciali geni associati specificamente all’apprendimento. Le proteine che vengono così prodotte aiutano a stabilizzare il fenomeno LTP ed a farlo du-
Jeffery Watkins, un chimico medico che ha dato uno straordinario impulso allo studio della trasmissione sinaptica eccitatoria nel cervello sviluppando molecole come la AP5 (sotto) che agiscono su specifici recettori per il glutammato.
del cervello.
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11 - Apprendimento e Memoria
I ricordi sono al centro della nostra individualità. Quello che ciascuno di noi ricorda è diverso dai ricordi di chiunque altro, anche nel caso di esperienze in comune. Comunque, ciascuno a modo proprio, tutti noi ricordiamo eventi, fatti, sentimenti, emozioni e capacità - alcune per breve tempo, altre per tutta la vita. Il cervello ha molti sistemi per la memoria con diverse caratteristiche e mediati da reti neuronali differenti. Si ritiene ora ampiamente che la formazione di nuovi ricordi dipenda dalla plasticità neuronale, come descritto nel capitolo precedente, ma siamo ancora poco certi dei meccanismi neurali di richiamo delle informazioni. Anche se tutti noi ci lamentiamo sempre della nostra memoria, nella maggior parte dei casi essa è abbastanza buona, tendendo a diminuire solo con l’avanzare degli anni o in caso di certe malattie neurologiche. Potrebbe essere una buona cosa tentare di migliorare la memoria, ma facendo così si potrebbe avere l’inconveniente di ricordare anche cose che forse sarebbe meglio dimenticare.
L’organizzazione della memoria
Non esiste una sola area del cervello in cui tutte le informazioni che apprendiamo non passino per essere immagazzinate. La memoria a breve termine (o memoria di lavoro, working memory) mantiene le informazioni nella mente per un breve tempo in uno stato attivo di coscienza. Il magazzino più grande di informazioni, che le immagazzina passivamente, è detto memoria a lungo termine.
La memoria a breve termine Come una lavagna sulla quale scrivere nomi e numeri di telefono che ci servono solo per poco tempo, il cervello ha un sistema che contiene ed utilizza una piccola quantità di informazioni molto accuratamente. Utilizziamo questo sistema per ricordare una conversazione sufficientemente a lungo da comprenderne il senso, per fare le operazioni aritmetiche a mente, e per ricordare dove e quando abbiamo messo le chiavi appena un istante fa. Il punto centrale del sistema è la sua affidabilità – una caratteristica che si paga con una limitata capacità di contenimento e persistenza. Si dice spesso che si possono ricordare 7 ± 2 oggetti nella memoria a breve termine; questo è il motivo per il quale la maggior parte dei numeri di telefono ha 7 o 8 cifre, ma ri53
cordarli accuratamente è essenziale. Si può dimostrare la limitata capacità e persistenza della memoria a breve termine con un piccolo esperimento che si può fare con gli amici (vedi casella). Un sistema esecutivo centrale controlla il flusso di informazioni, aiutato da due ulteriori magazzini per la memoria. Uno di essi è un magazzino fonologico, che opera un ciclo silenzioso di prova – la piccola parte del cervello che si usa per dire le cose a se stessi. Anche leggendo parole o numeri, ciò che viene visto è un’informazione che sarà trascritta in un codice fonologico e immagazzinata per un breve periodo in questo sistema a due compartimenti. Esiste anche una lavagna per il sistema visivo, che può contenere le immagini degli oggetti per il tempo necessario affinché i nostri occhi interiori possano manipolarlo.
La memoria a breve termine è localizzata principalmente nei lobi frontale e parietale. Gli studi di brain-imaging (vedi più avanti) usando la PET e la fMRI indicano che le aree uditive della memoria a breve termine sono generalmente lateralizzate nei lobi frontale e parietale sinistri, dove interagiscono con le reti neuronali coinvolte nella parola, nella pianificazione e nella presa di decisioni. Queste sono attività per le quali una buona me-
Un esperimento sulla memoria a breve termine Un test molto semplice sulla memoria a breve termine, o memoria di lavoro, è noto come “letter spam”. Servono almeno due persone, anche se funziona meglio con l’intera classe. Senza che gli altri vedano, uno scrive una serie di lettere, cominciando da 2, facendo attenzione che non compongano una parola. La stessa persona scriverà poi altre serie di lettere, ogni volta con una lettera in più (ad esempio, una serie di cinque lettere potrebbe essere QVHKZ e una di dieci potrebbe essere DWCUKQBPSZ). L’esperimento inizia quando tutte le serie sono preparate. L’altra persona (o la classe) ascolta, una alla volta, le serie di lettere e, dopo 5 secondi, prova scrivere le lettere nell’ordine corretto, richiamandole dalla memoria. Cominciando dalla facile serie di due lettere, il test della memoria va avanti con serie sempre più lunghe. Molte persone possono eseguirlo correttamente fino a 7 o 8 lettere, poi gli errori aumentano sempre di più. La capacità della memoria a breve termine è stata descritta come “il magico numero 7 più o meno 2”.
Il sistema della memoria di lavoro, a breve termine, del cervello moria a breve termine è essenziale. La lavagna per il sistema visivo è invece lateralizzata nell’emisfero destro (vedi la Casella al termine di questo capitolo). Come si è evoluta la memoria a breve termine? Gli animali, persino la maggior parte dei mammiferi, probabilmente non hanno lo stesso tipo di sistema per la memoria a brave termine che hanno gli esseri umani, e certamente questa non si è evoluta per consentire ai primi ominidi di ricordare i numeri di telefono! Gli studi su bambini molto piccoli individuano un ruolo fondamentale per la memoria a 54
breve termine nell’apprendimento del linguaggio, suggerendo che questo sistema possa essersi evoluto con la capacità di parlare. La precisione richiesta per ricordare le parole pronunciate e il loro ordine in una frase è un fattore critico per ottenere un significato corretto in modo accurato.
dell’identità dell’oggetto e se esso sia o meno familiare, fino a quando viene formato un qualche tipo di memoria di quel particolare oggetto e di dove e quando è stato visto.
La memoria a lungo termine Anche la memoria a lungo termine è suddivisa in differenti sistemi localizzati in reti che si estendono ampiamente nel
Ciò che conosciamo degli animali è organizzato in una struttura ad albero. Non sappiamo, ancora, come la rete di neuroni del cervello lo faccia.
Ci sono molti modi di pensare a quest’analisi a cascata. Anzitutto, nella corteccia si trovano aree che estraggono una rappresentazione percettiva di quello che stiamo guardando. Questa è usata per immagazzinare e successivamente riconoscere gli oggetti che ci circondano. La nostra capacità di rico-
La cascata di aree cerebrali attraverso le quali le informazioni visive sono prima elaborate percettivamente e poi per la memoria
cervello. Le differenti reti eseguono operazioni molto diverse. Sommariamente, possiamo dire che l’informazione entra attraverso il sistema sensoriale e prosegue attraverso percorsi sempre più specializzati per elaborarla. Ad esempio, l’informazione proveniente dal sistema visivo attraversa la cosiddetta “via ventrale” dalla corteccia striata al lobo temporale mediale attraverso una cascata di interconnessioni responsabili del riconoscimento della forma,dedl colore,
Gli schimpanzè hanno imparato a raccogliere le termiti usando un ramoscello. I giovani scimpanzè imparano guardando i genitori.
noscere personaggi familiari nelle vignette satiriche dei giornali, come i personaggi politici, è conseguenza di questo sistema. Un sistema strettamente correlato a questo è quello della cosiddetta 55
memoria semantica – il grande supermercato della conoscenza di tutti gli eventi che abbiamo accumulato riguardo al mondo. Sappiamo che Parigi è la capitale della Francia, che il DNA contiene il codice genetico sotto forma di una sequenza di coppie di elementi di base, e così via. La particolarità di questo sistema è che i fatti sono organizzati in categorie. Ciò è vitale per poter ricordare, poiché il processo di ricerca può andare avanti e indietro lungo diagrammi ad albero che percorrono questo supermercato per trovare le cose in modo efficiente. Se la memoria semantica fosse organizzata come molte persone immagazzinano le cose nella soffitta di casa – piuttosto casualmente -, avremmo enormi problemi nel ricordare qualunque cosa. Fortunatamente, il cervello separa in categorie le informazioni che elaboriamo, sebbene sia utile avere anche un insegnante abile per imparare le cose complesse che si insegnano a scuola. In verità, i bravi insegnanti riescono a costruire queste strutture nei loro studenti senza sforzi. Tutti noi impariamo inoltre delle abilità per le cose ed acquisiamo sentimenti emotivi. Sapere che un pianoforte è un pianoforte è una cosa, saper suonare è un’altra. Sapere andare in bicicletta è utile, ma sapere che certe situazioni sulla strada possono esser pericolose non lo è di meno. Le abilità si acquisiscono attraverso una pratica prolungata e volontaria, mentre l’apprendimento emotivo tende ad essere più rapido. Spesso è necessario che sia rapida, ad esempio per imparare le cose dalle quali stare in guardia. Questi due modi di apprendere sono detti condizionamenti. Sono coinvolte aree specializzate del cervello: i gangli della base ed il cervelletto sono molto importanti per l’apprendimento
delle abilità, mentre l’amigdala è coinvolta nell’apprendimento emotivo. Molti animali apprendono proprie abilità – ciò è molto utile alla loro sopravvivenza.
Gli errori della memoria e la localizzazione della memoria episodica nel cervello L’ultimo tipo di sistema di memoria nel cervello è detto memoria episodica. È il sistema nel quale si mantiene il ricordo delle esperienze personali. Ricordare gli eventi è diverso dall’imparare i fatti del mondo in un senso molto importante: gli
I pazienti amnesici (A) possono anche vederci molto bene e copiare accuratamente disegni complessi come questo, ma non possono ricordarli a lungo come i soggetti normali (NC)
eventi accadono una volta sola. Se avete dimenticato quello che avete mangiato a colazione oggi (forse no) o quello che è successo il Natale scorso (forse sì) o tutto quello che vi è successo il primo giorno di scuola (probabilmente sì), non potete ripetere nessuno di questi eventi come se fosse la ripetizione di una lezione in classe. Questo sistema apprende 56
velocemente perché è necessario che lo faccia.
Per la memoria episodica sono molto importanti due strutture: la corteccia peririnale (PRH) che media il senso della familiarità verso il passato e l’ippocampo (HIPPO) che codifica i fatti e i luoghi
Si è capito molto di come funziona la memoria episodica studiando i pazienti neurologici che, in seguito ad infarto cerebrale, tumore cerebrale, infezioni virali come encefalite da herpes, a volte hanno carenze specifiche in questo tipo di memoria. Lo studio attento di questi pazienti e` stato il modo più utilizzato per ricavare l’organizzazione anatomica di questo ed altri sistemi della memoria. Le persone affette da una condizione nota come amnesia non riescono a ricordare di aver incontrato altre persone appena mezz’ora prima. Non possono ricordare se hanno mangiato di recente o se lo hanno solo desiderato, o persino le semplici necessità della vita quotidiana come il posto in cui hanno appoggiato recentemente qualcosa in casa propria. Facendo vedere loro un disegno complicato – come quello nella casella – sono in grado di ricopiarlo accuratamente ma non riescono a riprodurlo bene come altre persone se devono disegnarlo a memoria appena 30 minuti dopo. Spesso non riescono a ricordare le cose avvenute prima che si ammalassero. Questa è chiamata
amnesia retrograda. Queste persone mancano delle strutture di tempo e posizione, e la loro vita è stata descritta da un paziente amnesico a lungo studiato come una condizione di continuo “risveglio da un sogno”. Questa stessa persona mantiene comunque le proprietà linguistiche, il significato delle parole, ed una memoria a breve termine sufficientemente estesa da sostenere una conversazione sensata. Il devastante isolamento della sua vita non viene svelato fino a quando qualcuno non ripete esattamente la stessa conversazione con lui qualche minuto dopo. Incredibilmente, i pazienti amnesici possono imparare alcune cose che non riescono ricordare consciamente! Ad essi si possono insegnare abilità motorie o a leggere al contrario molto velocemente. Imparare a leggere al contrario velocemente richiede un po’ di tempo. Questo è vero per gli amnesici tanto quanto per noi ma, mentre noi ricorderemmo di avere imparato questa facoltà, loro non lo ricorderebbero. Questo rappresenta un’affascinante dissociazione nella loro attenzione cosciente. Gli amnesici sono certamente consci mentre stanno imparando, ma poi non si rendono conto di aver imparato. Non riescono a recuperare questa coscienza dal passato. Il danno che causa questa condizione debilitante può avvenire in un certo numero di circuiti cerebrali. Le aree del diencefalo chiamate corpi mammillari (nell’ipotalamo) ed il talamo sembrano essere critiche per la memoria normale, così come una struttura nel lobo temporale mediale detta ippocampo. I danni in queste regioni sembrano influire particolarmente
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sulla formazione della memoria episodica e di quella semantica.
Altri sistemi di memoria Danneggiamenti in altre aree del cervello hanno ripercussioni su altri sistemi della memoria. Le condizioni degenerative, come certi tipi di demenza semantica (una forma di Malattia di Alzheimer), possono provocare curiosi malfunzionamenti della memoria semantica. Inizialmente, i pazienti saranno abbastanza abili nel dire se i disegni che vengono mostrati in un esperimento rappresentino un gatto, un cane, un’automobile o un treno. Con l’avanzare della malattia, potrebbero esitare nel chiamare topo il disegno di un topo, dicendo invece che si tratta di un cane. Ciò conferma che le informazioni sui fatti sono organizzate per categorie, in cui le informazioni sulle entità animate sono immagazzinate assieme in un posto ben lontano dalle informazioni sulle entità inanimate.
