Sviluppo dell'analisi optometrica comportamentale

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UNIVERSITÀ DEL SALENTO Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di laurea in Ottica ed Optometria

Tesi di laurea in Ottica e Optometria

SVILUPPO DELL’ANALISI OPTOMETRICA COMPORTAMENTALE: DALLA PRESCRIZIONE PREVENTIVA RIEDUCATIVA AL VISUAL TRAINING

Relatore

Laureando

Chiar.mo Prof. Domenico BRIGIDA

Sebastiano Amatulli

Anno Accademico 2011 - 2012

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INDICE:

INTRODUZIONE……………………………………………………………….PAG. 4 1. LO SVILUPPO DELL’OPTOMETRIA COMPORTAMENTALE E LA PERCEZIONE VISIVA………………………………………………………...PAG. 5 2. IPOTESI SUL CONCETTO DI MIOPIA FUNZIONALE………………PAG. 15 2.1 La condizione refrattiva nell’arco vitale 2.2 Modello di Van Alphen e prime ipotesi sull’allungamento assiale 2.3 Interazione Uomo-Ambiente 2.4 Concetto di stress e variazioni di adattamento 2.5 La progressione Miopica 3. LA RADICALIZZAZIONE SOMATICA…………………………………PAG. 41 3.1 Adattamenti a lungo termine 3.2 Profili funzionali 3.3 Deterioramento analitico 4. LE SOLUZIONI OTTICHE COMPORTAMENTALI…………………..PAG. 56 4.1 La Correzione preventiva 4.2 Gli effetti indotti dalla correzione 4.3 Calcolo del valore addizionale 4.4 Tecniche prescrittive per la miopia 4.5 Trattamento d’arresto 4.6 Il Trattamento di regressione - Ortokeratologia 5. LA VISIONE NELL’EQUILIBRIO POSTURALE……………………...PAG. 71

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6. LE MODIFICHE NEURO-ANATOMICHE INDOTTE DAL VISUAL TRAINING………………………………………………………………….….PAG. 77 6.1 Il campo d’azione del Visual Training 6.2 Riscontro Neurologico CONCLUSIONI………………………………………………………………..PAG. 88 BIBLIOGRAFIA………………………………………………………….........PAG. 91

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INTRODUZIONE

Le soluzioni ottiche comportamentali a scopo preventivo rappresentano al giorno d‟oggi quello che in realtà dovrebbero essere normali metodi applicativi, delle normali procedure di routine quotidiana o nell‟insieme, un qualcosa che meglio descrive il rapporto con il sistema visivo e quello che in verità rappresenta, ovvero: non una struttura a sé stante bensì un‟estroflessione del cervello. Esse devono essere considerate nella risoluzione del deficit come il prodotto concepito dalla pratica olistica e dall‟approccio funzionale, entrambi maturati negli anni grazie ai contributi multi-disciplinari nell‟ambito delle ricerche psicologiche e fisiologiche, ma soprattutto alla presa in considerazione, cosa impensabile per le vecchie filosofie professionali, delle variabili socio-economiche e culturali (passo di notevole autorevolezza) che possono essere coinvolte o influenzate dal deficit visivo stesso. Il grado di attenzione che si deve avere nei confronti dell‟individuo nel suo insieme, nell‟ambito dell‟approccio funzionale, è importante e indispensabile innanzitutto per enfatizzare il ruolo della prevenzione e della rieducazione e per indirizzare il trattamento al fine di ottenere un miglioramento della performance globale piuttosto che il solo miglioramento dello stato di salute dello specifico organo. L‟evoluzione e lo sviluppo delle varie scuole di pensiero, da quella empirista sino a quella cognitivista, ha permesso lo svecchiamento di preconcetti dogmatici, messo in discussione metodiche troppo ortodosse e fornito le conoscenze e i saperi che hanno inciso maggiormente nel corso del tempo sulla concreta attività di coloro che si occupano di processi visivi nei vari settori dell‟attività sociale, culturale e professionale; tutto questo infine è culminato nel radicale cambiamento di vedute, punto decisivo notevole che ha garantito l‟affermazione e la diffusione del modello Optometria comportamentale.

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1. LO SVILUPPO DELL’OPTOMETRIA COMPORTAMENTALE E LA PERCEZIONE VISIVA1

Oggi il processo della visione viene sempre più considerato come un continuum che origina nell‟occhio e, attraverso i complessi meccanismi della neurofisiologia e della neuropsicologia della percezione, si completa nel cervello; ciò mette in evidenza il concetto fondamentale del cervello come vero organo della visione e la visione come funzione non innata bensì appresa. In un bambino appena nato sono presenti solo una serie di riflessi che devono garantirgli la sopravvivenza: i riflessi innati. Inizialmente il cervello di un neonato potrebbe apparire come l‟hard disk di un nuovo computer che contiene solo le informazioni ad accendersi e rimanere in attesa di tutte quelle informazioni (software) che gli consentiranno di funzionare come elaboratore. I suoi primi sei anni di vita sono considerati fondamentali per il suo futuro sviluppo psico-cognitivo durante i quali esperienze esplorative di tipo gustativo, olfattivo, tattile per il mondo prossimale e, uditivo e

visivo per l‟esplorazione del mondo distale, alimentano il cosiddetto

“software gestionale” del cervello affinché

si vada incontro a un processo di

apprendimento e consolidamento dell‟azione. Procedura riferita a un mutamento nel modo di comportarsi o di eseguire attività in conseguenza dell‟esperienza. Tutte le caratteristiche e le capacità che una persona acquisisce e tutti i mutamenti che si hanno con lo sviluppo risultano da due processi fondamentali che agiscono quasi sempre in sinergia: l’apprendimento definito come il mutamento nel modo di comportarsi o di eseguire attività in conseguenza dell‟esperienza, nel cui contesto gioca un ruolo fondamentale la motivazione e il rinforzo che accelereranno il processo stesso; la maturazione ovvero l‟elaborazione delle esperienze per assimilare e integrare esperienze di tipo più evoluto. Essi sono il risultato dell‟elaborazione degli stimoli afferenti integrati dalla percezione. La vita percettiva di un essere vivente è assolutamente legata all‟azione, infatti il movimento è esso stesso apprendimento,

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Silvio Maffioletti, la professione optometrica: dalla verifica rifrattiva all’analisi visiva integrata, luglio-agosto 2009

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ovvero nel caso della visione apprendiamo a vedere attraverso un processo di maturazione seguendo un lento percorso di apprendimento motorio e visivo. La visione che nella fase più evoluta dello sviluppo del neonato prenderà il posto della manipolazione per dare informazioni sull‟ambiente circostante, rappresenta il processo d‟interpretazione e d‟integrazione di quello che si è visto con le informazioni che sono state ricevute attraverso il tatto, l‟udito e il gusto al fine di garantire la partecipazione visiva in ciascuna attività e di divenire il collegamento tra l‟attività e la comprensione. Ogni volta che la visione è il meccanismo di guida per l‟azione del bambino, i suoi movimenti visivamente diretti gli forniscono un‟esperienza più ricca di comprensione. In sostanza la visione è dunque un processo intelligente di visualizzazione del percepito dove:  Processo intelligente sta per decodificazione tramite i meccanismi evoluti della mente;  Visualizzazione sta per costruzione mentale dello spazio oggettivo percepito attraverso gli organi sensori periferici;  Percepito sta per espressione, in termini di vissuto soggettivo, del contatto dell‟individuo attraverso gli apparati recettivi con l‟ambiente fisico. Un importante contributo alla conoscenza dello sviluppo della visione è emerso dagli studi del “Gesell Institute of Child Development” nel New Heaven. I suoi ricercatori hanno svolto (attorno alla metà del Novecento) approfondite osservazioni circa lo sviluppo della fissazione oculare, la capacità accomodativa e la funzione binoculare, mettendo a punto nuove tecniche per la valutazione dello sviluppo visivo dei bambini e sviluppando specifici regimi terapeutici per potenziare le capacità visive dei bambini normodotati e per svilupparle nei bambini con ritardi o carenze.

I ricercatori del Gesell Institute hanno attribuito grande rilevanza agli aspetti motori della funzione visiva e al ruolo della visione nello sviluppo delle funzioni motorie generali e del comportamento complessivo. Le loro ricerche hanno rafforzato nel mondo scientifico la consapevolezza che la visione rappresenta molto di più di un semplice

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sistema di raccolta di immagini con un funzionamento raffinato e complesso che non è riducibile al diffuso e semplicistico modello che la paragona a una videocamera. L‟uomo in ogni momento è il risultato psichico e biologico dell‟interazione tra più elementi costitutivi che funzionano in maniera sincrona e collegata; in passato si sono fronteggiati due modelli teorici che cercavano di spiegare l‟origine e la natura della percezione e della conoscenza :  Il modello empirista  Il modello innatista Gli empiristi sostenevano che non esiste conoscenza innata. Tutta la conoscenza si realizza attraverso i sensi, lo sviluppo percettivo procede mediante l‟esperienza associativa e, nel tempo, le associazioni tra le singole sensazioni grezze si trasformano in percezioni dotate di significato. All‟interno dell‟approccio empirista, nel tempo, si sono diversificate due linee di pensiero: 1. la prima è sintetizzata dal pensiero di John Locke (1632-1704), secondo il quale la mente dell‟infante è una tabula rasa e soltanto l‟esperienza è alla base della sua progressiva comprensione del mondo. 2. La seconda è espressa da William James (1842-1910) secondo il quale il mondo del bambino è una terribile e rumorosa confusione che viene superata grazie all‟esperienza che produce ordine e conoscenza. L‟approccio empirista è evolutivo in quanto presuppone che i bambini dapprima siano esseri percettivamente immaturi e divengano gradualmente più completi e organizzati. Gli empiristi ritengono che la visione si sviluppi prevalentemente grazie all‟accumularsi delle esperienze; attribuiscono quindi notevole importanza alle esperienze precoci considerate la base delle future capacità del bambino. A tale quadro teorico fa riferimento, per esempio, il modello dei <<Quattro cerchi di Skeffington>> (figura 1), che descrive la visione come parte dell‟intero sistema d‟azione del corpo e sottolinea come la qualità della visione del soggetto dipenda dallo sviluppo corretto e dall‟interazione di tutti i suoi sottosistemi operativi che traggono impulso dall‟esperienza. Nel modello dei Quattro cerchi di Skeffington gli aspetti essenziali della

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visione vengono gradualmente acquisiti dal bambino; la visione è appresa e rappresenta un processo emergente dato dalla totalità delle esperienze dell‟organismo. Nella definizione di Skeffington la visione viene utilmente scomposta in 4 sub sistemi maggiori:

Figura 1 La zona 5 delineata dalla parziale sovrapposizione dei cerchi è quella che Skeffington definisce Visione

 Il processo antigravità (consapevolezza della propria collocazione all‟interno dello spazio visivo; fornisce risposta all‟interrogativo: dove sono io?)  Il processo di centratura (l‟atto generale dell‟organismo di scelta e mantenimento dell‟immagine di un qualsiasi oggetto presente nell‟ambiente; fornisce risposta alla domanda: dov’è l’oggetto?)  Il processo di identificazione (la definizione e discriminazione di un‟immagine per ottenere un dato che soddisfi l‟organismo; fornisce risposta alla domanda: cosa è l’oggetto?)  Il processo verbo-uditivo (sub-sistema della visione che riguarda i concetti del linguaggio e comprensione e concerne l‟uso della logica nella strutturazione della risposta visiva).

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L‟approccio innatista, che ha avuto come capostipiti i filosofi Descartes (15961659) e Kant (1724-1804), affermava che alcune categorie percettive sono innate (grandezza, forma, posizione, movimento, spazio e tempo) e che, assai precocemente, la mente trasforma le sensazioni in percezioni significative. L‟approccio innatista non è evolutivo nei confronti dell‟origine delle abilità, ma lo è nei riguardi del loro processo di maturazione. Nello studio della visione, gli innatisti sottolineano gli aspetti presenti alla nascita, nei confronti dei quali l‟esperienza realizza successivamente un processo di maturazione; per esempio, dato che le forme vengono percepite fin dal momento della nascita come distinte dallo sfondo, il bambino non deve imparare a discriminare le forme ma semplicemente deve apprendere il loro nome. L‟immediatezza della percezione, che si esprime nella capacità di cogliere il dato fenomenico nella sua totalità, unità e significato, sostiene l‟approccio degli innatisti; essi accettano l‟idea che l‟esperienza possa giocare un ruolo nei processi percettivi (orientando tali processi verso determinate direzioni) ma negano che l‟esperienza possa influire sui processi di base. Il loro modello non prevede uno sviluppo della visione realizzato unicamente attraverso l‟esperienza motoria, sensoriale e di interazione con l‟ambiente, ma descrive un‟evoluzione di caratteri visivi innati, già presenti alla nascita. Alla fine del Novecento, dopo secoli di discussione, si è finalmente affermata un modello meno schematico e dicotomico. Oggi si considerano interagenti gli aspetti legati alla natura e quelli legati all’esperienza, con diverse possibili curve dello sviluppo prima che intervenga l‟esperienza e con diversi modi possibili in cui, successivamente, l‟esperienza può influenzare il funzionamento percettivo. Il programma indicato dal DNA non è portatore di un unico esito evolutivo e per ogni genotipo vi possono essere diversi esiti o fenotipi, che sarebbero il risultato delle peculiari caratteristiche ambientali entro cui il genotipo si sviluppa. I due modelli che all‟inizio del Novecento hanno maggiormente influenzato lo studio della percezione visiva sono stati il Comportamentismo negli USA e la Scuola delle Gestalt in Europa. La scuola psicologica della Gestalt ha avuto origine nelle ricerche di Wertheimer, il quale nel 1912 ha pubblicato i risultati degli studi (realizzati con l‟assistenza di Kohler e

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Koffka) relativi al fenomeno del movimento apparente. I Gestaltisti hanno ipotizzato che la percezione fosse un processo suddiviso in due fasi: 1. Fase del processo primario, attraverso il quale l‟input sensoriale viene trasformato nelle unità segregate che costituiscono gli oggetti fenomenici con le loro caratteristiche di forma, colore, movimento, tridimensionalità. I teorici della Gestalt hanno approfondito lo studio di questo processo, evidenziando che non si limita a una registrazione passiva di stimoli ma va oltre, poiché l‟organizzazione non è insita nella stimolazione ma è ciò che viene aggiunto dall‟organismo. In questo processo si hanno fenomeni di completamento di lacune, integrazione, totalizzazione. 2. Fase del processo secondario, attraverso il quale l‟input viene processato dalla mente che va oltre l‟informazione data, rendendolo significativo per il percipiente. Gli studiosi della Gestalt hanno affrontato l‟esame dei principali fenomeni percettivi con particolare attenzione a quelli visivi, studiando le leggi che presiedono all‟organizzazione dei dati fenomenici, analizzando l‟articolazione figura-sfondo e i fenomeni

di

reversibilità

e

fluttuazione,

interpretando

i

contesti

figurativi

percettivamente anomali come le illusioni ottico-geometriche e le configurazioni con prospettiva reversibile. Essi sottolinearono la supremazia della struttura globale (non intesa come significato, ma come organizzazione) sulle singole parti che la compongono, un concetto sintetizzabile con l‟aforisma: “Il tutto è più della somma delle parti” oppure, in modo più articolato, con: “Il tutto precede le parti, che assumono significati diversi a seconda del tutto cui appartengono”. Il Comportamentismo si è presentato pubblicamente con un articolo di Watson del 1913, nel quale si è autodefinito come un settore sperimentale delle scienze naturali finalizzato alla previsione e al controllo del comportamento. L‟oggetto di studio non è la mente, definita una scatola nera, ma il comportamento osservabile e cioè l‟insieme delle risposte muscolari o ghiandolari. Per spiegare il comportamento animale e umano, i suoi studiosi ricercavano (più all‟esterno dell‟organismo, cioè nell‟ambiente, che al suo interno) le catene causali di stimoli e risposte, considerandole come le unità minimali del comportamento.

