1.0 Perché il corso di fotografia Prima di iniziare con il corso vero e proprio, è doveroso soffermarsi sul perchè il Circolo Fotografico La Nuvola abbia deciso di intraprendere l’attività di didattica. In realtà il circolo fotografico nasce dai corsi di fotografia, in quanto come fotografo professionista, fotoamatore e amante della fotografia, ho sempre potuto constatare la povertà dell'offerta per chi volesse progredire nella tecnica fotografica ed ottenere immagini migliori rispetto allo standard, ovvero aumentare il proprio piacere di fare fotografie. Per questo, avendo maturato grande esperienza nel campo con anni di fotografia sportiva ad alto livello, fotografia paesaggistica, di opere d'arte e quant’altro, ho deciso di proporre un corso di fotografia nella mia città, Mantova. L’iniziativa si è rivelata da subito un successo, con notevole partecipazione di iscritti, molti dei quali ho continuato a frequentare anche al di fuori delle lezioni. L’amore delle persone più affezionate per la fotografia ed il grande spirito di gruppo che si era creato mi hanno dato l'idea di fondare un Circolo fotografico che potesse permettere di coltivare insieme la passione della fotografia, in modo organizzato, efficiente e piacevole. Viste le premesse, è facile capire come il Circolo fotografico La Nuvola abbia sempre avuto come uno dei propri obiettivi principali quello della diffusione della cultura fotografica, sia tra i fotoamatori evoluti come tra i principianti, facendo evolvere il proprio programma didattico fino al punto di essere oggetto di imitazioni maldestre - fortunatamente senza grande successo – da parte di persone poco preparate che hanno “clonato” sia il programma del corso che il materiale a supporto della didattica. Il gruppo del circolo nasce fotograficamente ben prima dell'era digitale, quando fotografare in pellicola non era poi così immediato e scontato come oggi e le immagini non potevano godere della diffusione odierna. Grazie a questa formazione abbiamo basi solide e vogliamo trasmettere, oltre alle nozioni tecniche, anche l'amore per la fotografia, facendo tesoro di tutte quelle sensazioni ed emozioni che erano proprie della fotografia analogica e che oggi sono ai più sconosciute perché, con le nuove attrezzature digitali, basta accendere la fotocamera e premere sul pulsante di scatto per ottenere un’immagine, che però non sempre si può dire che sia una fotografia. Questa premessa ovviamente non è sufficiente da sola per ottenere belle immagini, né per divertirsi con la fotografia. “Fare fotografia” non significa scattare immagini alla disperata con la fotocamera e poi andare a salvare il salvabile con i programmi di fotoritocco, ne scattare 100 foto al giorno e pensare che eliminandone 95 ne rimangano 5 eccellenti. Il piacere della fotografia consiste nel guardarsi attorno, scegliere il nostro soggetto, cercare l'angolazione, la luce, l'ottica ed il punto di ripresa migliore per poterlo rappresentare così come vogliamo, impostando l'attrezzatura nel modo corretto in base a numerosi aspetti tecnici e stilistici: questo deve essere il divertimento, non una prassi noiosa ed inutile, da saltare grazie agli automatismi della fotocamere odierne. Lo scopo del corso è far realizzare, a chi lo frequenta, immagini in modo più consapevole, aumentare la percentuale di fotografie riuscite, dare suggerimenti pratici per innalzare, anche di molto, il livello della produzione di immagini. La nostra maggiore soddisfazione è quella di vedere tanti appassionati che dopo il corso di fotografia tornano dalle vacanze contenti perchè hanno ottenuto risultati migliori del solito o fotoamatori che prima usavano la fotocamera solo durante le vacanze e che ora, più consapevoli e stimolati anche dagli altri soci del Circolo fotografico, propongono uscite al fine settimana. 1.1 Argomenti e finalità Il corso di fotografia ha una didattica impegnativa. Non siamo però a scuola, quindi il programma si segue con il dovuto relax di chi partecipa per imparare divertendosi, con riunioni gioviali e dal tono leggero. Peraltro, i contenuti del corso sono organizzati con metodo e grande serietà, ricchi di aspetti tecnici e teorici così come di spunti pratici. Il programma parte dall'ABC della fotografia per i neofiti, arrivando poi, nel corso delle varie lezioni, a buoni livelli di approfondimento in diversi campi, abbracciando a tutto tondo le svariate tematiche dei tanti generi fotografici.
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Si inizia dalla conoscenza delle apparecchiature fotografiche, per capirne il funzionamento ed applicare i principi basilari di approccio alla tecnica fotografica. Successivamente si affronta l’argomento dell'esposizione, per apprendere come la luce e le impostazioni della fotocamera influenzano i risultati delle fotografie. Poi si pone l'accento sulle modalità di funzionamento delle apparecchiature, illustrando i comandi a disposizione per capire a cosa servono e come si usano. Al termine della parte strettamente tecnica, si affrontano i principi della messa a fuoco ed i concetti legati a nitidezza e sfocato nelle immagini. La seconda parte del corso si concentra più sulla composizione e sullo stile fotografico, osservando come la conoscenza e l’impiego delle prerogative tecniche precedentemente spiegate possano contribuire fortemente a dare una connotazione espressiva alla fotografia: l'estro non basta, deve essere accompagnato dalla cultura per ottenere buoni risultati. In questa fase si comprende come usare i tempi, i diaframmi e la lunghezza focale degli obiettivi per ottenere dei risultati stilistici ed espressivi, e non solo tecnicamente riusciti. Per maggiore chiarezza, durante la spiegazione in aula dei principi teorici, vengono presentati numerosi casi pratici che aiutano a comprendere più velocemente gli argomenti trattati. In aula, la teoria e la tecnica hanno continuo riscontro con la pratica tramite una fotocamera collegata in wi-fi con un personal computer che permette di visualizzare sullo schermo del videoproiettore il display, le funzioni e le immagini che vengono scattate come esempio. A corollario delle lezioni e per valutare il grado di apprendimento dei corsisti, sono previste uscite fotografiche di gruppo, utili per mettere in pratica le nozioni apprese e permettere al fotoamatore di guadagnare confidenza con l'attrezzatura e le procedure necessarie per ottenere fotografie corrette. 2.0 Storia della fotografia Già ai tempi di Aristotele si osservò che la luce, passando attraverso un piccolo foro, proiettava un'immagine circolare. Successivamente lo studioso arabo Alhazen Ibn Al-Haitham giunse alle stesse conclusioni, definendo lo spazio nel quale le immagini si riproducevano, con il termine camera obscura. Nel 1515 Leonardo da Vinci utilizza la camera obscura per dimostrare che le immagini hanno natura puntiforme, si propagano in modo rettilineo e vengono invertite all’entrata della camera stessa dal foro stenopeico. A Gerolamo Cardano viene attribuita, nel 1550, l'utilizzo di una lente convessa per aumentare la luminosità dell'immagine, mentre il veneziano Daniele Barbaro, nel 1568, utilizzò una sorta di diaframma di diametro inferiore a quello della lente per ridurre le aberrazioni dei vetri utilizzati. Catturare la luce richiese però la comprensione dei materiali fotosensibili, che, anche se conosciuti fin dal Medioevo, non furono studiati a fondo fino al 1727, quando lo scienziato tedesco Johann Heinrich Schulze, durante alcuni esperimenti con carbonato di calcio, acqua ragia, acido nitrico e argento, scoprì che il composto risultante, fondamentalmente cloruro d'argento, reagiva alla luce. Ripeté l'esperimento riempiendo una bottiglia di vetro che, dopo l'esposizione alla luce, si scurì solo nel lato illuminato. Chiamò la sostanza scotophorus, portatrice di tenebre. Verso la fine del 1700 l'inglese Thomas Wedgwood, figlio di un famoso ceramista di quel tempo, sperimentò l'utilizzo del nitrato d'argento, prima rivestendone l'interno di recipienti ceramici, poi immergendovi dei fogli di carta esposti alla luce dopo avervi deposto degli oggetti. Si accorse che dove la luce colpiva il foglio, la sostanza si anneriva, mentre rimaneva chiara nelle zone coperte dagli oggetti. Queste immagini, però, non si stabilizzavano e perdevano rapidamente contrasto se mantenute alla luce naturale, mentre riposte all'oscuro potevano essere viste alla luce di una lampada (a olio) o di una candela. Wedgwood utilizzò anche il cuoio come materiale e sistemò dei fogli sensibilizzati all'interno di una camera oscura senza però ottenere risultato alcuno, anche se è possibile affermare che in questo contesto era nata la fotografia primordiale, ovvero la capacità di “disegnare con la luce”. I decenni successivi furono caratterizzati da ricerche e sperimentazioni continue in questo campo, ad opera di molti studiosi che si adoperarono per arrivare ad una sostanza fotosensibile stabile. Fu 2
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però Joseph Nicephore Niepce nei primi anni dell’800 a raggiungere notevoli risultati partendo dalle tecniche tipografiche e attraverso vari passaggi ottenne dei positivi su lastra di stagno che di fatto rappresentavano la prima forma fisica sufficientemente stabile di immagine mai catturata: egli denominò il procedimento eliografia. Successivamente Niepce incontrò a Parigi Louis Jacques Mandé Daguerre il quale collaborò al perfezionamento della tecnica e, dopo la morte di Niepce, brevettò il sistema per riprodurre copie con il nome di Dagherrotipo. Nel 1837 la tecnica raggiunta da Daguerre fu sufficientemente matura da produrre una natura morta di grande pregio. Daguerre utilizzò una lastra di rame con applicata una sottile foglia di argento lucidato, che posta sopra a vapori di iodio reagiva formando ioduro d'argento. Seguì l'esposizione alla camera oscura dove la luce rendeva lo ioduro d'argento nuovamente argento in un modo proporzionale alla luce ricevuta. L'immagine non risultava visibile fino all'esposizione ai vapori di mercurio. Un bagno in una forte soluzione di sale comune fissava, seppure non stabilmente, l'immagine. Il procedimento venne reso pubblico il 19 agosto 1839, quando, in una riunione dell'Accademia delle Scienze e dell'Accademia delle Belle arti, venne presentato nei particolari tecnici all'assemblea e alla folla radunatesi all'esterno. La notizia apparsa sul Gazette de France e sul Literary Gazette destò l'interesse di alcuni ricercatori che stavano lavorando nella stessa direzione. Tra questi William Fox Talbot, che si affrettò a rendere pubbliche la sue scoperte, documentando esperimenti risalenti al 1835. Si trattava di un foglio di carta immerso in sale da cucina e nitrato d'argento, asciugato e coperto con piccoli oggetti come foglie, piume o pizzo, quindi esposto alla luce. Sul foglio di carta compariva il negativo dell'oggetto che il 28 febbraio 1835 Talbot intuì come trasformare in positivo utilizzando un secondo foglio in trasparenza. Utilizzò una forte soluzione di sale o di ioduro di potassio che rendeva meno sensibili gli elementi d'argento per rallentare il processo di dissoluzione dell'immagine. Chiamò questo procedimento sciadografia, che utilizzò già nell'agosto del 1835 per produrre delle piccole immagini di 6,50 cm² della sua tenuta di Lacock Abbey mediante camera oscura. Il 25 gennaio 1839 Talbot presentò le sue opere alla Royal Society, seguite da una lettera ad Arago, Biot e Humboldt per rivendicare la priorità su Daguerre. Il 20 febbraio fu letta una relazione che rese chiari alcuni aspetti tecnici, al punto da rendere replicabile la procedura. Insieme a Talbot, anche Sir John Herschel, all'oscuro delle sperimentazioni dei colleghi, utilizzò i sali d'argento ma, grazie alle precedenti esperienze con l'iposolfito di sodio che ci si accorse che scioglieva l'argento, ottenne un fissaggio migliore proprio utilizzando questa sostanza. Ne parlò a Talbot e insieme pubblicarono la scoperta che venne subito adottata anche da Daguerre. La sostanza cambiò in seguito nome in tiosolfato di sodio, anche se rimase conosciuta come iposolfito. Ad Herschel venne attribuita anche l'introduzione dei termini fotografia, negativo e positivo. Le prime fotografie destarono subito l'interesse e la meraviglia dei curiosi che affollarono le sempre più frequenti dimostrazioni del procedimento. Rimasero sbalorditi dalla fedeltà dell'immagine e di come si potesse distinguere ogni minimo particolare, altri paventarono un abbandono della pittura o una drastica riduzione della sua pratica. Questo non avvenne, ma la nascita della fotografia favorì e influenzò la nascita di importanti movimenti pittorici, tra cui l'impressionismo, il cubismo e il dadaismo. La fotografia si affiancò e in alcuni casi sostituì gli strumenti di molti specialisti. La possibilità di catturare un paesaggio in pochi minuti e con una elevata quantità di particolari fece della fotografia l'ideale strumento per i ricercatori e i viaggiatori. Particolarmente attivo fu l'editore Lerebours che ricevette grandi quantità di dagherrotipi dalla Grecia, dal Medio Oriente, Europa e America che furono trasformati in acquatinte per la pubblicazione nella serie Excursion daguerriennes. Solo però nel 1840 l'introduzione da parte di Joseph Petzval per conto della Voigtländer di un obiettivo di luminosità f/3.6 e dell'aumentata sensibilità della lastra dagherrotipa mediante l'utilizzo di vapori di bromo (John Frederick Goddard) e cloro (Francois Antoine Claudet) permisero 3
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esposizioni brevi per i ritratti di persone. La fragilità della lamina argentata fu rafforzata dall'utilizzo di cloruro d'oro per opera di Hippolyte Fizeau, che incrementò anche il contrasto generale. Dopo questi avvenimenti, l’evoluzione della tecnica fu molto rapida e i miglioramenti si susseguirono senza sosta, mentre la richiesta sempre pressante di materiali, strumenti e fotografie produsse un nuovo mercato di fabbriche e laboratori specializzati. La produzione di carta albuminata richiese l'impiego, nella sola fabbrica di Dresda, di circa 60.000 uova al giorno. I laboratori fotografici divennero delle catene di montaggio dove ogni compito era demandato ad un singolo individuo. Una persona si occupava della preparazione delle lastre, che venivano portate al fotografo per l'esposizione e in seguito assegnate ad un altro collaboratore per lo sviluppo. Infine, le lastre erano pronte per il fissaggio conclusivo in un'altra stanza. Erano inoltre presenti delle assistenti per accogliere i clienti e indicar loro la posa più opportuna. Anche la fotografia paesaggistica fornì elevate quantità di cartoline raffiguranti vedute, monumenti, quartieri o edifici storici da consegnare al turista in visita. Nel 1860 in Scozia, il laboratorio di George Washington Wilson produsse più di tremila fotografie al giorno, utilizzando dei negativi di vetro posti a contatto su carta albuminata, trasportata su nastri all'aperto per l'esposizione alla luce solare. La necessità di produrre lenti e apparecchiature fotografiche vide la nascita e lo sviluppo di importanti aziende fotografiche, che grazie al loro impegno e sviluppo portarono molte innovazioni anche nel campo dell'ottica e della fisica. Già nella seconda metà del 1800 furono fondate aziende importanti come la Carl Zeiss, la Agfa, la Leica, la Ilford e la Kodak. La fotografia divenne strumento inseparabile del viaggiatore e del giornalista, che la utilizzò per divulgare gli eventi e i luoghi meno accessibili. I primi fotografi di viaggio dovettero trasportare l'ingombrante attrezzatura necessaria alla produzione di immagini con i primitivi procedimenti al collodio umido. I primi reportage nacquero già nel 1855, quando Roger Fenton trasportò sui campi di battaglia della Crimea un carro trainato da cavalli con tutto l'occorrente per la preparazione e lo sviluppo delle lastre di vetro, mentre nel 1888 venne fondata la National Geographic Society, che finanziò numerose spedizioni nel mondo. Molti incarichi vennero affidati dalle istituzioni per la documentazione delle opere d'arte e delle città. Vennero prodotti dei reportage dei sobborghi di Glasgow e di altre città importanti, spesso accompagnate da studi sociologici e di analisi della popolazione. Eadweard Muybridge per primo riuscì a catturare il trotto di un cavallo utilizzando una batteria di apparecchi fotografici, Ottomar Anschütz realizzò il primo otturatore sul piano focale, ma l'utilizzo di tempi sempre più brevi richiese l'adozione di nuovi materiali sensibili, di preparazione più rapida. Nel 1871 Richard Leach Maddox mise a punto una nuova emulsione, preparata con bromuro di cadmio, nitrato d'argento e gelatina. Questo nuovo materiale venne adottato solo sette anni dopo, a seguito dei miglioramenti introdotti da Richard Kennet e Charles Harper Bennet. Le lastre così prodotte permisero un trasporto più agevole perché non necessitavano più della preparazione prima dell'esposizione. Questo supporto molto più pratico fu adottato da una nuova categoria di strumenti fotografici, gli apparecchi portatili. Il 1888 vide la nascita della Kodak N.1, una fotocamera portatile con 100 pose già precaricate al prezzo di 25 dollari, introdotta da George Eastman con lo slogan "Voi premete il bottone, noi faremo il resto". Inizialmente il materiale fotosensibile era cosparso su carta che, nel 1891, venne sostituita con una pellicola di celluloide avvolta in rulli, la moderna pellicola fotografica. Inizialmente senza mirino, l'evoluzione della fotocamera portò all'introduzione di un secondo obiettivo per l'inquadratura e successivamente un sistema a pentaprisma e specchio nella Graflex del 1903, la prima single lens reflex. L'Ermanox, una fotocamera con obiettivo da f/2, portato successivamente a f/1.5, permise l'ingresso dei fotografi come Erich Salomon nei salotti e nei palazzi, per ritrarre politici e personaggi famosi. Le fotografie divennero istantanee della vita quotidiana e i fotografi si mescolarono alla gente comune. All'Ermanox si affiancò nel 1932 la Leica, con obiettivo 50mm f/3.5, che introdusse il formato che divenne standard, il 35mm. Questa macchina fu adottata con 4
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profitto grazie alla sua maneggevolezza e discrezione da importanti fotografi di reportage come Henri Cartier-Bresson e Walker Evans, oppure artisti come André Kertész. Il flash si trasformò da un incontrollato lampo di magnesio del 1888 in un sistema efficiente e regolabile con il Vacu-Blitz nel 1929, che rese possibile al fotografo lavorare in qualsiasi condizione di luce. Edwin Land brevettò nel 1929 una pellicola per lo sviluppo istantaneo, che permise alla Polaroid di vendere milioni di apparecchi per fotografie autosviluppanti. Negli anni 70' inizia anche la produzione della Kodak Instant. La pellicola fotografica di tipo invertibile è figlia del Kodachrome (1935) e dell'Ektachrome (1942), che utilizzarono il metodo sottrattivo con tre differenti strati sensibili, mediante filtri colorati, alle tre frequenze di luci corrispondenti all'azzurro, al rosso e al verde. La pellicola per negativi a colori ebbe origine dalla Kodacolor del 1941, dove è presente l'inversione delle luci e dei colori. La Ektacolor della Kodak, messa in commercio nel 1947, permise lo sviluppo casalingo della pellicola negativa a colori. Il progresso dell'elettronica permise di adottare alcune delle ultime scoperte anche nell'acquisizione delle immagini. Nel 1957 Russell Kirsch trasformò una fotografia del figlio in un file attraverso un prototipo di scanner d'immagine. Nel 1972 la Texas Instruments brevettò un progetto di macchina fotografica senza pellicola, utilizzando però alcuni componenti analogici. La prima vera fotografia ottenuta attraverso un processo esclusivamente elettronico fu realizzata nel dicembre 1975 nei laboratori Kodak dal prototipo di fotocamera digitale di Steven Sasson. L'immagine in bianco e nero del viso di una assistente di laboratorio fu memorizzata su un nastro digitale alla risoluzione di 0.01 Megapixel (10000 pixel), utilizzando il CCD della Fairchild Imaging. Le altre ricerche sulla fotografia digitale per uso di massa furono rallentate dai continui miglioramenti delle fotocamere a pellicola, che proposero modelli sempre più semplici e comodi da usare, come la Konika C35-AF del 1977, il primo modello di fotocamera totalmente automatica. Solo quando le emulsioni fotografiche non permisero ulteriori miglioramenti e la tecnologia digitale raggiunse un livello qualitativo equiparabile ed economicamente sostenibile, allora l'interesse dei consumatori si trasferì sul nuovo procedimento. Il settore in cui un sensore digitale è stato visto e seguito ben prima che nella classica fotografia reflex amatoriale o professionale, è stata la fotografia astronomica. Il digitale sostituì la pellicola nei settori dove la visione istantanea del risultato era un fattore determinante, come nel giornalismo, che usufruì anche della facilità di trasmissione delle immagini via internet. Inoltre la produzione di un gran numero di compatte digitali totalmente automatiche invase il mercato riscontrando il favore del fotografo occasionale, che poté conservare e rivedere le immagini direttamente nella fotocamera. Anche se il digitale è acclamato come una rivoluzione della fotografia, le regole per ottenere i migliori risultati risalgono ai pionieri del XIX secolo, dove era importante una buona esposizione e una attenta composizione dell'immagine; tuttavia nuove tecniche che tengono conto delle successive elaborazioni fin da prima dello scatto, hanno dato un nuovo afflato a tecniche ben consolidate, rinvigorendo l'interesse dei fotoamatori evoluti e dando potentissimi strumenti a tutti quei professionisti (ed artisti) che svolgono la propria attività gravitando tra la "fotografia pura" e la grafica pittorica. 2.1 La fotografia oggi: dalla pellicola al digitale I modi per ottenere fotografie ai nostri giorni sono essenzialmente due: analogico o digitale. Non c’è un metodo migliore dell’altro, entrambi hanno caratteristiche che li rendono appetibili per l’utente, ciò che conta è l’uso che si vuole fare delle fotografie una volta scattate ed il grado di soddisfazione che ciascuno dei due supporti può fornire all’utilizzatore. È innegabile che la migliore resa della gamma dinamica, ovvero l’estensione di gradazione di colore riproducibile, favorisce ancor oggi la fotografia analogica, così com’è vero che il digitale ha rivitalizzato l’interesse dei fotoamatori nei confronti della fotografia. Ma quale scelta deve intraprendere chi si avvicina per la
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prima volta al mondo della fotografia? Su che supporto può concentrarsi chi invece già possiede una reflex a pellicola ed ha recentemente acquistato una digitale? Per rispondere a questi e molti altri quesiti serve capire cosa possono offrire i due sistemi di ripresa, quali pregi possiedono, quali difetti ne possono limitare l’utilizzo. Innanzitutto è necessario sfatare il mito della velocità e della facilità d’uso del digitale nei confronti della pellicola, così come si deve considerare che le differenze in termini qualitativi tra digitale e analogico sfuggono all’attenzione e alla sensibilità dei più. Per quanto riguarda vantaggi e svantaggi della fotografia digitale va evidenziata innanzitutto la caratteristica principale del sistema, per alcuni irrinunciabile: la possibilità di vedere il risultato dello scatto immediatamente dopo averlo eseguito e di conseguenza l’opportunità di poterne eseguire immediatamente uno nuovo nel caso il primo non ci soddisfi. Questo aspetto del digitale rende più facile fotografare e risolvere per tentativi situazioni difficili, in quanto si tende ad approcciare la fotografia in modo più disinvolto, potendo effettuare cambiamenti importanti nell’economia dello scatto che alla pellicola sono preclusi, come ad esempio aumentare la sensibilità ISO senza dover cambiare rullino. Il digitale offre inoltre la possibilità di scattare a volontà senza spendere molto denaro in pellicole e relativo sviluppo e, cosa molto importante, permette di poter usufruire immediatamente delle fotografie, per di più in formati facili da gestire con un personal computer. Il rovescio della medaglia ha molte sfaccettature. Innanzitutto la facilità di ottenere belle fotografie, e la possibilità di controllarne immediatamente il risultato, invogliano a scattare prestando poca attenzione agli aspetti tecnici, con la conseguenza che tendiamo ad impigrirci e quasi a dimenticare quali sono i requisiti di una buona fotografia. Non sarebbe un problema insormontabile se le fotografie fossero tutte ripetibili dopo un rapido controllo ma, quando è necessario cogliere il momento, il digitale può ingannarci in quanto se è vero che permette di scattare/controllare/riscattare in tempi rapidi, è altrettanto vero che nel frattempo l’evento o l’azione che ci interessava immortalare se ne sarà già andata: per questo motivo il vizio di verificare il risultato della fotografia immediatamente per eventualmente correre ai ripari in caso di errore, ci farà sicuramente perdere immagini importanti di momenti irripetibili. Per quanto riguarda l’aspetto economico, se da una parte scattare non costa nulla, dall’altra stampare costa molto, soprattutto per chi vuole togliersi la soddisfazione del fai da te. La stampa è forse la nota più dolente della fotografia digitale: è improbabile ritirare delle fotografie dal laboratorio che abbiano i colori corrispondenti a quelli visti sul monitor di casa, con quella resa brillante ed equilibrata che avevamo tentato di conferire alle immagini con i programmi di gestione e ritocco. Se stampassimo in casa i risultati sarebbero di gran lunga peggiori e assi più costosi, senza contare che l’intera catena necessiterebbe, per risultati ottimali, di essere calibrata secondo standard definiti e utilizzando strumentazione costosa e difficile da utilizzare. A questo argomento si aggancia il terzo contro: la grande illusione che la fotografia digitale ci permetta di avere fotografie più velocemente che l’analogico. Fermo restando che i laboratori impiegano lo stesso tempo a stampare da file o da pellicole, il tempo che impieghiamo a scaricare, selezionare, elaborare o correggere le foto per poi portarle al laboratorio è di gran lunga superiore rispetto a quando si toglie un rullino dal dorso della fotocamera e lo si porta allo sviluppo. Per questi motivi la scelta del supporto va attentamente ponderata. Certo anche lo sviluppo e stampa della pellicola in casa non è alla portata di tutti, è un’operazione che comporta l’utilizzo di prodotti chimici che possono essere nocivi se utilizzati non correttamente e richiede grande perizia nonché rispetto dei tempi e delle procedure, anche se i risultati possono essere esaltanti una volta che si riesce nell’intento. Se non vi interessa stampare le fotografie ma vi accontentate di tenerle sul computer o condividerle magari sul web, il digitale è quello che fa per voi, così come se usate le immagini che scattate come base per poi andare ad esprimere la vostra creatività con i programmi di foto ritocco.