La neurobiologia della memoria Studiare a fondo i pazienti neurologici ci aiuta a scoprire dove siano situate le funzioni nel cervello, ma scoprire come esse funzionino in termini di neuroni e trasmettitori chimici richiede ricerche condotte attentamente usando animali di laboratorio. I neuroscienziati ritengono ora che molti meccanismi di regolazione fine delle connessioni neuronali durante lo sviluppo cerebrale siano usati anche durante le fasi iniziali dell’apprendimento. L’attacca-
Sezione di ippocampo colorata con il metodo di Golgi. Sono evidenti, in nero, vari tipi di neuroni
mento che si sviluppa fra un neonato e la madre è stato studiato nei pulcini in un processo detto imprinting. Oggi sappiamo dove questo processo di apprendimento inizia nel cervello dei pulcini e conosciamo i trasmettitori chimici che vengono rilasciati per agire sui recettori coinvolti nell’immagazzinamento di un qualche tipo di “immagine” della madre. Questa immagine è abbastanza precisa, cosicché il pulcino seguirà la propria madre e non quella di un altro. Gli animali giovani hanno inoltre bisogno di scoprire quali cibi siano commestibili, assaggiando un piccola quantità di cibo alla volta e scoprendo quali hanno un cattivo sapore. Questo non può essere lasciato solamente ad una qualche forma di generica predisposizione: i meccanismi di apprendimento modulati dallo sviluppo si mettono al lavoro. A valle dei recettori attivati durante l’imprinting o l’assaggio del cibo, una cascata di secondi messaggeri chimi58
ci trasmettono il segnale al nucleo delle cellule cerebrali dove vengono attivati dei geni per la produzione di speciali proteine che possono letteralmente fissare la memoria. Le place cells (cellule di posizione) sono un’altra importante scoperta. Si tratta di neuroni dell’ippocampo che producono potenziali d’azione solo quando un animale sta esplorando un luogo a lui familiare.
Registrazioni da quattro elettrodi nell’ippocampo. Due di esse (wire 1 e 2, occasionalmente anche 4) mostrano impulsi nervosi che rappresentano la scarica di neuroni quando l’animale si trova in un punto particolare (spot rosso nel cerchio grande). Espandendo la scal scala del tmpo (cerchio rosso) si vede bene la forma del potenziale d’azione del cervello.
Cellule diverse codificano diverse parti dell’ambiente circostante, cosicché una popolazione di cellule riesce a mappare un’intera area. Altre cellule in una zona attigua del cervello elaborano la direzione in cui l’animale si sta muovendo. L’uso combinato di queste due aree – la mappa dello spazio ed il senso della direzione – aiutano l’animale ad imparare a trovare la sua strada in giro per il mondo. Questo è chiaramente molto importante per gli animali, per trovare cibo ed acqua e tornare poi alla loro tana, nido, o qualunque dimora sia utile alla loro sopravvivenza. Questo sistema di apprendimento della
navigazione è in relazione sia con il sistema della memoria semantica sia con quello della memoria episodica. Gli animali si fanno una rappresentazione stabile di dove sono le cose nel loro territorio – come gli umani acquisiscono una conoscenza dei fatti nel loro mondo. Questa mappa dello spazio fornisce uno schema di memoria nel quale ricordare gli eventi – ad esempio, ricordare dov’è stato visto per l’ultima volta un predatore. Le place cell potrebbero elaborare forse qualcosa di più della posizione – potrebbero aiutare gli animali a ricordare dove un evento è accaduto. Come si formano queste mappe e gli altri elementi della memoria? Un punto di vista emergente ipotizza il coinvolgimento della plasticità sinaptica basata sui recettori NMDA. Nel capitolo precedente si è visto come l’attivazione della plasticità neuronale cambia la forza delle connessioni in una rete di neuroni e che questo è il modo in cui vengono immagazzinate le informazioni. La funzione di apprendimento delle mappe spaziali è inibita quando un farmaco che blocca i recettori NMDA giunge all’ippocampo.
Il ratto ha nuotato nella piscina fino alla piattaforma sommersa su cui si è messo
Ad esempio, topi e ratti possono essere allenati a nuotare in una vasca piena d’acqua alla ricerca di una piattaforma sommersa sulla quale trovare riposo. Essi usano le place cells e le cellule che indicano la direzione della testa per riuscire a trovarla, e fissano nella memoria l’esatta posizione della piattaforma usando la plasticità avviata dai recettori 59
NMDA. In questo esperimento sono stati utilizzati anche animali a cui è stata soppressa geneticamente la presenza dei recettori NMDA nell’ippocampo. Questi animali apprendono con difficoltà ed hanno anche place cells poco precise. Nel precedente capitolo, è stato spiegato che le variazioni nell’influenza delle sinapsi sono espresse attraverso alterazioni dei recettori eccitatori AMPA. Ancora non si sa se questo sia vero anche per la memoria – è un argomento molto attuale e di intensa ricerca.
cettori NMDA e AMPA, o farmaci che stimolano la cascata dei segnali dai secondi messaggeri chimici che sono stati identificati negli studi sull’apprendimento di giovani animali. Sarebbe utile anche trovare qualche modo di bloccare sul nascere malattie neurodegenerative che colpiscono la memoria come il Morbo di Alzheimer. Una delle avventure più interessanti nelle neuroscienze di oggi, per gli scienziati nelle università, negli istituti di ricerca e nelle compagnie farmaceutiche, è lavorare su progetti di que-
Frontiere della ricerca
Possiamo migliorare la memoria?
In un guidatore di taxi che sta immaginando un percorso si verifica un aumento di attività cerebrale dentro e vicino l’ippocampo.
Tutti noi crediamo che sarebbe una bella cosa poter migliorare la capacità o la persistenza della nostra memoria. Le persone anziane spesso si lamentano della loro memoria. Comunque, migliorare la memoria richiederebbe certamente un prezzo da pagare. Questo perché una buona memoria è in realtà frutto di un equilibrio fra il ricordare ed il dimenticare. Se volessimo migliorarla, avremmo poi difficoltà a dimenticare tutte le cose banali che ci sono accadute durante il giorno e che non ci serve ricordare. La regola dello “yin e yang” di una buona memoria consiste nel ricordare ed organizzare nel cervello le cose che servono, ma nel dimenticare le cose che si ritengono poco importanti. Non sembra che si avrà mai una qualche pillola che magicamente possa aumentare la memoria, almeno nelle persone normali. L’evoluzione si è assicurata di fornirci un sistema ottimamente bilanciato.
I tassisti di Londra devono conoscere la città molto bene prima che venga loro permesso di lavorare. Quando ricercatori hanno fatto entrare un guidatore di taxi in una macchina per la risonanza magnetica funzionale e gli hanno chiesto di immaginare il percorso da Marble Arc a Elefant e Castle, hanno osservato un aumento di attività nella corteccia para-ippocampale (aree in rosso). L’analisi strutturale del cervello dei tassisti ha mostrato cambiamenti nelle dimensioni relative di alcune parti dell’ippocampo, possibilmente collegabili a quanta parte della città essi sono in grado di ricordare, anche se l’osservazione potrebbe essere altrettanto dovuta ad altre cause.
Detto questo, le forme di dimenticanza grave possono essere alleviate mediante farmaci che migliorano il lavoro dei re-
sto tipo. Con una popolazione demografica di praticamente tutte le nazioni sviluppate che tende fortemente ad una 60
grande preponderanza di persone anziane, le cure che potrebbero aiutarle a condurre una vita indipendente più a lungo verrebbero molto apprezzate. Nel contempo, alcuni scienziati ritengono che una progettazione cognitiva sarebbe utile accanto alla cura farmacologia. Non si sente molto parlare di progettazione cognitiva nei giornali tanto quanto dei nuovi farmaci, ma non è meno importante. L’idea è di trarre frutti da quanto si è appreso su come le informazioni siano codificate, immagazzinate, consolidate (il processo di “fissaggio”) e poi recuperate. Alcuni esempi su come aiutare il processo di “fissaggio” sono: fare attenzione, incrementare le sessioni di apprendimento, fare frequenti richiami alla memoria . Alcuni pazienti anziani con problemi di memoria stanno usando un sistema di agenda quotidiana noto come “NeuroPage” e lo trovano piuttosto utile. Il sistema ricorda loro la prossima cosa che devono fare e questo consente di strutturare la loro giornata in un modo che altrimenti rischierebbero di dimenticare. Un altro fattore importante è il saper riconoscere i differenti principi operativi della memoria episodica e della memoria legata all’abilità: non si impara mai a fare qualcosa sentendone soltanto parlare, anche se questo agisce sulla memoria episodica. Chiunque voglia imparare a fare qualcosa deve fare spesso pratica, come gli studenti di ogni corso di musica si sentono ripetere in continuazione.
Alan Baddeley ha sviluppato l’idea della memoria di lavoro, che consiste in un certo numero di sistemi diversi che interagiscono fra loro. Il magazzino fonologico, la mappa visuospaziale e le regioni decisionali sono situati in parti diverse del cervello
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12 - Lo Stress Lo stress colpisce anche le vite apparentemente più tranquille. Tutti lo proviamo – durante un esame, in una gara sportiva, o quando litighiamo con un amico o un avversario. Perché si ha questa spiacevole sensazione e cosa la provoca? Serve a qualcosa? Cosa succede se le cose vanno male? I neuroscienziati stanno iniziando a comprendere come il cervello genera e coordina le risposte chimiche allo stress.
Cos’è lo stress e perché ne abbiamo bisogno? Lo stress è qualcosa di difficile da tenere a bada. Non è solo l’essere sotto pressione – perché non sempre questo è un fatto stressante – ma una sorta di incomprensione fra ciò che il corpo ed il cervello si aspettano e le sfide che in quel momento stiamo affrontando o sentendo intimamente. Molte delle avversità che affrontiamo sono psicologiche – riflettono le difficoltà di interazione con gli altri quando ci diamo da fare negli studi, competiamo per entrare in una squadra sportiva o, più avanti nella vita, per un lavoro. Altre forme di stress sono fisiche, come una malattia acuta o una gamba rotta in un incidente stradale. La maggior parte delle cause di stress è mista: il dolore ed altre afflizioni fisiche di una malattia sono associati a preoccupazione e tensione. Lo stress è un processo fondamentale. Esso colpisce ogni organismo, dal più semplice batterio e protozoo ai più com-
plessi eucarioti come i mammiferi. Negli organismi unicellulari e nelle singole cellule del nostro corpo, si sono sviluppate molecole che forniscono una serie di sistemi di emergenza che proteggono funzioni chiave della cellula da eventi inattesi dall’esterno e da ripercussioni sull’interno. Ad esempio, delle speciali molecole dette heat-shock proteins guidano le proteine danneggiate in un luogo in cui possono essere riparate o distrutte senza sofferenze, proteggendo così la cellula da tossine o disfunzioni. In organismi complessi come noi siamo, i sistemi dello stress si sono evoluti come processi altamente sofisticati che aiutano a fronteggiare le sfide che possono presentarsi fuori dall’ordinario. Essi usano i meccanismi di protezione cellulare come muri di cinta in una più larga rete di protezione dallo stress.
Stress e cervello Quando lo stress viene percepito, la risposta viene coordinata dal cervello. La nostra valutazione cognitiva della situazione nel cervello interagisce con i segnali corporei dello stress nel flusso sanguigno come ormoni, nutrienti e molecole infiammatorie, e con informazioni dai nervi periferici che tengono d’occhio gli organi vitali e le sensazioni. Il cervello integra tutto ciò e produce una serie di risposte specifiche e misurate. La nostra comprensione di come questo avvenga ci viene dallo studio dell’endocrinologia. Gli ormoni che circolano nel san62
gue sono controllati dal cervello per consentire al corpo di fronteggiare lo stress.
Combattere o fuggire? La più semplice reazione da individuare è l’immediata attivazione di quello che è chiamato – teneramente – il sistema nervoso simpatico. Dopo essere stato sottoposto ad una situazione stressante ed aver formulato una risposta adeguata, il cervello attiva velocemente i nervi che partono dai centri di controllo nel tronco cerebrale. Questo causa il rilascio di noradrenalina in un gran numero di strutture e di adrenalina dalle ghiandole surrenali (situate immediatamente sopra il rene). Il loro rilascio sostiene la risposta combatti o fuggi, la classica ed immediata reazione che bisogna avere in risposta ad un pericolo. Tutti noi ci rendiamo conto dell’iniziale sensazione di formicolio, sudorazione, aumento dell’attenzione, pulsazioni rapide, aumento della pressione sanguigna e un generale senso di paura che percepiamo nei momenti immediatamente successivi ad una situazione stressante. Questi cambiamenti avvengono a causa di recettori per la adrenalina e la noradrenalina che si trovano nella muscolatura liscia dei vasie ne causano la costrizione, cosicché la pressione sanguigna aumenta e il cuore accelera, e producendo la sensazione di battito amplificato noto come palpitazioni. Ci sono anche recettori nella pelle che causano il raddrizzamento dei peli (pelle d’oca) e nell’intestino a causare quelle fastidiose sensazioni addominali che identifichiamo come stress. Questi cambiamenti servono a prepararci a combattere o a darcela a gambe levate, ed a
concentrare il flusso sanguigno negli organi vitali: i muscoli e il cervello.
L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
La seconda più intensa risposta neuroendocrina allo stress è l’attivazione di un circuito che connette assieme l’ipotalamo, l’ipofisi, la corteccia surrenale e l’ippocampo attraverso un percorso del circolo sanguigno che trasporta ormoni specializzati.
L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. L’ipotalamo, al centro, controlla la liberazione di ormoni da parte dell’ipofisi (ghiandola pituitaria) che, a sua volta, agisce sulla ghiandola surrenale (adrenalica). La liberazione degli ormoni determina un feedback (controllo a tergo) negativo a vari livelli dell’asse.