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Watson si era rifatto alle ricerche di Thorndike sull‟apprendimento per tentativi ed errori e alle ricerche di Pavlov sul condizionamento classico. Thorndike aveva enunciato tre principi fondamentali, che sarebbero divenuti il cardine della teoria dell‟apprendimento: 1. L‟apprendimento si verifica per tentativi ed errori; 2. Le risposte corrette tendono a essere ripetute, quelle erronee abbandonate (legge dell‟effetto); 3. I comportamenti più spesso esercitati vengono appresi più saldamente (legge dell‟esercizio). L‟apprendimento per i comportamentisti è attestato al manifestarsi di un nuovo comportamento (prima inesistente) che, dopo essersi manifestato, si mantiene nel tempo. Un comportamento occasionale non viene quindi considerato indice di avvenuto apprendimento e, allo stesso mondo, tutte le risposte comportamentali dovute a fattori maturazionali del sistema nervoso centrale (come imparare a stare seduti) non possono essere definite apprendimento. L‟impostazione comportamentale dell‟optometria statunitense ha avuto origine nel comportamentismo di Watson e si è espressa nelle teorie e nei concetti di Skeffington e negli insegnamenti nell‟Optometric Extension Program istituito nel 1928. Skeffington ha enfatizzato l‟importazione funzionale dell‟analisi visiva, riuscendo a integrare le conoscenze prettamente optometriche con quelle di altre discipline scientifiche. Attribuendo al “vedere” un significato intimamente legato all‟apprendimento motorio, l‟optometria funzionale si è allontanata dagli statici concetti classici, basati sull‟ottica fisiologica e sulla cultura medico-scientifica, e si è avvicinata a un‟interpretazione dinamica del rapporto organismo-ambiente. Grande enfasi viene attribuita al fatto che, attraverso l‟enorme mole di informazioni sensoriali che il sistema visivo fornisce al cervello (circa l‟83 % della visione partecipa al riconoscimento della realtà e della percezione che ci circonda), la funzione visiva influisce sul comportamento motorio, sulla struttura psichica, sull‟immagine di sé, sullo schema corporeo, sull‟elaborazione

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delle informazioni e quindi, in definitiva, sui processi mentali e le attitudini a prendere decisioni del soggetto. Nella seconda metà del „900, l‟approccio comportamentista e quello gestaltista hanno ceduto il proscenio a quello cognitivista che ha contribuito a dare una nuova prospettiva interpretativa al complesso fenomeno dell‟elaborazione dell‟informazione e della percezione visiva superando le due scuole psicologiche che in precedenza si erano affermate. Il punto di rottura con la scuola comportamentale si ebbe con Tolman, il quale cominciò a differenziarsi dal comportamentismo watsoniano per accogliere idee cognitiviste o anche psicoanalitiche. La posizione di chiaro stampo molecolarista di Watson rischiava di condurre lo studio del comportamento con le semplici contrazioni muscolari e quindi rimandare lo studio del comportamento puro alla fisiologia; per Tolman il comportamento deve essere molare e non molecolare, non deve limitarsi alle singole risposte muscolari o ghiandolari ma deve tener conto dello scopo e di alcuni processi intervenienti tra stimolo e risposta. Il cognitivismo inizia a affermarsi proprio con gli esperimenti di Tolman (anni ‟70). Egli studia per lo più gli aspetti adattivi e intelligenti del comportamento, dimostrando che non si apprendono solo semplici risposte motorie automatiche in riferimento a stimoli, ma si apprendono aspettative sulla base del formarsi di mappe cognitive e in base a esse il soggetto può decidere se realizzare una certa risposta motoria o altre. Ciò che si apprende non è una serie di movimenti ma una conoscenza mentale realizzata con l‟esperienza. Oltre all'impostazione interdisciplinare in cui confluiscono anche i contributi delle neuroscienze, la psicologia cognitiva aveva altri suoi aspetti caratteristici: in primo luogo, si interessava dei processi cognitivi (la percezione, l'attenzione, la memoria, il linguaggio, il pensiero, la creatività), che erano stati trascurati dai comportamentisti o considerati come dei prodotti dell'apprendimento e a costoro veniva riconosciuta sia un'autonomia strutturale, sia una interrelazione e interdipendenza reciproche. All‟interno del paradigma cognitivista David Marr (1982) riconosce la complessità dei processi cognitivi richiesti nel percepire e quindi, non esclude il loro rilievo nella percezione delle conoscenze antecedenti. Incorporando alcuni principi descrittivi della percezione come gli indizi di profondità e i principi gestaltici, giunge a postulare il

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concetto di elaborazione cerebrale a 3D con la costruzione di un nuovo sistema di coordinate che risulterà essere centrato sull‟oggetto e permetterà il formarsi di una rappresentazione tridimensionale degli oggetti e delle relazioni spaziali esistenti tra essi. A questo livello di elaborazione la conoscenza e le esperienze precedenti possono influenzare la percezione come ad esempio, cogliere che probabilmente esiste una quarta gamba in una sedia nonostante la sua assenza da una particolare prospettiva. La nascita della psicologia cognitiva ha ampliato gli scenari e dilatato gli orizzonti, occupandosi di tutti quei processi per mezzo dei quali l‟input sensoriale viene trasformato, ridotto, elaborato, immagazzinato, recuperato e infine utilizzato. Sono molte le capacità mentali implicate in tali processi come:  Attenzione selettiva divisa in: a) Focalizzazione primaria di uno stimolo selezionato con eliminazione di tutti gli altri; b) Concentrazione o aumento delle risorse attentive disponibili al fine di accrescere la quota di informazioni elaborabili;  Memoria; ritenuta da Morgan (1983) il luogo in cui sia presente uno schema prototipo che fornisca la struttura organizzativa per interpretare l‟informazione sensoriale,

quindi

un

confronto

fra

l‟informazione

precedentemente

immagazzinata nella memoria e l‟informazione recente che subisce l‟analisi percettiva;  Categorizzazione; attività cognitiva che consiste nell‟organizzare l‟informazione ricevuta dall‟ambiente secondo determinate modalità, in modo da selezionare o modificare certi aspetti dell‟informazione stessa per adattarli al meglio alla categoria nella quale vengono inseriti; Immaginazione visiva, risoluzione problemi e infine decisione, hanno assunto tutte un ruolo decisivo nelle procedure optometriche e nel Visual Training. I modelli teorici più moderni sottolineano come la visione assuma un ruolo di unificazione generale, nel quale gli atti visivi specifici si manifestano come parte dell‟attività complessiva dell‟organismo. Per verificare l‟adeguatezza del sistema visivo della persona alle attività che compie, è quindi necessario individuare eventuali inadeguatezze conseguenti all‟età, alla

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maturazione psicofisica, alle richieste occupazionali e/o ambientali . Negli ultimi due decenni del Novecento la ricerca psicologica, attraverso l‟Human Information Processing (H.I.P.), ha assegnato all‟elaboratore visivo umano un ruolo pertinente e attivo in base al quale la persona recepisce le informazioni visive e le trasmette alle varie strutture del sistema visivo dove vengono elaborate, valutate, collegate ad altre informazioni precedentemente memorizzate e utilizzate per realizzare pensieri e azioni. L‟approccio H.I.P. assimila l‟organismo vivente a un computer impegnato a elaborare dati introdotti attraverso il canale visivo. Il processamento dell‟informazione visiva, secondo l‟approccio H.I.P., può essere suddiviso in tre fasi specifiche e complementari: la fase della discriminazione, la fase della mediazione e la fase dell’elaborazione. L‟essere umano apre gli occhi sul mondo, seleziona le informazioni sia sotto l‟aspetto visivo puro che a fronte di altre sollecitazioni sensoriali alle quali l‟ambiente circostante lo sottopone e le combina con la conoscenza derivante dall‟esperienza precedente (punto chiave della teoria della percezione costruttiva), elabora i dati e sceglie il tipo di comportamento da mettere in atto.

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2. IPOTESI SUL CONCETTO DI MIOPIA FUNZIONALE

2.1 La condizione refrattiva nell’arco vitale2

La condizione refrattiva neonatale si presenta molto variegata (da + 11 D a -11 D) ma mediamente ipermetropica (media +2,07 D; Cook e Glasscock,1951). Da risultati in corso di definizione, nell‟età compresa tra i sei e nove mesi il 5 % presenta ipermetropia oltre 3,50 D, l‟1,6 % miopia di 2 D o più, l‟1,4 % anisometropia di 1,5 D o più, un‟elevata incidenza di astigmatismo che poi si riduce. Nel periodo prescolare, il bulbo oculare raggiunge in modo relativamente brusco le dimensioni adulte (entro i tre anni, da Sorsby et al., 1961), ma non è ben chiaro come la refrazione si modifichi in questo periodo della vita e quindi se sia valido il concetto comune legato alla riduzione dell‟ipermetropia causata dalla crescita del bulbo e come evolva un difetto refrattivo anche elevato. Nel primo anno, la variazione è prevalentemente a carico di una riduzione dell‟indice del cristallino mentre tra i 6 e 8 anni la refrazione si sposta verso l‟emmetropia: la media è di + 1,06 D (Kempf et al., 1928) e l‟ambito di variazione si restringe entro le -2 +4 D (nel campione di Kempf et al.). Grazie a uno studio longitudinale (Hirsh: Ojai study,1964) basato su bambini tra i 5-6 anni e 13-14 anni, si è evidenziato che la refrazione tende a divenire con la crescita sempre più miopica o meno ipermetropica. Ciò significa che un bambino che presenta miopia (2 %) o un ipermetropia di 0,50 D o meno all‟età di 5-6 anni probabilmente presenterà miopia a 13-14 anni. Un‟ipermetropia superiore a 1,50 D si presenterà anche all‟età di 13-14 anni. La condizione ideale, per il raggiungimento dell‟emmetropia all‟età di 13-14 anni, sembra essere una condizione refrattiva di +0,50/+1,25 D all‟età di 5-6 anni. Nel periodo successivo non sembra vi siano notevoli cambi per quanto riguarda l‟ipermetropia e l‟astigmatismo; la miopia tende generalmente alla stabilizzazione con l‟età adulta, tuttavia nel periodo ancora successivo, tra i 20 e i 40 anni, è comune un ulteriore, ma lieve, aumento del vizio miopico. Infine le refrazioni nel paziente maturo (da 45 a >75 anni; Hirsch, 1958) mostra un aumento di entrambe le 2

Anto Rosetti e Pietro Gheller: Manuale di Optometria e Contattologia; seconda edizione (2003), pp.36

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condizioni di miopia (da 6,7 a 15,3 %) e ipermetropia (da 16,3 a 47,7 %) e una corrispondente riduzione dell‟emmetropia (da 77,2 a 36,9 %). Nella maturazione si presenta una riduzione del diametro anteroposteriore, ma questa variazione è compensata dall‟aumento dell‟indice del cristallino e dalla riduzione dell‟altezza della camera anteriore. Da sottolineare come la miopia sia prevalente nelle femmine (Nicholls, 1940; Wilson, 1935), precisamente all‟età tra 7 e 14 anni (Hirsch, 1948) o tra 11 e 14 anni (da Hirsch e Weymouth, 1991); secondo Goss e Winkler (1983) la progressione miopica cessa di evolversi significativamente prima nelle femmine (a 15,2 ± 2,1 anni) più tardi nei maschi (a 16,66 ± 1,74 anni). Le variazioni correttive nel tempo sono superiori nei miopi e sempre nella direzione dell‟incremento, rispetto agli ipermetropi (Hofstetter, 1954); secondo Hofstetter l‟inizio di miopia nell‟adolescenza porta con sé un aumento improvviso dell‟incremento refrattivo.

2.2 Modello di Van Alphen e prime ipotesi sull’allungamento assiale3

Sebbene nell‟infanzia si rilevino anomalie refrattive molto variabili, nell‟età adulta si nota una concentrazione di emmetropia o lieve ipermetropia stranamente elevata. Per giustificare questa condizione è stato postulato un processo di adattamento delle varie strutture anatomiche, che devono essere relazionate in modo estremamente preciso, detto emmetropizzazione (Straub, 1909; Sorsby, 1980). Tale adattamento è innescato dalla visione stessa: una visione sfocata dà origine a un comando chimico-biologico di allungamento del bulbo (o il blocco di quest‟allungamento; non l‟accorciamento). Il modello di van Alphen (1961) ha mostrato una stupenda lungimiranza, arrivando a postulare condizioni che poi sono state verificate sperimentalmente. Secondo il modello esistono tre fattori che controllano lo stato refrattivo: 3

Anto Rosetti, Pietro Gheller, Manuale di optometria e contattologia, pp.37, op.cit. ; http://www.oculistanet.it/ottica-fisiop/ottica-fisiop-11.htm, capitolo 4, patologia della refrazione: le ametropie

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 Fattore S, relativo alle differenze ereditarie delle dimensioni oculari; è un fattore di crescita che influenza la correlazione tra potere corneale e lunghezza assiale;  Fattore P, relativo alla relazione tra lunghezza assiale, profondità della camera anteriore e spessore del cristallino; è un fattore indipendente dai fattori ereditari che può “stirare” l‟occhio per adeguarlo alla reale refrazione;  Fattore R, rappresenta la possibile relazione tra la deformazione possibile e il potere refrattivo totale. Van Alphen sostiene che la tensione del muscolo ciliare si trasmette sulla coroide portandola avanti, mentre durante la fase di rilassamento la coroide esercita pressione sulla sclera causando lo stiramento di questa nei soggetti giovani. Tra i fattori già citati, il tono ciliare, ossia l‟accomodazione, ha un ruolo fondamentale in quanto l‟occhio giovane si espande sino a che la sua dimensione corrisponde al potere refrattivo (parzialmente controllato dall‟accomodazione); ciò può significare che lo “sviluppo” non è determinato geneticamente ma gestito dalla visione stessa. Poiché il controllo del tono ciliare è dovuto al sistema vegetativo, le influenze su di esso e quindi sull‟ametropia sono le più varie. A sostegno del modello che vede la visione come causa della condizione refrattiva è un‟alterazione visiva come possibile influenza sulla condizione anatomica dell‟occhio, è stato dimostrato (Hendrickson e Rosenblum, 1985) che un‟anisometropia artificiale, indotta nei gattini neonati (che presentavano una funzione accomodativa), si riduce con la crescita e tende all‟emmetropia o all‟isometropia. Modelli sperimentali su animali hanno dimostrato il fenomeno dell‟emmetropizzazione: animali cresciuti al buio privi di riferimenti visivi, tendono verso l‟ipermetropia, mentre un‟emmetropizzazione condotta in condizioni anomale, in animali cresciuti in ambiente illuminato ma aventi visione sfocata, porta a miopia. Ciò accade anche in animali che sono stati allevati con un campo visivo limitato; è come se la percezione sfocata inducesse l‟allungamento del bulbo oculare; quindi lo sfocamento avrebbe in questo caso delle implicazioni in quanto non rappresenterebbe un buon stimolo accomodativo. Anche a posteriori del processo di adattamento infantile delle diverse strutture e dopo la crescita, il livello d‟attività dell‟accomodazione può essere facilmente influenzato dai vari fattori in grado di variare l‟omeostasi dell‟organismo (riuniti nella forma dello

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stress) e influenzare la condizione refrattiva complessiva in modo transitorio e anche forse stabilmente. In genere gli organi del corpo si sviluppano in modo indipendente dall‟ambiente in cui l‟organismo vive, ma il cervello fa eccezione: la sua struttura e funzione dipendono proprio dall‟ambiente con cui interagisce. Per gli occhi si può parlare di una via intermedia: la struttura grossolana (tuniche e tessuti) dell‟occhio è solo parzialmente indipendente, dato che è influenzato da processi come l‟emmetropizzazione che la modificano, rispetto all‟ambiente visivo, che nascono e servono per raggiungere una certa funzione (la visione nitida). Vale in tal caso la massima:

“la

funzione

crea

l‟organo”;

anche

questa

particolarità

sostiene

l‟interpretazione dell‟occhio come parte “estroflessa” del cervello. Pare importante la condizione di focalizzazione effettiva: un soggetto che per qualunque ragione (p.e. riduzione o inversione del Lag accomodativo per stress o eccesso di attenzione) esponga il proprio sistema visivo a un‟immagine retinica di bassa qualità, potrebbe stimolare e innescare il comando biochimico di allungamento del bulbo. Ulteriori studi hanno suggerito che solo l'immagine retinica anomala è il fattore essenziale nell‟allungamento del bulbo e nello sviluppo della miopia sperimentale. Sembra che sia nella foveola, regione retinica più suscettibile all'immagine sfocata, a verificarsi la deprivazione dell'immagine. Quest‟ipotesi potrebbe essere sostenuta dalla presenza di progressione miopica in tutte le condizioni di visione di bassa qualità (per esempio chirurgia refrattiva non ottimale, sottocompensazioni, stress prossimale), ma d‟altro canto è possibile inoltre che la visione anomala potrebbe non dare effetti miopizzanti se il soggetto non la interpreta come tale. Le prime ipotesi proposte sulla patogenesi e sulla evoluzione della miopia sono riportate nella tabella seguente Tabella 1.

