Cricco, Di Teodoro, itinerario nell'arte - ed. verde

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Francesco Paolo Di Teodoro, Giorgio Cricco

Itinerario nell’arte edizione verde e arancione

Laboratorio sulle nuove edizioni e novità 2021


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Visita le sale sull’arte greca arcaica nel Museo digitale

La Grecia arcaica. L’inizio della civiltà occidentale Un mondo in trasformazione

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opere

▪ Kleobi e Bitone ▪ Hera di Samo

▪ Frontone occidentale del Tempio di Zeus a Olimpia

tecniche

▪ La pittura a figure

nere e rosse

▪ La voluta ionica

Ferro e fuoco appaiono come gli elementi caratterizzanti la grande crisi che a partire dal XII secolo a.C. mutò profondamente gli equilibri di una vasta area geografica estesa a cavallo tra Europa e Asia. I segni di incendi e distruzioni rintracciati sulle costruzioni di molti centri urbani narrano infatti di disordini, scorrerie, assedi e saccheggi, mentre l’impiego del ferro sta invece a significare la trasformazione epocale che contrassegnò il passaggio dal II al I millennio a.C. Meno costoso, più facile da reperire e da lavorare rispetto al bronzo, una volta elaborate le tecniche necessarie, il ferro conobbe in questo periodo ampia diffusione, segnando una rivoluzione democratica nello sviluppo dell’arte della guerra fino ad allora monopolizzata da una ristretta élite di guerrieri. L’utilizzo di armi in ferro divenne infatti accessibile anche alle popolazioni che vivevano in regioni povere, scuotendo gli equilibri sociali tradizionali e fornendo a intere popolazioni formidabili strumenti di attacco e di difesa. Il passaggio dall’età del bronzo all’età del ferro si inquadra dunque nei grandi sconvolgimenti che durante la crisi del XII secolo a.C. investiranno regni e civiltà, traghettando il mondo antico verso nuovi assetti politici, economici e sociali. Se il regno d’Egitto riuscì a superare tale difficile congiuntura conservando comunque la propria identità politica e territoriale, drastico fu il ridimensionamento della sua influenza in tutta l’area orientale, dove anche

ETÀ DEL BRONZO

Periodo di formazione (1200-650 a.C.) ⦁1200 a.C.

⦁1100 a.C.

1100 a.C. «Medioevo ellenico» Prima colonizzazione

⦁ 1000 a.C.

1000-900 a.C. Nascita della polis

ca 1000-950 a.C. Stile protogeometrico Anfora

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⦁ Unità II   La Grecia

Medioevo e rinascita ⦁ Insieme agli Ittiti, anche i Mi-

cenei abbandonarono la scena, sommersi dal dilagare dei Dori, popolazione anch’essa originaria dal ceppo indoeuropeo che cancellò la civiltà palaziale dal Peloponneso a Creta, dalle isole Cicladi alle coste occidentali dell’Asia Minore. Questo impulso migratorio mise in moto spostamenti di altre popolazioni stanziate nella Grecia continentale, come gli Ioni e gli Eoli, parte delle quali attraversarono l’Egeo per formare nuove colonie e consolidare la presenza greca oltremare. Si tratta della cosiddetta prima colonizzazione greca. A tale espansione migratoria si contrappose una forte contrazione dello sviluppo economico e sociale, da cui prese forma il cosiddetto Medioevo ellenico. Le notizie e le testimonianze su questo periodo sono assai limitate, ma è certo che fu caratterizzato da una drastica diminuzione della popolazione e della ricchezza, cui si affiancò un regresso culturale testimoniato addirittura dalla scomparsa della scrittura. Fu

ETÀ DEL FERRO

Periodo proto-geometrico (1050-900 a.C.)

1194-1184 a.C. Data tradizionale della guerra di Troia

il regno assiro registrò un forte indebolimento. Questo vuoto di potere lasciò spazio tanto alla migrazione nella regione di nuove popolazioni (tra le quali gli Ebrei) quanto all’affermazione di altre, prima fra tutte quella dei Fenici, stanziati sulla stretta fascia territoriale che nella regione libanese separa le montagne dal mare. Nella penisola anatolica (che gli antichi chiamavano Asia Minore) invece, il disfacimento del regno ittita portò alla nascita di piccoli principati, impegnati a contendersi l’eredità culturale del grande impero scomparso.

⦁900 a.C.

⦁800 a.C.

Periodo geometrico (900-700 a.C.)

900 a.C. Nascita della civiltà etrusca

776 a.C. Primi giochi olimpici 760-750 a.C. Stile geometrico Anfora del lamento funebre

⦁700 a.C.

Periodo orientalizzante (700-600 a.C.)

753 a.C. Fondazione di Roma

700 a.C. Inizio seconda colonizzazione

725-700 a.C. Primi templi


questa un’epoca confusa e oscura, ma già nel corso del X secolo a.C. iniziarono a filtrare le luci di una ripresa che interessò tutto il Mediterraneo orientale. In Mesopotamia gli Assiri provvidero alla ricostruzione del loro regno espandendone i confini, mentre l’Egitto ricominciò a tessere i legami con la costa orientale del Mediterraneo. Se la formazione sulle sponde della penisola anatolica dei regni di Lidia e di Frigia, patria quest’ultimo del leggendario re Mida dal tocco d’oro, favorì la semplificazione del mosaico di piccoli stati e portò a un’intensificazione delle attività commerciali, in Grecia la ripresa iniziò a delinearsi attraverso la crescita demografica e il ristabilimento dei contatti con l’esterno. Importante in tale quadro fu probabilmente la funzione di intermediazione svolta dai Fenici, così chiamati dai Greci per la loro abilità nella produzione della ricercatissima tintura rosso porpora (phoinìkes in greco), segno di prestigio e distinzione che il mondo antico ha tramandato a quello moderno. Dalle loro città portuali aggrappate sulla costa libanese, i Fenici si resero protagonisti di una redditizia triangolazione commerciale tra Egitto, Anatolia e Mesopotamia che poggiava nelle isole di Creta e di Cipro quali punti di contatto tra la Grecia continentale e il Vicino Oriente. Alla ripresa degli scambi commerciali si associò quella degli scambi culturali che portarono tra l’VIII e il VII secolo a.C. alla diffusione tra le popolazioni greche dei modelli di pittura vascolare figurativa sviluppatisi nel Levante; all’imitazione della statuaria monumentale egizia, testimoniata dalle forme dei primi kouroi, e probabilmente anche all’assorbimento della letteratura mitologica mesopotamica, di cui si trovano tracce evidenti nella Teogonìa composta nell’VIII secolo a.C. dal poeta greco Esìodo. Se il ruolo svolto dai Fenici nella tessitura della rete di scambi economici e culturali lungo le rotte del Mediterraneo orientale resta un’ipotesi, assodato è invece il fondamentale contributo offerto da questo popolo di navigatori allo sviluppo della civiltà greca attraverso la trasmissione della scrittura alfabetica, che si diffuse in tutta l’area a partire dalla seconda metà del VIII secolo a.C. La pòlis greca ⦁ È questo anche il periodo in cui i con-

tatti tra le due metà del Mediterraneo, quella orientale e quella occidentale, si fecero più intensi e stabili. I Fenici lungo le coste nordafricane e i Greci lungo le rotte che attraversavano il mare Adriatico o che avevano come punti

di appoggio le grandi isole (Cipro, Creta, Malta, Sicilia, Sardegna, Corsica) raggiungono l’Italia meridionale (che i Latini chiameranno Magna Grecia), la Spagna e le coste mediterranee della Francia. Gli insediamenti diventano colonie e le colonie città, culturalmente legate alla madrepatria ma del tutto autonome e autosufficienti. È la cosiddetta seconda colonizzazione, avvenuta in un periodo compreso fra l’VIII e il V secolo a.C. e dovuta principalmente alla necessità di cercare nuove terre e nuove risorse in un Paese come la Grecia, dal territorio scosceso e difficile da coltivare, che aveva conosciuto in quegli anni una notevole crescita demografica. Tanto nella Grecia continentale, quanto nelle colonie lo sviluppo urbanistico del periodo arcaico non ricalcò il modello palaziale minoico-miceneo, ma si tradusse in una nuova forma di organizzazione sociale e di convivenza civile: la polis. Rispetto alle antiche città-stato mesopotamiche, le pòleis greche si distinsero non solo per la maggiore razionalità nella distribuzione degli spazi, ma anche e soprattutto per i progressi compiuti nella sperimentazione di nuove forme di governo, delle quali costituirono uno straordinario laboratorio. Le troviamo infatti guidate in alcuni casi da un ristretto gruppo di notabili, in altri da tiranni pacificatori emersi dalle lotte tra fazioni, in altri ancora da organi di rappresentanza democratica sempre più audaci, che raggiungeranno la loro più alta espressione in una polis in particolare, Atene, destinata a svolgere un ruolo da protagonista nel passaggio dalla Grecia arcaica alla Grecia classica.

Sfinge funeraria, 550-540 a.C. Marmo, altezza 63 cm. Atene, Museo Archeologico del Ceramico.

Età arcaica (650-480 a.C.)

Età classica (480 a.C.) ⦁600 a.C.

ca 640-630 a.C. Scultura dedalica Dama di Auxerre Stile orientalizzante Olpe Chigi

600-590 a.C. Ordine dorico 610-590 a.C. Tempio di Artemide Scultura dorica a Corfù Kleobi e Bitone Heraion di Olimpia

⦁500 a.C.

480 a.C. Battaglia di Salamina

ca 570 a.C. Pittura a figure nere Vaso François

570-560 a.C. Scultura attica Moscophoros Scultura ionica Hera di Samo

ca 575-560 a.C. Ordine ionico Heràion di Samo

530-520 a.C. Pittura a figure nere Exechias

515-510 a.C. Pittura a figure rosse Euphronios

⦁ 5   La Grecia arcaica. L’inizio della civiltà occidentale

63


Periodo proto-geometrico

5.8 | ←

Vasi greci a decorazione proto-geometrica.

(1050-900 a.C.) Linee, cerchi e onde

La produzione artistica del periodo di formazione giunta ai giorni nostri è molto scarsa e frammentaria, anche se le recenti scoperte archeologiche hanno permesso di definirne meglio i caratteri. Non esistono testimonianze dirette di arte pittorica, in compenso, però, sono stati rinvenuti molti manufatti di arte vascolare (soprattutto vasi in terracotta, anfore, tazze e crateri). Fin dall’inizio la produzione ceramica assume in Grecia vasta importanza e diffusione, dato che l’argilla è una materia prima facile da reperire. In mancanza del vetro (che, pur essendo già noto agli Egizi, era comunque ancora raro e prezioso), la terracotta rappresentava, di fatto, l’unico materiale disponibile per la realizzazione di contenitori di qualsiasi forma e funzione, adatti sia per i liquidi (acqua, vino, olio, profumi) sia per i solidi (grano, farina, frutta, legumi secchi) ●→. Durante tutto il periodo di formazione le superfici di questi oggetti vengono ricoperte con decorazioni a carattere geometrico; il colore usato è il nero, che appare lucido e smagliante risaltando, in particolare, sul fondo color bruno-rossiccio o giallo-ocra della terracotta naturale, che contribuisce ad aumentare il senso di astrazione e di irrealtà comune a tutta la tradizione decorativa di questa fase. I manufatti più antichi rimasti risalgono ai secoli X e IX a.C. e vengono convenzionalmente definiti proto-geometrici (dal greco pròtos, primo) → 5.8 . Il luogo di produzione più importante è Atene che li esporta in tutta l’area egea. Essi sono essenziali sia nelle forme – in questa fase ridotte a una quindicina, per lo più legate alla conservazione e al trasporto dei liquidi – sia nelle decorazioni che, pur se ispirate a modelli cretesi e vicino-orientali, non sono più disposte in maniera casuale, ma secondo un ritmo preciso e ordinato. Le principali decorazioni consistono in linee parallele, rette o ondulate, in genere di uguale spessore, in triangoli a reticolo, in cerchi e semicerchi concentrici e, più raramente, in figure stilizzate di animali. Esse sono distribuite in modo da mettere in risalto la forma del vaso ●↘ e, a tal fine, non ne ricoprono l’intera superficie, ma sono limitate solo ad alcune parti come la spalla (così chiamata in analogia con la nomenclatura del corpo umano) → 5.9 , il labbro, le anse (cioè i manici), qualche volta il piede, lasciando solitamente liberi il collo e gran parte del corpo. È il caso di una semplice anfora in terracotta di probabile provenienza ateniese, risalente agli inizi del X secolo a.C., oggi al British Museum di Londra → 5.10 . Si tratta di un’anfora del tipo a collo distinto (o staccato) → 5.11 , cosiddetta in quanto la lunga imboccatura si connette al corpo in modo netto, senza raccordi curvi, quasi come se non fosse frutto della lavorazione al tornio e apparisse come applicata in un momento successivo. Il motivo decorativo è ridotto al semplice contrap66

⦁ Unità II   La Grecia

a

b

a. Anfora del cavallino, 1000-950 a.C. Terracotta dipinta, altezza 43,5 cm. Atene, Museo Archeologico del Ceramico. b. Anfora funeraria, 950-900 a.C. Terracotta dipinta, altezza 35 cm. Londra, British Museum.

5.9 | ↓

Nomenclatura delle varie parti di un vaso.

5.10 | →

Anfora a decorazione protogeometrica, ca 1000-950 a.C. Terracotta dipinta, altezza 31,8 cm. Probabile provenienza ateniese. Londra, British Museum.

Bocca

Labbro

Collo Co Col C o olllo lo Ansa

Ansa Spalla

Pancia

Piede

porsi di quattro serie di cerchi concentrici (due per lato rispetto alle anse) di colore nero lucido inserite in un fregio, all’altezza della spalla del vaso, mentre in corrispondenza dell’attacco delle anse una fascia continua, compresa fra due sottili linee accentua la circonferenza della pancia ovoidale. Motivi decorativi proto-geometrici Linee parallele Solitamente ondulate, si tratta di linee di uguale spessore che attraversano l’intera circonferenza del vaso.

Triangoli a reticolo Motivi triangolari riempiti con linee oblique che si intrecciano formando un reticolato.

Cerchi concentrici Tracciati con un pennello multiplo montato su un compasso.

5.11 | →

Schema di assemblaggio di un’anfora a collo distinto.


Forme e caratteristiche dei più diffusi vasi greci Le forme dei vasi, che in età minoico-micenea erano una sessantina, nel periodo proto-geometrico e geometrico si ridussero a una quindicina. Fu solo a partire dall’VIII secolo a.C. che tornarono ad aumentare e a

diversificarsi. Non tutti i termini con cui si designano oggi le forme dei vasi greci corrispondono a quelli antichi: di alcune forme non si conosce il nome, così come talvolta nelle fonti scritte sono citati vasi di cui

non si conosce la forma. Si è soliti distinguere i vasi greci in base all’uso che ne veniva fatto: per attingere e versare, per mescolare e raffrescare il vino, per bere, per usi vari.

Recipienti per attingere e versare Ànfora Vaso noto fin dall’XI secolo a.C. e fra i più comuni. Poteva essere delle forme e dalle dimensioni più varie, con corpo a foggia di globo allungato (globulàre), con strozzatura al piede e 70

al collo, dotato di due anse simmetriche verticali od oblique per trasportarlo. Può presentare un profilo continuo o una netta distinzione fra il collo e il resto del corpo (a collo distinto).