L’ipotalamo è l’area chiave del cervello per la regolazione di molti dei nostri ormoni. Riceve fibre dalle aree del cervello che elaborano le informazioni emotive, inclusa l’amigdala, e dalle regioni del tronco cerebrale che controllano le risposte nervose del simpatico. Esso integra tutto ciò per produrre un’emissione coordinata di ormoni che stimola la parte successiva del circuito – l’ipofisi (o 63
ghiandola pituitaria). In risposta, questa rilascia un ormone chiamato adrenocorticotropina (ACTH) nel sangue. L’ACTH stimola poi una parte della ghiandola surrenale per la secrezione del cortisolo. LO STRESS È INEVITABILE, TUTTI POSSIAMO SPERIMENTARLO TALVOLTA. PUÒ ESSERE PSICOLOGICO, FISICO, O (QUASI SEMPRE) DEI DUE TIPI
Il cortisolo è un ormone steroideo che è la chiave per comprendere il passo successivo della risposta allo stress. Esso innalza il livello degli zuccheri nel sangue ed altri carburanti metabolici come gli acidi grassi. Questo spesso succede alle spese di proteine che vengono scisse in carburanti richiesti immediatamente – una sorta di “barrette di cioccolato” istantanee per i muscoli ed il cervello. Il cortisolo inoltre aiuta l’adrenalina ad elevare la pressione sanguigna e, nel breve termine, fa sentire bene. Nella situazione di dover cantare da soli su un palco ad un concerto scolastico, l’ultima cosa che vorreste fare e` rimuginare idee preoccupanti. Volete solo fare del vostro meglio con quel minimo di autocoscienza che vi rimane. Il cortisolo blocca inoltre la digestione, le infiammazioni, e guarisce persino le ferite – chiaramente cose che possono essere fatte in seguito. Inibisce anche l’attività sessuale. L’ultimo passo del circuito è l’azione del cortisolo sul cervello. La più alta densità di recettori per il cortisolo è nell’ippocampo, una struttura fondamentale per l’apprendimento e la memoria, ma il cortisolo agisce anche sull’amigdala, che elabora la paura e l’ansia. L’effetto pratico è di attivare l’amigdala, per consentire l’apprendimento delle informazioni riferibili alla paura, e di disattivare l’ippocampo, per assicurare che le risorse non vengano sprecate
in un numero maggiore di aspetti complessi ma non necessari dell’apprendimento. Il cortisolo è l’ingrediente per concentrarsi.
La favola dei due recettori per il cortisolo e l’ippocampo sfuggente L’ippocampo ha alti livelli di due recettori per il cortisolo – li chiameremo recettori basso MR e alto GR. Il recettore basso MR è attivato ai livelli della normale circolazione del cortisolo nel circolo sanguigno dell’asse ipotalamo-ipofisisurrene e mantiene regolare il funzionamento del nostro metabolismo generale e dell’attività cerebrale. Tuttavia, se il livello del cortisolo cresce, specialmente al mattino, il recettore dell’alto GR diventa progressivamente più occupato. Quando ci stressiamo, i livelli di cortisolo diventano veramente molto alti, l’attività di questi recettori è molto sostenuta e l’ippocampo viene infine spento da un programma controllato geneticamente. Mettete assieme tutto questo ed otterrete quella che si chiama curva a campana. Questa è la classica curva che descrive lo stress in relazione alla funzione cerebrale – un po’ va bene, un po’ di più va anche meglio, ma il troppo è troppo!
La depressione e l’iperattività del sistema dello stress 64
Un eccesso di cortisolo nel sangue si osserva in alcune malattie croniche del
back e riducano le eccessive risposte ormonali allo stress.
Stress e invecchiamento
La curva a campana per lo stress. Un po’ di stress (low MR) può migliorare le funzioni cognitive, ma troppo (high MR) le peggiora
cervello. In particolare, nella depressione grave il cortisolo viene prodotto in eccesso ed un recente studio suggerisce che l’ippocampo si ritira anche in questa condizione. Queste scoperte hanno portato gli psichiatri a pensare alla depressione grave come ad una forma di stress a lungo periodo. Non è del tutto certo che l’aumento di cortisolo sia la causa principale di questa grave malattia o se possa essere solo una conseguenza di una insostenibile condizione psicologica e dello stress ad essa associato. Comunque, i pazienti possono essere notevolmente aiutati bloccando la produzione o l’azione del cortisolo, specialmente coloro per i quali i normali trattamenti con farmaci antidepressivi non funzionano. I farmaci antidepressivi usualmente aiutano a normalizzare l’iperattività dell’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene. Un’ipotesi è che riescano a farlo, in parte, perché regolano la densità dei recettori MR e GR nel cervello, specialmente nell’ippocampo. I neuroscienziati che lavorano in questo settore sperano di poter sviluppare cure più efficaci per le malattie da stress che funzionino riportando alla norma il sistema di controllo del feed-
L’invecchiamento del cervello è accompagnato da una generale diminuzione delle sue funzioni, ma è un declino che varia notevolmente da individuo a individuo. Alcune persone mantengono buone capacità cognitive con l’età (buon invecchiamento), mentre per altre non va altrettanto bene (cattivo invecchiamento). Possiamo dare una spiegazione molecolare a questo? I livelli di cortisolo solo più alti nel cattivo invecchiamento e più bassi in quello buono. Questa crescita precede la perdita delle capacità mentali che sono associate alla diminuzione delle dimensioni dell’ippocampo che si può osservare nelle scansioni cerebrali. Esperimenti su ratti e topi hanno mostrato che se si mantiene basso il livello dell’ormone dello stress dalla nascita, o anche da un’età intermedia, si previene la comparsa degli difetti sulla memoria che si osservano nei soggetti non trattati. Sembra quindi che gli individui con una eccessiva risposta ormonale allo stress – non necessariamente quelli più stressati, ma quelli che hanno maggiore risposta agli eventi stressanti – sono quelli che hanno maggiori perdite della memoria ed altri disagi cognitivi con l’avanzare degli anni. Se questo fosse altrettanto vero negli esseri umani, potremmo essere in grado di ridurre il fardello di questi effetti, ad esempio sviluppando farmaci antidepressivi che mantengano il sistema Ipotalamo-Ipofisi-Surrene dello stress sotto controllo. Lo stress è una componente rilevante della vita moderna.
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In questa storia c’è ben di piÚ, ma per descriverlo abbiamo bisogno di introdurre il sistema immunitario.
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13 – Cervello e Sistema Immunitario Fino a pochi anni fa, si credeva che il cervello fosse una sorta di “organo immune privilegiato” perché non veniva colpito da risposte immunitarie o infiammazioni. È pur vero che esso è protetto in qualche misura dagli agenti esterni grazie alla “barriera ematoencefalica”. In realtà questa non è una barriera, ma una categoria di cellule endoteliali specializzate che sono relativamente resistenti al passaggio di grosse molecole o cellule immunitarie che dal sangue vorrebbero passare al cervello. Comunque, questa visione di un cervello privilegiato è cambiata drasticamente negli ultimi dieci anni, grazie ai risultati degli studi sulle interazioni fra cervello e sistema immunitario. La neuroimmunologia è oggi una branca molto attiva della ricerca.
fiammato, causando rigonfiamento, dolore, variazioni del flusso sanguigno ed il rilascio locale di molecole infiammatorie. Più genericamente, l’attivazione del sistema immunitario attiva classi di cellule dette leucociti, macrofagi e proteine della fase acuta che viaggiano fino al sito sotto attacco per identificare, uccidere ed infine rimuovere gli agenti patogeni invasori. Inoltre, la risposta alla fase acuta attiva quei sintomi che noi tutti abbiamo provato (febbri, dolori e patimenti, sonnolenza, perdita dell’appetito o degli interes-
Le difese del corpo Il sistema immunitario è la nostra prima linea di difesa contro i crudeli invasori. Questi invasori, virus, batteri e sostanze fermentanti, possono essere comuni o poco pericolosi, come per una banale febbre, o aggressivi e rischiosi per la stessa vita, come l’HIV, la meningite o la tubercolosi. Le nostre difese agiscono in molti modi. Il primo è localizzato all’interno del tessuto che viene infettato, colpito o in
Molti meccanismi cerebrali collaborano per coordinare il cervello e il sistema immunitario.
si). Ciascuna di queste risposte aiuta a 67
combattere l’infezione, risparmiare le energie ed aiutare la guarigione, ma se vengono attivate troppe volte o troppo a lungo possono essere molto dannose. Pertanto, devono essere accuratamente controllate.
Il cervello e le risposte immunitarie La visione del cervello come organo immunologicamente privilegiato ha lasciato il posto ad una concezione molto differente delle sue relazioni con il sistema immunitario. Questo perché ora è noto che il cervello può, e lo fa, rispondere ai segnali provenienti dal sistema immunitario e dai tessuti lesionati. Le vecchie credenze sono state rivoluzionate. Gli esperimenti hanno rivelato che il cervello è in grado di esibire una vasta gamma di risposte locali infiammatorie ed immunitarie, ed è veramente un importante controllore del sistema immunitario e della reazione durante la fase acuta. Molte reazioni alla malattia, come la febbre (amento della temperatura corporea), il sonno e l’appetito sono regolate principalmente dall’ipotalamo. Il cervello riceve dai tessuti colpiti o infettati una serie di segnali che possono essere di origine nervosa (attraverso i nervi sensoriali) o umorale (attraverso le molecole in circolo). I segnali nervosi sembrano passare attraverso le fibre C (che comunicano anche il dolore, vedi Capitolo 5), ed attraverso il nervo vago dal fegato – un luogo chiave per la produzione delle proteine della fase acuta. La natura dei principali segnali circolatori al cervello non è completamente nota, ma si ritiene che coinvolga le prostaglandine (che vengono inibite dall’aspirina) e pro-
teine del complemento (una cascata di proteine importanti per sopprimere le cellule invasive). Ma forse il segnale più importante è dato da un gruppo di proteine che sono state scoperte solo negli ultimi 20 anni, note col nome di citochine.
Le citochine come molecole difensive Le citochine sono i vendicatori del nostro corpo. Oggi ne conosciamo più di un centinaio, e se ne scoprono continuamente di nuove. Queste proteine vengono normalmente prodotte dal corpo in piccole quantità, ma si attivano velocemente in reazione ad un danno. Esse includono gli interferoni, le interleuchine, i fattori di necrosi tumorale e le chemochine. Molte vengono prodotte localmente all’interno del tessuto lesionato ed agiscono sulle cellule circostanti, ma alcune entrano nel flusso sanguigno da dove mandano segnali ad organi distanti incluso il cervello. Sono le citochine a provocare la maggior parte delle risposte alla malattia e all’infezione. Gli elementi che attivano la produzione di citochine includono i prodotti di batteri o virus, il danno alle cellule o minacce alla sopravvivenza cellulare come le tossine o la carenza di ossigeno. Un altro importante regolatore della produzione di citochine è il cervello che, attraverso l’invio di segnali nervosi alle cellule (soprattutto attraverso il sistema nervoso simpatico), oppure attraverso gli ormoni (come il cortisolo dalla ghiandola surrenale) può attivarle o disattivarle. Le citochine sono molecole proteiche multifunzione, specialmente sul sistema immunitario. Molte stimolano il sistema 68
immunitario e le componenti chiave dell’infiammazione come il rigonfiamento, la variazione del flusso sanguigno ed il rilascio di una seconda ondata di molecole infiammatorie. Esse agiscono su quasi tutti i sistemi fisiologici, incluso il fegato nel quale stimolano le proteine della fase acuta. Inoltre, benché abbiano molte funzioni in comune, svolgono anche funzioni notevolmente diverse. Alcune sono anti-infiammatorie ed inibiscono i processi pro-infiammatori; molte agiscono localmente sulle cellule vicine al sito in cui vengono prodotte, mentre altre vengono immesse nella circolazione, come gli ormoni.
Lo Stress e il Sistema Immunitario Tutti noi abbiamo sentito dire che lo stress può mettere in pericolo le nostre difese e può farci ammalare. Ora cominciamo a capire non solo come lo stress può colpire il cervello direttamente attivando l’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene (descritto nel capitolo precedente), ma anche come può influire sul sistema immunitario – e non sorprende che lo faccia anche attraverso una via indiretta, ossia lo stesso cervello. Lo stress può influenzare il sistema immunitario e la vulnerabilità alle malattie, ma dipende dal tipo di stress e da come reagiamo – ci sono persone che palesemente prosperano su questo fatto. Lo stress che può inibire le nostre risposte di difesa è quello al quale non possiamo porre rimedio, come il lavoro eccessivo o tragedie incolmabili. I meccanismi esatti responsabili del nesso fra lo stress ed il sistema immunitario non sono completamente noti, ma sappiamo che una componente importante è data dall’attivazione dell’asse ipotala-
mo-ipofisi-surrene. Una delle principali risposte del cervello allo stress è l’aumento della produzione di una proteina nell’ipotalamo chiamata fattore di rilascio di corticotropine (CRF). Il CRF attraversa la breve distanza dall’ipotalamo all’ipofisi per rilasciare un altro ormone, il fattore di rilascio di adrenocorticotropine (ACTH). Questo ormone viaggia attraverso la circolazione verso la ghiandola surrenale per rilasciare ormoni steroidei (cortisolo negli esseri umani), che sono fra i più potenti soppressori delle funzioni immunitarie ed infiammatorie. Ma la storia sembra essere più complessa di così perché ci sono altri elementi ormonali e nervosi, e sappiamo inoltre che alcune forme di stress lieve possono migliorare attivamente le nostre funzioni immunitarie.
La risposta immunitaria ed infiammatoria nel cervello Una recente ricerca ha mostrato che molte molecole difensive come le citochine danno un contributo attivo alla manifestazione di malattie cerebrali come la sclerosi multipla, l’ictus e la malattia di Alzheimer. Sembra che una sovrapproduzione di queste molecole all’interno del cervello stesso possa danneggiare i neuroni – specialmente alcune citochine. Nuovi protocolli di cura per le malattie cerebrali sono ora in fase di sviluppo con l’idea di inibire le molecole immunitarie ed infiammatorie. In tal modo la neuroimmunologia, un nuovo ingresso nel campo delle neuroscienze, potrebbe fornire alcune indicazioni e possibili cure per le più grave patologie del cervello.
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Non preoccuparti: le citochine verranno a salvarti!
