Anteprima - Tecnologia farmaceutica

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A cura di Paolo Caliceti Tecnologia farmaceutica

Indice generale

2.3.1 Solubilità dei farmaci 33

2.3.2Capacità di superare una membrana lipidica 33

2.3.3 Regola di Lipinsky 33

2.3.4 Correlazioni in vitro/in vivo 33

CAPITOLO1

1.3.2 Farmacopea ufficiale (FU) della Repubblica Italiana 6

1.3.3 Farmacopea degli Stati Uniti (USP)

1.5.3

CAPITOLO2

Biofarmaceutica e farmacocinetica 11

2.1 La farmacocinetica e il sistema LADME 11

2.1.1 Lo studio farmacocinetico 13

2.1.2 Parametri farmacocinetici 13

2.1.3 Analisi non compartimentali 14

2.1.4 Analisi compartimentali 15

Box 2.1 • Calcolo di AUC con il metodo dei trapezi 15

Box 2.2 • Calcolo del tempo di emivita plasmatica t1/2 e dell’area sotto la curva (AUC) 16

Box 2.3 • Calcolo di A, B, α e β dell’equazione 2.9 18

Box 2.4 • Calcolo dei valori dell’equazione 2.20 19

2.1.5 Assorbimento 21

Box 2.5 •Ripartizione secondo pH per un farmaco elettrolita debole tra il fluido gastrico e il sangue 24

2.2 Biodisponibilità e bioequivalenza 25

2.2.1 Biodisponibilità 25

2.2.2 Bioequivalenza 28

2.3Il sistema di classificazione biofarmaceutica (BCS) 32

2.4 La via orale 34

2.4.1Fattori fisiologici che influenzano l’assorbimento gastrointestinale 35

2.4.2 Influenza della forma farmaceutica 41

2.5Metodi per valutare l’assorbimento gastrointestinale dei farmaci 44

Box 2.6 • Metodi per la valutazione della permeabilità 45

CAPITOLO3

Biofarmaceutica e rilascio di farmaci 50

3.1 Principi generali della diffusione 50

3.2 Solubilità e dissoluzione 51

3.2.1 La soluzione 51

3.2.2Solubilità 51

3.2.3 Dissoluzione 54

3.2.4 Velocità di dissoluzione 54

3.2.5Parametri che influenzano la velocità di dissoluzione di un solido 57

Box 3.1 • Altre elaborazioni delle equazioni di dissoluzione 57

3.3Rilascio dei farmaci per diffusione attraverso una matrice 60

3.3.1 Diffusibilità in matrici polimeriche 60

3.3.2Diffusione in una matrice polimerica in stato stazionario 61

3.3.3 Diffusione libera o in stato non stazionario 63

Box 3.2 • Correlazione tra la prima e la seconda legge di Fick 64

3.3.4 Diffusione in stato pseudo-stazionario 65

Box 3.3 • Elaborazione dell’equazione di Higuchi 66

Box 3.4 • Elaborazione della porosità e tortuosità 67

3.3.5Sistemi di rilascio a matrice polimerica rigonfiabile 67

3.4Sistemi di rilascio dei farmaci controllati dalla pressione osmotica 68

3.4.1 Pompa osmotica elementare 68

Box 3.5 • Rilascio da pompe osmotiche 69

3.4.2 Pompa osmotica push-pull 70

3.4.3 Pompa osmotica per uso sperimentale 70

CAPITOLO4

Proprietà meccaniche dei materiali

4.1Comportamento alla sollecitazione statica

4.1.1 Sforzo e deformazione (stress-strain )

4.1.2 Durezza

4.1.3Comportamento alla sollecitazione dinamica

4.2 Reologia dei fluidi

4.2.1

4.2.2

4.2.3

4.2.4Viscoelasticità

4.2.5 Numero di Deborah

4.2.6 Fluidi biologici

4.2.7 Modelli reologici

4.3 Reometria

4.3.1 Sistemi di misura

4.3.2Viscosimetrocapillare

4.3.3

4.3.4

4.3.5

4.3.6

4.3.7Reologia nella progettazione e allestimento di forme farmaceutiche 93

CAPITOLO5

5.1 Proprietà dello stato solido 95

5.1.1 Lo stato solido

5.1.2Effetto dello stato solido nello sviluppo dei medicinali

5.1.3 Analisi termica dello stato solido 100

5.1.4 Analisi spettrometriche dello stato solido 104

5.2 Polveri farmaceutiche 104

5.2.1 Forma delle polveri 105

5.2.2Dimensione 105

Box5.1•Esempiodideterminazione del diametro medio pesato sulla base di numero, volume e peso delle particelle 108

5.2.3Metodi per la determinazione della dimensione di una polvere 109

Box 5.2 • Esempio di determinazione del diametro medio di una popolazione di particelle ottenuta mediante il metodo dei setacci 113

5.3 Proprietà derivate 115

5.3.1Areasuperficialespecifica 115

5.3.2 Porosità 116

5.3.3 Densità dei solidi

5.3.4 Proprietà di scorrimento di una polvere

CAPITOLO6

6.1Termodinamicadeisistemidispersi

6.1.1 Tensione superficiale e interfacciale

6.1.2 Proprietà elettriche delle interfacce

6.1.3Energia totale di interazione e teoria di Derjaguin-Landau-Verwey-Overbeek (DLVO)

6.1.4 Fenomeni elettrocinetici

6.1.5 Agenti di superficie

6.1.6 Proprietà cinetiche dei sistemi dispersi

6.2 Proprietà ottiche dei sistemi dispersi

6.3 Dispersioni colloidali

Colloidi liofobi

6.3.3 Colloidi di associazione

6.4.3

6.4.4Metodi

6.4.5 Applicazioni farmaceutiche delle emulsioni

6.5.1

6.5.2 Preparazione delle sospensioni

6.5.3Applicazioni farmaceutiche dellesospensioni

6.6 Metodi analitici di controllo qualità

CAPITOLO7

7.1 Schema del processo di sviluppo

7.2International Conference Harmonisation (ICH)

7.2.1International

7.3.1 Elementi essenziali del QbD

7.3.2 Progettazione e comprensione del processo

7.3.3 Strategia di controllo

7.3.4Capacità di processo e miglioramento continuo

7.4 Strumenti del QbD farmaceutico

7.4.1 Conoscenze pregresse

7.4.2 Valutazione del rischio 165

7.4.3 ProcessAnalyticalTechnology (PAT) 166

7.4.4Sviluppo farmaceutico tramite Design of Experiments (DoE) 167

7.4.5 QualityRiskManagement (QRM) 169

7.4.6 Scale-up & technology transfer 171

CAPITOLO8

Eccipienti: aspetti generali 173

8.1 Gli eccipienti e la moderna farmacopea 173

8.2 Aspetti generali degli eccipienti 173

8.2.1 Requisiti di un eccipiente 173

8.2.2Sicurezza e aspetti regolatori degli eccipienti 175

8.2.3 Classificazione degli eccipienti 178

8.3 Acqua e liquidi idrofili 178

8.3.1 Acqua per uso farmaceutico 178

8.3.2 Liquidi idrofili 181

8.4 Eccipienti lipofili 181

8.4.1 Eccipienti liquidi 181

8.4.2 Eccipienti solidi o semisolidi 181

8.5 Eccipienti inorganici 182

8.5.1 Riempitivi 182

8.5.2Lubrificanti 183

8.5.3Strutturanti 183

8.5.4Opacizzanti 183

8.6 Zuccheri e polioli 183

8.6.1Zuccheri 183

8.6.2Polioli 184

8.7 Polimeri 185

8.7.1Caratteristichegenerali 185

8.7.2 Polisaccaridi 188

8.7.3 Polietileni 192

8.7.4 Polimeri vinilici 193

8.7.5 Polimeri acrilici 195

8.7.6Poliuretani 196

8.7.7 Poliesteri, poliortoesteri e poliuretani 197

8.7.8 Siliconi 197

8.7.9 Poliammidi 199

8.8 Tensioattivi

8.8.1 Tensioattivi anionici

8.8.2 Tensioattivi cationici

8.8.3Tensioattivianfoteri

8.8.4 Tensioattivi neutri

8.9 Propellenti

8.9.1

8.9.2

8.10.1Aromatizzanti

8.11 Antimicrobici

9.1 Macinazione

9.1.1 Meccanismi nel processo di macinazione

9.1.2Proprietà dei materiali che influenzano lamacinazione

9.1.3Energia coinvolta nel processo di macinazione

9.1.4 Meccanismi della macinazione 212

9.1.5 Apparecchiature per la macinazione 212

9.2 Miscelazione

9.2.1 Miscelazione di polveri

9.2.2Forze e meccanismi di miscelazione di polveri 217

9.2.3 Indice di miscelazione

9.1 • Campione significativo

9.2.4 Influenza delle proprietà delle polveri 218

9.2.5 Demiscelazione o segregazione 219

9.2.6Apparecchiature per la miscelazione dellepolveri 219

9.2.7 Determinazione del tempo di miscelazione 220

9.2.8Miscelazione di piccole quantità di polveri in farmacia 221

9.2.9 Miscelazione di liquidi e di semisolidi 221

9.3 Filtrazione 222

9.3.1 Teoria della filtrazione 223

9.3.2 Elementi filtranti 224

9.3.3 Processi di filtrazione 226

9.4 Essiccamento 229

9.4.1 Contenuto di umidità nei solidi 230

9.4.2 Teoria dell’essiccamento 231

9.4.3 Essiccamento di solidi umidi 233

9.4.4 Essiccamento di soluzioni e sospensioni 237

9.5 Liofilizzazione 239 Box 9.2 •Breve storia della tecnologia di liofilizzazione 239

9.5.1Fasepreparatoria 240

9.5.2 Congelamento 242

9.5.3 Essiccamento primario

9.5.4 Essiccamento secondario 244

9.5.5 Applicazioni farmaceutiche 244

Box 9.3 • Focus sui comuni impianti di liofilizzazione presenti nell’industria farmaceutica 245

9.6 Sterilità e sterilizzazione

9.6.1 Processo di sterilizzazione

9.6.2 Resistenza dei microrganismi

9.6.3 Tempo di riduzione decimale o D-value 249

9.6.4 Coefficiente di temperatura o z-value 250

9.6.5 Tempo equivalente o fattore F 251

9.6.6 Stabilità alla sterilizzazione 251

9.6.7 Indicatori di sterilità 252

9.6.8 Sterilizzazione con metodi termici (calore) 253

Box 9.4 • Gestione e controllo dei processi di sterilizzazione 258

9.6.9 Depirogenazione

9.6.10 Sterilizzazione mediante radiazioni 259

9.6.11 Sterilizzazione con metodi chimici 260

9.6.12Sterilizzazione con metodi meccanici: filtrazionesterilizzante 261

9.6.13Confronto tra sterilizzazione terminale e processo asettico 261

CAPITOLO10

10.1 Granulazione

10.1.1 Eccipienti per la granulazione

10.1.2 Fisica della granulazione

10.1.3 Granulazione a secco

10.1.4 Granulazione a umido

10.1.5 Granulazione per fusione 271

Box 10.1 • Confronto tra granulati ottenuti con diverse tecnologie 272

10.1.6 Caratterizzazione e controlli 273

10.2 Produzione di pellets 273

10.2.1 Eccipienti di pellettizzazione 273

10.2.2 Fisica di formazione/ingrossamento 273

10.2.3 Tecniche di pellettizzazione 274

10.3 Produzione di compresse 277

10.3.1 Modalità di produzione di compresse 277

10.3.2 Impianti di produzione di compresse

10.3.3 Fisica della compressione

10.3.4 Difetti delle compresse

10.3.5 Saggi di controllo

10.4Rivestimento delle forme farmaceutiche

10.4.1 Eccipienti di rivestimento

10.4.6 Problematiche nel processo di filmatura

CAPITOLO11

Tecnologie avanzate di produzione

11.1.1 Classificazione delle tecniche di stampa 3D

CAPITOLO12

12.1.1 Eccipienti per le forme farmaceutiche solide

Box 12.1 • Esempio di una formulazione officinale riportata nella FU XII

12.1.2Polveri

12.1.3Granulati

Box 12.2 • Granulato effervescente medicato: calcolo della quantità degli eccipienti in una miscela effervescente 328

Box 12.3 • Esempi di granulati tra le preparazioni officinali nelle monografie delle preparazioni specifiche della FU XII

12.1.4 Pellet

12.1.5Compresse

Box 12.4 • Esempi formulativi di compresse farmaceutiche e funzione degli eccipienti utilizzati

12.1.6Confetti

12.1.7 Pompe osmotiche

12.1.8 Sistemi flottanti

12.1.9 Sistemi cronotropici

12.1.10Capsule

Box 12.5 • Riempimento di capsule rigide con opercolatrice manuale

12.1.11 Forme farmaceutiche orodispersibili 346

12.1.12Pastiglie

12.1.13 Gomme da masticare medicate

12.1.14 Controllo di qualità

12.2 Forme liquide per uso orale 348

Box 12.6 • Veicolazione orale di farmaci in pazienti appartenenti a particolari categorie

12.2.1 Gocce per uso orale

12.2.2 Sciroppi

CAPITOLO13

Forme farmaceutiche dermiche e transdermiche

13.1 Struttura della cute e delle mucose 353

13.1.1Cute

13.1.2 Mucose

13.2 Assorbimento percutaneo dei farmaci 356

13.2.1Cinetiche di permeazione dei farmaci attraverso la cute

13.2.2Fattori che influenzano l’assorbimento percutaneodifarmaci 358

13.2.3 Studio dell’assorbimento dei farmaci 359

13.3Metodi per incrementare la permeazione cutanea dei principi attivi 359

13.3.1 Metodi chimici 359

13.3.2Metodifisici 361

13.4 Formulazioni dermiche 362

13.4.1 Preparazioni solide 362

Box 13.1 • Esempi di formulazioni di polveri per applicazione cutanea 363

13.4.2 Preparazioni liquide 363

Box 13.2 • Esempi di formulazioni di bastoncini 364

Box 13.3 • Esempi di formulazioni di soluzioni 364

Box 13.4 • Esempio di formulazione di una sospensione 364

Box 13.5 • Esempio di formulazione di una emulsione 364

13.4.3Preparazioni semisolide perapplicazione cutanea 365

Box 13.6 • Esempi di formulazioni di unguentiidrofobi 367

Box 13.7 • Esempi di formulazioni di unguenti che emulsionano l’acqua 367

Box 13.8 •Esempi di formulazioni di unguenti idrofili 367

Box 13.9 • Esempi di formulazioni di creme idrofobe 368

Box 13.10 • Esempi di formulazioni di creme idrofile 369

Box 13.11 • Esempi di formulazioni di creme anfifile 370

Box 13.12

• Esempio di formulazione di gel idrofobo 370

Box 13.13• Esempi di formulazioni di gel idroalcolico 371

Box 13.14 • Esempi di formulazioni di paste 371

13.4.4Saggi

13.5 Formulazioni transdermiche

13.5.1Cerottitransdermici

13.5.2 Microaghi

CAPITOLO14

Forme farmaceutiche per via nasale e polmonare

14.1 Anatomia e fisiologia delle vie aeree

14.2Aspetti biofarmaceutici della somministrazione nasale e polmonare

14.3 Somministrazione nasale di farmaci

14.3.1 Somministrazione locale

14.3.2 Somministrazione sistemica

14.3.3Somministrazione diretta al sistema nervoso centrale 380

14.3.4 Vaccinazione nasale 381

14.3.5 Preparazioni nasali: classificazione 383

14.3.6Saggi su prodotti nasali richiesti dalla farmacopea e dalle linee guida EMA 386