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Tabella 1

Autore Boerhave Prangen Donders

Incze Koster Levinsohn

Ipotesi proposta difetto di curvatura della cornea o aumento di lunghezza del globo oculare. fattore endocrino e l'ereditarietĂ . la pressione dei muscoli estrinseci dell'occhio durante la convergenza determina un allungamento del bulbo oculare. posizione viziata e secrezioni ormonali come causa di ischemia del tessuto sclerale. aumento della pressione intraoculare. una congestione venosa con malnutrizione oculare determinata dalla inclinazione della testa in avanti.

Negli ultimi trentâ€&#x;anni sono state proposte numerose teorie patogenetiche ottenute con indagini sperimentali; presentiamo quelle che hanno orientato le attuali impostazioni: a) Teoria biochimica, ormonale e dismetabolica (Awetissow; Balacco Gabrieli) Le anomalie della sclera degli occhi miopi potrebbero essere secondarie a una incompleta fibrillogenesi, forse legata a un alterato metabolico dei mucopolisaccaridi. Secondo altri autori la luce avrebbe una azione stimolante sulle funzioni biologiche, tramite l'asse diencefalo-ipofisario. In molti pazienti con miopia evolutiva sono state evidenziate alcune anomalie ormonali: - cortisolemia basale aumentata; - basso livello di testosterone sierico nei maschi; - alterata produzione di 17-Ă&#x;-estradiolo, FSH e LH nelle donne; - aumento dei mucopolisaccaridi urinari;

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- riduzione di 17-chetosteroidi urinari. b) Ereditarietà Nello studio dei gemelli è stata evidenziata una concordanza della refrazione in caso di miopia lieve, questa concordanza tende a diminuire nella miopia media ed è assente in caso di miopia patologica. Nello studio degli alberi genealogici si è evidenziato che esiste una tendenza familiare nella miopia anche se con variazioni notevoli. Nella miopia lieve è stata evidenziata una trasmissione sia recessiva che dominante con una certa prevalenza della seconda. Nella miopia elevata è stata notata con maggiore frequenza una trasmissione di tipo recessivo autosomico. La consanguineità dei genitori comporta un alto rischio di incidenza di miopia tra i discendenti, specialmente se entrambi i genitori presentano una miopia elevata. c) Condizionamento ambientale (la più accreditata) È necessario distinguere la miopia elevata da quella lieve perché presentano una eziologia completamente diversa, la prima non può assolutamente essere considerata come una variazione estrema della bassa miopia. Il condizionamento ambientale ha un ruolo importante sulla eziologia della forma più lieve di miopia. Dal punto di vista epidemiologico è stato evidenziato che la miopia si sviluppa più frequentemente durante l'età scolastica, e che l'incidenza è più elevata negli studenti della scuola superiore e dell'università. Invece è rara nei soggetti di livello culturale più basso. Questa miopia, detta anche “scolastica”, dovrebbe essere causata dalla lettura e dall'applicazione da vicino e a riguardo sono state esposte alcune teorie: 1 - Teoria della convergenza: l'azione del muscolo obliquo superiore produrrebbe cambiamenti nella pressione intraoculare e trazione sulla sclera con conseguente aumento della lunghezza assiale;

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2 - Teoria dell'accomodazione, durante l'accomodazione aumenta la pressione nella parte posteriore dell'occhio; 3 – Teoria della scarsa illuminazione: una scarsa illuminazione, specialmente se associata a un lavoro da vicino determinerebbe l‟allungamento del bulbo con aumento della miopia. Questa teoria è sostenuta dall‟esperienza di quello che si verifica nelle regioni nordiche dove il periodo di illuminazione solare è assai limitato, si verifica un aumento della miopia nell'età scolare.

2.3 Interazione Uomo-Ambiente

Attribuendo alla funzione visiva un significato “globale”, prodotto emergente della sinergia di tutte le funzioni sensoriali dell‟organismo, “vedere” è definito come la “percezione” per eccellenza. Fra i primi a considerare la percezione come un processo di output, Skeffington attribuì ampio valore al significato di spazio visivo interpretandolo come una componente dello spazio mentale: il territorio costruito dall‟organismo entro il quale l‟individuo si muove ed elabora informazioni con un ottimale dispendio di energie. Skeffington fu il primo a focalizzare l‟attenzione sulla rapida evoluzione delle abitudini visive che caratterizzano l‟Uomo moderno rispetto ai suoi antenati. L‟impegno visivo prossimale cognitivo è un prodotto derivato dalla cultura moderna che impegna fin dall‟infanzia in attività come la lettura e la scrittura. Negli ultimi decenni l‟era industriale e post-industriale hanno radicalmente modificato l‟ambiente visivo degli esseri umani con il passaggio da attività lavorative prettamente all‟aria aperta che venivano espletate attraverso l‟uso della forza e della resistenza fisica, ad attività prettamente cognitive effettuate a distanza prossimale non producendo più direttamente quello che serve loro in quanto è l‟organizzazione economica e sociale che gli garantisce in maniera indiretta la sopravvivenza. Le mutate condizioni ambientali hanno ovviamente avuto ricadute sulle modalità di utilizzo della funzione

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visiva. I movimenti oculari sono diminuiti in quantità e sono espletati entro spazi più ristretti e lo stesso avviene per il sistema accomodativo che viene sempre meno utilizzato nella visione per lontano mentre è sempre più impegnato in continue fluttuazioni a distanza prossimale. L‟attenzione visiva viene indirizzata alla discriminazione di simboli, icone schemi logici aventi lo scopo di simulare e rappresentare la realtà mediante modelli visivi, privi peraltro del riscontro tattile e cinestesico che invece caratterizza i lavori manipolativi e materiali. Lo spazio entro il metro di distanza ha assunto un‟importanza sempre maggiore perché i lavori sono sempre più sedentari e meno manipolativi; nuovi processi discriminativi sono oggi largamente

utilizzati

per

osservare

realtà

virtuali

bidimensionali

realizzate

dall‟evoluzione tecnologica della comunicazione. La cultura e l‟insegnamento espressi attraverso il testo scritto, i disegni, i grafici, le rappresentazioni simboliche, gli schermi televisivi e i monitor dei computer hanno descritto la realtà tridimensionale rappresentandola con due sole dimensioni; il sistema visivo ha quindi imparato a percepire una tridimensionalità rappresentandola con due sole dimensioni; il sistema visivo ha quindi imparato a percepire una tridimensionalità inesistente, spessori apparenti, profondità inventate. Nella cultura moderna, alcune abilità visive sono divenute essenziali per superare le difficoltà imposte da regole sociali e culturali che si differenziano enormemente da quelle regole basilari della natura. Da quando la cultura è divenuta un crescendo dinamico e mutevole rivolto a tutta la popolazione, imparare a leggere, per poi leggere per imparare, è un esempio di esigenza visiva spesso data per scontata, ma in realtà è divenuta così indispensabile solamente nel corso dell‟ultimo secolo. La caratteristica maggiormente differenziativa della cultura industriale rispetto a quella agreste è identificabile nelle attività lavorative che sono perlopiù concettuali e ricche di significati logici; la ricerca del significato comporta una continua catena di fenomeni problem-solving e decision-making. Il corpo umano tende sempre più a una relativa inefficienza dal punto di vista muscolare costretto com‟è a lavori sedentari in ambienti circoscritti. Lo spazio visivo ravvicinato è caratteristico del mondo percettivo dell‟infante per il quale <<vedere>> è spesso solo ciò che riesce a <<toccare>>; crescendo, il bambino impara a essere attratto e apprezzare anche stimoli che non

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necessariamente provengono da uno spazio così ristretto da essere fisicamente raggiungibili con il proprio corpo e apprende ad allargare il volume del proprio spazio visivo. L‟adulto, durante il lavoro sedentario, torna ad abitudini visive caratterizzate da stimoli prossimali, ma dove l‟attività manipolativa è sostituita dall‟attività discriminativa e interpretativa altamente simbolica e cognitiva che di per sé indurrebbe la necessità di mantenere una funzione anomala che potrebbe generare una modifica strutturale, più di quanto la struttura possa alterare la funzione. Prima di cominciare la scuola i bambini sono generalmente dotati del perfetto apparato visivo del primate, forgiato dall‟evoluzione ed elaborato dal processo maturazionale dei primi mesi (o anni) di vita. Il loro sistema visivo rifugge dallo sdoppiamento dell‟immagine, possiede lo stimolo (quasi) indefettibile a fondere in una sola le immagine recepite dai due occhi, ha la capacità di centrare in modo efficace gli oggetti osservati, ha un sistema di messa a fuoco efficace ma che conserva una certa fragilità, è provvisto delle tipiche aree cuscinetto in accomodazione (l‟ipermetropia funzionale) e in convergenza (l‟exoforia). Le esigenze imposte dal nuovo impegno che obbliga i novelli studenti a movimenti precisi e minuziosi, a uno stressante controllo sul dinamismo del corpo, produrranno (nei soggetti geneticamente predisposti) alterazioni sia funzionali che strutturali dell‟apparato visivo poiché lo sforzo d‟adattamento all‟ambiente è una caratteristica specifica di qualsiasi organismo vivente. Il problema visivo e la sua manifestazione avanzata più diffusa, la miopia, seguono lo sviluppo industriale, sociale e culturale di una popolazione: non ci sono praticamente miopi nei paesi in cui non ci sono scuole. Young e Baldwin eseguirono uno studio su di una popolazione Inuit (eskimo) di Barrow, in Alaska, riscontrando le seguenti percentuali di incidenza della miopia: •

Gli anziani (i nonni), cacciatori nomadi non scolarizzati: miopi 0 %;

I genitori, da poco sedentari e con bassa scolarità: miopi 2 %;

I giovani, totalmente sedentari; con alta scolarizzazione: miopi 52%

Il fondo genetico era lo stesso e con esso l‟eventuale predisposizione allo sviluppo di miopia; erano cambiati gli stimoli imposti dall‟ambiente progressivamente mutato;

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l‟individuo sottoposto al protrarsi delle tensioni generate dall‟impegno cognitivo di lettura e di scrittura, potrà solo scegliere di abbandonare o adattarsi. Colui che sceglierà di adattarsi lo farà in relazione alla costituzione del suo organismo, alla sua intelligenza e al suo temperamento. Nel descrivere l‟ipermetropia funzionale e il modo mediante il quale essa protegge dallo stress ambientale l‟integrità del sistema di messa a fuoco, sono state apprese alcune cose molto importanti: prima di tutto che l‟ipermetropia funzionale non è un difetto visivo ma caratterizza il sistema visivo normale ed efficiente poiché la lettura a distanza costante di un testo può essere eseguita in modo efficace impiegando una quantità maggiore o minore di accomodazione. Infine si è espletato il concetto che anche al punto prossimo, oltre che al punto remoto, esiste un meccanismo di protezione del sistema di messa a fuoco che funziona similmente a quanto visto per il lontano; infine si è appreso che al punto remoto gli adattamenti accomodativi verso la posizione di maggiore rilassamento o da tale postura provenienti, non hanno praticamente alcun significato spaziale per l‟individuo, contrariamente a quanto avviene al punto prossimo: questo ha notevole importanza per le implicazioni comportamentali che ne derivano. Il soggetto normale che rimarrà tale, si adatterà all‟impegno prossimale con una contrazione reversibile dei muscoli ciliari deputati all‟accomodazione; incapace di scegliere l‟adattamento miopico (poiché non appartiene al suo patrimonio genetico) manterrà l‟integrità delle strutture oculari, andando comunque incontro a una certa perdita di rendimento, di grado variabile, nelle attività al punto prossimo. Il soggetto normale che diverrà miope, si adatterà all‟impegno ravvicinato prima con una contrazione dei muscoli ciliari e nel tempo, con una modifica morfologica irreversibile dei globi oculari che si allungheranno; conserverà così gran parte del suo rendimento nelle attività al punto prossimo, pagando il prezzo di una visione da lontano sfocata. Nessuno dei due lamenterà inizialmente disturbi: l‟uno e l‟altro dimostreranno capacità visive buone. Le due differenti tipologie potranno comunque essere riconosciute e discriminate, anche prima che la miopia si manifesti, ricercando la presenza nel loro comportamento visivo di alcuni segni distintivi.

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Nella retinoscopia cognitiva, dove viene proposto la lettura a breve distanza costante di un testo, che sarà spiegata meglio in seguito, si osserverà nel futuro miope uno sproporzionato aumento della quantità di accomodazione impiegata, correlato al più elevato livello di difficoltà interpretativa dello scritto. Una maggiore accomodazione significa un‟immagine percepita più piccola, poiché il conseguente aumento di convessità dell‟occhio ne riduce la dimensione; ciò provoca nel miope-comportamentale una significativa diminuzione del riflesso visuo-posturale (Revip), il quale varia in funzione del grado di difficoltà d‟interpretazione del testo. Il Revip misura la distanza spontanea di lettura, rilevata con la prescrizione abitualmente in uso calzata, oppure in visione naturale (se nessuna Rx viene al momento utilizzata). L‟accorciamento posturale è un meccanismo che con l‟avvicinamento verso il piano facciale tende ad assicurare la costanza dimensionale dei caratteri percepiti, tale atteggiamento si traduce anche in un ulteriore incremento di richiesta accomodativa e di convergenza che fa si che si consolidi una condizione di ipertono dell‟accomodazione. Là dove tale situazione si protragga sufficientemente a lungo nel tempo ed esista una condizione di malleabilità della struttura oculare, il risultato sarà il manifestarsi della miopia.