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Tenete comunque presente che difficilmente godrete di tutte le vostre fotografie in digitale: le statistiche evidenziano che più dell’80% delle immagini scattate in digitale a livello mondiale vengono cancellate prima di essere viste, o vengono viste solo attraverso il monitor della fotocamera con cui sono state scattate per poi venire cancellate o, nella migliore delle ipotesi, vengono scaricate e restano irrimediabilmente inutilizzate e dimenticate sugli hard-disk del computer senza che nessuno, al di fuori di chi le ha scattate, le veda mai. C’è da considerare un altro aspetto delle immagini digitali, del quale raramente ci si occupa: il salvataggio. Milioni e milioni di byte in file immagine giacciono indifesi negli hard-disk dei computer di tutto il mondo e quando il pc o i suoi componenti si danneggiano (e questo prima o poi accade), c’è il serio rischio di perdere tutto il nostro prezioso archivio: per questo esistono procedure di back-up che prevedono l’utilizzo di supporti ottici (CD,DVD) o fisici (memorie esterne, storage) che è bene abituarsi ad utilizzare con regolarità, se non si vuole smarrire per sempre i momenti più belli della nostra vita. In definitiva, visto che le fotografie sono nate con lo scopo di immortalare e documentare i momenti che catturano l’attenzione del fotografo che le realizza e permettere a quest’ultimo di condividere tali momenti con gli altri, una foto che viene scattata ma che difficilmente sarà vista da qualcuno, fotografo compreso, è una foto che non ha motivo d’essere. Fatta questa analisi si sceglierà il supporto fotografico che più ci è congeniale. Dopo di che dobbiamo avere assolutamente presente che regole e tecniche di fotografia, con i dovuti distinguo che verranno fatti di volta in volta secondo le necessità, sono le medesime qualunque sia il tipo di attrezzatura che abbiamo tra le mani. 3.0 Introduzione alla fotocamera La fotocamera, di qualunque tipo essa sia, è essenzialmente lo strumento attraverso il quale il fotografo “cattura” la propria visione del mondo che lo circonda. Come tutti gli strumenti creati dall’uomo, anche la fotocamera esiste in diverse forme e con funzioni più o meno personalizzate, mantenendo comunque un tratto di fondo comune che riguarda il sistema utilizzato per arrivare all’immagine: la capacità di “creare” attraverso la luce. 3.1 Fotocamera tipo 35mm reflex Con lo scopo di illustrare i principi di funzionamento di una fotocamera, analizzeremo in particolare gli apparecchi in formato 24x36 mm a lenti intercambiabili (o “sistema reflex 35 mm”). Questi apparecchi, denominati SLR (single lens reflex), sfruttano un sistema a specchio per comporre l’immagine, in modo che il fotografo abbia in ogni momento l’esatta prospettiva di quello che si accinge a fotografare. Immaginiamo di poter sezionare la macchina reflex ed osservarne le parti essenziali, sapendo che gli aspetti costruttivi illustrati sono validi sia per fotocamere a pellicola che digitali (in queste ultime la pellicola è sostituita dal sensore, ovvero l’elemento destinato a ricevere la luce che produce l’immagine).
Corpo camera Un apparecchio reflex è costituito da un telaio denominato corpo camera, nel quale vengono introdotte le varie parti che costituiscono la fotocamera: il box specchio, che comprende anche la baionetta di innesto dell’obiettivo e lo specchio reflex, l’otturatore, gli attuatori di comando del diaframma, le cellule e i sensori di misurazione AE/AF/TTL, il pentaprisma e l’apparato di mira.
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Obiettivo intercambiabile Limitiamoci per ora a considerare l'obiettivo come una semplice lente, affronteremo poi un’analisi più approfondita nel capitolo specifico. Nell'occhio umano l'obiettivo corrisponderebbe al cristallino: come quest’ultimo serve quindi ad ottenere una immagine nitida e luminosa da proiettare sull’elemento sensibile (pellicola o sensore). L’obiettivo è costituito essenzialmente da una serie di lenti e dal diaframma, riuniti in un involucro cilindrico denominato barilotto. Le case produttrici adottano sistemi di aggancio diversi (definito “attacco”) per spingere il cliente ad orientarsi nell'acquisto di obiettivi della stessa marca del corpo macchina in uso: ad esempio, gli obiettivi per fotocamere Nikon (attacco “F”) non possono essere montati su corpi macchina Canon (attacco “EF”-“EF/S”) e viceversa.
Camera Oscura Subito dietro l'obiettivo si trova la camera oscura: uno spazio costruito con materiale a bassissima riflettenza di colore nero opaco studiato per assorbire tutti i raggi che non devono concorrere direttamente alla formazione dell'immagine. Questa parte del corpo macchina è particolarmente delicata e all'interno non dovrebbe mai entrare polvere o sporcizia: evitate di lasciare il bocchettone aperto senza l'apposito tappo o senza l'obiettivo!
Specchio, Vetrino di Messa a Fuoco e Pentaprisma Il box specchio, che costituisce la parte anteriore fissata sul corpo camera, rappresenta il cuore dei sistemi di misurazione che collimano con l’elemento sensibile per il solo aspetto di tiraggio, distanza micrometricamente calibrata tra la baionetta e i lati del sistema. Il box specchio ospita lo specchio reflex a 45° con semitrasparenza centrale e sub-specchio per misurazione AF, la piastra comando diaframmi montata lateralmente per comandare gli spostamenti meccanici dell’apertura diaframma dell’obiettivo e lo schermo di messa a fuoco alla base del pentaprisma/pentaspecchio che riporta l’immagine ribaltata e riflessa nel mirino oculare. Ospita anche il sensore AF nella parte bassa, il sensore di misurazione esposimetrica. Il pentaprisma ha il compito di invertire la destra con la sinistra dei raggi luminosi provenienti dall’obiettivo e ribaltati verso l’alto dallo specchio reflex per consentirà la visualizzazione ad occhio della scena inquadrata, la composizione e le congiunte operazioni di messa a fuoco. Premendo a fondo il pulsante di scatto lo specchio reflex si alza, il diaframma viene chiuso al valore prescelto, il mirino si oscura e l’otturatore si apre per consentire l’esposizione del sensore d’immagine posto sul piano focale. Tra lo specchio reflex e il pentaprisma trova posto lo schermo di messa a fuoco che costituisce il punto dove si forma l’immagine vista dal mirino assieme alle aree AF ed eventuali linee guida illuminate di reticolo previste dallo specifico modello di fotocamera. L’immagine proiettata dall’obiettivo sul piano focale risulta invertita alto/basso ma anche destra/sinistra. Il pentaprisma propone pertanto l’immagine che si forma sullo schermo di messa a fuoco e vista ad occhio nel mirino, correttamente orientata. Nella figura della sezione della macchina fotografica si vede come i raggi che attraversano l'obiettivo vengono riflessi dallo specchio inclinato di 45° sul pentaprisma che a sua volta li riflette al mirino. Le immagini si formano invertite destra-sinistra e sottosopra ma grazie allo specchio ed al pentaprisma vengono visualizzate correttamente nel mirino. Il vetrino si trova esattamente sopra lo specchio posizionato orizzontalmente; alcune macchine consentono la sostituzione dei vetrini a 8
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seconda del tipo di fotografia che si è soliti fare. Al momento dello scatto lo specchio si alza verso l'alto (verso il vetrino) e si alza la tendina che permette di esporre la pellicola. In questo momento si verifica il caratteristico "black-out" delle fotocamere reflex ovvero il momento nel quale non viene visualizzata l'immagine nel mirino: non appena la tendina si chiuderà e lo specchio ritornerà alla posizione normale l'immagine ricomparirà nel mirino. Lo scatto che normalmente viene udito è proprio il movimento del vetrino che si alza e si abbassa: a volte questo meccanismo può creare moltissime micro vibrazioni nonostante la fotocamera sia montata su cavalletto.
Schermo di messa a fuoco L’immagine vista nel mirino è quella ricostruita sullo schermo di messa a fuoco, costituito da una superficie trasparente ma smerigliata, che incorpora una lente di Fresnel per garantire una luminosità quanto più possibile omogenea fino ai bordi. Con l’avvento dei sistemi autofocus tali strumenti a microprismi sono stati abbandonati perché in caso di basse luminosità della scen,a accoppiate magari a luminosità basse degli obiettivi impiegati, tendevano ad oscurarsi completamente rendendo disagevoli le operazioni di inquadratura. Sulle fotocamere autofocus il telemetro è diventato elettronico e segnala con un indicatore luminoso nel mirino l’ideale punto di messa a fuoco letto dai sensori AF posti nel basso del box specchio.
Dorso Inesistente nel caso delle macchine fotografiche digitali, il dorso è opposto all'obiettivo ed è incernierato da un lato al corpo macchina per consentirne l'apertura e l'inserimento della pellicola. Questa parte della macchina è molto delicata in quanto contiene il pressa-pellicola: serve a pressare delicatamente la pellicola per tenerla piana nel momento dell'esposizione. Intorno al bordo del dorso si trova una scanalatura riempita di feltro nero che al momento della chiusura garantisce una perfetta impermeabilità alla luce. È bene evitare chiusure violente del dorso che potrebbero causare deformazioni delle cerniere; tali deformazioni impedirebbero la corretta chiusura del dorso e farebbero infiltrare della luce che causerebbe velature della pellicola. Inoltre è opportuno non lasciare aperto più di tanto il dorso in modo che entri meno polvere possibile.
Mirino ottico Il mirino consente la visione dell’immagine inquadrata attraverso l’obiettivo a tutta apertura, rispettando la focale impostata e visualizzando il reale posizionamento di messa a fuoco. L’importanza di questa caratteristica appare del tutto evidente quando si cambia l’obiettivo o si modifica la focale degli zoom, poiché l’immagine nel mirino varia di conseguenza. Il mirino di tipo ottico è solitamente basato su un penta-prisma (o penta-specchio nei modelli economici) che negli apparecchi migliori fornisce una visuale equivalente al fotografo del 100% del campo inquadrato, mentre in alcune fotocamere di classe media o bassa questo valore può essere variabile dal 90 al 96%, non potendo quindi fornire una copertura visiva totale della scena. Nel mirino è anche possibile simulare visivamente gli effetti della profondità di campo apportati dal diaframma in uso e per tale funzione si potrà utilizzare, con le fotocamere che ne sono dotate, l’apposito pulsante sul corpo, in quanto l’effetto percepito nel mirino durante l’inquadratura corrisponde al diaframma tutto aperto e quindi con la minore profondità di campo possibile anche se con la maggior luminosità permessa. Premendo il pulsante della profondità di campo la luminosità nel mirino scenderà sensibilmente a vantaggio dell’estensione di messa a fuoco legata allo specifico diaframma in uso. 9
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Otturatore L'otturatore è per definizione il dispositivo che regola il tempo di esposizione della pellicola o del sensore alla luce. Gli otturatori sono di due tipi: a otturatore centrale o a tendina. L'otturatore centrale è posto nell'obiettivo ed era presente nelle prime macchine 35 mm a telemetro e consisteva in lamelle a raggiera molto simili al diaframma. L'otturatore a tendina invece è all'interno del corpo macchina; è composto da due superfici di metallo disposte parallelamente al piano focale che scorrono formando una fessura che lascia passare la luce. Il funzionamento è molto semplice: paragoniamolo ad una finestra su cui è montata una tenda doppia; il primo telo è avvolto attorno ad un bastone sulla parte alta della finestra stessa, il secondo è completamente steso, un lembo è sovrapposto alla prima tenda e l'altro è attaccato ad un bastone (attorno al quale si avvolgerà), posto sulla base della finestra. Questa posizione corrisponde al momento in cui la macchina è pronta a scattare. Con il clic il secondo telo si avvolge attorno all'asse ricevente e la finestra si scopre: la pellicola riceve la luce che compone l'immagine. Questo momento si chiama esposizione. Terminato il tempo di esposizione il primo telo si svolge fino a raggiungere quello blu e la finestra tornerà ad essere coperta. Per ricaricare l'otturatore senza scoprire nuovamente la finestra sarà sufficiente tirare indietro le due tende contemporaneamente; questo movimento, comandato dalla leva di carica, fa avanzare contemporaneamente la pellicola della quantità necessaria per una nuova fotografia. Tutta questa operazione si compie verticalmente perché le lamine sono più lunghe ma il percorso da compiere è più breve quindi il tempo di scorrimento è più rapido. I tempi di scorrimento nelle macchine più recenti vanno dalla posa B, ovvero quella che consente di decidere a nostra discrezione quanto tempo lasciare aperto l'otturatore esercitando la nostra pressione sul pulsante di scatto, sino a 1/8000 di secondo nelle macchine più evolute. Alcune macchine hanno anche la posa T: l'otturatore si apre al primo click e rimane aperto sino a quando non si preme nuovamente il pulsante di scatto. Nelle macchine meccaniche l'otturatore è gestito da sistemi ad orologeria mentre nelle fotocamere moderne è gestito elettronicamente: questo crea l'inconveniente che la macchina senza pile non è in grado di scattare. Ottenere dei tempi brevissimi di scatto (1/8000 o 1/4000 di secondo) è possibile grazie ad un escamotage: le tendine viaggiano sempre con la stessa velocità, sia che s'imposti 1/30 o 1/1000 di secondo; ciò che cambia è l'intervallo fra la partenza della prima e della seconda. Per 1/30 di secondo la prima tendina parte, arriva a fine corsa, trascorsa la frazione di tempo parte la seconda tendina. Ragionevolmente vi è un certo lasso di tempo in cui tutta la finestra del fotogramma è scoperta. Per 1/1000 di secondo invece la seconda tendina parte prima che l'altra sia arrivata, dando vita ad una fessura che scorre sul fotogramma. Tanto più stretta è la fessura, tanto minore sarà il tempo di esposizione. La grande velocità delle tendine dell’otturatore è una caratteristica molto importante che permette di ottenere delle foto che altrimenti non sarebbero possibili. Nelle fotografie di oggetti in rapido movimento, infatti, un otturatore lento andrebbe a generare storpiamenti dei soggetti ritratti come, ad esempio, le ruote ovali ottenute nelle foto d’epoca ritraenti automobili lanciate a grande velocità.
Lente Come accennato in precedenza gli obiettivi sono composti da una serie di lenti che, convogliando i raggi della luce, consentono di ottenere immagini nitide e luminose.
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Esaminiamo quindi come lavorano le lenti negli obiettivi. Il raggio di luce, passando attraverso corpi di diversa densità, devia a causa della diversa velocità di propagazione della luce stessa nei corpi: è il principio della rifrazione. Più banalmente è l’effetto che osserviamo quando immergiamo un palo in uno specchio d’acqua: il palo appare spezzato perché i raggi di luce che lo colpiscono e raggiungono il nostro occhio subiscono una deviazione passando dall’acqua all’aria. La stessa cosa accade con il vetro: attraversando il vetro di una finestra la luce viene deviata: una volta dall’aria al vetro e una seconda volta dal vetro all’aria ma il nostro occhio non percepisce deformazioni perché le due superfici del vetro sono esattamente parallele. Questo non avviene se le superfici del vetro sono curve come accade guardando attraverso il vetro di un bicchiere. In un prisma invece le diverse inclinazioni dei suoi lati fanno divergere i raggi luminosi: questo è proprio il principio su cui si basano le lenti degli obiettivi. Le lenti infatti possono essere schematizzate come una serie di prismi sovrapposti che fanno convergere un fascio di raggi luminosi in un unico punto. La curvatura della lente ed il suo spessore determinano il potere di convergenza e ne determinano la lunghezza focale, ovvero la distanza tra il centro della lente stessa e l’immagine a fuoco di un punto all’infinito. Una lente con grande lunghezza focale avrà quindi uno scarso potere convergente perché farà deviare i raggi in un punto molto distante dalla lente: più forte è il potere convergente minore sarà la lunghezza focale delle lente. A volte possono sorgere problemi se fotografiamo soggetti molto vicini alla lente: più vicino è il soggetto, più è grande la distanza tra la lente ed il piano focale. I fasci di luce che provengono da un punto relativamente vicino alla lente sono più divergenti rispetto a quelli più lontani. Per questo, ad esempio nella macrofotografia, per fotografare oggetti vicinissimi all’obbiettivo si aggiunge tra il corpo macchina e l’obiettivo un soffietto o un tubo di prolunga (analizzeremo meglio gli obiettivi macro specialistici in seguito).
Diaframma Un altro elemento di grande importanza all’interno dell’obiettivo è il diaframma. Il diaframma è uno degli strumenti più importanti a disposizione del fotografo: se usato correttamente permette infatti grande creatività e lascia molti margini di interpretazione al fotografo.
Leva comando diaframma Serve a riportare meccanicamente lo spostamento della corrispondente leva dell’obiettivo. La leva comando posiziona il diaframma a tutta apertura per consentire la visione luminosa di traguardo durante la composizione nel mirino. All’atto dello scatto o con l’attivazione del pulsante di simulazione della profondità di campo, la fotocamera attiva i processi di ribaltamento specchio, posizionamento meccanico del diaframma al valore impostato quindi apertura dell’otturatore. Per verificare l’operatività della leva ma anche la corretta funzionalità del diaframma dell’obiettivo è possibile impostare un diaframma chiuso e, guardando da davanti l’obiettivo all’interno delle lenti, verificare la repentina chiusura del diaframma con la pressione del pulsante di scatto o con l’attivazione del pulsante della profondità di campo se il diaframma dell’obiettivo si chiude con relativo con ritardo o se lo stesso non si chiude con precisione sempre allo stesso valore è bene ipotizzare la revisione dell’obiettivo perché di certo produrrà incostanti sovraesposizioni ad eccezioni di impieghi con esposizioni fatte a tutta apertura. Nelle moderne reflex digitali e obiettivi dedicati, il comando di apertura del diaframma è gestito in modo elettronico, non esistendo (tranne rare eccezioni) la ghiera di impostazione del valore “f” in manuale. 11
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Pulsante di scatto Le reflex moderne hanno un pulsante di scatto elettronico a due stadi che attiva distinte funzionalità. Con la pressione a metà corsa viene attivata la misurazione ed il comando motorizzato autofocus assieme alla misurazione esposimetrica che rimangono memorizzate con impostazioni di messa a fuoco singola AF-S, finché il pulsante viene tenuto in questa posizione. Con la pressione a fondo corsa, viene attivato lo scatto dell’otturatore.
Scatto singolo o continuo La modalità scatto singolo permette di riprendere una fotografia alla volta, per scattare in sequenza continua, con un ritardo temporizzato dal tempo impostato da menu o con l’attivazione fatta dal telecomando opzionale impiegabile anche per l’attivazione e terminazione della posa “B”. Tenendo premuto il pulsante di scatto, la fotocamera riprende immagini in sequenza alla cadenza massima consentita dal modello in uso.
Autoscatto Il dispositivo che comanda lo scatto ritardato dell’otturatore non serve esclusivamente per la fotografia di gruppo o l’autoritratto ma è indispensabile ad esempio anche nelle riprese con tempi lunghi fatti con zone luminose in campo, nelle riprese macro particolarmente ravvicinate per elevati rapporti d’ingrandimento ma in generale per tutte quelle situazioni che richiedono l’annullamento del movimento apportato alla fotocamera con la pressione del pulsante di scatto.
Esposimetro TTL (Through the lens) L’esposimetro aiuta nella misurazione e valutazione della luce per suggerire gli equivalenti parametri da adottare per la corretta esposizione in manuale o da utilizzare nei variegati sistemi automatici d’esposizione.
Cura della fotocamera La sabbia e la polvere si insinuano fin dentro i meccanismi del corpo della macchina e degli obiettivi. Sarà bene per questo tirar fuori l’attrezzatura dalla borsa solo al momento di fotografare o comunque non lasciare esposta l’attrezzatura alle intemperie e non lasciare privo di tappo l’attacco obiettivo quando non necessario. Un altro aspetto da considerare è l’attenzione verso urti e cadute, che potrebbero compromettere i delicati meccanismi interni di fotocamere e obiettivi.
La fotocamera digitale Una fotocamera digitale è apparecchio fotografico che utilizza, al posto della pellicola fotosensibile, un sensore in grado di catturare l'immagine e trasformarla in un segnale elettrico di tipo analogico. Gli impulsi elettrici vengono convertiti in digitale da un convertitore A/D nel chip di elaborazione e trasformati in un flusso di dati digitali atti ad essere immagazzinati in vari formati su supporti di memoria. Una fotocamera digitale è in quasi tutti gli aspetti identica ad una reflex convenzionale, se non per il fatto che, invece della pellicola fotografica in rullino, utilizza un sensore elettronico che può essere di diversi tipi. Questo converte l'immagine in una sequenza di informazioni digitali che adeguatamente elaborate andranno a formare un file (archivio). Esistono due tipi principali di sensori utilizzati per le D-SLR (Digital Single Lens Reflex). Si tratta dei CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor) e dei CCD (Charge Coupled Device). Ciascun tipo di sensore ha delle caratteristiche ben precise che dovrebbero essere tenute presenti al momento dell’ acquisto. Dunque è importante informarsi e cercare i file d’ esempio della macchina fotografica che si ha intenzione di acquistare. Quando i fotografi professionisti scelgono e acquistano una fotocamera, solitamente realizzano alcuni scatti di prova con le macchine di cui stanno valutando l’ acquisto. Ove possibile fate lo 12
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stesso. Provate i file nel software per editare le immagini sul vostro computer. Assicuratevi che le fotocamere siano testate con lo sharpening (esaltazione del dettaglio) completamente disattivato, in modo da permettere una comparazione. Alcune combinazioni sensore/fotocamera sono particolarmente adatte alla luce bassa, mentre altre risultano straordinarie in piena luce naturale. Controllate la quantità di rumore o sgranatura alle varie sensibilità che permette la macchina. All’ epoca dei rullini veniva scelta la macchina fotografica e soltanto in un secondo momento il tipo di pellicola da usare, oggi dovrete prendere questa importante decisione in fase di acquisto. Per esempio, se il sensore è meno sofisticato rispetto all’ apparecchio che si è preso in considerazione come alternativa, o che ha caratteristiche del colore meno favorevoli, rischiate di rimanere insoddisfatti dalla scelta finale. Alcune D-SLR possiedono uno sharpening incorporato per compensare i filtri anti-aliasing, principale fonte della “scarsa definizione”. Un altro fattore da tenere in considerazione è la possibilità di scattare in formato RAW. Il RAW è un protocollo in cui i comandi sono impostati separatamente rispetto ai dati non elaborati, consentendo, una volta che l’immagine arriva sul computer, una regolazione di gran lunga superiore rispetto al formato JPG tradizionale, infatti viene spesso denominato “negativo digitale”, anche se il termine negativo è improprio (si tratta infatti di una immagine positiva). Il RAW può vantare una maggiore quantità di informazioni (bit) rispetto ai formati compressi e consente di variare a posteriori buona parte dei parametri di ripresa ad esclusione del valore ISO, della lunghezza focale e della coppia di scatto.
