con il patrocinio del Comune di Vicenza
CURATORE Maria Yvonne Pugliese INTERVENTO CRITICO Renato Barilli COORDINAMENTO MOSTRA E CATALOGO Maria Yvonne Pugliese COORDINAMENTO UFFICIO MOSTRE COMUNE Ida Beggiato SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Giovanna Segalla FOTOGRAFIE Samuele Carini Silvia Morandi Elena Nardi Alberto Rizzini Floriana Russo Giorgio Tamagnini STUDIO GRAFICO ED IMPAGINAZIONE Union Made - EU
copertina: Traslitterazione (particolare), acciaio inox, granito, poliacrilici su multistrato, 100x200x36, 2010
ILER MELIOLI
OrganicoInorganico testo critico a cura di Renato Barilli
Vicenza - 1 marzo / 22 aprile 2012
A Yvonne Sospeso, come sospinto in alto, appeso a un chiodo per non cadere mostra dentro, più dentro, più in fondo, sul verde smeraldo l’ombra di un’ala volata via, oltre il buoio della cornice. Iler
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Allestimento nella sede della galleria YvonneArtecontemporanea Installazione nella sede della galleria Yvonneartecontemporanea
OrganicoInorganico Renato Barilli
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La bella mostra che la Galleria Yvonne Artecontemporanea ha dedicato a Iler Melioli presenta un nutrito numero di opere in cui l’artista sviluppa e porta a esiti brillanti le sue impostazioni precedenti su cui avevo già avuto modo di soffermarmi nel lungo testo da me steso in occasione della sua retrospettiva del 2005 ospitata ai Chiostri di San Domenico di Reggio Emilia. Pertanto non ritengo opportuno, su queste pagine di catalogo, ripetermi o apportare minime varianti, mi limito a fornire un florilegio dei brani più significativi con cui, in quell’occasione, avevo inquadrato da vicino il percorso del nostro artista. Tuttavia, tra le novità che certo questa sua ennesima apparizione vicentina offre in abbondanza, o diciamo meglio tra le conferme e maturazioni di valide premesse già avanzate in passato, ce n’è una che merita un esame approfondito, sia per la sua consistenza intrinseca, sia per una prospettiva di destinazione finale che la attende. Già il titolo, Ondosauro, è molto significativo e innovativo. Ritroviamo la principale eredità che Melioli ricava da un illustre passato a lui antecedente, il Minimalismo della fine dei Sessanta, quale si esprimeva negli artisti statunitensi sul tipo di Bob Morris e Donald Judd, e contemplava il ricorso a solidi geometrici regolarissimi, cubi, prismi, parallelepipedi, oltretutto realizzati in duro metallo. Ma a compensare quelle forme già ampiamente sfruttate dalle avanguardie storiche, interveniva l’evidente spinta a invadere, ad abitare lo spazio, fino quasi a cancellare la troppa regolarità delle sagome. Del resto, che quella ostentazione di meccanomorfismo fosse eccessiva e dannosa, se ne accorse ben presto lo stesso Morris, fino a rovesciarlo nel suo esatto contrario dando il via alla fase detta dell’Anti-Form, sostituendo ai metalli il ricorso a morbidi strati di feltro. Poi, ci fu la rivolta ben più consistente messa in atto dalle varie tendenze note come “ripetizione differente” “citazionismo, “ mode rétro”, roba che interessò i nati tra il 1940 e il 1950. Ma il nostro Iler appartiene a una generazione ulteriore che intende praticare una sorta di sintesi hegeliana tra quei due estremi opposti, il troppo di rigore ad angolo retto del Minimalismo, il troppo di concessione al colorismo e all’ornamento dell’ondata successiva. Veniamo a verificare questi caratteri di superamento, o contemperamento reciproco, dei due estremi. Certamente questo dinosauro sui generis ostenta una specie di colonna vertebrale degna appunto di un gigantesco animale preistorico, dove tuttavia le inevitabili imperfezioni della sostanza organica vivente sono riveduti e corretti in senso ingegneresco, come se fossimo in presenza di una cancellata, di un muro di sbarramento. E tuttavia, questa valenza regolarista non è confermata fino in fondo, in quanto la cresta di questa spina dorsale o cassa toracica o muro di cinta si conforma al bellissimo ed elastico andamento di un’onda, che è un pattern assolutamente
alieno all’universo dell’inorganico e dei metalli, mentre caratterizza, da un lato, le manifestazioni della vita, tanto animale quanto vegetale, e dall’altro, l’universo oggi assolutamente dominante dell’elettromagnetismo, col suo svolgimento nell’elettronica. Non per nulla la metafora di base per caratterizzare tutto questo ambito è proprio di “onda” elettromagnetica. Si potrebbe dire dunque che in questo sauro di nuova generazione si conciliano davvero i due cicli su cui si era retta e si regge la nostra civiltà, il meccanico e l’elettronico. Qualcosa di simile si troverebbe nel maggiore architetto vivente, il catalano Calatrava, a dimostrazione che gli artisti non agiscono mai da isolati ma colgono in ogni caso uno Zeitgeist che li porta a soluzioni assai prossime. Queste parole valgono a inquadrare la concezione in sé dell’opera di Iler, presente nella sede della mostra attraverso un bozzetto di formato ridotto. Ma evidentemente era già nello spirito del Minimalismo storico svilupparsi in grandi dimensioni, uscir fuori dallo spazio protetto delle gallerie, e lo stesso si deve ripetere per il neo-minimalismo di cui Melioli è protagonista, tanto più che all’inerzia e staticità tipiche dei prodotti metallurgici si aggiungono la fluenza e scorrevolezza che appartengono ai movimenti ondulatori. Vale più che mai in questo caso l’invito a “prendere l’onda, a fare il surf”, seppure mentalmente, dato che in definitiva quest’opera intende fissarsi in un assetto definitivo, ma acquistando le giuste dimensioni e andando ad abitare lo spazio pubblico della città. Se ne prevede infatti una lunghezza di quasi otto metri e un’altezza di due. Non c’è contraddizione tra l’attuale presenza in una galleria privata, costretta ad attenersi ai formati ridotti, e un auspicabile destino di opera pubblica, chiamata ad allietare i luoghi in cui normalmente viviamo, magari sottraendoli al triste stato di “non-luoghi” cui li condanna la monotona confezione del contesto ambientale. Si delinea un fertile rapporto di sussidiarietà, il privato dà all’artista i mezzi per sperimentare e abbozzare, ma poi dovrebbe intervenire il momento pubblico per consentire la realizzazione vera e propria a scala monumentale. Nei secoli d’oro della nostra arte la trafila era proprio questa, gli artisti venivano chiamati a lavorare per chiese e palazzi pubblici, non si vede perché oggi le amministrazioni di vario tipo non si decidano a ripercorrere le medesime strade, e dunque c’è da augurarsi che l’Ondosauro prenda fissa dimora nel luogo prescelto e che i cittadini di Vicenza lo adottino, così da reclamare che non sparisca dalla scena ma resti a imporvi il suo carattere di poderosa sintesi tra due cicli del nostro tempo.