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14 - Il Sonno Ogni sera andiamo nella nostra stanza, ci mettiamo a letto e scivoliamo nello stato di incoscienza del sonno. La maggior parte di noi dorme per circa 8 ore, il che significa che passiamo all’incirca un terzo della nostra vita in uno stato di incoscienza – in una parte del quale si sogna. Se proviamo ad evitare di dormire per usare questo tempo prezioso per altre attività, come tirare tardi ad una festa o passare la notte sui libri quando si prepara frettolosamente un esame, il nostro corpo ed il nostro cervello presto ci avvisano che non dovremmo farlo. Possiamo resistere per un po’, ma non troppo a lungo. Il ciclo di sonno e veglia è una delle tante attività ritmiche del corpo e del cervello. Perché esistono questi cicli? Quali parti del cervello sono coinvolte e come funzionano?
pare facesse continui riposini di una manciata di minuti, magari durante le riunioni ufficiali! La normale presa d’abitudine di svegliarsi ed addormentarsi durante il ciclo giornonotte è parzialmente controllata da un piccolo gruppo di cellule nell’ipotalamo, in una zona appena al di sopra del chiasma ottico, detta nucleo soprachiasmatico. I neuroni di quest’area, che mostrano la particolarità inusuale di avere un gran numero di sinapsi fra i loro dendriti per sincronizzare la loro attività tutti assieme, sono parte dell’orologio biologico del cervello. Negli esseri umani, questo orologio fa un po’ meno di un ticchettio al giorno, ma è usualmente mantenuto in orario attraverso gli stimoli che arrivano
Un ritmo per vivere Il ciclo sonno-veglia è un ritmo interno che gradualmente si fissa sul ciclo notte-giorno durante il primo anno di vita. È quello che chiamiamo ritmo circadiano – ossia, circa una volta al giorno. Esso è importante per tutta la nostra vita: i neonati dormono e si svegliano continuamente durante il giorno e la notte, i bambini spesso fanno un pisolino dopo mangiato, mentre gli adulti dormono generalmente solo di notte. “Dormire fa bene” – si narra che dicesse Winston Churchill, il Primo Ministro britannico durante la seconda guerra mondiale, e
Il nucleo soprachiasmatico è l’orologio del cervello
dagli occhi e ci dicono quando è giorno e quando è notte. Sappiamo questo grazie ad esperimenti sul sonno svolti su persone che hanno accettato di passare lunghi periodi in profonde caverne, lontani da ogni indicazione sul reale scorrere del tempo, e che hanno evidenziato che in 71
queste condizioni una persona adotta un ciclo libero di sonno-veglia di circa 25 ore.
Le fasi del sonno Dormire non è esattamente il processo passivo che sembra. Se una persona viene tenuta sotto controllo con degli elettrodi sul capo in un laboratorio per il sonno – che è dotato di comodi letti -, l’elettroencefalogramma (EEG) del suo cervello passa attraverso più fasi distinte. Quando siamo svegli, il nostro cervello manifesta un’attività elettrica di bassa ampiezza. Quando ci addormentiamo, il tracciato EEG inizialmente si abbassa ma poi, gradualmente, mostra un aumento dell’ampiezza ed una diminuzione della frequenza mentre entriamo in diverse fasi del sonno. Queste fasi sono dette sonno ad onde lente (SWS). La ragione di questi cambiamenti nell’attività elettrica non sono ancora completamente chiare. Si ritiene però che quando i neuroni nel cervello diventano non reattivi ai normali stimoli che arrivano, si sincronizzino gradualmente l’uno con l’altro. Si perde il tono muscolare, poiché i neuroni che controllano il movimento muscoloscheletrico vengono attivamente inibiti ma, per fortuna, quelli che controllano la frequenza cardiaca e respiratoria continuano a funzionare normalmente! Durante la notte, passiamo ripetutamente attraverso questi diversi stadi del sonno. Durante uno di essi il tracciato EEG diventa come quello dello stato di veglia ed i nostri occhi cominciano a muoversi avanti e indietro sotto le palpebre abbassate. Questa è la cosiddetta fase del movimento oculare rapido (REM) del sonno, e si ritiene che sia in questa fase che si sogna. Se veniamo
svegliati durante una fase REM, quasi sempre siamo in grado di raccontare i nostri sogni – anche quelli che abitualmente dichiarano di non sognare mai: provate a fare una prova con qualche membro della vostra famiglia! Di fatto, la maggior parte di noi ha circa dalle 4 alle 6 brevi fasi REM nell’arco di una notte. I neonati hanno un maggior numero di fasi REM e persino gli animali manifestano un sonno REM.
Il normale sonno di 8 ore di una notte consiste di differenti stadi, con brevi periodi di sonno REM (aree rosse) che si verificano circa 4 volte in ogni notte
La privazione del sonno Alcuni anni fa, un ragazzo americano che si chiamava Randy Gardner cercò di entrare nel Guinness dei Primati evitando di addormentarsi per il periodo più lungo mai registrato. Il suo obiettivo era di resistere 264 ore senza dormire, e vi riuscì! Fu un esperimento estremamente controllato e supervisionato da medici della Marina Militare Americana. Si sconsiglia vivamente di provarci! Sorprendentemente, riuscì a venirne fuori in buona salute. I suoi problemi più evidenti (a parte il fatto di sentirsi incredibilmente stanco) erano la difficoltà nel parlare e l’incapacità di concentrazione, vuoti di memoria ed allucinazioni ad occhi aperti. Ma il suo corpo rimase in eccellenti condizioni fisiche e non mo72
strò mai segni di psicosi o distacco dalla realtà. Quando l’esperimento finì, mostrò qualche segno di ripercussione, dormendo per quasi quindici ore la prima notte e per brevi periodi aggiuntivi le notti seguenti. Questo e molti altri esperimenti simili hanno convinto i ricercatori del sonno che è soprattutto il cervello a guadagnarci davvero dal dormire, non il corpo. Conclusioni simili sono giunte da altri studi, inclusi esperimenti altamente controllati su animali.
Perché dormiamo? Molti fenomeni nelle neuroscienze restano un enigma, ed il sonno è uno di questi. Alcuni hanno pensato che il sonno sia soltanto un modo di restare immobile e dunque fuori pericolo: conveniente per gli animali. Ma deve esserci certamente dell’altro. Gli esperimenti di privazione del sonno portano a ritenere che il sonno REM ed alcune fasi del sonno SWS consentano al cervello di rimettersi a posto. Abbiamo questo tipo di sonno durante le prime 4 ore della notte. Forse è un metodo per ripristinare le funzioni ottimali del cervello, ed il momento giusto per farlo è, in analogia con una barca che viene portata in cantiere per la manutenzione, quando il cervello non sta elaborando nessuna informazione sensoriale, non è vigile o attento, non deve controllare le nostre azioni. La ricerca suggerisce inoltre che il sonno è il periodo in cui consolidiamo quello che abbiamo imparato il giorno prima – un processo essenziale per la memoria.
Come funzionano i ritmi?
Un grande progresso è stato fatto nell’apprendimento dei meccanismi nervosi delle attività ritmiche come il sonno, grazie alla registrazione dell’attività dei neuroni in varie aree cerebrali durante la transizione fra diverse fasi del sonno stesso. Queste osservazioni hanno evidenziato un sistema di attivazione del tronco encefalico che coinvolge vari neuromodulatori, incluso uno chiamato adenosina, una sorta di reazione molecolare a catena che ci accompagna durante le varie fasi del sonno. I meccanismi di sincronizzazione consentono alle reti di passare da uno stato di sonno all’altro.
Un notevole passo avanti è stato fornito dalla neurogenetica. Sono stati identificati vari geni che, come ruote dentate ed ingranaggi di un orologio, sono i componenti molecolari del nostro metronomo ritmico. Molto di questo lavoro è stato svolto sulla Drosofila (il moscerino della frutta), in cui si è trovato che due geni – PER e TIM – producono proteine che interagiscono per regolare la loro stessa sintesi. La sintesi del mRNA e delle proteine inizia di primo mattino, le proteine si accumulano, si legano l’una con l’altra ed alla fine questo processo interrompe la loro stessa sintesi. La luce del giorno aiuta a demolire le proteine il cui livello eventualmente supera un punto in cui i geni che producono le proteine PER e TIM ricomincerebbero a lavorare. Que73
sto si ripete in continuazione, e può proseguire persino se i neuroni vengono mantenuti in vita su un vetrino da laboratorio. L’orologio nei mammiferi come noi opera in maniera molto simile a quello del moscerino. Essendo i ritmi circadiani molto antichi in termini evoluzionistici, forse non sorprende che lo stesso tipo di molecole regolano l’orologio in organismi tanto diversi.
Frontiere dell Ricerca
Per cercare di capire meglio i meccanismi molecolari dei cicli circadiani, i neuroscienziati hanno geneticamente ingegnerizzato dei topi in modo che i geni espressi nel nucleo soprachiasmatico fosse “knocked out”. Questi topi VIPR2 vivono bene e modificano la proprio attività di giorno e di notte proprio come i topi normali. I punyi neri nei diagrammi riportati sopra mostrno quanto i topi sono attivi: un ritmo giornaliero dove l’attività si manifesta di notte (aree grigie). Ma quando il momento in cui le luci vengono spente è bruscamente spostato verso le 8 (circa al 25° giorno), i topi normali mostrano un “jet-lag”, necessitando di alcuni giorni per modificare la temporizzazione della propria attività. I topi ingegnerizzati, invece, la modificano immediatamente. Studi come questi potranno aiutarci a capire meglio i meccanismi molecolari tramite i quali la luce interagisce con i geni responsabili dei cicli circadiani.
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15 - Visualizzazione del cervello (Brain Imaging) I frenologi erano convinti di poter capire il cervello guardando i bernoccoli sulla superficie del cranio. Se questo può sembrare oggi fuorviante, la loro ambizione di capire il cervello osservandolo dall’esterno del cranio ha incuriosito molte persone nel corso dei tempi. Oggi possiamo farlo davvero – grazie all’avvento delle moderne tecniche di visualizzazione cerebrale. I tomografi moderni usano una gran varietà di metodi per fornirci immagini splendide di strutture neuronali e percorsi di fibre, flusso ematico e metabolismo energetico nel cervello, e delle variazioni dell’attività neuronale che avvengono quando compiamo operazioni diverse.
Il cammino verso le tecniche moderne Nel tentativo di mettere in relazione le strutture con le funzioni, una grande spinta è stata data dai neurologi e dagli neuropsicologi che correlano ogni stranezza della mente e del comportamento con misurazioni delle strutture cerebrali post-mortem. È stato così che le aree legate alla parola sono state identificate da Broca. Questo approccio ha dato molti successi, ma ha anche alcune limitazioni. Non si può formulare semplicemente l’ipotesi che la perdita di una funzione in seguito
ad una lesione in un’area specifica del cervello leghi indissolubilmente quella funzione a quell’area. Ad esempio, una disfunzione può essere dovuta al fatto che quell’area si ritrova isolata o disconnessa da altre regioni con le quali normalmente comunica. È anche possibile che aree del cervello non danneggiate possano prendersi carico delle funzioni che in circostanze normali vengono svolte da aree ora danneggiate; ciò è noto come plasticità. Infine, solo poche lesioni patologiche sono confinate in una precisa area funzionale. Infine, potrebbe passare molto tempo fra lo studio di un paziente quando è in vita ed un’indagine del cervello dopo la morte. Le tecniche di visualizzazione delle strutture cerebrali (brain imaging) cominciarono ad essere ideate circa 30 anni fa. Il recente sviluppo dei metodi di visualizzazione funzionale da parte dei fisici medici ha attratto particolarmente l’attenzione. Tali metodi consentono – letteralmente – di vedere all’interno del cranio e così scrutare nel cervello umano mentre pensa, impara o sogna.
Come funziona Le tecniche elettrofisiologiche per osservare l’attività neuronale sono basate sulle variazioni nel potenziale di membrana dei neuroni attivati. Le tecniche di visualizzazione del cervello sfruttano 75
l’osservazione delle variazioni nel metabolismo energetico richiesto per attivare i neuroni. I gradienti elettrochimici che spostano gli ioni carichi dentro e fuori dai neuroni (e che sono all’origine dei potenziali si-
Grazie al computer, le immagini ottenute dalle scansioni PET e MRI mostrano esattamente dove, nel cervello, si siano verificate variazioni di flusso ematico.
Immagine dei vasi ematici del cervello. Le variazioni del flusso ematico possono essere riconosciute ed utilizzate come indice di attività nervosa.
naptici e d’azione) hanno bisogno di energia per funzionare. Il glucosio e l’ossigeno vengono rilasciati nel cervello attraverso la circolazione cerebrale. Grazie alla connessione neurovascolare, (la correlazione positiva fra metabolismo e flusso ematico), si ha un aumento locale del flusso sanguigno cerebrale nelle aree attive. Questo avviene molto velocemente. I moderni apparati per il neuroimaging misurano queste variazioni del flusso sanguigno cerebrale locale e le utilizzano come indice dell’attività neurale. La prima tecnica funzionale ad essere sviluppata è stata la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET). Questa procedura richiede l’iniezione, nel soggetto, di traccianti radioattivi che sono attaccati ad un composto di interesse biologico (come un farmaco che si lega al recettore di un neurotrasmettitore). Una serie di anelli di rilevatori circonda la testa del soggetto e registra l’istante e la posizione delle emissioni gamma che
A una persona dentro lo scanner può essere mostrata una grande varietà di immagini. Tutte “accenderanno” le aree visive primarie della corteccia cerebrale: la V1 e la V2. L’utilizzo di opportune tecniche di sottrazione ha svelato che l’analisi dei colori (a sinistra) viene effettuata nell’area V4, mentre quella del movimento (di punti casuali che si spostano sullo schermo, a destra) attiva l’area V5.
vengono prodotte dall’isotopo nucleare mentre attraversa il cervello e decade. La PET può essere utilizzata per produrre delle mappe di variazioni locali nel flusso sanguigno cerebrale (CBF). Queste misurazioni hanno portato all’individuazione delle funzioni cerebrali sensoriali, motorie e cognitive negli esseri 76
A sinistra: i profitti ricavati dalla E.M.I. per la vendita dei dischi dei Beatles contribuirono allo sviluppo della prima macchina per la visualizzazione del cervello. Questi ed altri strumenti hanno consentito ai neuroscienziati di guardare dentro il cervello in modo nuovo. A destra: una moderna macchina per la MRI. Il soggetto è disteso su un ripiano che viene spostato dentro gli anelli dei magneti. L’acquisizione delle immagini può richiedere da 30 minuti a un’ora.