60

Hydrìa (o ìdria). Grande vaso con corpo svasato (talvolta ovoidale), piede basso, collo più o meno alto e stretto, bocca con ampio labbro circolare, dotato di due anse simmetriche orizzontali e di una terza verticale. Veniva usato per attingere e versare l’acqua (in greco hỳdor) e anche per raccogliere i voti nelle assemblee.

50

Oinochòe Specie di brocca diffusissima e presente fin dall’XI secolo a.C. con corpo panciuto, piede piccolo, bocca trilobata o a beccuccio, dotata di un’unica ansa verticale. Veniva usata per versare il vino (in greco òinos) nel rhytòn.

Pelìke Tipo di anfora in uso dalla metà del VI secolo a.C. dal corpo rigonfio al di sotto delle anse, fin quasi al piede. Serviva soprattutto per conservare liquidi e oli profumati.

Òlpe Vaso in uso dall’VIII secolo a.C. simile all’oinochòe, con c o r p o l e g g e rmente pirifórme (cioè a forma di pera), collo quasi cilindrico, bocca circolare, dotato di un’unica ansa verticale. Veniva usato per attingere e versare liquidi in genere.

Kàlpis Grande vaso simile all’hydria, con corpo tondeggiante, piede basso, collo più o meno alto attaccato al corpo con una linea continua, bocca con ampio labbro circolare, dotato di due anse simmetriche orizzontali e di una terza verticale sul collo. Veniva usato per contenere e trasportare l’acqua.

40 30 20 10 0 cm

Recipienti per mescolare e raffrescare il vino Cratère Grande vaso in uso dal VII secolo a.C. con corpo a bicchiere e bocca larga, dotato di due anse simmetriche generalmente oriz100 zontali, ma talvolta anche oblique o verticali. Veniva usato per mescolare l’acqua e il vino da 90 bere durante i banchetti (i Greci non bevevano il vino puro). 80

Psyktèr (o psictère). Vaso di terracotta a forma di anfora con doppio fondo o a forma di fungo con alto piede, al fine di essere collocato pieno di neve o di acqua fredda all’interno di un cratere. Veniva generalmente usato per tenere in fresco il vino.

110

70

Stàmnos (o stàmno). Vaso che compare a partire dalla fine del VI secolo a.C. assai capace con corpo piriforme, strozzatura al piede e bocca larga, dotato di due anse simmetriche orizzontali od oblique. Serviva, come l’anfora, per contenere vino e olio ed era spesso dotato di coperchio.

60 50 40 30 20 10 0 cm

Recipienti per bere

50 40 30 20 10

Kỳlix (o coppa). Specie di coppa in uso dal VI secolo a.C. con bocca larga e piede slanciato, dotata di due anse simmetriche orizzontali od oblique. Veniva usata per bere durante i banchetti.

Recipienti per usi vari Kàntharos (o càntaro) Particolare tipo di coppa con due anse verticali a occhiello molto più alte del labbro. Forse di origine etrusca o àpula è il tipico attributo di Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza.

Skỳphos (o scìfo). Grande coppa, in uso dalla metà del V secolo a.C., con corpo a tronco di cono rovesciato, pareti leggermente bombate e bocca larga, dotata di due anse simmetriche oblique. L’utilizzo era solitamente riservato a finalità religiose e rituali.

Arỳballos (o aribàllo). Piccolo vaso, usato per profumi e unguenti, prodotto in area corinzia fra l’VIII e il VI secolo a.C., presenta corpo tondeggiante, collo stretto e corto, bocca con labbro largo e appiattito, con un’ansa verticale.

Alàbastron (o alabàstro). Piccolo vaso, originariamente in alabastro, secondo la tradizione orientale (da cui il nome), in uso a partire dal VII secolo a.C., simile, per forma, dimensioni e impiego, all’aryballos.

Lèkythos (o lècito). Vaso in uso fin dal XII-XI secolo a.C. con corpo quasi cilindrico, piede piccolo, collo lungo e bocca svasata, dotato di un’unica ansa verticale. Veniva usato per conservare unguenti e profumi.

Pyxìs (o pìsside). Contenitore in uso già nell’VIII secolo a.C. solitamente di forma cilindrica, molto basso, dotato di coperchio spesso decorato con motivi zoomorfi. Veniva usato per conservare balsami e altre sostanze rare.

0 cm

⦁ 5   La Grecia arcaica. L’inizio della civiltà occidentale

67


Periodo orientalizzante

5.19 | →

Vasi in stile orientalizzante.

(700-650 a.C.) Animali fantastici ed eroi

a. Aryballos con testa di leone (Aryballos Macmillan), 640 a.C. Terracotta dipinta, altezza 6,9 cm. Da Tebe. Londra, British Museum. b. Olpe con animali e sfingi, ca 640-630 a.C. Da Corinto. Ceramica dipinta, altezza 32.4 cm. Parigi, Museo del Louvre.

5.20 | ↓

Olpe Chigi, ca 640 a.C. Ceramica a figure nere e policromia, altezza 26 cm. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

a

b

Agli inizi del VII secolo a.C. la produzione artistica greca entra in una nuova fase, detta orientalizzante. Anche in questo caso le testimonianze più significative vengono dalla pittura vascolare. Le decorazioni geometriche del periodo precedente sono gradualmente abbandonate per lasciare il posto a motivi naturalistici orientalizzanti: vegetali (fiori e piante), animali (cervi, uccelli, grandi felini) o relativi a esseri fantastici (sfingi, grifi, sirene). In una fase più avanzata, compaiono anche scene figurate riferite a episodi mitologici. Le varie figure, che si stagliano su fondo chiaro, non sono più tratteggiate con la sola linea di contorno, ma vivacemente colorate (solitamente ricorrendo al nero, al bianco, al rosso e al giallo). Esse vengono descritte nei dettagli e disposte ordinatamente, per fasce, sulla superficie del vaso, in genere di piccole dimensioni e molto sottile → 5.19 . Alla diffusione di questo nuovo stile contribuisce l’intensificarsi dei commerci e degli scambi con l’Asia Minore e il Vicino Oriente e la crescente fama dei grandi santuari greci. Il centro più importante di questa produzione è Corìnto, potenti polis del Peloponneso, che detiene il primato negli scambi commerciali. Olpe Chigi ⦁ Documento d’eccezione nella produzione

Oplita Soldato della fanteria dotato di un’armatura pesante che comprendeva un grande scudo, una corazza di metallo e cuoio, schinieri (a protezione della parte anteriore della gamba), elmo, lancia e spada.

70

avanti. Il volto dagli occhi incavati, naso sporgente e bocca modellata su una superficie appena carenata (come, lo si vedrà, nella scultura arcaica) è incorniciata da grandi orecchie. L’intero corpo è ornato nello stesso modo dei vasi (d’altro canto è stato realizzato nella bottega di un vasaio), con motivi proto-geometrici. Questi, però, sommati alle dimensioni, conferiscono alla statuetta un aspetto quasi monumentale.

⦁ Unità II   La Grecia

vascolare corinzia è un’olpe risalente al 640 a.C. circa, rinvenuta alla fine dell’Ottocento in una tomba etrusca di Veio e nota come Olpe Chigi → 5.20 . Il vaso, impiegato per versare l’acqua, è relativamente grande rispetto alla produzione del tempo e presenta una raffinata decorazione nera su fondo chiaro, con i dettagli incisi o dipinti in policromìa (usando, cioè, diversi colori). Il tema che unisce le diverse scene narrate nei tre registri sovrapposti è la vita del giovane aristocratico. Nel primo – in alto – è rappresentata la guerra: due opposte schiere di opliti si dirigono l’una verso l’altra; quella di sinistra al suono del doppio flauto (aulòs), come di tradizione a Sparta. Per rendere il senso di profondità l’ignoto artista ha sovrapposto le figure dei soldati rappresentati nella formazione della falange, un nuovo schieramento a ranghi serrati che si stava affermando proprio in quel periodo. I guerrieri indossano le armature e si proteggono con gli scudi che tengono nella mano sinistra. In tal modo il maestro corinzio riesce a mostrarne sia l’interno, ornato geometricamente attraverso linee graffite, sia l’esterno figurato a simboli araldici (episèma). Nel secondo registro – quello mediano – sono rappresentati invece una cruenta caccia al leone, una parata di carri e l’unica scena di argomento mitologico (riconoscibile grazie alle scritte che l’accompagnano), una delle prime raffigurazioni del giudizio di Paride. Nel terzo registro, infine, quello più in basso, è raffigurata una movimentata caccia alla lepre e alle volpi che si svolge in uno spazio punteggiato d’erba e di arbusti mossi dal vento.


5

.3

L’età arcaica

5.21 | ↓

Ipotesi di ricostruzione di un’antica casa greca.

VII-VI secolo a.C. La ricerca delle forme

Il tempio e le sue tipologie La residenza terrena degli dei

Il tempio, dimora degli dei ⦁ Il tempio greco, del resto, nasce e si sviluppa parallelamente alla casa e, di conseguenza, ne assume in parte la forma e le principali caratteristiche. La casa greca, infatti, anche in epoca arcaica, continua a consistere in un unico ambiente a pianta rettangolare in mattoni crudi, coperto con un tetto a capanna, cioè a due spioventi contrapposti, in legno e paglia → 5.21 .I primi templi sono realizzati con gli stessi materiali deperibili delle abitazioni ed è solo nel corso del VII secolo a.C. che si registra nella loro costruzione il passaggio alla pietra, al marmo, al mattone cotto e, per la copertura, alle tegole in terracotta.

5.22 | ↑

Modellino di tempio (o di abitazione), ca 725-700 a.C. Terracotta dipinta, altezza 28 cm. Rinvenuto presso l’Heraion di Argo. Atene, Museo Archeologico Nazionale.

5.23 | ↓

Nomenclatura delle parti principali del tempio greco.

Opistodomo

La pianta ⦁ La disposizione degli spazi all’interno del

tempio può variare sia in relazione al periodo sia in relazione alle dimensioni e al luogo di costruzione. Tre sono gli elementi caratteristici sempre presenti → 5.23 . ■ Il nàos (che in greco significa «cella») dedicato esclusivamente alla custodia della statua del dio a cui il tempio è dedicato (l’àgalma), mentre tutte le celebrazioni e i sacrifici si svolgono all’aperto, sugli altari. La cella (che, salvo rare eccezioni, è sempre unica) presenta una pianta rettangolare e a essa si accede, come nel megaron miceneo, attraverso un’unica porta che si apre sul lato minore, orientato preferibilmente verso est. L’interno si presenta pertanto oscuro, a stento rischiarato da bracieri o lampade votive a olio, il che conferiva al luogo un’atmosfera di solenne sacralità. ■ Il prònao (da pro, davanti, e naos), vale a dire lo spazio porticato antistante la cella che ha la funzione di filtro simbolico tra l’esterno (la realtà umana di tutti i giorni) e il naos (che rimanda a una realtà divina). ■ Le colonne. Il numero delle colonne varia in relazione alle dimensioni (e quindi all’importanza) del tempio. Se sul lato frontale sono quattro il tempio si definisce tetràstilo (in greco tèttares significa «quattro» e stỳlos «colonna»). Se le colonne frontali sono sei si ha invece un tempio esàstilo (hèx, sei), octàstilo se sono otto (oktò, otto), decàstilo se sono dieci (dèka, dieci), dodecàstilo se sono dodici (dòdeka, dodici).

Naos

Peristasi

Fra l’XI e il IX secolo a.C. i riti religiosi si svolgevano per lo più su altari (are) all’aperto, in quanto non esistevano ancora aree sacre con caratteristiche ben definite. Il tempio, inteso come dimora terrena degli dei e destinato ad accogliere la statua della divinità a cui è dedicato, nasce e si sviluppa nell’VIII secolo a.C. e alla sua costruzione e ai suoi successivi perfezionamenti i Greci dedicarono tutto il loro ingegno. La religione greca è politeista, in quanto si crede all’esistenza di più divinità. Uomini e dèi si assomigliano moltissimo e questo ha come conseguenza un rapporto diretto e quasi confidenziale tra l’uomo e la divinità. Anche la costruzione dei templi risente di questo atteggiamento, tanto che si adottano proporzioni talmente armoniose e forme così semplici e razionali che la loro architettura risulta sempre perfettamente equilibrata, comprensibile e, appunto, umana.

Un’importante testimonianza dell’aspetto che dovevano avere i primi templi viene da una serie di modellini fittili reperiti in alcuni santuari greci, probabilmente degli ex-voto, e databili fra la fine del IX e il VII secolo a.C., molto simili nella struttura a quel che si sa delle abitazioni del tempo. L’esemplare rinvenuto nei pressi del tempio di Hera (Heraion) ad Argo → 5.22 , ad esempio, databile intorno al 725-700 a.C., riproduce un edificio costituito da un unico ambiente a pianta rettangolare preceduto da un portico delimitato da due colonne. Il tetto, a due falde, è ornato con motivi geometrici che forse alludono alla presenza, nella realtà, anche di alcuni primi elementi decorativi in legno dipinto o in terracotta.

Colonne

In epoca arcaica all’interno delle sempre più ricche e potenti poleis e delle loro nuove colonie anche l’arte riceve un diverso e più vigoroso impulso. È proprio in questo periodo, infatti, che sorgono le prime costruzioni architettoniche (soprattutto templi e santuari) nelle quali la proporzione delle misure e l’armonia delle forme incominciano a essere più importanti della monumentalità dell’insieme o della ricchezza dei materiali impiegati ▶ Ant. 13 . Contemporaneamente, anche la scultura si evolve e la pittura vascolare, abbandonata definitivamente l’impostazione geometrica, inizia per la prima volta a indirizzare la propria attenzione allo studio e alla riproduzione della figura umana.

Pronao

Ante

Divinità Le divinità ricordate dal poeta Omero nelle sue opere sono dodici (Zeus, Hera, Posèidon, Demètra, Afrodìte, Hèrmes, Hestìa, Apollo, Artèmide, Ares, Athèna ed Efèsto), ma in realtà la mitologia greca riconosce anche numerosi altri dei minori. Pur abitando sul monte Olimpo, le divinità omeriche intervengono assai spesso nelle vicende degli uomini, dei quali condividono, oltre all’aspetto fisico, anche i vizi e le virtù.

Ex-voto Abbreviazione della locuzione latina ex-voto suscepto, «in seguito a una promessa fatta», indica un oggetto offerto in dono a una divinità in segno di riconoscenza per una grazia ricevuta.