14.4Somministrazione polmonare di farmaci 387

14.4.1 Trattamento di patologie locali 387

14.4.2Trattamento sistemico e potenziali applicazioni future

14.4.3 Deposizione polmonare dei farmaci

14.4.4Prodottipolmonari:classificazione

388

389

389

14.4.5Preparazioni destinate a essere vaporizzate 390 14.4.6Saggi su prodotti polmonari richiesti dalla farmacopea e dalle linee guida EMA

CAPITOLO15

396

Forme farmaceutiche per via rettale, vaginale e uretrale 399

15.1 Formulazioni rettali

399

15.1.1Aspetti anatomici e fisiologici della via rettale 399

15.2Formulazioni ed eccipienti per via rettale 400

15.2.1Classificazione e caratteristiche delle formulazioni rettali

15.2.2 Eccipienti per formulazioni rettali

15.2.3 Preparazione delle formulazioni rettali

15.2.4Assorbimento e trasporto dei farmaci attraverso la mucosa rettale

400

401

403

405

Box 15.1 • Esempio con fattore di sostituzione 405

Box 15.2 • Esempi di preparazioni in supposte 406

15.3 Formulazioni vaginali

408

15.3.1 Anatomia e fisiologia della vagina 408

15.3.2 Vagina come via di somministrazione 409

15.3.3 Assorbimento e trasporto dei farmaci 410

15.3.4Classificazione delle formulazioni vaginali, caratteristiche e preparazione 410

15.4Controlli su preparazioni rettali e vaginali 413

Box 15.3 • Esempi di preparazioni vaginali 414

Box 15.4 • Funzionamento dell’apparecchio periltestdi disaggregazione (Ph. Eur.) 414

15.5 Formulazioni uretrali 414

15.5.1 Anatomia e fisiologia dell’uretra 414

15.5.2 Uretra come via di somministrazione 415

15.5.3 Classificazione delle formulazioni uretrali 415

CAPITOLO16

Forme farmaceutiche per via oculare e auricolare 416

16.1 La via oculare 416

16.1.1 Cenni anatomici e fisiologici dell’occhio 416

Box 16.1 • Elenco delle piùcomuni patologie oculari 417

16.1.2Assorbimento ed eliminazione dei farmaci oftalmici: la biodisponibilità oculare 419

16.1.3Patologie oculari comuni e interventi terapeutici 421

16.1.4 Somministrazione oculare topica 421

Box 16.2 • Esempi di formulazioni officinali 423

Box 16.3 • Esempio di calcolo per l’isotonia 424

Box 16.4 • Esempio di formulazione galenica di una pomata oftalmica 427

16.1.5Somministrazione al segmento posteriore dell’occhio 429

16.2La via auricolare (preparazioni otologiche) 430

16.2.1Aspetti anatomici e fisiologici dell’orecchio 430

16.2.2 Patologie dell’orecchio esterno e medio 431

16.2.3Formefarmaceuticheauricolari 431

Box 16.5 • Esempi di formulazioni otologiche galeniche 432

CAPITOLO17

Preparazioni parenterali 434

17.1Aspetti biofarmaceutici delle vie di somministrazione parenterali 434

17.1.1 Via intravenosa 434

17.1.2 Vie extra-vascolari 435

17.1.3 Vie di somministrazione specializzate 437

17.2Classificazione dei preparati parenterali 438

17.2.1ClassificazionesecondolaFarmacopeaeuropea 438 Box 17.1 • Nutrizione artificiale 439

17.2.2Classificazione in base al volume da iniettare (SVP e LVP) 440

17.3Aspetti formulativi delle preparazioni parenterali 440

17.3.1

CAPITOLO18

18.1.1Caratteristiche generali di sistemi microparticellari

Modalità di preparazione

18.1.3Analisibiofarmaceuticadeisistemi microparticellari

18.1.4 Microincapsulazione di cellule

18.1.5Sistemi microparticellari per uso farmaceutico

18.2 Sistemi nanoparticellari

18.2.1Proprietà chimico-fisiche delle nanoparticelle e comportamento in vivo

18.2.2 Nanoparticelle polimeriche

18.2.3 Liposomi

18.2.4 Micelle polimeriche

18.2.5 Sistemi nanoparticellari inorganici

18.2.6 Formulazioni nanoparticellari ibride

18.2.7Formulazioni nanoparticellari a struttura biomimetica

18.2.8Modalità di somministrazione e impiego in terapia di formulazioni nanoparticellari

CAPITOLO19

Farmaci biologici, biotecnologici e medicinali per le terapie avanzate 493

19.1Definizione di farmaco biologico e biotecnologico 493

19.2 Farmaci proteici 495

19.2.1 Storia dei farmaci proteici 495

19.2.2Vie di degradazione/denaturazione e stabilizzazione dei farmaci proteici 495

19.2.3Aspetti generali dello sviluppo formulativo di farmaci proteici 503

19.2.4 Formulazione liquida dei farmaci proteici 504

19.2.5Approcci avanzati di formulazione di farmaci proteici 505

19.3Terapia genica e farmaci a struttura di acidi nucleici 508

19.3.1 Acidi nucleici terapeutici 508

19.3.2Problemi e strategie di formulazione dei farmaci a base di acidi nucleici 513

19.3.3Formulazione di acidi nucleici terapeuticamenteattivi 515

19.3.4 Prodotti medicinali a base di acidi nucleici 528

19.3.5 Genome editing 529

19.4 Vaccini 530

19.4.1 Meccanismi della risposta immunitaria 530

19.4.2 Classificazione dei vaccini 531

19.4.3 Vie di somministrazione 533

19.4.4Produzione industriale, formulazione e conservazione 533

19.5Prodotti medicinali per le terapie avanzate 535

19.5.1 Classificazione 535

19.5.2Cellule staminali, cellule somatiche e tessuti 537

19.5.3 Terapia cellulare somatica 539

19.5.4 Ingegneria tissutale 540

19.5.5Produzione industriale, controlli e autorizzazioni 545

19.5.6 Sviluppo clinico 548

CAPITOLO20

Preparatiottenuti da droghe vegetali 550

20.1Definizione e normativa dei medicinali vegetali 550

20.2 Droghe vegetali (Plantae medicinales) 551

20.2.1 Droghe vegetali essiccate 552

20.2.2 Droghe vegetali fresche 552

20.3Preparazioni da droghe vegetali (Plantae medicinales praeparatae) 552

20.3.1 Piante per tisane (Plantaeadptisanam ) 552

20.3.2 Droghe vegetali polverizzate 553

20.4 Soluzioni estrattive 554

20.4.1 Infusi e decotti 554

20.4.2Preparazioni istantanee per tisane (Praeparationesceleresadptisanam ) 554

20.4.3Estratti vegetali (Plantarummedicinalium extracta ) 554

20.5 Oli essenziali (Aetherolea) 560

20.6 Preparazioni innovative da estratti vegetali 562

CAPITOLO21

Medicinali

omeopatici

565

21.1 Legislazione del settore omeopatico 565

21.1.1 Registrazione dei medicinali omeopatici 566

21.1.2 Etichettatura e foglio illustrativo 566

21.1.3 Regime di dispensazione 567

21.1.4Pubblicità 567

21.2Produzione del medicinale omeopatico 567

21.2.1 Sostanze di partenza 567

21.2.2 Intermedi della preparazione 568

21.2.3Scale di diluizione e dinamizzazione dei rimedi omeopatici 569

21.3Forme farmaceutiche omeopatiche 571

21.3.1 Impregnazione e supporti inerti 571

21.3.2Formefarmaceutiche 571

21.4Controllo qualità nella preparazione dei medicinali omeopatici 572

21.4.1 Test sui materiali di partenza 572

21.4.2 In process control (IPC) 573

21.4.3 Test finale 573

21.5 Bioterapici e isoterapici 573

CAPITOLO22

Radiofarmaci e farmacia nucleare

574

22.1 Storia e definizione dei radiofarmaci 574

Box 22.1 • Articoli del Decreto legislativo 219/2006 relativi a radiofarmaci 574

22.2 Elementi di radiochimica 575

22.2.1 Aspetti fisici delle radiazioni 575

22.2.2 Decadimento radioattivo 575

22.2.3 Interazioni con la materia 576

22.2.4 Effetti biologici e dosimetria 577

22.2.5 Altre definizioni utili 577

22.3Radionuclidi in medicina e radiomarcatura 578

22.3.1 Radionuclidi per la diagnosi e la terapia 578

22.3.2 Principali tecniche di produzione 578

22.3.3 Radiomarcatura di una molecola 580

22.3.4 Marcatura degli elementi del sangue 582

22.4 Radiofarmaci 582

22.4.1 Radiofarmaci per la diagnostica 582

22.4.2 Radiofarmaci per la terapia 586

22.4.3 Radiofarmaci con altri radionuclidi 588

22.5Allestimento dei radiofarmaci in farmacia nucleare 589

22.5.1 Struttura della farmacia nucleare 589

22.5.2Automazione 589

22.5.3 Radioprotezione 590

22.5.4 Tecniche di controllo di qualità 591

22.5.5 QualityAssurance 592

22.5.6Esempio pratico di produzione del [18 F]FDG 592

22.6 Normativa del radiofarmaco 594

CAPITOLO23

Medicinali veterinari 596

23.1Somministrazione dei farmaci veterinari 596

23.2 Via di somministrazione orale 597

23.2.1 Preparazioni farmaceutiche orali 598

23.2.2 Premiscele per alimenti medicati 600

23.2.3 Medicinali per avicoltura e acquacoltura 601

23.3Via di somministrazione intramammaria 602

23.3.1 Preparazioni per uso intramammario 602

23.4 Via di somministrazione cutanea 602

23.4.1 Preparazioni cutanee ad azione locale 603

23.4.2 Preparazioni cutanee ad azione sistemica 604

CAPITOLO24

Confezionamento dei medicinali 605

24.1 Confezionamento primario 605

24.1.1Contenitoriprimari(Farmacopea europea XI, 3.2) 605

24.1.2 Chiusure e guarnizioni 608

24.1.3 Test sul vetro 608

24.1.4 Test sulle materie plastiche 608

24.1.5 Test sull’alluminio e sugli accoppiati 609

24.1.6Elastomero siliconico per chiusure e tubi (Ph. Eur. XI 3.1.9) 609

24.2 Confezionamento secondario 609

24.2.1Etichettaturaecomponenti del confezionamento secondario 609

24.2.2Astuccio 611

24.2.3 Etichetta 611

24.2.4Test su componenti del confezionamento secondario 611

24.3 Processo di confezionamento 612

24.3.1 Confezionamento primario 612

24.3.2 Confezionamento secondario 613

CAPITOLO25

Stabilità dei medicinali 614

25.1Implicazioni dell’instabilità di farmaci e medicinali 614

25.1.1Diminuzione del contenuto di principio attivo 614

25.1.2Incremento nel contenuto di principio attivo 614

25.1.3 Alterazione della biodisponibilità 615

25.1.4 Perdita dell’uniformità del contenuto 615

25.1.5Formazione di impurezze dotate disignificativatossicità 615

25.1.6 Contaminazione microbiologica 615

25.1.7Alterazionedellecaratteristicheorganolettiche 615

25.1.8Modificazione di aspetti funzionalmente rilevanti 615

25.2Processi di degradazione chimica nei medicinali 616

25.2.1Caratteristiche della chimica delle reazioni di degradazione 616

25.2.2Degradazione dei principi attivi ed eccipienti allo stato solido 617

25.2.3Ruolo dell’umidità nella degradazione allo stato solido 618

25.2.4 Degradazioni idrolitiche 619

25.2.5 Degradazioni ossidative 624

25.2.6Reazioni di fotodegradazione non ossidativa 631

25.2.7 Racemizzazione ed epimerizzazione 633

25.2.8 Oligomerizzazione e polimerizzazione 635

25.3Metodiperlostudiodellastabilità in tempo reale e accelerata 636

25.3.1 Studi di stabilità in tempo reale 636

25.3.2 Studi di stabilità accelerata 638

Lerisorsedigitali

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Prefazione

Questolibrohalesueradiciin PrincipidiTecnologia farmaceutica diColombo etal.,untestorivoltoastudentiestudentessediFarmaciaediChimicaeTecnologiafarmaceutiche,lacuiprimaedizioneèstataredatta suiniziativadelConsorzioTefarcoInnovaepubblicata nel2004. Tecnologiafarmaceutica, elaboratosottol’egidadiSITELF(SocietàItalianadiTecnologiaeLegislazioneFarmaceutiche),neereditamoltecaratteristiche maèsostanzialmenteuntestonuovo,profondamente rivistoeaggiornatonellastrutturaeneicontenuti,con maggioriapprofondimenti enuovicapitolidedicatia specificiargomentidellaformulazioneedellosviluppo farmaceutico.

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PaoloCaliceti UniversitàdegliStudidiPadova

Introduzione

Latecnologiafarmaceuticaperlasalutee ilbenessere

Durantelamiaformazionedifarmacista,mièstatoinsegnatochelascienzafarmaceuticaèfondatasutrepilastridiconoscenzachesonolachimicafarmaceutica, lafarmacologiaelatecnicafarmaceutica.Inorigine, latecnicafarmaceuticasioccupavaessenzialmentedi “compounding”,valeadirediformulareeprepararele formefarmaceutiche.Idocentieranoprincipalmente diformazionechimica.Tradiessi,qualcunopiùcurioso, seguendolosviluppodelladisciplinaneiPaesi piùavanzati,hafattounsaltodiconoscenzamostrandochelatecnicafarmaceuticanonerasolomortaio epestello.Lasaluteeilbenesseredell’utilizzatoredel medicinaledipendevanoanchedall’azionecheformulazioneefabbricazionedelpreparatofarmaceutico esercitavanosulladisponibilitàbiologicadelprincipio attivo.