umani. La PET ha però diversi svantaggi, il maggiore dei quali è il fatto che sia necessaria l’iniezione di un tracciante radioattivo. Ciò implica che non tutti possono sottoporsi ad un’indagine PET, ad esempio i bambini e le donne in stato di gravidanza, ed il numero di misurazioni che possono essere fatte durante una sessione è limitato. Poco tempo dopo è stata sviluppata una tecnica completamente differente, chiamata Imaging a Risonanza Magnetica (MRI), che ha il vantaggio di essere assolutamente “non invasiva” e di non richiedere l’uso di sostanze radioattive. Ciò consente di sottoporre ad esame persone di ogni età. La MRI può essere usata per produrre immagini molto particolareggiate delle strutture cerebrali, ed il recente sviluppo di un’ulteriore tecnica detta Imaging a Tensore di Diffusione (DTI) consente di avere ricostruzioni minuziose delle fibre della materia bianca che connettono le regioni del cervello. Una delle applicazioni più entusiasmanti della tecnologia MRI è il metodo per ottenere immagini delle funzioni cerebrali, chiamato Imaging a Risonanza Magne-
L’attivazione dell’area V5 riflette la percezione del movimento. Le informazioni a quest’area provengono dall’area V2 della corteccia cerebrale e dal Pulvinar (Pul), un nucleo profondo del cervello. La corteccia parietale posteriore (PPC) controlla il flusso di informazioni. L’analisi dello connessioni effettivamente operative consente di conoscerne il contributo relativo.
tica funzionale (fMRI). Questa tecnica è basata sulla differenza delle proprietà magnetiche dell’ossiemoglobina e della desossiemoglobina nel sangue (ecco perché il segnale nella fMRI è detto dipendente dal livello di ossigenazione del sangue – BOLD). Poiché l’aumento dell’attività neuronale causa il movimento di ioni che attivano pompe ioniche affamate d’energia, c’è un aumento nel metabolismo energetico e nel consumo di ossige77
no; questo porta ad un incremento dell’emoglobina deossigenata e ad un calo del segnale di magnetizzazione. Tuttavia, l’aumentato consumo di ossigeno è seguito entro pochi secondi da un incremento locale del flusso sanguigno cerebrale. Tale incremento supera quello del consumo di ossigeno; si ha dunque un aumento relativo della quantità di ossiemoglobina e, conseguentemente, dell’entità del segnale. L’esatto meccanismo che porta all’aumento del flusso sanguigno cerebrale non è ancora chiaro, ma si crede che la causa sia un segnale legato ad un neurotrasmettitore.
pegnato in un compito attentamente supervisionato. Durante la scansione, il soggetto è disteso all’interno di un foro al centro di un magnete, e viene rilevato il suo comportamento in reazione ad una serie di stimoli. Gli stimoli possono essere di vario tipo, stimoli visivi proiettati su uno schermo visibile dal soggetto, stimoli uditivi attraverso delle cuffie. È possibile esaminare fenomeni non evidenti come la percezione, l’apprendimento, la memoria, il pensiero o la programmazione.
Frontiere della Ricerca.
Come si fa Probabilmente siete molto bravi a sottrarre i numeri; ma avete mai provato a sottrarre i cervelli? Non c’è dubbio che il ragazzo della vignetta sia confuso. Sottrarre immagini del cervello a due e a tre dimensioni è un fattore critico per
Nikos Logothetis è un giovane ricercatore che ha prodotto contributi importanti alla comprensione delle relazioni fra l’attività dei neuroni cerebrali e i segnali rilevati negli esperimenti di brain imaging. Esperimenti recenti nei quali la registrazione elettrica dell’attività cerebrale è stata associata alla fMRI hanno mostrato una correlazione fra attività sinaptica e il segnale BOLD maggiore di quanto non si abbia per le scariche di potenziali d’azione. Il segnale BOLD è quindi un indice di attività sinaptica cerebrale più realistico di quanto sia la produzione di potenziali d’azione. Ciò ha importanti applicazioni per l’interpretazione del segnale BOLD in termini di localizzazione delle funzioni.
l’analisi dei dati. La maggior parte degli studi di fMRI consiste nel misurare il segnale BOLD mentre un soggetto è im-
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16 - Reti Neurali e Cervelli Artificiali
Il cervello è una sostanza molle. I suoi neuroni, i vasi sanguigni, ed i ventricoli pieni di liquido sono composti da membrane lipidiche, proteine e una gran quantità d’acqua. Si può sfaldare con un dito, tagliare con un microtomo, inserire elettrodi nei suoi neuroni e guardarvi il sangue pulsare. Gli studi sul cervello sembrano ancorati fermamente alla biologia e alla medicina. C’è tuttavia un altro modo di immaginarlo che ha attratto l’attenzione di matematici, fisici, ingegneri ed informatici. Essi pensano al cervello scrivendo equazioni, creando modelli al computer e persino apparecchiature elettroniche che simulano i veri neuroni nella nostra testa. Il cervello reale è altamente adattativo. È capace di fare cose come leggere una scrittura manuale che non abbiamo mai visto prima e capire il discorso di un perfetto sconosciuto. Il tuo cervello ha 100.000.000.000 di cellule e 3.200.000 chilometri di cavi, con 1.000.000.000.000.000 di connessioni sinaptiche, tutto in un volume di 1,5 litri e del peso di 1,5 kg. Ciò nonostante, consuma più o meno quanto una lampadina da notte
E riesce a tollerare che qualcosa non vada. Funziona ragionevolmente bene per la
durata di tutta una vita anche se le cellule muoiono e, anche in tarda età, il cervello è ancora capace di imparare nuovi espedienti. I robot di oggi sono molto bravi ad eseguire un ristretto numero di compiti per i quali sono stati progettati, come costruire un pezzo di automobile, ma sono molto meno tolleranti quando qualcosa non funziona. Tutti i cervelli reali sono costituiti da reti neuronali altamente interconnesse. I loro neuroni hanno bisogno di energia e le reti hanno bisogno di spazio. Il nostro cervello contiene approssimativamente 100 miliardi di cellule nervose, 3,2 chilometri di “cavi”, un milione di miliardi di connessioni, il tutto contenuto in un volume di circa 1,5 litri, ma che pesa solo 1,5 chilogrammi e consuma appena 10 watt. Se provassimo a costruire un cervello simile usando circuiti al silicio, consumerebbe circa 10 megawatt, la potenza necessaria ad alimentare un’intera piccola città. Tanto per peggiorare le cose, il calore prodotto da questo cervello al silicio lo farebbe fondere! La sfida è scoprire come il cervello possa operare in maniera così efficiente ed economica, ed usare simili principi per costruire macchine come cervelli.
Costruire circuiti cerebrali al silicio 79
Il costo energetico dell’invio dei segnali da un neurone ad un altro è stato probabilmente uno dei fattori principali nell’evoluzione del cervello. Circa il 50-80% di tutto il consumo energetico del cervello è richiesto per la conduzione dei potenziali d’azione lungo le fibre nervose e per la trasmissione sinaptica. Il resto è utilizzato per la costruzione e la manutenzione di ogni sua parte. Questo è vero tanto per il cervello di un’ape quanto per il nostro. Tuttavia, se comparato alla velocità di un computer digitale, l’impulso nervoso è molto lento – solo qualche metro al secondo. In un processore seriale come un computer digitale, questo renderebbe il lavoro impossibile. I cervelli biologici però sono costruiti come reti altamente parallele. La maggior parte dei neuroni e` connessa direttamente con molte altre migliaia. Per fare questo, il cervello sfrutta il suo volume tridimensionale per impacchettare ogni cosa – piegando i fogli di cellule in solchi e riunendo strettamente assieme le connessioni in fasci. In contrasto, la creazione di connessioni anche fra un numero modesto di neuroni di silicio è limitata dalla natura bidimensionale dei circuiti e delle schede elettroniche. Pertanto, al contrario del cervello, nei neuroni di silicio la comunicazione diretta è fortemente limitata. Comunque, sfruttando l’elevatissima velocità dell’elettronica convenzionale, gli impulsi provenienti da più neuroni di silicio possono essere “moltiplicati” – un processo di trasporto di più informazioni diverse assieme lungo lo stesso filo. In tal modo, gli ingegneri informatici possono iniziare ad emulare la connettività delle reti biologiche. Per ridurre il consumo ma aumentare la velocità, gli ingegneri ispirati dalla neurologia hanno adottato la strategia bio-
logica di usare una codifica analogica anziché digitale. Carter Mead, uno dei “guru” della Silicon Valley in California, ha coniato il termine “progettazione neuromorfa” per descrivere il trasferimento della neurobiologia alla tecnologia. Anziché codificare le informazioni digitalmente in termini di “0” e “1”, come fanno i computer, i circuiti analogici codificano mediante continue variazioni di voltaggio, così come fanno i neuroni nel loro stato sotto-soglia (vedi Capitolo 3). I calcoli possono allora essere fatti con un numero minore di passi, perché si sfrutta la fisica di base dei circuiti di silicio. La computazione analogica fornisce facilmente le operazioni elementari del calcolo: addizione, sottrazione, esponenziali ed integrali, operazioni che sono tutte molto complicate per le macchine digitali. Quando i neuroni – siano essi biologici o di silicio – calcolano e “prendono una decisione”, essi trasmettono impulsi lungo gli assoni per comunicare la risposta ai neuroni bersaglio. Poiché la codifica dei picchi di potenziale è energeticamente sconveniente, una codifica efficiente massimizza la quantità di informazioni rappresentata da un treno di picchi riducendo quella che è detta ridondanza. L’efficienza energetica è anche aumentata usando un numero di neuroni attivi il più piccolo possibile. Questo metodo è chiamato codifica rarefatta e indica agli ingegneri un ulteriore principio importante di progettazione per costruire reti neurali artificiali.
Una retina di silicio È già stata costruita una semplice versione artificiale di rete biologica, che consiste in una retina di silicio che cattura la luce e adatta la propria risposta automaticamente alle variazioni delle 80
condizioni di luce incidente. Questa retina è connessa a due neuroni di silicio che, come i neuroni reali nella corteccia visiva, hanno il compito di estrarre le informazioni sull’orientamento delle linee ed i bordi di contrasto nell’immagine retinica. I neuroni di questo prototipo sono detti neuroni-integratori-ed-emettitori ed i progettisti neuromorfici li usano massicciamente. Il nome deriva dal fatto che essi sommano le quantità in ingresso, le codificano come voltaggi che arrivano alle loro sinapsi, ed emettono un potenziale d’azione solo se il voltaggio raggiunge una determinata soglia. Gli stessi neuroni di silicio sono composti da transistors ma, invece di usare questi transistors come interruttori e portare i voltaggi a saturazione come nei sistemi digitali convenzionali, eseguono il loro lavoro a livelli sotto soglia. A tali livelli, funzionano in maniera più simile alle membrane cellulari dei veri neuroni. Ulteriori transistors forniscono la conduttanza attiva necessaria per emulare il voltaggio ed i flussi di corrente dipendenti dal tempo dei veri canali ionici. Questo piccolo sistema visivo è un prototipo per un
Una fotocamera viene montata di fronte alla retina di silicio. molto più elaborato sistema artificiale per la visione che è ancora in fase di sviluppo, ma basta per illustrare come un
segnale estremamente rumoroso proveniente dal mondo reale possa essere elaborato velocemente per produrre una semplice decisione. Il bello è che riesce a fare ciò per cui è stato progettato – dire quale sia l’orientamento di una linea in un’immagine - ed i neuroscienziati stanno già usando questo semplice sistema visivo di silicio per collaudare apparecchiature ed esercitare gli studenti. L’aspetto più importante riguardo le reti artificiali è che esse operano nel mondo reale, in tempo reale e utilizzano pochissima energia.
Le reti neurali artificiali Le Reti Neurali Artificiali (ANN) vengono spesso utilizzate per studiare l’apprendimento e la memoria. Usualmente funzionano su computer digitali convenzionali e consistono in un certo numero di unità semplici di processamento che sono altamente interconnesse in una rete. La più semplice forma di ANN è un associatore, che ha strati di unità interconnesse di ingresso ed uscita. Una memoria associativa è realizzata modificando l’intensità delle connessioni fra gli strati cosicché, quando si presenta un segnale d’ingresso, il segnale immagazzinato associato al segnale in arrivo viene richiamato (vedi la Casella del rompicapo matematico nella prossima pagina). Una versione più complessa di ANN è la rete neurale ricorsiva. Questa consiste in un singolo strato sul quale ciascuna unità è interconnessa ed ognuna agisce sia come ingresso sia come uscita. Può suonare un po’ strano, ma questa progettazione consente alla rete di immagazzinare gruppi di informazione anziché solo un paio di segnali. La decodifica di questa sorta di rete autoassociativa è affidata ad una ricerca ricorsiva degli elementi immagazzinati. Si è visto che in una rete di 81
1000 unità si possono richiamare circa 150 gruppi di informazione prima che gli errori nel processo di richiamo diventino rilevanti. La somiglianza delle ANN al cervello è insita nel modo in cui esse immagazzinano e processano le informazioni. La “conoscenza” che essi elaborano risiede nella rete stessa. Non hanno aree separate per la memoria come i computer digitali, nei quali il processore aritmetico e gli indirizzi di memoria sono separati. Al contrario, consentono un immagazzinamento indirizzabile dal contenuto. In una ANN, l’informazione viene immagazzinata nell’intensità delle connessioni, così come le sinapsi cambiano la loro produttività durante l’apprendimento. Inoltre, le ANN non sono programmate per eseguire alcuna procedura specifica. Ciascun “neurone” al loro interno è “muto”, e risponde semplicemente in base alla somma delle intensità all’ingresso. E tuttavia, possono essere allenati per fare cose molto intelligenti. Le regole di apprendimento che insegnano alle reti riescono nell’obiettivo modificando le intensità delle connessioni fra i neuroni; un semplice esempio è una regola che prende il segnale in uscita dalla rete in base ad un certo segnale d’ingresso e lo confronta con un segnale da valutare. Qualunque “errore” nel confronto viene poi utilizzato per regolare meglio l’intensità delle connessioni per fornire un segnale d’uscita che sia più simile a quello desiderato. La rete riduce gradualmente il segnale erroneo al minimo. Il tutto funziona, anche se lentamente. Sbagliare è importante – le reti non possono imparare se non commettono errori. Questa è una caratteristica dell’apprendimento che può essere sfruttata. In fondo, se una rete che funziona per lun-
go tempo non commette mai errori essa impara a rispondere solo ad uno specifico tipo di segnale d’ingresso. Queste reti vengono chiamate metaforicamente “della nonna”– un riferimento ad ipotetiche “cellule per la nonna” nel cervello umano, che si attivano solo quando la nonna di qualcuno entra nel campo visivo e non devono mai sbagliare! Ma tutto questo non sarebbe molto utile nel mondo reale, perché ogni cosa che impariamo avrebbe bisogno di una specifica rete. Al contrario, l’aspetto elegante delle ANN consiste nella loro abilità nel generalizzarsi rispetto ai segnali d’ingresso che arrivano per la prima volta nell’apprendimento. Esse osservano le differenze, colgono le associazioni e scoprono le regolarità nei treni di segnali in arrivo. E possono sbagliare – in maniera tollerabile quanto in un cervello vero. Possono inoltre richiamare un gruppo di segnali immagazzinato anche quando il segnale d’ingresso è rumoroso o incompleto. Queste proprietà di lavoro sono molto importanti nel cervello biologico, e le ANN riescono a riprodurle.