⦁ 5   La Grecia arcaica. L’inizio della civiltà occidentale

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ZOOM

Le tipologie del tempio ⦁ In base al numero e alla disposizione delle colonne il tempio greco assume diverse denominazioni. Il primo ad averci tramandato l’esatta descrizione delle varie tipologie del tempio greco (cioè delle configurazioni complessive che essi assumono) è stato l’architetto e trattatista romano Vitrùvio Pollióne (seconda metà del I-prima metà del II secolo a.C.). Nel terzo e nel quarto libro del De architectura, fondamentale trattato sull’ara | Tempio in antis

Il tempio in àntis presenta una pianta rettangolare molto semplice, composta da un naos e - su uno dei lati corti – da un pronao delimitato da due colonne. Queste sono poste fra due pilastri quadrangolari, detti appunto ànte, collocati al termine del prolungamento murario dei due lati maggiori del naos.

b | Tempio doppiamente in antis

Il tempio doppiamente in antis presenta anche sul retro della cella un secondo pronao, uguale per forma e dimensioni a quello anteriore, l’opistòdomo (dal greco òpistha, dietro, e dòmos casa). Questa aggiunta non aveva motivazioni funzionali (solo raramente, infatti, l’opistodomo veniva impiegato come deposito delle offerte o dei manufatti votivi), ma solo estetiche, in quanto conferiva al tempio un aspetto più simmetrico ed equilibrato.

te del costruire, l’unico giunto sino a noi dall’antichità, descrive dieci tipologie → 5.24 : tempio in àntis a ; tempio pròstilo c ; tempio anfipròstilo d ; tempio perìptero e ; tempio pseudoperìptero f ; tempio dìptero g ; tempio pseudodìptero h ; tempio monòptero l ; tempio periptero circolare o a tholos m ; tempio ìpetro i . Alle tipologie vitruviane è possibile aggiungere anche la tipologia, spesso ricorrente, del tempio doppiamente in antis b .

c | Tempio prostilo

Il tempio prostilo (dal greco pro, davanti, e e stỳlos, colonna) ha, in genere, la stessa pianta di quello in antis (naos e pronao), senonché il pronao non è compreso fra le due ante della cella, ma è delimitato da almeno quattro colonne. Tra le colonne e le ante della cella viene così a crearsi una specie di porticato. Questo, anteponendosi al pronao, ne amplifica la funzione di filtro simbolico tra esterno e interno.

d | Tempio anfiprostilo

Il tempio anfiprostilo (dal greco amphì, da ambo i lati) consiste nel raddoppiamento di quello prostilo. In esso, infatti, vi sono due colonnati: uno anteriore, di fronte al pronao, e uno uguale, posto sul retro, di fronte all’opistodomo. Anche in questo caso il doppio colonnato ha una funzione soprattutto estetica, in quanto rende l’edificio perfettamente simmetrico.

Pronao Colonne Ante

f | Tempio pseudoperiptero

Nel tempio pseudoperiptero, letteralmente, falso-periptero (dal greco pseudès, falso), il colonnato consiste in realtà in una serie di mezze colonne addossate alle pareti della cella stessa.

Mezze colonne

Il tempio diptero consiste in un doppio colonnato che circonda l’intero perimetro (dìs, infatti, significa doppio), in modo che ogni colonna della serie interna sia perfettamente allineata alla corrispondente colonna della serie esterna.

Doppio colonnato

Naos Pronao Porticato Colonnato

Pronao

g | Tempio diptero

h | Tempio pseudodiptero

Il tempio pseudodiptero consiste in un edificio diptero semplificato. In esso l’unico colonnato che circonda completamente la cella è posto a una distanza tale che la peristasi ha l’ampiezza di due intercolumni (vale a dire due volte la distanza fra le colonne alla base) più lo spessore della colonna centrale (potrebbe quindi, in teoria, ospitare un secondo colonnato interno).

Opistodomo

i | Tempio ipetro

Il tempio ipetro (dal greco hỳpaithros, aperto all’aria) è una variante semplificata del diptero. In esso, però, il naos è privo (del tutto o solo in parte) di copertura e, almeno nella descrizione vitruviana, ha due accessi sui lati opposti della cella.

Naos

l | Tempio monoptero

Il tempio monoptero è a pianta circolare ed è circondato da una sola circonferenza di colonne (mònos, infatti, significa solo). In esso non vi è un naos in muratura e l’ara è dunque posta all’aperto, al centro del colonnato. Ara

m | Tempio periptero circolare

Peristasi

Naos Naos

Pronao

Peristasi

Colonnato

Opistodomo

Naos

Naos

Pronao Pronao Colonnato

Colonnato Opistodomo

Colonnato

Colonnato Opistodomo Naos

Naos

Il tempio periptero, che costituisce la tipologia più diffusa, è circondato di colonne lungo tutto il perimetro. In questo caso, pertanto, viene a formarsi un portico continuo attorno al naos chiamato peristàsi.

Opistodomo

Opistodomo Naos

e | Tempio periptero

Simile al monoptero è il tempio periptero circolare, detto anche a tholos, per similitudine con la pseudocupola micenea, dal momento che era coperto da un tetto conico ▶ p. @@@ . In esso il naos assume forma cilindrica ed è circondato da una peristàsi. Naos

Peristasi

Pronao

5.24 | ↖↑

Principali tipologie dei templi greci.

72

⦁ Unità II   La Grecia


Gli ordini architettonici

Ordine dorico

Ordine ionico

Ordine corinzio

5.25 | ←↓

I tre ordini architettonici greci.

Come «un ben formato corpo umano» La più grande fra le novità che i Greci introducono nell’arte del costruire è l’ordine architettonico → 5.24 . Esso consiste in una serie di regole geometriche e matematiche mediante le quali le dimensioni di ogni elemento di un edificio sono sempre messe in rapporto tra loro e con quelle dell’edificio nel suo insieme. Lo spunto deriva da un’attenta osservazione della natura, nella quale sia le piante sia gli esseri viventi presentano sempre proporzioni precise e ben definite. Ciò significa, ad esempio, che, posto come unità di misura il diametro di base (o il raggio) di una colonna (modulo), la sua altezza sarà data da un multiplo del modulo → 5.26 , e così via per quanto riguarda le dimensioni e le reciproche distanze di tutti gli altri elementi → 5.27 . Scrive al riguardo Vitruvio nel III libro del suo trattato: La progettazione dei templi si basa sulla simmetria, il cui metodo deve essere scrupolosamente osservato dagli architetti. La simmetria nasce dalla proporzione, che in greco viene definita analoghìa. La proporzione consiste nella commisurabilità delle singole parti di tutta l’opera, sia fra loro sia con l’insieme. Questa commisurabilità si basa sull’adozione di un modulo fisso e consente di applicare il metodo della simmetria. Nessun tempio potrebbe avere una razionale progettazione senza simmetria e senza proporzione, senza cioè avere un esatto rapporto proporzionale con le membra di un ben formato corpo umano. […] Se dunque ha la natura composto il corpo dell’uomo in maniera, che corrispondano le proporzioni delle membra al tutto, hanno con ragione stabilito gli antichi, che anche nelle opere perfette ciascun membro avesse esatta corrispondenza di misura coll’opera intera. Il termine ordine, dal latino òrdo, risale in realtà al XVI secolo, in quanto Vitruvio utilizzava termini genus (genere), ratio (regola) e mos (norma), mentre Leon Battista Alberti, il primo grande trattatista del Rinascimento, preferiva piuttosto òpus (opera). Nelle traduzioni vitruviane in volgare fino a tutto il primo Cinquecento, infatti, si parla sempre di opera. Gli ordini architettonici impiegati dai Greci sono tre: ■ l’ordine dòrico; ■ l’ordine iònico; ■ l’ordine corìnzio. Ciascuno di essi presenta, come si vedrà, proprie e ben definite caratteristiche formali e costruttive. Ciò che li accomuna è invece l’utilizzo all’interno di ciascuno di essi di una precisa serie di rapporti pro-

Capitello dorico Selinunte, Tempio E (o di Hera)

Capitello ionico Atene, Eretteo

Capitello corinzio Atene, Olympieion

10

1

1

porzionali, di accordi armonici e di regole geometrico-matematiche tali da renderli il fondamento stesso di ogni arte del costruire. Essi, infatti, verranno continuamente ripresi e utilizzati anche nei secoli successivi, o direttamente o come fonte di guida e di ispirazione, durante l’intero sviluppo della civiltà occidentale: dall’epoca romana ai giorni nostri.

1

2

1

5.26 | ↖

Il modulo come unità di misura del tempio greco.

5.27 | ↑

Diversi tipi di intercolumnio (la distanza fra le colonne alla base), con dimensioni espresse in moduli. Il modulo corrisponde al diametro della colonna alla base.

⦁ 5   La Grecia arcaica. L’inizio della civiltà occidentale

73


Gronda (sima) frontonale Architrave Blocco

Blocco

Frontone

Tetto

Timpano

Blocco

Acroterio terminale

Antefissa Acroterio angolare

Cornice (geison) orizzontale

Interasse

Fregio Architrave (epistilio)

Trabeazione Capitello Collarino

Fusto

Cella (naos) Pronao Sommoscapo

Tenia

Peristasi

Entasi

Stilobate Rampa d’accesso

5.28 | ↑

Perno

L’ordine dorico L’ordine dorico è il più antico e il più maestoso dei tre e viene impiegato quasi esclusivamente per la costruzione di templi → 5.28 e 5.30 . Secondo Vitruvio (4, 1, 3-5) esso trae il nome dai Dori del Peloponneso (e dal loro capostipite Doro, figlio di Elleno e della ninfa Orsèide) perché fece la sua prima comparsa «nelle città dei Dori». I primi esempi documentati del suo utilizzo risalgono all’inizio dell’epoca arcaica (VII secolo a.C.) e le sue principali zone di diffusione sono, oltre al Peloponneso, il resto della Grecia continentale e soprattutto le colonie della Magna Grecia e della Sicilia. Il dorico continuò comunque a essere utilizzato fino all’epoca ellenistica.

Rocchio

Crepidoma ⦁ Il tempio dorico non poggia direttamen-

Spaccato prospettico di un tempio dorico.

5.29 | ↓

Schema di assemblaggio dei rocchi di colonne doriche e particolare di alcuni rocchi rinvenuti a Olimpia in Grecia.

Perno

Rocchio

te sul terreno, ma su un massiccio basamento in pietra, il crepidòma (o crepìdine) (dal greco krepìs, fondazione), costituito da tre o più gradini con la funzione di sopraelevare l’edificio, separando la residenza degli dei dal livello umano e terreno. La parte superiore del crepidoma, il piano orizzontale sul quale poggiano tutte le colonne del tempio, prende il nome di stilòbate (dal greco stỳlos, colonna, e bàsis, base, cioè «basamento della colonna»).

Colonna ⦁ La colonna dell’ordine dorico si compone

di due elementi distinti: uno verticale di forma pressoché cilindrica chiamato fusto (o scapo) – in analogia

74

⦁ Unità II   La Grecia

Crepidoma

Imoscapo Rastrematura

con il corpo umano – e uno di coronamento detto capitello. Fusto e capitello sono uniti tra loro mediante un elemento anulàre di raccordo chiamato collarìno. ⦁ Fusto Inizialmente le colonne dei templi dorici erano lignee e i fusti venivano ricavati da un unico tronco (spesso di quercia), ma già nel VII secolo a.C. il legno comincia a essere progressivamente sostituito con la più resistente pietra e, in alcuni casi, anche con il marmo. In genere il fusto viene realizzato in più pezzi, cosa che rende la costruzione più pratica ed economica. I vari elementi che lo compongono prendono il nome di rocchi (singolare ròcchio; dal latino ròtulus, rotolo) e vengono sovrapposti a secco, cioè senza leganti, fissandoli l’uno all’altro con un perno centrale di bronzo → 5.29 . Il fusto della colonna dorica, contrariamente a quanto avveniva nella colonna minoico-micenea, è rastremato verso l’alto, vale a dire che il diametro di alla base (l’imoscàpo) è maggiore di quello al collarino (chiamato sommoscàpo). Tale rastremazione, ispirata a quella dei tronchi delle piante, non è però uniforme. A circa un terzo della sua altezza, infatti, il fusto presenta un leggero rigonfiamento detto èntasi (in greco, infatti, èntasis significa proprio «gonfiore»). La funzione dell’entasi è soprattutto quella di correggere la percezione ottica della colonna che altrimenti sembrerebbe, se vista da lontano, innaturalmente sottile. Il fusto dorico non è liscio, ma scanalato, in quan-


to l’intera sua superficie è percorsa verticalmente da un certo numero di scanalature (in genere 20) realizzate scolpendo i rocchi dopo averli sagomati e sovrapposti. Queste scanalature, fra loro uguali, hanno forma semicilindrica e sono accostate una di seguito all’altra, in modo da formare degli spigoli vivi, vale a dire privi di qualsiasi smussatura o arrotondamento. Tale accorgimento comporta, quando la colonna viene colpita dal sole, una netta individuazione di fasce di luce alternate a fasce d’ombra, il che contribuisce a conferirle un ulteriore senso di compattezza e solidità. «Così la colonna dorica», scrive Vitruvio, «prese a rappresentare negli edifici la proporzione, la forza e l’eleganza del corpo dell’uomo». ⦁ Capitello Il capitello costituisce il vero e proprio coronamento della colonna ed è a sua volta formato da due elementi sovrapposti chiamati rispettivamente echìno (quello inferiore) e àbaco (quello superiore). L’echino ha la forma di un catino circolare dal profilo convèsso e a tale sagomatura fa riferimento il nome. In greco, infatti, echìnos significa «riccio di mare» (che ha un esoscheletro dalla forma tondeggiante e schiacciata). L’abaco, invece, ha la forma di un parallelepipedo molto schiacciato e il suo nome deriva dal greco àbax, nel significato di «tavola, basamento».

Acroterio angolare da

Gron

Frontone

Timpano

Cornice

Fregio

Metopa e triglifo Selinunte (Trapani), Tempio C, metà del VI secolo a.C.

Triglifo Metopa

Trabeazione Gocce

Regula

Tenia

Architrave

Capitello

Abaco Echino Collarino Regula, gocce e tenia Paestum (Salerno), Tempio di Nettuno, ca 460-450 a.C.

Colonna

Fusto

Trabeazione ⦁ L’insieme degli elementi strutturali e

decorativi che si appoggiano sui capitelli prende il nome generico di trabeazione (dal latino tràbea, trave). La trabeazione è formata a sua volta da tre elementi sovrapposti chiamati rispettivamente architrave, fregio e cornice (o gèison). ⦁ Architrave L’architrave (o epistìlio) rappresenta, nell’architettura greca, l’elemento strutturale per eccellenza, in quanto collega orizzontalmente fra loro le varie colonne del tempio e serve da sostegno per l’intera trabeazione, sulla quale appoggiano a loro volta le travi del tetto. I vari blocchi monolitici che compongono l’architrave sono pertanto lunghi quanto la distanza fra gli assi di due colonne vicine (detta interasse). Ogni struttura architettonica i cui princìpi costruttivi siano in qualche modo riconducibili a quelli del tempio greco (due o più elementi verticali sormontati da uno orizzontale) può pertanto definirsi architravata. ⦁ Fregio Nell’ordine dorico l’architrave è sormontato da un fregio, dal quale lo divide un listello continuo chiamato tènia (dal greco tainìa, nastro, benda). Il fregio si sviluppa lungo l’intero perimetro del tempio con un ordinato e ritmico alternarsi di mètope e trìglifi. Le metope (dal greco metà, fra, e opè, apertura, foro) sono delle lastre di pietra (o marmo) poste a chiusura di quegli spazi quadrangolari che nei primi templi arcaici venivano a crearsi fra le travi lignee che, appoggiate all’architrave, avevano a loro volta il compito di sorreggere il tetto Le metope, originariamente lisce, in epoca classica iniziano a essere dipinte o decorate a bassorilievo con scene tratte dalla mitologia. I triglifi (dal greco trèis, tre, e glyphè, incàvo, scanala-

Stilobate

Crepidoma Fusto, collarino e capitello Atene, Partenone, 447-438 a.C.

tura) sostituiscono invece le tavolette di terracotta che originariamente proteggevano le teste delle travi lignee per impedire che imputridissero, facilitando, con le scanalature, il defluire delle acque piovane. Il motivo decorativo dei triglifi è costituito da quattro profonde scanalature che li percorrono verticalmente. Le due centrali sono tra loro uguali; le due laterali, equidistanti dalle prime, sono larghe la metà delle altre. Tali semiscanalature, quindi, formano idealmente la terza (trèis) scanalatura (glyphè) a cui fa riferimento il termine greco. Sotto ogni triglifo corre un corto listello in pietra chiamato règula (che in latino significa appunto assicella), dal quale pendono quattro o sei gocce (in latino gùttae), elementi decorativi a forma di tronco di cono che ricordano simbolicamente le gocce d’acqua che, durante la pioggia, stillavano dalle teste delle travi in legno dei primi templi. ⦁ Cornice Sopra al fregio corre una cornice aggettante al fine di proteggerne i bassorilievi dalla pioggia (così come nell’antico tempio ligneo proteggeva le teste delle travi).