Quindi, laconsapevolezzacheilcontrollodelrilascio delfarmacogovernasseilsuccessodella terapiaha fatto sbocciarelatecnologiafarmaceutica.Oggiquesta disciplinastudialaformulazione,lafabbricazioneindustrialeelaliberazionedelfarmacodalleformefarmaceutiche,sianoessearilascioimmediatoomodificato. Nuovimaterialiavanzati,lipidiciepolimerici,guidano

ilrilasciodipiccoleograndimolecolecreandostrutture micro enanoparticellariperunafarmaciadiprecisione. Biodisponibilitàebioequivalenzasonoleconoscenze chearricchisconolaprofessionedifarmacistasianelle farmaciesianell’industria.

Lostudiodellatecnologiafarmaceuticaharaccolto questeconoscenze.Ilpassodecisivoèstatolosviluppo dellericerchein drugdelivery che, oltreadottimizzare leprestazionidelmedicamento(effectiveness),hanno anchecontribuitoall’attivitàinventivanelmondofarmaceutico,realizzandonuoveformedisomministrazioneerilasciopiùefficacieprecise,equindipiùsicure. Bisognariconoscerecheilsuosviluppoharicevutouna spintadecisivadallacrescitaprepotentedell’analitica farmaceutica e della farmacocinetica.

Lescuoleditecnologiafarmaceuticasonooggiattive intuttelesediuniversitarieitaliane,ciascunaconlepropriecompetenzeespecialitànelpanoramadell’innovazionedeimedicamentiperilrilascioedirezionamento deifarmaci.Questolavoro,checercadiraccoglieree indirizzareleconoscenzefondamentalieapplicatedella tecnologiafarmaceutica,vedeconcompiacimentopersonaleilcontributodituttelesediaccademiche.

PaoloColombo ProfessoreemeritodiTecnologiaFarmaceutica, UniversitàdegliStudidiParma

3 Biofarmaceutica e rilascio di farmaci

La somministrazione di un medicinale ha lo scopo di ripristinare, correggere o modificare le funzioni fisiologiche dell’essere umano o dell’animale, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica. Per raggiungere questo scopo, il medicinale deve essere in grado di fornire il farmaco (principio attivo) al distretto bersaglio (cellula, tessuto od organo) nei tempi, nella quantità e nei modi più appropriati alle specifiche esigenze terapeutiche, attraverso un’adeguata formulazione farmaceutica.

Dopo la somministrazione del medicinale, il tempo e la quantità con cui il farmaco raggiunge il bersaglio farmacologico dipendono dalla modalità con cui viene rilasciato dalla forma farmaceutica e dal suo comportamento farmacocinetico (Capitolo 2).

La modalità e velocità con cui il farmaco viene rilasciato dalla forma farmaceutica dopo la somministrazione dipende dalle proprietà biofarmaceutiche del medicinale.

Come riportato nella Tabella 3.1, esistono diverse modalità con cui una forma farmaceutica può controllare il rilascio del farmaco.

3.1 Principi generali della diffusione

Con il termine diffusione si intende il movimento delle singole molecole di una sostanza (moti browniani) in un mezzo liquido o solido, come un fluido fisiologico o una matrice polimerica. In una soluzione binaria, le molecole del soluto e del solvente si muovono in maniera casuale (random) all’interno del recipiente.

Il trasporto diffusivo è un processo di diffusione determinato dal gradiente di concentrazione delle molecole di una sostanza nel mezzo. Questo fenomeno può essere osservato depositando una goccia di colorante

idrosolubile vicino alla parete di un contenitore pieno d’acqua. Anche in assenza di agitazione, le molecole di colorante si distribuiscono (si diffondono) spontaneamente dalla zona a maggiore concentrazione alla zona a minore concentrazione, fino al raggiungimento di una colorazione omogenea del liquido nel recipiente (Figura 3.1).

Il trasporto diffusivo è un fenomeno rilevante in ambito farmaceutico in quanto è il processo che controlla il rilascio del farmaco da molte forme farmaceutiche attraverso meccanismi passivi, come la dissoluzione o il rilascio da matrici polimeriche. Inoltre, la diffusione rappresenta il processo alla base del trasporto dei principi attivi attraverso le barriere biologiche del nostro organismo durante le fasi di assorbimento, distribuzione ed eliminazione (Capitolo 2). I processi di diffusione sono descritti dalla legge di Fick che, come riportato in seguito, è stata elaborata per essere applicata a sistemi con caratteristiche chimico-fisiche e strutturali diverse.

Figura 3.1 Rappresentazione schematica del processo di trasporto diffusivo.

Tabella 3.1 Classificazione dei diversi meccanismi di controllo del rilascio.

Dissoluzione

• Sistemi per dissoluzione semplice

• Sistemi sensibili al pH

Diffusione attraverso una matrice polimerica

• Sistemi a reservoir o a membrana

• Sistemi matriciali o monolitici

Sistemi attivati dal solvente

• Sistemi controllati dalla pressione osmotica

• Sistemi rigonfiabili

Sistemi degradabili

• Sistemi controllati dalla degradazione della matrice

Sistemi controllati dalla temperatura

• Sistemi controllati dall’idratazione dipendente dalla temperatura

Colorante idrosolubile
Molecole d’acqua
Equilibrio dinamico

3.2 Solubilità e dissoluzione

La dissoluzione del farmaco nei fluidi dell’organismo è un evento essenziale per ottenere l’azione terapeutica. Il processo di dissoluzione è infatti necessario per l’assorbimento del farmaco e per il raggiungimento del sito bersaglio e quindi per la biodisponibilità del medicinale. Il controllo della velocità di dissoluzione del farmaco attraverso un’adeguata formulazione rappresenta un aspetto chiave per sviluppare medicinali efficaci. Pertanto, nello sviluppo farmaceutico è necessario conoscere le caratteristiche di dissoluzione e solubilità del farmaco come tale e nella sua formulazione (medicinale).

3.2.1 La soluzione

La IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry) definisce la dissoluzione come la miscelazione molecolare di due fasi per formare una fase omogenea, cioè la soluzione. Pertanto, una soluzione è un sistema omogeneo formato da almeno due componenti: un solvente, la specie più abbondante, in cui è disperso in forma molecolare il secondo componente, il soluto, la specie meno abbondante. Le soluzioni possono essere distinte in funzione del loro stato fisico in gassose (comunemente indicate come miscele gassose), liquide o solide. Le soluzioni di maggiore interesse in ambito farmaceutico sono quelle liquide, nelle quali un gas, un liquido o un solido è molecolarmente disperso in un liquido.

Le particelle di soluto (molecole, ioni) che compongono le soluzioni hanno generalmente dimensioni dell’ordine degli Ångström (Å, 1 Å = 10 10 m; 1 Å = 0,1 nm), e comunque inferiori a 1 nm, e non sono distinguibili con strumenti di microscopia.

Sebbene in base alla definizione di soluzione il soluto venga definito come tale su base dimensionale (< 1 nm), considerando la lunghezza media dei legami tra gli atomi che formano le molecole, il soluto è da considerarsi come specie ionica o molecolare nel solvente. Ogni molecola o ione di soluto è contornata da molecole di solvente con le quali interagisce attraverso legami non covalenti, come le forze di van der Waals o i legami idrogeno. La capacità di un composto A (soluto) di formare una soluzione con un composto B (solvente) dipende dalla capacità di interazione tra le due specie chimiche A e B.

3.2.2 Solubilità

La solubilità di un composto in un solvente, a una data temperatura e pressione, è la massima concentrazione di sostanza disciolta in condizione di equilibrio, cioè in presenza della fase solida di soluto presente come corpo di fondo.

Una soluzione è detta satura quando, a una certa temperatura e pressione, raggiunge il suo limite di solubilità. Una soluzione satura è in uno stato di equilibrio fisico e termodinamico, cioè le molecole in soluzione si scambiano con quelle del corpo di fondo.

I fattori che determinano l’esistenza di una soluzione e le sue caratteristiche chimico-fisiche (concentra-

zione, stabilità ecc.) sono: 1) natura e forza delle interazioni soluto-soluto, solvente-solvente e soluto-solvente; 2) temperatura; 3) polarità del soluto e del solvente, pKa del soluto e pH del solvente; 4) dimensione della molecola di soluto.

3.2.2.1 Natura e forza delle interazioni in una soluzione

Affinché una soluzione possa esistere, il suo contenuto energetico deve essere inferiore a quello del soluto e solvente separati.

L’energia di un sistema è definita dalle forze di legame (legami chimici o fisici) e dall’entropia. Pertanto, considerando l’energia libera del sistema G, una soluzione esiste quando:

Gsoluzione < Gsoluto + Gsolvente

Un sistema tende sempre a raggiungere il minimo livello energetico stabilendo interazioni (legami fisici) tra le molecole con legami forti e stabili. Al contrario, legami labili formano sistemi termodinamicamente instabili con un elevato grado di energia libera.

Le forze attrattive tra molecole o ioni sono:

• forze elettrostatiche;

• forze di van der Waals dipolo-dipolo e dipolo-dipolo indotto;

• legami idrogeno;

• interazioni idrofobiche.

Nel caso in cui le forze di coesione soluto-soluto e solvente-solvente siano molto elevate rispetto a quelle di adesione soluto-solvente, la solubilità sarà bassa in quanto l’energia libera della soluzione è maggiore di quella delle due componenti separate.

La solubilità di una sostanza in un solvente è determinabile sulla base delle forze coesive tra le molecole dei componenti: per un solido è determinabile dal punto di fusione, mentre per un solvente dal punto di ebollizione. Maggiore è il punto di fusione, maggiore è l’energia delle forze di legame tra le molecole del solido (Figura 3.2). Maggiore è il punto di ebollizione, mag-

Solubilità

I II III

180200220240260280

Temperatura di fusione

Figura 3.2 Correlazione tra le solubilità dei tre polimorfi della riboflavina e i rispettivi punti di fusione.

giore è l’energia delle forze di legame tra le molecole del solvente.

In determinate condizioni, il soluto può raggiungere una concentrazione maggiore del limite di solubilità formando una soluzione soprassatura. Una soluzione soprassatura è in una condizione energeticamente metastabile, cioè non ha raggiunto uno stato di equilibrio termodinamico, per cui è destinata a raggiungere lo stato di equilibrio attraverso la separazione del soluto in eccesso (precipitazione).

La soprassaturazione si realizza quando la fase solida è in uno stato energeticamente instabile dovuto, per esempio, a cristalli instabili o a un’elevata area superficiale delle particelle, come descritto dall’equazione di Ostwald–Freundlich che correla la solubilità di un solido con la dimensione delle particelle:

lnlnCC d M RT DD 2 11 smicrosmacro micromacro rc =+bl

(eq. 3.1)

ne determinano il grado di ionizzazione. Come descritto nel Capitolo 2, la solubilità nei fluidi biologici è un fattore importante per l’assorbimento dei farmaci.

A valori di pH corrispondenti a quelli del pKa la molecola è al 50% in forma ionizzata e al 50% in forma non ionizzata. Nel caso invece di un valore di pH inferiore o superiore di 2 punti rispetto al pKa (pH = pKa 2 o pH = pKa + 2), il composto è quasi completamente in forma ionizzata o in forma non ionizzata.

Il grado di solubilità è correlato all’equilibrio di ionizzazione descritto dall’equazione di Henderson-Hasselbalch.

Per farmaci acidi:

dove:

• Csmicro è la concentrazione di saturazione ottenuta con particelle microscopiche;

• Csmacro è la concentrazione di saturazione ottenuta con particelle macroscopiche;

• PM è il peso molecolare del solido;

• γ è la tensione interfacciale solido/liquido;

• d è la densità del solido;

• R è la costante universale dei gas;

• T è la temperatura;

• Dmicro è il diametro delle particelle microscopiche;

• Dmacro è il diametro delle particelle macroscopiche.

I sistemi soprassaturi sono energeticamente instabili, in quanto hanno un’elevata energia libera dovuta alla formazione di legami soluto-solvente poco stabili (alto contenuto di energia), per cui il sistema tenderà a stabilizzarsi energeticamente favorendo la rottura di legami soluto-solvente particolarmente deboli per formare legami più stabili soluto-soluto e solvente-solvente, con la conseguente separazione del soluto e del solvente nelle due fasi.

3.2.2.2 Effetto della temperatura

La temperatura misura la quantità di calore (energia termica) di un sistema che è correlato all’aumento dell’energia con cui le molecole di un sistema si muovono (energia cinetica). Pertanto, l’aumento della temperatura di una soluzione porta a un aumento dell’energia cinetica delle molecole di soluto e quindi, nella maggior parte dei casi, a un aumento della sua solubilità.

3.2.2.3 Effetto del pH e pKa

La maggior parte dei farmaci sono elettroliti deboli (acidi o basi deboli) data la presenza nella loro struttura molecolare di gruppi ionizzabili, come i carbossili (−COOH) e le ammine (−NH2). La solubilità di questi farmaci dipende dal loro pKa e dal pH del mezzo in cui vengono solubilizzati, che, in funzione dei loro valori,

(eq. 3.3) Per farmaci basici:

dove:

• S è la solubilità totale (farmaco ionizzato + farmaco non ionizzato);

• S0 è la solubilità del farmaco non ionizzato.

L’impatto degli equilibri acido-base sulla solubilità e sulla velocità di dissoluzione è elevato quando il composto in questione è idrofobico e la sua forma indissociata ha una scarsissima solubilità in acqua.

3.2.2.4 Effetto della dimensione della molecola di soluto

La dimensione della molecola di soluto è un altro parametro che influenza la solubilità di un composto. All’aumentare della dimensione aumenta la superficie della molecola e di conseguenza il numero di molecole di solvente necessarie per solvatare una molecola di soluto, formando un maggior numero di legami solvente-soluto che sono più deboli di quelli soluto-soluto e solvente-solvente. Pertanto, la solubilità diminuisce con l’aumentare della dimensione della molecola.

3.2.2.5 Espressione della concentrazione delle soluzioni

La concentrazione viene spesso espressa come peso di soluto in un’unità di solvente, per esempio g/L o %p/v, che rappresenta il numero di grammi di soluto in 100 mL di soluzione. Nel caso in cui il soluto sia liquido viene utilizzata la percentuale v/v, cioè il numero di mL di soluto in 100 mL di soluzione (Tabella 3.2). Entrambe le modalità sono poco precise se la concentrazione viene misurata a diverse temperature, in quanto il volume della soluzione varia al variare della temperatura.

La molalità (m), conosciuta anche come concentrazione molale, è preferibile per esprimere la concentrazione a diverse temperature, in quanto non varia al variare della temperatura o con l’aggiunta di un secondo soluto.

Tabella 3.2 Espressioni della concentrazione.