2.4 Concetto di stress e variazioni di adattamento

4

“Lo stress visivo è risultante da “Compito visivo, biologicamente inaccettabile, socialmente compulsivo, centrato al punto prossimo che provoca una reazione di allontanamento che diventa una guida a centrare più vicino nello spazio visivo” Questo implica che la visione non è un sistema statico, rigido, meccanico, ma un processo attivo dinamico che risponde alle interazioni dell’organismo con l’ambiente. 4

4

“A.m. Skeffington”

http://www.otticafortuna.it/optometria/body.pe

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Partendo da quanto detto qui sopra, l‟Optometria Funzionale interpreta il problema visivo in modo ben diverso, più completo rispetto all‟interpretazione fornita dal modello tradizionale. Il modello funzionale interpreta il problema visivo non solo come un problema refrattivo o come un difetto, una disfunzione o una patologia: al problema visivo è attribuito, prima di ogni altra cosa, il significato di un pattern di adattamento da parte dell‟organismo nei confronti delle esigenze che emergono interagendo con l‟ambiente, interno ed esterno all‟organismo stesso. L‟impegno prolungato con il mantenimento di una continua concentrazione in un campo ristretto e su di un piano bidimensionale diventa la causa di problemi visivi; per l‟Optometria l‟attenzione e l‟obbligatoria ricerca di significato è causa di stress e non la distanza di lavoro ravvicinata. Skeffington sottolineava appunto che il problema non deriva dal fatto che l‟oggetto osservato è tenuto vicino, ma è dovuto all‟inaccettabilità biologica di mantenere l‟impegno visivo; questa variazione di abitudini visive è stata enormemente più veloce e più drastica di quanto non lo sia stato lo sviluppo funzionale e biologico del sistema visivo generando un‟incompatibilità stressante. Fu Forrest (19935) minuziosamente a evidenziare i molteplici meccanismi che intervengono nel corso delle attività prossimali. Nel divulgare il modello visivo comportamentale, ispirandolo anche a concetti cognitivisti, propose uno “PsychoBehavioral Approach” (approccio psico-comportamentale) in cui considerava non solo gli aspetti ergonomici dell‟ambiente e quelli funzionali dell‟individuo ma anche gli aspetti psicologici che si fondono con l‟impegno visivo. L‟interpretazione del problema visivo come un <<problema nell‟elaborare adeguatamente le informazioni visive>>, diviene uno dei punti cardine dell‟approccio funzionale. La stessa considerazione della visione come un processo e il sistema visivo come un tutt‟uno, rende riduttivo diagnosticare solo un problema di convergenza o un problema accomodativo o un problema fusionale; esiste un problema visivo che si manifesta in un modo piuttosto che in un altro indicando come l‟organismo abbia reagito alla condizione disagevole. I problemi visivi funzionali vengono classificati in due categorie:

5

Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali; volume 1, la sequenza analitica, pp.19

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1. Problemi visivi secondari a uno sviluppo insufficiente del sistema visivo o degli altri sistemi che sono direttamente coinvolti nel processo visivo: sono definiti problemi dello sviluppo visuo-percettivo-motorio6; 2. Problemi visivi secondari a un‟indesiderata risposta adattiva dell‟organismo a condizioni di stress che, nel tempo, determinano somatizzazioni funzionali quantificabili. Leibowitz (19737) sostiene che il significato funzionale del restringimento del campo percettivo derivi dal ruolo delle informazioni periferiche nel processo di adattamento dell‟organismo. La componente periferica del campo visivo occupa circa il 98 % delle informazioni sensoriali inviate dalla retina al cervello. Una riduzione di percezione periferica indica uno stato di stress manifestato attraverso una riduzione di sensibilità nei confronti di quelle informazioni che, non avendo uno scopo specificatamente discriminativo (selettivo), vengono in parte ignorate a livello percettivo. Il sistema visivo è composto da due sotto-sistemi: il sistema centrale o foveale occupato in processi discriminativi e il sistema ambientale o periferico deputato a fornire informazione di carattere lacalizzativo. Per ogni immagine che viene formata è assidua la collaborazione tra essi: il sistema centrale fa riferimento alla discriminazione della figura, mentre il sistema periferico produce il volume dello sfondo. Partendo dal presupposto che non può esistere una figura senza uno sfondo, in questo contesto Held sostenne che il restringimento percettivo del campo periferico può essere principalmente circoscritto al sotto-sistema centrale che risentirà del problema visivo come di una riduzione della capacità identificativa. L’essere umano è una combinazione tra esperienza e patrimonio ereditario. La complessità della situazione ambientale e la necessità da parte dell‟organismo di interagire con essa, genererà flessibilità nel comportamento dell‟individuo e inoltre con la maggiore variabilità comportamentale, minore sarà la possibilità dell‟adattamento grazie a fattori innati ereditari; quindi maggiormente deve essere creato grazie all‟esperienza e all‟apprendimento.

6 7

Silvio Maffioletti, la professione optometrica, pp.8, op.cit. Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.171, op.cit.

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Quando E.B. Alexander e A.M. Skeffington fondarono L‟Optometric Extension Program Founfation nel 1928 fecero proprie le teorie sullo stress di Hans Selye formulando un modello capace di indagare, valutare e influenzare l‟adattamento funzionale del sistema visivo sottoposto a stress. 8

DEFINIZIONE DI STRESS: è l’effetto non specifico della somma totale delle tensioni di qualsiasi natura e origine che si esercitino sull’organismo (Hans Selye). 8

Può trattarsi di esposizioni al freddo, al caldo, a chocs o a traumi, all‟immobilismo forzato e a fattori di resistenza in cui rientra in maniera rilevante il mantenimento dell‟attenzione (concentrazione). Ogni stato che coinvolge l‟attenzione è tipicamente una forma di immobilità o di resistenza che produce ovvie variazioni fisiologiche, cardiache e respiratorie relazionate allo stato analitico. L‟individuo logico, sequenziale, razionale utilizza una maggior energia attenzionale nel processo di elaborazione delle informazioni ed è quindi soggetto a una maggiore forma di stress. Frequente è riscontrare una correlazione fra gli stili cognitivi e attenzionali con gli stili visivi. Per quanto riguarda le fonti di stress ergonomiche-visive prossimali possiamo elencare:  Ambienti poco illuminati: una bassa illuminazione porta a impiegare soprattutto la zona foveale determinando nel sistema un‟efficienza accomodativa minore. In questi casi c‟è la tendenza a ridurre la distanza di lettura per aumentare l‟angolo di risoluzione visiva, impiegando più accomodazione, sia in funzione di una distanza minore di lettura, sia dalla maggiore convergenza impiegata. Un ambiente buio privo di luci, porta a una situazione esoforica e a una miopia fisiologica di circa 0.50-0.75 dt in funzione del difetto visivo e della predisposizione soggettiva. Lavorare impiegando un‟intensità di luce non idonea comporta anche un rischio maggiore verso la miopia;  Ambienti troppo illuminati: in ambienti molto illuminati possono manifestarsi fastidi legati al riverbero luminoso, in tal caso è possibile migliorare il contrasto 8

Armand R. Bastien, il controllo della progressione miopica, trad. it, Società italiana d‟optometria, Ottobre 1981, pp.9

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dello sfondo (pavimento e piano d‟appoggio) evitando colori troppo chiari e riflettenti, che potrebbero creare delle zone di visione difficoltosa riflettendo la luce, a favore di tinte più scure e opache oppure è molto utile usare dei filtri polarizzanti;  Luce diretta negli occhi: è molto meglio impiegare luci dirette sul foglio e non sul viso ripartite in concentrazione uguale a destra e a sinistra dell‟individuo in modo da ottenere un‟illuminazione omogenea;  Ambienti lavorativi ristretti: che non consentono movimento corporeo e non permettono di alzare lo sguardo ogni tanto per fissare lontano aumentano lo stress visivo, una posizione corporea (schiena e piedi), può anch‟essa aumentare il livello di stress riducendo il rendimento visivo;  Piano di lavoro e materiale cartaceo: per il piano di lavoro sono consigliate tinte di pastello a metà tra la riflessione e l‟assorbimento della luce (50 %), di solito tinte sul verdino, azzurrino e beige; è sconsigliato il colore bianco in modo particolare se lucido. Per il cartaceo è meglio che sia opaco per evitare riflessi o meglio se leggermente colorato;  Lettura di caratteri poco contrastanti, o eccessivamente piccoli: quasi sempre riscontrabile pensati per risparmiare in termini di dimensioni e numero di pagine del libro. Una richiesta alta di comprensione e tempi ristretti per effettuare un dato impegno visivo apportano maggiore stress al sistema visivo;  Posizione del Videoterminale non centrata rispetto alla tastiera: una tastiera posizionata a destra e a sinistra dello schermo può indurre torsioni della testa e del tronco per compensare l‟asimmetria operativa. Una posizione non centrata della testa o degli occhi può inoltre portare ad astigmatismi funzionali (Elliot B. Forrest) dovuti alla posizione degli occhi rispetto al piano di sguardo;  La salute generale influenza la visione: il sonno è importante come la dieta; esistono ad esempio ambliopie generate da una cattiva nutrizione. In caso di malattia il rendimento visivo cala notevolmente e non è consigliabile eseguire un esame visivo o una seduta di Visual Training. Sono comunque tutti agenti stressanti che producono le stesse reazioni fisiologiche non specifiche. L‟ipofisi scarica nel flusso sanguigno degli ormoni somatotropici i quali agiscono sulle surrenali che secernono un tasso anormalmente elevato di adrenalina.

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Questa perturbazione induce un processo generale di adattamento (General Adaptation Syndrom9) che altera le funzioni dell‟organismo e che può persino alterare la struttura degli organi se si prolunga troppo. Proprio dal punto di vista fisiologico le risposte immediate dovute a uno stressante impegno visivo riguardano un aumento dell‟attenzione, stimolazione del S.N.S, dilatazione della pupilla, aumento dell‟apertura palpebrale e lieve aumento della sporgenza del bulbo (l‟adrenalina produce un aumento della massa retro bulbare per accumulo

di

acqua

la

quale

spinge

in

avanti

il

bulbo),

allontanamento

dell‟accomodazione dal piano di sguardo. L‟accomodazione viene richiamata per trascinamento della convergenza (esoforia), con la comparsa di un Revip corto: a livello comportamentale è l’indice precoce della presenza di stress visivo. Sotto azione Simpatica si avrà a livello generale un aumento nella respirazione, nel ritmo cardiaco, nella sudorazione, un aumento della concentrazione di glucosio nel sangue, un aumento dell‟aurosal e dell‟attenzione; solo le funzioni gastriche diminuiscono. I behavioristi (comportamentisti) identificano nella postura ridotta il primo comportamento misurabile, la quale può indurre nel tempo problematiche di tipo muscolare, come tensione al collo, al trapezio, mal di schiena etc. Tutto il corpo è compresso e protratto in avanti per sostenere la distanza di lavoro, la respirazione a livello del diaframma risulta meno fluida e ciò porta a una minore ossigenazione generale. Quando ci si trova in una condizione sfavorevole, il sistema nervoso simpatico viene attivato per aumentare la capacità di reagire alla situazione in modo da attuare una reazione di “lotta o fuga”; in altre parole l‟attivazione del sistema simpatico mette a disposizione le energie per affrontare la battaglia oppure la fuga, quindi le energie per proteggersi o sopravvivere di fronte a una minaccia o a una situazione di confronto. Superato il limite soggettivo determinato dal livello di efficienza, l‟organismo può solo spingersi a un costo ingente verso l‟adattamento allo stress; secondo Forrest infatti lo stress negativo o il distress può venire accettato dall‟organismo per un certo periodo di tempo senza procurare disturbi soggettivi all‟individuo ma, se la richiesta dura per un tempo eccessivo, si manifestano sintomi che possono essere risolti eliminando l‟agente stressante sopprimendo parti più o meno vaste di funzione con conseguente riduzione di 9

Armand R. Bastien, il controllo della progressione miopica, pp.9, op.cit.

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performance, oppure tramite un processo di adattamento allo scopo di continuare a mantenere un certo livello di performance alterando i propri modelli di comportamento. Il sistema visivo deve accomodare, convergere, spostare i bulbi oculari per migliaia di volte al giorno per salvaguardare la visione binoculare e la funzionalità e quindi deve essere dotato di un‟efficienza psicofisica ottimale che può essere raggiunta e mantenuta grazie a sei differenti fattori indicati da Selwin Super (200110): genetica, salute, nutrizione, allenamento, energia ed equilibrio. Quando un organismo non può interagire in modo adeguato con l‟ambiente, perché la sua risposta non può essere gestita dall‟organizzazione esistente, si osserva tipicamente all‟aumento del controllo e dello stato di consapevolezza e all‟aumento del dispendio energetico. Se la necessità per una certa risposta organizzativamente difficile da gestire avviene troppo spesso, il sistema farà quello riuscirà per spostare il controllo di tale risposta verso uno stato più automatico, più abitudinario, meno cosciente che richieda meno attenzione. Fino a quando il livello di adeguamento/adattamento è inadeguato per affrontare le necessità imposte dalla situazione, il sistema continuerà nella direzione di alterare equilibrio e comportamento abituali nel tentativo di raggiungere un equilibrio di tipo “dinamico” con lo stress al fine di recuperare in organizzazione ed efficienza applicando dunque la cosiddetta legge del Minor Sforzo11. Il livello di stress è influenzato da molte variabili come il grado di motivazione, la prontezza della persona ad affrontarlo, il tempo che perdura e l‟intensità; essendo queste ultime due variabili trasponibili, più intenso sarà lo stress e più rapidamente avverranno i cambiamenti che sosterranno il mutato behavior con l‟abitudine, l‟organizzazione e alla fine anche con la struttura. L‟organismo con il tempo si costruirà un adattamento nelle abitudini e nei tessuti rendendo questo adattamento sempre più difficile da rimuovere o invertire. Darell Boyd Harmon12 qualificò tre stadi: 1) neurale (funzionale) es. deterioramenti B2-1, B2-2, B2-3. 2) neuro-muscolare (funzionale-strutturale) es. B2-4, B2-5 3) muscolare (strutturale) es. B2-6, B2-7. 10

Renato Pocaterra e Stefania Pozzi, Percezione visiva: oltre l’approccio classico, Fondazione IARD, pp.63 Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.39, op.cit. 12 Salvatore Dattola, “L’approccio positivo al punto prossimo”, Istituto B. Zaccagnini di Bologna, pp.14 11

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Neurale: il soggetto si comporta “come se” fosse miope (o astigmatico), la postura più ravvicinata lo testimonia. Se abbandona l‟impegno tutto torna normale; avvengono annebbiamenti transitori da lontano, ma le retinoscopie dimostrano valori più positivi sul vicino. Neuro-muscolare: si intravedono modifiche refrattive, non basta più interrompere l‟attività anomala, bisogna trattare il caso; gli annebbiamenti si manifestano più spesso anche se le strutture non sono ancora intaccate. Muscolare: si hanno distorsioni strutturali refrattive (miopia o astigmatismo), muscolari (astenopia), a carico del sistema nervoso centrale (problemi di rendimento).

Tabella 2

Potenziale

Economia

Misurabilità

Stabilità

reversibilità

energetica

con

sistema

del

procedure di routine

Fase 1

Completa

Scarsa

Nessuna

Molto

<< Neurale>>

instabile

Fase 2

Buona

Crescente

Crescente

<<Neuro-

mediante

rispetto

muscolare>>

appropriata

fase Neurale

la rispetto

Crescente la rispetto

la

fase Neurale

fase Neurale

Completa

Molto stabile

prescrizione e rieducazione Fase 3

Scarsa, molto Buona

<<Strutturale>> scarsa o nulla

Ogni fase di deterioramento può divenire adeguata per affrontare lo stress altrimenti si verificherà un’ulteriore variazione comportamentale. Se non si verifica un nuovo o maggiore stress, ciascuna fase può essere sufficiente ad affrontare la situazione e l’adattamento diviene sempre più stabile e lo stato visivo più organizzato. Il processo di

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stabilizzazione viene chiamato <<Embedding>>. Come mostrato nella Tab.2, con il progredire del fenomeno di Embedding, l’economia energetica migliora, la stabilità aumenta e la reversibilità diminuisce.