5.30 | ↖↑

Schema dell’ordine dorico con relativa nomenclatura.

Convesso Dal latino cum, con, e vexàre, opprimere, spingere. Di un oggetto o di un elemento architettonico che presenti un rigonfiamento curvilineo verso l’esterno. Il suo contrario è cóncavo (dal latino cum, e càvus, incavato), e si dice in relazione a un oggetto o a un elemento architettonico la cui superficie si presenti incavata a chi la guarda.

Asse Dal latino àxis. Retta immaginaria che nella geometria passa per il centro di una figura, piana o solida, dividendola in parti tra loro simmetriche.

⦁ 5   La Grecia arcaica. L’inizio della civiltà occidentale

75


ZOOM

Le correzioni ottiche ⦁ Gli elementi architettonici fin qui descritti

sono sempre legati tra loro da precisi rapporti proporzionali, cosicché, conoscendo l’esatta dimensione di uno solo di essi, è poi possibile risalire alle dimensioni di tutti gli altri. Il rispetto dei rapporti proporzionali non era sufficiente, tuttavia, a raggiungere quel senso di perfezione ed equilibrio al quale gli architetti greci tendevano. Per rendere la visione dei loro templi più armoniosa, infatti, essi sfruttarono numerosi effetti e correzioni ottiche. Oltre all’entasi, di cui si è già detto, occorre ricordare come lo stesso stilobate sia in realtà leggermente convesso  → 5.31 al fine di dare la sensazione di essere invece perfettamente orizzontale  → 5.32 . Se fosse stato orizzontale, infatti, la presenza della massiccia serie di colonne avrebbe dato origine a un’illusione ottica che, al contrario, lo avrebbe fatto sembrare innaturalmente concavo  → 5.33 .

Il conflitto angolare ⦁ In prossimità dello spigolo di un tempio,

infine, si pone il problema del cosiddetto conflitto angolare, consistente nell’impossibilità di rispettare contemporaneamente le due regole fondamentali dell’ordine: ■ che ciascun triglifo sia in asse rispetto alla sottostante colonna; ■ che su ciascuno spigolo si abbiano due triglifi concomitanti. Iniziare il fregio con un triglifo comporta necessariamente, com’è ovvio, che esso non sia in asse con la relativa colonna e, nello stesso tempo, che la prima metopa abbia una dimensione maggiore delle altre  → 5.36 .

i

5.31 | ↖

Curvatura dello stilobate.

5.32 | ↑

Visione della facciata del tempio con la curvatura dello stilobate.

5.33 | ←

Visione della facciata del tempio senza la curvatura dello stilobate.

Le colonne, inoltre, non sono mai perfettamente verticali, ma presentano una leggera inclinazione verso l’interno  → 5.34 o, nel caso delle quattro d’angolo, verso le diagonali della base del tempio  → 5.35 . Questo artificio serve a controbilanciare il senso di oppressione che si proverebbe di fronte a una colonna che, qualora fosse perfettamente verticale, parrebbe invece pendere verso chi guarda. 5.34 | ←

Schema grafico dell’inclinazione di una colonna verso l’interno.

5.35 | ↓ Asse della colonna

76

Schema grafico dell’inclinazione delle colonne angolari verso le diagonali della base del tempio. Asse verticale

⦁ Unità II   La Grecia

5.36 | ↑

Conflitto angolare: primo triglifo non in asse con la colonna e prima metopa più larga.

i

5.37 | ↓

Conflitto angolare: primo triglifo non in asse con la colonna, metope tutte uguali e prime tre colonne più ravvicinate.

5.38 | ↓

Agrigento, Tempio F (Tempio della Concordia), ca 420 a.C. Veduta del fronte.

Il conflitto, così com’è definito, è irrisolvibile; tuttavia si possono mettere in atto degli accorgimenti per ridurne la percezione. La soluzione più convincente è stata quella di avvicinare proporzionalmente fra di loro le ultime tre colonne, lasciando così invariata la dimensione delle metope terminali. Anche se, in questo caso, l’ultimo triglifo non risulta comunque in asse con la colonna d’angolo → 5.37 .

i

i


5.39 | →

5.42 | ←

Sistema di travi del tetto.

Ipotesi di ricostruzione a colori dell’angolo sinistro del frontone del Tempio di Athena Aphaia a Egina. Rendering fotorealistico (da H. Bankel, 2003).

5.40 | →

Schema di copertura di un tempio greco.

5.41 | ↓

Schema grafico di un tempio con la nomenclatura relativa al frontone.

Antefissa

Coppi Tegole piane

Acroterio Gronda

Gronda

Acroterio Cornice

Acroterio Timpano

Frontone Cornice

Le coperture dei templi ⦁ I tetti dei templi, sorretti da grosse travi di legno → 5.39 , sono del tipo a capanna, vale a dire con due superfici piane, le falde, che si incontrano lungo la linea di colmo con un’inclinazione di circa quindici gradi. Il manto di copertura → 5.40 è realizzato in tegole piane di terracotta con sovrastanti coppi (dal latino cùpa, recipiente, tino), che consistono in un altro tipo di tegole lunghe e strette, dal profilo curvo o triangolare, messe a protezione dei bordi di giuntura delle tegole piane. Per evitare che i singoli filari di coppi possano scivolare precipitando al suolo, li si fermano con delle antefìsse (dal latino ànte, davanti, e fìxus, conficcato), consistenti in elementi in terracotta o pietra modellati con motivi antropomorfi (solitamente teste femminili) o floreali (palmette). ⦁ Frontone Le due falde del tetto a capanna formano, in corrispondenza dei lati minori del tempio, due spazi a forma di triangolo isòscele di altezza pari a circa un ottavo della base → 5.41 . Tali spazi prendono il nome di tìmpani (dal greco tỳmpanon, timpano, nel senso di strumento musicale a percussione, in analogia con la forma triangolare che esso doveva anticamente avere). L’insieme del timpano e delle cornici che lo contornano costituisce il cosiddetto frontóne (dal latino fròns, fronte). Alla sommità del frontone e ai suoi due vertici laterali sono talvolta collocati dei bassi piedistalli in pietra aventi la funzione di sorreggere alcuni elementi decorativi costituiti da statue in terracotta co-

lorata o in marmo, rappresentanti personaggi o animali della mitologia. Sia i piedistalli di sostegno sia le statue sostenute prendono il nome di acrotèri. Anche il timpano era decoratocon rilievi o statue a tutto tondo. La ricerca della soluzione migliore per adattare tali decorazioni alla forma triangolare fu uno dei problemi con cui gli scultori greci dovettero confrontarsi fin dai templi più antichi ▶ p. @@@ . Il colore dei templi ⦁ Anche se oggi, ammirando i resti di qualche tempio di età arcaica, può sembrare difficile immaginarlo, in origine tutti gli elementi architettonici che si sono fin qui descritti erano vivacemente colorati, secondo una tradizione che risale ai palazzi della Creta pre-ellenica. Dallo studio accurato di taluni frammenti architettonici sono emerse piccolissime particelle di colore che hanno consentito di stabilire, ad esempio, che nel tempio di Athena Aphàia, a Egìna ▶ p. @@@ e @@@@ , i triglifi dovevano essere blu e la tenia rossa, generando così un evidentissimo contrasto → 5.42 . Anche in Magna Grecia i templi vennero sempre colorati. Secondo recenti studi, ad esempio, anche la gronda del cosiddetto Tempio B di Metaponto (Matera) era policroma → 5.43 . I colori, infatti, venivano impiegati non soltanto per il motivo geometrico del meandro, ma anche per i rilievi figurati con ornamentazioni vegetali (palmette e fiori di loto) e zoomorfe (doccioni a testa di leone).

5.43 | ↑

Ipotesi di ricostruzione a colori della gronda del Tempio B (Tempio di Apollo Licio) di Metaponto (Matera), seconda metà del VI secolo a.C. (da D. Mertens, 2006).

Linea di colmo La linea che congiunge i punti più alti raggiunti dagli spioventi o dalle falde inclinate di un tetto.

Policromo Dal greco polỳs, molto, e chròma, colore. Colorato con diverse tinte.

Doccione Parte di una gronda che serve a far defluire l’acqua piovana lontano dalla parete esterna dell’edificio. Spesso può essere scolpito con sembianze zoomorfe e, più raramente, anche antropomorfe.

↓ | Rosario Carta, Disegno

di protome leonina dal Tempio della Passoliera, Kaulonia, Monasterace (Reggio Calabria), 1923.

⦁ 5   La Grecia arcaica. L’inizio della civiltà occidentale

77


rante il governo di Pericle, tra il 447 e il 429 a.C. si procedette all’edificazione di nuovi, maestosi e spettacolari edifici → 6.36 . I lavori dell’Acropoli, che proseguirono anche dopo la morte del loro promotore si concentrarono subito sull’edificio più importante, il Partenone, il grande tempio dedicato ad Athena la cui costruzione richiese oltre dieci anni (dal 447 al 438 a.C.). Pericle affidò a Fidia la supervisione dei lavori e la realizzazione della decorazione scultorea, attività che lo impegnò sino alla fine della vita ▶ oltre . L’acropoli fu dotata di un ingresso monumentale, i Propilèi (tra il 437 e il 432 a.C.) a cui fra il 430 e il 420 a.C. venne affiancato il Tempietto di Athena Nike. Successivi alla morte di Pericle sono, invece, l’Eretteo, iniziato nel 421 e completato solo nel 404 e il Teatro di Dioniso, posto ai piedi dell’Acropoli, accanto all’Odèion di Pericle (oggi scarsamente visibile).

Rovine del Tempio di Athena Poliàs Eretteo Altare di Athena

Basamento della statua di Athena

Tempio di Augusto e Roma

Pinacoteca Propilei Partenone Via sacra

Architettura ⦁ Il nuovo tempio, avente una peristasi

Tempietto di Athena Nike

Odeion di Pericle

Odeion di Erode Attico

Monumenti del V secolo a.C. Monumenti del IV secolo a.C.

Teatro di Dioniso

Monumenti ellenistici e romani Antiche strade

6.35 | ↑

Atene, Acropoli. Veduta aerea

6.36 | ↑

6 .5

Pianta dell’Acropoli di Atene.

L’Acropoli di Atene

L’Olimpo degli Ateniesi ▪

Feste Panatenaiche La più importante fra le feste religiose ateniesi, le Panatenee si tenevano ogni quattro anni in onore di Athena Poliàs (protettrice della città) nel mese di ecatombeóne (corrispondente al nostro luglio-agosto). La festa durava dodici giorni e raggiungeva il suo culmine con la solenne processione del 28 di Ecatombeone (luoglio-agosto), ritenuto il giorno natale della dea.

118

Il Partenone Il primo edificio a essere ricostruito nel 447 a.C. fu il tempio dedicato ad Athena Parthènos → 6.37-6.38 . Progettato dagli architetti Ictìno e Callìcrate, il più importante e imponente tempio di Atene venne realizzato con la supervisione di Fidia che, con i suoi aiuti, ne fu anche il responsabile della decorazione scultorea, protrattasi fin verso il 432 a.C.

Dopo la vittoria sui Persiani di Serse nel 480 a.C. Atene venne dotata di importanti complessi edilizi tanto da trasformarsi in un unico, grande cantiere. L’Acropoli, un vasto e alto sperone roccioso che domina la città, fu il luogo su cui si concentrarono i maggiori sforzi edificatori → 6.35 . Abitato fin dai tempi preistorici e sede in epoca micenea di un palazzo fortificato, in seguito era stato trasformato in un’area sacra, ma degli antichi templi nulla era rimasto dopo le distruzioni compiute dai Persiani. È per questo che, du-

⦁ Unità II   La Grecia

di 30,88×69,50 metri → 6.39 è di ordine dorico, periptero, octastilo. Il naos è diviso in tre navate da due file di colonne doriche; ciascuna fila è formata dalla sovrapposizione di colonne di due diverse dimensioni, più alte quelle inferiori, più basse quelle superiori. Sul lato ovest un ulteriore doppio ordine di colonne legava la fila di destra con quella di sinistra e tutte assieme costituivano uno straordinario e inusuale scenario per la statua crisoelefantina dell’Athena fidiaca ▶ 6.25 . Il naos, il pronao e l’opistodomo sono circondati, all’esterno, da un fregio ionico continuo, “dorizzato” con l’aggiunta delle règulae al di sotto della tenia tra architrave e fregio → 6.41 . Sul lato posteriore della cella, infine, si apriva un altro ambiente, il parthenòn (in greco «stanza delle vergini») largo quanto il naos e lungo poco meno della metà. Coperto da un soffitto a cassettoni sostenuto da quattro colonne ioniche (appropriate, stanti le loro slanciate proporzioni, a elevarsi per un’altezza simile a quella delle colonne doriche sovrapposte del naos), il parthenon era accessibile dall’opistodomo → 6.42 . Al suo interno, veniva deposto il peplo tessuto e ricamato a turno dalle vergini ateniesi che veniva offerto alla dea Athena alla fine di una solenne processione nel corso delle feste Panatenaiche a lei dedicate. Il grande tempio fu edificato modificandone e ampliandone uno in fase di costruzione. Si trattava di un edificio dorico, periptero, esastilo, delle dimensioni complessive di 23,53×66,94 metri, che presentava già,


6.37 | ←

Ictino, Callicrate e Fidia, Partenone, 447-438 a.C. Atene, Acropoli. Fronte occidentale e lato settentrionale come appaiono dai Propilei. GUARDA! p. 104

6.38 | ↙

Partenone. Veduta del fronte orientale.

6.39 | ↓

Sezione longitudinale e pianta del Partenone.

6.40 | ↓

Confronto tra la pianta del Partenone (tratteggiata in grigio) e quella del tempio precedente (in celeste).

Opistodomo Parthenon

Statua di Athena

Pronao

Naos

Peristasi

6.41 | ←

Partenone. Particolare delle regulae nel fregio ionico continuo della cella.

6.42 | ←

Ricostruzione del parthenon del Partenone (da A. Orlandos, 1977). Toronto, Royal Ontario Museum.

nella parte posteriore, un ambiente accessibile dal solo opistodomo e un naos che aveva solamente due file parallele di colonne, secondo la tradizione → 6.40 . Gli architetti pertanto probabilmente impiegarono i rocchi di colonne già lavorati e presenti in cantiere. ⦁ 6   La Grecia classica. L’età di Pericle e di Fidia

119


6.65 | ↗

Atene, Acropoli, Eretteo, 421-404 a.C. Veduta del fianco ovest.