Espressione Simbolo Definizione

Molarità M Moli di soluto in 1 L di soluzione

Normalità N

Equivalenti di soluto in 1 L di soluzione

Molalità m Moli di soluto in 1 kg di solvente

Frazione molare X Rapporto tra le moli di soluto e la somma delle moli totali (soluto e solvente)

Percentuale in peso* %p/p g di soluto in 100 g di soluzione

Percentuale in volume %v/v mL di soluto in 100 mL di soluzione

Percentuale peso/volume* %p/v g di soluto in 100 mL di soluzione

* Nella Farmacopea ufficiale non si parla più di peso (p) ma di massa (m).

In ambito farmaceutico, la solubilità viene spesso indicata in maniera approssimata utilizzando termini descrittivi, come riportato nella XII edizione della Farmacopea ufficiale della Repubblica Italiana (Tabella 3.3).

Il termine “parzialmente solubile” è usato nel caso di miscele di cui solo alcuni dei componenti vengono solubilizzati. Il termine “miscibile” è usato per descrivere un liquido che è miscibile in tutte le proporzioni con il solvente indicato.

3.2.2.6 Proprietà colligative

delle soluzioni

Le proprietà colligative (dal latino colligatus, cioè collegate) sono 4 proprietà di una soluzione legate solamente alla concentrazione del soluto:

• abbassamento della tensione di vapore;

• innalzamento ebullioscopico;

• abbassamento crioscopico;

• pressione osmotica.

Per soluzioni molto diluite, cioè che si comportano come soluzioni ideali (proprietà termodinamiche analoghe a quelle di un gas ideale), le proprietà colligative non dipendono dalla tipologia di soluto, ma soltanto dalla concentrazione delle particelle di soluto.

Le proprietà colligative rivestono un ruolo di rilievo nello sviluppo di formulazioni parenterali, nasali e oftalmiche.

L’osmosi è un fenomeno che può essere descritto come la diffusione del solvente attraverso una mem-

Tabella 3.3 Termini descrittivi della solubilità delle sostanze con riferimento a una temperatura compresa tra 15 e 25 °C. Fonte: Farmacopea ufficiale della Repubblica Italiana, XII ed, 2008.

Indicazione

Volume approssimativo di solvente (mL/g di sostanza)

Solubilissimo < 1

Molto solubile da 1 a 10

Solubile da 10 a 30

Moderatamente solubile da 30 a 100

Poco solubile da 100 a 1000

Molto poco solubile da 1000 a 10 000

Praticamente insolubile > 10 000

brana semipermeabile, cioè permeabile solo al solvente e non al soluto. Quando due soluzioni di uno stesso soluto e solvente a concentrazioni diverse di soluto sono separate da una membrana semipermeabile, il solvente si diffonde attraverso la membrana passando dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata, per eguagliare la concentrazione nei due compartimenti. La pressione osmotica è la pressione idrostatica che bisogna esercitare sulla soluzione più concentrata per impedire la diffusione del solvente. La pressione osmotica (π) (soluto molecolare non ionizzabile) può essere calcolata dalla seguente formula:

MRT = r (eq. 3.6)

dove:

• M è la molarità della soluzione;

• R è la costante universale dei gas;

• T è la temperatura assoluta.

La pressione osmotica delle cellule è definita tono cellulare. La tonicità di una soluzione è la pressione osmotica riferita al tono delle cellule, cioè all’effetto sulla morfologia e volume di una cellula.

Nella realtà, la membrana cellulare non si comporta come una membrana semipermeabile ideale. Per questo motivo si distingue l’iso-osmoticità, con cui si indicano due soluzioni con la stessa concentrazione di specie in soluzione (molecole o ioni), dall’isotonia, ossia il comportamento reale con cui si indica una soluzione la cui concentrazione di specie in soluzione consente il mantenimento delle caratteristiche morfologiche delle cellule. Una soluzione può quindi essere iso-osmotica senza necessariamente essere isotonica.

Il requisito di isotonicità è richiesto per alcune preparazioni farmaceutiche acquose in cui gli effetti sulla tonicità cellulare dipendono dal grado di scostamento dall’isotonia, dalla sede di somministrazione, dal volume somministrato e dal metodo di somministrazione. Tra le formulazioni in cui l’isotonicità è rilevante vi sono i prodotti per uso parenterale, per uso oftalmico (dove la mancanza di isotonicità porta a irritazione o, come nel caso delle lenti a contatto, adesione all’occhio, bruciore, secchezza, fotofobia), per uso auricolare, per uso nasale e per irrigazione, soprattutto nel trattamento di ferite molto profonde ed estese.

Nel sangue, l’ipertonia porta a contrazione cellulare e plasmolisi, mentre l’ipotonia induce rigonfiamento cellulare con emolisi. Le cellule tollerano meglio preparazioni leggermente ipertoniche rispetto a quelle leggermente ipotoniche. Sebbene la tonicità delle formulazioni farmaceutiche debba essere regolata nel modo più preciso possibile, questo deve essere valutato dal formulatore in base alla tipologia della forma farmaceutica e al suo impiego. Nel paragrafo 16.1.4.3 è riportato il calcolo della tonicità di soluzioni per uso parenterale e le modalità di regolazione della stessa.

3.2.3

Dissoluzione

I solidi ionici (per esempio NaCl) messi a contatto con l’acqua vengono solvatati sulla superficie dalle molecole di acqua dipolari, le quali si dispongono con la parte negativa verso i cationi e con la parte positiva verso gli anioni. Queste interazioni ione-dipolo provocano un indebolimento delle forze coulombiane (forze elettrostatiche) attrattive tra gli ioni (per esempio Na+ e Cl ) permettendo all’acqua di penetrare in profondità nel reticolo cristallino e di solvatare gli ioni che vengono poi liberati nella soluzione. Al primo guscio di solvatazione, formato da poche molecole di acqua, si aggiungono altri strati di acqua più esterni (interazioni dipolo-dipolo) con legami sempre più deboli man mano che ci si allontana dallo ione. Affinché il solido ionico si solubilizzi, l’energia di solvatazione deve essere maggiore dell’energia reticolare del cristallo.

Nel caso invece di un solido molecolare non ionizzabile (per esempio glucosio) esso interagisce con l’acqua attraverso interazioni dipolari, di van der Waals e legami a idrogeno. L’acqua, solvatando la molecola, riduce le interazioni tra le molecole nel reticolo cristallino, fino a staccarla e a portarla in soluzione. La possibilità dell’acqua di interagire, solvatare e solubilizzare solidi molecolari dipende dalla natura chimica dei gruppi funzionali di questi ultimi (polari o apolari). L’acqua, essendo un solvente polare, solubilizza solidi molecolari polari, come il glucosio, ma è un cattivo solvente per composti apolari, come i trigliceridi. Infatti, le interazioni che si instaurano tra un solido molecolare apolare e l’acqua sono più deboli di quelle che si instaurano tra le molecole di acqua, rendendo energeticamente sfavorevole la dissoluzione.

Quanto detto per i solidi vale anche per soluzioni di sostanze liquide in liquidi, anche se spesso si parla di miscele di liquidi anziché di soluzioni (allo stesso modo spesso si dice che un liquido è miscibile in acqua). Sostanze liquide che presentano gruppi −OH, per esempio il metanolo, l’etanolo e il glicerolo, riescono a instaurare interazioni con l’acqua di entità tali da risultare solubili.

3.2.3.1 Termodinamica della dissoluzione

La dissoluzione di un solido in un liquido è un processo termodinamico che avviene con rottura dei legami di interazione tra le molecole del solido e tra le molecole di solvente per formare nuovi legami soluto-solvente (Figura 3.3).

3.3 Rappresentazione schematica del processo termodinamico di dissoluzione.

Affinché si formi una soluzione, il processo di dissoluzione deve avvenire con diminuzione dell’energia libera del sistema, come descritto dalla legge di Gibbs:

(eq. 3.7)

La variazione negativa dell’energia libera del sistema (ΔG < 0) è data dalla combinazione di variazione di entalpia (ΔH) e di entropia (ΔS).

La rottura dei legami tra molecole della stessa natura chimica (soluto-soluto e solvente-solvente) richiede più energia di quanta ne viene liberata con la formazione di legami tra molecole di diversa natura chimica (solutosolvente). Pertanto, la variazione entalpica del sistema è positiva (ΔH > 0) e quindi sfavorevole alla dissoluzione. Il valore di ΔH è determinato dalla natura dei legami tra le varie specie, ovvero soluto-soluto, solvente-solvente e soluto-solvente. Per esempio, se la sostanza da solubilizzare è liofila, si formano legami soluto-solvente tanto forti da compensare in buona parte la rottura dei legami soluto-soluto e solvente-solvente. Se invece la sostanza da solubilizzare è liofoba, si formano legami solutosolvente deboli con liberazione di poca energia che non compensa l’energia richiesta per la rottura dei legami soluto-soluto e solvente-solvente e quindi il processo di dissoluzione è particolarmente sfavorito.

La correlazione della solubilità di una sostanza (CS) con il ΔH di dissoluzione è:

, log C H RTk 2303 S D =- + bl (eq. 3.8) dove:

• R è la costante dei gas perfetti;

• T è la temperatura assoluta;

• k è una costante che dipende dalle caratteristiche del sistema.

Sebbene da un punto di vista entalpico la dissoluzione sia sempre sfavorita (maggiormente per soluti liofobi), nelle fasi di formazione della soluzione si ottiene un aumento dell’entropia (S) che contribuisce alla diminuzione dell’energia libera (G) compensando l’incremento di entalpia (H).

Pertanto, il processo di dissoluzione avviene grazie alla diminuzione dell’energia libera del sistema (ΔG < 0) che risulta dalla combinazione delle variazioni di entalpia (ΔH > 0) e di entropia (ΔS > 0) quando ΔH < ΔS.

3.2.4 Velocità di dissoluzione

Con il termine dissoluzione si intende il processo che consente a un solido di interagire con un solvente per dare origine a una soluzione. Per semplificare il concet-

Figura

Sviluppo farmaceutico 7

La missione primaria della ricerca e sviluppo (research and development, R&D) di un’azienda farmaceutica è quella di sviluppare nuovi medicinali, sicuri ed efficaci, partendo dalla comprensione di una patologia e quindi dall’obiettivo terapeutico. Si può quindi affermare che l’obiettivo della ricerca è convertire idee terapeutiche in principi attivi candidati per lo sviluppo e quello dello sviluppo è convertire questi candidati in prodotti finiti per l’uso terapeutico.

7.1 Schema del processo di sviluppo

Il cammino per sviluppare e portare sul mercato un nuovo medicinale dura circa 10–15 anni, ha un costo di oltre un 1 miliardo di euro ed è anche rischioso, in quanto solo una su 10–15 molecole in fase I di sperimentazione clinica raggiunge il mercato.

Alcuni dei principali ostacoli di questo processo sono riassunti nella Tabella 7.1, mentre la Figura 7.1 fornisce una visione d’insieme schematizzata del processo di ricerca e sviluppo.

Tabella 7.1 Principali ostacoli nel fare arrivare un nuovo farmaco sul mercato.

Attività Requisiti

Ricerca del principio attivo Brevettabilità, conoscenza del meccanismo d’azione, elevata potenza e selettività

Tossicologia Elevato indice terapeutico, assenza di carcinogenicità, teratogenicità, mutagenicità

Clinica Profilo di effetti collaterali accettabile, durata d’azione accettabile

Produzione API (Active Pharmaceutical Ingredient) Sintetizzabile e scalabile

Sviluppo farmaceutico Formulazione stabile, rispondente alle esigenze terapeutiche

Affari regolatori Qualità dei dati e della documentazione

Produzione prodotto finito Fattibile, costo accettabile, qualità in linea con i requisiti degli enti regolatori (Agenzia Italiana del Farmaco AIFA, European Medicinal Agency EMA, Food and Drug Administration FDA ecc.)

Oggi non è possibile parlare di sviluppo, di produzione e di qualità dei medicinali senza considerare concetti come il Quality by Design (QbD), la gestione del rischio della qualità o Quality Risk Management (QRM) e la Process Analytical Technology (PAT).

Le aziende farmaceutiche da sempre prestano grande attenzione alla qualità dei prodotti, che si concretizza nell’applicazione delle regole e delle norme emanate dagli enti regolatori nazionali, sovranazionali (europei) e internazionali. Fino alla fine del secolo scorso, le industrie hanno seguito un approccio alla qualità basato sull’applicazione delle Norme Di Buona Fabbricazione (NBF o Good Manufacturing Practices, GMP) e su una combinazione ponderata di attività di Controllo di Qualità (CQ o Quality Control, QC) e di Assicurazione della Qualità (AQ o Quality Assurance, QA). A partire dai primi anni 2000, le autorità regolatorie, pur convinte del buon livello di qualità dei prodotti farmaceutici industriali, hanno adottato alcune iniziative per migliorare ulteriormente la qualità dei medicinali e modernizzare le regole relative alla loro fabbricazione. Queste iniziative si basano sulla ridefinizione del concetto di qualità, che viene inteso come l’esito dell’applicazione di un sistema armonizzato, applicabile a tutto il ciclo di vita del prodotto e basato su un’attenta e completa valutazione del rischio. La ridefinizione di qualità implica che ogni decisione aziendale riguardante un prodotto comporti inevitabilmente una valutazione del rischio, al

• Identi cazione e caratterizzazione del target biologico

• Attività e selettività

• Sintesi chimica

• Pharma pro ling

Preclinico

• Sintesi

• Analisi

• Formulazione

• Stabilità

• Sicurezza e PK

Clinico

• Fase I: sicurezza e PK essere umano

• Fase II: ef cacia nell’essere umano

• Fase III: ef cacia clinica su vasta scala

• Fabbricazione industriale

• Farmacovigilanza

• Miglioramento formulazione

Figura 7.1 Visione schematica del processo di ricerca e sviluppo (R&D).

Ricerca Sviluppo
Commercializzazione

fine ultimo di garantire la qualità del prodotto farmaceutico, assicurando ai pazienti a cui è destinato un’adeguata sicurezza, qualità ed efficacia del prodotto.

7.2 International Conference Harmonisation (ICH)

7.2.1 International Conference on Harmonisation of Technical Requirements for Pharmaceuticals for Human Use

Uno sforzo collaborativo a livello internazionale finalizzato all’identificazione dei parametri della qualità di un prodotto medicinale è rappresentato dall’International Council on Harmonisation of Technical Requirements for Pharmaceuticals for Human Use (ICH), che riunisce le autorità preposte alla regolamentazione dei farmaci in Europa, Giappone e Stati Uniti d’America ed esperti dell’industria farmaceutica. Tra il 2005 e il 2009, l’ICH ha pubblicato tre linee guida (ICH Q8, ICH Q9 e ICH Q10) tra loro correlate, che formano la base per l’applicazione dei nuovi concetti di sviluppo e dei moderni paradigmi di qualità.