Batterie Le moderne fotocamere e quelle digitali in particolar modo, sono completamente dipendenti dall’energia elettrica fornita dalla batteria di bordo. Dunque, per ogni impiego, sarà necessario prevedere l’autonomia necessaria ed indispensabile per completare la fase di scatto, ricorrendo a batterie di scorta o sistemi alternativi d’emergenza per consentire il funzionamento di tutti gli apparati presenti. Esistono diverse tipologie e forme di batterie: Ni-Mh, Ni-Cd, al litio, stilo (AA o AAA) ricaricabili e non, per ogni modello di ogni casa è necessario scegliere il tipo di alimentazione adeguato, fattore da considerare anche in fase di acquisto della fotocamera stessa se preferite ad esempio la comodità delle stilo (che si trovano praticamente in ogni angolo del mondo) o la versatilità e capacità delle batterie dedicate, più difficili da ricaricare ovunque. Da tenere presente che i moderni sistemi ed automatismi di controllo di cui molte reflex ed obiettivi sono dotate oggi, impongono consumi energetici sempre più importanti, valutate sempre i pro e contro di questo essenziale aspetto prima dell’acquisto. Le batterie necessitano di alcune attenzioni che permettano loro di fornire sempre il massimo dell’energia disponibile: • Preservare le batterie da forti sbalzi termici che ne diminuiscono le prestazioni, in particolare se la temperatura esterna è molto bassa, la batteria stessa deve essere tenuta al caldo sino al momento dell’utilizzo sulla fotocamera. Una batteria completamente carica lasciata per alcuni minuti a bassa temperatura può dimezzare la sua capacità energetica senza preavviso • Non lasciare la batteria inserita nell’alloggiamento della fotocamera per lunghi periodi di tempo, potrebbero verificarsi dei danni all’apparecchiatura a causa della perdita di ossidi e/o liquidi interni all’accumulatore • Prestare attenzione alla rotazione nell’utilizzo delle batterie, se lasciate inutilizzate per molto tempo è probabile che si verifichi un forte decadimento della capacità di ricarica e conseguente impossibilità di fornire le prestazioni necessarie
Pulizia del sensore Spesso nelle immagini ottenute da reflex digitali compaiono macchie presenti sempre nella stessa posizione, questo è dovuto alla sporcizia e polvere che entra nel box specchio ad ogni cambio di obiettivo, per quante attenzioni si possano avere. Molte reflex moderne incorporano un sistema automatico di rimozione della polvere fine, anche se contro la sporcizia da umido o grasso l’unica soluzione efficace è la pulizia del sensore effettuata da personale qualificato, in quanto si tratta di 13
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un’operazione delicata che può compromettere l’integrità dell’elemento stesso. 3.1.1 Gli Obiettivi Una volta acquistata la fotocamera reflex e dopo aver preso familiarità con tutte le funzioni, si può valutare l’acquisto di obiettivi differenti da quello in dotazione, anche in base a quelli che sono i nostri interessi fotografici. L’obiettivo standard in dotazione su una reflex è generalmente uno zoom 24-70mm (18/55 nel caso di reflex a formato ridotto) che è un discreto obiettivo con cui iniziare. Di seguito verranno descritti i diversi tipi di obiettivi disponibili sul mercato e le loro possibili applicazioni, sapendo che in commercio è possibile reperire una varietà di obiettivi veramente illimitata. Le caratteristiche che identificano un obiettivo intercambiabile per sistema reflex sono la lunghezza focale espressa in millimetri (o range di focali nel caso di zoom) e la luminosità massima, ovvero il valore di apertura del diaframma più ampio disponibile. A seconda del valore raggiunto da questi due parametri variano le capacità espressive delle varie ottiche ed il modo in cui si devono o possono utilizzare. Gli elementi caratterizzanti un obiettivo, dipendenti dai valori focali e di diaframma, che possono condizionare il nostro approccio fotografico sono: - Possibilità di essere usati a mano libera - Capacità di trasmissione della luce attraverso le proprie lenti - Peso - Resa prospettica e distorsione - Potere di ingrandimento - Difetti ottici (aberrazioni, riflessi, vignettatura)
Lunghezza focale Il concetto generale introduttivo identifica come standard o cosiddetto “normale” una lente che abbia una lunghezza focale prossima alla misura della diagonale del negativo (o dimensione sensore). Il classico 50mm è considerato il “normale” delle fotocamere 35mm, nel quale il formato del fotogramma è 24x36mm. Se la lunghezza focale è maggiore della diagonale del negativo, allora si tratterà di un teleobiettivo; maggiore è la sua lunghezza focale, maggiore è il suo effetto e minore l’angolo di campo inquadrato. Al contrario, se la lunghezza focale è minore della diagonale del negativo, allora si tratterà di un obiettivo grandangolare con grande angolo di campo inquadrato. Per meglio comprendere gli effetti che le dimensioni delle lenti comportano sull’inquadratura, vediamo alcuni esempi di lunghezze focali e relative immagini prodotte:
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Luminosità È data dal rapporto tra la lunghezza focale e il diametro della lente frontale dell’obiettivo. Più un obiettivo è luminoso, più è pesante, ricco di lenti di grande diametro e di conseguenza, costoso. Un valore elevato di luminosità permette alla luce di passare attraverso l’obiettivo in grande quantità, agevolando le riprese in scarse condizioni di illuminazione e permettendo maggiori possibilità di controllo della profondità di campo: quando si fotografa seriamente, con la consapevolezza di quello che si sta facendo, ci si accorge da subito che la luce non è mai sufficiente. Per fotografare a mano libera è indispensabile un obiettivo molto luminoso. Inoltre un obiettivo in grado di raggiungere aperture importanti ci offrirà più possibilità a livello creativo e artistico rispetto ad uno meno luminoso. 15
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Il cerchio di copertura Gli obiettivi sono facilmente intercambiabili fra fotocamera e fotocamera e fra formato e formato? Purtroppo non è così, perché le caratteristiche meccaniche dei barilotto, degli attacchi o degli accoppiamenti elettrici e meccanici sono diversi da apparecchio ad apparecchio. Inoltre, un obiettivo proietta un circolo immagine ed è quest’area, delimitata dalla finestra del fotogramma ovvero dall’apertura davanti al piano pellicola, che produce la copertura desiderata. Ogni formato richiede, quindi, che l’obiettivo proietti un cerchio immagine più ampio della superficie del negativo o sensore.
Scelta dell’obiettivo Può essere utile, a questo punto, fornire alcuni termini di confronto in base ai quali valutare quale sia la lunghezza focale più adatta alle vostre riprese. Molti di voi avranno familiarità con il gergo del 35mm: saprete, per esempio, che il 28mm è un medio grandangolare, il 135mm un medio teleobiettivo e che il 800mm è un super teleobiettivo, e così via. La resa visiva delle varie lunghezze focali si traduce nel termine “angolo di campo” che indica l’effettiva copertura dell’ampiezza di porzione ripresa, misurata in gradi sessagesimali Lunghezze focali e angolo di campo riportati su vari formati – La colonna del formato 24x36 rappresenta lo standard di riferimento del mercato per quanto riguarda la nomenclatura degli obiettivi del sistema reflex 35mm. In altri colori, sono state evidenziate le focali approssimative che consentono di raggiungere il medesimo angolo di campo, su sistemi differenti, adottando come riferimento le focali 24mm-50mm-135mm del sistema reflex 35mm.
focale
1/3.6"
1/3.2"
1/3"
2mm
102.7º
109.7º
112.6º
-
3mm
79.61º
86.86º
90.00º
95.36º
4mm
64.01º
70.74º
73.74º
78.95º
5mm
53.13º
59.19º
61.92º
6mm
45.24º
50.65º
7mm
39.30º
8mm
1/2.7"
1/2"
1/1.8"
2/3"
1"
4/3
APS-C
24x36
645
-
-
-
-
-
-
-
-
106.3º
112.2º
-
-
-
-
-
-
90.00º
96.28º
107.9º
-
-
-
-
-
66.79º
77.31º
83.52º
95.45º
-
-
-
-
-
53.13º
57.54º
67.38º
73.31º
85.02º
106.2º
-
-
-
-
44.16º
46.39º
50.41º
59.48º
65.06º
76.31º
97.62º
116.2º
-
-
-
34.70º
39.09º
41.11º
44.77º
53.13º
58.33º
69.01º
90.00º
109.1º
-
-
-
9mm
31.04º
35.02º
36.87º
40.21º
47.92º
52.77º
62.85º
83.26º
102.7º
-
-
-
10mm
28.07º
31.70º
33.40º
36.47º
43.60º
48.12º
57.62º
77.31º
96.73º
112.8º
-
-
11mm
25.60º
28.95º
30.51º
33.35º
39.96º
44.18º
53.13º
72.05º
91.28º
107.7º
-
-
12mm
23.53º
26.63º
28.07º
30.70º
36.86º
40.81º
49.24º
67.38º
86.30º
102.8º
-
-
14mm
20.25º
22.93º
24.19º
26.48º
31.89º
35.37º
42.89º
59.49º
77.56º
94.14º
114.2º
-
16mm
17.76º
20.13º
21.23º
23.27º
28.07º
31.18º
37.94º
53.13º
70.22º
86.49º
107.1º
-
18mm
16.73º
17.93º
18.92º
20.74º
25.05º
27.86º
33.98º
47.92º
64.01º
79.79º
100.5º
-
20mm
14.25º
16.16º
17.06º
18.71º
22.61º
25.17º
30.75º
43.60º
58.71º
73.92º
94.53º
-
21mm
13.57º
15.40º
16.26º
17.83º
21.56º
24.00º
29.35º
41.70º
56.35º
71.25º
91.74º
-
24mm
11.89º
13.48º
14.25º
15.63º
18.92º
21.07º
25.81º
36.87º
50.22º
64.18º
84.10º
-
28mm
10.20º
11.58º
12.23º
13.42º
16.26º
18.21º
22.22º
31.89º
43.77º
56.51º
75.42º
-
35mm
8.17º
9.27º
9.79º
10.75º
13.03º
14.54º
17.86º
25.75º
35.63º
46.53º
63.47º
93.94º
50mm
5.72º
6.50º
6.86º
7.54º
9.14º
10.20º
12.55º
18.18º
25.36º
33.50º
46.82º
73.73º
70mm
4.09º
4.46º
4.90º
5.39º
6.54º
7.30º
8.98
13.03º
18.26º
24.26º
34.37º
53.35º
80mm
-
4.06º
4.29º
4.71º
5.72º
6.38º
7.86º
11.42º
16.00º
21.30º
30.28º
50.22º
105mm
-
-
-
-
4.36º
4.87º
5.99º
8.71º
12.23º
16.31º
23.30º
39.30º
135mm
-
-
-
-
-
-
4.66º
6.78º
9.52º
12.72º
18.22º
31.32º
180mm
-
-
-
-
-
-
-
5.09º
7.15º
9.55º
13.71º
23.53º
200mm
-
-
-
-
-
-
-
4.58º
6.43º
8.60º
12.35º
21.23º
300mm
-
-
-
-
-
-
-
-
4.29º
5.74º
8.25º
14.25º
400mm
-
-
-
-
-
-
-
-
3.22º
4.30º
6.19º
10.71º
500mm
-
-
-
-
-
-
-
-
2.57º
3.44º
4.95º
8.57º
600mm
-
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2.14º
2.87º
4.13º
7.15º
1200mm
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1.43º
2.06º
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Tipi di obiettivi L’obiettivo normale 50mm L’ obiettivo standard 50mm fornisce un angolo virtuale compreso fra i 45° e 55°, che è approssimativamente quello dell’ occhio umano. Per questa ragione il 50mm produce immagini dall’ aspetto naturale: infatti “vede” la scena nel modo più vicino a come la vediamo noi. Gli obiettivi normali rappresentano un ottimo compromesso fra lunghezza focale, resa prospettica generale e luminosità. Sono adatti, se non ideali, per il ritratto e gli interni, ma sono anche perfetti per la maggior parte delle riprese generiche. Oltre ad essere perfettamente corretti dal punto di vista ottico, presentano una luminosità massima che consente l’utilizzo di pellicole di vario tipo, da quelle meno sensibili a quelle più sensibili. Sono obiettivi semplici da utilizzare e non richiedono particolari accorgimenti per un corretto uso. È una lunghezza focale indispensabile in ogni corredo fotografico.
Teleobiettivi I teleobiettivi sono delle ottiche progettate per avvicinare oggetti lontani, ovvero produrre immagini di soggetti posti a mediograndi distanze in modo che gli stessi riempiano perfettamente il fotogramma. Ecco perché tutti i fotografi alle manifestazioni sportive utilizzano i teleobiettivi per immortalare le fasi dell’ azione. Oltre alla fotografia sportiva, comunque, i teleobiettivi si prestano anche ad altre interessanti applicazioni. Lo stretto angolo di ripresa e l’elevato ingrandimento permettono di accorciare la distanza tra sé ed il punto di interesse dell’ immagine. L’ obiettivo permette di catturare una porzione minore di scena, in modo che il soggetto non si “perda” all’interno. Questo effetto rende i teleobiettivi adatti alla fotografia paesaggistica, quando si vuole isolare i dettagli di un’ area piuttosto ampia. La distanza focale più lunga di un teleobiettivo ha come conseguenza una profondità di campo minore. Questa caratteristica può essere utilizzata per “trascurare” o sfocare gli sfondi in modo da ottenere soggetti chiari e delineati, che non si confondano con uno sfondo troppo affollato. L’uso dei teleobiettivi richiede alcuni accorgimenti. Innanzitutto è necessario prestare attenzione alle vibrazioni: una buona regola è quella di scegliere un tempo di scatto che sia il reciproco della lunghezza focale (1/mm). Se, ad esempio, utilizzate un 500mm, il tempo di scatto di sicurezza per l’utilizzo a mano libera non dovrà essere inferiore a 1/500 di secondo. Usate tempi di scatto brevi e pellicole più sensibili di quanto normalmente non fareste, oppure elevate la sensibilità ISO della vs reflex digitale. Negli ultimi anni si è diffuso, da parte dei costruttori, l’inserimento in questi teleobiettivi di un sistema di stabilizzazione ottica, che agevola il fotografo nell’evitare il micromosso dovuto a tempi di scatto più lenti di quello di sicurezza. Tali dispositivi sono efficaci su 2/3 stop (ovvero tempi più lenti di 2/3 misure rispetto al tempo standard), consentendo nel caso del 500 mm di ottenere immagini esenti da micromosso con tempi di 1/125. A causa del loro schema ottico, i teleobiettivi sono molto sensibili alla luce diretta, cioè quella che colpisce direttamente la luce frontale, generando aloni o velature simili ad un effetto nebbia. Per ovviare a questo inconveniente occorre usare un buon paraluce o comunque fotografare sempre in posizioni che mettano al riparo dai raggi diretti del sole sulla lente. La limitata profondità di campo dei teleobiettivi richiede di essere molto accurati nella messa a fuoco, perché a grandi distanze la porzione nitida del soggetto si riduce drasticamente, sino anche a pochi millimetri.
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I teleobiettivi forniscono delle immagini con effetti particolari quando utilizzati per riprendere scene che comprendono elementi sullo sfondo a distanze crescenti, come può essere ad esempio un paesaggio montano: focheggiando su un piano posto a grande distanza, tutti i piani successivi presentano un effetto di avvicinamento al piano principale, il cosiddetto “schiacciamento”.
Obiettivi grandangolari Sono obiettivi solitamente piccoli e leggeri, almeno se confrontati con i teleobiettivi. Servono principalmente a riprendere scene di ampio respiro o a fotografare in spazi ristretti oppure quando il soggetto è molto grande. La fotografia paesaggistica è un settore in cui gli obiettivi grandangolari sono molto utilizzati. La focale corta permette di usare tempi di otturazione anche molto lunghi a mano libera, fino a 1/30 di secondo, in sicurezza. Anche i grandangolari soffrono la luce diretta e producono delle piccole macchie colorate in una porzione del fotogramma: questo difetto è denominato “flare”. La peculiarità di questo tipo di obiettivi è di esasperare la prospettiva e creare un forte senso di profondità spaziale, esattamente il contrario di quanto fanno i teleobiettivi. Per le loro caratteristiche di resa prospettica sono obiettivi che non dovrebbero essere usati per i ritratti in quanto tendono a deformare il viso. È molto importante che vengano utilizzati “in bolla” al fine di evitare il fenomeno delle linee cadenti, di cui parleremo più avanti, e dell’orizzonte inclinato, un difetto classico nei fotoamatori. I difetti dovuti alle linee cadenti sono in parte risolvibili con gli scatti in digitale attraverso funzioni apposite presenti nei software di fotoritocco, ma la procedura, oltre che non alla portata del neofita, provoca una perdita di qualità nel file originale, meglio quindi prestare la massima attenzione in fase di scatto, invece di correggere dopo.
Obiettivi zoom Gli zoom sono obiettivi a focale variabile. Ne esistono di innumerevoli escursioni focali: solo grandangolari, come ad esempio un 17-35, normali come il 28-70 o teleobiettivi come il 70-200 e 70-300. Esistono anche zoom in grado di coprire focali dal grandangolare al teleobiettivo, ad esempio il 24-135, o il 35-350. Solitamente, rispetto agli obiettivi di focale fissa, sono ottiche più pesanti ed ingombranti, non hanno le stesse prestazioni ottiche e presentano difetti più accentuati. Zoom di fascia alta sono comunque ottimi concorrenti degli obiettivi a focale fissa. Sono ottiche molto comode in quanto ci permettono di variare la lunghezza focale senza sostituire l’obiettivo e per questo offrono maggiore velocità e praticità quando andiamo a fotografare. È da notare che le caratteristiche in termini di resa prospettica degli obiettivi a focale fissa vengono mantenute anche dagli zoom, quindi se l’escursione del nostro obiettivo varia da 24 a 135, passeremo da un grandangolare dotato di grande profondità spaziale a un teleobiettivo in grado di appiattire la spazialità della scena, il tutto ruotando solo la ghiera che controlla la focale.
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Obiettivi per il controllo della prospettiva (PC) L’obiettivo decentrabile è un obiettivo specialistico in grado di risolvere i problemi di prospettiva che si manifestano principalmente nelle foto di architettura. Con un obietto standard se si vuole fotografare un edificio molto alto dovremo inclinare la macchina all’ indietro per far rientrare il punto più alto dell’ edificio nel riquadro. Questa operazione darà come risultato un’ immagine nella quale l’ edificio sembra sul punto di cadere all’ indietro, mentre tutte le linee verticali convergeranno verso l’ estremità superiore. Questo effetto è dovuto dal fatto che il piano della pellicola o del sensore non è parallelo al soggetto da fotografare. L’ obiettivo decentrabile consente invece alla macchina di rimanere orizzontale e parallela all’edificio per mezzo di lenti frontali mobili. Il decentramento verticale è forse l’ applicazione più conosciuta per questo tipo di obiettivi i quali permettono di risolvere il problema delle “linee cadenti” nelle fotografie di architettura. Il decentramento orizzontale funziona allo stesso modo e viene spesso usato per “aggirare” oggetti indesiderati in primo piano, sempre mantenendo la fotocamera parallela al soggetto.
Obiettivi macro Se desiderate fotografare con grande qualità insetti, fiori o qualsiasi altro oggetto molto piccolo, allora l’ obiettivo macro è quello che fa per voi. Questo tipo di obiettivo è simile a quelli normali per quanto riguarda la capacità di mettere a fuoco all’ infinito, ma sono espressamente concepiti per mettere a fuoco a distanze estremamente ravvicinate. Sono in grado di avvicinarsi al soggetto fino a generare sulla pellicola o sensore un rapporto di riproduzione di 1:1, cioè un oggetto di un centimetro di lato sarà in grado di essere impressionato sulla pellicola con la stessa dimensione. Esistono molteplici accessori, dal prezzo accessibile, in grado di rendere macro degli obiettivi normali, come tubi di prolunga, lenti close-up, soffietti estensibili: la qualità dell’immagine non è la stessa dell’obiettivo macro, ma per lavori saltuari o in attesa di potersi permettere un obiettivo specifico, vanno bene anche questi accessori.
Obiettivi fish-eye (occhio di pesce) I fish-eye sono obiettivi che possiedono un angolo di visuale molto ampio, prossimo a 180°. Sono fortemente caratterizzati da una elevata distorsione delle linee presenti nelle immagini, in special modo verso i bordi, e con presenza, a secondo del tipo, di un cerchio con cornice nera attorno alla fotografia. Essendo questo l’unico tipo di immagine che sono in grado di ottenere, hanno un impiego molto limitato. Vengono chiamati così perché appunto producono immagini che possono far ricordare un occhio di un pesce.