Pandroseion

Ulivo di Athena

Recinto sacro

Portico nord

Tomba di Cecrope

GUARDA! p. 104

6.66 | →

Pianta dell’Eretteo.

6.67 | ↗

Eretteo. Veduta del portico est. Loggetta delle Cariatidi

Roccia di Poseidon

Celle di Poseidon-Eretteo Cella di Athena Poliàs

Portico est

Cariatide Il nome «cariatide» sta a ricordare il supplizio imposto alle donne di Cària, cittadina del Peloponneso, che aveva parteggiato per gli invasori durante le guerre persiane. Scrive, infatti, Vitruvio (De architectura, 1, 1, 5): «Dopo aver gloriosamente vinto il conflitto, i Greci presero la comune decisione di far guerra agli abitanti di Caria. Espugnata la rocca, uccisero tutti gli uomini validi, incendiarono la città e ridussero in schiavitù le donne, senza però far loro smettere le stole o gli altri ornamenti matronali. Vollero infatti che espiassero per tutti i loro concittadini, oppresse dalla vergogna di una gravosa esemplare schiavitù, non soltanto durante la celebrazione del trionfo, ma per sempre. Gli architetti del tempo rappresentarono allora nei pubblici edifici le immagini delle donne di Caria nell’atto di sopportare pesanti carichi, volendo ricordare ai posteri la loro colpa e il loro castigo».

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tri → 6.64 ; mancano l’opistodomo e il pronao, mentre le dimensioni trasversali del naos superano quelle longitudinali di circa 40 centimetri. Il ridotto spazio a disposizione ha comportato l’eliminazione della parete d’ingresso, sostituita da un sistema di due pilastri appena sporgenti dai muri laterali (ante) che ne affiancano altri due, liberi, posti al centro. Delle cancellate di bronzo chiudevano i tre passaggi che si venivano così a formare. Il naos ospitava una statua lignea della dea, con un elmo, simbolo di guerra, in una mano e un ramo di melograno, simbolo di pace nell’altra. All’esterno corre un fregio ionico continuo lungo 26 metri che narra l’evento storico delle tragiche guerre persiane, ma celebra soprattutto la vittoria ateniese sugli invasori orientali. Essendo stato realizzato negli anni della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), sembrò, invece, un’allusione alle vittorie ottenute in quegli stessi anni da Atene, quando la catastrofica sconfitta finale non era neppure immaginabile. Nel 410 a.C. lo sperone su cui sorge il tempietto fu circondato su tre lati da una balaustra ornata da bassorilievi con Nìkai colte in diverse pose i cui resti sono ora conservati al Museo dell’Acropoli di Atene ▶ p. @@ .

⦁ Unità II   La Grecia

Eretteo e Loggetta delle Cariatidi  Fra il 421 e il 405-404 a.C. a nord del Partenone fu costruito l’Eretteo. Su quell’area, vero e proprio cuore sacro dell’Acropoli, sorgevano le sedi di antichi culti relativi alle origini leggendarie della città: le rovine dell’antico tempio di Athena Poliàs distrutto dai Persiani, la tomba di Cècrope – il mitico fondatore della città –, la roccia con l’impronta del tridente con il quale Poseidon l’aveva percossa facendone scaturire acqua salata, il luogo dove cresceva l’ulivo donato da Athena agli Ateniesi e, per finire, il Pandrosèion, santuario di Pàndroso, figlia di Cecrope e sorella di Eretteo → 6.65 . Non v’è certezza sul nome del primo progettista. I lavori, infatti, vennero interrotti poco dopo l’inizio e furono ripresi solo nel 409 a.C. dall’architetto Fìlocle e proseguiti dal suo successore, Archìloco. L’Eretteo è un tempio particolarissimo, le cui irregolarità, asimmetrie e differenze di livello sono dovute alla necessità di riunire in un unico edificio luoghi e ambienti differenti → 6.66 . Il corpo principale, esteso da est a ovest, poggia su un crepidoma di 22,76×11,63 metri. Al suo interno vi sono le celle di due divinità: Athena Polias – di cui si conservava l’antichissima statua di culto in legno – e Poseidon-Eretteo (in quanto il culto del dio marino veniva identificato con quello del leggendario re e riformatore religioso ateniese Eretteo). La cella di Athena Poliàs è preceduta verso est da un portico di ordine ionico, del tipo prostilo esastilo. La cella di Poseidon-Eretteo, divisa in due spazi distinti, è a sua volta preceduta, verso ovest, da un ambiente rettangolare, il recinto sacro, che sul lato occidentale, a causa della differenza di quota, presenta una facciata su due livelli. Il livello superiore è caratterizzato da quattro semicolonne ioniche accoppiate verso l’interno ad altrettanti pilastri, alternate a porzioni di parete in cui si aprono delle finestre; quello inferiore, invece, è definito da un muro pieno. Dal recinto si accede verso nord a un secondo vestibolo con un fronte ionico tetrastilo → 6.68 e, sul lato opposto (a sud), alla cosiddetta Loggetta delle Cariàtidi → 6.69 . L’intero complesso dell’Eretteo, nonostante i vari corpi di fabbrica di cui si compone, è unificato da un fregio ionico continuo, in cui delle sculture


in marmo bianco del Pentelico erano applicate a una fascia di pietra grigio-azzurra di Elèusi. Sia la Loggetta delle Cariatidi sia il Portico nord assumevano il significato di baldacchino. La prima, infatti, era stata costruita sulla tomba di Cecrope, mentre il secondo copriva la roccia percossa da Poseidon con il suo tridente. Inoltre, ospitando un altare dedicato al culto della folgore, il Portico nord era dotato di un’apertura dalla quale era visibile il cielo. Nella Loggetta delle Cariatidi, dalla singolare copertura piana cassettonata, le colonne sono sostituite da korai, figure femminili dalla robusta corporatura. Le statue, originariamente colorate → 6.70 , dovevano tenere in mano delle phiàlai (tazze da libagione) e si presentano stanti, con una gamba leggermente piegata in posizione di riposo. Sormontate da un capitello ionico privo di volute e costituito, quindi, dal solo echino a ovoli e dardi → 6.71 , esse sostengono una trabeazione ionica abbreviata, cioè priva del fregio e con sottocornice a dentelli, tipologia, quest’ultima, originaria dell’Asia Minore. Odèion di Pericle Contemporaneamente ai grandi cantieri del Partenone e dei Propilei attorno al 442 a.C. sulle pendici meridionali dell’Acropoli fu costruito l’Odeion di Pericle (dal greco odè, canto) → 6.72 . Si tratta di un edificio – ora scarsamente visibile, ma primo nel suo genere – destinato alle gare canore, in specie a quelle che si tenevano durante le Panatenee. Presto, però, venne impiegato anche per le assemblee cittadine. La sua edificazione si pone come parte integrante di quell’aspetto del programma di Pericle inteso, al pari del fregio ionico del Partenone, a rafforzare il significato delle festività dedicate ad Athena, che avevano la funzione di coinvolgere e unire tutti i cittadini ateniesi. L’edificio ha forma quadrangolare (62×68 metri) ed è costituito da un’unica sala ipostila (vi erano 90 colonne disposte su 10 file di 9 colonne ciascuna) occupata da più serie di sedili. La copertura era formata da falde di tetto spioventi da un punto centrale più elevato. Questo, come narra Plutarco nella Vita di Pericle, dava all’edificio l’aspetto della tenda regale da campo di Serse.

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6.70 | ↓

6.69 | ↑

6.71 | →

Eretteo. Veduta del portico nord. Eretteo, Loggetta delle Cariatidi. Veduta. GUARDA! p. 104

Ricostruzione della Loggetta delle Cariatidi. Cariatidi. Dall’Eretteo, Loggetta delle Cariatidi. Atene, Museo dell’Acropoli.

6.72 | →

Ricostruzione ipotetica dell’Odeion di Pericle, ca 442 a.C. GUARDA! p. 104

⦁ 6   La Grecia classica. L’età di Pericle e di Fidia

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6.73 | ↑↓

Atene, Acropoli, Teatro di Dioniso, ca 338-326 a.C. Veduta delle rovine attuali e particolari. GUARDA! p. 104

6.74 | ↓

ZOOM

Ipotesi ricostruttiva del primitivo Teatro di Dioniso nel V secolo a.C.

Teatro di Dioniso Appoggiato al pendio naturale della collina ai piedi dell’Acropoli si trova il Teatro di Dioniso → 6.73 . La struttura originaria ha subito nel corso dei secoli diverse trasformazioni: le rovine attuali risalgono all’epoca romana (II secolo d.C.) e solo poche pietre sono riferibili alla conformazione originaria. Scarse sono le notizie riguardo al primitivo teatro del VI secolo a.C: probabilmente si trattava di un’area pianeggiante a pianta rettangolare o trapezoidale nei pressi dell’agorà, circondata da tribune in legno per gli spettatori → 6.74 . Al centro di questo spazio – chiamato orchestra (dal greco orchèisthai, danzare) – si esibivano il poeta e un coro di dodici elementi: sia gli attori sia il coro si muovevano danzando, cantando e recitando intorno alla thymèle, l’altare consacrato a Dioniso. La mancanza di qualsiasi testimonianza diretta sul modo in cui venivano allestiti gli spettacoli e la perdita irrimediabile della musica e delle coreografie che li accompagnavano non consente oggi di comprendere a

Nel corso del tempo, alla struttura iniziale – orchestra, skenè e thèatron – si aggiunsero gli altri elementi che diventeranno caratteristici dei teatri greci di età classica. Innanzitutto venne realizzata una proedrìa, la prima fila di sedute in legno (in seguito trasformate in sedili di pietra, generalmente dotate di schienali e destinate al sacerdote di Dioniso e alle persone più in vista della polis). Anche lo spazio per il pubblico venne modificato nel corso del tempo: le sedute di legno nel corso del V secolo a.C. furono sostituite con quelle in pietra. Questo spazio prese il nome di kòilon (o càvea, come verrà successivamente chiamato nel teatro romano). 6.75 | ↗

Pianta del Teatro di Dioniso.

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⦁ Unità II   La Grecia

Kòilon

Pàrodos

pieno gli spettacoli teatrali dell’antica Grecia che, per certi versi, potevano avere qualche punto di contatto con agli odierni musical. Nel V secolo a.C., forse in seguito al crollo delle tribune, il teatro ateniese fu spostato vicino al santuario dedicato a Dioniso Eleutèreo in un’area scoscesa ai piedi dell’Acropoli. All’orchestra fu data una forma circolare o semicircolare e alle sue spalle fu sistemata la skenè (la scena, in greco «tenda, fondale»), una costruzione di legno usata come magazzino e come camerino per gli attori, che solo in seguito si arricchì, nella parte rivolta verso il pubblico, di fondali dipinti su stoffa o legno, i pìnakes (Aristotele riferisce a Sofocle l’introduzione di questi pannelli intorno al 465 a.C.). Il pubblico sedeva su gradoni in terra battuta lungo il fianco della collina, poi trasformati in sedute di legno disposte in ampie gradinate a raggiera – il théatron (da thèastai, vedere) ●↓. Questa soluzione, che sfruttava il pendio naturale del terreno, permetteva a tutti, anche a coloro che occupavano le ultime file (si ipotizza che nel V secolo a.C. il teatro potesse contenere fino a 15000 persone) di vedere e sentire bene. Gli spettacoli, infatti, si svolgevano all’aperto e gli attori dovevano avere una voce molto potente per farsi udire sentire: essi, inoltre, indossavano delle grandi maschere che li rendevano riconoscibili anche da lontano e che consentivano loro di interpretare diversi personaggi, anche quelli femminili, visto che alle donne non era consentito recitare. L’attenzione degli architetti greci si concentrò, quindi, sulla ricerca della migliore acustica possibile. Il teatro forse più famoso per la sua acustica, oltre che il meglio conservato di tutta l’antica Grecia, è quello di Epidauro, realizzato a partire dal 350 a.C. dall’architetto e scultore Policleto il Giovane (da non confondere con l’omonimo grande scultore).

Per favorire l’ingresso e l’uscita degli spettatori il koilon fu diviso in senso verticale Diazòma in settori cuneiformi, i kerkìdes, tramite scale radiali – i klimakes – e in orizzontale da un corridoio, il diazòma (plur.: Kèrkis Klìmakes diazòmata), largo più o meno come due file. Verso il 425 a.C. alla skenè furono aggiunti due corpi aggettanti, i paraskènia. Kèrkis Tra questi due avancorpi si suppone fosse costruito un palco molto basso per gli Poedrìa attori, il proskènion. Solo nel IV secolo a.C., infine, la skenè Orchestra fu trasformata in una struttura permanente in muratura, un fondale architetPàrodos Proskènion tonico decorato con colonne o pilastri Skenè inframezzato, a intervalli regolari, da tre grandi porte per l’ingresso degli attori. Paraskènia Tra l’orchestra e il koilon, infine, vi erano due passaggi laterali, le pàrodoi (sing.: pàrodos), impiegate dal coro e in seguito anche dal pubblico della poedria per entrare e uscire.


CONNESSIONI

Il teatro in Grecia Il teatro, insieme alla filosofia, all’oratoria e alla storiografia, è una delle grandi eredità della cultura greca e nacque proprio ad Atene fra il VI e il IV secolo a.C. Conobbe tre forme: la tragedia, la commedia e il dramma satiresco (di cui pochissimo si sa). Tragedia e commedia ⦁ Tragedia e commedia sono

i due generi ancora oggi rappresentati e che conobbero enorme fortuna fin dall’antichità: le opere di Èschilo (525-456 a.C.), Sòfocle (496-406 a.C.) ed Eurìpide (485-407/406 a.C.) portavano in scena i grandi interrogativi dell’uomo sulla giustizia, sulla guerra, sull’essere comunità, ma erano insieme opere profondamente radicate nel contesto cittadino ateniese. E così le commedie, che sull’essere umano e sui suoi vizi ridevano e facevano sorridere, pur adombrando per allusioni situazioni politiche contemporanee. Il pianto e il riso collegati a un’unica divinità in onore della quale si svolgevano le rappresentazioni sceniche : Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza, ma anche dio della fertilità e della rinascita. Le Grandi Dionisie ⦁ In onore di Dioniso ogni anno,

a marzo-aprile, venivano celebrate le Grandi Dionìsie. I drammaturghi presentavano le loro opere nell’ambito di un agòne drammatico, una competizione istituita nel 536 a.C. dal tiranno Pisistrato (561/560528/527 a.C.). Gli spettacoli erano finanziati e allestiti direttamente dallo Stato con il contributo dei cittadini più benestanti (i corèghi) e numerosi erano anche i cittadini coinvolti attivamente nella preparazione e nello svolgimento della festa e delle rappresentazioni. La possibilità di assistere agli spettacoli era considerata talmente importante che l’ingresso era consentito anche agli stranieri, agli schiavi e forse (la questione è ancora oggetto di dibattito), alle donne e lo Stato arrivò a pagare l’ingresso ai cittadini più poveri. La gara durava quattro giorni, durante i quali ogni attività si fermava, e coinvolgeva tre autori tragici e cinque autori comici: i primi tre giorni erano dedicati alla tragedia, mentre l’ultimo giorno era dedicato alla commedia.