Il paradosso della moderna tecnologia di calcolo Il paradosso delle attuali ANN è che esse sono simulate matematicamente su computer digitali. Ciò rende la loro applicazione nelle situazioni del mondo reale estremamente limitato, perché le simulazioni richiedono tempo e pertanto le ANN non sono in grado di operare in tempo reale. Le ANN sembrano essere ben disegnate per guidare un’automobile o pilotare un velivolo, perché sono resistenti ai rumori nei segnali e continuano a funzionare anche se alcune loro parti si guastano. Tuttavia, i sistemi esperti che 82
tomatici sono computer digitali su cui operano programmi deterministici convenzionali e, per sicurezza, il tutto richiede continue verifiche manuali. Se le cose vanno davvero male in un aeroplano, questi sistemi non possono risolvere nulla. Il pilota umano deve intervenire. Gli algoritmi attuali di apprendimento per le ANN sono troppo lenti per questo tipo di emergenze. Se i neuroni di silicio potessero imparare, il che ora non avviene, allora molti di questi problemi potrebbero essere risolti. Capendo di più sul funzionamento del cervello reale, potremo riuscire a costruire reti neurali più sofisticate che consentiranno di ottenere prestazioni simili a quelle di un vero cervello. NOMAD è un irrequieto ma intelligente progenitore delle macchine pensanti che verranno. E’ alto due piedi ed ha un torace cilindrico con “occhi”, “orecchie”, “mani” prensili e vari sensori che lo aiutano a muoversi. Ciò che rende NOMAD diverso dalla maggior parte dei robot è che funziona senza regole codificate o istruzioni. Invece, ha un cervello simulato da un computer con 10.000 cellule nervose simulate e più di un milione di connessioni fra di loro che gli consentono di percepire e reagire all’ambiente. Può gestire situazioni nuove e imparare dai suoi errori mentre si muove in un ambiente semplice con pochi cubi colorati. Alcuni dei cubi hanno strisce e conducono la elettricità, così da essere “gustosi”. Altri hanno cerchi e non conducono la elettricità: sono, quindi, meno “gustosi”. Osservando i cubi e “saggiandoli” con i sensori elettrici delle sue dita, NOMAD impara a trascurare i cubi con i cerchi a favore di quelli con le strisce.
vengono generalmente usati nei piloti au
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17 - Quando qualcosa non va Il cervello è un organo delicato. Un incidente può causare un danno alla testa e il cervello può ammalarsi e smettere di funzionare normalmente. Le malattie al cervello possono produrre una larghissima varietà di sintomi e la loro comprensione può essere difficile. La diagnosi delle malattie cerebrali richiede sia le capacità cliniche di un neurologo o di uno psichiatra sia sofisticate valutazioni biomediche e di brain-imaging. La ricerca sulle anomalie cerebrali richiede un campo di esperienza persino più ampio. Alcune malattie, come l’epilessia e la depressione, sono piuttosto comuni – anche nei bambini e negli adolescenti. Altre sono meno frequenti, come la Schizofrenia, o sono riscontrabili solo in tarda età, come il Morbo di Alzheimer, ma non sono meno debilitanti. Alcune hanno una forte componente genetica, e questo pone un difficile interrogativo sul fatto che ciascuno di noi possa voler sapere se e` potatore di una mutazione che predispone ad una di queste condizioni.
Casella del rompicapo matematico Una memoria distribuita col contenuto indirizzabile Immagina una serie di linee orizzontali che si incrociano con quattro verticali e “interruttori” nei punti di intersezione (in alto a sinistra). Questa matrice è una memoria. Le informazioni le vengono presentate sotto forma di numeri binari, come 0011 e 1010 e decidiamo che gli interruttori saranno aperti (on) quando un 1 incontra un 1 (in rosso, in alto a destra). Questa disposizione segnala la presenza di una coppia di 1. La matrice può immagazzinare altri numeri sopra quelli precedenti, come 1010 e 0110.
Segnalazioni disorganizzate – L’Epilessia Durante un attacco (una scarica epilettica), la persona perde conoscenza e può cadere a terra, diventando rigida e cominciando a tremare. Quando l’attacco è finito, può scoprire di essersi morsa la 84
Lo stato finale della matrice dovrebbe avere 7 interruttori on, come mostrato in basso a sinistra. Se adesso si presenta nuovamente il primo numero - 0011 - allo stato finale della matrice e si fa in modo che la corrente sia indotta nei fili verticali ogni volta che un interruttore sia on (in basso a destra), la corrente uscirà dalle linee verticali, in basso, proporzionalmente al numero 2120 Questo non è il numero con cui 0011 era stato inizialmente appaiato ma, se si divide 2120 per la quantità di 1 nel numero usato come richiamo (0+0+1+1 = 2) e considerando solo gli interi (cioè non i valori decimali), si ottiene 1010. Quindi la matrice ha “ricordato” che 0011 si accompagnava a 1010 anche se un altro messaggio è stato immagazzinato sopra il primo. Questo è il tipo di memoria che si pensa abbia il nostro cervello. Essa non immagazzinerebbe le informazioni in posti specifici, come in un computer. Le informazioni, invece, sarebbero distribuite nella rete e immagazzinate come forza delle connessioni sinaptiche, così da poter essere recu-
lingua o essersi bagnata, e potrebbe avere un senso di profonda stanchezza. Molti bambini ne sono colpiti, ma gli attacchi possono diminuire drasticamente nella fase adulta. Per alcuni, sfortunatamente, gli attacchi possono avvenire settimanalmente o anche quotidianamente. Cos’è che non va? Durante gli attacchi, c’è un aumento delle emissioni di potenziali d’azione da parte dei neuroni, seguito da un periodo di riduzione dell’eccitabilità. Il processo ciclico è modulato da neurotrasmettitori inibitori (GABA) ed eccitatori (glutammato). Quando la riduzione dell’eccitabilità è incompleta, gli attacchi possono essere generati da una somma di contributi provenienti dai neuroni circostanti. Questi contributi possono essere localizzati (causando un attacco parziale) o allargarsi all’intera cor-
teccia (causando un attacco generalizzato). Durante un attacco generalizzato, il normale ritmo “alfa” dell’elettroencefalogramma (EEG) è sostituito da onde sincronizzate di attività elettrica più ampie e lente in ambedue gli emisferi cerebrali. Attacchi isolati sono piuttosto comuni, ma attacchi ripetuti – epilessia – sono meno frequenti e più problematici. Le cause dirette sono ancora ignote. Nelle persone epilettiche, gli attacchi possono essere provocati da stanchezza, dal saltare un pasto, da calo degli zuccheri nel sangue, da alcol, dallo sfarfallio di uno schermo televisivo. Le persone interessate facciano dunque attenzione. La ricerca neuroscientifica ha dato due grandi contributi al miglioramento della qualità della vita delle persone epilettiche. Anzitutto, grazie alla crescente comprensione della trasmissione eccitatoria, possiamo ora progettare farmaci che abbattono l’attività anormale degli attacchi senza abbattere nel contempo la normale attività cerebrale. I farmaci più vecchi tendevano ad agire come sedativi generici, mentre quelli nuovi sono molto più selettivi. In secondo luogo, il miglioramento della qualità del brain-imaging implica che, per alcune persone con attacchi fortemente debilitanti, è possibile localizzare la fonte degli attacchi abbastanza accuratamente. È allora possibile talvolta per il neurochirurgo ritagliare questa zona di tessuto cerebrale danneggiato ed avere come risultato una riduzione della frequenza degli attacchi e del rischio che la malattia si diffonda in tessuti cerebrali ancora integri. Il trattamento chirurgico dell’epilessia è a volte ritenuto essere un po’ drastico, ma è notevole pensare al gran numero di volte in cui ha successo. 85
Mal di testa e emicrania Molte persone soffrono di mal di testa ogni tanto. Di solito questo è causato da tensione muscolare e non c’è nulla di serio di cui preoccuparsi. Molto raramente – specialmente se il mal di testa compare all’improvviso o è associato ad arrossamento della pelle o a vomito – la causa sottostante può essere seria. In queste situazioni il dolore non proviene proprio dal cervello, ma dall’irritazione o dalla sollecitazione delle meningi – la fodera del nostro cervello. La causa più comune di mal di testa è l’emicrania. Assieme al dolore alla testa (spesso da una parte sola), le persone si sentono male, trovano fastidiose le luci intense o i suoni ad alto volume, e percepiscono un’aura emicranica, consistente in lampi luminosi o linee frastagliate. Generalmente, l’aura precede l’emicrania. Ora si ritiene che l’emicrania abbia inizio nella parte del cervello che elabora le sensazioni dolorose che provengono dai vasi sanguigni cerebrali. Il brain-imaging rivela un aumento dell’attività in queste regioni all’inizio dell’emicrania. In contemporanea, si ha un breve incremento dell’apporto locale di sangue (che porta a sintomi come i lampi luminosi), seguito immediatamente da una riduzione del flusso sanguigno (che si riflette in una temporanea stanchezza). Negli ultimi dieci anni si è vista una rivoluzione nel trattamento degli attacchi emicranici, attraverso l’avanzare della nostra comprensione dei recettori della serotonina (5-HT). È stata scoperta una nuova classe di farmaci che attivano un particolare sottogruppo di recettori della serotonina. Questi farmaci – i triptani
– sono molto efficaci nel bloccare il mal di testa emicranico sul nascere. Questo è solo uno dei modi in cui la ricerca neuroscientifica ha dato un importante contributo al miglioramento della vita di milioni di persone in tutto il mondo.
Non c’è abbastanza carburante – l’infarto cerebrale Quando una persona manifesta un’improvvisa stanchezza ad un lato del corpo, questo può essere dovuto ad un infarto cerebrale (ictus) che ha colpito la parte opposta del cervello. Anche l’equilibrio, le sensazioni o il linguaggio e la capacità di parlare possono risentirne. A volte queste anomalie si risolvono con il tempo, persino restituendo le capacità iniziali, ma l’infarto cerebrale è ancora una causa molto comune di forte disabilità e morte. L’infarto si presenta in varie forme e con diversa gravità, e le conseguenze dipendono molto da quale parte del cervello sia stata colpita. Il guasto che si è verificato è l’interruzione della fornitura di energia che serve al cervello per funzionare. I neuroni e la glia hanno bisogno di carburante per vivere e lavorare. Questo carburante viene distribuito attraverso i quattro maggiori vasi sanguigni che alimentano il cervello. I carburanti più importanti sono l’ossigeno e i carboidrati – questi ultimi in forma di glucosio; assieme, consentono di produrre dalla materia grezza l’ATP – la moneta di scambio per l’energia delle cellule. Questa energia (vedi i Capitoli 2 e 3) è necessaria per controllare il flusso degli ioni che inducono l’attività elettrica nei neuroni. Circa due terzi dell’energia dei neuroni viene usata come carburante per un enzima chiamato 86
Pompa ATP-asica Sodio/Potassio, che ricarica i gradienti ionici di sodio e potassio dopo l’emissione di un potenziale d’azione. In quello che è chiamato attacco ischemico transitorio (TIA), l’apporto di sangue ad una parte del cervello si riduce e l’apporto di ATP si interrompe. I neuroni non possono caricare i loro gradienti ionici e non possono più consentire la propagazione di un potenziale d’azione. Ad esempio, se il flusso di sangue alla corteccia motoria dell’emisfero sinistro si riduce, il braccio e la gamba del lato destro del corpo possono rimanere paralizzati. Se questa ostruzione si risolve velocemente, i neuroni possono ricominciare a produrre ATP, ricaricare le membrane e riprendere le loro funzioni normali. Fortunatamente, il TIA non provoca danni permanenti. Un infarto cerebrale è una cosa più seria. Se l’apporto di sangue viene interrotto per un periodo prolungato, si possono avere danni irreversibili. In assenza di ATP, le cellule non possono mantenere l’omeostasi e possono gonfiarsi fino a scoppiare. I neuroni possono inoltre depolarizzarsi spontaneamente, rilasciando neurotrasmettitori potenzialmente tossici come lo stesso glutammato. Anche le cellule gliali, che normalmente ripuliscono l’eccesso di glutammato attraverso una pompa ATP-dipendente, smettono di funzionare. In mancanza di energia, la vita di una cellula del cervello diventa molto precaria. Attraverso un attento studio di ciò che avviene durante un infarto cerebrale, i neuroscienziati sono stati in grado di sviluppare nuove forme di cura. Molti infarti sono causati da coaguli di sangue che ostruiscono i vasi sanguigni, ed un
trattamento con un farmaco anticoagulante chiamato attivatore del plasminogeno tissutale (TPA) può demolire il coagulo e ripristinare il flusso sanguigno. Se somministrato sufficientemente in fretta, il TPA può avere un effetto notevole sulle conseguenze. Sfortunatamente, somministrare questo farmaco ad un paziente in tempo utile non è semplice perché per la famiglia del paziente non è sempre ovvio quello che sta succedendo. Un altro nuovo trattamento è costituito da una classe di farmaci che bloccano alcuni neurotrasmettitori, incluso il glutammato, che si accumulano in quantità tossiche durante un infarto cerebrale. Questi farmaci possono bloccare i recettori stessi per il glutammato oppure i percorsi dei segnali intracellulari che dal glutammato vengono attivati. Molti di questi farmaci sono in fase di sviluppo. Sfortunatamente, nessuno di questi ha ancora un impatto diretto sull’infarto cerebrale.