Dalla geometria euclidea ai frattali Renato Barilli 2005 - cat. mostra di Iler Melioli - Ed. Mazzotta L’opera che Iler Melioli viene elaborando da circa vent’anni a questa parte si iscrive in una specie di minimalismo, a patto di prendere questo termine in senso lato, quasi alla lettera, e senza un riferimento preciso al movimento statunitense condotto da Bob Morris e compagni, cui peraltro si deve l’averne offerto la versione, per così dire, più ufficiale e rigorosa. Ma un qualche minimalismo scatta immancabilmente quando si voglia reagire a una fase precedente di abbuffata eccessiva, di tuffo nel pittoresco, nel colorismo più trito e sfacciato. […] A partire dalla metà dei Settanta si era avuto un fragoroso, tumultuoso ritorno al pittoricismo e a schemi barbarici di figurazione, il che, fra l’altro, nel nostro Paese aveva fatto nascere la Transavanguardia, a braccetto con i Nuovi Selvaggi tedeschi. Da qui, appunto verso la metà degli Ottanta, la necessità di sottoporre il corpo della ricerca artistica a una nuova inevitabile dieta, con la necessità di far rientrare in scena un neo-minimalismo, un po’ come, nelle piste della Formula 1, non appena si crea un groviglio di vetture, è necessario “azzerare” il circuito facendovi circolare lo safety-car. Non per nulla negli appunti teorici, parchi ma esatti, che Melioli accompagna alla sua produzione diretta compare un esplicito rifiuto del clima della “citazione”, che era stato l’alibi sotto la cui ala quel ritorno al pittoricismo e al figurativo aveva tentato di giustificarsi. Scattarono dunque, allora, a metà degli ottanta, nei vari Paesi più qualificati sul fronte della ricerca artistica, nuovi impulsi ad azzerare, a comporre in un clima di esasperata economia, con materiali neutri, acromi, pronti a sacrificare, davanti alle attrattive del volume, ogni compiacimento di pelle, di testura. Credo di aver riassunto molto bene quello stato di neo-minimalismo quando, nel ’91, ho organizzato uno dei miei soliti spaccati internazionali distribuiti in varie sedi della nostra Regione, Anninovanta. E vi si potevano ammirare appunto i vari Peter Halley, John Armleder, Günther Förg, assieme a tanti altri campioni di quella che allora si disse anche la New Geo, il ritorno alla castità di forme suggerite da un buon manuale di geometria euclidea. E non a caso Melioli figurava in quella schiera, assieme ad altri italiani quali Arienti, Cavenago, De Paolis, Di Palma ecc.
Iler Melioli e Yvonne Pugliese durante l’allestimento
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fondato su tradizionali pittoricismi ed edonismi cromatici. Tanto per cominciare, infatti, nelle sue opere su carta i colori sono quanto mai freddi, fondati sul ricorso a certi azzurri che non si può mancare di definire metallici, o a certi gialli che evocano la luce elettrica o al neon. Ma soprattutto, è degno di nota che le sagome alquanto tradizionali incastonate in questi fogli, e rispondenti alla vecchia geometria euclidea, sul tipo dei quadrati o dei rettangoli, ci appaiono avvolte in strani filamenti: come se fossero placche metalliche di supporto, che devono servire solo per fornire un piano d’appoggio a dei circuiti stesi, diramati a catturare-irradiare energie imponderabili, invisibili, smaterializzate. In fondo, la “pittura” di Melioli non è certo un passo indietro, verso traguardi più tranquilli e sicuri, ma piuttosto un passo avanti, a inquietare nuove dimensioni dello spazio, della materia, del pensiero.
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Loggia del Capitaniato Vicenza Monumento di Andrea Palladio dove è stata installata la scultura di Iler Melioli ONDOSAURO, 780x200x80, 2005
Giardino pensile, tempera, legno, resina, acrilici,40x38x4 cm - 2010