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Teleconvertitori Si tratta di accessori che si inseriscono tra il corpo macchina e l’ obiettivo per aumentare la focale della lente. I moltiplicatori sono stati spesso oggetto di una immeritata pubblicità negativa mentre quelli delle marche più importanti sono strumenti di precisione al pari degli obiettivi per i quali sono stati concepiti. Lo svantaggio principale dei moltiplicatori di focale è la riduzione di luminosità dell'obiettivo su cui sono montati. Gran parte di questi accessori ha un fattore di moltiplicazione di 1,4X o 2X (moltiplicatori con rapporti maggiori sono sconsigliabili, perché degraderebbero eccessivamente la qualità dell'immagine). Usando un moltiplicatore di focale 2X si perderanno circa due stop di luminosità, per cui, ad esempio, montando un moltiplicatore 2X su un teleobiettivo 300mm f/5,6, questo diventerà un teleobiettivo 600mm f/11. 3.2 Quale fotocamera scegliere? Compatta, Bridge o Reflex? Una delle domande più frequenti che viene posta da chi frequenta il corso di fotografia in procinto di acquistare una macchina fotografica è la seguente: “Quale tipo di macchina mi consigli?” Rispondere a questa domanda implica capire innanzitutto l’utilizzo che verrà fatto della macchina e di come ciascuno di noi vede la fotografia. Per gli appassionati di fotografie personali o scattate in famiglia, la moderna “inquadra e scatta”, ovvero la compatta è l’ ideale per voi. Queste fotocamere, dotate di obiettivi non rimovibili, saranno adatte per il 90 per cento dei vostri scatti. Queste macchine possiedono una notevole quantità di automatismi che aiutano il principiante ad ottenere immagini di buona qualità. Il problema è che sono limitatissime quando si tratta di scegliere l'obiettivo, il modo di esposizione o qualche accessorio. Gli obiettivi sono sufficientemente buoni, ma non offrono certamente le prestazioni di un obiettivo medio per reflex 35mm. Una fotocamera compatta è un apparecchio ideale per tutte quelle fotografie che non richiedono uno stretto controllo creativo. Nonostante il costo sia generalmente inferiore a quello di una reflex, i modelli con obiettivo zoom più completi e molte funzioni, costano quanto o più di una reflex base. Se invece siete in grado di apprezzare una buona foto e vi sentite limitati nell’ utilizzo di una “inquadra e scatta”, avete davanti a voi due possibilità: l’ acquisto di una bridge ( chiamate anche prosumer) oppure di una reflex. Il termine prosumer è un termine coniato da poco e significa letteralmente Professional Consumer, ovvero destinata ad un utente amatoriale con attitudini professionali. La prosumer è una macchina che va oltre la semplice compatta, ma che non è una reflex. Questa tipologie di fotocamere possiedono un buon numero di regolazioni manuali, un obiettivo fisso (anche di notevole lunghezza focale) e una dimensione intermedia tra una compatta e una reflex. Se la fotografia è per voi una passione e volete esplorare nuovi orizzonti fotografici, la macchina reflex è quella che vi serve. Queste fotocamere hanno la possibilità di utilizzare una quantità smisurata di accessori e di conseguenza una ampia gamma di possibilità operative: per prima cosa, è possibile scegliere tra centinaia di obiettivi differenti e specialistici, che vanno dal fish-eye 6mm al superteleobiettivo 1200mm. In molti apparecchi, poi, è possibile controllare nel mirino l'ampiezza
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della profondità di campo premendo un pulsante a fianco dell'obiettivo, mentre gli automatismi elettronici disponibili sono in continuo aumento. Sono adattissime a tutti i generi vogliate affrontare, dalla fotografia naturalistica alla fotografia sportiva passando per il paesaggio, il ritratto,etc. Nell’ultimo periodo si vanno diffondendo rapidamente degli apparecchi ibridi, con struttura ad obiettivi intercambiabili come le reflex, ma privi del sistema a specchio e pentaprisma, denominati EVIL (Electronic Viewfinder Interchangeable Lens). Questo accorgimento ha permesso di progettare corpi camera più piccoli rispetto alle reflex tradizionali, mantenendo la flessibilità permessa dal cambio di lente. Il sistema di puntamento di questi apparecchi sfrutta la visione attraverso il monitor sul dorso, mentre alcuni modelli prevedono un mirino, dietro al quale è posto un piccolo monitor LCD ad alta risoluzione, per una composizione in stile reflex. Anche se questi apparecchi sono più piccoli e leggeri di una reflex, non consentono, ad essere onesti, una miniaturizzazione così spinta se dotati di zoom ad alta escursione, vanificando in gran parte i vantaggi offerti dall’eliminazione del box specchio e apparato di mira classico. Rispetto alle compatte, le EVIL sono avvantaggiate dal sensore di grandi dimensioni, montano infatti, nella maggior parte dei casi, un sensore APS-C o 4/3, in grado di restituire immagini superiori rispetto alle compatte e alle bridge. 3.3 Altri sistemi di ripresa Come già accennato precedentemente, non esistono solo fotocamere 35mm, compatte o bridge. Soprattutto in campo professionale, sono molto utilizzate fotocamere medio formato o anche il banco ottico, per particolari esigenze di ripresa. Gli apparecchi di grande formato sono eccezionali quando c'è luce abbondante e quando è richiesto un certo effetto, ma si tratta appunto di attrezzature professionali che richiedono l'uso di ulteriore luce artificiale per le migliori composizioni. Molti amatori scelgono apparecchi di formato maggiore (soprattutto medio formato come le 6x6cm o le 6x7cm) per via del grande mirino, per la versatilità del formato o, semplicemente, perché una diapositiva di medio formato fa più effetto sul tavolo luminoso. Le maggiori dimensioni della fotocamera permettono di assorbire meglio le vibrazioni indesiderate dello specchio, ma l’uso di questi apparecchi comporta alcuni importanti svantaggi. In primo luogo, non sono adatti in moltissime situazioni di luce ambiente se non si usa il treppiedi visto che la luminosità degli obiettivi per il medio e grande formato varia da f/3,5 a f/8. Inoltre, il peso delle reflex medio formato non consente un trasporto agevole. Il banco ottico moderno è l'evoluzione della prima storica macchina fotografica: una scatola con un foro stenopeico. Il banco ottico è usato principalmente nella fotografia professionale. Le diverse parti sono montate su una rotaia e la camera oscura è chiusa da un soffietto, in modo che si possa variare la geometria della macchina per ottimizzare la messa a fuoco o correggere le distorsioni prospettiche dell'immagine. Tutti i movimenti sono controllati con dispositivi micrometrici in modo da ottenere la massima precisione negli spostamenti. Il banco ottico non possiede nessuno degli automatismi più elementari presenti su macchine reflex o medio formato, sia analogiche che digitali, necessari alla lettura e definizione dell'esposizione. Tutti gli elementi per la lettura dell'esposizione sono applicabili a parte, come l'esposimetro a sonda o il classico esposimetro per luce incidente. Solitamente il banco ottico utilizza pellicole piane, negative o invertibili, nei formati 10×12 cm, 13×18, 20×25 o superiori, definite "grande formato". Esistono adattatori che permettono di utilizzare la pellicola a rullo di medio formato, tipo 120 o 220. Uno dei più grandi formati disponibili è il Polaroid Studio 20×24”, che offre fotografie istantanee in formato 50×60 21
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cm. Esistono anche dorsi digitali che possono essere applicati ai più diffusi banchi ottici. Questi dorsi sono di due tipi: a scanner, dove il piano pellicola viene "letto" da un sensore mobile, che però richiede alcuni secondi per completare la ripresa, o a sensore fisso. 3.4 Immagine digitale Le moderne fotocamere digitali, siano esse compatte, prosumer, reflex o medio formato, sono accomunate dall’utilizzo di un sensore elettronico per l’acquisizione dell’immagine. Diversamente dagli apparecchi a pellicola, le fotocamere digitali hanno prerogative proprie per quanto riguarda questo elemento che caratterizza in modo determinante l’immagine ottenuta. Una fotografia digitale viene solitamente identificata, sul piano dimensionale, in base allo sviluppo dei suoi lati, misurati in pixel: ad esempio, una reflex digitale da 6 megapixel di qualche hanno fa, generava immagini da 3000x2000 pixel sui due lati del fotogramma. Il pixel, in questo caso corrisponde ad un minuscolo quadrato componente l’immagine finale ed è identificabile con il fotosito componente il tappeto posto sul sensore. Un sensore da 10 megapixel contiene dunque 10.000.000 di fotositi indipendenti, ognuno deputato a comporre un singolo pixel dell’immagine finale. La dimensione fisica del sensore ha invece caratteristiche ben diverse: esistono sensori da compatta con 14 megapixel larghi 5 mm e sensori per reflex da 10 megapixel larghi ben 36 mm. Dunque lo spazio fisico occupato dal sensore non determina, nel dominio digitale, le dimensioni ottenibili del file (immagine) dal quale trarre la fotografia. Questa grande disomogeneità nelle dimensioni dei sensori digitali porta a conseguenze sulla qualità finale dell’immagine, infatti una fotocamera che vanta molti megapixel non è detto che produca immagini migliori di un apparecchio meno dotato: da considerare nella scelta ci sono altri fattori, più importanti della sola risoluzione massima nominale. La fotocamera digitale è un acquisto importante, essa deve essere valutata in base alle prestazioni globali che può fornire nel campo del rumore (di crominanza e luminanza), della gamma dinamica esprimibile, del valore ISO esprimibile, del file RAW generato, etc.
Sensore d’immagine I sensori delle fotocamere digitali sono costituiti, come detto, da una matrice di punti, detti fotositi. I fotositi catturano un’immagine grezza (RAW) monocromatica a 12 o più bit, con informazioni colore codificate. Dopo la ripresa, viene generata l’immagine a colori effettuando la conversione da parte della fotocamera. I sensori generano il file RAW, che non è visualizzabile come una comune immagine RGB: per assumere caratteristiche di immagine, deve essere decodificato dalla fotocamera attraverso un salvataggio RGB o da un software utilizzato su computer.
Pixel Le immagini digitali sono composte dai pixel, gli elementi di base che hanno forma poligonale sempre esattamente identica (quadrati, rettangolari,..). Trattandosi di elementi digitali, è possibile intervenire sulla quantità e sulle caratteristiche dei pixel modificandole per ottimizzare i risultati in base a diverse esigenze.
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Formato dei sensori digitali Le fotocamere digitali reflex possono montare, come detto, sensori digitali molto differenti. Esistono varie tipologie di sensori digitali, che si distinguono per le loro dimensioni: • • • • •
FULL-FRAME, cioè pieno formato, di 36.0 x 24.0 mm, equivalenti al classico formato 35mm della pellicola; APS-H, 28.7 x 19.1 mm, pari a ca. il 63% del full frame (fattore 1.3X); APS-C, 23.6 x 15.7 mm, pari a ca. il 38% del full frame (fattore 1.5X); 4/3, 17.3 x 13 mm, pari a ca. il 25% del full frame (fattore 2.0X) 2/3”-1/2.5”-1/8”-1/3” di varie dimensioni, molto ridotti come area (fattore da definire)
Il "fattore" di moltiplicazione dei sensori più piccoli rispetto al full frame è noto come crop factor. La dimensione fisica del sensore determina l’ingrandimento dell'immagine registrata a parità di lunghezza focale, non la sua dimensione virtuale che è espressa in pixel e dipende dal numero di fotositi presenti sulla superficie del sensore stesso. Una medesima scena, a parità di lunghezza focale, viene registrata dai vari tipi di sensore nel seguente modo:
Se da un lato il campo inquadrato è minore, dall'altro lato il soggetto occupa un’area maggiore in un sensore piccolo rispetto al sensore full-frame. Questo spiega perchè le proporzioni del medesimo soggetto rispetto al fotogramma sui diversi sensori sono differenti.
Gamma immagine Ciascun pixel può avere diverse caratteristiche di dimensione, luminosità e colore. Analizzando un’immagine monocromatica equivalente del bianco e nero in fotografia tradizionale, ciascun pixel
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potrà assumere diverse gradazioni di intensità, tra il massimo “bianco” e il minimo “nero”. La quantità di gradazioni rappresentabili tra questi due valori esprime la gamma dinamica.
Gamma monocromatica Per esprimere la gamma dinamica si parla di profondità di pixel
Gamma monocromatica del pixel PROFONDITÀ (bit) 1 bit 4 bit 8 bit 12 bit 16 bit
VALORI 2 valori 16 valori 256 valori 4.096 valori 65.536 valori
CORRISPONDENZA Bianco o nero Livelli di grigio Livelli di grigio Livelli di grigio Livelli di grigio
Gamma colore del pixel Nelle immagini a colori, ogni singolo pixel può assumere una gradazione di colore, ottenuta miscelando quantità variabili dei colori primari rosso, verde o blu, secondo il principio della sintesi additiva. Più estesa sarà la gamma, più l’immagine visualizzata sarà ricca di sfumature e dettagli.
Gamma colore del pixel PROFONDITÀ (bit) 8 bit 16 bit 24 bit 32 bit
VALORI 256 valori monocromatici somma di RGB 65.536 valori monocromatici somma di RGB 16.777.216 valori monocromatici somma di RGB 4.294.967.296 valori monocromatici somma di RGB
Colore Al fotografo digitale è richiesto di saper rispettare le basi necessarie per la valutazione cromatica a monitor indispensabile per consegnarle allo stampatore immagini cromaticamente corrette, identificate dal più idoneo profilo/spazio colore associato. Tendenzialmente tra i numerosi spazi colore, si opera prevalentemente in Adobe RGB 1998 per destinazioni di stampa tipografica e in sRGB per destinazioni di stampa a getto d’inchiostro, su carta chimica attraverso un laboratorio professionale, ma anche per immagini destinate a prodotti multimediali per visioni a computer o su televisore.
Autonomia di memoria Lo spazio fisico necessario per i supporti è dunque direttamente proporzionale alle foto desiderate. Le immagini registrate su un supporto di memoria hanno una dimensione espressa in bit che aumenta proporzionalmente alla risoluzione, ma anche alla profondità colore che in pratica descrive la capacità cromatica di ogni singolo punto componente l’immagine.
Qualità dell’immagine L’immagine digitale proveniente dalla fotocamera può essere: - Raw. È un insieme di dati su piano singolo, codificato a 12 o più bit, con informazione colore diversa dai filtri colore RGB della matrice e quindi non visualizzabile come una comune immagine RGB (jpeg o similare). Per assumere caratteristiche di immagine visualizzabile, deve essere costruito e decodificato internamente dalla fotocamera attraverso un salvataggio RGB 24
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Jpeg, o da un software specifico (RAW converter) utilizzato su computer. Raw+Jpeg. Offre ideale soluzione per ottenere contemporaneamente i Raw di qualità da trattare ed archiviare e gli equivalenti Jpeg utili per una più rapida visualizzazione e selezione. Compressione Jpeg. Consente di ridurre il peso in byte dell’immagine allo scopo di facilitare la gestione e l’archiviazione. Un file Jpeg potrà mantenere la qualità iniziale anche se copiato più volte ma peggiorerà la sua originaria qualità se aperto e salvato, sempre in jpeg, in diverse riprese. Compressione Raw. Offre maggiore capacità di archiviazione perché i file salvati avranno dimensioni minori, pur mantenendo la massima qualità e una gamma dinamica superiore ad un file Jpeg. TIFF registrazione immagine a 12 o più bit di tipo loss-less (senza perdita di dati). E’ un formato qualitativamente ottimo ma che occupa grandi quantità di spazio dati, per questo è caduto ormai in disuso.
4.0 L’ Esposizione La corretta esposizione di una fotografia è un dato nella maggior parte dei casi univoco; solo in casi particolari l’esposizione può essere una scelta del fotografo, ma sempre entro determinati valori. I fattori che determinano la corretta esposizione sono: 1. ISO: la sensibilità della pellicola o del sensore, ovvero la capacità di catturare la luce 2. EV: la quantità di luce presente nella scena inquadrata 3. A: l’apertura impostata sul diaframma 4. S (speed): Il tempo di otturazione scelto E’ utile sottolineare il fatto che l’energia luminosa necessaria per impressionare una pellicola di una determinata sensibilità è sempre il medesimo valore “K” e quindi, in ogni fotografia da noi scattata, sia al sole che di notte, dobbiamo impressionare la pellicola sempre con la medesima quantità di luce. Il modo per ottenere una corretta esposizione si può tradurre in una semplice formula matematica. Data la sensibilità della pellicola, che per semplicità prenderemo pari a 100 iso, la quantità di energia luminosa necessaria per ottenere una corretta esposizione sarà:
K ISO= EV x A x S Noi dobbiamo riuscire a colpire la pellicola sempre con la stessa quantità di energia K. Dato EV, cioè l’intensità della luce ambiente, i parametri sui quali possiamo agire sono A e S, cioè l’apertura di diaframma ed il tempo di esposizione.
Scale dei tempi e dei diaframmi che portano ad una corretta esposizione (coppie)
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Questi sono i tempi e i diaframmi più comuni ed utilizzati in fotografia, ma entrambe le scale possono variare nelle due direzioni. Per quanto riguarda la scala dei diaframmi, a numeri bassi corrispondono diaframmi più aperti, così come a numeri alti corrispondono diaframmi chiusi (f/2.8 è un diaframma più aperto di f/11). La scala dei tempi indica frazioni di secondo, così 1000 è in realtà 1/1000 di secondo e 2 corrisponde a 1/2 secondo. Un diaframma aperto lascia passare più luce, quindi l’energia luminosa che insiste sulla nostra pellicola o sensore è maggiore rispetto a quella di un diaframma chiuso. Un tempo più lungo permette alla luce di insistere per un maggior lasso di tempo sulla pellicola rispetto ad un tempo di otturazione breve, e contribuisce così ad incrementare l’energia luminosa che impressionerà la pellicola. L’insieme dei due contributi darà l’esposizione della fotografia e quindi la quantità di energia che impressiona la pellicola. Nel grafico questa combinazione è indicata dalla somma dei due contributi. Questa somma deve essere uguale a K.
Lo Stop Lo stop è il nome attribuito per convenzione all’unità di misura quando ci si riferisce a EV, ISO, A, S. Riportiamo di seguito una tabella con elencati tutti i valori di questi parametri a passi di uno stop ciascuno.
Valori di EV, ISO, A (diaframma) e S (tempo): passaggio di uno STOP EV 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
ISO 6 12 25 50 100 200 400 800 1600 3200 6400 12800 25600 51200
A (f) 1 1.4 2 2.8 4 5.6 8 11 16 22 32 45 64 90
S (secondi) 1 1/2 1/4 1/8 1/15 1/30 1/60 1/125 1/250 1/500 1/1000 1/2000 1/4000 1/8000
Passare da una pellicola di sensibilità 100 ISO ad una di 200 ISO, aprire il diaframma da f/5.6 a f/4, allungare il tempo da 1/500s a 1/250s o avere un incremento di illuminazione nella scena da EV 10 a EV 11, sono tutte azioni che producono lo stesso risultato ai fini dell’esposizione: K incrementa di uno stop e quindi arriva una maggiore quantità di energia luminosa all’elemento sensibile, con il risultato di ottenere un’immagine più chiara.
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Possiamo notare che tutte le combinazioni tempo-diaframma segnate sul grafico forniscono la stessa quantità di energia, quindi la stessa esposizione. Si introduce allora il concetto di equivalenza delle coppie tempo-diaframma. Se riprendiamo la formula presentata precedentemente K ISO= EV x A x S e stabiliamo che EV è la luce ambiente, mentre ISO la sensibilità della pellicola, notiamo che gli unici due parametri sui quali possiamo intervenire sono A ed S. Per la proprietà commutativa della moltiplicazione se aumentiamo di uno stop A e diminuiamo di uno stop S, K resterà costante quindi non apporteremo variazioni all’esposizione. In definitiva se accorciamo di uno stop il tempo di esposizione faremo arrivare all’elemento sensibile una certa quantità di luce per meno tempo e quindi l’energia luminosa che andrà ad impressionare l’elemento stesso diminuirà. Contemporaneamente, se aprissimo il diaframma di uno stop lasceremmo passare un fascio più ampio di luce attraverso l’obiettivo andando ad incrementare l’energia luminosa dello stesso e tornando ad ottenere la stessa esposizione di partenza. Quindi non appena l’esposimetro della macchina fotografica misura la luce presente nella scena inquadrata, ci suggerisce una determinata coppia tempo-diaframma: una volta ottenuta, abbiamo la possibilità di variare a nostro piacimento tempi e diaframmi a patto di incrementare A o S di un determinato numero di stop e di diminuire l’altro parametro dello stesso numero di stop. 4.1 Determinare l’esposizione Esistono modi diversi per determinare l’esposizione, ma tutti i sistemi di lettura sono concepiti per condurre a un equilibrato valore medio valutato al 18 per cento di riflessione, ossia su un grigio medio che si trova fra i due estremi della gamma tonale, il bianco più chiaro e il nero più scuro. A volte i vostri soggetti potranno cadere nella gamma dei toni medi, altre volte no. Gli attuali sofisticati sistemi di misurazione, intervenendo sull’esposizione standard, possono essere messi in grado di valutare correttamente i vari toni. Per far ciò dovrete essere in grado di riconoscere cos’è, e cosa non è, un tono di valore medio.
Determinare il tono medio Un cartoncino fotografico grigio neutro rappresenta il perfetto valore dei toni medi e può essere usato come base per l’esposizione, a patto che esso e il soggetto siano illuminati dalla stessa luce. Si tratta di un punto importante, perché una misurazione a luce riflessa presa sul cartoncino servirà come riferimento per il valore dell’esposizione del soggetto. Se il cartoncino si viene a trovare al sole e il soggetto all’ombra le misurazioni sul grigio neutro saranno falsate, perché il cartoncino rifletterà molta più luce di un oggetto che si trovi all’ombra. Ne risulterebbe un soggetto sottoesposto. Ma non sempre conviene usare un cartoncino grigio neutro. Alcune volte può essere più pratico individuare un qualcosa che sostituisca il valore del tono medio e che si trovi nelle medesime condizioni di illuminazione del soggetto.
Esempi di superfici che riflettono come il grigio medio
GRIGIO 18%
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ASFALTO
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MATTONI
PELLE
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Superfici bianche e nere Il bianco e il nero si trovano agli estremi della gamma tonale per cui sono soggetti a rischio per l’esposizione. Gli esposimetri sono progettati in modo tale da fornire la massima precisione sui toni medi (grigio 18%) per cui rischiano di essere ingannati da toni al limite della scala. Quando fotografiamo qualcosa di bianco l’esposimetro vedrà molta più luce di quanta ce ne sia in realtà (vede bianco ma crede che sia grigio), per cui tenderà a chiudere il diaframma e ad abbassare il tempo di esposizione più del dovuto; di conseguenza la foto verrà sottoesposta. Analogamente, col nero l’esposimetro vedrà meno luce di quanta ce ne sia in realtà (vede nero e lo interpreta come grigio medio colpito da poca luce) per cui tenderà a sovresporre la fotografia. Di fronte a superfici con tonalità limite occorre operare in modo tale da superare i limiti tecnologici dell’esposimetro. Ci sono due modi: 1. Staratura intenzionale della lettura dell’esposimetro: andiamo a sovresporre o sottoesporre la lettura dell’esposimetro con il comando di correzione dell’esposizione (esposizione automatica) 2. Cerchiamo il tono medio su cui effettuare la lettura, regoliamo tempo e diaframma e poi ricomponiamo l’inquadratura e scattiamo (esposizione manuale) 4.2 L’esposimetro L’esposimetro è lo strumento utilizzato in fotografia per quantificare la luce presente in una scena, fornendo un valore di esposizione con il quale è possibile conoscere la coppia tempo/diaframma migliore per la scena da riprendere. La lettura è mostrata attraverso un ago galvanometrico oppure un display LCD nel caso di un esposimetro digitale. La luce è misurata attraverso elementi fotosensibili che adottano il solfuro di cadmio, il selenio o il silicio. Il solfuro di cadmio (CdS) reagisce diminuendo la resistenza elettrica se esposto alla luce. Lo svantaggio principale è che reagisce con lentezza ed è soggetto all'effetto memoria delle letture precedenti, specie se ravvicinate tra loro. Il selenio reagisce alla luce emettendo una debole corrente elettrica, misurata da un galvanometro. Il difetto di questo materiale è che richiede una superficie ampia per funzionare correttamente, non è quindi impiegato all'interno delle moderne fotocamere. Il silicio, come il selenio, emette una debole corrente elettrica se esposto alla luce, corrente che viene amplificata dal circuito dell'esposimetro. La risposta del silicio è molto rapida ed è il materiale più comunemente utilizzato all'interno delle fotocamere. Gli esposimetri si dividono in due categorie: • per luce riflessa • per luce incidente Nel primo caso l'esposimetro è comunemente contenuto all'interno della fotocamera e la misura è ottenuta puntando l'obiettivo verso la scena da riprendere. La luce che riflette sulla superficie del soggetto agisce sul sensore fotosensibile all'interno della fotocamera misurando la quantità di luce. Di solito il valore misurato è visualizzato all'interno del mirino mediante ago galvanometrico o led. Questo tipo di misura è soggetto al tipo di materiale e al colore con cui è composto il soggetto, per questo motivo può richiedere una compensazione dell'esposizione. Nel secondo caso l'esposimetro è esterno e deve essere posizionato accanto al soggetto da riprendere, puntando la semisfera bianca di cui è dotato verso la fotocamera. Se il contrasto luminoso è elevato, è opportuno mediare la lettura precedente con una seconda puntando l'esposimetro verso la fonte di luce. Il valore rilevato è esente da difetti dovuti alle caratteristiche del materiale, come cromatismi o levigatezza della superficie.