2.5 La progressione Miopica

Nel suo “Controllo della progressione Miopica”, Armand R. Bastien definiva la miopia l‟afflizione pan-endemica di maggior rilievo collegata alla scolarità e la cui incidenza dipendeva dall‟aumento della scolarizzazione (processo di industrializzazione). Nel 1939 il 33% delle lenti fabbricate negli Stati Uniti era costituito da lenti negative e il 67% da lenti positive. Nel 1968, ovvero 29 anni dopo, la proporzione risulta capovolta: 66 % lenti negative e 34% lenti positive. La situazione ovviamente fino ai nostri giorni sarà sicuramente peggiorata. L‟incidenza della miopia è divenuta allarmante perché da problema particolare degli intellettuali, ai tempi di Javal, essa interessa oggi la grande maggioranza di coloro che usano occhiali costituendo in tal senso il campo privilegiato del lavoro dell‟Optometrista. Nonostante il processo evolutivo sia molto variegato come anche l‟età in cui potrebbe inizialmente comparire (ci sono casi in cui la miopia si presenta durante il primo anno scolastico e trasforma nel corso del tempo fino al primo anno di università il soggetto in un vero infermo oculare, con valori che vanno da -6.00 a -7.00; oppure presentarsi solo a 9 o a 12 anni e la cui evoluzione è più lenta e giunge a -3.00 o anche a -2.00), quello che colpisce nonostante manifestazioni numericamente diverse è che non c‟è differenza di natura; la differenza sta soltanto nell‟intensità della risposta degli organismi alle diverse predisposizioni ontogenetiche di fronte alle esigenze cerebrotoniche di codificazione e decodificazione degli impegni prossimali imposti dalla cultura. Ogni organismo risponde in funzione della propria resistenza, delle predisposizioni personali (genetiche), alle esigenze combinate della prossimità e dei codici grafico-lessici (che

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possono essi stessi variare di intensità secondo l‟impegno). Ciò spiegherebbe, come dice Bastien, le dimensioni diverse delle diverse miopie con l‟aforisma: Ci sono tanti miopi quante sono le miopie. Così come lo stress prolungato può portare a radicamenti e ad alterazioni irreversibili seguendo un percorso consistente in tre fasi, lo stesso criterio può essere applicato alla miopia: uno Stadio Funzionale dove l‟organismo agisce come se fosse miope, non misurabile e molto reversibile; uno Stadio Operazionale in cui si possono riscontrare leggere misure miopiche ancora reversibili e infine uno Stadio Strutturale dove le misurazioni sono manifeste ed è presente irreversibilità. Lo stress è un fattore determinante nella progressione miopica; ciascun soggetto viene colpito al suo predisposto livello di resistenza minima determinato dalla costituzione anatomica e dal patrimonio genetico. Proprio la teoria ambientale o funzionale riguardo l‟evoluzione miopica, considera essa come uno dei possibili adattamenti dell’organismo per far fronte allo stress indotto dall‟impegno visivo al punto prossimo (ambiente lavorativo). Secondo Skeffington 13 la miopia inizia sui 6-7 anni anni quando inizia la scolarità; sembra che l‟evento sia collegato con la lettura silente; questa miopia si definisce acquisita o avventizia. Il dato fu confermato da Getman il quale notò durante la retinoscopia cognitiva, che, mantenendo costante la distanza di lettura, i dati retinoscopici variavano al grado di difficoltà dell‟impegno visivo proposto. L‟accomodazione aumenta per “letture difficili” e porta l‟organismo a esplorare una situazione miopica, uno spostamento verso la miopia, con valori variabili a seconda dell‟età, dell‟ereditarietà, delle esperienze ambientali, della postura corporea, ecc. Alcune delle ricerche che confermano la componente ambientale della miopia sono14: •

L’esperimento di Francis Young su due gruppi di 50 scimmie

PRIMO GRUPPO di 50: allevate in libertà - nessuna miope - tutte ipermetropi

13 14

Salvatore Dattola, Significato di lenti e prismi in optometria comportamentale, 2008, pp.29 Arman R. Bastien, il controllo della progressione miopica, pp.10, op.cit.

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SECONDO GRUPPO di 50 scimmie: allevate in cattività (in gabbia) TRENTA SOGGETTI DIVENTANO MIOPI (60 %) •

Il rapporto del comandante Kent Optometrista, distaccato ai servizi visivi della Marina degli Stati Uniti, ha esaminato gli equipaggi del primo sommergibile atomico, il Polaris. Il giro del mondo senza emersione, durato sei mesi in immersione, senza radio, orizzonte limitato a 2 metri o anche meno. Equipaggi scelti con cura. Centinaia di uomini più di 30 e 40 anni; nessun miope all‟origine. Acutezza richiesta 10/10 e 10/7,5. Una proporzione dal 66% al 75% dei membri di questi equipaggi ha sviluppato miopie di natura progressiva (progressioni in rapporto con la durata del servizio). Leggeri ipermetropi o emmetropi alla partenza, questi marinai di 30, 35 e 40 anni sono divenuti miopi di -1.00, -1.50, -1.75, -2.00 e persino di -2.50 come anche qualche caso di -3.00. L’esiguità come la prossimità possono essere considerate collegate all’incidenza e all’aumento della miopia.

Ricerca condotta a Singapore: nella comunità di Singapore è stata effettuata una ricerca per stabilire il ruolo dell‟ambiente nell‟insorgenza della miopia. Singapore è una comunità conservatrice nella quale non esistevano variabili di razza, esiste solo una razza originale. La ricerca verteva sulla presenza di miopia: in tre generazioni la miopia è aumentata dal 10% all‟80%. PADRI ( nonni)

10 %

1° Generazione

FIGLI (padri)

25%

2° Generazione

NIPOTI

80%

3° Generazione

Questi risultati sono stati ottenuti senza modifiche consistenti nel patrimonio genetico (non possono essere i geni la causa; la causa è ambientale) •

Studio di Young e Baldwin su una popolazione eschimese a Barrow in Alaska ( già citato in precedenza ) Lo studio si è svolto su tre generazioni: 1. GLI ANZIANI (i nonni)

nomadi (cacciatori e pescatori) e analfabeti:

tutti ipermetropi;

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2. CAMPIONE DI GENITORI: poco toccati dall‟urbanizzazione e scolarizzazione: 3% di MIOPI;

3. I BAMBINI: prima generazione scolarizzata: 1° CAMPIONE: Miopi;

2° CAMPIONE:

52% di

72% di Miopi. Nella comunità eschimese

finché regnava l‟analfabetismo la condizione refrattiva era solo l‟ipermetropia.

La bambina dislessica divenuta un’ottima studentessa (da A. R. Bastien- il controllo della progressione miopica) È uno dei più frequenti disordini di apprendimento . Alcuni sostengono sia un disordine neurologico ma alcuni optometristi ritengono, invece, che possa essere un problema visivo. Dislessia significa “cecità per la parola” e cioè una incapacità di lettura ovvero un problema di lettura. I bambini dislessici presentano i seguenti disordini:

- ridotto tempo di lavoro; - errori durante la lettura ad alta voce; - errori durante la scrittura/copiatura; - errori ortografici; - deficienze di linguaggio verbale; - deficienze di comprensione durante la lettura; - problemi alfabetici; - difficoltà a seguire le istruzioni nel corso di un particolare impegno. È il caso di Julie Harding una bambina di 12 anni che legge e scrive male, in modo grossolano e maldestro, confonde certe lettere e certe parole, non ama la lettura. Ha ripetuto alcune classi; denuncia notevole ritardo. Problema serio di apprendimento scolastico.

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ESAME ANALITICO E COMPORTAMENTALE 1.

SOGGETTIVO # 7 A: +0.25

2. CYL. CROC.

#14 A: +1.75

3. FORIA

#15 A: 3 EXO

NETTO +1.25 RX +1.75

ABLITÀ VISIVE ( ANALISI DELLA BINOCULARITA‟) 1. ROTAZIONI: NEG. 2. FISSAZIONI: NEG. 3. NESSUNA SOPPRESSIONE 4. REVIP CORTO: 20 cm TEST PER LA PSICO-MOTRICITÀ

1. SCHEMA CORPOREO ATTENUATO: non riesce a fare la capriola; misura male lo spazio nei salti da ferma: ritmo scarso. Misure ineguali. Direzione oraria. 2. LATERALIZZAZIONE: tardiva – cosciente 3. FORME GEOMETRICHE: quadrato e cerchio tracciati in senso orario 4. ASSOCIAZIONE DI FORME: performance tattile/visiva - 16 pezzi - > 5 minuti CORREZIONE : 1. CON LENTI: O.D. +0.25 + OCCLUSIONE O.S.

+0.25

2. SEQUENZA EVOLUTIVA GROSSOLANA 3. SEQUENZA EVOLUTIVA RAFFINATA 4. SEQUENZA SIMMETROTONICA 5. SEQUENZA VISIVA: 8 MINUTI DURATA DEL PERIODO DI RIEDUCAZIONE : 8 MESI SUCCESSO TOTALE:

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1. RISTABILIMENTO DI TUTTE LE CAPACITÀ PSICOMOTORIE 2. REVIP RIMANE RELATIVAMENTE CORTO: 32cm 3. NOTEVOLI SUCCESSI SCOLASTICI 4. DIVORA I LIBRI E LEGGE MOLTO

Malgrado tutte le misure (prescrizione di positivo preventivo, addizioni, rieducazione visiva) diviene miope. Se il trattamento multidisciplinare ha successo, può comportare uno sviluppo della miopia; il ristabilimento delle sue capacità visuo-motorie e psicomotorie (soprattutto) era il prerequisito evolutivo per l‟acquisizione e lo sviluppo della sua miopia. Essa poteva divenire miope soltanto acquisendo la capacità di leggere efficacemente e facilmente; capacità che l‟ha trasformata pian piano in una miope progressiva. Il caso Julie Harding costituisce una trasformazione radicale di una persona, ovvero: la bambina triste e mediocre che si trasforma in allieva brillante conferma la regola che non ci sono miopi fra i dislessici perché la miopia progressiva non esiste nei dislessici. Il dislessico sino a che rimane tale non diventa miope; potrà divenire miope soltanto quando non sarà più dislessico e cioè dopo una rieducazione visuo-psico-motoria. Sarà l‟esercizio della sua capacità di leggere che trasformerà il dislessico in miope (non sempre, perché esistono ex dislessici che non posseggono le predisposizioni genetiche per divenirlo) e sarà di nuovo la lettura che ne farà un miope progressivo. Questo fenomeno rafforza ulteriormente la relazione esistente fra lettura (scolarizzazione) e la miopia. •

Le persone che non diventano mai miopi: i cerebro-lesi gravi Fatta eccezione per i rarissimi casi di miopi congenita che comunque non fanno che confermare le regole, essi non diventano mai miopi. Semplicemente, non possono leggere e né concentrarsi in un impegno significativo e anche questi casi danno più veridicità alla teoria funzionale della miopia.

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In definitiva: biologicamente l‟adattamento costituisce il trovato equilibrio dell‟organismo rispetto alle esigenze del suo ambiente; una sorta di armonia che non deve essere disturbata. Tale processo implica da una parte un organismo in tutta la sua complessità costituzionale e funzionale, ovvero le strutture anatomiche e la loro resistenza relativa, le sue caratteristiche fisiologiche importanti, la sua intelligenza, il suo sviluppo motorio e percettivo. Questo insieme complesso è in misura peculiare determinante a chiunque sia molto, poco o affatto disposto allo sviluppo e alla progressione della miopia; tutto ciò dipende in larga misura dalla costituzione e dal temperamento individuali. Queste due “macro-variabili”, come ha dimostrato Sheldon, dipendono dall‟ereditarietà e quindi di conseguenza dalle leggi di Mendel15; l‟organismo sarebbe predisposto oppure indisposto a divenire miope. Il complesso processo evolutivo della miopia non può verificarsi, malgrado il più alto grado di predisposizione genetica, senza l‟interazione dell‟organismo e di un ambiente socio-culturale ed energetico particolarmente esigente. L‟esagerazione delle sue esigenze e l‟aumento dei suoi rigori producono stress alterando la funzione e successivamente

deformando

morfologicamente

le

strutture

anatomicamente

predisposte in funzione della sua intensità e durata. Pur non avendo un‟eziologia specifica (l‟ipotesi funzionale rispetto a quella congenita, ereditaria, evolutiva sembra più accreditata) e smentendo definitivamente che essa sia la conseguenza di un disordine endocrino, la miopia deriva tanto dalla prossimità fisica o spaziale che dall‟integrazione cerebrale (apprendimento ed esecuzione delle performance di codificazione e decodificazione, apprendimento grafico-lessico). È possibile inoltre che nel miope per temperamento una tale manipolazione cerebrale dei codici avvenga su di un piano visualizzato prossimale in una propensione eso-centrica nel cui stile percettivo predomina la figura, il dettaglio e l‟attenzione verso piccole aree dello spazio visivo; al contrario l‟ipermetrope eseguirà tale manipolazione cerebrale su di un piano para-distale o meno prossimale in una propensione exo-centrica e quindi meno analitica.

15

Arman R. Bastien, il controllo della progressione miopica, pp.15, op.cit.

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Non c‟è dubbio quindi che il miope sia veramente ben adattato agli impegni prossimo cognitivi, infatti così come qualsiasi adattamento di natura biologica l‟adattamento miopico si presenterebbe come un vantaggio per la visione da vicino perché permette di economizzare in termini di energia e migliorare in termini di rendimento. È abbastanza raro riscontrare problemi astenopici durante lavori prossimali nei soggetti miopi (salvo disfunzioni binoculari presenti), ma è altresì palesemente riscontrabile lo svantaggio in visione a distanza che costituirebbe il cosiddetto “prezzo da pagare”.

40


3.

LA RADICALIZZAZIONE SOMATICA

3.1 Adattamenti a lungo termine

Uno studio effettuato da Blouin nel 199116 riassume schematicamente le conseguenze della compressione visivo-cognitivo-comportamentale protratta nel tempo: -

Una persona su cinque non avrà conseguenze

-

Due persone su cinque mostreranno nel tempo un adattamento sviluppando un problema visivo come miopia o astigmatismo.

-

Due persone su cinque non mostreranno un adattamento ma risulteranno significativamente meno efficienti come rendimento visivo, manifestando sintomi astenopici durante il lavoro cognitivo al punto prossimo.

Quel che risulta limitata è la parte simbolica, cioè il conseguimento visivo; si ha una perdita nella dimensione interpretativa del vedere. Molte variazioni refrattive e molti disturbi dell‟accomodazione e della convergenza sono stati attribuiti allo stress visivo prossimale e spiegati come processi di adattamento sviluppati dall‟organismo allo scopo di ridurre la discrepanza del sistema effettore, che può interferire con il confort e il rendimento visivo durante l‟attività svolta. Condizioni come la miopia, l’insufficienza accomodativa, l’insufficienza di convergenza, l’astigmatismo funzionale, quest’ultimo descritto da Forrest, sono funzionalmente interpretate non come problemi primari ma come variazioni adattive secondarie allo stress prossimale indotto dalla sovraconvergenza (Skeffington, Lesser e Barstow, 194717). La teoria funzionale sullo stress prossimale è quindi un modello globale che suggerisce che diversi problemi visivi funzionali emergono da una fonte comune: la sovraconvergenza generata dallo stress imposto dalle attività socialmente e culturalmente poco compatibili con la fisiologia del sistema visivo che va a intaccare 16

Salvatore Dattola,“L’approccio positivo al punto prossimo”, pp.3, op.cit. Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.22, op.cit.

17

41


sensibilmente le aree protettive dello stato visivo ottimale, ovvero la leggera Ipermetropia (0.50/0.75) e la leggera Exoforia (0.5 exo a distanza; 6 exo per vicino); condizioni per altro auspicabili. Skeffington (194718) postulò che è necessaria una exoforia per vicino di almeno 6 dtp quale <<buffer>> per contrastare e contenere la sovraconvergenza. Riscontrare una esoforia, un‟ortoforia o una exoforia ridotta rappresenta uno dei segni precoci degli effetti dello stress visivo prossimale insieme a un basso range di Accomodazione Positiva Relativa (PRA), la quale rappresenta una misura di flessibilità fra l‟accomodazione e la convergenza: quando la convergenza tende a essere localizzata più vicino dell‟accomodazione, l‟individuo con inadeguata flessibilità fra questi due sistemi effettori avrà difficoltà a spostare l‟accomodazione più vicino della convergenza, come richiesto al test PRA. Ne consegue che un valore basso in questo test è il risultato di una tendenza verso la sovraconvergenza, piuttosto che una vera e propria lacuna accomodativa. Ancora oggi nonostante l‟evidenza di un deficit in relazione all‟attività prossimale si continua a considerare la miopia solo come un fenomeno semplicisticamente organico o prettamente ereditario; studi mostrano che il 33-60 % dei bambini miopi hanno genitori che a loro volta sono miopi, mentre scende al 23-40 % la percentuale di bambini miopi che hanno solo un genitore miope e al 6-15% la percentuale di bambini miopi che non ha nessun genitore miope (teoria che presenta evidentissimi riscontri per le miopie di grado medio ed elevato ma potrebbe anche non presentare dei riscontri per le miopie lievi). Questa evidenza seppur corretta era anche parzialmente smentita da Bastien: egli diceva che non si nasce miopi ma si diventa purché si sia geneticamente predisposti 19. La teoria prettamente ereditaria fa sì che esista poca sensibilità nei confronti del cosiddetto problema visivo funzionale (che non ha cioè ancora lasciato tracce indelebili nella struttura) a meno che questo non degeneri e raggiunga manifestazioni palesi difficilmente reversibili o rieducabili, ossia quando si instaura una vera e propria modifica strutturale permanente coincidente con l‟affermazione del difetto visivo vero e proprio.