Il teatro come rito collettivo ⦁ Sono molti i titoli

ancora oggi rappresentati nei teatri: l’Edipo re di Sofocle, la storia tragica del figlio del re di Tebe che uccide inconsapevolmente il padre e sposa la madre; la Medea di Euripide che uccide i propri figli per vendicarsi del tradimento di Giasone. E ancora l’Orestea la storia arcaica di sangue, vendetta e riscatto di Oreste, che in Eschilo solo l’intervento di Athena assolve dall’accusa di matricidio impostogli dalla legge arcaica della vendetta d’onore per l’uccisione da parte della madre

del padre Agamennone. Una catena di colpe e pene che alla fine sulle scene veniva espiata e purificata nel meccanismo che Aristotele definisce «catàrsi», purificazione: «mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore [la tragedia] ha per soggetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni» (Aristotele, Poetica 6, 1449b 24-28). Una forma di purificazione collettiva era anche quella offerta dalla commedia che –concentrandosi non sulle sanguinose storie del mito ma sull’attualità – svolgeva anche il ruolo fondamentale di condivisione (sdrammatizzata) delle questioni politiche all’interno della comunità dei cittadini. Le rappresentazioni teatrali erano, infatti, un momento molto importante della vita dei cittadini: per un Ateniese recarsi a teatro non era un semplice passatempo, ma significava partecipare a un rito collettivo con una forte valenza civile e religiosa.

6.76 | ↑

Cratere con allestimento di spettacolo teatrale (Vaso di Pronomos), ca 410 a.C. Ceramica a attica figure rosse, altezza 75 cm. Da Ruvo di Puglia. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

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Maschera tragica, III secolo a.C. Terracotta, altezza 11 cm. Da Ninfea (Kerch). San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage.

6.78 | ↑

Pittore di Konnakis, L’attore di Taranto, prima metà del IV secolo a.C. Cratere attico a figure rosse. Da Gnathia. Würzburg, Museo Martin von Wagner.

⦁ 6   La Grecia classica. L’età di Pericle e di Fidia

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5.115 | ↑

Metopa con Athena, Eracle e Atlante, ca 460 a.C. Marmo, 160×151 cm. Dal portico orientale del Tempio di Zeus a Olimpia. Olimpia, Museo Archeologico.

5.116 | →

Schema geometricocompositivo della metopa con Athena, Eracle e Atlante.

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Metopa con Eracle e il toro di Creta, ca 460 a.C. Marmo, 160×151 cm. Dal portico occidentale del Tempio di Zeus a Olimpia. Olimpia, Museo Archeologico.

5.118 | ↗

Schema grafico-compositivo della metopa con Eracle e il toro di Creta.

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donare anche per poco la sua faticosa incombenza, ed è dunque l’eroe a sostenere il cielo al suo posto. Al centro della metopa Eracle, di profilo, con le braccia levate per sorreggere la volta stellata che poggia su un cuscino piegato in due, è tutto preso dall’importante compito, ma è aiutato dalla sua protettrice Athena. La dea, come un’apparizione arcaica, è posta frontalmente, con un braccio sollevato e piegato, nel gesto di aiuto, e con il volto di profilo. In tal modo l’azione di Eracle viene replicata e, dunque, amplificata. Atlante non è perfettamente di profilo, come ci si aspetterebbe, data l’andatura diretta verso Eracle. La sua postura (di tre quarti) è in una condizione intermedia fra la posizione dell’eroe e quella della dea. Il suo passo è sicuro e svelto mentre, con le braccia piegate in gesto di offerta, mostra all’eroe i pomi che ha appena rubato e gli comunica di non voler riprendere il proprio posto. All’equilibrio della composizione concorre anche la geometria → 5.116 . È facile verificare, ad esempio, come la metà inferiore della metopa sia organizzata esclusiva-

⦁ Unità II   La Grecia

mente secondo tre assi verticali (quelli delle figure stanti, pur nella differente postura dei personaggi), mentre la metà superiore sia più complessa, dal momento che, alla triplice verticalità, si aggiungono anche tre assi orizzontali. Il primo è definito dalla direzione delle mani di Athena ed Eracle con il palmo rivolto in alto, nonché dal bordo superiore del cuscino piegato; il secondo segue l’avambraccio della dea proseguendo lungo le spalle e il busto dell’eroe semidivino; il terzo, infine, è dato dalla direzione delle braccia tese di Atlante. In tal modo la metà superiore della metopa viene divisa in tre fasce orizzontali aventi la stessa altezza. Le linee diagonali, invece, sono la chiave di lettura per la metopa (dal Portico occidentale) raffigurante Eracle in lotta con il toro che Minosse, re di Creta, si era rifiutato di sacrificare al dio marino Poseidon → 5.117 . La divinità adirata aveva reso furioso il toro che, perciò, si era trasformato in un grave pericolo per gli isolani. I due unici protagonisti della scena, Eracle e il toro, sono disposti appunto secondo le diagonali della metopa → 5.118 . In tal modo essi assumono dimensioni maggiori di quelle che avrebbero potuto avere se, per esempio, fossero stati raffigurati in posizione eretta. Tra l’altro, tale tipo di composizione contrapposta, con il toro che volge il muso all’indietro, esalta anche l’effetto di moto e di lotta. È comunque solo con Fidia, come si vedrà in seguito ▶ par. 5.5 , che tutti i problemi frontonali saranno definitivamente superati e l’organizzazione compositiva delle metope si indirizzerà verso soluzioni più complesse, armoniche e libere.


5. La Grecia arcaica IN SINTESI 5 .2 Periodo di formazione 1200-700 a.C.

5 .3

Proto-geometrico

Pittura vascolare

Decorazioni geometriche a vernice nera nella parte alta

Geometrico

Pittura vascolare

Decorazioni geometriche a vernice nera su tutta la superficie

Orientalizzante

Pittura vascolare

Decorazioni a vernice nera Motivi naturalistici Miti ed eroi

Architettura Tempio, casa del dio

Tre elementi presenti sempre: ▪ nàos ▪ pronao ▪ colonne

Tre ordini architettonici: ▪ dorico ▪ ionico ▪ corinzio

Periodo arcaico 700-480 a.C.

Scultura

Kouros Giovane uomo nudo, testa eretta, braccia stese lungo i fianchi, pugni serrati, gamba sinistra avanzata

Scultura dedalica Figure frontali, gambe unite, dettagli incisi, pettinatura egizia, volto triangolare

Scultura dorica Forme semplici squadrate e massicce

Scultura attica Armonia della figura

Scultura ionica Particolari anatomici; proporzioni più slanciate; figure meno rigide

Kore Kore Giovane donna vestita, testa eretta, piedi uniti, un braccio steso lungo il fianco, l’altro piegato

Pittura vascolare

Rappresentazione della figura umana

Pittura a figure nere episodi eroici

Sculture decorative nel frontone

Frontone, spazio triangolare dentro il timpano

Riduzione delle figure dal centro verso i vertici, singoli episodi Proporzioni dei personaggi congruenti, storia unica

5

La Grecia arcaica. L’inizio della civiltà occidentale

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unità II La Grecia ■ ITINERARIO NEL PATRIMONIO ARTISTICO

Il Museo dell’Acropoli di Atene

Link al sito del museo www.theacropolismuseum.gr

I

l nuovo Museo dell’Acropoli di Atene – inaugurato nel 2009 nel quartiere di Makriyianni, a circa 300 metri a sud-est del Partenone – è stato progettato dall’architetto svizzero Bernard Tschumi (1944), con la collaborazione del greco Michael Photiadis. L’edificio ottocentesco nei pressi del Partenone, era infatti diventato inadeguato a ospitare una delle collezioni archeologiche più importanti del mondo: oltre quattromila opere, soprattutto sculture, realizzate tra il periodo arcaico e l’epoca romana, tutte provenienti dall’Acropoli. Il nuovo edificio, articolato su tre livelli e un mezzanino, è caratterizzato dalla giustapposizione di volumi semplici, in cemento a vista, vetro e acciaio. La struttura poggia su cento pilastri antisismici in calcestruzzo armato, disposti in modo da non interferire con i resti di un insediamento dell’età del bronzo trovati durante lo scavo delle fondamenta ●↗. Gli interni sono inondati dalla luce naturale attraverso ampie vetrate distribuite lungo tutto il perimetro dell’edificio allo scopo di ricreare condizioni di esposizione simili a quelle originarie, come se le opere fossero ancora all’aperto ●↗. Le vetrate consentono inoltre ai visitatori di osservare l’Acropoli e il Partenone da una prospettiva privilegiata ●↑. Il terzo piano è interamente destinato alle decorazioni del Partenone e per questo il volume è ruotato rispetto al livello inferiore in modo da replicare l’orientamento del tempio: il fregio è montato su un grande blocco rettangolare le cui dimensioni e proporzioni ricalcano esattamente quelle del naos originale e di fronte a ciascuno dei due lati corti sono sistemati i

160

■ Unità II   La Grecia

resti dei frontoni. Alle decorazioni originali sono affiancati i calchi in gesso delle parti conservate a Parigi e Londra, suggerendo al visitatore una riflessione sul destino delle sculture di Fidia.

Il Museo dell’Acropoli ha infatti una storia lunga e travagliata, che si intreccia fin dalle origini, con quella degli scavi sull’Acropoli e con le vicende legate ai marmi del Partenone.


←| Maestro di Rampin (attr.), Kore con peplo, ca 530-520 a.C. Marmo delle Cicladi con tracce di pittura rossa, gialla, verde e nera, altezza 118 cm.

←| Antènor, Kore, ca 525-510 a.C. Marmo di Paro con tracce di pittura rossa, blu e nera, altezza 215 cm.

R

L

itrovata nei pressi dell’Eretteo nel 1886, la statua, di dimensioni inferiori al naturale, conserva evidenti tracce di policromia sul volto e sulle vesti. Databile intorno al 530 a.C., è stata attribuita allo stesso scultore del Cavaliere Rampin ▶ p. 120 . L’opera costituisce uno degli ultimi esempi di kore abbigliata con il peplo dorico, stretto in vita da una cintura, indossato sopra a un chitone dalle fitte pieghe che si scorgono in basso e all’altezza del gomito destro. È stata anche avanzata l’ipotesi che in realtà si tratti di una dea. La lieve torsione del capo, il protendersi in avanti del braccio sinistro, che portava un dono, animano la semplicità verticale del corpo, plasticamente modellato dal pesante peplo. La vitalità del volto, ornato dall’acconciatura raccolta in lunghe trecce ricadenti sulle spalle e sul seno, pur nel persistere del sorriso arcaico, era accentuata dal colore che evidenziava occhi e labbra e dalla presenza di orecchini in metallo.

L’Acropoli fino al XVII secolo ■ La Gre-

cia rimase sotto l’occupazione dell’impero ottomano dal 1453 (anno della conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi ottomani e della caduta dell’impero romano d’Oriente) fino alla proclamazione dell’indipendenza nel 1827. Secoli di occupazione straniera modificarono profondamente l’aspetto originario dell’Acropoli e danneggiarono il patrimonio architettonico e artistico che vi era conservato. L’Acropoli era diventata un complesso fortificato con edifici di epoche e stili diversi. Alla fine del Seicento il tempietto di Athena Nike era stato demolito e i suoi marmi reimpiegati nei bastioni che proteggevano i Propilei, mentre l’Eretteo era occupato da harem e magazzini ottomani. Il prezzo più elevato, tuttavia, era stato pagato dal Partenone che, prima trasformato in una chiesa cristiana e poi in una moschea con un minareto, alla metà del Seicento fu utilizzato come polveriera. Fu proprio per colpire il deposito di munizioni degli Ottomani che il 26 settembre del 1687 i Veneziani distrussero parzialmente il Partenone (fino a quel momento praticamente intatto) con un colpo di bombarda.

a monumentale kore, dedicata alla dea Athena dal vasaio Nearchos, è opera dello scultore ateniese Antènor, come testimonia l’iscrizione sulla base. Specializzato, oltre che nella lavorazione del marmo, nella fusione del bronzo, Antenor in tarda età, ormai famoso, fu incaricato intorno al 510 a.C. di realizzare un grandioso gruppo bronzeo dei Tirannicidi, esposto nell’agorà fino al trafugamento operato dal re persiano Serse nel 480 a.C. La kore, ritrovata in frammenti tra 1882 e 1886 nella colmata persiana, è probabilmente un’opera giovanile dell’artista, databile intorno al 525 a.C. Vestita secondo la moda ionica con un chitone e un himation, solleva con la mano sinistra un lembo dell’abito, mentre il braccio destro, perduto, fuoriusciva dal ricco panneggio, porgendo un’offerta. Lo scultore armonizza elementi volutamente arcaici, come l’acconciatura elaborata con diadema e la trattazione verticale

Lord Elgin e i marmi del Partenone ■ Le decorazioni marmoree del Partenone restarono in Grecia fino agli inizi dell’Ottocento, quando Lord Thomas Bruce, conte di Elgin (17661841), ambasciatore inglese a Costantinopoli, con il pretesto di voler effettuare il rilievo grafico dei monumenti e prelevare alcune pietre con iscrizioni o con figure, con una squadra di ben 300 operai ne asportò circa la metà insieme a quelle di altri edifici dell’Acropoli. Già alla fine del Settecento l’ambasciatore francese, il conte di Choiseul-Gouffier, era riuscito, con un pretesto simile, ad acquisire una lastra del fregio ionico e una metopa del Partenone, oggi esposti al Louvre, ma Lord Elgin ebbe maggior successo. Le operazioni di asportazione causarono gravi danni alle opere e suscitarono l’indignazione sia della popolazione greca sia di molti intellettuali europei, infiammati dalla passione per il mondo classico. Grazie all’aiuto della marina inglese e del pittore napoletano Giovanni Battista Lusieri (1755-1821) Elgin riuscì a spedire in Gran Bretagna un’eccezionale quantità di marmi antichi: 39 metope, 56 pannelli del

ITINERARIO

delle pieghe dell’himation, con la severità e la compostezza del volto, purtroppo deteriorato, ma originariamente impreziosito dalla policromia e dagli inserti di materiali eterogenei (occhi, ciglia, orecchini).

fregio ionico, 17 statue frontonali e una Cariatide dell’Eretteo. Dopo che una commissione parlamentare ebbe giudicato corretto l’operato dell’ambasciatore, nel 1816 il governo britannico decise di acquistarli alla cifra di 35000 sterline, inferiore rispetto alle spese sostenute da Lord Elgin, e di esporli al British Museum. Da subito la fama dei marmi del Partenone – ribattezzati marmi Elgin – iniziò a eclissare quella delle opere antiche conservate non solo nelle altre collezioni inglesi, ma anche nei musei di tutta Europa.

Gli scavi dell’Acropoli ■ Nel 1833 il neonato stato greco, guidato dal re Ottone di Baviera, grande ammiratore del mondo classico, avviò una campagna di scavi per il recupero dei reperti dell’Acropoli, luogo simbolico della cultura greca, sacro all’immaginario nazionale. Allo stesso modo il Partenone con i suoi marmi divenne l’emblema della costruzione del moderno stato greco. Nel 1834 venne approvato il primo testo legislativo per la protezione dei beni culturali greci e, nello stesso anno, venne chiamato

Il Museo dell’Acropoli di Atene

161


↑| Ipotesi di colorazione della Kore di Chio (studi e progetto di V. Brinkmann, realizzazione U. Koch, 2012). Monaco di Baviera, Glyptothek.