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Lettura dell’ esposizione dalla fotocamera 1. Multizona (media dell’intero campo inquadrato) 2. Media (a prevalenza centrale) 3. Spot (punto specifico)
Multizona (intero campo inquadrato) L’esposimetro divide il campo inquadrato in varie zone all’interno delle quali fa una lettura media. Successivamente, un programma somma le varie letture e ne fa la media. Questo dovrebbe servire a risolvere i problemi dati dalla lettura media. Dividendo la lettura in vari settori, nel caso di presenza del sole nel campo inquadrato, l’esposimetro leggerà una forte luce solo in un settore e luce normale nel resto della scena; facendo poi una media ponderata dei vari settori in cui la lettura viene effettuata, il risultato sarà senza dubbio migliore e più equilibrato o, addirittura, l’esposimetro potrà accorgersi che il settore contenente il sole è talmente diverso dal resto della scena da non prenderlo in considerazione ai fini dell’esposizione. A questo punto, nel computo della media della luce, questo settore sarà trascurato in modo tale da dare un’esposizione perfetta. Prendendo in considerazione la foto della ballerina, l’esposimetro dovrebbe accorgersi che la parte più illuminata della scena è il nostro soggetto principale, quindi i settori contenenti la ballerina verranno considerati come più importanti e la parte periferica scura sarà trascurata; come risultato avremo una fotografica meglio esposta che con la media a prevalenza centrale. In realtà questa modalità di funzionamento dell’esposimetro non sempre garantisce il risultato ottimale che in linea teorica dovrebbe restituire.
Media (a prevalenza centrale) L’esposimetro legge la luce della scena su tutto il campo inquadrato e fa una media di tutta la luca che l’obiettivo cattura. Questo sistema di lettura funziona benissimo su scene illuminate in maniera omogenea o quando si vuole privilegiare la parte centrale della fotografia rispetto a quella periferica. Può portare a risultati poco soddisfacenti in caso di alto contrasto o quando vi siano fonti di luce molto potenti (ad esempio il sole) nel campo inquadrato. L’esposimetro tende a vedere tanta luce dove c’è il sole e molta meno luce sul resto della scena e a fare la media: il risultato sarà una foto troppo scura e quindi sottoesposta. Ugualmente in una scena di danza in cui la ballerina sia illuminata da un faro e tutto lo sfondo sia molto scuro l’esposimetro farà una media tra la luce della ballerina e quella (poca) dello sfondo.
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Il risultato sarà una fotografia in cui la ballerina risulterà troppo chiara e quindi sovraesposta. In condizioni di contrasto di luce accettabile i risultati saranno ottimi.
Spot L’esposimetro legge la luce solo un una piccola area della scena. È il sistema più laborioso ma anche il più preciso poichè permette di effettuare una lettura molto selettiva del campo inquadrato ed offre la possibilità di far leggere la luce all’esposimetro solo dove vogliamo noi. Questa situazione ci offre la possibilità di avere una lettura della luce della scena non distorta da zone di alta luce e bassa luce secondari rispetto al nostro soggetto principale. Per il momento possiamo accontentarci di immaginare che basti puntare l’area di lettura spot sul soggetto principale per ottenere un’esposizione corretta, in seguito vedremo quali sono le problematiche di questo sistema di esposizione. 4.3 Modi di Esposizione P: program A: priorità di diaframmi S: priorità di tempi M: manuale Ognuno di questi modi di esposizione va abbinato ad un particolare modo di misurazione della luce, come vedremo.
Program (P). La macchina pensa ad impostare sia il tempo che il diaframma in totale autonomia. È preferibile usare valutativa o media a prevalenza centrale come modo di lettura. In questo caso, noi non abbiamo nessun controllo creativo sulla fotografia, ma è utile nelle situazioni in cui abbiamo fretta, siamo svogliati o quando la macchina fotografica passa di mano, magari ad una festa o in vacanza o quando ci si fa fare una fotografia da qualcuno di cui non conosciamo le capacità fotografiche.
Priorità di diaframmi (A). Noi possiamo scegliere il diaframma e la macchina penserà automaticamente ad impostare il tempo corretto per l’esposizione. Offre la stessa velocità di esecuzione della foto che si ha in program e ci permette il controllo creativo sui diaframmi. Attenzione a non impostare diaframmi troppo chiusi per evitare di avere tempi di otturazione troppo lenti e quindi rischio di foto mosse. Anche in questo caso È preferibile usare valutativa o media a prevalenza centrale come modo di lettura. È preferibile usare questa modalità quando non abbiamo il tempo per prendere l’esposizione manualmente e quando il diaframma è il parametro più importante della fotografia che andremo a scattare.
Priorità di tempi (S). Il principio è assolutamente identico alla priorità di diaframmi con la differenza che possiamo intervenire sulla regolazione dei tempi e la macchina imposterà automaticamente il diaframma necessario per ottenere una corretta esposizione. Anche in questo caso è preferibile usare valutativa o media a prevalenza centrale come modo di lettura. Conviene utilizzare questa modalità quando non abbiamo il tempo di prendere l’esposizione manualmente e il tempo di esposizione è il parametro più importante per ottenere una bella fotografia.
Manuale (M). Dobbiamo impostare sia i tempi che i diaframmi in base alle indicazioni che l’esposimetro ci suggerisce all’interno del mirino. Si può leggere la luce in media, valutativa o, preferibilmente, in spot. Permette di risolvere le situazioni di ripresa più difficili, dove gli automatismi della fotocamera sono destinati a sbagliare. Le procedure per utilizzare questo metodo in modo corretto sono rimandate a sezioni successive di questo manuale.
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Il Braketing È un sistema efficace per ottenere la corretta esposizione in condizioni difficili, eseguendo la cosidetta esposizione a forcella. Questa tecnica consiste nell’effettuare diversi scatti dello stesso soggetto con diverse esposizioni, in modo tale che almeno una risulti adeguata ai risultati che vogliamo ottenere. Solitamente si effettuano 3 scatti di cui uno con l’esposizione che l’esposimetro ci suggerisce, una sottoesposta di uno stop e l’altra sovraesposta di uno stop, ma ci sono molte varianti per poter effettuare questa operazione, come potremo approfondire in sezioni successive. 5.0 Il diaframma In fotografia ed in ottica, un diaframma è un'apertura solitamente circolare o poligonale, incorporata nel barilotto dell'obiettivo, che ha il compito di controllare la quantità di luce che raggiunge la pellicola (in una fotocamera convenzionale) o i sensori (in una fotocamera digitale) nel tempo in cui l'otturatore resta aperto (tempo di esposizione). Il centro del diaframma coincide con l'asse ottico della lente.
Differenti aperture di diaframma, dalla più aperta (sinistra in alto), alla più chiusa (destra in basso) Insieme al tempo di esposizione, l'apertura del diaframma determina la quantità di luce che viene fatta transitare attraverso l'obiettivo, che va quindi a impressionare l’elemento sensibile. In modo dipendente dalla velocità della pellicola, la quantità di luce incidente su di essa (o sul sensore fotosensibile) viene a determinare l'esposizione di una fotografia. La maggior parte delle fotocamere dispone di un diaframma di ampiezza regolabile (simile, per funzione, all'iride dell'occhio) contenuto nell'obiettivo; la regolazione del diaframma è denominata apertura. A piena apertura il diaframma lascia passare, in un dato tempo, quanta più luce possibile verso il supporto sensibile; chiudendo il diaframma si riduce tale quantità di luce. Nelle fotocamere, il diaframma può essere regolato su diverse aperture, distribuite regolarmente su una scala di intervalli detti numeri f (f/numero) o f/stop o aperture diframmali o divisioni di diaframma o più semplicemente diaframmi. La sequenza dei valori di numeri f è una progressione geometrica di ragione √2 (circa 1,4) standardizzata al congresso di Liegi nel 1905. Comprende i seguenti valori:
f/1 f/1,4 f/2 f/2,8 f/4 f/5,6 f/8 f/11 f/16 f/22 f/32 f/45 f/64 L'intervallo tra i diversi valori del diaframma viene comunemente indicato in gergo stop. I numeri f sono calcolati e ordinati in modo tale che diaframmando (cioè chiudendo il diaframma di un'intera divisione o di 1 stop) si dimezza la quantità di luce che entra a impressionare l’elemento sensibile; chiudendolo di 2 stop si diminuisce la luce a 1/4, chiudendolo di 3 divisioni a 1/8 e così via. I numeri f esprimono il rapporto focale, cioè il rapporto tra la lunghezza focale dell'obiettivo e il diametro dell'apertura del diaframma. Pertanto a valori più bassi di f corrispondono aperture di diaframma più ampie. Ad esempio, con un obiettivo di 50 mm, un'apertura del diaframma di 25 31
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mm corrisponde a f/2 mentre un'apertura di 3,125 mm a f/16. In questo senso f è chiamato anche "apertura relativa", nel senso che il valore f dell'apertura è normalizzato rispetto alla lunghezza focale, ed esprime l'intensità di luce lasciata passare dal diaframma, utile ai fini del calcolo dell'esposizione. Infatti la stessa apertura relativa (per esempio f/4) corrisponde a due aperture assolute diverse in un obiettivo di lunghezza focale 50mm (apertura assoluta a f/4 = 50/4=12,5 mm) e in un teleobiettivo 300mm (apertura assoluta a f/4 = 300/4=75 mm); però corrisponde alla stessa intensità di luce che l'obiettivo lascia passare verso la pellicola o il sensore. A parità degli altri parametri (obiettivo, formato, ecc) la profondità di campo è fortemente influenzata dall'apertura del diaframma: se questo è completamente aperto essa assume il minimo valore, viceversa diminuendo l'apertura si aumenta la profondità di campo, che raggiunge il massimo quando il diaframma è portato all'apertura minima. Diaframmi di piccole dimensioni richiedono però tempi di esposizione più lunghi e conseguentemente implicano un maggior rischio di mosso se il soggetto o la fotocamera si spostano durante l'esposizione. Diaframmi più chiusi possono ridurre gli effetti dovuti all’aberrazione ottica. Diaframmi molto chiusi provocano un peggioramento dell'immagine, dovuto alla diffrazione dei raggi luminosi per opera dei bordi del diaframma. Questi raggi diffratti dai bordi sono sempre presenti, ma il loro effetto sulla qualità dell'immagine diventa rilevante solo a diaframma chiuso, poiché in tali condizioni non è più trascurabile il rapporto tra le quantità di luce diffratta e non diffratta. 5.1 Il diaframma e la Profondità di campo Il diaframma è uno degli strumenti più importanti a disposizione del fotografo. Usato correttamente permette infatti grande creatività e lascia molti margini di interpretazione al fotografo. Il diaframma regola la quantità di luce che passa attraverso l’obiettivo. Nelle reflex è sempre alla massima apertura, salvo poi chiudersi al momento dello scatto al valore da noi impostato, questo per permetterci di avere sempre una visione luminosa e chiara del campo inquadrato. Vedere gli effetti prodotti dalla chiusura del diaframma, ad esempio la profondità di campo (PdC), è però molto importante: per questo molte fotocamere sono dotate di un pulsante che permette di forzare la chiusura del diaframma in ogni momento allo scopo di effettuare visivamente i controlli necessari. La profondità di campo è la zona nitida del campo inquadrato, prima e dopo il piano su cui abbiamo deciso di mettere a fuoco, che noi riusciamo ad ottenere chiudendo il diaframma. Per leggi fisiche non possiamo mettere a fuoco su più distanze contemporaneamente: si riesce ad aggirare l’ostacolo sfruttando appunto la profondità di campo che simula la messa a fuoco su più punti all’interno della fotografia. In realtà gli oggetti posti su piani diversi da quello di messa a fuoco non sono a fuoco, ma l’occhio umano e le sue imperfezioni, non hanno abbastanza risolvenza per vedere come sfocate queste aree; è il cosiddetto cerchio di confusione. Quando mettiamo a fuoco un soggetto durante una ripresa fotografica focalizziamo la nostra attenzione su un piano perpendicolare all’asse ottico dell’obiettivo. Tutto ciò che in quel piano è più vicino o più lontano rispetto al fotografo risulterà sempre più sfocato. In realtà ad essere a fuoco è una regione dello spazio tridimensionale, sempre perpendicolare all’asse dell’obiettivo, che può variare anche di molto la sua profondità. Questo spazio è appunto la profondità di campo o zona di accettabile nitidezza.
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La profondità di campo visualizzata attraverso le immagini, da sinistra a destra: f/2.8, f/8, f22
Pertanto a diaframmi più piccoli corrisponde un incremento della zona percepita come a fuoco davanti e dietro al piano su cui si è realmente focheggiato. Il diaframma è lo strumento di cui ci serviamo per variare quasi a nostro piacimento la profondità di campo o PdC. La PdC aumenta con la chiusura del diaframma e diminuisce con la sua apertura. Quando siamo interessati ad avere pieno controllo di questo aspetto in una fotografia dovremo lavorare a priorità di diaframmi. La PdC è superiore alle spalle del soggetto a fuoco e inferiore nello spazio tra il fotografo ed il soggetto, in sostanza non è simmetrica rispetto al piano di messa a fuoco. Gli obiettivi non hanno tutti la stessa PdC: i grandangolari ne hanno molta ed i teleobiettivi poca. Vedremo in seguito come la PdC si usa a livello creativo nelle varie situazioni di ripresa. Legato alla PdC c’è il concetto di iperfocale. Si tratta di un espediente usato per ottenere la massima estensione della zona a fuoco all’interno del campo inquadrato. Si deve impostare il diaframma più chiuso che l’obiettivo permette (es f/22), si porta il segno di infinito sulla scala delle distanze dell’obiettivo in corrispondenza della tacca di f/22 della pdc sul barilotto dell’obiettivo stesso. Sugli obiettivi moderni purtroppo non vengono più riportate le indicazioni della profondità di campo, per questo bisogna arrangiarsi sperimentando o controllando i risultati con il pulsante di controllo della pdc, anche questo presente di rado sulle fotocamere. Noi lavoriamo in iperfocale quando, utilizzando ottica grandangolari chiudiamo al massimo il diaframma, impostiamo manualmente la ghiera di messa a fuoco circa a metà corsa e fotografiamo senza curarci della messa a fuoco; operando in questo modo dovremmo essere abbastanza sicuri che le fotografie saranno a fuoco su tutto il campo inquadrato, da un punto prossimo a noi fino all’infinito. La profondità di campo può anche essere impostata a nostro piacimento attraverso delle scale che solitamente sono poste vicino alla scala delle distanze sulla ghiera di messa a fuoco. Purtroppo gli obiettivi moderni ne sono privi e ci costringono a procedere per tentativi o a controllare attraverso il controllo della profondità di campo che in alcune condizioni, ad esempio con poca luce, è impossibile da utilizzare. La PdC è maggiore alle spalle del soggetto che abbiamo focheggiato e inferiore di fronte, all’incirca 2/3 e 1/3 (si noti che la scala delle distanze cresce con progressione geometrica man mano che ci si sposta verso l’infinito). La pdc è condizionata anche da altri 2 fattori: la lunghezza focale dell’obiettivo e la distanza dal soggetto. Passando da un grandangolare spinto a un lungo teleobiettivo si ha una drastica diminuzione della profondità di campo; questo avviene sostanzialmente per leggi fisiche dell’ottica. Per avere molto del campo inquadrato a fuco si dovranno usare quindi obiettivi grandangolari, mentre per limitare al massimo lo spazio a fuoco nella ripresa, mettendo quindi in maggior risalto il soggetto principale, si dovranno usare teleobiettivi. La pdc raddoppia ogni volta che chiudiamo il diaframma di due stop. Raddoppiando la distanza tra noi e il soggetto principale la pdc quadruplica. Tutto questo a parità di obiettivo montato sulla fotocamera. Dimezzando la lunghezza focale dell’obiettivo la pdc aumenta di quattro volte. 33
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5.2 Regolare l’obiettivo per l’iperfocale Per controllare la profondità di campo sugli obiettivi vengono a volte riportate delle scale molto utili al momento della ripresa. Nell'immagine a lato la ghiera dei diaframmi di un medio tele, un 135 mm: ogni diaframma è contrassegnato da un colore, riportato come segno in prossimità della scala metrica della messa a fuoco. Il nostro soggetto è a 5 metri, con il diaframma f/32 celeste, la profondità di campo va da 4 a 7 metri. Se usiamo f/22, giallo, la profondità di campo diminuisce, con f/16 contrassegnato con il rosso la zona utile si riduce ulteriormente da 4,5 a 6 metri. Con f/11 bianco il valore non è riportato per motivi di spazio a vantaggio dell'f/8 verde: l'intervallo diviene di poche decine di centimetri. Per valori ancora più bassi la profondità di campo si ridurrà a pochi centimetri. Si noti che la zona utile si estende per 1/3 davanti a ciò che abbiamo messo a fuoco, e per 2/3 dietro. Ad esempio se con un ipotetico obiettivo focheggiamo a 5 metri avremo: Con f/22:
Con f/16:
6.0 Il tempo di esposizione Il tempo di esposizione, o tempo di scatto o tempo di otturazione o velocità di otturazione è, in fotografia, il tempo durante il quale l'otturatore della macchina fotografica rimane aperto per permettere alla luce di raggiungere la pellicola o il sensore. In combinazione con il diaframma, il tempo di esposizione regola la giusta quantità di luce per ottenere una fotografia ben esposta. A parità di esposizione, un tempo rapido richiede un diaframma più aperto mentre un tempo lento si abbinerà ad un diaframma più chiuso. Ai fini di una corretta esposizione (di questo ci informa l'esposimetro) scegliere una coppia tempo/diaframma pari a 1/125s-f/8 equivale esattamente alla scelta della coppia 1/250s-f/5.6 oppure 1/500s-f/4 o, ancora alla coppia 1/60s-f/11. Vale a dire, mentre il tempo si dimezza, il diaframma raddoppia, e viceversa. In ogni caso, la quantità di luce che andrà ad impressionare la pellicola sarà sempre la stessa e la scelta di una coppia dipenderà esclusivamente dal fotografo e dalla fotografia che ha in mente (si veda valore di esposizione o EV). Il tempo di esposizione si misura in secondi. I numeri che appaiono sul selettore dei tempi di una reflex, rappresentano frazioni del secondo: 15 per 1/15 di secondo, 30 per 1/30 di secondo e così via.
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Lo standard adottato per i tempi di esposizione è il seguente: • • • • • • • • • • • • • • • •
1/8000 s 1/4000 s 1/2000 s 1/1000 s 1/500 s 1/250 s 1/125 s 1/60 s 1/30 s 1/15 s 1/8 s 1/4 s 1/2 s 1s B (bulb) — l'otturatore rimane aperto finché il fotografo tiene premuto il pulsante di scatto. T — l'otturatore rimane aperto fintantoché l'operatore non preme nuovamente il pulsante di scatto
La scala dei tempi è tale che il valore successivo è il doppio del precedente. L'esposizione dipende da tre fattori: il tempo di esposizione, che si imposta sul corpo macchina, l'apertura del diaframma che si regola sull'obiettivo, il tipo di pellicola che si usa (velocità della pellicola o valore ISO). Cambiare il tempo di esposizione significa influire sul modo in cui il movimento del soggetto viene impressionato sulla pellicola. Usare tempi rapidissimi come 1/8000s, può servire a congelare le pale in rotazione di un elicottero o l'attimo nitido in cui il guantone del boxer raggiunge la mandibola dell'avversario. Ma non sempre l'immagine nitida rappresenta una foto vincente; l'uso dei tempi lenti può enfatizzare il movimento del soggetto, come nel caso del panning.
Immagine scattata a 1/500s
Immagine scattata a 1/30s
Per scongiurare il pericolo di "mosso", bisogna usare tempi rapidi. Una foto mossa, ad esempio è quella che riporta nell’immagine il movimento della mano del fotografo che pigia il pulsante di scatto: l'intera foto appare priva di nitidezza. Anche il movimento dello specchio delle reflex può causare il mosso. Quando la scelta del tempo lento è inevitabile a causa della mancanza di luce, si può usare il cavalletto o il flash. Un sistema abbastanza semplice da memorizzare per ovviare a questo problema è quello che considera la lunghezza focale dell'obiettivo montato sulla macchina. Con una fotocamera 35mm e un obiettivo di 50mm (il cosiddetto "normale"), il tempo da scegliere per evitare il mosso è quello più vicino alla focale dell'obiettivo (quindi 1/60s in questo caso);
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usando invece un teleobiettivo da 400mm si dovrà per forza di cose scegliere il 1/500s; con un grandangolare 24mm si potrà usare il 1/30s con relativa sicurezza. 7.0 La messa a fuoco La messa a fuoco é un aspetto fondamentale per la buona riuscita di una fotografia. Spesso la si trascura affidandosi totalmente agli automatismi della fotocamera, ma questo può determinare risultati inattesi e indesiderati. L’autofocus va, infatti, gestito e non abbandonato a se stesso. E’ fondamentale ricordare che di norma il sensore dell’autofocus funziona al meglio al centro dell’inquadratura, ed è quindi in quel punto che la fotografia raggiunge la massima nitidezza del soggetto. Nel caso in cui il soggetto sia decentrato nell’inquadratura dobbiamo intervenire per evitare di avere foto che risultino sfocate. Il metodo più efficace per mettere a fuoco in totale libertà e sicurezza consiste nell’effettuare l’operazione manualmente. In questo caso possiamo mettere a fuoco qualsiasi punto della scena inquadrata semplicemente focalizzando l’attenzione su di esso e scattando una volta ottenuta la massima nitidezza la dove a noi interessa. Se invece volessimo comunque continuare ad utilizzare l’autofocus, dobbiamo semplicemente puntare la macchina in modo tale da avere il soggetto che vogliamo risulti a fuoco al centro dell’inquadratura e, una volta ottenuta la messa a fuoco, tenere premuto a metà il pulsante di scatto, ricomporre l’inquadratura cosi come la desideriamo e poi scattare. Se si rilascia il pulsante di scatto o lo si preme a fondo per eseguire una fotografia, si perde la messa fuoco ed è necessario eseguire nuovamente l’operazione. Un altro aspetto da non sottovalutare nell’uso dell’autofocus riguarda tutte le situazioni in cui l’operazione non può avvenire agevolmente. Ad esempio su superfici lisce, molto chiare, molto scure e comunque prive di contrasto, la fotocamera non é in grado di mettere a fuoco automaticamente e, in questi casi, si deve ricorrere alla messa a fuoco manuale o cercare nella scena inquadrata un soggetto che l’autofocus possa identificare e mettere a fuoco. Il cielo, un muro e superfici riflettenti sono elementi che la fotocamera riesce difficilmente a mettere a fuoco.
L’autofocus L’autofocus è un dispositivo elettronico che si basa su sensori presenti nella fotocamera per eseguire la messa a fuoco autonomamente, senza bisogno della focheggiatura in manuale. Nei metodi di esposizione P, S, A e M ed il selettore del modo di messa a fuoco della fotocamera regolato su AF con l’obiettivo impostato su (A), si attiva il sistema autofocus con una leggera pressione del pulsante di scatto e quindi la comparsa nel mirino della spia verde che indica che l’obiettivo é regolato per l’ottimale nitidezza. Solitamente si sceglie tra messa a fuoco singola o continua a seconda che il soggetto sia fermo oppure in movimento.
AF singolo Raggiunta la corretta messa a fuoco, attivata con la pressione a metà corsa del pulsante di scatto, l’AF si blocca abilitando lo scatto, che si ottiene premendo a fondo il pulsante. Questa priorità al fuoco impedisce alla fotocamera di scattare fino al raggiungimento della corretta messa a fuoco.
AF continuo La fotocamera mantiene costantemente a fuoco i soggetti in movimento lasciando attiva l’opzione di scatto, anche nel caso la messa a fuoco non risulti regolata alla perfezione. Questa modalità lascia infatti la priorità allo scatto.
Area AF singola E’ quello più usato. Consente, attraverso il selettore posteriore, di selezionare manualmente l’area di misurazione che la fotocamera deve adottare. L’area centrale è in grado di misurare il contrasto di fase di rilevamento AF su due assi mentre le altre aree, di norma, leggono un solo asse. Se nella specifica composizione il soggetto risulta decentrato, è bene selezionare l’area corrispondente 36
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perché mettere a fuoco con l’area centrale, memorizzare la lettura e poi ricomporre per scattare, introduce minime variazioni di messa a fuoco percettibili su risoluzioni elevate. Alcuni sistemi consentono di variare la dimensione dell’area centrale utilizzata per la misurazione autofocus: questa va scelta in base alla tipologia di ripresa e all’angolo di campo dell’obiettivo in uso.
Blocco del selettore Area AF Per evitare cambiamenti accidentali dell’area selezionata, é possibile attivare il blocco del selettore che lascia comunque operativo lo stesso, per eventuali regolazioni attraverso il menù.