7.2.1.1

ICH Harmonised Tripartite Guideline Pharmaceutical Development Q8 (R2)

L’ICH Q8 definisce lo scopo dello sviluppo farmaceutico, ovvero quello di progettare un prodotto di qualità il cui processo di fabbricazione sia in grado di esprimere costantemente la prestazione terapeutica richiesta.

La linea guida ICH Q8 (R2) descrive il contenuto suggerito per il prodotto finito relativamente alla sezione 3.2.P.2 (pharmaceutical development) del modulo 3 del documento di registrazione nel formato common technical document (CTD).

L’ICH Q8 raccomanda a chi sviluppa un prodotto farmaceutico di riportare nella sezione pharmaceutical development i dati acquisiti negli studi di formulazione che consentono la comprensione scientifica delle caratteristiche del prodotto, delle sue specifiche e del processo di fabbricazione. Questa sezione del CTD permette quindi ai revisori degli enti regolatori la conoscenza del prodotto e del processo acquisita durante lo sviluppo.

7.2.1.2 ICH Harmonised Tripartite Guideline Quality Risk Management Q9

Partendo dal presupposto che la fabbricazione e l’impiego di un prodotto medicinale implica inevitabilmente un grado di rischio per la sua qualità, la linea guida ICH Q9 riporta principi e metodi da applicare per la gestione del rischio. L’obiettivo di questa linea guida è quello di garantire l’appropriato livello di controllo per un processo di fabbricazione durante tutta la durata del ciclo di vita del prodotto, dallo sviluppo alla produzione per il mercato, fino al ritiro dal mercato. Il QRM implica l’identificazione dei rischi e la loro analisi, la valutazione delle conseguenze di un evento ad alto rischio e la messa a punto di pratiche per la riduzione del rischio. Lo scopo non è solo determinare le aree principali da

monitorare, ma anche valutare in quali aree non sia necessario adottare azioni perché il rischio è minimo e il processo è sufficientemente sotto controllo, consentendo così la focalizzazione delle risorse sugli aspetti critici determinanti la qualità del prodotto. Sulla base di questa linea guida, chi sviluppa medicinali deve elaborare la valutazione del rischio durante lo sviluppo del prodotto, utilizzando l’esperienza pregressa e i dati sperimentali per determinare parametri critici e non critici.

7.2.1.3

ICH

Harmonised Tripartite Guideline

Pharmaceutical Quality System Q10

L’ICH Q10 descrive un modello esaustivo per la gestione efficace della qualità per l’industria farmaceutica. L’obiettivo è quello di armonizzare il concetto di sistemi di qualità per l’industria farmaceutica nelle tre aree geografiche più importanti, Europa, Stati Uniti d’America e Giappone, con l’intento finale di migliorare la qualità e la disponibilità dei medicinali nel mercato mondiale nell’interesse della salute pubblica. Anche in questo caso, come già nella ICH Q9, il sistema di qualità deve essere applicato durante le varie fasi del ciclo di vita di un prodotto: sviluppo farmaceutico, technology transfer, produzione commerciale e cessazione della produzione. La linea guida mette in evidenza che gli elementi del sistema di qualità devono tenere conto delle differenze e dei diversi obiettivi di queste fasi (per esempio non a tutte le attività di sviluppo si applicano le GMP). Si enfatizza chiaramente il concetto che gli obiettivi di questo nuovo sistema di qualità potranno essere raggiunti solo applicando le tre linee guida ICH Q8, Q9 e Q10. L’ICH Q10 supporta chi sviluppa i prodotti a intraprendere le attività in modo da dimostrare la comprensione di prodotto e processo, facendo riscorso alla gestione del rischio. L’ICH Q10 aiuta l’industria a migliorare i propri processi di fabbricazione, così da ridurre le variabilità e ottenere una qualità riproducibile e costante del prodotto finito. Inoltre, l’ICH Q10 raccomanda il controllo e la revisione della qualità, elementi che sono la base per un continuo miglioramento dei processi. Il diagramma della Figura 7.2 offre una visione integrata delle tre linee guida (ICH Q8, Q9 e Q10) per la qualità farmaceutica.

Figura 7.2 Diagramma della visione integrata dell’ICH sulla qualità farmaceutica.

7.3 Quality by Design (QbD)

Per ottenere un prodotto con un livello di qualità desiderato/accettabile occorre conoscere e capire pienamente la formulazione e il processo di fabbricazione. Ne consegue che la qualità deve iniziare già nella fase di sviluppo farmaceutico, fase nella quale si pongono le basi per la conoscenza del prodotto. Da qui deriva l’importanza della ICH Q8, dedicata alla fase di sviluppo farmaceutico. È in questa linea guida che viene descritto il concetto di QbD. Il QbD è un approccio sistematico allo sviluppo del prodotto che, partendo da obiettivi prestabiliti, consente l’approfondimento della conoscenza del prodotto, del processo e del suo controllo. Tutto questo è basato su un approccio scientifico approfondito e sulla gestione del rischio applicata agli aspetti di qualità: «A systematic approach to development that begins with predefined objectives and emphasizes product and process understanding and process control, based on sound science and quality risk management».

Il QbD nel settore farmaceutico si può definire come un approccio che ha come obiettivo l’AQ dei principi attivi e medicinali attraverso l’applicazione di metodiche statistiche, analitiche e di gestione del rischio nella progettazione, sviluppo, controllo e produzione industriale.

Il QbD è essenzialmente fondato sui seguenti principi:

• definizione del profilo della qualità desiderata per il prodotto da sviluppare;

• progettazione del prodotto e del processo produttivo;

• identificazione delle fonti di variabilità, degli attributi critici per la qualità del prodotto e dei parametri critici del processo;

• controllo del processo di produzione per ottenere una qualità costante durante tutto il ciclo di vita del prodotto.

Il QbD si basa sull’approfondita conoscenza del prodotto e del processo così da garantire qualità nei componenti del prodotto finito (Active Pharmaceutical Ingredient, API, ed eccipienti) e nel processo. In base a questo concetto la qualità di un prodotto non può essere valutata solo in base ai risultati delle analisi di controllo condotte sul prodotto finito, ma deve essere costruita nel prodotto finito. Si tratta di un cambio di paradigma molto importante rispetto al modello di qualità finora utilizzato nell’industria farmaceutica, che rende l’applicazione dell’approccio QbD molto più complessa.

API conforme alle speci che

Eccipienti conformi alle speci che

Fasi produttive

• Miscelazione

• Granulazione

• Compressione

• Miscelazione

Con parametri di processo ssi

L’approccio convenzionale allo sviluppo finora seguito dalle aziende farmaceutiche si basa sul raggiungimento dei seguenti risultati (output):

• identificazione della formulazione, con i gradi e le quantità di ciascun eccipiente e dell’API;

• identificazione del confezionamento primario;

• definizione delle specifiche dell’API e degli eccipienti;

• definizione delle specifiche del prodotto finito;

• definizione del processo di produzione.

Tutto questo è ancora importante, ma agli output riportati sopra si è aggiunta un’altra dimensione, il controllo permanente. Infatti, dalla necessità di dimostrare che tutti i lotti di prodotto finito fabbricati per studi clinici e, successivamente, per il mercato, rispondono alle specifiche fissate (e approvate degli enti regolatori) si è passati alla necessità di dimostrare che il processo si trova permanentemente in uno stato di controllo.

Nel modello tradizionale Quality by Testing (QbT), la funzione sviluppo farmaceutico sottopone alle autorità regolatorie una mole impressionante di dati di Chemistry Manufacturing Controls (CMC), che definiscono le specifiche per le materie prime (API ed eccipienti) e per il prodotto finito. L’obiettivo è sviluppare processi di fabbricazione sia a livello di sviluppo sia per il mercato, in cui tutti i lotti prodotti siano in grado di rispondere a queste specifiche, così da evitare successivi cambiamenti. In questo contesto, la qualità delle materie prime viene valutata in base a controlli di qualità su tutti i lotti. Se i risultati sono conformi alle specifiche approvate, esse possono essere usate per la produzione del prodotto finito. Analogamente, la qualità dei lotti di prodotto finito si basa sui risultati delle analisi in corso di processo (per esempio per una compressa, omogeneità della miscela da comprimere, peso, durezza, disgregazione e friabilità durante il processo di compressione ecc.) e su un numero limitato di unità del prodotto finito. Se i risultati sono conformi alle specifiche, il lotto viene approvato (rilasciato) e distribuito per gli studi clinici o per il commercio. Se i risultati non sono conformi, il lotto viene respinto. La Figura 7.3 mostra un tipico diagramma semplificato di controllo qualità mediante QbT, secondo cui le specifiche sono importanti non tanto perché sono correlate alla qualità del prodotto, quanto perché sono in grado di evidenziare differenze tra lotti, che potenzialmente possono compromettere qualità, efficacia e sicurezza del prodotto.

• Titolo

• Impurezze

Speci che in-process

OOS?

Prodotto respinto

• Uniformità

• Ricostituzione

• Umidità

Criteri di accettazione

basati su dati su uno

o più lotti. Il controllo

è necessario per il “rilascio” del lotto

Speci che di prodotto

OOS?

Prodotto respinto

Figura 7.3 Diagramma semplificato di controllo qualità per un processo di fabbricazione di compresse usando il Quality by Testing (QbT).

Forme farmaceutiche per via oculare e auricolare 16

Patrizia Chetoni, Daniela Monti, Sara Nicoli, Silvia Pescina, Rosario Pignatello

Le vie di somministrazione oculare e auricolare sono utilizzate per somministrare farmaci ad azione locale, per azione terapeutica e diagnostica nel caso della via oculare, si pensi per esempio all’uso dell’atropina, o esclusivamente terapeutica per quella auricolare.

16.1 La via oculare

Le forme farmaceutiche oftalmiche sono preparazioni sterili, prive di particelle estranee, opportunamente formulate e confezionate in contenitori che ne consentono l’applicazione oculare. Esse includono i colliri (tipicamente soluzioni o sospensioni acquose), le preparazioni semisolide (unguenti, gel idrofili) e le forme solide (inserti oftalmici).

I colliri sono per la maggior parte a base acquosa; gli unguenti sono, con qualche eccezione, a base oleosa (paraffina liquida e paraffina solida). Sono disponibili anche soluzioni e sospensioni destinate all’iniezione sottocongiuntivale, sub-tenoniana, retrobulbare, intracamerale o intravitreale; a queste si aggiungono gli impianti oftalmici, forme solide inserite per via iniettiva nel bulbo oculare. Si ricorre a queste vie in casi ambulatoriali o pre- o postoperatori, quando si rende necessario raggiungere alte concentrazioni di farmaco.

Secondo la XII edizione della Farmacopea ufficiale italiana (FU XII) le preparazioni oftalmiche (Ophthalmica) sono preparazioni liquide, semisolide o solide da applicare sul bulbo oculare e/o sulla congiuntiva o da introdurre nel sacco congiuntivale. I contenitori e i materiali utilizzati per la loro fabbricazione devono essere conformi ai rispettivi saggi di farmacopea (vedi paragrafo 24.1). La FU include tra le preparazioni oftalmiche i colliri, i bagni oculari, le polveri per colliri e per bagni oculari, le preparazioni oftalmiche semisolide e gli inserti oftalmici.

Poiché le forme oftalmiche sono destinate all’applicazione su occhi con condizioni patologiche che ne possono compromettere i naturali meccanismi di difesa, requisito essenziale è la sterilità. La loro preparazione prevede quindi l’impiego di materiali e metodi in grado di assicurare la sterilità ed evitare l’introduzione di contaminanti e la crescita di microrganismi; il prodotto

finito deve soddisfare al saggio di sterilità (FU XII 2.6.1; vedi paragrafo 17.5.1).

16.1.1 Cenni anatomici e fisiologici dell’occhio

Il bulbo oculare ha forma sferoidale, pesa circa 7,5 g ed è contenuto nell’orbita, la cavità oculare ossea che lo protegge.

Il bulbo oculare contiene tre camere (Figura 16.1): 1) la camera anteriore, compresa tra cornea e iride; 2) la camera posteriore, compresa fra iride e cristallino; 3) la camera vitrea, che occupa i tre quarti dell’occhio, situata nel segmento posteriore.

Le camere anteriore e posteriore contengono l’umor acqueo, mentre la camera vitrea racchiude l’umor vitreo, un gel trasparente, composto al 98% da acqua e, per la restante parte, da acido ialuronico e fibre di collagene, ai quali si deve la consistenza gelatinosa.

La parete del bulbo oculare è costituita da tre tonache o membrane: 1) la tonaca esterna, fibrosa, è rappresentata nella parte anteriore dalla cornea, perfettamente trasparente, e nella restante porzione dalla sclera, bianca e opaca; 2) la tonaca media, detta uvea, comprende l’iride, il corpo ciliare e la coroide ed è riccamente vascolarizzata e pigmentata; 3) la tonaca interna, di natura nervosa, è rappresentata dalla retina.

L’anello di giunzione in cui termina la cornea e ha inizio la sclera è detto limbo. Cornea e sclera formano una parete che protegge le delicate strutture che si trovano all’interno dell’occhio.

La sclera è rivestita dalla congiuntiva, una sottile membrana mucosa. Questa riveste la superficie interna delle palpebre (congiuntiva palpebrale), quindi si riflette verso il globo formando il fornice o sacco congiun-

Retina
Coroide
Sclera
Arteria e vena centrale della retina
Nervo ottico
Vena retinale
Arteria retinale
Camera vitrea
Cornea Iride
Cristallino
Pupilla
Camera posteriore
Corpo ciliare
Camera anteriore
Canale di Schlemm
Congiuntiva
Figura 16.1 Anatomia dell’occhio: il bulbo oculare.

Box 16.1 • Elenco delle più comuni patologie oculari

Patologia Struttura oculare

maggiormente interessata

Blefarite, calazio, orzaiolo Palpebra

Congiuntivite Congiuntiva

Cheratite Cornea

Sindrome dell’occhio secco

Superficie oculare

Cataratta Cristallino (o lente)

Uveite Uvea, iride, corpo ciliare, coroide

Glaucoma Nervo ottico

Degenerazione maculare senile (AMD)

Retina

Retinopatia diabetica Retina

Endoftalmite

Note Trattamento

Infiammazioni di natura infettiva o noninfettiva

Infiammazione dovuta a infezione, allergia, irritazione

Infiammazione di natura infettiva (per esempio herpes)

Vedi testo

Opacizzazione del cristallino di natura degenerativa

Infiammazione dovuta a cause idiopatiche, infezioni, traumi, patologie sistemiche

Vedi testo

Vedi testo

Complicanza del diabete mellito. Colpisce i vasi retinici

Uvea/corpo vitreo Più comunemente causata da batteri Gram positivi

Sindrome dell’occhio secco

Patologia legata ad alterazioni qualitative e quantitative della secrezione lacrimale, che causano fenomeni irritativi e infiammatori. È la patologia più diffusa con prevalenza che varia dal 3 al 50% a seconda dei Paesi. Per il trattamento si utilizzano sostituti lacrimali, cioè soluzioni acquose viscosizzate e più raramente gelificate, spesso contenenti polimeri idrofili mucoadesivi, sali, ingredienti lipidici, vitamine, che aumentano il volume e la stabilità del film lacrimale. Sono classificati dal punto di vista regolatorio come dispositivi medici. I casi più gravi richiedono un trattamento farmacologico, che può essere a base di corticosteroidi o ciclosporina.