18 19

Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.24, op.cit. Arman R. Bastien, il controllo della progressione miopica, pp.24, op.cit.

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Come appena accennato, Il problema visivo in sé assume la forma della predisposizione. La predisposizione è determinante per quanto concerne la forma che assumerà il problema ma anche l‟esistenza di esigenze particolari derivanti dall‟ambiente, impegni visivi cognitivi prossimali e la durata, rappresentano nel loro insieme le condizioni generali perché si produca il problema visivo. ESEMPIO: •

Organismo predisposto alla miopia + impegno prossimale/cognitivo (+ durata) = MIOPIA

Organismo non predisposto alla miopia + impegno prossimale/cognitivo (+ durata) = - Problema visivo di rendimento -Manifestazioni astenopiche

L’Astenopia è un insieme di disturbi che si originano quando l‟apparato visivo cerca di conseguire, con artifici stressanti, risultati funzionali eccedenti le proprie possibilità fisiologiche e si manifesta con: •

sintomi oculari (dolore, irritazione, arrossamento, bruciore, senso di sabbia);

sintomi di tipo visivo (visione sfocata, doppia, tremolante);

sintomatologie fisiologiche (cefalea, lacrimazione, senso di nausea)

Se la condizione stressante che la determina non può essere elusa, i sintomi astenopici determineranno l‟insorgenza di un problema di rendimento visivo come è sintetizzato qui sotto (figura2):

Figura2 Trend del problema astenopico

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Un altro adattamento a lungo termine fu descritto da Forrest nel continuing dept. n°129 SOE20. Egli portò in auge il modello di astigmatismo funzionale elaborando la teoria sull‟evoluzione astigmatica basata sulla relazione occupazionale degli individui e dell‟ambiente abituale. Lo scanning oculare, il movimento e la posizione della testa sono tre elementi determinanti nella formazione dell‟astigmatismo funzionale, pertanto variando uno di questi tre fattori è possibile avere un effetto positivo nella riduzione dell‟astigmatismo. Forrest monitorò quei pazienti che mostravano variazioni di astigmatismo, indagando sul modo in cui essi compivano i loro impegni visivi: come muovevano gli occhi, come tenevano la testa, che posizione assumevano con il corpo. Fece una ricerca su 45 pazienti di età compresa fra i 20 e i 40 anni che mostravano una variazione recente di astigmatismo di almeno 0.50 dt in un occhio, dimostrando come un uso non corretto degli occhi avrebbe potuto peggiorare la condizione astigmatica in un breve periodo di circa 4 mesi. In uno studio successivo arrivò alla conclusione che lo sviluppo dell‟astigmatismo funzionale è dovuto a variazioni protratte nel tempo tra il movimento degli occhi quando la testa è ferma, movimento degli occhi accompagnati dal movimento della testa, la combinazione fra inclinazione in avanti o indietro della testa e la rotazione e inclinazione laterale della stessa. L‟astigmatismo sarà secondo regola quando lo scanning preferenziale è lungo l‟asse orizzontale, contro regola quando lo scanning preferenziale è lungo l‟asse verticale, sarà obliquo con assi extorti quando la testa è inclinata all‟indietro. Inoltre può esistere una differenza nell‟ammontare dell‟astigmatismo a seconda che uno dei due occhi sia più vicino al piano di sguardo rispetto all‟altro, che svilupperà maggiore astigmatismo, a causa di una torsione della testa. Quando la posizione di inclinazione della testa si somma a un atteggiamento di torsione, allora potranno anche esserci forme di astigmatismo differenti per entità e asse. Anche l‟anisometropia è conseguenza di una decentrata azione visiva che predilige un occhio piuttosto che l‟altro per un dato impegno. Può comparire come exotropia intermittente che si trasformerà in costante se l‟atteggiamento di soppressione di un occhio permane a lungo. 20

Salvatore Dattola, Significato di lenti e prismi in optometria comportamentale, pp.44-46, op.cit.

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3.2 Profili funzionali

La scolarizzazione è l‟attivazione del processo. L‟affinità per la lettura è un potente generatore. Prima dell‟inizio della scuola non ci sono miopi eccetto rarissime eccezioni; si è di fronte invece a una grande massa di piccoli ipermetropi misurabili, che affluiscono a scuola per i primi anni di scolarizzazione.

Il profilo del futuro miope PRIMA CONSULTAZIONE: un po‟ prima dell‟inizio della scuola oppure durante il primo anno di scuola (dai 5 ai 6 anni e mezzo). ANAMNESI A: Nessun problema soggettivo; il bambino ama i libri illustrati, gli piacciono le figure e le interpreta. Ci sono attività motorie canalizzate, significative ed è in grado di applicarsi. Non lo si può definire un tipo iper-attivo; B: Ci sono dei miopi in famiglia; C: Il bambino è efficace e preciso nei suoi movimenti raffinati. Se la consultazione avviene dopo il primo anno di scuola o durante il secondo, il bambino legge e ama leggere, scrive bene per la sua età e presenta buoni risultati scolastici. ESAME: A: Fra i 5 e i 6 anni il bambino è leggermente ipermetrope o para-emmetrope; si pone nella fascia +1.25, +1.00, +0.75, +0.50, +0.25, 0.00; B: il riflesso retinoscopico è generalmente chiaro (arancio chiaro) o brillante quando osserva le immagini che lo interessano. Caratteristica importante: il Revip relativamente breve;

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C: lo sviluppo psico-motorio è normale, schema corporeo buono, buona lateralizzazione. Riproduce bene le forme geometriche, nella direzione esatta. Tracciati precisi, più piccoli dei modelli e associa bene le forme. COMPORTAMENTO: il bambino agisce, opera, come un miope anche se non manifesta alcuna miopia misurabile. Ciò si verifica in visione critica; il Revip è corto o relativamente corto e decisamente inferiore alla distanza di Harmon (figura 3).

Figura 3 a sinistra troviamo la distanza abituale di lettura ovvero il Riflesso visuo-posturale, a destra la distanza di Harmon (corrispondente alla distanza gomito-nocca del terzo dito). Se il dato del Revip è minore della distanza di Harmon allora la distanza di lettura è stressante e obbliga il sistema visivo a operare utilizzando tutte le risorse disponibili al fine di evitare diplopia e sfocatura.

Questo è il Revip miopico: il bambino opera bene, affronta bene l’impegno e non ci sono problemi di apprendimento scolare. Tipico esempio di predisposizione organismica (che dipende tanto dalla costituzione che dal temperamento) all‟alterazione delle strutture e della funzione in base all‟esigenze dettate dall‟ambiente operativo. L‟analisi comportamentale mostra valori sferici positivi alti e/o negativi bassi nei test indagatori dell‟accomodazione/ identificazione, come pure valori

eccessivamente

spostati

verso

l‟EXO

nei

test

valutativi

della

convergenza/centratura, evidenziando il prevalere di forze espansive. Il miope dove prevalgono queste ultime, solitamente ama la scuola, studia e si applica con buoni risultati e spesso la lettura è anche il suo hobby; il Revip è corto ma di tipo miopico (cioè di efficienza); non soffre di astenopia. Nell‟analisi visiva il #14B è più positivo di

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+1,25 rispetto al #7, il #21 è più alto delle aspettative e maggiore del #20 (in valore assoluto), il #19 è inferiore alle attese, il #17B è superiore al #16B. In questi casi, che mostrano una netta prevalenza di forze espansive, si assiste solitamente a una progressione più veloce della miopia; inoltre la prescrizione di positivo al punto prossimo non conta o addirittura peggiora la situazione. Nella ricerca della formula prescrivibile per vicino, a partire dai netti al punto prossimo (#14B e MEM), se un residuo di positivo è ancora presente la scelta correttiva dovrà cadere sul meno positivo dei due e talvolta, tale valore dovrà essere ulteriormente ridotto. Se i netti al punto prossimo sono in negativo, la scelta cadrà comunque sul meno negativo dei due; una sua ulteriore riduzione potrà essere proposta solo se indicata dal risultato della MEM (Monocular EstimatedMethod) ripetuta alla distanza del Revip.

Profilo del non predisposto alla miopia PRIMA CONSULTAZIONE: dopo il primo anno di scuola; quindi durante il secondo, il terzo o il quarto anno quindi cronologicamente a 7 anni e mezzo, a 8 anni e mezzo e a 9 anni. Quantità maggiore di bambini che di bambine. MOTIVO: problemi di apprendimento scolare, difficoltà a scuola, difficoltà di lettura. In certi casi manifestazioni dialettiche. ANAMNESI: Non gli piace leggere o non legge affatto, non è interessato (o poco) ai libri. Risultati scolastici scadenti; spesso scrive male. ESAME: A: Al momento dell‟esame indipendentemente dalla sua età è leggermente ipermetrope o para emmetrope; si pone nella fascia: +1.25, +1.00, +0.75, +0.50, +0.25, 0.00. Essa rappresenta la stessa fascia del pre-miope prima dell‟inizio della scuola; B: Il riflesso retinoscopico è opaco (di color marrone) in confronto al riflesso brillante del bambino visivamente più efficace ossia il pre-miope; C: Il Revip è breve (come nel pre-miope) ma non per le stesse ragioni. È il riflesso di inefficacia. Il bambino affronta male l‟impegno e lo abbandona;

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D: Lo sviluppo psico-motorio potrebbe avere della lacune tanto nello schema corporeo, che nella lateralizzazione o direzionalità. Potrebbero essere riprodotte grossolanamente le forme geometriche, spesso in direzione errata, e potrebbero essere associate con difficoltà le forme (esecuzione mista o tattile/visiva).

COMPORTAMENTO: Il bambino potrebbe agire come un inefficace e ciò si verifica in visione critica; il suo Revip potrebbe anche essere inferiore alla distanza critica, perché come già detto è un riflesso di inefficacia; il bambino opera male, sostiene male l‟impegno, potrebbe scrivere male, rischia di essere leggermente o manifestamente iperattivo, si muove tanto per muoversi (in certi casi) e potrebbe manifestarsi una certa distrazione.

Ci sono comunque degli ipermetropi assai efficaci. Essi sono favoriti da un buon sviluppo psico-motorio; al contrario dei miopi o pre-miopi il riflesso visuo-posturale è relativamente lungo, il colore del loro riflesso retinoscopio è vivo (arancio chiaro), amano la lettura (possibilmente utilitaria e informativa). In generale, leggono a una velocità inferiore dei miopi e allo stadio pre-scolare è difficile distinguerli dai premiopi (a eccezione forse di coloro i quali non hanno assolutamente alcun progenitore miope tanto tra i genitori che fra i nonni). I leggeri ipermetropi presentati nel profilo del non predisposto alla miopia, sono degli ipermetropi che presentano delle lacune evolutive (psico-motoria) a gradi diversi. Dopo una rieducazione visiva e psico-motoria molti di loro divengono miopi a causa della ritrovata efficacia; in questo caso la miopia è la benvenuta e non è considerata un affezione. Questo è un caso che presenta analogie comportamentali con un‟altra forma di miopia, dove l‟analisi comportamentale mostra valori sferici negativi elevati e/o positivi bassi nei test indagatori dell‟accomodazione/identificazione, come pure valori spostati verso l‟ESO o con EXO ridotta nei test valutativi della convergenza/centratura. Come nel caso del non predisposto, non ama particolarmente la scuola e la lettura in genere, ha un Revip corto da inefficienza, spesso lamenta astenopia e cefalea; sono spesso presenti anche tensioni nella scrittura. Nell‟analisi visiva il #14B è meno positivo

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di 1,00 rispetto al #7, il #20 è maggiore in valore assoluto del #21, il #19 è vicino alle attese, la foria del #3 è in ESO e il #13A è minore di 5 EXO o è in ESO. Se un residuo di positivo è ancora presente nei netti al punto prossimo (#14B e MEM), la ricerca della formula prescrivibile per vicino, avverrà a partire dal meno positivo dei due. La prescrizione di un maggior positivo potrà essere proposta solo se confortata dal risultato della MEM ripetuta alla distanza del Revip. Se i netti al punto prossimo sono in negativo, la scelta cadrà sul meno negativo dei due; questo valore potrà essere ulteriormente ridotto se ciò sarà indicato anche dalla MEM, ripetuta alla distanza del riflesso visuo–posturale. Se il #14B netto è in proiezione negativa e non c‟è positivo nella MEM, la lente della sonda comportamentale ci viene in aiuto; essa dovrà essere poi confermata o meno conducendo una indagine retinoscopia alla distanza del Revip.

Un problema che è anche iatrogeno A: Il problema di progressione miopica è attivato o favorito dagli stessi professionisti. Essi ne attivano l‟evoluzione con delle iper-correzioni. Esempio: #7

-3.00

#14A netto -1.50 Prescrizione

-3.00 Monofocale

Quindi un‟ipercorrezione di -1.50 B: Abbiamo a che fare con un fenomeno di adattamento che è contemporaneamente evolutivo e progressivo; C: È essenziale che non venga prescritta un‟ipercorrezione che esiga uno sforzo supplementare

con

un

surplus

di

focalizzazione

(che

rimpicciolisce

proporzionalmente il diametro apparente degli oggetti e immediatamente accorcia il Revip) e che secondariamente agisce sulla convergenza (il che rimpicciolisce il diametro apparente degli oggetti e accorcia ancora di più il Revip). Questo tipo di prescrizioni aumentano l‟effetto tensionale (il carico fisiologico) della prossimità. Quest‟ultima è un agente supplementare e attivo di accelerazione del processo evolutivo di aumento miopico. Nell‟analisi comportamentale, in entrambi i casi attenzione particolare è ricoperta soprattutto dal Revip e dalla brillanza del riflesso retinoscopico. Quest‟ultimo varia in

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relazione all‟impegno assunto e va da un colore rosa brillante con contorni ben definiti durante le letture con partecipazione e comprensione attiva da parte del soggetto, fino ad arrivare a un cupo color rosso mattone quando c‟è una totale assenza di comprensione e anche quando è nullo l‟interesse in quello che si sta svolgendo.

3.3 Deterioramento analitico

Il modello comportamentale prevede in realtà due possibili deterioramenti dell‟efficienza dei meccanismi del sistema visivo. Il primo è conosciuto con il termine: "miopizzazione" o "processo di assorbimento del positivo" oppure "sequenza ipermetropia-emmetropia-miopia". Il secondo è noto come "esoforizzazione" o "sequenza exoforia-ortoforia-esoforia". In questo contesto ci soffermeremo in particolare sul primo deterioramento riguardante il sistema accomodativo. Lagace (198721) per monitorizzare nel tempo il processo di miopizzazione introdusse il concetto di "Convex Acceptance" (Accettazione di Positivo), ovvero "l‟ammontare di potere positivo che il soggetto mostra di accettare per vicino rispetto a quanto accetta per lontano". Per il calcolo, l‟autore suggerisce la formula seguente: Convex Acceptance = #14B Gross - #7 Durante il processo di deterioramento visivo, la capacità di "Convex Acceptance" diminuisce progressivamente in funzione del tempo e/o dell‟esposizione allo stress visivo prossimale come mostrato nel grafico 1.