Area AF dinamica Il criterio dinamico è particolarmente indicato in situazioni con misurazione continua AF-C. L’area AF dinamica misura la messa a fuoco all’interno dell’area AF prescelta ma si avvale anche delle informazioni delle altre aree per agganciare eventuali soggetti in movimento che, nell’insieme di composizione percepito nel mirino, fuoriescono temporaneamente dall’area selezionata durante la misurazione.
Area AF automatica L’opzione di selezione automatica dell’area AF, utilizza tutte le aree del sistema AF, mentre rende attive ed utilizza quelle occupate da dettagli significativi o comunque da dettagli in grado di fornire dati sufficienti per la messa a fuoco. I sensori AF non possono operare su zone prive di dettaglio, su zone con forti luci o riflessi e su alcune specifiche trame geometriche. Su scenari con diversi piani ma privi di significativi informazioni di dettaglio nel centro del fotogramma, questa modalità predilige le aree laterali o comunque quelle orientate sul soggetto più vicino, che per ragioni legate alla prospettiva, forniscono dettagli più grandi.
Blocco della messa a fuoco Con l’autofocus singolo la messa a fuoco può essere memorizzata e quindi utilizzata dopo una misurazione portata a termine. La messa a fuoco così eseguita resterà bloccata mantenendo premuto a metà corsa il pulsante di scatto, in attesa dell’attimo ideale per completare lo scatto (una specifica espressione o un particolare evento). La messa a fuoco si può bloccare anche mediante la pressione del pulsante dedicato, associandolo via menù alla funzione desiderata.
Messa a fuoco con la reflex La tecnica di messa a fuoco é determinante per il risultato. Sempre e comunque deve essere a fuoco l'elemento principale (ad esempio gli occhi in un ritratto). La visione reflex e l'autofocus facilitano questa fondamentale operazione della ripresa. • AUTOFOCUS - I sistemi automatici consentono una regolazione veloce del fuoco centrando nel mirino il soggetto. I diversi sistemi sono descritti nei manuali delle fotocamere, ma ricordate che l'autofocus può "impazzire" in alcuni casi: quando il soggetto é uniforme o il contrasto é molto basso, quando il soggetto si muove rapidamente e risulta difficile mantenerlo al centro, quando la superficie mostra molti riflessi. Si può risolvere il problema usando un altro punto di messa a fuoco o ricorrendo alla regolazione manuale. • MANUALE - Grazie al sistema reflex la messa a fuoco é molto intuitiva: l'immagine sarà perfettamente a fuoco quando, regolando la ghiera dell'obiettivo, apparirà perfettamente nitida nel mirino. • MESSA FUOCO RAPIDA - Imparate a conoscere il vostro obiettivo ed il senso di rotazione della ghiera di messa a fuoco: in alcuni casi si raggiunge infinito ruotando verso sinistra, in altri ruotando verso destra. Conoscendo questa caratteristica si può controllare istintivamente la messa a fuoco a seconda che il soggetto si avvicini o si allontani. • MESSA A FUOCO A ZONA - E' possibile scattare immagini nitide predisponendo la messa a fuoco per la zona nella quale si troverà il soggetto o quando si debba scattare alla cieca. 37
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Regolate la ghiera sulla distanza approssimativa alla quale si troverà il soggetto e chiudete il diaframma per sfruttare al massimo la profondità di campo. 8.0 La luce La luce è essenziale per la fotografia. Comprendere il modo in cui si comporta nei diversi momenti della giornata e nelle stagioni, è una capacità che bisogna acquisire per ottenere fotografie di buona qualità. L’abilità che un fotografo deve avere è quella di saper sfruttare al meglio le condizioni di luminosità nei diversi momenti della giornata. Le ore perfette per fotografare sono quelle del primo mattino o del tardo pomeriggio. Anche se in entrambi i casi la posizione del sole non è la più alta nel cielo, il processo di fotosintesi crea una tavolozza di colori molto diversa nei due momenti della giornata. La fotosintesi è il processo chimico che rende verdi le foglie e l’ erba che reagiscono alla luce del sole. Ma anche le particelle di polvere presenti nell’aria reagiscono con questo processo diventando più scure. Di primo mattino la luce è molto pulita, banca, e rende i colori vivaci e brillanti. Durante il tardo pomeriggio o la prima serata, invece, è molto più calda e morbida. Un buon modo per scoprire da voi l’effetto della luce nelle diverse ore del giorno, è recarsi in un punto panoramico e scattare una foto di primo mattino, un’altra a metà giornata e poi, ancora, la sera. Confrontate i risultati e vi renderete conto da soli come cambi la luce in ore diverse del giorno. L'angolazione della luce, ossia il modo in cui essa illumina il soggetto, determina la potenza e l'impatto di una fotografia. Anche le scene più banali possono apparire belle quando sono illuminate dalla luce obliqua del primo mattino o del tardo pomeriggio; i dettagli si fanno evidenti e la scena acquista una trama. Ogni effetto ha un suo specifico nome: luce alla Rembrandt, se è morbida e dorata; luce di contorno, se essa proviene da dietro il soggetto. Artisti e fotografi lavorano con la "plasticità" della luce e anche con il "chiaroscuro". Nonostante tutte le sfumature possibili, l'illuminazione può essere divisa in queste tipologie: luce frontale, luce a 45°, luce laterale, luce radente e controluce. 8.1
Utilizzare la luce
Luce frontale o luce dall’alto Pur trattandosi di un illuminazione sicura, essa è però generalmente assai piatta e poco d'effetto, a meno che non intervenga un qualche altro fenomeno a vivacizzare la ripresa. La regola generale è comunque quella di evitare l'illuminazione piatta, a meno che non sia significativa per il soggetto. La luce dall'alto si rivela inadatta al ritratto perché produce ombre sul viso e zone scure sotto gli occhi, nonostante lavori bene per molti altri soggetti in esterni. In questo caso, è sufficiente modificare la posizione della fotocamera o cambiare posizione al soggetto, perché la luce, frontale o dall'alto, diventi immediatamente più pittorica.
Luce a 45° Per realizzare panorami d'effetto, cercate di sfruttare l'illuminazione del sole quando non è troppo alto sull'orizzonte, l’ideale è un’angolo prossimo ai 45°. In studio, ad esempio, la luce a 45° è quella classica principalmente utilizzata per i ritratti, in combinazione con una luce di riempimento per schiarire le ombre. Lo stesso concetto vale in esterni quando la luce non è troppo dura. Ovviamente, la luce naturale produce infinite variazioni sia nei paesaggi che in città, per questo, quando potete disporre di diversi buoni punti di ripresa, cercate di sfruttarli scattando da differenti angolazioni.
Luce laterale Da un punto di vista fotografico la luce laterale produce immagini molto efficaci, ricche di trama e di contrasto. Più netta è la luce laterale e più evidenti saranno l'effetto e i rapporti fra luci e ombre. La luce laterale conferisce volume alle rappresentazioni in due dimensioni di una realtà tridimensionale. È importante prestare attenzione a questo effetto perché potrebbe ingannare. Per
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evitare problemi, è necessario controllare nel mirino che l'immagine sia effettivamente a fuoco e che la profondità di campo sia adeguata alla ripresa che avete in mente.
Luce radente La luce radente è spesso la più spettacolare e drammatica di tutte. I soggetti illuminati dalla luce radente non possono non attirare la vostra attenzione, anche se il dettaglio nelle ombre è scarso. La luce radente è la più adatta quando la superficie o la trama del soggetto sono molto evidenti e particolareggiate. Le ombre prodotte dal soggetto stesso sono quelle che determinano l'effetto di rilievo della superficie e che esaltano le sue caratteristiche peculiari. Con la luce radente si eleva notevolmente il contrasto, mentre le ombre possono risultare più allungate del solito, accentuando la drammaticità dell'immagine.
Controluce Il controluce è una situazione di illuminazione molto efficace perché evidenzia i contorni e avvolge i soggetti con un alone di luminosità, ma non rende affatto agevole la misura dell'esposizione. Il controluce è un'illuminazione d'effetto perché tutto ciò che la fotocamera vede - ossia quanto sta davanti a voi - apparirà sostanzialmente in ombra: spesso sarà necessario disporre di una luce aggiuntiva per illuminare la parte frontale del soggetto. Per quanto riguarda il controluce e gli obiettivi, è importante ricordare che ogni ottica puntata verso una sorgente luminosa, produrrà sull'immagine dei riflessi parassiti denominati flare. In generale, più sono gli elementi ottici costituenti l'obiettivo (specialmente gli zoom), maggiori saranno i riflessi parassiti prodotti. La soluzione è, quindi, quella di tenere la sorgente luminosa il più possibile fuori dall'inquadratura, in modo che non colpisca direttamente la lente frontale, oppure, nel caso in cui non si riesca ad eliminare i riflessi, utilizzarli come elemento caratterizzante dell’immagine. Allo scopo di applicare la tecnica corretta nelle varie condizioni di luce, riportiamo in breve alcuni consigli: • Nelle prime ore della giornata, quando il sole è ancora basso nel cielo, la luce è più pulita e bianca. Questo è un orario perfetto per la fotografia panoramica perché la lunghezza e morbidezza delle ombre aggiunge un effetto tridimensionale alla fotografia. • A mezzogiorno, quando il sole è a picco, le ombre sono corte e marcate. Allora i ritratti sono particolarmente difficili, perché bisogna utilizzare flash di riempimento o pannelli riflettenti per ammorbidire l’effetto accentuato creato dalle ombre nette e contrastate. • Nel tardo pomeriggio, quando è presente una luce calda e diffusa, le ombre risultano lunghe e soffici. Si tratta di un momento ideale della giornata per lo scatto di fotografie di paesaggio, ritratto, sport,etc. 8.2 Fonti di luce alternative Quando l’illuminazione naturale non è sufficiente o nel caso si vogliano ottenere effetti di luce particolari, è necessario adottare sistemi di illuminazione artificiali per ottenere diversi effetti secondo la destinazione d’uso. In particolare, per uso in studio o in esterno, sono disponibili illuminatori a luce continua molto versatili per simulare le condizioni di luce necessarie. Per un uso più comune, la fonte di luce alternativa alla portata di tutti è quella emessa dai dispositivi ad illuminazione istantanea, cosiddetti FLASH. I Flash si montano generalmente sulla slitta presente in tutte le fotocamere reflex, ed anche in alcune compatte e bridge predisposte. I flash possono essere utilizzati in svariati modi e si adattano a molte situazioni differenti, costituendo sistemi di illuminazione creativa anche piuttosto complessi, con comandi wireless che possono pilotare varie unità fisicamente lontane dal corpo macchina.
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8.2.1 Il flash La quasi totalità delle fotocamere attualmente disponibili offre un piccolo flash che, in genere, può essere attivato tramite un pulsante. Il flash installato sulla fotocamera garantirà una illuminazione sufficiente entro un raggio che può andare da un minimo di 2 metri ad un massimo di 4 metri. Scattare una foto in uno stadio accendendo il flash “perché c’è buio” non avrà nessun effetto sulla fotografia. L’unico effetto che otterremo è quello di consumare energia e ridurre l’autonomia residua della batteria, infatti il flash è uno dei componenti che causa i consumi elettrici più elevati in una fotocamera. Il lampo del flash, se non viene calibrato con cura, può produrre fotografie innaturali, estremamente piatte, ricche di ombre a elevato contrasto. Nelle fotocamere più economiche il flash è in grado di produrre un solo tipo di lampo che sarà adeguato per illuminare un soggetto che si trova entro una distanza ben precisa. Se il soggetto si trova più vicino, diverrà completamente bianco, perché sarà stato colpito da un lampo di intensità eccessiva. Contrariamente, se il soggetto si trova più lontano, sarà troppo scuro, perché il lampo non sarà di sufficiente intensità. Nelle migliori fotocamere compatte, il flash e l’ esposimetro della fotocamera collaborano alla buona riuscita della fotografia e la fotocamera sarà così in grado di produrre un lampo dell’intensità necessaria per garantire la corretta esposizione del soggetto a fuoco (sempre che la distanza non sia eccessiva). In condizioni di luminosità ambientale scarsa ma non completamente assente, con un soggetto vicino, la fotocamera produrrà un lampo delicato per ottenere uno scatto equilibrato e con colori sufficientemente armonici. Se invece lo scatto avviene al buio ed il soggetto messo a fuoco è più distante, il lampo sarà molto più intenso. Le fotocamere reflex e alcune compatte sono dotate nella parte alta di una slitta a “contatto caldo” che consente l’installazione di un flash esterno di maggiore potenza e versatilità. Questo consentirà di riprendere soggetti piuttosto lontani o molto ampi, in modo che siano illuminati adeguatamente. I flash esterni impiegano batterie differenti da quelle della fotocamera e dunque non andranno a gravare sull’autonomia della stessa. Per garantire il funzionamento corretto degli automatismi di controllo (esposizione, autofocus, etc.) è opportuno utilizzare flash realizzati dallo stesso produttore della fotocamera, oppure da un produttore indipendente, ma che sia dedicato in modo specifico alla propria fotocamera. Alcuni flash sono dotati di un sistema di zoom motorizzato che consente di adattare l’ampiezza del lampo alla lunghezza focale dell’obiettivo. Questo significa che utilizzando l’obiettivo zoom in una posizione grandangolare, anche il flash produrrà un lampo grandangolare ovvero di ampie dimensioni, mentre utilizzando un teleobiettivo il flash si adatterà e produrrà un lampo più stretto in grado di illuminare il soggetto inquadrato, trascurando l’ ambiente circostante. 8.2.2 La fotografia con il flash Fotografare con il flash non è affatto semplice e, se possibile, è sempre preferibile utilizzare la luce naturale. Esistono però occasioni in cui il flash si rivela indispensabile, anche se è bene sapere come utilizzarlo. Ad esempio, se il soggetto è posizionato a ridosso di uno sfondo, allontanarlo il più possibile dalla superficie sulla quale si può creare l’ombra netta, otterremo sicuramente un risultato migliore, infatti la distanza tra il soggetto e l’ombra determinerà non solo le dimensioni di quest’ultima, ma anche la durezza dei suoi contorni. Nelle occasioni in cui il soggetto non si può separare dallo sfondo, l’ombra alle spalle del soggetto sarà inevitabile, per cui l’unica cosa che si può fare è renderla il meno ingombrante possibile: scattate la fotografia da un angolazione che la proietti dietro la testa del soggetto, invece che dietro il suo volto, oppure utilizzate il flash in modalità riflessa. Reindirizzando la luce proveniente dal flash, potrete rifletterla o farla rimbalzare su un’altra superficie, in modo da cambiare l’angolazione oltre che la quantità e qualità di quella che raggiunge il soggetto, questo accorgimento produce una luce meno direzionata e meno dura che creerà un effetto soffice, con meno ombre marcate. Per cambiare l’angolazione della luce del flash potrete utilizzare un semplice pezzo di carta bianca, posizionato sul retro del flash stesso il modo da farlo arrivare fin sopra la finestrella. Regolate l’ angolazione del lampo per dirigere la luce nella direzione desiderata, normalmente un parete o soffitto di colore neutro, il quale la rifletterà poi sul soggetto. 40
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Un'altra situazione sfavorevole per l’uso del flash è il classico “primo piano illuminato con sfondo nero”, in cui il soggetto è esposto correttamente, mentre lo sfondo è completamente sottoesposto e dunque buio. La ragione è molto semplice: la velocità di otturazione è troppo elevata. Il flash produce luce sufficiente per esporre il soggetto correttamente, ma l’otturatore si apre e si chiude troppo in fretta per consentire alla luce ambiente dello sfondo di essere catturata. Aumentando il tempo di posa ci si attenuerà il problema, infatti il flash “congelerà” il soggetto, mentre una durata maggiore del tempo di posa consentirà ad una maggiore quantità di luce dello sfondo di attraversare l’obiettivo. L’utilizzo del flash è utile anche nelle giornate soleggiate dove la luminosità può causare un contrasto eccessivo tra luce forte e ombre. Se esponiamo in base ai punti di luminosità massima, le ombre risulteranno nere e non lasceranno intravedere alcun dettaglio. E’ proprio in questi casi che dobbiamo utilizzare il “flash di riempimento”. Questa tecnica si serve di un semplice flash per illuminare maggiormente le ombre, producendo un’immagina illuminata uniformemente, in cui le luci più forti e le ombre sono più bilanciate. Per usare il flash di riempimento dobbiamo prima sapere a quale velocità la nostra fotocamera si sincronizza con il flash. Se il flash non è sincronizzato l’effetto sarà minimo. Le velocità di sincronizzazione variano da un minimo di 1/60 di secondo fino ad 1/250 di secondo per le fotocamere più costose. Le velocità relativamente lente che utilizzano moltissime fotocamere per sincronizzarsi al flash comportano che, per ottenere una corretta esposizione, dovremo regolare la sensibilità ad un livello inferiore di ISO, altrimenti l’ immagine risulterà sovraesposta. Una volta regolato il tempo di posa alla giusta velocità di sincronizzazione, il passo successivo è quello di prendere una lettura dell’esposizione. Ipotizziamo di prendere una misurazione di 1/60 sec a f/11 con 100 ISO; tutto quello che dobbiamo fare è regolare il flash alla distanza giusta e diaframma a f/8 (uno stop in meno rispetto la misurazione dell’esposizione). Questo produrrà una potenza sufficiente a “riempire” le ombre, ma non le rimuoverà del tutto. 8.2.3 Il problema degli occhi rossi Questo è un tipico difetto introdotto dai flash: il lampo del flash entra nella pupilla, colpisce il fondo dell’occhio ricco di vasi sanguigni e restituisce esattamente al centro dell’occhio un cerchio di colore rosso vivace in grado di deturpare anche la migliore fotografia. Questa situazione può essere recuperata senza troppa difficoltà a posteriori utilizzando un programma di editing fotografico. Per prevenire questo difetto in fase di ripresa molte fotocamere sono dotate di un sistema di prevenzione “occhi rossi”. Il sistema è molto semplice: quando la fotocamera è impostata per una fotografia con flash, poco prima dello scatto sul soggetto viene puntata una intensa luce di colore arancione o rosso che, colpendo gli occhi del soggetto, costringe la pupilla a contrarsi. A questo punto, con la pupilla chiusa, lo scatto con il flash non produrrà più l’effetto occhi rossi. 8.3 La sensibilità ISO Quando la situazione di luce disponibile non consente di utilizzare tempi rapidi di scatto e c’è il rischio di mosso e non si può o non si vuole utilizzare il flash, il fotografo ha l’opportunità di variare le condizioni di luce adottando supporti che consentono di ricevere maggiore illuminazione (pellicole rapide) o elevare il valore ISO nella fotocamera digitale.
Velocità della pellicola La velocità della pellicola, detta anche sensibilità o rapidità, indica la capacità di una pellicola fotografica di essere impressionata dalla luce anche in condizioni disagevoli. Uno scatto con pellicola a bassa sensibilità richiede (a parità di condizioni), un tempo di esposizione maggiore; si parla perciò di pellicola lenta, viceversa, una pellicola ad alta sensibilità, che richiede tempi di esposizione più brevi, è denominata pellicola veloce. La velocità si misura in numeri ISO e/o ASA (o in Germania in numeri DIN); quanto più alto è il numero, tanto più sensibile alla luce è la pellicola 41
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e quindi, a pari condizioni, tanto più breve è l'esposizione. Le pellicole con rapidità ISO/ASA da 25 a 64 sono lente, da 125 a 400 di rapidità da moderata a media mentre quelle superiori a 500 sono rapide. I numeri sono calcolati in modo che una pellicola con numero ISO/ASA doppio di un altro ha sensibilità doppia e, a parità di condizioni, richiede la metà del tempo di esposizione. Come per i tempi di esposizione e le aperture del diaframma, anche per quanto riguarda gli ISO/ASA il passaggio da un numero all'altro si indica in gergo stop: aumentando/diminuendo di uno stop la velocità della pellicola, si raddoppia/dimezza la quantità di luce. Il valore della rapidità deve essere impostato sulla scala di sensibilità della fotocamera affinché l'esposimetro interno possa indicare i dati di esposizione corretti. I valori di ISO più comuni sono 25/15°, 50/18°, 100/21°, 200/24°, 400/27°, 800/30°, 1600/33°, e 3200/36°. Aumentando il valore ISO della pellicola adottata, nel fotogramma si avrà -con sempre maggiore evidenza in base alla scala sceltala presenza di grana di dimensioni aumentate rispetto alle sensibilità più basse.
La sensibilità nelle macchine digitali Nei sistemi fotografici digitali è possibile variare il guadagno elettronico del sensore al fine di avere un diverso rapporto fra l'esposizione alla luce e la luminosità definitiva dell'immagine risultante. Questo guadagno non è direttamente proporzionale alla sensibilità del sensore, ma il calcolo è più complicato. Su una fotocamera, comunque, impostare una sensibilità ISO e l'esposizione di conseguenza, sia automaticamente che manualmente con l'aiuto di un esposimetro, farà risultare una foto correttamente bilanciata allo stesso modo che nelle fotocamere a pellicola. Nel mondo della fotografia digitale è stato definito lo standard ISO 12232:2006 che disciplina le sensibilità del sensore in relazione alla quantità di luce, il rumore aggiunto dal sensore e le specifiche di apparenza dell'immagine risultante. Le sensibilità ISO digitali sono correlate ai valori convenzionali delle sensibilità della pellicola. La sensibilità ISO di una fotocamera digitale è basata sulle proprietà del sensore e sull'elaborazione realizzata dall'apparecchio e sono espresse in termini di esposizione luminosa H (in lux secondo) che raggiunge il sensore. Per ottenere dunque i medesimi risultati delle pellicole rapide, occorre agire sulla scala di sensibilità del sensore, elevandone di fatto la condizione elettrica, sino ad ottenere la coppia di scatto di cui abbiamo bisogno. I valori ISO più comunemente disponibili sulle moderne fotocamere sono 100/200/400/800/1600/3200 ISO, mentre i modelli più performanti arrivano a 6400 o oltre. Aumentare la sensibilità ISO comporta un costante e proporzionale aumento del disturbo presente nell’immagine, il cosiddetto rumore: si tratta essenzialmente di macchie di colore casuali, (generate dal calore dell’amplificazione elettrica dei fotositi) che si rendono particolarmente evidenti in zone d’ombra o con colore uniforme. 9.0 Il colore Il colore è la percezione visiva generata dai segnali nervosi che i fotorecettori della retina mandano al cervello quando assorbono radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d'onda e intensità. Lo spettro elettromagnetico è la gamma di tutte le radiazioni elettromagnetiche, luminose e non, percepite e non dall'occhio umano, generate dalla vibrazione di campi elettrici e magnetici che si propagano nello spazio alla velocità della luce. Le singole radiazioni sono caratterizzate da una frequenza di vibrazione, misurata in Hz (cicli al secondo), e da una lunghezza d'onda associata, misurata in metri. 9.1 Lo spettro visibile E' quella porzione dello spettro elettromagnetico che comprende le radiazioni luminose percepite dall'occhio umano, di lunghezza d'onda compresa tra i 400nm (blu) e i 700nm (rosso), passando per i 550nm (verde). Prima della radiazione blu (visibile) esiste la radiazione ultravioletta (UV) invisibile, mentre dopo la rossa viene l'infrarosso (IR), anche questa invisibile all'occhio umano. I processi di formazione dei colori sono due, denominati sintesi additiva e sintesi sottrattiva. La prima è identificata dalla somma delle frequenze o lunghezze d'onda tramite fasci luminosi. La seconda si riferisce a qualsiasi pigmento che fornisca sensazioni di colore attraverso l’assorbimento 42
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delle onde elettromagnetiche visibili. Non confondiamole: una fa parte del mondo intangibile delle lunghezze d’onda, l’altro è parte integrante della vita quotidiana. Osserviamole da vicino:
La sintesi additiva Nella sintesi additiva, con tre colori primari rosso, verde e blu (RGB per i nomi dei colori tradotti dall’inglese) e la loro interazione, siamo in grado di riprodurre la maggior parte dei colori visibili. Questa sintesi è alla base del funzionamento dei monitor o dei televisori e si applica a tutte le situazioni in cui i colori sono formati dalla luce, dalla mescolanza e dalla somma di lunghezze d’onda diverse. Dal disegno qui riportato possiamo notare che dove c’è l’intersezione dei tre fasci colorati avremo la creazione della luce bianca. Nelle intersezioni a due a due avremo la nascita di altri tre colori: il cyan, il magenta e il giallo. Sono i colori secondari della sintesi additiva. Dall’immagine a lato, si vede che Rosso + Verde = Giallo, Verde + Blu = Cyan, Blu + Rosso = Magenta
La sintesi sottrattiva È molto più vicina al nostro modo di percepire e vivere i colori. Si riferisce ai pigmenti e alle sostanze capaci di assumere determinate colorazioni assorbendo le lunghezze d’onda complementari. Ad esempio, un oggetto è giallo se, quando colpito da luce bianca, riflette le frequenze che compongono il giallo e assorbono quelle contrarie. Dal disegno qui riportato noteremo che il giallo è formato al 33% di verde e 33% di rosso mentre è assente il blu. Un oggetto giallo quindi assorbe il blu. E la sua luminosità è pari a un -33%, dato dall’assorbimento della frequenza blu presente nella luce bianca. Ogni colore primario nella sintesi sottrattiva assorbe il 33% della luce bianca che lo colpisce. Adoperando un disegno simile al precedente noteremo che, dove c’è l’intersezione di tutti e tre i colori primari (i colori primari della sintesi sottrattiva sono i secondari della sintesi additiva, cioè il Cyan, il Magenta e il Giallo) otterremo il nero, che è l’assenza di luce perché tutto lo spettro luminoso è stato assorbito in pari percentuale dai colori sottrattivi. La somma a due a due dei colori primari sottrattivi ci fornirà la creazione dei colori secondari (rosso, verde e blu, che guarda caso sono i colori primari della sintesi additiva) e tutti gli altri colori dello spettro visibile mischiandoli in percentuali diverse, ovvero Magenta + Giallo = Rosso, Giallo + Cyan = Verde, Cyan + Magenta = Blu
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Saturazione La saturazione (o purezza) di un colore è il livello di purezza del colore in una data scena, cioè la situazione per cui il colore non è diluito con il bianco o il nero. In fotografia, la sottoesposizione intenzionale di circa ½ stop o l'uso di un filtro polarizzatore possono aumentare la saturazione dei colori. Quando una lunghezza d'onda è predominante, si parla di dominante di colore. Ad esempio la dominante “blu” in montagna con neve e cielo nuvoloso; oppure quella “rossa” in un tramonto.