Glaucoma

Gruppo di patologie caratterizzate da una progressiva compromissione della funzionalità del nervo ottico che può portare alla perdita irreversibile della vista e che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, anno 2019), colpisce 64 milioni di persone nel mondo. Poiché

tivale e infine si distende sulla porzione anteriore della sclera, formando la congiuntiva bulbare (Figura 16.2).

Lo spazio virtuale costituito dal sacco congiuntivale ha un ruolo importante nell’instillazione e nella ritenzione oculare delle medicazioni topiche.

Le palpebre, oltre alla funzione protettiva, contribuiscono allo spargimento del film lacrimale sulla cornea e ne impediscono l’evaporazione. Il film lacrimale, costituito dall’esterno verso l’interno da uno strato lipofilo, uno acquoso e uno mucoso, ricco in mucine (Figura 16.2), viene rinnovato con l’ammiccamento. Le ghiandole lacrimali producono quantità di fluido sufficienti per la normale idratazione dell’occhio, ma la secrezione lacrimale costituisce anche una risposta di emergenza a stimoli irritativi fisici, chimici o emotivi, o a stimoli riflessi quali la luce intensa. Se l’ammiccamento viene

Antibiotici, antivirali o antinfiammatori steroidei, a seconda dell’origine

Antiallergici o antinfettivi, a seconda dell’origine

Antinfettivi e corticosteroidi topici

Vedi testo

Intervento chirurgico

Antinfiammatori steroidei, altri immunosoppressori, antinfettivi, a seconda della tipologia

Vedi testo

Vedi testo

In caso di neovascolarizzazione, agenti anti-VEGF, antinfiammatori steroidei

Antibiotici

spesso la causa è riconducibile all’aumento della pressione intraoculare, la terapia farmacologica è mirata alla sua diminuzione mediante l’incremento del deflusso di umore acqueo e/o il deflusso uveo-sclerale (per esempio analoghi delle prostaglandine) o la riduzione della produzione di umore acqueo (per esempio β-bloccanti e inibitori dell’anidrasi carbonica).

Degenerazione maculare senile (AMD)

Patologia di natura degenerativa legata all’età che causa modificazioni nell’epitelio pigmentato retinico (forma secca). Può evolvere nella forma umida, caratterizzata da un processo di neovascolarizzazione che compromette gravemente la visione. La forma umida può essere trattata con corticosteroidi e farmaci biologici anti-VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (anno 2019), circa 196 milioni di persone a livello globale soffrono di problemi legati alla degenerazione maculare senile.

soppresso per effetto di farmaci o meccanicamente, la cornea presenta zone essiccate. Lo stesso effetto si osserva in particolari condizioni patologiche, come la sindrome dell’occhio secco (Box 16.1).

I bordi, o rime palpebrali, contengono i dotti delle ghiandole di Meibomio e di Zeis, la cui secrezione oleosa va a costituire la parte più esterna del film lacrimale e contribuisce a ridurne l’evaporazione. Sulla porzione mediale o nasale della palpebra inferiore è presente il punto lacrimale, l’apertura di un canalino che conduce al sacco lacrimale; un’apertura simile, più piccola, si trova nella palpebra superiore. Il sacco lacrimale è connesso al meato inferiore della cavità nasale mediante il dotto nasolacrimale. Il movimento delle palpebre attiva il drenaggio delle lacrime (ed eventualmente, delle soluzioni instillate) attraverso i punti lacrimali nel sacco

Ghiandola lacrimale

Fornice superiore

Congiuntiva bulbare

Congiuntiva palpebrale A)

Fornice inferiore

Punto lacrimale superiore

Ghiandola lacrimale B)

Punto lacrimale inferiore

Dotto lacrimale inferiore

Dotto lacrimale superiore

Sacco lacrimale

Dotto nasolacrimale

Strato lipidico

Strato acquoso

Strato mucoso

Epitelio

Figura 16.2 A) La congiuntiva e le fornici; B) le vie lacrimali; C) struttura del film lacrimale (biorender).

lacrimale, e di qui, attraverso il dotto nasolacrimale, nel meato nasale (Figura 16.2).

16.1.1.1 La cornea e la sclera

La tonaca fibrosa presenta anteriormente una porzione trasparente: la cornea. Nell’essere umano essa ha un diametro di circa 11−12 mm, e uno spessore, nella porzione centrale, di 0,5−0,7 mm. La cornea è innervata,

Epitelio

di Bowman

ma non vascolarizzata, condizione essenziale per permettere il passaggio della luce.

Se osservata al microscopio, la cornea, procedendo dall’esterno verso l’interno, risulta costituita da sei strati: l’epitelio, la membrana di Bowman, lo stroma corneale, lo strato di Dua, la membrana di Descemet e l’endotelio (Figura 16.3). L’epitelio corneale, di natura lipidica, ricopre lo stroma ed è continuo con l’epitelio della congiuntiva. Consiste di 5−7 strati di cellule non cheratinizzate; lo strato superficiale dell’epitelio è costituito da cellule poligonali appiattite, rivestite da micropliche e microvilli e dotate di giunzioni serrate, che hanno la funzione di proteggere l’occhio dall’aggressione di agenti o corpi esterni e si rinnovano ogni 5−10 giorni. Lo stroma corneale costituisce dal 75 al 90% dell’intera cornea. Composto per lo più da fibre collagene, presenta uno spessore che cresce dalla zona centrale verso quella esterna, oltre che con l’età. L’endotelio è composto da cellule strettamente adese tra loro e la cui funzione principale è quella di mantenere la corretta idratazione dello stroma.

La cornea prosegue con la sclera, un tessuto connettivo denso, costituito da una matrice di fibre collagene disorganizzate, responsabili dell’aspetto opaco del tessuto, contenente il 70% di acqua. Tale struttura conferisce alla sclera una notevole resistenza e un’elevata porosità.

16.1.1.2 L’uvea

L’uvea è una tunica riccamente vascolarizzata e pigmentata, costituita da tre porzioni: l’iride, il corpo ciliare e la coroide (Figura 16.1). L’iride, la porzione colorata visibile frontalmente nell’occhio, è un delicato diaframma, costituito da un tessuto connettivo morbido, posto di fronte al cristallino (lente). È ricca di vasi sanguigni che irrorano e nutrono il tessuto. L’iride separa la camera anteriore dalla posteriore e presenta al suo centro il forame pupillare (pupilla), che, mediante un meccanismo riflesso, controlla la quantità di luce che penetra nell’occhio.

C)
Stroma
Strato di Dua
Membrana
Membrana di Descemet
Endotelio
Figura 16.3 Struttura della cornea.

Il corpo ciliare è una formazione anulare larga circa 6 mm, che si estende dalla base dell’iride alla coroide. È diviso in due porzioni: la porzione uveale, adiacente alla sclera, che contiene il muscolo ciliare, responsabile dell’accomodazione visiva, e la porzione epiteliale, adiacente alla camera posteriore. Quest’ultima contiene le strutture deputate alla secrezione dell’umore acqueo.

Infine, la coroide è uno strato vascolare posto tra la sclera e la retina, che si estende dal nervo ottico fino al corpo ciliare, e ha la funzione di provvedere alla nutrizione della porzione di retina a essa adiacente.

16.1.1.3 La retina

Il processo della visione prevede che la luce, grazie a cornea, umore acqueo e cristallino, venga focalizzata sulla retina dove coni e bastoncelli trasformano il segnale luminoso in impulsi elettrici.

La retina riveste interiormente la parete dell’occhio ed ha una struttura complessa. Partendo dalla coroide e procedendo verso il vitreo troviamo l’epitelio pigmentato della retina (RPE), lo strato dei fotorecettori (coni e bastoncelli) e gli strati che comprendono cellule orizzontali, bipolari, amacrine e gangliari. Gli assoni di queste ultime si riuniscono a formare il nervo ottico, che conduce l’informazione alle aree corticali competenti.

I coni (6−7 milioni nell’essere umano) sono demandati alla visione diurna (fotopica), mentre i bastoncelli (115−120 milioni di cellule), per la loro maggiore sensibilità, sono preposti alla visione notturna (scotopica). I coni e i bastoncelli, responsabili dell’acuità visiva, si concentrano in una depressione di 2−5 mm di diametro, la macula lutea, così chiamata perché gli strati interni contengono un pigmento giallognolo. Al centro della macula si trova la fovea centralis, costituita essenzialmente dai coni al massimo della loro concentrazione (circa il 90% della loro totalità sulla retina). Si tratta della zona in cui ha luogo la formazione dell’immagine dal momento che il bulbo oculare ruota nella cavità orbitaria perché l’immagine degli oggetti sia focalizzata in questo punto. Man mano che ci si allontana dalla fovea il numero dei coni diminuisce fino ad annullarsi nella zona periferica della retina, popolata solo dai bastoncelli.

L’integrità e la funzionalità della retina, tessuto nervoso situato al di fuori della barriera emato-encefalica, vengono preservate dalla presenza della barriera ematoretinica. Questa è costituita dall’endotelio dei capillari che irrorano la retina e dall’RPE, collocato tra la retina e la coroide. L’epitelio pigmentato della retina è un monostrato cellulare riccamente pigmentato, caratterizzato dalla presenza di giunzioni strette (tight junction), che funge da barriera selettiva nei confronti di nutrienti e metaboliti provenienti dai capillari della coroide.

16.1.1.4 Umore acqueo e pressione intraoculare

La funzione visiva dell’occhio richiede una stabilità dimensionale, che è assicurata dalla rigida tunica fibrosa esterna e, soprattutto, dalla pressione intraoculare (Intraocular Pressure, IOP). Questa deriva dalla secrezione

Camera posteriore

Figura 16.4 Schema della produzione e del deflusso dell’umore acqueo dalla camera posteriore al canale di Schlemm.

continua dell’umore acqueo che si forma nel processo ciliare e viene eliminato attraverso il trabecolato e il canale di Schlemm (Figura 16.4). La velocità di secrezione dell’umore acqueo, che è pari a 1−2 µL min−1, e la resistenza incontrata nella sua escrezione sono i principali fattori determinanti la IOP, i cui valori standard si aggirano tra 21 e 25 mm di Hg. Un aumento della IOP, con conseguente danno alle strutture oculari e riduzione del campo visivo, fino alla cecità, rappresenta una condizione patologica definita glaucoma (Box 16.1). L’aumento della IOP è di solito causato da difetti nel meccanismo di deflusso dell’umore acqueo. In aggiunta alla sua funzione idromeccanica, l’umore acqueo ha funzione di trasporto di nutrienti, substrati e metaboliti per i tessuti non vascolarizzati dell’occhio, come la cornea.

16.1.2 Assorbimento ed eliminazione dei farmaci oftalmici: la biodisponibilità oculare Nella stragrande maggioranza dei casi i farmaci oftalmici per il trattamento delle patologie del segmento anteriore dell’occhio vengono somministrati per via topica, instillandoli o applicandoli nell’area precorneale, cioè sulla superficie della cornea o nel sacco congiuntivale. I processi cinetici di assorbimento, distribuzione ed eliminazione oculare conseguenti alla somministrazione topica delle diverse formulazioni oftalmiche sono complessi e influenzati, oltre che dalle caratteristiche del farmaco e della formulazione, anche da fattori fisiologici. Per comprendere la farmacocinetica oculare è necessario considerare l’assorbimento/eliminazione del farmaco in tre distretti oculari: 1) area precorneale (superficie oculare e sacco congiuntivale); 2) cornea; 3) camera anteriore.

16.1.2.1 Assorbimento nell’area precorneale

I fenomeni che hanno luogo nell’area precorneale, cioè sulla superficie oculare e nel sacco congiuntivale, sono critici ai fini della determinazione della quantità di farmaco che sarà disponibile per esercitare l’effetto farma-

Flusso umore acqueo
Corpi ciliari
Corpo vitreo
Canale di Schlemm
Camera anteriore
Iride
Lente
Vaso coroidale

Farmaci biologici, biotecnologici e medicinali per le terapie avanzate 19

Maria Luisa Torre, Gianfranco Pasut, Paolo Caliceti, Elia Bari, Mariangela Garofalo, Francesca Mastrotto, Giuseppe De Rosa, Stefano Salmaso, Delia Mandracchia, Alessio Malfanti, Sara Perteghella, Giovanni Tosi

I farmaci biologici sono prodotti terapeutici spesso definiti come “farmaci di nuova generazione” in quanto si distinguono dai farmaci cosiddetti “tradizionali” ottenuti per lo più per sintesi chimica. I farmaci biologici si sono affermati sempre più negli ultimi decenni nel trattamento di numerose patologie, grazie alla loro unicità e selettività d’azione. A partire dagli anni 2000 normative sempre più precise e stringenti ne hanno definito i requisiti di qualità per il loro impiego in terapia.

19.1 Definizione di farmaco biologico e biotecnologico

La parte I dell’allegato I della direttiva n. 2001/83/CE (modificata dalla direttiva n. 2003/63/CE) definisce un medicinale biologico come un prodotto il cui principio attivo è una sostanza biologica prodotta o estratta da una fonte biologica e che necessita di una combinazione di test fisico-chimico-biologici per la sua caratterizzazione e per la determinazione della sua qualità, insieme al processo di produzione e al suo controllo. Pertanto, i farmaci biologici sono prodotti o estratti da tessuti/organi animali e vegetali oppure da colture cellulari procariotiche/eucariotiche oppure dal sangue/plasma (come, per esempio, l’albumina, le immunoglobuline e i fattori di coagulazione), ma possono essere anche prodotti naturali, come gli allergeni per la terapia desensibilizzante nei pazienti allergopatici, i vaccini batterici e virali o le citochine ottenute da linee non continue.

I farmaci biotecnologici sono un sottoinsieme dei farmaci biologici che hanno la caratteristica di essere prodotti attraverso procedure che includono tecnologie del DNA ricombinante, espressione controllata di geni che codificano per proteine biologicamente attive nei procarioti e negli eucarioti, metodi con ibridomi ecc. Esempi di farmaci biotecnologici sono proteine come anticorpi monoclonali e citochine, mRNA e pDNA terapeutici e i prodotti medicinali per le terapie avanzate (Advanced Therapy Medicinal Products, ATMP).