↑| Archemos di Chio (attr.), Kore di Chio, ca 520-510 a.C. Marmo di Chio, altezza 55 cm.

L

a piccola kore, rinvenuta in stato frammentario durante gli scavi dell’Acropoli, tra 1886 e 1888, è un esempio di scultura ionica. Attribuita ad Archermos

– scultore attivo nella seconda metà del VI secolo a.C. originario dell’isola di Chio in Asia Minore, uno dei pochi scultori arcaici di cui ci siano giunte notizie letterarie – è priva delle gambe, ma conserva gran parte dell’originaria decorazione policroma. Il volto, ancora caratte-

ad Atene l’architetto tedesco Leo von Klenze (1784-1864), con il compito di avviare il restauro dell’Acropoli, salvando le antichità greche dai trafugamenti e dall’abbandono. Il progetto di von Klenze prevedeva la monumentalizzazione della rocca, destinata a diventare uno spazio esclusivamente archeologico grazie alla demolizione delle fortificazioni medievali e di tutte le aggiunte posteriori. La supervisione dei lavori fu affidata all’archeologo tedesco Ludwig Ross (1806-1859), il quale avviò i primi scavi nell’area del Partenone, insieme alla rimozione di tutte le strutture non classiche e alla ricollocazione dei marmi recuperati nell’area circostante; a lui si deve la scoperta delle prime korai, statue votive erette sull’Acropoli in età arcaica.

La colmata persiana ■ I lavori di smantel-

lamento, restauro e anastilosi dei monumenti classici della rocca, che si protrassero dal 1836 al 1860, portarono al rinvenimento di un gran numero di opere, tanto che nel 1863 il governo greco decise di costruire un museo sul versan-

162

■ Unità II   La Grecia

rizzato dal sorriso arcaico, è incorniciato dai riccioli e dalle lunghe trecce ondulate che ricadono sul seno e sulle spalle. L’analisi fisico-chimica dei pigmenti residui ha consentito di identificare il colore castano dei capelli e degli occhi. La ricchezza ornamentale del drappeggio ionico avvolge con pieghe tortuose il corpo, lasciando fuoriuscire le braccia, purtroppo perdute. Originariamente la posizione stante della fanciulla doveva essere vivacizzata dal sollevarsi della mano destra, per porgere le offerte, e dal lieve sollevare della veste con la mano sinistra.

↑| Athena che attacca un gigante, Scena di Gigantomachia dal frontone orientale del tempio di Athena Polias, 520-500 a.C. Marmo, altezza di Athena 200 cm

I

l gruppo, di dimensioni monumentali, ornava il frontone orientale del tempio dorico periptero di Athena Polìas, eretto dai figli di Pisistrato intorno al 520 a.C., le cui fondazioni furono rinvenute nel 1885 dall’archeologo tedesco Wilhelm Dörpfeld nella zona a sud dell’Eretteo. La struttura del tempio era in calcare poroso,

te sud-orientale della collina dell’Acropoli, che fu completato nel 1874. Nello sbancamento per la realizzazione del museo, furono ritrovati alcuni pezzi particolarmente importanti: il Moskophoros ▶ p. 122 , il corpo dell’Efebo di Kritios ▶ p. 130 , l’Athena di Angelitos e la testa della statua di Athena dal frontone dell’antico tempio di Athena Polias ●↑. Tra il 1885 e il 1890 furono condotte le prime indagini archeologiche sistematiche sull’Acropoli; i frammenti scultorei, pezzi di statue e di decorazioni architettoniche di edifici sacri ritrovati in diversi punti della collina furono talmente numerosi da convincere gli studiosi che si trattasse dei resti del barbaro saccheggio compiuto dai Persiani sull’Acropoli, tra il 480 e il 479 a.C. che gli Atenesi avevano pietosamente seppellito in fosse rituali al termine delle guerre. La religione greca infatti non permetteva di distruggere o di spostare dal perimetro sacro dell’Acropoli le statue votive. Tali fosse di riempimento furono battezzate dall’archeologo tedesco Wilhelm Dörpfeld

mentre gli elementi decorativi, come le metope e le statue frontonali a tutto tondo, furono realizzati in marmo pario. Parte delle figure che decoravano i frontoni sono state ritrovate in stato frammentario nella cosiddetta colmata persiana. È stato possibile ricostruire gran parte della statua di Athena e dei tre giganti del frontone della Gigantomachia, ma rimane ancora incerto il numero complessivo dei personaggi, otto o forse dieci. La scena – collegata alle feste che si tenevano ogni anno ad Atene in onore di Athena protet-

trice della città – raffigura la dea, forse accanto al padre Zeus, nel momento in cui brandisce il mantello con le frange di serpente (l’egida) per impedire ai giganti di raggiungere la vetta dell’Olimpo. La composizione, con la dea al centro e ai lati i giganti in combattimento o vinti, disposti in pose che variavano a seconda dell’inclinazione del timpano, mostra una soluzione già avanzata al problema dell’adattamento delle figure allo spazio triangolare del frontone, evitando di ricorrere per riempire gli angoli a mostri o ad animali.

↑| Il Moscophoros e l’Efebo di Kritios  poco dopo il ritrovamento sull’Acropoli di Atene, ca 1865. New York, Metropolitan Museum of Art.


←| Testa di efebo (Efebo biondo), post 480 a.C. Marmo.

L

(1853-1940) «colmata persiana» (Perserschutt, che in tedesco significa letteralmente «macerie persiane». Fino a quel momento la scultura greca era conosciuta attraverso copie di epoca romana da originali riferibili al periodo severo e classico. La scoperta dei preziosi materiali che, anche se mutilati, si erano salvati nella colmata persiana ha permesso di conoscere le opere originali di epoca arcaica, fornendo agli studiosi un sicuro termine ante quem per datare il passaggio allo stile severo. Gli scavi, tuttavia, furono condotti in modo rapido e sommario, senza una documentazione scientifica adeguata, né un confronto tra i frammenti scultorei e altri oggetti databili con certezza, come ad esempio le monete. Pertanto secondo alcuni studi più recenti, solo i reperti provenienti dalla grande fossa a sud del Partenone risalirebbero effettivamente al periodo precedente la devastazione persiana del 480 a.C., mentre le fosse scavate in settori differenti testimonierebbero un seppellimento avvenuto nella prima metà del V secolo a.C. durante i lavori di riordino dell’Acropoli.

a statua, nota come Efebo biondo per le tracce di doratura presenti sui capelli, probabilmente rappresentava un atleta in movimento. Della figura sono stati ritrovati nel 1923 solo due frammenti, la testa e il bacino, in una fossa a sud-

←| Ipotesi di colorazione della Testa di efebo. Monaco di Baviera, Glyptothek. ←| Nike che si slaccia un sandalo, ca 410 a.C. Marmo. Dalla balaustra del Pyrgos del Tempietto di Athena Nike.

Anni Settanta del Novecento: verso un nuovo museo ■ La grande quantità di mate-

riali rintracciati nel corso dei decenni successivi rese ben presto inadeguato il museo ottocentesco e, nonostante gli ampliamenti e le riedificazioni che si susseguirono fino al 1964, divenne sempre più difficile gestire la crescente quantità di reperti e il continuo incremento dei visitatori. Nel 1976 venne individuata un’area ai piedi dell’Acropoli per la costruzione di un nuovo museo, in previsione di una riunificazione delle sculture del Partenone conservate al British Museum che la Grecia non aveva mai smesso di rivendicare. La costruzione del museo sembrò finalmente partire nel 1989 quando il ministro socialista della cultura, Melina Mercouri, con grande risonanza internazionale tornò a reclamare formalmente il rientro in patria delle opere prelevate da Lord Elgin, bandendo contemporaneamente un concorso internazionale. Per giustificare il proprio rifiuto di restituire alla Grecia i marmi del Partenone il governo inglese, infatti, oltre a ribadire la legittimità dell’operato di Lord Elgin, il quale avrebbe con il suo gesto permesso di salvare i marmi dal degrado e dall’indifferenza in cui versavano agli inizi del XIX secolo, da sempre sosteneva che, se trasferiti in Grecia, non avrebbero avuto una collocazione altrettanto adeguata a conservarli, proteggerli e renderli fruibili al pubblico. Il ritrovamento nel corso degli scavi per le

est dell’Acropoli, insieme a materiali di epoca arcaica. È generalmente considerata un’opera che segna il passaggio all’età severa, prossima alla devastazione persiana del 480 a.C. Il volto, leggermente inclinato verso sinistra, ha perso il sorriso arcaico, le labbra e le palpebre sono carnose, i capelli sono raccolti in due trecce sulla nuca e la fronte è coperta da una folta frangia.

L

a Nike che si slaccia il sandalo è una delle lastre della balaustra che circondava su tre lati il tempietto di Athena Nike ▶ p. 120 , realizzata intorno al 410 a.C. Alte poco più di un metro, le 27 lastre che la componevano raffiguravano delle Vittorie (Nikai) in differenti pose e rimasero un riferimento formale e iconografico fondamentale per l’arte antica, come dimostrano le numerose copie e varianti di età romana. Probabilmente i rilievi fu-

fondamenta del museo dei resti di un antico quartiere di età arcaica interruppe nuovamente la realizzazione del progetto. Fu solo nel 2001 che venne bandito un nuovo concorso vinto da Bernard Tschumi e Michael Photiadis che portò finalmente alla re-

ITINERARIO

rono realizzati dalla stessa bottega scultorea che eseguì il fregio ionico continuo che correva lungo il perimetro del tempietto. I bassorilievi riprendono forme e motivi elaborati da Fidia, secondo lo stile della corrente artistica che è stata denominata «manierismo post-fidiaco». La posa dinamica della figura, con le gambe di profilo e il busto in torsione, è controbilanciata dalle ali. Il panneggio svolazzante, gonfiato dal vento, ripropone l’effetto bagnato usato da Fidia nelle statue del Partenone ed esalta il profilo del corpo, nascosto sotto alle vesti aderenti, percorse da un delicato e fitto gioco di pieghe.

alizzazione del nuovo edificio completato nel 2007. L’inaugurazione del nuovo museo nel 2009 ha riacceso violentemente le polemiche e la battaglia legale fra Grecia e Gran Bretagna, a oggi non ancora conclusa.

Il Museo dell’Acropoli di Atene

163


unità II La Grecia ■ ITINERARIO NELLA CITTÀ

Dalla polis alle capitali ellenistiche MAR EGEO

MAR IONIO

Atene

Pergamo

Asia Minore

Mileto Rodi

Creta

MAR MEDITERRANEO

Fenicia Cipro

Alessandria

Egitto

N

onostante già fra XI e IX secolo a.C. inizino a maturare le indispensabili premesse sociali ed economiche, la polis greca in senso stretto (intesa come città dotata di una propria specifica identità politica e urbana) nasce – come si è detto – solo a partire dall’VIII secolo a.C. e si trasforma finché nel V secolo non raggiunge la sua forma più compiuta ▶ p. @@@ .

La polis ideale di Ippodamo di Mileto

L’età classica rappresenta il momento di più alta creatività del popolo greco che, liberato dall’incubo persiano, porta al massimo splendore ogni forma di espressione del pensiero: dalla filosofia alla politica, dalla letteratura all’arte ▶ p. @@@ . Non è un caso, pertanto, che proprio nel V secolo a.C. maturi anche una serie di importanti riflessioni sulla natura e sulla forma della città, che deve essere in grado di rispondere nel modo migliore alle esigenze di vita e di relazione di una popolazione ormai fortemente civilizzata, per la quale l’artigianato e il commercio stavano via via assumendo la stessa importanza che, in epoca arcaica, avevano rivestito l’agricoltura e l’allevamento. La polis greca d’età classica si configura come un organismo compatto, stretto attorno alla sua acropoli da precise relazioni sociali e religiose. È in particolare a Mileto che si creano le basi per quella che, a tutti gli effetti, può essere considerata la nascita della pianificazione

168

■ Unità II   La Grecia

urbana antica. Di origine antichissima (forse addirittura cretese), la ricca colonia dell’Asia Minore, un importante centro di sviluppo e di propulsione della cultura ionica, occupava un ruolo strategico per le rotte commerciali verso il Mar Nero e l’Egitto. In quegli anni, filosofi come Talète (640/625 a.C.-548/545 a.C.), Anassimàndro (ca 610 a.C.-ca 546 a.C.), Anassimène (ca 586 a.C.-528 a.C.) e geografi come Ecatèo (550-476 a.C.) fecero della città la culla della filosofia, delle scienze naturali, degli studi geografici e storiografici. Distrutta dai Persiani nel 494 a.C., la città fu ricostruita a partire dal 479 a.C. La tradizione ne attribuisce la sistemazione a Ippòdamo, architetto e urbanista vissuto fra la fine del VI e la seconda metà del V secolo a.C. e originario di Mileto. Proprio a Ippodamo viene concordemente attribuita l’elaborazione di un modello di polis ideale che prevedeva una popolazione di diecimila abitanti divisi in tre classi: agricoltori, artigiani e soldati. Tale tripartizione si doveva riflettere in modo diretto sia sulla struttura fisica della città sia sulla sua organizzazione funzionale. Il territorio urbano, infatti, viene a sua volta ripartito in tre aree: 1. l’area sacra (riservata ai templi e all’amministrazione religiosa); 2. l’area pubblica (nella quale si svolgevano le attività commerciali, il confronto politico, le attività ricreative e culturali); 3. l’area privata (destinata alla residenza dei cittadini).

Palestina

Per applicare questa tripartizione alla struttura fisica della città la pianta viene regolata geometricamente con una maglia a scacchiera ortogonale, secondo quanto già sperimentato nella Nuova Babilonia di Nabucodonosor ▶ p. @@@ . Per questo motivo, anche se taluni studi più recenti tendono a sfumare l’originalità del contributo dato da Ippodamo alla definizione di un nuovo modo di tracciare la città, sicuramente tutto suo resta il merito di aver meglio definito e codificato molte regole della progettazione di una città. La divisione della città in aree funzionali avviene mediante la costruzione di alcune grandi strade longitudinali (solitamente orientate da nord a sud), che intersecano ortogonalmente un fitto reticolo di vie trasversali generando una serie di isolati di forma rettangolare. L’innovazione introdotta da Ippodamo consiste nella grande flessibilità che questa suddivisione in moduli consente. In base alla conformazione del terreno e alla presenza o meno di ostacoli naturali, infatti, le maglie, pur mantenendo la stessa larghezza, possono aumentare o diminuire di lunghezza, adattandosi nel migliore dei modi alle esigenze di vita e di organizzazione della città. In altre parole, pur partendo da una suddivisione rigida e fortemente geometrizzata, la città tende a svilupparsi in armonia con il territorio naturale circostante, assecondandone sempre gli andamenti, senza opporvisi né con grandi opere di scavo, né con la costruzione di terrapieni o strutture murarie.