Temperatura di Colore E’ l’associazione fra calore e colore di un corpo a una data temperatura. Un metallo riscaldato emette una radiazione visibile che va dal rosso al bianco all'aumentare della temperatura di riscaldamento. La T° di colore è espressa in gradi Kelvin (°K) = gradi assoluti, perché partono dallo zero assoluto (0°K = -273°C). Per convertire i °C in °K basta sommare 273 ai °C. Per potere osservare tutte le tonalità cromatiche di un corpo è necessario che lo spettro emesso dalla sorgente luminosa contenga tutti i colori del soggetto. 9.2 Il colore in fotografia La percezione del colore è una grandezza psicofisica soggettiva, ed è unica in ogni osservatore umano. In effetti come facciamo ad essere sicuri al 100% che la nostra visione, con conseguente traduzione, di una determinata frequenza sia la stessa percepita da un'altra persona? Non possiamo esserlo, ma una certa garanzia ci è data dai condizionamenti imposti sin dalla nostra tenera età. Se il nostro cervello è in grado d’attribuire una specifica forma e colore ad una lunghezza d’onda è anche facile affermare che i colori, in quanto energia, hanno una grossa influenza emotiva e psicologica. Vuoi per le assonanze con la vita reale (fuoco/sangue = rosso = pericolo/dolore), vuoi per significati ancestrali che possono variare sensibilmente da cultura a cultura, ma sicuramente l’energia percepita ha la capacità di stimolare alcune parti della nostra mente e del nostro corpo. È importante sapere che ci basiamo su un’illusione, è fondamentale conoscere queste teorie sapendo che non è importante la corrispondenza dei colori di partenza con quelli del risultato ma è importante ottenere un risultato che è dato da sensazioni/interpretazione/messaggio. Basandoci su questa filosofia potremo affrontare tutto il discorso legato ai colori e alla loro riproduzione con un senso distaccato e creativo. Lasciamo agli stampatori il cruccio della perfetta corrispondenza mentre noi godiamo il piacere della creatività. Alcuni consigli per l’utilizzo del colore: • I colori primari simultanei nella stessa immagine possono risultare sgradevoli. • I colori fra loro complementari creano invece un effetto armonico. • I colori caldi rendono gli oggetti più vicini, mentre quelli freddi li "allontanano", ragion per cui sono più adeguati per gli sfondi. • Evitare di fotografare con la luce solare delle ore centrali, che, oltre ad essere troppo contrastata, induce dominanti bluastre 9.3 Il bilanciamento del bianco Comprendere il significato del concetto Bilanciamento del Bianco, così come imparare a gestire l'apposita funzione sulla fotocamera digitale, ci permette di migliorare la qualità delle nostre immagini. La luce disponibile per i nostri scatti cambia in continuazione durante l'arco della giornata e risente del fatto che il cielo sia nuvoloso oppure sia completamente sereno. Il cambiamento diventa ancora più marcato, poi, se passiamo dalla luce solare a quella artificiale, oppure se abbiamo entrambe. Questo accade perché la luce, nelle diverse condizioni, possiede tonalità differenti: la scala delle dominanti cromatiche è denominata temperatura colore, e si misura in gradi Kelvin. I valori più bassi di temperatura corrispondono a tonalità calde, i più elevati a tonalità fredde. Avremo così che, ad esempio, la luce naturale di mezzogiorno misura 5400°k, un cielo nuvoloso sale a 7000°k, mentre un cielo blu, all’opposto del sole, arriva anche a 18000°k. Le 44
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luci artificiali hanno loro dominanti, l’incandescenza a 2600/3000°k, il fluorescente da 2700 a 8000°k, mentre la luce naturale del fuoco porta a 1000/2000°k. Tutto questo serve a capire che scattare al tramonto, in pieno sole, in interni, all’ombra o in luoghi con forte illuminazione artificiale comporta differenze marcate sulle tonalità che assumerà la nostra immagine finale.
I fotografi professionisti conoscono bene il problema, infatti dispongono di filtri e di pellicole particolari per far fronte a ogni occasione. Tuttavia le fotocamere digitali nascono per mettere chiunque nella condizione di scattare immagini corrette, infatti dispongono di un sistema di correzione automatico della luce, così da conservare i colori più naturali possibile. Nella maggior parte della situazioni di ripresa è dunque la fotocamera digitale ad occuparsi, in automatico, del Bilanciamento del Bianco (WB, white balance), per fornirci immagini cromaticamente fedeli al soggetto. In pratica, è come se la macchina disponesse al proprio interno di una serie di filtri elettronici da utilizzare automaticamente ogni volta che si renda necessario, per togliere le dominanti di colore che farebbero apparire innaturale la scena inquadrata. La tecnica è denominata bilanciamento del punto di bianco perché mira a individuare gli oggetti bianchi nella scena e a farli apparire completamente neutri, senza dominanti rossastre, bluastre o giallastre che invece trasparirebbero utilizzando l'impostazione sbagliata per il tipo di luce. Una volta che si è corretto il bianco, anche tutti gli altri colori appariranno naturali. Ma non è sempre così. Pensiamo, ad esempio, a un interno in cui siano presenti diversi tipi di illuminazione: qualche raggio di sole che filtra dalla finestra, una lampada da tavolo, una luce alogena, ecc. E' possibile che in una circostanza come questa vada in crisi l'automatismo per il bilanciamento del bianco. La fotocamera non riuscirà a restituirci immagini fedeli della scena. Entra in gioco, allora, l’ abilità del fotografo nel riconoscere la complessità della situazione ed intervenire sulla regolazione più corretta da applicare.
La regolazione manuale Le fotocamere digitali più avanzate (non solo le fotocamere reflex, ma anche le cosidette "prosumer") permettono la regolazione manuale del Bilanciamento del Bianco. Per ottenere il campione di riferimento, e sufficiente puntare la fotocamera su un foglio di carta bianco, posto nella luce dell'ambiente in cui intendiamo riprendere la nostra scena. Il sistema regolerà tutte le tinte. A questo punto siamo pronti per realizzare immagini perfettamente bilanciate (prive cioè di dominanti colore). La correzione di foto mal bilanciate può esser fatta anche a posteriori, attraverso un software per la post-produzione, ma solo se l’immagine è stata scattata in formato RAW. Ovviamente tutto è più semplice se ci attrezziamo al meglio prima dello scatto. Nelle fotocamere più avanzate Il bilanciamento del bianco può essere anche impostato via menù, scegliendo la voce più adatta tra le molte disponibili: luce solare, nuvoloso, incandescenza, tungsteno, etc. oppure con la scelta diretta della temperatura in gradi kelvin, se abbiamo la possibilità di conoscerne il valore o lo approssimiamo in base all’esperienza. Una volta impostato il Bilanciamento del Bianco per una determinata situazione ed eseguito gli scatti, è necessario ricordarsi di resettarlo al variare delle condizioni di luce.
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WB come scattato
WB “luce diurna”
WB “ombreggiatura”
10.0 Inquadratura e composizione Con il termine composizione fotografica si intende l’insieme delle decisioni prese dal fotografo al momento dello scatto, nei riguardi della scelta del soggetto da rappresentare e le sue relazioni con l'ambiente circostante (sfondo). Altre soluzioni possono essere di tipo pratico, come la scelta della posizione da cui effettuare lo scatto (inquadratura, prospettiva), o di tipo tecnico, quali il tempo di esposizione e la messa a fuoco. Solitamente le scelte di tipo pratico influiscono maggiormente sulla composizione dell'immagine, mentre il risultato dal punto di vista qualitativo (bilanciamento corretto del colore o assenza di imperfezioni) si raggiunge grazie alla tecnica. Il fine dell’insieme di queste decisioni è comporre un'immagine che possa trasmettere le sensazioni di quel particolare momento ripreso, coinvolgendo l'osservatore a focalizzare l'attenzione su determinati particolari presenti nella scena. Raggiungere questo obiettivo significa rendere interessante un'immagine, allontanandola dal senso di banalità che si può creare fotografando soggetti comuni senza particolari di spicco. Il soggetto di una foto può essere di volta in volta una persona, un oggetto o un panorama, quindi scegliere il soggetto significa anche dover scegliere il metodo di comporre l'immagine: in genere soggetti differenti richiedono metodi di composizione adeguati, tutto dipende dal messaggio che si vuole trasmettere con lo scatto che andremo ad eseguire. Ottenere una fotografia bilanciata come composizione non è sempre semplice, poiché la quantità di elementi presenti nell’inquadratura può rendere difficile il posizionamento del soggetto in modo che attragga l'attenzione dell’osservatore, molto spesso fugata da particolari secondari o indesiderati. Accade infatti di sovente che in una immagine appaiano elementi in posizioni di disturbo sui quali cade l'occhio, distogliendo la concentrazione dal vero protagonista dello scatto che viene lasciato in secondo piano (tipico esempio è il palo della luce con i suoi fili davanti ad un paesaggio). 10.1 Regola dei terzi La regola dei terzi è un accorgimento compositivo che è utilizzato da secoli in pittura e viene utilizzato anche nella composizione di una fotografia. Dividendo l'immagine in terzi e ponendo il soggetto in uno dei punti di intersezione delle linee immaginarie ottenute, si ritiene che l’immagine risulti più armonica rispetto ad una composizione che pone il soggetto al suo centro. La regola è talmente popolare che alcune fotocamere sono dotate di mirino che riporta una griglia di suddivisione in terzi per aiutare il fotografo nella composizione. Oltre alla corretta rappresentazione del soggetto nella scena, la regola dei terzi viene utilizzata anche per valutare il posizionamento dell'orizzonte nelle fotografie panoramiche, infatti un orizzonte a metà del fotogramma è un effetto che in genere viene poco apprezzato in un’armonica composizione.
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Composizione sulla diagonale L'immagine è divisa diagonalmente in due parti, solitamente una più scura dell'altra per creare equilibrio; la diagonale passa per due punti di interesse. Questo tipo di composizione è una derivazione della regola dei terzi.
Composizione circolare Più adatta alle fotografie paesaggistiche, prevede il posizionamento del soggetto al centro dell'immagine e di altri elementi disposti in modo da accerchiarlo.
Composizione a radianti Viene definito un punto di maggiore interesse da cui si delineano delle traiettorie, verso il resto dell'inquadratura, che conducono a particolari significativi. 10.2 Errori da evitare Le fotografie amatoriali, e non solo quelle, sono vittime di errori molto comuni e frequenti che ne impoveriscono il contenuto espressivo. Correggere questi errori significa migliorare di molto la nostra produzione fotografica. Ciò può essere fatto prestando attenzione ai particolari, con un minimo sforzo. Ecco un elenco degli errori più comuni in fotografia:
Parti mancanti in un ritratto di persona a figura intera Questo fenomeno si verifica quando, nel momento dello scatto, si tende a mettere al centro del mirino la parte del soggetto che riteniamo più importante. Nel caso di un ritratto a figura intera dobbiamo evidenziare il viso. Il risultato di una fotografia in cui la parte bassa dell’inquadratura viene trascurata è, solitamente, il “taglio” dei piedi o delle mani del soggetto, che escono dall’inquadratura. Per risolvere questo inconveniente è importante porre la massima attenzione su tutto il soggetto e, dopo aver messo a fuoco il viso della persona ritratta, comporre l’inquadratura spostandoci verso il basso o laterlamente in modo tale da contenere l’intera figura.
Soggetto al centro Come nel caso del primo errore descritto, molto spesso si tende a collocare il soggetto al centro dell’inquadratura. Nella migliore delle ipotesi si rende solo la fotografia banale e piatta ma, in alcuni casi, si genera un vero e proprio errore che deve essere assolutamente corretto. E’ il caso dei soggetti in movimento: quando si fotografa un soggetto dinamico, come un’automobile, una persona in bicicletta o un individuo che cammina, dobbiamo avere l’accortezza di saper indicare a chi osserverà l’immagine, qual’è la direzione che il nostro soggetto sta percorrendo. Per fare questo é importante che il soggetto sia decentrato rispetto al punto centrale dell’inquadratura e che nel suo moto percorra tutto il fotogramma e non tenda, invece, ad uscirne. Come per tutti gli altri argomenti trattati, anche in questo caso la nostra sensibilità ci potrà suggerire quando, e se é opportuno, contravvenire a questa regola.
Orizzonte pendente Le foto scattate al mare o in situazioni in cui siano presenti elementi geometrici precisi e lineari, necessitano di un’inquadratura attenta in modo tale che i riferimenti con il bordo dell’immagine non presentino linee convergenti. Per fare questo a mano libera occorre attenzione nel controllo della geometria delle linee; quando possibile, è opportuno utilizzare un cavalletto e una bolla da montare sulla slitta porta flash.
Linee cadenti E un fenomeno prospettico evidente soprattutto nelle riprese di architettura, che si manifesta ogni qualvolta fotografiamo con l’asse ottico dell’obiettivo non parallelo a terra. Per eliminare o ridurre 47
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questo errore é necessario retrocedere il più possibile o alzare il punto di ripresa fino ad arrivare ad avere l’obiettivo parallelo al suolo. Non é però sempre possibile spostarsi in modo sufficiente: in questo caso è possibile scegliere di enfatizzare il fenomeno, in modo tale che appaia come una scelta voluta. Per fare questo è necessario porre molta attenzione alle simmetrie geometriche, evitando che il soggetto venga distorto in modo poco gradevole.
Soggetto collocato nella zona sbagliata del fotogramma Come per qualsiasi soggetto posto al centro, anche nei ritratti a persone la situazione é analoga: bisogna creare con l’inquadratura lo spazio per lasciare correre lo sguardo del nostro soggetto. In pratica se la persona ha lo sguardo rivolto verso sinistra, noi lo collocheremo in prossimità della parte destra del fotogramma, e viceversa: questo contribuisce a rendere l’idea che la persona stia osservando un punto ipotetico non presente nell’inquadratura. 10.3 Prima dello scatto La lista che segue può essere considerata come un promemoria per aiutarvi a ricordare tutti gli aspetti tecnici della fotografia da tenere a mente. La fotocamera è un attrezzo sofisticato, con moltissime possibilità di regolazione: seguire questo schema, può aiutarvi a evitare errori banali che possono pregiudicare la qualità dello scatto.
Batteria carica Verificate lo stato di carica della batteria prima di ogni sessione fotografica. Sarebbe un vero peccato, durante un escursione, accorgersi di non poter più fotografare perché si è esaurita l’energia. Nel corredo di un fotografo non deve mai mancare almeno una batteria di riserva.
Dimensione della memory card Assicuratevi di avere lo spazio per i dati sufficiente a disposizione prima di un’escursione fotografica, specialmente se partite per località sperdute, dove acquistare una card potrebbe non essere una cosa banale. Nel corredo di un fotografo non deve mancare almeno una card di riserva di capacità adeguata.
Pulizia Cambiando spesso gli obiettivi, c’è la concreta possibilità che la polvere si depositi sul sensore. Questa creerà macchie e zone scure che compariranno inevitabilmente nelle vostre immagini, specie inquadrando soggetti con tonalità uniforme. Per eseguire la pulizia del sensore rivolgetevi a personale specializzato, il rischio di danneggiarlo irrimediabilmente è molto elevato. Un accorgimento che limita l’ingresso della sporcizia nel box specchio consiste nel tenere la macchina rivolta verso il basso mentre cambiate gli obiettivi: in questo modo è più difficile che il pulviscolo atmosferico si depositi sul sensore.
Sensibilità (ISO) E’ consigliabile utilizzare quella più bassa possibile, in quanto livelli più alti producono maggior “rumore”, ovvero un’indesiderata e ben visibile chiazzatura nelle zone d’ombra o con tonalità uniforme: più basso è il valore ISO impostato, più alta è la qualità finale, naturalmente se le condizioni scatto lo consentono.
Bilanciamento del bianco Se per effettuare l’ultimo scatto avete modificato il bilanciamento del bianco, verificate di essere nelle medesime condizioni di luce. Assicuratevi, almeno, che la fotocamera sia regolata su “auto WB”: nella maggior parte dei casi, produrrà un risultato accettabile.
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Formato del file Assicuratevi che la fotocamera sia regolata per memorizzare i file d’immagine con la più alta qualità possibile. Infatti è del tutto inutile scattare ottime immagini come composizione con una regolazione di qualità bassa, ne uscirebbe un risultato compromesso.
Scelta dell’obiettivo Gli obiettivi, per le loro caratteristiche di geometria ottica, hanno modi di rappresentazione della realtà diversi tra loro e, comunque, diversi dall’occhio umano. Un uso corretto della lunghezza focale scelta per scattare una fotografia può influenzare in modo deciso la percezione di chi la osserva. La focale dell’obiettivo non deve essere utilizzata solamente per avvicinare o allontanare un soggetto dal fotografo, operazione che comunque va compiuta nei limiti del possibile avvicinandosi o allontanandosi fisicamente dal soggetto che vogliamo riprendere, ma può essere utile anche per interpretare la realtà, in base alla nostra sensibilità, con la resa prospettica che più ci appare adeguata allo scatto che stiamo per effettuare.
Il controllo sul diaframma La capacità di controllare l’apertura del diaframma e di conseguenza la profondità di campo, ci permette di ottenere la qualità di sfocato o nitidezza che desideriamo in ogni situazione di ripresa. Questo permette di creare infiniti modi per mettere in risalto, o al contrario confondere, il soggetto principale con l’ambiente che lo circonda. Le infinite sfumature che si possono generare nell’immagine, rende la profondità di campo il parametro più creativo che la fotocamera mette a disposizione del fotografo.
Il controllo sui tempi di scatto Utilizzando dei tempi di scatto non adeguati alla situazione di ripresa, si corre il rischio di generare un errore al quale non c’é rimedio: il mosso. Per evitare il mosso è necessario utilizzare sempre un tempo di otturazione abbastanza rapido da congelare il movimento del soggetto che stiamo riprendendo, cosi come i nostri movimenti. A seconda della lunghezza focale dell’ottica che stiamo usando, della velocità di spostamento del soggetto (o della parte più veloce di esso) e della distanza tra noi ed il soggetto in movimento dobbiamo, con l’esperienza, capire quale sarà la velocità di otturazione minima da utilizzare per non compromettere lo scatto ottenuto. Per quanto riguarda la lunghezza focale esiste una formula che ci aiuta a decidere quale tempo dobbiamo come minimo utilizzare: S=1/mm, ovvero la lunghezza focale dell’obiettivo ci obbliga ad utilizzare un tempo che sia almeno pari all’inverso della lunghezza focale, ad esempio se usiamo un teleobiettivo di 200mm di focale, dovremmo usare un tempo di otturazione di almeno 1/200 di secondo. Ma non siamo solo noi a generare mosso con le vibrazioni ed i movimenti del nostro corpo: anche i soggetti che vogliamo ritrarre possono essere in movimento. Sempre grazie all’esperienza, è possibile stimare quale velocità di otturazione sarà necessaria per congelare il movimento del nostro soggetto. Va comunque sottolineato che non è necessario fare un’assidua lotta al mosso, anzi: immagini che contengono volutamente del mosso esprimono dinamismo e possono essere molto più interessanti di altre totalmente congelate, basta saperle realizzare nel modo corretto.