Secondo questa definizione, l’insulina è un farmaco biologico se viene prodotta per estrazione da pancreas,

mentre è un farmaco biotecnologico se prodotta da cellule ingegnerizzate mediante manipolazione genetica. Esistono tuttavia delle differenze tra i diversi Paesi sulla definizione dei farmaci biologici. Per esempio, negli Stati Uniti la Food and Drug Administration (FDA) ha modificato nel 2020 la sua definizione di prodotto biologico. Nello specifico, nella precedente definizione tra i prodotti biologici venivano incluse proteine (escluso qualsiasi polipeptide sintetizzato chimicamente). Nella nuova definizione con il termine proteina si intende qualsiasi polimero di α-amminoacidi con una sequenza specifica e definita superiore a 40 amminoacidi (compresi i polipeptidi sintetizzati chimicamente). In questo caso, quindi, anche le insuline sintetizzate chimicamente sono considerate farmaci biologici. Nella seguente trattazione faremo tuttavia riferimento alla normativa europea.

I farmaci biologici costituiti da peptidi e proteine possono essere small biologics, ovvero a basso grado di complessità, dimensioni e peso molecolare, come l’insulina o la somatotropina, oppure large biologics, con strutture più complesse e dimensioni e peso molecolare maggiori, come gli anticorpi monoclonali.

Dallo sviluppo dei primi farmaci biologici (l’insulina è stata il primo farmaco biologico approvato nel 1982 dalle agenzie regolatorie per uso terapeutico), è oggi disponibile un elevato numero di questi farmaci biologici per numerose terapie e si prevede che il valore del mercato dei farmaci proteici raggiungerà quasi i 720 miliardi di dollari entro il 2030.

I farmaci biologici offrono opportunità terapeutiche uniche e spesso superiori rispetto ai farmaci tradizionali, in quanto hanno un’elevata specificità d’azione. I farmaci biologici, infatti, sono efficaci in modo mirato e selettivo verso una singola struttura, recettore, proteina o sequenza di DNA. Tuttavia, rispetto ai farmaci classici, i farmaci biologici presentano una maggiore complessità strutturale (Figura 19.1) che si riflette in:

• costi di produzione più elevati;

• maggiore difficoltà di purificazione e caratterizzazione;

• maggiore instabilità;

• spesso presentano caratteristiche biofarmaceutiche e farmacocinetiche inadeguate, e quasi sempre necessitano della somministrazione parenterale;

• maggiore difficoltà di formulazione.

Mentre tipicamente il processo di produzione di un farmaco di sintesi è ben definito e consente di produr-

atomi Anticorpi IgG ~25000 atomi

Complessità

Figura 19.1 Grado di complessità e dimensioni dei farmaci biologici rispetto ai farmaci di sintesi. Le piccole molecole di sintesi possono essere paragonate a semplici e piccole barche a remi; la complessità/dimensione aumentano progressivamente per raggiungere quelle di un’astronave per i prodotti medicinali per le terapie avanzate (Advanced Therapy Medicinal Products, ATMP).

re grandi quantitativi di prodotto con elevato grado di purezza e di riproducibilità, le tecniche di produzione dei medicinali biologici sono articolate, possono durare mesi, sono di complesso scale-up e comportano difficoltà nell’ottenimento di un prodotto con elevato grado di purezza e riproducibilità. Le caratteristiche del prodotto finito dipendono infatti da vari fattori, talvolta difficilmente controllabili e legati al substrato biologico/ organismo usato per la produzione del principio attivo (cellula ospite utilizzata, plasmidi impiegati per trasfettare la cellula ospite), alle condizioni di crescita/fermentazione, alla possibile manipolazione genetica, nonché alle metodiche di estrazione e purificazione adottate. La variabilità intrinseca delle molecole e la complessità delle tecniche di produzione rendono i farmaci biologici particolarmente difficili da caratterizzare e da riprodurre, al punto che possono sussistere differenze anche tra lotti ottenuti con le stesse metodiche di produzione. In altre parole, la struttura molecolare dei farmaci biologici è strettamente dipendente dal processo di produzione, tanto che si può dire che “il processo è il prodotto”. Qualunque piccola modifica durante la produzione può influenzare la composizione qualitativa e quantitativa del prodotto finito, con conseguenze imprevedibili sulla sua efficacia terapeutica e sulla sua sicurezza. Di conseguenza, se per qualunque prodotto medicinale la qualità farmaceutica deve essere costruita durante tutto il processo di produzione attraverso il quality by design (vedi Capitolo 7), ciò è ancor più importante per i farmaci biologici e in particolare per i farmaci biotecnologici, i cui controlli devono essere più stringenti. Un tipico processo di produzione per un farmaco di sintesi richiede almeno 40–50 analisi, mentre quello di un farmaco biologico potrebbe richiedere oltre 250 analisi. La riproducibilità tra lotti è dunque garantita dall’impiego di procedure produttive altamente standardizzate e dimostrata dal confronto, mediante saggi biochimici, biofisici e funzionali delle caratteristiche del lotto generato rispetto a quelli precedenti. La stretta dipendenza tra processo di produzione e prodotto finito rende difficile modificare il processo produttivo. Eventuali modifiche del processo produttivo devono infatti

essere chiaramente razionalizzate e, attraverso procedure di convalida, occorre dimostrare che con la modifica non si generi un prodotto finale con caratteristiche di efficacia e sicurezza diverse rispetto a quello ottenuto col processo originario.

Alla luce di quanto sopra esposto è evidente il motivo per cui i farmaci biologici, copie dei farmaci originali non più soggetti a copertura brevettuale (detti “originator”), non possono essere definiti dei farmaci generici, ma prendono il nome di farmaci biosimilari. Essi, infatti, sono medicinali simili per qualità, efficacia e sicurezza ai farmaci biologici di riferimento, ma possono presentare piccole differenze dovute a un certo grado di variabilità intrinseca, dovuta alla loro natura complessa e alle tecniche di produzione (per esempio nelle modifiche post-traduzionali come il grado di glicosilazione o la composizione dei glicani stessi). Pertanto, alla scadenza del brevetto di un farmaco biologico non è possibile seguire lo stesso iter regolatorio definito per la registrazione dei farmaci generici, ma è necessario fare riferimento alla normativa dei farmaci biosimilari, come descritto nel Capitolo 1.

Un’altra caratteristica dei prodotti biologici è che l’attività farmacologica non viene generalmente espressa in termini di quantità di principio attivo determinato mediante metodi chimico-fisici, ma in termini di attività biologica (potency) misurata con opportuni saggi ed espressa in unità internazionali (UI). L’unità internazionale di attività biologica è stabilita dal Comitato per la standardizzazione biologica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che individua una preparazione di riferimento dell’agente biologicamente attivo, stabilisce arbitrariamente il numero di UI in essa contenute e specifica una procedura biologica per confrontare altre preparazioni dello stesso agente con quella di riferimento.

Anche per il farmaco biologico e biotecnologico, l’ottimizzazione della formulazione è uno step fondamentale. La sostanza farmacologicamente attiva deve raggiungere inalterata il sito d’azione nei tempi e nelle quantità appropriate. Tuttavia, l’elevato peso molecolare e grado di complessità, l’instabilità in vitro e in vivo e la bassa biodisponibilità, rendono la formulazione dei

Piccole molecole di sintesi Aspirina 21 atomi Small biologic

farmaci biologici particolarmente difficoltosa. Infatti, i processi tecnologici di produzione di medicinali spesso impiegano condizioni operative (per esempio pH, temperatura, solventi organici, agitazione) non sempre compatibili con la stabilità di questi prodotti, caratterizzati da strutture particolarmente fragili. Infine, la conservazione del prodotto farmaceutico rappresenta un ulteriore elemento critico per la formulazione. Pertanto, i problemi di produzione, conservazione e veicolazione dei farmaci strettamente connessi alla forma farmaceutica, diventano ancora più importanti per i farmaci biologici.

19.2 Farmaci proteici

19.2.1 Storia dei farmaci proteici

Grazie ai progressi degli ultimi decenni nell’ambito dell’ingegneria genetica e della biologia molecolare, i farmaci a struttura proteica hanno acquisito un ruolo sempre più importante, e in alcuni casi unico, nel trattamento di molte patologie. Una delle prime applicazioni terapeutiche basata sull’azione di proteine è stato nel 1891 con il siero contro la difterite, sviluppato da Emil von Behring con il contributo di Paul Ehrlich. Grazie agli anticorpi in esso presenti, il siero contro la difterite bloccava l’azione della tossina difterica, salvando la vita ai pazienti. Inizialmente, i farmaci proteici erano prodotti biologici di origine animale e si ottenevano per estrazione dagli organi. Un esempio paradigmatico è l’insulina, che venne per la prima volta somministrata a un paziente diabetico nel 1922 dopo essere stata estratta dal pancreas bovino, permettendo così il trattamento di questa patologia. Anche se attualmente la maggior parte delle proteine terapeutiche viene ottenuta mediante la tecnologia del DNA ricombinante, tramite l’espressione di proteine in cellule procariote o eucariote, le proteine, animali o umane di origine estrattiva sono ancora utilizzate in terapia. È il caso, per esempio, dell’insulina bovina o suina, del fattore VIII (FVIII) della coagulazione o dei primi anticorpi policlonali contro il virus SARS-CoV-2, ottenuti dal plasma di pazienti guariti dalla malattia. Tuttavia, la tecnologia estrattiva, pur avendo svolto un ruolo fondamentale in passato, presenta limitazioni sia in termini di costi sia di rischio di trasmissione di patologie. Attualmente, l’ampia diffusione dei farmaci proteici è stata possibile grazie alla tecnologia del DNA ricombinante, che ha permesso la produzione di farmaci biotecnologici su larga scala con costi più contenuti rispetto a quelli richiesti dai processi di estrazione da tessuti animali. Anche in questo caso, nel 1982 l’insulina è stata la prima proteina ricombinante autorizzata per uso terapeutico (Humalin®, Lilly). Nel corso dello sviluppo di farmaci biotecnologici, gli anticorpi sono diventati una delle principali famiglie di questi agenti terapeutici. Negli anni ’70, grazie allo sviluppo della tecnologia dell’ibridoma, è stato possibile ottenere quantità elevate di anticorpi monoclonali (mAb), ovvero derivanti da un singolo clone di linfociti. Questa tecnologia ha portato nel 1986 all’approvazione del primo mAb a uso

Murinico Chimerico Umano Umanizzato

Sequenze murine Sequenze umane

Figura 19.2 Struttura di un anticorpo monoclonale murinico, chimerico, umanizzato e umano.

terapeutico, il muromonab-CD3 (OKT3), che però presentava una sequenza murina immunogenica che ne limitava l’impiego. Lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare, di phage display e l’impiego di animali transgenici hanno permesso di sviluppare mAb chimerici e umanizzati, fino ad arrivare a mAb con struttura completamente umana, di cui l’adalimumab (Humira®), approvato nel 2002, è il capostipite (Figura 19.2).

La biologia molecolare ha perciò consentito un enorme progresso nella produzione e utilizzo dei farmaci proteici e in particolare degli anticorpi, che in alcuni casi sono stati progettati per regolare specifici meccanismi cellulari mimando l’attività di proteine umane con struttura anche molto diversa. Un esempio di anticorpo che mima la funzione di proteine umane è l’emicizumab (Hemlibra®), un mAb bispecifico che svolge il ruolo del fattore VIII della coagulazione.

Altri esempi di proteine biotecnologiche con struttura non naturale sono le proteine di fusione, ottenute dalla fusione di due geni codificanti due diverse proteine che esprimono nuove molecole di natura proteica da utilizzare in terapia.

Alla crescente offerta di farmaci proteici corrispondono nuove sfide per ottimizzare la loro formulazione, soprattutto per garantirne la stabilità nel lungo periodo, requisito indispensabile per l’utilizzo nella pratica clinica. Infatti, i farmaci proteici sono molecole fragili che facilmente si denaturano o si degradano. Inoltre, questi farmaci presentano inadeguate caratteristiche farmacocinetiche e un potenziale antigenico e immunogenico che ne limitano l’impiego.

19.2.2 Vie di degradazione/denaturazione e stabilizzazione dei farmaci proteici

Le proteine sono molecole complesse, costituite da combinazioni variabili dei 20 principali l-α-amminoacidi proteinogenici, la cui sequenza ne determina la struttura primaria. La struttura tridimensionale secondaria, terziaria e quaternaria origina da diverse interazioni sia amminoacido-amminoacido, sia covalenti (ponti disolfuro), sia non covalenti (legami idrogeno, di van der Waals, ionici e interazioni idrofobiche), sia amminoacido-acqua. I farmaci proteici devono necessariamente conservare la loro struttura tridimensionale nativa per mantenere l’attività biologica e per evitare reazioni immunogeniche da parte dell’organismo ospite, dovute al

riconoscimento di epitopi conformazionali non propri dell’organismo ospite stesso (not-self).

Prima di descrivere gli approcci formulativi utilizzati per la stabilizzazione delle proteine terapeutiche, è necessario conoscerne le vie di degradazione e individuare i meccanismi su cui intervenire per la stabilizzazione.

La degradazione di una proteina può avvenire con due meccanismi fondamentali: 1) la degradazione chimica, che induce l’alterazione della struttura primaria; 2) la denaturazione, a carico della struttura tridimensionale (secondaria, terziaria e quaternaria).

Rispetto ai farmaci di sintesi, che in genere subiscono solo degradazioni chimiche in numero limitato e ben definito, una proteina è caratterizzata da un maggior livello di complessità, dato dalle diverse reazioni chimiche che possono coinvolgere gli amminoacidi e dall’effetto di queste sulla possibile denaturazione e viceversa (Figura 19.3). Questa complessità, insita nella struttura proteica, impedisce di predirne la velocità di degradazione/denaturazione complessiva.

Poiché sulla base della legge di Arrhenius le degradazioni chimiche avvengono con una velocità che aumenta linearmente con l’incremento della temperatura, è possibile condurre studi di degradazione accelerata a temperature crescenti, che permettono di estrapolare la velocità di una specifica reazione di degradazione a temperatura ambiente (vedi Capitolo 25). Diversamente, la velocità di denaturazione ha tendenzialmente un andamento esponenziale che è più difficile da predire. Inoltre, si deve considerare che la denaturazione di una proteina, per esempio un cambiamento conformazionale, può comportare l’esposizione all’acqua di residui amminoacidici che nella forma nativa sono nascosti all’interno della struttura proteica (core proteico), esponendo così quei residui anche a degradazioni chimiche (per esempio idrolisi) che non avverrebbero nella forma nativa della proteina. La difficoltà di predizione della velocità di degradazione/denaturazione si riflette sullo sviluppo formulativo di un farmaco proteico. Infatti, per dimostrare in modo inequivocabile alle agenzie regolatorie la reale stabilità del farmaco proteico

Instabilità

Proteina denaturata Proteina nativa

Proteina adsorbita

Proteina aggregata

Precipitato

Instabilità chimica

Deammidazione

Ossidazione

Idrolisi

Racemizzazione

Isomerizzazione

β-Eliminazione

Scambio di disolfuro

nel periodo previsto per la conservazione e l’utilizzo in terapia, gli studi di stabilità di questi farmaci vengono condotti sulla proteina in formulazione nel contenitore primario previsto per la formulazione (per esempio siringhe pre-riempite o flaconcini) nelle condizioni di conservazione (per esempio 2–8 °C) per l’intera durata del periodo di validità (massimo due anni).