21

Marco Osti, Valutazione clinica del Lag Accomodativo: metodi oggettivi e soggettivi, 2007, pp.4

50


+ Tempo

Grafico 1

Infatti, durante la fase iniziale di deterioramento dell‟efficienza visiva, si assiste a un aumento di accettabilità di positivo riscontrabile nei test con i cilindri crociati (#14A e #14B) che, associato alla tendenza esoforica nei test di foria prossimale, contribuisce a un aumento del #14A Net e del #14B Net. In particolare il valore del #14A Net in condizioni ottimali dovrebbe essere circa +1,00 dt e tende a diminuire durante le fasi di deterioramento, fino ad azzerarsi per assumere eventuali valori negativi. Quando l‟individuo oggetto di un processo di miopizzazione ha somatizzato il deterioramento a carico del sistema accomodativo, ha già pagato il prezzo consistente in una minore discriminazione visiva per lontano, a favore di maggior confort e migliore efficienza in visione prossimale. Tale situazione risolve parzialmente il problema e rappresenta un tipico processo adattivo: l‟organismo si adegua e dirige le proprie risorse verso la situazione che comporta un maggior dispendio di energia e un maggior numero di disagi al fine di migliorare quindi confort ed efficienza. L‟esperienza clinica ha dimostrato che il processo di miopizzazione e quello di esoforizzazione sono, almeno nelle fasi iniziali, concomitanti come si evince dai grafici 2 e 3:

51


+

-

Tempo Grafico 2

E X O

Tempo

E S O

Grafico 3

Il grafico 3 dà l‟idea del quadro di precoce deterioramento che avviene a livello forico. Le Forie, funzionalmente interpretate nel contesto della reattività allo stress, sono soggette a una influenza da parte dell‟attività dell‟aurosal in risposta allo stress visivo che avviene per mezzo dell‟attivazione del SNS con conseguente produzione di un lieve effetto cicloplegico, a cui segue una richiesta di maggior sforzo accomodativo che

52


induce una tendenza verso l‟esoforia (Birnbaum, 198422). Esistono due tipi di reazione da parte del sistema visivo: - Tipica: sotto impegno visivo, si passa prima a ortoforia, poi a esoforia; terminato il compito visivo l‟organismo torna a ripristinare una bassa exoforia di base; - Atipica: il sistema non è in grado di ripristinare un valore forico corretto e si adatta su valori esoforici oppure su alti valori exoforici. In pratica nel primo caso non riesce a contrastare l‟eccessiva azione in convergenza creatasi sotto impegno visivo, mentre nel secondo caso la reazione avviene ma risulta eccessiva a tal punto da ripristinare valori consistenti di exoforia. È rarissimo riscontrare esoforia comparata alla miopia; casi del genere possono presentarsi all‟inizio dell‟adattamento miopico. È molto più frequente invece riscontrare valori exoforici medio alti per vicino. Di conseguenza, un precoce sintomo di deterioramento è rappresentato in visione prossimale, sia da una tendenza esoforica sia da un aumento di accettabilità di positivo. Il fenomeno è stato spiegato in termini neurofisiologici. Durante le attività visive prossimali relativamente prolungate e impegnative, è stato dimostrato un aumento del livello di attenzione e dell‟arousal associato a un‟attivazione del SNS prodotto dalla necessità di comprensione e memorizzazione delle informazioni visive. L‟Arousal è il modo in cui il corpo si mobilita per l‟azione o si allerta per proteggersi contro una possibile minaccia. Dal punto di vista psicofisiologico lo stato di Arousal è caratterizzato da un‟attivazione del Sistema Nervoso Centrale, aumento della vigilanza, miglioramento

dell‟attenzione,

attività

del

sistema

muscolare

scheletrico

e

modificazioni vegetative soprattutto della componente ortosimpatica. A livello della sezione periferica, mediante le innervazioni simpatiche e parasimpatiche, il sistema Nervoso Viscerale è in grado di tradurre con una sorprendente immediatezza la reazione emozionale suscitata da vari stimoli ambientali in modifiche della funzionalità a carico dei vari organi e apparati. La risposta vegetativa multimodale agli agenti stressanti è articolata a livello cardiaco, pressorio, vascolare, dell‟apparato digerente, respiratorio e delle risposte cutanee e pupillari. L‟aumento del livello di Arousal permette all‟organismo, in determinate circostanze, una migliore efficienza e reattività agli 22

Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.30, op.cit.

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stimoli ambientali, garantendo l‟adattamento e la sopravvivenza dell‟organismo stesso. È un importante strumento per orientare la nostra attenzione, perciò riflette ciò che un individuo compie, lo sforzo che investe per farlo, il suo atteggiamento fisico ed emotivo. È la relazione “cos‟è ? o cos‟è quello?”, laddove, in altre parole, sono registrati gli input. Qualsiasi sfasamento interno o esterno può attivare l‟Arousal; questo processo è quindi importante per il mantenimento della vigilanza o della prontezza motoria alla risposta. L‟attivazione del SNS, produce un allontanamento del punto in cui è localizzata l‟accomodazione, rispetto al piano di riferimento. Questo fenomeno è osservabile clinicamente con un aumento del lag accomodativo mediante i valori del #5, #14A e #14B. Allo stesso tempo, la convergenza è localizzata più vicino nello spazio rispetto al piano di riferimento. Clinicamente si può osservare attraverso i valori del #13B, #15A e #15B i quali denotano una diminuzione della exoforia fisiologica. In questo frangente, la sovraconvergenza riesce solo parzialmente a richiamare una maggior accomodazione; entro certi limiti è in grado di ridurre la discrepanza tra le posizioni in cui le due funzioni sono localizzate nello spazio. Ciò dipende ovviamente dal grado di flessibilità che esiste tra le due funzioni ovvero dal rapporto AC/A: un Rapporto

AC/A

basso,

lascia

alla

sovraconvergenza

maggior

libertà

dall‟accomodazione e di conseguenza la differenza tra le posizioni in cui sono localizzatele due funzioni nello spazio è causa di minori sintomi astenopici; al contrario un Rapporto AC/A alto, impone un legame funzionale più stretto, quindi modeste variazioni di sovraconvergenza producono significative ripercussioni sul sistema accomodativo che si traduce in un aumento della discrepanza tra le posizioni in cui sono localizzate le due funzioni nello spazio. In quest‟ultima situazione i soggetti che ne sono interessati, mostrano più precocemente fenomeni astenopici. In entrambe le situazioni è osservabile in ogni modo lo stress visivo, compatibilmente con i concetti di stress, mediante una tendenza del soggetto ad accorciare la distanza fra sé e il testo scritto; ciò contribuisce alla produzione di maggiori sintomi astenopici, così da innescare un trend adattivo. In questa fase, l‟utilizzo di lenti positive nella visione prossimale, consente la diminuzione della discrepanza spaziale tra accomodazione e convergenza diminuendo così la necessità di sovraconvergenza. Il processo adattivo, in questa precoce fase priva

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di adattamenti somatici, è potenzialmente reversibile; qui compare una maggiore discrepanza fra piano accomodativo e piano di convergenza e il lag risulta di conseguenza ampio e maggiore. Questa prima condizione non può permanere a lungo nel tempo, a meno che non si abbandoni l‟impegno visivo. Successivamente la persona tende a riorganizzarsi restringendo questa distanza così ampia fra le funzioni visive, al fine di ottenere un migliore rendimento, con il risultato talvolta di produrre dei netti negativi da vicino. Come già detto sopra, questa situazione rappresenta una condizione ancora reversibile se si interviene tempestivamente con una correzione prossimale. Andando incontro ad adattamenti più radicati, l‟accettazione di positivo risulta sempre più ridotta fino a ottenere valori negativi per i test prossimali; cominciano a calare le risorse accomodative, compare astenopia fino all‟adattamento miopico. A questo punto il Revip corto diviene efficiente ponendo l‟individuo in una situazione di confort visivo prossimale, tanto da ridurre la sintomatologia astenopica al punto prossimo, a scapito della visione a distanza.

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4. LE SOLUZIONI OTTICHE COMPORTAMENTALI

4.1 La Correzione preventiva

Con la fondazione dell‟Optometric Extension Program Foundation del 1928, Skeffington inizio a proporre un modello basato sulla prescrizione prossimale a scopi preventivi e migliorativi che si aggiungeva agli scopi puramente compensativi tipici del modello tradizionale. Egli intuì il significato preventivo e di rimedio prodotto dalla lente positiva prescrittiva per la visione prossimale anche in persone prive di uno specifico errore refrattivo. Nacque così quel trend professionale e culturale che egli stesso definì <<Nearpoint

Optometry>>

più

tardi

ribattezzata

<<Behavioral

Optometry>>

(Optometria comportamentale23). Nel 1941 Alexander affermava che <<esiste una lente ottimale per vicino così come per lontano24>> dando risalto al modello Skeffingtoniano in modo che potesse essere inserito concettualmente e metodologicamente nella routine quotidiana della maggior parte degli specialisti. Il salto concettuale, abbastanza radicale tra l‟altro, è il fatto che Skeffington non proponeva lenti per la visione prossimale alla scopo di migliorare la nitidezza, ma piuttosto allo scopo di ridurre la discrepanza spaziale fra il punto in cui veniva localizzata l‟accomodazione e il punto di convergenza, che in definitiva significava prevenire i pattern di adattamento del sistema visivo sottoposto a stress. Dal punto di vista classico, la prescrizione di leggero positivo al punto prossimo era ritenuta un‟operazione inutile perché contribuisce solo a un effetto “placebo”. A 40 cm la richiesta accomodativa è di 2.50 dt, considerando che l‟ampiezza accomodativa sia anche di sole 5 dt, una mezza diottria costituisce solo 1/10 dell‟ampiezza. In relazione alla richiesta accomodativa per la distanza di lavoro, il soggetto deve impiegare ancora 2 dt, cioè quattro volte l‟ammontare del positivo prescritto. Pertanto i benefici devono derivare da altri fattori, diversi dal potere diottrico della lente. Tralasciando il fatto che spesso si è in presenza di insufficienze accomodative, le quali riducono l‟ampiezza 23 24

Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.10, op.cit. Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.11, op.cit.

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soggettiva ben al di sotto dell 5 dt, come avviene nei casi di miopia progressiva in cui è riscontrabile un valore del test #19 ridotto, la teoria comportamentale suggerisce di considerare altri aspetti. È noto già dal 1920 che la retinoscopia al punto prossimo rivela un lag accomodativo fisiologico che va da 0.50 a 0.75 dt (in osservatori di 20-25 anni con mira posta a 40 cm). Il sistema accomodativo non è mai completamente rilassato, ma in assenza di stimoli visivi (al buio, come in uno spazio vuoto) tende a bilanciare il sistema simpatico e parasimpatico a 1-1,5 mt circa. Pertanto la richiesta accomodativa a 40 cm diviene minore, in quanto necessita non più di 2.50 dt ma di 1.50 dt, dato che il punto di equilibrio (punto zero) non è più all‟infinito, ma a un metro circa. Un positivo di +0.50 dt diviene così 1/3 della domanda e non è più una quantità trascurabile. Oltre all‟aspetto meccanico i benefici del positivo al punto prossimo mostrano un effetto su tutto l‟organismo. In realtà il problema visivo al punto prossimo non dipende da quanto una persona accomoda, ma solitamente da quanto una persona “disaccomoda”, poiché la teoria dello stress visivo indica un atteggiamento fisiologico in termini di inibizione accomodativa. Esiste una relazione funzionale fra attività fisiologica e potere della lente. Attraverso uno studio, Pierce25 (1966, 1970) valutò l‟effetto delle lenti positive per

la

visione

prossimale

confrontando

l‟attivazione

di

quattro

variabili

psicofisiologiche (tasso cardiaco, risposta elettromiografia, tasso respiratorio, e livello di resistenza basale della pelle), la postura, la distanza di lettura e la velocità di lettura. I soggetti furono esaminati in tre diverse condizioni: 1. Senza uso di un‟addizione; 2. Con lenti di sfera +0.50 dt (valore prossimo a quello ricavato dall‟Analisi visiva); 3. Con lenti di sfera +1.00 dt lievemente eccessivo rispetto al valore riscontrato nell‟Analisi visiva). I soggetti con lenti di +0.50 dt dimostrarono una riduzione dell‟attività fisiologica, una migliore postura e distanza di lettura e una maggiore velocità di lettura rispetto ai soggetti che non utilizzavano lenti o che utilizzavano le lenti di +1.00 dt. Pierce ipotizzava che la riduzione dell‟attività fisiologica derivante dall‟uso di appropriate lenti positive per la visione prossimale fosse il risultato di una migliore postura e di una più 25

Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.196, op.cit.

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adeguata distanza di lettura, suggerendo che le lenti contribuiscono a un minor aurosal e quindi un minor stato di attivazione del SNS con seguente induzione, a un miglior ritmo cardiaco e a una più normale conducibilità elettrica della pelle. Un esperimento di Greenspan (197026), riprodusse un‟esperienza simile a quella di Pierce enfatizzando soprattutto il valore della MEM Retinoscopy come tecnica in grado di predire la lente prossimale che garantiva il miglior risultato. Sohrab-Jam (197627) utilizzò uno strumento che, mediante sensori all‟infrarosso (Eye Trac), permetteva la valutazione dei movimenti oculari durante la lettura in bambini del quarto e quinto anno di scuola elementare. Con l‟utilizzo di lenti positive, determinate mediante la Book Retinoscopy, durante la lettura fu misurato un minor numero di regressioni, un aumento della velocità di lettura e una maggior efficienza nella comprensione. Quando le lenti erano utilizzate da coloro per i quali non risultavano indicate, fu invece osservato una diminuzione nel rendimento dei movimenti oculari, un aumento delle fissazioni, un aumento delle regressioni e una diminuzione del rendimento durante la lettura.

4.2 Gli effetti indotti dalla correzione

La lente positiva è costituita da più prismi attaccati fra loro per la base, coincidente alla zona centrale e più spessa della lente; alla periferia della lente troveremo l‟apice dei prismi. Grazie al posizionamento prismatico della lente positiva, durante le versioni oculari, la testa stessa si comporta nel modo opposto rispetto alla lente da miope e facilita l‟escursione oculare; gli occhi ottengono un effetto prismatico quando guardano lateralmente, tanto che la visione ottenuta è più “panoramica”, gli oggetti risultano ingranditi e allontanati per l‟effetto ottico. Il prisma laterale fa sì che ogni volta che il soggetto converge impiegando una lente centrata per lontano, si ottiene nella visione prossimale un effetto prismatico base esterna che aumenta l‟azione in convergenza. Se a questo fattore si somma l‟effetto ottico di ingrandimenti della lente, ne consegue che la 26 27

Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.196, op.cit. Vittorio Roncagli, valutazione e trattamento dei disturbi visivi funzionali, pp.197, op.cit.

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persona ottiene un movimento di vergenza più libero e un‟immagine risultante più grande. L‟immagine più grande permette di mantenere una distanza più corretta di lettura, garantendo una buona risoluzione visiva. Il movimento degli occhi risulta più dinamico rispetto all‟effetto ottenuto dalla lente negativa la quale per come è costruita ne limita l‟azione. Ha una funzione diffusiva, cioè disperde la luce rifratta e diminuisce l‟intensità della luce stessa espandendo il volume spaziale ed enfatizzando lo sfondo. Per quanto concerne l‟organismo la lente positiva permette di localizzare più lontano; il potere positivo fa sì che l‟accomodazione risponda come se la mira fosse allontanata dall‟osservatore, mentre l‟allineamento oculare è mantenuto a una certa distanza. Essa amplia il campo percettivo, permettendo una estensione del campo visivo centrale, il quale diviene più periferico. Questo si traduce in un minor numero di fissazioni (saccadi) da effettuare per coprire il campo percettivo interessato e quindi anche un risparmio energetico a carico della motilità oculare. Aumentando il campo visivo centrale, saranno più facili e più precise le fissazioni, con un miglioramento e una maggiore stabilità anche per quanto concerne gli inseguimenti oculari (pursuit). L‟immagine risultante attraverso una lente positiva presenta meno contrasto, è però ingrandita e crea una maggiore sensazione di profondità. Conseguentemente si avrà un‟attivazione meno frenetica e più calibrata tra sistema transitorio e focale, il che si traduce in una migliore integrazione sensoriale. È riscontrabile nei buoni lettori in grado di percepire più lettere per volta, un‟azione molto periferica della propria visione. Per poter estendere il campo percettivo essi riducono la nitidezza centrale, si accontentano di una messa a fuoco più ridotta ma ripartita su una zona più ampia. La lente positiva prescritta al punto prossima ha in definitiva questo scopo: defocalizzare (figura 4).

Figura 4 le lenti positive ingrandiscono, allontanano (LARGE-OUT) e riducono il gradiente di energia luminosa in ingresso.