Il punto di ripresa Variare il punto di ripresa durante l’esecuzione di uno scatto fotografico é molto importante. Non fermatevi alla prima versione di un’inquadratura, prima di scattare la vostra fotografia definitiva, verificate punti alternativi di ripresa, sino ad individuare il migliore per rappresentare l’idea che avete in mente. Esistono anche delle situazioni in cui siamo obbligati a scegliere un determinato punto di ripresa. Ad esempio, quando fotografiamo ritratti, dobbiamo metterci alla stessa altezza del soggetto che stiamo per ritrarre, altrimenti si corre il rischio di deformare in modo poco gradevole il nostro soggetto. 49
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11.0 I generi fotografici
Fotografia di ritratto Un ritratto non è necessariamente uno scatto che rappresenti solo la parte superiore del tronco (capo e spalle), tipo foto tessera. Può essere anche un primo piano estremo di una bella ragazza o uno scatto più ampio di una persona intenta nel proprio lavoro. I ritratti possono avere qualsiasi forma e dimensione, ma la cosa più importante da ricordare è che le persone coinvolte nel ritratto sono due : il soggetto e il fotografo. Assicuratevi di stabilire un buon rapporto tra voi ed il soggetto da fotografare. Una migliore collaborazione fra le due parti porterà sicuramente ad un risultato migliore. Possiamo dividere i ritratti i tre tipologie: • ritratti del volto o primi piani • ritratti a figura intera • ritratti contestualizzati I ritratti in primo piano sono immagini nelle quali il volto del soggetto occupa gran parte del fotogramma, con la presenza di un minimo sfondo o addirittura senza di esso. Per ottenere un buon risultato in un ritratto a figura intera bisogna prestare maggiore attenzione allo sfondo. Uno sfondo eccessivamente affollato o molto ricco di particolari può distrarre l’osservatore del soggetto. Viceversa, un ritratto inserito in un ambiente più ampio, in cui la persona costituisce solo una parte dell’immagine, risulta particolarmente utile quando si vuole contestualizzare meglio il soggetto. In questo caso lo sfondo è importante quanto il soggetto perché occupa buona parte della scena. Alcuni fotografi utilizzano un obiettivo di tipo grandangolare per questo genere di ritratti, in quanto consente di avvicinarsi abbastanza al soggetto principale, pur riuscendo a comprendere una porzione di sfondo considerevole. I ritratti possono essere effettuati sia all’aperto che al chiuso (ambiente generico o in sala di posa). Anche nella fotografia di ritratto la profondità di campo è un parametro fondamentale, da gestire accuratamente. Al contrario del paesaggio, in cui tutto deve essere a fuoco, nel ritratto solitamente si tende a separare il soggetto dallo sfondo per metterlo più in evidenza. Per ottenere questo, una delle tecniche più utilizzate consiste nel regolare la profondità di campo in modo tale da sfocare tutto quello che si vede nell’inquadratura al di fuori del soggetto, quindi diaframmi aperti il più possibile e lunghezza focale prossima al medio tele. E’ anche possibile dosare gradualmente l’intensità della sfocatura chiudendo leggermente il diaframma, in modo da ottenere uno sfondo offuscato, riconoscibile, anche se non nitido. Le fotografie di ritratto non devono essere mai scattate con il soggetto a favore di luce, ma sempre con luce laterale o contro luce o addirittura all’ombra. Il sole che incide su un viso crea infatti una serie di inestetismi che rovinano la naturalezza del soggetto, come ad esempio le ombre sugli occhi e sul naso, l’espressione del viso e degli occhi “tirata" ed innaturale, ecc. Per compensare il grande contrasto di luce tra soggetto in ombra e sfondo molto illuminato e necessario usare il flash. Per ottenere buoni ritratti le focali migliori sono i medio-tele (85-135 mm). Le altre focali possono essere utilizzate sporadicamente per ottenere degli effetti particolari in quanto tendono a deformare la resa prospettica del soggetto ritratto. Per quanto riguarda le pellicole, esistono tipologie studiate appositamente per il ritratto caratterizzate da sensibilità media (160/200 iso), ma ogni tipo di pellicola può andare bene, scegliendo sempre le medie sensibilità. Il flash è fondamentale per compensare i contrasti di luce nei ritratti effettuati contro luce. Nell’utilizzo di questo accessorio, è necessario prestare attenzione a rimanere nel raggio di copertura del flash, la cui potenza è da calibrare di conseguenza. Per ammorbidire l’immagine potrebbe essere utile un filtro diffusore; una calza a rete o altri materiali semitrasparenti applicati sull’obiettivo possono andare comunque bene (alitare sull’obiettivo appena prima di scattare e una prassi diffusa per creare un effetto flou). La lettura esposimetrica migliore è la “media a prevalenza centrale” ma anche le altre possono essere utilizzate con successo, dipende dalle situazioni. Con l’uso del flash è meglio non operare in spot. Le modalità di scatto da utilizzare sono preferibilmente A o M. Se usiamo il flash operiamo tranquillamente in A. Un altro fattore da considerare attentamente è il punto di ripresa: assicurarsi di essere sempre all’altezza dell’ombelico de 50
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soggetto da ritrarre o comunque poco al di sotto dei sui occhi. Evitare di fotografare dall’alto o dal basso, cosi come con obiettivi grandangolari, se non vogliamo avere deformazioni del corpo o del viso del soggetto. Mai fotografare da troppo vicino, mentre nel rispetto della regola del punto di ripresa, specialmente con animali e bambini, occorre sempre abbssarsi ed essere all’altezza dello sguardo del soggetto: tra una foto scattata ad un bambino dall’alto e una eseguita alla sua altezza c’e una grandissima differenza di resa, dunque con un piccolo sforzo possiamo migliorare sensibilmente questo genere di fotografie.
Fotografia d’azione e sportiva Con fotografia d’azione si intende qualunque immagine contenente un soggetto in un’espressione di dinamismo. Possono essere animali o persone, cosi come oggetti o veicoli (automobili, aeroplani, ecc.), ma anche situazioni in cui siamo noi ad essere in movimento rispetto al soggetto che stiamo fotografando come ad esempio se fotografiamo dall’automobile, da una barca, da un aereo, etc. Poiché i soggetti sono in movimento e dobbiamo cogliere l’attimo per catturare i momenti più significativi di tale movimento, la prontezza di riflessi é fondamentale. Questo è il regno dell’automatismo: si useranno tutti gli aiuti che la nostra fotocamera è in grado di fornirci e ciò ci permetterà di porre maggiore attenzione all’inquadratura senza essere distratti dalle regolazioni. E’ utile ricordare che il mosso in questo tipo di fotografia non é da disdegnare anzi, permette di realizzare fotografie di grande suggestione e con effetti molto pittorici; certo occorre una buona dose di esperienza per ottenere dei risultati apprezzabili, in modo tale che l’immagine rappresenti un mosso artistico e non solo uno scatto venuto male. Una tecnica molto utilizzata in questo contesto di fotografia é il panning. Questo genere di fotografia, che suscita un forte senso di velocità e dinamismo, consiste nell’inseguimento di un soggetto in rapido spostamento rispetto a noi utilizzando dei tempi di scatto abbastanza lenti (generalmente 1/50s o anche meno), in modo che il soggetto appaia il più possibile nitido nella fotografia, mentre tutto lo sfondo risulti uniformemente mosso. Anche in questo caso sono necessarie diverse prove prima di ottenere dei risultati soddisfacenti. Per il panning possono essere molto utili gli obiettivi stabilizzati, che evitano il mosso accidentale introdotto dal fotografo. Per quanto riguarda la lunghezza focale, solitamente si tende ad utilizzare dei teleobiettivi per allontanarsi dai soggetti beneficiando di quell’effetto di schiacciamento prospettico che, nella maggior parte dei casi, giova a questo tipo di immagine, anche se è possibile utilizzare qualunque obiettivo abbiamo disponibile. Le pellicole da utilizzare, in caso di analogico, sono quelle con sensibilità più bassa possibile, considerando però che, normalmente, per riuscire a congelare i movimenti nelle foto d’azione è necessario usare dei tempi d’otturazione molto brevi (circa 1/500s), per cui una sensibilità di riferimento corretta potrebbe essere 400 ISO. E’ preferibile lavorare a mano libera e non usare il cavalletto, che sarebbe un ostacolo negli spostamenti. Solo nel caso di lunghi e pesanti teleobiettivi e necessario l’uso del monopiede che risulta invece del tutto superfluo per di zoom medio-tele come il 70/200 o 70/300. La lettura esposimetrica migliore da utilizzare è la “media a prevalenza centrale” mentre per quanto riguarda i modi di esposizione, l’ideale è la priorità di tempi (S), in modo tale da poter controllare a piacimento questo parametro.
Fotografia notturna La fotografia notturna é affascinante e può dare dei risultati molto suggestivi, anche se in realtà non è affatto facile in quanto, in piena notte, le immagini risultano povere e ammantate di nero, tranne i soggetti illuminati, solitamente male, dalle luci artificiali. Meglio sarebbe fotografare all’imbrunire, quando la luce ambiente e quella artificiale si fondono con grande equilibrio. E’ possibile utilizzare qualsiasi tipo di obiettivo, che sia il più luminoso possibile, infatti le condizioni di illuminazione non ottimali mettono in crisi le ottiche e ne evidenziano i difetti: gli zoom economici, di bassa qualità e generalmente poco luminosi, dimostrano tutti i loro limiti in queste situazioni. Il cavalletto è quasi sempre necessario, in quanto di notte è quasi impossibile fotografare a mano libera in ambienti aperti, (a meno di trovarsi in luoghi con forte illuminazione artificiale) di 51
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conseguenza non serve utilizzare alte sensibilità ISO. Meglio utilizzare sensibilità medie, che consentono maggiore definizione sulle sfumature colore e hanno grana/rumore contenuti. E importante prestare attenzione quando si utilizzano le fotocamere digitali perché tempi lunghi di esposizione e alte sensibilità creano elevata rumorosità termica nell’immagine, almeno allo stato attuale dello sviluppo della tecnologia. Accessorio fondamentale , oltre al cavalletto, è lo scatto flessibile o a distanza, ma non tutte le fotocamere hanno la possibilità di utilizzarlo. Lo scatto flessibile ha lo scopo di evitare il micromosso generato dalle vibrazioni indotte nel premere il pulsante di scatto. E’ possibile ovviare in parte a questo inconveniente utilizzando l’autoscatto. La lettura esposimetrica da utilizzare preferibilmente è la “spot”: una lettura media darebbe risultati disastrosi, perché ingannata dal nero che circonda il soggetto stesso. Il modo di esposizione da utilizzare è sempre ed assolutamente il manuale (M), senza possibilità di deroghe. Per fotografare con piena soddisfazione all’imbrunire occorre aspettare il momento giusto ed essere pronti ad effettuare lo scatto, in quanto la finestra temporale a nostra disposizione è limitata a circa 15 minuti. E’ necessario preparasi per tempo, con attrezzatura pronta e fotocamera corredata dal giusto obiettivo, poi si misura frequentemente l’esposizione aspettando fino a quando la luminosità del cielo non è pari a quella dei soggetti illuminati artificialmente: quando il livello di luminosità è perfettamente equilibrato, è il momento di scattare.
Fotografia naturalistica La fotografia naturalistica è dedicata alla rappresentazione dell’ambiente naturale che ci circonda, inteso come flora, fauna e paesaggi (mari, monti, etc.). Generalmente i fotografi naturalisti in senso stretto sono impegnati in lavori di documentazione e salvaguardia, mentre sempre più si vanno diffondendo fotoamatori che praticano la cosiddetta “caccia fotografica”, attività che comporta l’osservazione e il reportage di fauna in ambienti naturali o aree protette a scopo personale o, a volte, anche commerciale. In genere la fotografia faunistica è un’attività che richiede calma e spirito di osservazione, lunghi appostamenti e mimetizzazione, documentazione sulle specie e loro abitudini. Al fotografo che si dedica a questa attività sono in genere necessarie le tecniche viste per gli altri generi fotografici, in modo particolare per i soggetti molto dinamici, mentre le valutazioni sui modi di esposizione e parametri da utilizzare sono demandate alla singola sessione fotografica, che può essere di volta in volta in piena luce, all’ombra, in un bosco o al coperto, con la necessità di adattare le reazioni al contesto nel quale ci si trova. Esposizione, tempi di scatto, diaframma, valore ISO vanno dunque scelti in fase di approccio e per questo è necessaria una buona esperienza sul campo prima di poter raggiungere risultati apprezzabili. Generalmente la fotografia naturalistica di fauna è il regno delle focali più lunghe, con impiego di teleobiettivi spinti da 300/400/500mm che consentono di immortalare a distanza di sicurezza gli esemplari più elusivi o posti in ambienti difficilmente raggiungibili. Tali attrezzature, molto costose, dispongono di lenti nitide e luminose per consentire al fotografo l’utilizzo di tempi veloci e la raccolta di tutta la luce disponibile. Esporre in condizioni critiche può rivelarsi impegnativo, specie in presenza di zone d’ombra e luce alternate o con vegetazione molto fitta, perciò la modalità consigliata è la spot sul soggetto. Da curare attentamente è anche la messa a fuoco, in quanto in ambiente naturale può risultare difficoltoso ottenere la corretta nitidezza per la presenza di elementi di disturbo come foglie, piante o altro che possono interferire con il soggetto. Se ci si trova a dover riprendere scene dinamiche e la luminosità non ci permette tempi di scatto adeguati, è possibile utilizzare la tecnica del panning, per fotografie suggestive e diverse dal consueto. Il paesaggio. Per paesaggio si intende qualunque fotografia naturalistica che riprenda una scena del mondo che ci circonda, non artificialmente costruita. In questa situazione, solitamente le persone sono un elemento non importante nell’immagine. Generalmente le immagini di paesaggio vivono, oltre che sulla bellezza dei luoghi, anche sulle suggestioni date dal modo in cui la luce cade sul soggetto. Quindi, per rendere meno banale un paesaggio molto rappresentato o non dotato di particolari attrattive, bisogna saper scegliere il momento della giornata giusto, il punto di ripresa più efficace e, magari, saper aspettare condizioni meteorologiche particolarmente favorevoli, come 52
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nebbia, neve, arcobaleni, tramonti, nuvole scenografiche, temporali, ecc. Se saremo pazienti in questa ricerca, l’ambiente e le sue condizioni saranno una componente fondamentale della riuscita della fotografia. Generalmente, si pensa che solo con obiettivi grandangolari si possano scattare buone immagini di paesaggio: in realtà ogni tipo di obiettivo, se usato nel giusto contesto, fornisce ottimi risultati, dipende da quali particolari vogliamo far emergere nella nostra immagine. Nel caso in cui si scatti in analogico è meglio utilizzare sempre pellicole di bassa sensibilità e possibilmente in diapositiva. Per evitare il rischio di mosso, di orizzonti pendenti e per porre più cura nell’inquadratura, è altamente consigliato l’utilizzo di un solido treppiede ben posizionato, che fornisce un supporto stabile anche in condizioni atmosferiche disagevoli per la presenza di vento o pioggia. L’esposizione può essere presa con tutti i metodi indifferentemente, anche se è preferibile utilizzare la lettura “spot” su parti a media luminosità della scena, viceversa è possibile puntare l’obiettivo a terra per isolare la lettura dal cielo molto luminoso, che potrebbe ingannare l’esposimetro e scurire la foto (questa operazione va fatta in manuale). La profondità di campo nel paesaggio è il parametro fondamentale da considerare: una rappresentazione di paesaggio deve avere sempre tutto il campo disponibile a fuoco, quindi dovremo chiudere il diaframma il più possibile. Utilizziamo pellicole di ottima qualità poiché i paesaggi vivono di sfumature di colore e di luce che le pellicole standard non sono in grado di riportare fedelmente. Il grosso rischio è, quindi, quello di rimanere delusi dall’immagine ottenuta, imputando le cause alla nostra imperizia invece che alla scarsa qualità della pellicola. I paesaggi sono le fotografie che più mettono in imbarazzo i sistemi digitali, non ancora in grado di dare quel senso di tridimensionalità e profondità dei colori alle immagini se confrontate con quelle scattate in pellicola. Esistono sul mercato svariati accessori dedicati alla fotografia di paesaggio: in particolare possono essere fondamentali, per equilibrare le diverse luminosità della scena, i filtri polarizzatori (che aiutano a contenere i riflessi sulle superfici) e i filtri ND (neutral density), disponibili in diverse gradazioni e sfumature, spesso utilizzati per scurire il cielo rispetto alla terraferma, ad evitare sovraesposizioni indesiderate nell’immagine.
La macrofotografia. In fotografia naturalistica, la macrofotografia è un genere che necessita di grande esperienza, nonché di attrezzature appropriate che, come sempre, sono molto costose. La posizione macro dei moderni zoom non ha nulla che vedere con la macrofotografia, in quanto consente riproduzioni nell’ordine del 1:3 o 1:5, raramente si arriva per alcuni a 1:2. Per scattare immagini macro è quasi indispensabile il cavalletto, in quanto si utilizzano solitamente diaframmi molto chiusi e la profondità di campo, a distanze molto ravvicinate, può essere anche di soli pochi millimetri. Per avvicinarsi molto al soggetto e raggiungere il rapporto di riproduzione 1:1, sono necessari obiettivi specifici (definiti macro o micro) caratterizzati da elevata capacità di ingrandimento, distanza di lavoro ridotta e diaframma molto luminoso, che sono più costosi degli obiettivi normali. Le loro caratteristiche ottiche, pur se ottimizzate per la ripresa a distanza ravvicinata, li rendono molto utili anche per certe riprese di ritratto, per la precisione e nitidezza che sono in grado di raggiungere. In macrofotografia si rendono necessarie pellicole a bassa sensibilità, 50/100 ISO al massimo per avere il miglior dettaglio possibile. Accessorio indispensabile è, come detto, il treppiede, mentre molto utili possono rivelarsi il flash (specie se utilizzato staccato dalla fotocamera), tubi di prolunga (che aiutano a distanziarsi dal soggetto mantenendo un ingrandimento elevato), lenti addizionali o moltiplicatori. Questi accessori, applicati ad un obiettivo normale, permettono di avvicinarsi in misura maggiore al soggetto da fotografare. Per quanto riguarda la lettura esposimetrica, nella macrofotografia possiamo avere tutte le situazioni viste un precedenza in funzione di ciò che si fotografa e da come lo si fotografa. Per il modo di esporre vale lo stesso discorso fatto per la lettura esposimetrica, ovvero, possiamo avere tutte le situazioni possibili. A causa dei costi da sostenere per acquistare l’attrezzatura e per la dedizione necessaria per ottenere immagini anche
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solo accettabili, questo genere di fotografia é difficile da eseguire per i fotografi principianti o fotoamatori.
Architettura Le fotografie di architettura sono quelle immagini che ritraggono, monumenti, costruzioni, etc. Queste fotografie possono essere scattate in qualsiasi condizione di luce e meteo per cui sono trasversali ad altri generi fotografici (ad esempio la fotografia notturna). Chi fotografa elementi architettonici deve porre molta attenzione alle linee cadenti che sono in genere da evitare, o al contrario, cercando di riprenderle per renderle il più gradevoli possibile. E’ necessaria una grande pulizia nell’inquadratura, evitando elementi di disturbo in primo piano o sullo sfondo che potrebbero rendere poco piacevole l’immagine finale. Il digitale ci può essere d’aiuto, in questo caso, perché permette di deformare, in post-produzione, l’immagine finale in modo da raddrizzarne le linee: chi possiede una fotocamera digitale è dunque avvantaggiato, anche se il lavoro di ritocco della fotografia non è sempre semplice e veloce. Solitamente si utilizzano obbiettivi grandangolari, che accentuano ancor più le linee cadenti, ma é possibile utilizzare tutte le focali a disposizione, anche teleobiettivi nel caso si vogliano ritrarre dei particolari da isolare dal contesto in cui si trovano. Gli obiettivi ideali per la fotografia di architettura sono i decentrabili che permettono di eliminare, o comunque ridurre considerevolmente, le linee cadenti, ma che sono molto costosi, di uso specialistico e trovano difficilmente applicazione in altri contesti. Per questo genere è meglio utilizzare pellicole di bassa sensibilità, mentre il treppiede e la bolla sono molto utili per curare l’inquadratura e rendere le linee geometriche degli edifici parallele al bordo dell’immagine. Per quanto riguarda la lettura esposimetrica, si potrà lavorare con soddisfazione in valutativa, ma potrebbe essere necessario adottare una modalità diversa della lettura della luce in funzione delle condizioni di illuminazione. Per il modo di esposizione valgono le considerazioni fatte per la lettura esposimetrica e, anche qui, generalizzando, l’automatismo a priorità di diaframmi potrebbe essere la scelta più appropriata. I diaframmi infatti, sono il parametro più importante in quanto ci permette di controllare la profondità di campo, permettendoci di ottenere una corretta nitidezza su tutto il campo inquadrato. Si possono ottenere da subito buoni risultati ponendo attenzione alle simmetrie geometriche della scena, mentre è possibile re-interpretare le fotografie di architettura in chiave artistica, trasgredendo volontariamente alle regole e agli equilibri formali sopra menzionati.
Condizioni di luce particolari:alba e tramonto In qualsiasi genere ci si voglia cimentare, generalmente il momento della giornata più suggestivo per la maggior parte dei fotografi è quello che corrisponde alle prime luci dell’alba o al calare del sole. Questo particolare momento può però rivelarsi ricco di delusioni, in quanto e abbastanza difficile riprodurre fedelmente le sfumature di colori che si vedono ad occhio nudo. Il digitale, soprattutto, è fortemente svantaggiato rispetto alla pellicola perché meno fedele nell’interpretazione delle atmosfere e delle varie gradazioni di colore, in quanto denota una restrizione nella gamma dinamica riproducibile. Qualunque obiettivo va bene, la scelta dipende dal tipo di inquadratura che vogliamo ottenere e dal contesto nel quale ci troviamo. Le pellicole a bassa sensibilità e la diapositiva sono la scelta migliore per questo tipo di fotografia, mentre la resa dei colori e delle luci con l’utilizzo della pellicola negativa è demandata completamente al laboratorio, il quale effettuerà le proprie scelte in fase di sviluppo e stampa. Con questi due tipi di pellicola, stampate da chi non ha vissuto la situazione da noi fotografata, succede spesso che le stampe possono risultare molto diverse rispetto alle nostre aspettative. Al tramonto la luce è poca, quindi un treppiede è sempre utile. La lettura esposimetrica ottimale è la spot, puntando sulla zona del cielo che ci interessa maggiormente ma anche una media ponderata sempre sul cielo può dare ottimi risultati. Il modo di esposizione migliore é il manuale, dovendo orientare l’inquadratura verso il cielo ed escludere il terreno, solitamente molto meno illuminato o quasi nero e che, per questo, rischia di rendere la fotografia sovraesposta. Bisogna prestare attenzione perchè durante il 54
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tramonto la luce cambia in continuazione ed è necessario controllare continuamente l’esposizione, soprattutto un attimo prima di effettuare lo scatto. Per essere sicuri di portare a casa almeno una buona immagine, sarebbe opportuno utilizzare il bracketing: è meglio utilizzare tre fotogrammi ed avere una foto che ci soddisfa appieno, piuttosto che restare col rammarico di avere avuto la possibilità di immortalare un momento irripetibile con una fotografia poco significativa. 11.0 Dopo lo scatto Dopo aver eseguito i nostri scatti, dobbiamo decidere come usufruirne. La maggior parte delle persone porterà il rullino a far sviluppare (se avete scattato in analogico) o la memory card (se avete scattato in digitale) in un laboratorio fotografico il quale, dopo poco tempo, vi fornirà delle stampe; sarete così in grado di vedere il risultato del vostro lavoro. Comportandoci in questo modo demandiamo completamente al laboratorio la qualità dello scatto il quale, nella maggioranza dei casi, si limiterà a stampare senza apportare alcuna modifica al materiale da voi consegnato. Potrà accadere che la fotografia presenti evidenti difetti di esposizione oppure che contenga elementi estranei che stonano con l’ argomento della fotografia o ancora che presenti il banalissimo effetto “occhi rossi” prodotto dal flash. Difetti di questo tipo possono deturpare una fotografia che potenzialmente potrebbe essere perfetta. Da queste e altre necessità è nata una serie di procedimenti che portano alla modifica di una fotografia, a scopo di migliorarne l'estetica, modificare il soggetto, eliminare o aggiungere particolari. I procedimenti, le metodologie, i risultati e le abilità in gioco variano molto se si ha a che fare con un supporto digitale o con un supporto analogico. Gli appassionati di fotografia analogica che intendono intervenire sui propri scatti con elaborazioni successive devono necessariamente predisporre una camera oscura domestica. Per fare ciò bisognerà attrezzare un locale con vaschette, soluzioni di rivelazione e sviluppo, bottiglie contenenti le soluzioni, un ingranditore per la stampa e predisporre un perfetto oscuramento della stanza per non interferire con luce spuria sulle immagini prodotte (si utilizza luce artificiale in attinica rossa, gialla o verde). Una volta attrezzato il locale si dovrà prendere confidenza con un insieme di tecniche utilizzate per migliorare le fotografie, che implicano notevoli doti artistiche e possono prevedere il rimodellamento delle forme e dei colori. Il fotoritocco analogico utilizza procedimenti chimici sia per esaltare e rendere più brillanti i colori, sia per bilanciare il contrasto e la brillantezza della fotografia: è inutile ricordare che si tratta di un sistema estremamente macchinoso, ma che conserva tuttora un fascino innegabile. Le possibilità offerte da una camera oscura casalinga non sono nulla in confronto a quelle offerte da un programma di editing grafico, per chi scatta le proprie fotografie in digitale. Ormai sono moltissimi i fotografi professionisti che utilizzano il digitale per migliorare le proprie immagini. Se un tempo, infatti si faceva largo uso di filtri ottici applicati agli obiettivi delle macchine fotografiche, o si ricorreva a particolari tipi di sviluppo delle immagini per raggiungere risultati particolari, adesso capita sempre più spesso che si utilizzino software di post produzione digitale per creare effetti che un tempo erano costosissimi e molto complicati da realizzare. Uno dei programmi di editing più conosciuti sul mercato è Adobe Photoshop, ormai divenuto uno standard nell'ambiente. I software liberi più usati e gratuiti sono “The GIMP” e Picnic. Non è obiettivo di questo corso approfondire ulteriormente l’argomento, che sarà oggetto di un corso specifico.
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