19.2.2.1 Degradazione chimica delle proteine

La degradazione chimica delle proteine può coinvolgere tutti gli amminoacidi che la costituiscono. Tale tipo di degradazione è più rilevante per una proteina formulata in veicolo acquoso e conservata a 2–8 °C rispetto alla stessa proteina liofilizzata o congelata. Infatti, una proteina in soluzione possiede sufficiente energia per indurre cambiamenti conformazionali che, se diventano irreversibili, portano alla perdita della conformazione nativa, esponendo gli amminoacidi del core proteico all’ambiente acquoso. Anche le molecole di acqua possiedono sufficiente energia da promuovere diverse reazioni di degradazione.

Minore è la temperatura, minore è l’energia libera del sistema e quindi minore è l’energia delle molecole proteiche (minori movimenti conformazionali) e minore è l’energia delle molecole di acqua. Pertanto, una soluzione congelata (tra − 80 e − 20 °C) riduce la velocità delle reazioni chimiche rispetto a una soluzione refrigerata (2–8 °C).

Come riportato nelle successive sezioni, la degradazione chimica può coinvolgere più amminoacidi in posizioni diverse e in percentuali diverse, comportando quindi la generazione di molteplici prodotti di degradazione. Ne consegue che il numero di prodotti di degradazione ottenibili dalle diverse combinazioni delle specifiche reazioni è potenzialmente elevatissimo (2n con n = numero di amminoacidi degradati considerando una singola reazione di degradazione possibile per amminoacido), anche se l’identificazione di molti prodotti di degradazione risulta analiticamente impossibile data l’esigua concentrazione. Per questa ragione, sono necessarie tecniche di analisi sempre più accurate e sensibili per identificare le principali vie di degradazione al fine di sviluppare formulazioni stabili per il tempo utile al loro impiego clinico.

In uenza reciproca

Figura 19.3 I percorsi di degradazione e denaturazione proteica più rilevanti. Basata su Florence A.T., Le basi chimico-fisiche della Tecnologia farmaceutica, Edises, 2002.

Deammidazione La deammidazione è l’idrolisi del gruppo ammidico presente nella catena laterale di asparagina (Asn) o, meno frequentemente, di glutammina (Gln) che porta alla formazione dei corrispondenti amminoacidi carbossilati: acido aspartico (Asp) e acido glutammico (Glu). La reazione procede tramite la formazione dell’ammide ciclica, che viene idrolizzata poi da una molecola di acqua per formare l’amminoacido carbossilato (Asp o Glu) o il suo omologo iso (β-Asp e β-Glu), come indicato nella Figura 19.4. Inoltre, la l-succinimide ciclica che si forma può convertirsi a d-succinimide per tautomeria cheto-enolica, la cui idrolisi porta alle forme d degli amminoacidi sopracitati. L’ammide ciclica si può formare anche da Asp e la sua idrolisi, oltre

19.4 Via di deammidazione dell’asparagina per formare acido aspartico (Asp) o isoaspartico (β-Asp) in configurazione

alla possibilità di riformare lo stesso amminoacido, può portare alla formazione dei prodotti di degradazione sopra descritti (β-Asp e d-Asp). Pertanto, anche se con il termine deammidazione si intende semplicemente la formazione dei corrispettivi amminoacidi carbossilati, è evidente che questa via di degradazione può portare alla formazione di diversi prodotti. Si consideri che le sequenze glicina-glutammina (Gly-Gln) e glicina-asparagina (Gly-Asn) sono particolarmente sensibili alla deammidazione.

Essendo una reazione che può esser acido- o basecatalizzata, la reazione di deammidazione presenta una forte dipendenza dal pH. Tamponi leggermente acidi riducono il rischio di degradazione. Valori più acidi, per esempio prossimi a 5, possono ridurre ulteriormente la deammidazione. A pH > 7 gli ioni di alcuni tamponi possono catalizzare la deammidazione. Pertanto, è necessario selezionare il tampone migliore e usarlo nella minima concentrazione possibile.

I diversi eccipienti aggiunti alla formulazione possono influire sulla deammidazione, in quanto agiscono sul pH, sulla costante dielettrica (per esempio il glicerolo riduce la costante dielettrica riducendo anche il rischio di deammidazione) e sulla viscosità della soluzione.

Nelle formulazioni liofilizzate in cui la mobilità del backbone della proteina è ridotta e il contenuto di acqua è molto basso, il rischio di deammidazione è ridotto rispetto alla formulazione liquida.

La deammidazione può essere determinata mediante spettrometria di massa, data la differenza di 1 Da tra ogni coppia di amminoacidi (Asn/Asp o Gln/Glu), ma in assenza di standard questa tecnica non è quantitativa. Accoppiando la spettrometria di massa alla tecnica del peptide mapping (digestione enzimatica, per esempio con tripsina, della proteina che forma quindi una serie di peptidi), è possibile identificare esattamente l’amminoacido che tende a deammidare. Alternativamente la deammidazione può essere determinata mediante cromatografia a scambio ionico, grazie alla differenza di carica (acquisizione di una carica negativa nel prodotto di degradazione per ogni amminoacido che viene degradato).

Ossidazione L’ossidazione è una reazione degradativa molto frequente, che può coinvolgere molti amminoacidi, oltre agli eccipienti della formulazione del farmaco proteico. L’ossidazione è mediata da specie reattive dell’ossigeno (ROS, quali perossido d’ossigeno, anione superossido, radicali idrossilici, ossigeno singo-

Figura

letto ecc.), la cui formazione è generalmente catalizzata da metalli o dall’esposizione alla luce, ma può avvenire anche per altri meccanismi. Amminoacidi particolarmente sensibili alla reazione di ossidazione sono:

• metionina (Met), ossidata a Met-sulfossido o sulfone, particolarmente importante per le proteine ricombinanti espresse da Escherichia coli, che in genere hanno Met come primo amminoacido necessario per la sintesi proteica nei procarioti e con la porzione N-terminale che è solitamente molto esposta al solvente acquoso;

• triptofano (Trp), che dà origine a diversi prodotti di degradazione;

• tirosina (Tyr), che forma molecole di di-Tyr che costituiscono legami intermolecolari covalenti tra più proteine favorendo l’aggregazione;

• istidina (His), che viene ossidata a 2-oxo-His.

Dato che il coinvolgimento degli specifici amminoacidi dipende dalla loro esposizione al solvente, parziali denaturazioni fisiche della struttura proteica possono causare diversi gradi di ossidazione.

Per ridurre la degradazione ossidativa di una proteina è necessario eliminare la principale fonte dei ROS: l’ossigeno. A tal fine, l’aria viene sostituita con azoto o argon all’interno dei contenitori finali e le soluzioni impiegate vengono opportunamente degassate. Inoltre, è utile aggiungere eccipienti con azione antiossidante e agenti chelanti (per esempio EDTA, citrato) in grado di sequestrare i metalli che hanno un’azione catalitica. Per tutti gli eccipienti deve essere quindi verificata l’assenza di metalli, che catalizzano la formazione di ROS.

È importante considerare il pH della soluzione, perché esso può influire sulla velocità di formazione dei ROS, sull’attività degli agenti chelanti e sulla conformazione della proteina, influenzando di conseguenza l’esposizione al solvente di alcuni amminoacidi facilmente ossidabili. Inoltre, eccipienti a base di polieteri (PEG, Tween® 80 ecc.) nel lungo periodo tendono a formare perossidi che ossidano le proteine e a rilasciare formaldeide che agisce da agente reticolante formando legami tra unità proteiche. Zuccheri e molecole poli-idrossiliche (mannitolo, glicerolo ecc.) possono ridurre la velocità di degradazione delle proteine sia agendo come scavenger, ossidandosi al posto della proteina, sia operando una blanda complessazione dei metalli. È preferibile utilizzare zuccheri non riducenti, per evitare che nel tempo si verifichino reazioni di Maillard. È opportuno tenere presente che il vetro dei contenitori (siringhe o flaconi) può rilasciare piccole quantità di metalli che catalizzano l’ossidazione. Il packaging del contenitore deve inoltre proteggere la soluzione dalla luce, per evitare la generazione di ROS catalizzata dalle radiazioni luminose.

La degradazione di una proteina coinvolge molti amminoacidi e pertanto lo studio di ossidazione è complesso. Per verificare l’ossidazione di una proteina si possono usare diverse tecniche, per esempio l’elettroforesi su gel (SDS-PAGE) che evidenzia aggregati dati da

d-tirosine e/o ponti disolfuro oppure la spettrometria di massa, eventualmente accoppiata al peptide mapping e a varie tecniche cromatografiche.

Idrolisi L’idrolisi, o proteolisi o clipping, è la scissione idrolitica del legame peptidico tra due amminoacidi. Particolarmente sensibili a questa reazione sono le sequenze acido aspartico-prolina (Asp-Pro), in cui la ciclizzazione di Asp favorisce l’idrolisi. Poiché l’idrolisi avviene per interazione con l’acqua, le sequenze peptidiche più esposte al solvente sono quelle più facilmente idrolizzate. Tale degradazione è rilevante in quanto porta a frammentazione e quindi facilmente a perdita dell’attività delle proteine. Per esempio, è nota la sensibilità proteolitica della regione hinge (cerniera) degli anticorpi che induce la perdita della porzione Fab′, fondamentale per l’efficacia terapeutica.

L’idrolisi è una reazione acido-catalizzata e quindi la sua velocità è fortemente influenzata dal pH della soluzione. Pertanto, la prima strategia formulativa consiste nel tamponare il pH al valore cui la cinetica di reazione è minima. È stato però dimostrato che sia l’aumento della forza ionica sia la presenza di alcuni particolari tamponi possono catalizzare la reazione di idrolisi. Per esempio, il macrophage colony stimulating factor (MCSF) umano va incontro a idrolisi in tamponi fosfato, mentre allo stesso pH e forza ionica non subisce questa degradazione in tampone di istidina.

Poiché i siti proteici più sensibili all’idrolisi sono quelli più flessibili e non strutturati, un’altra strategia formulativa di stabilizzazione consiste nell’impiego di eccipienti che aumentano la rigidità della proteina. Inoltre, dal momento che la cinetica di tale reazione segue la legge di Arrhenius, è opportuno conservare le soluzioni acquose proteiche a basse temperature. Infine, la reazione d’idrolisi richiede la presenza di acqua, e quindi il suo allontanamento mediante liofilizzazione rappresenta la strategia migliore per prevenire questo tipo di degradazione.

La rottura del legame peptidico tra due amminoacidi genera peptidi che possono essere facilmente identificati mediante spettrometria di massa, cromatografia a scambio ionico o a fase inversa ecc.

Glicazione Alcuni eccipienti aggiunti per stabilizzare i farmaci proteici possono reagire con le proteine o generare molecole in grado di degradare alcuni amminoacidi. Per esempio, uno zucchero riducente può reagire con il gruppo amminico della lisina (Lys). Questa reazione, nota come reazione di glicazione o reazione di Maillard, porta all’imbrunimento della proteina.

La reazione di Maillard richiede la presenza di uno zucchero riducente (per esempio glucosio, fruttosio, lattosio ecc.) in grado di formare un gruppo aldeidico o chetonico nella forma aperta. Tali zuccheri sono da evitare nelle formulazioni di proteine, soprattutto nella liofilizzazione in cui alcuni zuccheri sono impiegati come crioprotettori, in particolare di saccarosio. Sebbene questo zucchero sia un disaccaride non riducente, la lenta idrolisi che avviene a pH < 6 può generare durante la conservazione quantità significative di glu-

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A cura di Paolo Caliceti Tecnologia farmaceutica

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Negli ultimi anni la scienza e la tecnologia farmaceutiche sono state investite da un cambiamento rapido e in alcuni casi rivoluzionario. Sono state acquisite nuove conoscenze e tecniche formulative basate sulle nanotecnologie, si sono consolidate tipologie innovative di prodotti terapeutici ad alto contenuto tecnologico – come quelli richiesti per la somministrazione di farmaci biologici (proteici e nucleotidici), che necessitano approcci formulativi specifici e “non convenzionali” –e sono state sviluppate tecnologie avanzate per la produzione di medicinali. Tecnologia farmaceutica nasce sotto l’egida della Società Italiana di Tecnologia e Legislazione Farmaceutiche (SITELF) come strumento di studio e di approfondimento richiesto da questi importanti cambiamenti. Ha le proprie radici in Principi di Tecnologia farmaceutica di Colombo et al., di cui conserva molte caratteristiche, inserendole però in un percorso didattico interamente nuovo nella struttura e nei contenuti, con maggiori approfondimenti e nuovi capitoli dedicati a specifici argomenti della formulazione (compresi i sistemi terapeutici a RNA) e dello sviluppo farmaceutico. Alla realizzazione di questo testo ha partecipato un elevato numero di docenti, afferenti a tutte le istituzioni accademiche italiane, oltre a persone provenienti dall’industria farmaceutica, esperte in specifiche tematiche applicative. Il risultato è un’opera condivisa, che restituisce la complessità della scienza farmaceutica attraverso un percorso razionale e coerente, una scrittura omogenea e oltre cinquecento immagini esplicative a colori.

L’ampio spettro di competenze coperto va dalla conoscenza delle caratteristiche biofarmaceutiche, chimico-fisiche, termodinamiche e fisiche delle formulazioni farmaceutiche alla padronanza dei processi produttivi e dello sviluppo delle forme medicinali, del loro confezionamento e dello studio di stabilità, nonché degli aspetti regolatori in tutte le loro declinazioni.

I diritti d’autore per la vendita di questo libro saranno devoluti alla Società Italiana di Tecnologia e Legislazione Farmaceutiche (SITELF).

Paolo Caliceti è professore ordinario di Tecnologia farmaceutica all’Università degli Studi di Padova, in cui è stato direttore del Dipartimento di Scienze del farmaco. È stato presidente ADRITELF/SITELF, della Divisione di Tecnologia farmaceutica della SCI e di CRS Italy Local Chapter. La sua attività scientifica è stata riconosciuta a livello internazionale per lo studio di sistemi nanotecnologici innovativi per il drug delivery.

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