Le malattie genetiche Per molto tempo i medici hanno riconosciuto e diagnosticato le malattie cerebrali usando come riferimento la regione colpita. Per molte malattie, il nome è una descrizione di quello che sembra non funzionare bene e della parte del cervel87
lo coinvolta; spesso il nome è ispirato da termini latini o greci, come “aprassia parietale” o altri. L’esplosione delle informazioni genetiche negli ultimi dieci anni ha cambiato completamente le cose. Per molte malattie ereditarie, il problema risiede da qualche altra parte. Alcune persone ereditano un problema con il controllo fine dei movimenti che causa una instabilità della posizione eretta che aumenta con l’età. Questa malattia è detta atassia spino-cerebellare – un nome che riflette la modalità classica di nominare le patologie – e oggi conosciamo l’esatto difetto genetico che la provoca. Molte altre condizioni possono oggi essere classificate in base alla loro causa e la diagnosi attraverso l’analisi genetica è ormai abituale per pazienti con sospetta atassia spino-cerebellare
o altre patologie genetiche. La diagnosi può essere molto più veloce e con molta più certezza che in passato. La Malattia di Huntington è una patologia neurodegenerativa associata a movimenti involontari anormali del corpo – in questo caso, il nome deriva dal medico che per primo ha descritto questa condizione. Essa è interamente dovuta alla mutazione ripetuta in uno dei geni più grandi del nostro genoma detto huntingtina. Alcune manifestazioni iniziali del Morbo di Parkinson (una malattia che causa lentezza, rigidità, tremori e instabilità) sono dovute a problemi nei geni che codificano la Parkina. Oltre ad aiutare nella diagnosi, le analisi genetiche possono essere utilizzate per informare gli altri membri di una famiglia sul rischio di sviluppare essi stessi la malattia, o di trasmetterla ai loro figli. Argomento di discussione.
Se scoprissi di essere a rischio di sviluppo di una malattia genetica, lo vorresti sapere con certezza? Sarebbe giusto identificarne il gene prima della nascita e abortire gli individui che svilupperebbero la malattia? Cosa ne sarebbe di tutti gli anni utili e produttivi che potrebbero essere vissuti pri-
Il disegno mostra la parte di cervello danneggiata da un infarto cerebrale (stroke) e la regione di “penombra” che lo circonda, a rischio di essere danneggiata.
Anche se la rivoluzione genetica ha cambiato il modo in cui i medici trattano le malattie del sistema nervoso, questo e solo il punto iniziale di un lungo percorso di scoperte. Uno stesso difetto genetico puo` causare conseguenze differenti in più soggetti, e diverse variazioni genetiche possono causare malattie molto simili. Comprendere cosa definisce queste differenze, e il come il nostro codice genetico interagisce con il mondo in cui vi88
viamo e che costruiamo intorno a noi, è una delle prossime grandi sfide per l’era genomica che stiamo attraversando. Le infiammazioni – La Sclerosi Multipla La sclerosi multipla è una malattia che colpisce le persone nella prima fase adulta. È caratterizzata da episodi ripetuti di stanchezza, intorpidimento, visione doppia e poco equilibrio, che durano per alcune settimane e poi spariscono, apparentemente riportando ad una situazione di normalità. Il ciclo di malessere e remissione è una caratteristica di questa malattia. Jacquelin du Prè - una nota musicista malata di sclerosi multipla
La sclerosi multipla è causata da un’infiammazione del sistema nervoso che si presenta e poi sparisce. Il nostro sistema immunitario è progettato per combattere le infezioni causate da batteri o virus. A volte, questo si confonde e comincia ad attaccare parti del nostro corpo. Queste condizioni sono dette malattie autoimmuni e possono colpire quasi tutti i tessuti. Se il sistema immunitario attacca la mielina che avvolge i neuroni, ci sarà un’area localizzata di infiammazione che causa demielinizzazione. Nel tempo, l’infiammazione tende a diminuire, la mielina viene riparata e tutto torna alla normalità. Cosa provochi l’infiammazione nel primo evento non è molto chiaro, e molte persone con casi di demielinizzazione hanno avuto solo un breve episodio. Peraltro, alcune persone sembrano avere la tendenza a ricorrenti brevi periodi di attività intensa che colpiscono diverse parti del cervello.
Poiché non conosciamo ancora cosa provochi l’inizio dell’infiammazione nella sclerosi multipla, non siamo in grado di fermarla completamente. Sappiamo comunque che gli attacchi possono essere resi molto più brevi usando farmaci come gli steroidi, che abbattono il sistema immunitario. Nel caso di pazienti con forme gravi di sclerosi multipla, alcuni medici ritengono che un beneficio potrebbe venire dall’abbattimento permanente di certe parti del sistema immunitario con farmaci come l’azatioprina o l’interferone beta. Non si hanno però ancora certezze sul loro utilizzo. Il sistema immunitario può anche attaccare le giunzioni che connettono i nervi ai muscoli, causando una malattia detta miastenia gravis, oppure i nervi che emergono dal midollo spinale, provocando la condizione nota come Sindrome di Guillain Barrè.
Neurodegenerazione – Il Morbo di Alzheimer Il nostro cervello fa di noi ciò che siamo: il nostro modo di reagire in diverse situazioni, le persone di cui ci innamoriamo, le cose di cui abbiamo paura, i nostri ricordi. Questi aspetti fondamentali della natura umana si frantumano se il nostro cervello cade in quella malattia degenerativa nota come Morbo di Alzheimer. Il Morbo di Alzheimer è una forma di demenza, una perdita globale delle facoltà intellettive che colpisce approssimativamente il 5% delle persone al di sopra dei 65 anni ed il 25% di quelle al di sopra degli 85 anni. È una malattia crudele: i sintomi iniziano con perdita di memoria, e progrediscono con l’annullamento della personalità ed infine la mor89
Albero genealogico di una famiglia che mostra le generazioni a rischio di sviluppare difficoltà dell’apprendimento e schizofrenia. Si nota che queste malattie possono, a volte, saltare una generazione.
te. Vedere i propri cari perdersi così in se stessi è un’esperienza tremendamente difficile per i parenti. Nelle fasi finali, i pazienti possono non essere in grado di riconoscere le persone più care e necessitano di aiuto per svolgere i compiti anche più semplici di ogni giorno come il vestirsi, mangiare, lavarsi e andare al bagno. Conseguentemente, anche la vita di chi è loro accanto cambia radicalmente. Cosa sta succedendo? Quando la malattia di Alzheimer si sviluppa, le cellule cerebrali muoiono: la corteccia si assottiglia ed i ventricoli (gli spazi nel cervello pieni di liquido) si allargano. La diagnosi
viene usualmente fatta quando la persona è ancora viva sulla base degli aspetti clinici caratteristici, ma può essere confermata definitivamente soltanto con un esame post-mortem, quando un esame microscopico del cervello rivela la perdita cellulare ed il deposito assolutamente anomalo di una proteina amiloide in piccole e diffuse placche amiloidi degenerative e gruppi confusi di proteine a bastoncino che sono normali costituenti del cervello sano – i grovigli fibrillari. Gli attuali progetti di ricerca stanno cercando di migliorare la diagnosi in vita con nuove procedure d’indagine neuropsicologica focalizzate sul riconoscimento dei cambiamenti dello stato mentale nelle fasi 90
iniziali del morbo di Alzheimer distinguendoli, ad esempio, da quelli della depressione. Colorazione del tessuto cerebrale che mostra le placche amiloidi (come nel quadrato) e i grovigli fibrillari (freccia)
Anche in questo caso, la genetica ha dato una mano per iniziare a capire questa malattia, puntando a mutazioni di geni che codificano le proteine precursori dell’amiloide (di cui l’amiloide è formata) e le preseniline (che codificano gli enzimi che eliminano le proteine precursori). Un ulteriore fattore di alto rischio per la malattia e l’ereditarietà di una particolare variante del gene apolipoproteina E (apoE) indicata con apoE-4. Comunque, i fattori genetici non ci dicono tutto: fattori ambientali, come tossine e altri pericoli come i traumi fisici al cervello, potrebbero giocare anch’essi un ruolo importante. I fattori genetici sono però sufficientemente importanti da portare alla creazione di animali da laboratorio geneticamente modificati che sviluppano le caratteristiche della malattia. La ricerca su di essi deve essere interpretata molto attentamente, senza troppa fiducia, ma può aiutarci a fare luce sugli aspetti biologici del progresso della malattia. Attualmente non esistono ancora cure che possano interrompere lo sviluppo del Morbo di Alzheimer sul nascere, anche se vengono ricercate con grande impegno – ed è in questo contesto che la sperimentazione animale risulta preziosa. È noto che le cellule nervose che utilizzano il trasmettitore chimico acetilcolina sono particolarmente vulnerabili ad attac-
“In questi giorni, mio papà non sa chi sono. Sembra semplicemente che non mi riconosca più. Si arrabbia e si spaventa allo stesso tempo, non credo capisca cosa succede intorno a lui. All’inizio sembrava solo un po’ smemorato e perdeva sempre le cose. Poi è peggiorato. Non voleva andare a letto, sembrava non sapere che ora fosse o neppure dove si trovasse. Adesso non controlla più il suo intestino ed ha bisogno di essere imboccato e vestito. Non ce la faccio più.”
chi in questa malattia. Farmaci che sovra-stimolano l’azione dell’acetilcolina residua, bloccando gli effetti di enzimi che normalmente distruggerebbero questo neurotrasmettitore, hanno modesti effetti curativi sia nei modelli animali sia in alcuni casi clinici. Peraltro, questi farmaci non fanno altro che rallentare la progressione di questa malattia che è ancora incurabile. Le vie da seguire per sconfiggerla definitivamente sembrano essere il mettere l’una dietro l’altra le tracce genetiche, comprendere le relazioni fra la chimica cerebrale e le funzioni psicologiche, ed imparare di più sui meccanismi che causano il danno cellulare.
La sindrome depressiva Potreste restare sorpresi nel sapere che la depressione e la degenerazione nervosa sono grandi amiche, ma è ormai noto che gravi forme di depressione portano alla morte delle cellule cerebrali. La depressione è qualcosa di molto diverso da quello che di quando in quando ciascuno di noi sente quando è un po’ giù d’umore. Abbiamo a che fare con una condizione medica veramente seria quando l’umore resta basso per un periodo che si prolunga per settimane o mesi. 91
Alla fine prevale su tutto, fino a quando chi ne soffre vuole morire e potrebbe cercare di uccidersi. Questi soggetti manifestano altri sintomi caratteristici: sonno disturbato, diminuzione dell’appetito, perdita di concentrazione e memoria, e perdita di interesse nella vita. Per fortuna si tratta di una sindrome altamente curabile. I farmaci antidepressivi, che aumentano gli effetti dei trasmettitori neuro-modulatori come la serotonina e la noradrenalina possono risolvere la malattia rapidamente, in qualche settimana. Anche una cura supportata da colloqui specialistici ha effetto, e la combinazione di interventi chimici e psicologici può essere assolutamente utile. La condizione è sorprendentemente comune – una persona su cinque può aver sofferto durante l’arco della propria vita di una sindrome depressiva di diversa gravità. La condizione di depressione grave e cronica ha un effetto di sbilanciamento sul controllo degli ormoni dello stress, come il cortisolo, che vengono beneficamente rilasciati in maniera massiccia durante una situazione stressante (vedi Capitolo 12). Tuttavia, se vengono attivati continuamente, gli ormoni dello stress possono danneggiare le cellule cerebrali, particolarmente nei lobi frontale e temporale del cervello. Si è recentemente scoperto che i farmaci antidepressivi favoriscono l’integrità delle cellule cerebrali ed aumentano la frequenza con cui nuovi neuroni vengono prodotti nell’ippocampo. In tal modo, essi proteggono dagli effetti tossici che lo stress ha sul cervello e possono persino trasformarlo in una risorsa.
La Schizofrenia
Un altro disturbo psichiatrico che unisce anomalie della chimica cerebrale e delle strutture del cervello è la schizofrenia. Si tratta di una condizione progressiva e potenzialmente molto debilitante che colpisce una persona su cento. Il disturbo inizia generalmente nella prima fase adulta e si dice faccia più vittime del cancro. “Inizialmente, non capivamo cosa stesse succedendo a nostra figlia Sue. Aveva iniziato bene all’Università e non aveva difficoltà con gli esami del primo anno. Poi ha cominciato a cambiare: era sempre più calma e indifferente, quando era a casa. Ha smesso di vedere gli amici e più tardi abbiamo saputo che non frequentava più le lezioni, e restava a letto tutto il giorno. Poi, un giorno, ci ha detto di aver ricevuto un messaggio speciale da un programma televisivo, secondo cui lei aveva poteri speciali e che i satelliti la controllavano con la telepatia. Rideva senza ragione e poi passava subito al pianto. A volte stava proprio male. Diceva di sentire voci, tutto intorno a lei che parlavano di tutto ciò che lei faceva. Le fu diagnosticata la schizofrenia. La prima volta è stata in ospedale per circa due mesi. Adesso prende farmaci regolarmente. Anche se ultimamente è stata molto meglio - non ha più strane idee sui satelliti - è ancora molto disinteressata su tutto. Non va più all’Università ed ha pensato di lavorare per un po’ in un negozio, ma è dovuta tornare in ospedale per un paio di settimane ed ha perso il lavoro. Non è più la persona di prima”.