Il Pireo

Mileto ↓. Mentre gli edifici risalgono al periodo ellenistico e romano, l’impianto è quello a scacchiera regolare del V secolo a.C.

olte sono le città la cui progettazione è stata tradizionalmente attribuita a Ippodamo. Tra queste spiccano, oltre

alla natia Mileto, anche Turii (sua patria adottiva) e, forse, Rodi. L’unico progetto che oggi gli viene concorde-

L’iniziale insediamento portuale, fortificato da un circuito di mura lungo circa 60 stadi (più o meno 10 kilometri), venne così trasformato in una vera e propria città satellite della vicina Atene, alla quale era unito mediante le cosiddette Lunghe Mura →, una sorta di corridoio fortificato di 7-8 kilometri che collegava il Pireo ad Atene, al fine di evitare che eventuali attacchi nemici potessero tagliare i collegamenti tra la città e i suoi porti militari.

EL

EU

tocle (ca 528-462 a.C.) al termine della prima guerra persiana intorno al 493-492 a.C. e proseguita poi da Pericle nel 445 a.C.

Accademia

SI

Licabetto

Via Sacra 20

SAL

A

IN AM

Erid

o an

ATENE

Liceo

Ilisso 20

Lunghe Mura

Kynosarghes

E

O

Mura del Falero

R

Aree commerciali

mente attribuito è comunque la risistemazione del promontorio ateniese del Pirèo, iniziata per volere del generale Temìs-

IO SUN

Il tessuto viario era costituito da tre grandi arterie larghe circa sette metri e mezzo, una da nord-est a sud-ovest (in blu) e le altre due da nord-ovest a sud-est (in rosso).

M

I

nche se è ormai certo che non fu progettata da Ippodamo, la città che meglio sembra riflettere il modello a lui attribuito è

P

A

Ce fiso

Mileto

FALERO

Area religiosa

Agorà Area civile

Santuario di Athena

Porta Sacra

Santuario di Apollo

Le altre strade minori, rispettivamente ortogonali o parallele alle prime, erano larghe quattro metri e mezzo e scandivano la polis in isolati che, dato lo scoscendimento del promontorio sul quale sorgeva la città, potevano avere superfici diverse fra loro, anche se sempre contenute all’interno della medesima maglia geometrica.

La città, nel suo complesso, risultava in questo modo divisa in tre vasti quartieri residenziali che avevano il loro punto di cerniera in una vasta area a forma di «L» dedicata agli spazi della vita pubblica (in rosso) a cui si affiancavano quelli per le attività commerciali (in giallo) e le aree sacre (in arancione).

Nella risistemazione della zona del Pireo, di cui oggi rimangono solo pochissimi resti, Ippodamo applicò una maglia ortogonale che si sviluppava da nordest a sud-ovest, assecondando gli avvallamenti del terreno e l’andamento frastagliato delle coste. All’interno di questo ordinato tessuto urbano, che connetteva il grande porto commerciale del Càntaro, a Occidente ovest, con i due porti militari di Zea e di Munichìa, più a est, grande importanza assume soprattutto l’individuazione di tre diverse aree funzionali: commerciale, pubblica e militare.

Quella commerciale (in giallo) si affaccia sulla baia del Cantaro (kàntharos in greco vuol dire «tazza», con allusione alla forma tondeggiante della baia) e ospita tutte le necessarie strutture portuali, con i magazzini e il mercato.

Porto del Cantaro

Porto di Zea

Quella pubblica (in rosso) si estende da est a ovest e comprende, oltre all’agorà, anche vari edifici sacri.

ITINERARIO NELLA CITTÀ

Porto di Munichia

Quella militare (in verde), infine, comprende il porto di Zea, dotato di darsene, canali e arsenali per accogliere quasi duecento navi e, all’estrema propaggine orientale, il porto ellittico di Munichia.

Dalla polis alle capitali ellenistiche

169


Le città di età ellenistica spiccano per la dilatazione degli spazi e per la conseguente monumentalità dei loro edifici. Questa nuova strutturazione urbana costituisce il riflesso sul

territorio di un nuovo e diverso modo di concepire il potere, secondo gli ideali delle ricche corti ellenistiche, che al rigore greco avevano progressivamente sostituito lo sfarzo orientale. L’età ellenistica conosce la fioritura di tre al-

Alessandria d’Egitto lessandria d’Egitto venne fondata nel 332 a.C. da Alessandro Magno, dal quale prese il nome e che la immaginò come la più grande città di tutti i tempi. Essa doveva essere la degna capitale del suo immenso impero, rappresentando un ideale ponte culturale e commerciale fra l’Occidente greco e il Vicino Oriente. Situata a ovest del delta del Nilo, la città sorse su una lingua sabbiosa compresa tra la costa mediterranea, di fronte all’isoletta di Faro, e la pa-

lude Mareòtide (oggi lago Maryüt). I dispendiosi lavori di costruzione si protrassero ben oltre la vita di Alessandro e la sua città poté dirsi conclusa, almeno relativamente alle strutture difensive, viarie e monumentali, solo sotto il regno di Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C.). Progettata forse da Dinòcrate, architetto di probabile origine macedone fiorito nella seconda metà del IV secolo a.C. (del cui stratagemma per farsi notare da Alessan-

→| Maarten van Heemskerck, Veduta ideale del Faro di Alessandria, MAR MEDITERRANEO ca 1560.

dro narra Vitruvio), anche Alessandria riprende la disposizione a scacchiera ortogonale di ispirazione ippodamea.

Alessandria

Delta del Nilo

Oasi del Fayyum

Penisola del Sinai MAR ROSSO

In pianta essa aveva la forma del tipico mantello macedone, la clamide, corrispondente a un parallelogramma →. Una serie di lunghe strade rettilinee la percorreva in senso longitudinale, da est a ovest, intersecando ad angolo retto quelle, più corte, che dalla costa portavano verso il lago retrostante.

Faro di Alessandria MAR MEDITERRANEO

Isola di Faro

La più importante delle direttrici maggiori, detta Via Canòpica, era lunga oltre 4000 metri e larga almeno trenta. Porticata, essa incrociava ortogonalmente la prima delle direttrici minori, che dai magazzini allineati lungo la banchina del porto conduceva per oltre due kilometri verso le mura meridionali.

Eptastadio Porto Eunosto

Teatro Palestra

Magazzini

Ginnasio

Canale

Necropoli

Tempio di Serapide

Porto Magno

Biblioteca e Museo

Canale

La grandiosa piazza quadrangolare ove si intersecavano le due strade principali non era al centro della città ma spostata verso la costa. In tal modo si intendeva sottolineare la grande importanza che il mare rivestiva per la vita e i commerci di quello che, dopo Roma, è stato senza dubbio il più grande agglomerato urbano dell’antichità.

Mura difensive Via minore

Circondata da un possente circuito murario di circa quindici kilometri, Alessandria aveva una superficie di quasi 900 ettari. La struttura a scacchiera, con lotti rettangolari di diverse misure, consentiva, di fatto, uno sfruttamento assai razionale del territorio, evitando poli emergenti attorno ai quali si potessero avere congestioni edilizie o di traffico.

Piazza centrale

Dikasterion

Palazzo di Adriano

PALUDE MAREOTIDE

←| La

Biblioteca di Alessandria in una xilografia del 1840. Particolare.

170

cune delle più grandi e importanti città della storia, i cui nomi leggendari erano già per gli antichi sinonimo di potenza, cultura e ricchezza: Pergamo, Antiochia di Siria e Alessandria d’Egitto.

Necropoli

A

Nilo

Le capitali dell’Ellenismo

■ Unità II   La Grecia

Di Alessandria, città d’arte e di cultura, oltre che di floridi commerci, sono famosi anche la Biblioteca e il Museo, sorti entrambi per volere di Tolomeo I Sotèr (305-285 a.C.), che al loro accrescimento destinò

sempre ingentissimi fondi. La Biblioteca, in particolare, costituì il primo vero e proprio deposito del sapere filosofico e scientifico di tutti i tempi e, prima di essere completamente distrutta da un rovino-

so incendio (48 a.C.), doveva contenere almeno 800  000 manoscritti, tra i quali molti originali di opere greche andati perduti per sempre. Il Museo, invece, costituiva – a dispetto del nome, che potreb-

L’antistante isola di Faro, infine, collegata con la terraferma mediante una diga lunga oltre 1200 metri (Eptastàdio), costituiva un prolungamento strategico della città. Questo sia per l’accesso e la protezione ai due principali porti (quello occidentale o Eunòsto e quello orientale o Magno), sia per la presenza del Faro, che proprio da quell’isola ha preso il nome. Considerato dagli antichi una delle Sette meraviglie del mondo antico, per secoli, è stato fonte inesauribile di leggende, fino alla sua distruzione, avvenuta nei primi decenni del XIV secolo. Eretto verosimilmente intorno al 280-279 a.C., esso consisteva in un colossale torrione, alto almeno un centinaio di metri, dalla cui cima, grazie a un sofisticato sistema di specchi, veniva irraggiato verso il mare un fascio luminoso, prodotto da un grande falò sottostante e visibile da oltre 50 kilometri di distanza. be trarre in inganno – un vivace centro culturale, al cui interno scienziati e sapienti potevano sviluppare liberamente i propri studi, discutendo, scrivendo e insegnando sotto la diretta protezione del faraone.


opere

PERCORSI

▪ Kouros ▪ Zeus di Capo Artemisio ▪ Doriforo di Policleto ▪ Apoxyomenos ▪ Laocoonte

GUARDA!

tecniche

▪ Fusione a cera persa ▪ Statuaria in pietra

La figura umana dall’età arcaica all’Ellenismo 250

200

150

100

50

0 cm

Fin dall’età arcaica l’uomo è al centro delle speculazioni filosofiche dei Greci. Anche l’arte intesa come libera espressione dell’intelletto umano e razionale ricerca degli ideali assoluti di bellezza, di equilibrio e di perfezione, mette al centro delle proprie creazioni il corpo umano. Le divinità stesse sono concepite a immagine e somiglianza degli uomini, tanto che è sempre difficile stabilire se un soggetto rappresentato in una statua greca sia un atleta, un eroe o un dio. Il modo in cui gli artisti greci hanno rappresentato la figura umana dall’epoca arcaica fino all’età ellenistica si trasforma di pari passo con il cambiamento di questo ideale.

Leggi Le fonti antiche sono un altro valido aiuto per conoscere le opere e la poetica dei grandi artisti del passato ▶ Ant. 7, 22-33, 35.

Diodoro Siculo, Dedalo e la statuaria La figura mitica di Dedalo può essere considerata una sorta di personificazione della creazione artistica e artigianale. Nel IV libro della sua Biblioteca storica lo storico greco Diodoro Siculo racconta di Dedalo e della versatilità della versatilità della sua arte, che sa gareggiare con la natura stessa.

D

edalo creò molte invenzioni sussidiarie dell’arte e realizzò opere ammirate in tutti i luoghi della terra abitata. Nella realizzazione delle statue superò di tanto tutti gli uomini, che i posteri raccontavano di lui che le statue che egli aveva realizzato assomigliavano agli esseri viventi. Esse vedevano e camminavano, e atteggiavano in generale la disposizione di tutto il corpo, in modo che sembrava che l’oggetto realizzato fosse un essere vivente ed animato. Fu il primo a fornirle di occhi e a fare loro le gambe separate e ancora a fare le mani tese, ed era naturale che venisse ammirato dagli uomini, perché gli artisti prima di lui realizzavano le statue con gli occhi chiusi e con le mani abbassate e attaccate ai fianchi.

Confronta Rileggi nei capitoli le descrizioni delle statue sopra illustrate, guarda i video. Individua analogie e differenze, in particolare riguardo: 1. al modo di rappresentare l’anatomia; 2. alla postura; 3. all’equilibrio fra le varie parti della figura; 4. alla posizione e al modo di rappresentare la testa. Approfondisci Nel corso dei secoli cambiano anche le tecniche utilizzate dagli scultori greci: dalla lavorazione del marmo si passa in epoca classica alla tecnica della fusione in bronzo a cera persa. Guarda i video e rifletti sulle differenze tra processo sottrattivo o additivo. In che modo la tecnica influisce sulla resa della figura e dei particolari? Osserva La maggior parte degli originali di epoca classica è andata perduta, a noi sono giunte per lo più le copie in marmo di epoca romana. In che modo è possibile distinguere una copia da un originale?

Diodoro Siculo, Biblioteca storica, IV, 76 (Ant. 7) Tratto da: Diodoro Siculo, Biblioteca storica: libri 1-5, Sellerio, Palermo 1986.

Lavora In che modo è cambiata nel tempo la rappresentazione della figura umana nell’arte greca? Quale immagine di uomo è stata proposta nelle varie epoche? Per rispondere costruisci una linea del tempo con le opere che trovi descritte nei capitoli della seconda unità (Grecia). Per ciascuna indica: autore (se noto); titolo; datazione; materiale e tecnica; elementi stilistici e comunicativi (anatomia, postura, posizione della testa, rapporto con lo spazio, funzione).

PERCORSI

La figura umana dall’età arcaica all’Ellenismo

171


ENGLISH FOR ART

video

▪ Horses of Saint Mark

GUARDA!

Dealing with Architecture

Here you will find some useful terms for describing Greek temples and Greek architectural orders. Find

Look - Basic vocabulary Entablature

Pediment

Roof

2 Read the passage below, find the terms and expressions that you have found in the previous sections and copy them in your notebook.

Colonnade Peristyle Stylobate

Corinthian

Ionic

Cornice Dentils Frieze Metope

Architrave

Triglyph

Entablature

Doric

Crepidoma

Abacus Capital

The temple of Athena Aphaia The Temple of Athena Aphaia is situated on the island of Aegina, in the Saronic Gulf. It stands inside a sanctuary complex and was initially dedicated to Aphaia, a local goddess, and then to Athena. The present structure was built between 510 and 480 BC. It stands on the ruins of an earlier temple dating back to the VIII century BC, which had been destroyed by a fire. It is built in the Doric order with 32 columns, dozens of statues and a carved entablature. The overall dimensions are about 13.77×28,82 meters. It had two huge carved pediments on the east and west ends which show Athena the goddess of war and Trojan battle scenes. The columns, cella walls, architrave and triglyphs are all made of local limestone while the capitols, the acroteria and the sculptural decorations of the pediments are made of marble. Explore – Pair work

Shaft

3

Go online and find at least three other terms, adjectives and expressions that can be used to describe a Greek temple. You can visit the following websites: www.britishmuseum.org www.britannica.com www.encyclopedia.com

Base

When you have finished write them down in your notebook.

Learn – Key language

Write

1

4 Look at the image below and write on your notebook a description of it of about 80/100 words. Use the information given and at least ten terms, adjectives or expressions choosing from the ones from the previous activities and those that you have found. You may use the Internet for further information.

Here are some expressions that may be useful when talking about Greek temples.

Stands on/in

sorge su/ all’interno di

The overall dimensions are

le dimensioni complessive sono

Was built in/ venne eretto nel/ Made of/from between… and… fra il … e il …

fatto/i di

It dates back to risale a

Is divided into

è diviso in

Completed in

terminato nel

Is considered

è considerato

Is situated on

si trova su

Known as

conosciuto come

Dedicated to

consacrato a/ dedicato a

The most striking l’elemento più feature is notevole è

Was designed by fu progettato da It housed

172

■ Unità II   La Grecia

conteneva

Architect:Callicrates Name: Temple of Athena Nike Date of completion: 420 BC Order: Ionic Materials: White Pentelic Marble Dimensions: 8 metres by 5.5 metres Location: Athens, Acropolis


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