I sintomi fondamentali della schizofrenia sono la delusione (convinzioni anomale, idee considerate bizzarre con natura spesso persecutoria) ed allucinazioni (disturbi della percezione durante i quali un soggetto sperimenta percezioni sensoriali anomale, come il sentire una voce provenire da un punto in cui non c’è nes92
suno). Si ha spesso una diminuzione progressiva delle abilità cognitive, le interazioni sociali e le capacità lavorative. Frontiere della Ricerca
Uno studio prospettico sulla Schiofrenia La maggior parte degli studi sulle malattie neurologiche e psichiatriche si svolge su persone che sono già ammalate. Alcuni ricercatori in Scozia stanno usando l’informazione genetica per studiare membri di famiglie che sono a rischio di sviluppare una certa malattia. Il brain imaging e lo studio accurato delle funzioni cognitive e delle condizioni fisiche vengono effettuati a intervalli regolari allo scopo di evidenziare segni del prossimo manifestarsi della malattia. Le si informazioni che si potrebbero ottenere sarebbero molto utili nello sviluppo di nuovi trattamenti.
Questa condizione è molto meno compresa: non ha nulla a che fare con lo “sdoppiamento della personalità” con cui spesso viene confusa, né con gli scatti di violenza. In verità, le persone che soffrono di schizofrenia sono più paurose piuttosto che pericolose. Ci sono chiaramente fattori genetici che lavorano alla
costruzione di questa malattia ma, come per altre condizioni, l’ambiente e lo stress sono altrettanto importanti. Comunque, a causa di tutti gli ovvi cambiamenti psicologici, questa è principalmente una malattia del cervello. È noto da lungo tempo che in questa patologia i ventricoli cerebrali si dilatano, e che l’attività dei lobi frontali viene inibita. I farmaci che bloccano i recettori della dopamina sono utili nel ridurre la frequenza dei sintomi ed il loro impatto, Vincent Van Gog, il famoso ma non risolpittore impressionista, vono la situasoffriva di una grave depressione zione. Le ricerche più recenti indicano che, attivando la sindrome sperimentalmente con droghe come l’amfetamina, è possibile rilevare le anomalie nel rilascio della dopamina nelle persone affette da schizofrenia. Molto resta da scoprire su questa patologia: gli studi post-mortem suggeriscono che il modo in cui i neuroni si sono interconnessi durante lo sviluppo potrebbe essere anomalo, e che altri sistemi di neurotrasmettitori, come il glutammato, potrebbero essere malfunzionanti. I nostri sforzi per capire la natura delle malattie mentali rappresentano l’ultima grande frontiera per le neuroscienze mediche. Organizzazioni come il Medical Research Council e il Wellcome Trust hanno messo la salute mentale in cima alla loro agenda per la ricerca del pros93
simo decennio. Un importante progetto attuale è l’integrazione delle migliori risorse della conoscenza genetica e dell’indagine tomografica cerebrale per studiare la malattia in prospettiva – nelle famiglie a rischio (vedi Casella). Coprire la distanza che separa “le molecole dal resto” resta una delle più interessanti sfide della ricerca.
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18 - Neuroetica
C’era una volta, tanto tanto tempo fa (come spesso iniziano le favole), una netta distinzione fra scienza e tecnologia. Gli scienziati perseguivano sfrenatamente il loro obiettivo di ricerca della verità, qualunque essa fosse, per il solo ed unico “piacere di scoprire”. Gli ingegneri ed i tecnici applicavano i frutti delle scoperte scientifiche per cambiare il mondo in cui viviamo. Anche se questa netta distinzione potrebbe sembrare seducente, è ed è sempre stata una favola. Al giorno d’oggi gli scienziati sono persino i più attenti al contesto sociale in cui lavorano, ed al modo in cui tale contesto può influenzare la materia del loro studio.
Le questioni relative all’impatto delle neuroscienze sulla società sono raccolte sotto i nome generico di neuroetica – l’intersezione di neuroscienze, filosofia ed etica. Essa include il modo in cui le scoperte sul cervello possono influire sulla percezione di noi stessi come esseri umani (come le basi neurali della moralità), si occupa delle implicazioni nell’organizzazione sociale (come le potenzialità nell’educazione dei bambini) e di come la ricerca stessa viene condotta (come l’etica sulla sperimentazione animale o l’uso dell’inganno con soggetti umani). La neurotica si occupa inoltre di come i neuroscienziati dovrebbero interagire al meglio nel comunicare quello che fanno e
condividere le idee su come dovrebbero farlo.
Il contesto sociale Anche se alcuni neuroscienziati ritengono che i loro concetti siano separati dalla realtà sociale, raramente questo è vero. Nel XVII secolo, Cartesio utilizzò una metafora idraulica per spiegare come gli “umori” del cervello muovevano i muscoli, una metafora ispirata dai giochi d’acqua che aveva visto nei giardini di un castello francese. All’inizio del XX secolo, in piena era industriale, i neurofisiologi descrivevano l’intricato intreccio del cervello come “un telaio incantato” o più tardi come una gigantesca “centralina telefonica”. Oggi, all’inizio del XXI secolo, ad abbondare sono le metafore con l’informatica, come la colorita speculazione secondo la quale “la corteccia cerebrale opera non diversamente da una rete internet aziendale”. Alcune di queste affermazioni sono scorciatoie per aiutare a trasmettere idee complesse, ma anche concetti che sono già incorporati in sofisticate teorie sul cervello. Ciò che i neuroscienziati possono fare – e fanno – è affrontare i problemi scientifici separatamente dal mondo di ogni giorno. Spesso questa è una fuga in un mondo astratto e gergale, nel quale si avverte qualcosa di simile ad una ricerca 95
monastica della verità. Ciò vale sia che si lavori sulle correnti ioniche che portano alla propagazione dei potenziali d’azione, sia a come i messaggeri chimici vengono rilasciati ed agiscono, o sul modo in cui le cellule attive nella corteccia visiva rappresentano gli aspetti del mondo visibile. Molti problemi nelle neuroscienze possono essere valutati in maniera isolata e più malleabile. Comunque, il mondo reale non è mai molto distante. Una volta scoperto come lavorano i trasmettitori chimici, è naturale pensare a dei farmaci furbi che ci possano aiutare a ricordare meglio. Qualcuno potrebbe pensare addirittura di progettare neurotossine (veleni nervosi) che distruggano i processi più importanti, come gli inibitori enzimatici che sono semplicemente ad un passo dai veleni di una guerra biologica. Se fosse disponibile un farmaco che potesse aiutarti a passare un esame, lo prenderesti? C’è forse qualche differenza fra questo ed un atleta che usi steroidi per migliorare le sue prestazioni o
una persona che prende degli antidepressivi? Dilemmi etici meno piacevoli circondano il futuro del brain-imaging. Ad esempio, le tecniche di brain-imaging potrebbero rendere presto realizzabile – con appropriate procedure di verifica – la capacità di distinguere i ricordi veri di una persona da quelli falsi. Oggigiorno i dati disponibili sono talmente varabili da risultare inconcludenti, ma prima o poi i tribunali potrebbero disporre di una tecnologia di scansione del cervello – una sorta di “impronta digitale cerebrale” - che potrebbe aiutare a riconoscere l’affidabilità di un testimone. Questo ispira interessanti interrogativi su quello che si potrebbe chiamare privacy cognitiva. Le nuove scoperte sul cervello mettono continuamente in discussione la nostra cognizione di noi stessi. Idee influenti sull’evoluzione del cervello ne includono molte riferibili alla cognizione sociale. C’è una crescente presa di coscienza del
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fatto che la morale e la coscienza sono strettamente correlate al cervello emozionale che elabora i segnali di ricompensa e punizione – una possibilità che qualcuno ha iscritto sotto il nome di etica evoluzionistica. Imparare di più su questo potrebbe essere un’immensa fonte di benessere, aiutandoci ad essere più attenti ai nostri sentimenti reciproci. Costruire queste idee nei nostri primitivi concetti attuali di plasticità neuronale potrebbe avere un impatto sull’educazione ben oltre gli obiettivi accademici più immediati che sono così spesso argomento di discussione. È peraltro da apprezzare il fatto che i neuroscienziati non sono d’accordo sulle future direzioni della loro materia di studio. Per alcuni neurobiologi molecolari, la verità ultima risiede nei costituenti molecolari del sistema nervoso, con nuove tecnologie proteomiche e genomiche che promettono descrizioni ancora migliori del cervello che risolveranno le questioni poste da altri neuroscienziati. Questo è il modo di agire riduzionista, le cui fioriture filosofiche e tecnologiche sono spesso celebrate dai media. Ma è giustificata tanta fiducia nel riduzionismo? O esiste forse una descrizione di mente e cervello a più alti livelli e non riducibile in tal modo? Ci sono forse proprietà nuove che emergono dall’organizzazione cerebrale? I neuroscienziati interazionisti credono fermamente in un modo di agire diverso. Si battono per un approccio più eclettico alle moderne neuroscienze, un approccio che esplori anche la loro interazione con le scienze sociali. Questi non sono argomenti che possono essere discussi agevolmente in una conferenza pubblica, ma gli interrogativi su quali tipi di ricerca dovrebbero essere portati avanti sono una materia sulla quale la società dovrebbe essere consul-
tata. Dopo tutto, la ricerca è aiutata anche dalle tasse di ciascuno di noi.
La Neuroetica – alcuni esempi concreti Alcuni aspetti delle neuroscienze superano di un passo il senso comune. Supponiamo che la scansione cerebrale di un soggetto volontario durante un esperimento riveli inaspettatamente un’anomalia al cervello: ad esempio, un tumore. O pensiamo all’eventualità che durante uno studio genetico una persona sia trovata portatrice di una mutazione che potrebbe portare ad una malattia neurodegenerativa. In ciascuno di questi casi, bisognerebbe dirlo al soggetto? Il senso comune suggerirebbe che la responsabilità venisse scaricata sul volontario, chiedendogli anticipatamente di consentire o rifiutare che qualunque informazione di interesse medico scoperta durante la scansione venga utilizzata. Comunque, il consenso informato è una materia curiosa. Supponiamo che uno studioso del cervello stia facendo delle prove per un nuovo trattamento per gli infarti cerebrali, nelle quali vengono dati veri farmaci o dosi di placebo, in maniera non dichiarata, entro alcune ore dopo l’evento. Questo protocollo casuale rispetta i criteri scientifici. Ma non possiamo sapere in anticipo chi ne sarà colpito e potrebbe essere impossibile per queste persone dare il loro consenso informato una volta ricoverate. Questi pazienti dunque non potrebbero partecipare a questo esperimento, e ciò andrebbe a danno per loro stessi nel lungo termine – se l’evento si ripresenta – e per i pazienti futuri. I parenti potrebbero inoltre non essere nello stato d’animo adatto per decidere al loro posto in tempo utile. 97
Dovremmo allora abbandonare l’idea del consenso informato e sostituirlo con la rinuncia esplicita, per un bene superiore? Siamo su un terreno decisamente scivoloso. Un altro aspetto importante della neuroetica riguarda la sperimentazione animale. Gli animali non sono nella posizione di acconsentire agli esperimenti invasivi che vengono condotti sul loro cervello. Per alcune persone, il solo pensare a queste cose è sgradevole. Per altre, l’offerta di progresso nella comprensione del sistema nervoso sano e malato è tale da non far pensare che sia un metodo irrazionale. Non sono argomenti da affrontare a cuor leggero, ma è importante discuterne – e gli scienziati ne discutono, molto e con rispetto. Nella maggior parte dei Paesi europei, la sperimentazione animale è regolata in maniera molto rigida. I ricercatori devono seguire dei corsi e superare degli esami che attestino la loro conoscenza delle leggi e la loro competenza nell’assicurare che non vengano inflitte inutili sofferenze agli animali. È largamente accettata la “regola delle tre R” – ridurre, raffinare e rimpiazzare – come insieme di principi a cui gli scienziati biomedici devono sottostare. Lo fanno volentieri, all’interno dei vincoli di legge, e questo consente l’accettazione pubblica estesa se non unanime. Molte nuove scoperte in neuroscienze stanno emergendo dalle tecniche di rimpiazzo, come le colture di tessuti e la creazione di modelli computazionali. Ma queste non possono sostituire tutti gli studi fatti su un cervello vivo, dai quali stanno arrivando molte nuove scoperte e cure per le malattie neurologiche e psichiatriche. Ad esempio, l’uso della L-DOPA per curare il Morbo di Parkinson deriva da uno studio
svolto sul cervello di ratti e che ha meritato il Premio Nobel. Tecniche sempre nuove offrono l’opportunità di aiutare sia le persone malate sia gli animali malati.
Basta dirlo... È un fatto strano che le nazioni in cui gli scienziati fanno del loro meglio per comunicare con il grande pubblico siano anche le nazioni in cui ci sono i più bassi livelli di fiducia negli scienziati stessi. Ma non si prendano le correlazioni statistiche per spiegazioni sulle cause: è improbabile che questo sforzo responsabile nel coinvolgere il pubblico nella discussione sull’impatto della scienza sulla società – ed il crescente senso del doverlo fare – sia la causa di questa crescente sfiducia. Piuttosto, il fatto è che il pubblico interessato sta diventando sempre più sofisticato, precisamente più scettico riguardo a nuove “medicine miracolose” e più attento al lento ed a volte incerto progresso della scienza. Ridurre la sfiducia non è un buon motivo per favorire il ritorno di una cieca ignoranza. Un motivo di discussione con i giovani ed il pubblico interessato alle neuroscienze è che i neuroscienziati sono ancora in disaccordo su molti dei principi del loro campo di studio. Anziché focalizzare l’attenzione su singole scoperte, i media farebbero meglio a pensare di più ad una scienza come processo. Un processo crivellato di incertezze e dibattiti. La neuroetica è un nuovo campo di studio. È ironico il fatto che sia stato Richard Feynman, un fisico teorico, ad aver descritto la ragione per occuparsi di scienza come “il piacere di scoprire”. Ironico, perché è stato proprio il teorico Feynman a gettarsi a capofitto per sco98
prire il perchÊ una delle navette spaziali americane Shuttle, il Challenger, era esplosa poco dopo il decollo. L’impatto della scienza sulla società ci riguarda tutti.
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