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Svolge l‟azione di riduzione del Lag e della discrepanza (mismatch) tra sistema identificativo e di convergenza che per via dello stress non si vengono a trovare sullo stesso piano pregiudicando di conseguenza il rendimento visivo. La lente positiva riempie questo spazio che altrimenti sarebbe compensato dalla spinta di convergenza, migliora il rendimento visivo e riduce la situazione astenopica, evitando anche eventuali adattamenti; essa controlla l‟evoluzione della progressione miopica o ne riduce notevolmente la tendenza, ribilancia il rapporto fra SNS e SNP alterato dallo stress e ha un‟azione sul Revip, allontanandolo e aumentando la grandezza dell‟immagine percepita nonché riducendo l‟impiego energetico in accomodazione e convergenza.

4.3 Calcolo del valore addizionale

I metodi più indicati per quantificare la prescrizione di lenti convesse per l‟attività cognitiva prossimale sono la MEM Retinoscopy o il calcolo della MSDA (MEM +0.50): Per calcolare l‟MSDA dobbiamo tenere conto di:

#16A - #20

NETS AC/A PATTERN D‟EQUILIBRIO(#16A,#17A, #20 #21)

#17A - #21

Non si deve invertire il rapporto tra #16 A e #17 A e tra #20 e #21 Si tende a calcolare la massima porzione dei Nets che non modifica il Pattern d‟equilibrio ovvero la lente di massimo potere positivo che può essere prescritta.

60


Una lente positiva che definiremo sonda comportamentale, potrà essere desunta con la seguente formula: (100/Revip)/6 La prescrizione di tale lente andrà attentamente valutata mediante stima percettiva, rivalutazione del Revip e confronto con il valore della retinoscopia MEM. Alcuni fattori indicativi di una necessità di una prescrizione al punto prossimo sono: 1. Sviluppo iniziale della myopia; 2. Sviluppo iniziale di astigmatismo; 3. Sviluppo iniziale di anisometropia; 4. Soppressione; 5. Ridotta stereopsi; 6. Ampiezza accomodativa ridotta; 7. Insufficienza di convergenza.

Le variazioni positive che dovrebbero avvenire con la correzione sono: 1. Capacità e abilità fusionali migliorate; 2. Postura: distanza più vicina alla distanza di Harmon; se più corta, diffidare dell‟efficacia delle lenti; 3. Rendimento visivo; 4. Stereopsi: gli individui con problemi al punto prossimo hanno spesso una stereopsi ridotta; il che non significa una reale riduzione della percezione della profondità, ma una effetto dello stress visivo che interferisce sulla stabilità fusionale e la consapevolezza visiva. Se la lente migliorerà la performance visiva al punto prossimo verrà nettamente indicato da un effetto positivo sulla stereopsi, il che consente di aumentare o diminuire il potere sulla base degli effetti evidenziati; 5. Percezione periferica attraverso le Mc Donald Card: scopo delle lenti positive è di estendere il campo visivo centrale rendendolo più periferico, aumentare la quantità di informazioni per unità di tempo; 6. Feeling Tone: “le lettere appaiono più grandi”, “gli occhi sono più rilassati”, “vedo meglio”, è “più facile”, sono tutte sensazioni positive per la prescrizione.

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4.4 Tecniche prescrittive per la miopia

I trattamenti preventivi devono essere subito messi in atto per invertire il trend miopico, affinché si ottenga il risultato più ottimale. I fattori essenziali ai quali badare durante l‟esame sono: 1. Riduzione dell‟ipermetropia; 2. Emmetropia o leggera miopia; 3. Sintomi astenopici o annebbiamenti prossimali; 4. Annebbiamento a distanza, specialmente dopo la lettura; 5. Valori del #20 ridotti; 6. Leggera ESO al punto prossimo.

Una di queste indicazioni deve immediatamente far attivare il trattamento anche se il soggetto è ancora ipermetrope o emmetrope e ha ancora un‟acuità di 10/10. La prima tecnica di inversione all‟adattamento consiste nell‟Igiene Visiva. La manipolazione dell‟ambiente è un fattore essenziale per il successo. Anche se il soggetto usa la prescrizione prossimale si ottengono risultati minori senza alcune regole di opportuna igiene visiva. Fra queste ultime le più utili sono: -

Sollevare periodicamente la schiena (ogni 15 minuti);

-

Guardare lontano nello spazio;

-

Fissare un punto lontano;

-

Girare la testa lateralmente da destra a sinistra sempre fissando il punto (8 volte);

-

Fissare il punto. Ammiccare (4 ammiccamenti – 3 volte);

-

Flettere all‟indietro schiena e testa alzando le braccia (4 volte);

-

Rotazioni della testa (4 volte nei due sensi);

-

Esercizi di adattabilità accomodativa solo in fase positiva per 2 minuti al giorno.

Alimentazione: Lane ha scoperto che grandi quantità di zucchero e carboidrati e poco cromo sono associati alla miopia progressiva anche se non è ancora ben definito il loro ruolo.

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La teoria classica e quella funzionale hanno sviluppato nel corso del tempo teorie sul controllo della progressione miopica ed entrambe concordavano sull‟utilizzo dell‟addizione positiva per la visione positiva allo scopo di rallentarla e di contenerla. Ma entrambe presentavano nonostante questa convergenza di pensiero un approccio diverso. Mentre il modello classico si basava su un‟addizione particolarmente alta, compresa fra 1.50 dt e 3.00 dt, allo scopo di inibire l‟accomodazione imputata come causa principale dell‟aumento della miopia, il modello di Skeffington utilizzava correzioni prossimali basate sui test visivi e che comprendeva valori compresi fra lo 0.50 dt e 1.25 dt allo scopo di ristabilire un equilibrio ottimale fra accomodazione e convergenza. Mentre la prima scuola di pensiero non portò a risultati soddisfacenti, il modello funzionale ha raggiunto nel corso degli anni risultati soddisfacenti con questa metodica. L‟utilizzo di lenti bifocali (figura 5) nelle prescrizioni in ambito optometrico comportamentale ha rappresentato lo strumento chiave per il controllo della progressione miopica. A differenza delle lenti progressive (figura 6), molto prescritte tra l‟altro in soggetti non presbiti, le lenti bifocali possiedono una lunetta abbastanza ampia e alcuni tipi addirittura presentano tutta la lente divisa a metà; ciò permette al soggetto di muovere liberamente gli occhi senza ausilio della testa. Le progressive presentano una zona ottica per vicino minore rispetto alla maggior parte delle lenti bifocali e ciò comporta un adattamento del soggetto al movimento del capo indotto dalle limitate escursioni laterali degli occhi, al fine di ottenere un‟immagine nitida da vicino.

Figura 5 Lente Bifocale

63


Figura 6

Lente Progressiva

La lente progressiva crea una situazione che va in conflitto con il modello funzionale, in quanto il vincolo radicale che si vĂ a creare tra i movimenti oculari e i movimenti della testa non rappresenta affatto lo scopo terapeutico della prescrizione al punto prossimo. Lâ€&#x;uso della Lente Bifocale ha mostrato negli anni un rallentamento della progressione miopica molto significativo rispetto al solo utilizzo di una prescrizione monofocale negativa (Tabella 3). Ecco alcuni casi trattati: Tabella 3 Study

Age and

Number

Location

Time

Type and

(Yr)

power

Rate of myopia progression (D/yr)

Bifocal

Mandell

SV= 17.1

SV=116

Checked

(1959)

BF=14.3

BF=59

at least

Not Know

Not calculated

Twice Before 30 Miles

SV= 6-14

SV=103

(1962)

BF= 8-16

BF= 48

2

St. Louis

28mm flat top,

SV= -0.75

decentred for

BF= -0.35

slight base-in effect

64


Robert

Examined at

SV=396

Checked

Type unknow most

SV= -0.41

And

least twice

BF=85

at least

most adds +0.75 to

BF= -0.31

Banford

before 17;

twice

(1967)

New York

before 17

+2.00 D

State Oakley

SV=6-17

SV=275

And

BF=6-17

BF=269

Young

Oregon

3-4

Flat top with top at

a) Caucasian

pupil, +1.50 to

SV= -0.53

+2.00 D add.

BF= -0.02

(1975)

b) Native American SV=-0.38 BF=-0.10

Neetens

SV=8-9

SV=733

And

BF=8-9

BF=543

Evans

Hollande

9-10

Myopia up to 3D

SV= -0.45

total near-point

BF= -0.30

power equal to 0; Myopia ≼ 3D,

(1985)

+2.50 D add Goss

SV=6-15

SV=52

Checked

Type unknow

(1986)

BF=6-15

BF=60

four times

most adds +0.75

Illinois,

or more

Iowa and

from 6-15

Oklahoma

and +1.00 D

a) Ortho or Exo SV= -0.44 BF= -0.45 Not Significant b) Eso

SV= Single vision lenses (Monofocale) BF= Bifocal lenses ( Lente Bifocale)

SV= -0.54 BF= -0.32

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Basandosi sulla concetto di sinergia tra i due sottosistemi visivi, ci sono due plausibili ipotesi che spiegano come le lenti bifocali ridurrebbero la progressione miopica. Durante il lavoro prossimale riducono l‟accomodazione da vicino e con essa anche le forze bio-meccaniche che indurrebbero l‟inizio della progressione. L‟altra ipotesi riguarda la stabilizzazione del lag accomodativo con conseguente formazione dell‟immagine dietro la retina e creazione di un defocus ipermetrope. Le lenti Bifocali mostrano come il fuoco dell‟immagine prossimale si trovi più precisamente sulla retina; condizione necessaria a porre il freno alla progressione. Quando non è possibile procedere alla prescrizione di lenti positive per vicino, una soluzione la si trova nelle lenti afocali; le quali permettono di diffondere meglio la luce all‟interno, dando un effetto simile alla lente di basso potere, con la differenza di essere accettate anche da soggetti che non presentano netti positivi per vicino. Con le lenti afocali si ottiene attraverso un potere neutro, un effetto simile al telescopio, grazie all‟ingrandimento ottenuto dalla variazione della superficie frontale (da +6.00 a +9.00 D) e dall‟aumento dello spessore centrale (da 2 a 4 mm). Generalmente vengono colorate con tinte leggere per migliorare il contrasto, oppure è possibile l‟impiego di materiali fotocromatici. Il calcolo percentuale d‟ingrandimento introdotto da una lente afocale è rappresentato dalla formula: 2/3 ∙ 9.00 ∙ 4 I= 10

dove I = ingrandimento; 9.00 rappresenta la curva base in D e 4 lo spessore in mm. Da cui I = 2.4%. Ogni diottria di potere positivo aggiunto a una qualsiasi lente, senza modificarne lo spessore centrale né la curva base, determina circa il 2 % di cambiamento nell‟ingrandimento totale mentre per quanto concerne l‟intensità luminosa, essa si riduce di un valore pari a circa il 2% a ogni 1% di aumento nella dimensione delle immagini percepite, favorendo così le parti periferiche della retina con un

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illuminamento più uniformemente distribuito. Dove si desideri ottenere un ingrandimento superiore al 2.4 % pur mantenendo neutro il potere delle lenti, si dovrà ricorrere a ulteriori aumenti della curvatura di base e dello spessore, tenendo sempre in considerazione gli inevitabili effetti distorsivi che vengono prodotti.

4.5 Trattamento d’arresto

Appena la miopia raggiunge il valore di -1.75 si deve ricorrere alle lenti a contatto essendo il sistema più efficace per il controllo della progressione miopica. Seppur non pienamente inconfutabile come ricerca, recenti studi di 3 anni, da parte del The Contact Lens and Myopia Progression Study28, hanno attribuito alle Rigide gas permeabili (RGP) maggior azione frenante rispetto alle lenti morbide. I risultati mostravano su un campione di 160 bambini una sostanziale differenza: il gruppo che aveva utilizzato le RGP aveva avuto una progressione miopica pari a -1.56 ± 0.95 D rispetto al gruppo che indossava lenti a contatto morbide che mostrava una progressione di -2.19 ± 0.89 D. Il rallentamento più significativo della progressione nel gruppo RPG era avvenuta entro il primo anno e inoltre la curvatura corneale si è accentuata significativamente meno nel gruppo RPG (0.62 ± 0.60 D) rispetto al gruppo che indossava le lenti morbide (0.88 ± 0.57D). La lente a contatto allunga caratteristicamente il Revip fornendo principalmente un‟immagine centrale più grande e secondariamente, l‟appoggio della totalità di campi periferici alla binocularità. Quest‟allungamento riduce la carica fisiologica della performance visiva. Poggiando direttamente sopra l‟occhio, riduce meno il diametro apparente degli oggetti; cosa che non è ottenibile con la formula ottica degli occhiali nel ristabilire l‟acutezza visiva (centrale). La lente a contatto permette il libero movimento degli occhi perché elimina la divisione periferica e le aberrazioni periferiche prodotte dagli occhiali, ristabilisce un campo visivo di 180°, oltre ad allinearsi automaticamente 28

Jane Gwiazda, Treatment Options for Myopia, Optometry and Vision Science, Vol.86, No.6 June 2009

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in funzione della visione centrale (si muovono con gli occhi), facilitando le escursioni oculo-motorie. Aspetto molto importante è l‟esercitazione di un effetto di restaurazione della morfologia oculare (corneale e assiale). Quest‟effetto si verifica in seguito a una leggera azione di “massaggio-tensione” in un movimento tanto verticale che rotativo delle lenti per effetto dei movimenti palpebrali. È probabile che questo effetto cinetico e tensionale sottile diminuisce leggermente la tensione intra-oculare spingendo nei canali deferenti una piccola parte del liquido della camera anteriore. Effetto telescopico29 Nei casi ribelli di progressione miopica Armand Bastien proponeva un sistema molto potente: l’effetto telescopico. Consiste nel porre una lente a contatto più negativa di 3 dt. Rispetto alla correzione reale del paziente, con un occhiale bifocale che per lontano pareggi le 3 dt e per vicino abbia un‟addizione positiva per lettura. Si ottiene così un ingrandimento notevole dell‟immagine e un allontanamento.

4.6 Il Trattamento di regressione – Ortokeratologia

L‟Ortokeratologia si impiega in casi particolari al fine di raggiungere uno scopo preciso e ottenere in tempi rapidi un processo d‟arresto (durata da 6 ai 12 mesi). Le lenti utilizzate sono tetracurve (figura 7), a quattro curve e pentacurve. La lac tetracurva ha una curva base, per l‟appoggio centrale, con ampiezza di circa 6mm; segue una curva secondaria o curva inversa (riverse zone) più chiusa (raggio di curvatura più corto) della curva base.

29

Salvatore Dattola, Significato di lenti e prismi in Optometria Comportamentale, pp.37, op.cit.

68


Figura 7

Esempio di Lente Tetracurva

Quest‟ultima curva funziona da ancoraggio e consente di adattare una lac con un raggio base più piatto del meridiano corneale più piatto. Tale zona ha la funzione di allineare il profilo della lente a contatto alla cornea costringendola in tal modo a centrarsi. La Zona di allineamento seguita da una curva asferica più piatta che si estende sino al bordo terminale, consente il ricambio lacrimale e l‟espulsione di bolle d‟aria e detriti. Le nuove geometrie per ortokeratologia hanno consentito di ottenere il processo di rimodellazione alquanto velocemente. Questa forma accelerata di ortokeratologia produce una modifica già durante la prima notte, con il resto che si completa abitualmente entro i 30 giorni dall‟inizio del trattamento. Alcuni ritengono che le lenti a contatto rigide riescono a curvare la cornea, rimodellandola e di conseguenza a ridurre la miopia; altri studi sembrano indicare invece che le modifiche alla forma della cornea nell‟ortokeratologia siano temporanee, dimostrando come la cornea sia elastica e abbia una “memoria”. Ciò è stato confrontato con un cambiamento “plastico” (quello in cui la cornea rimane permanentemente modellata in una forma differente dall‟uso di una lente rigida). I risultati di questi studi dimostrano che, qualsiasi sia il meccanismo d‟azione, i cambiamenti della forma della cornea e la conseguente riduzione della miopia sono temporanei e sono ritornati al punto di partenza nel momento in cui le lenti sono state smesse di utilizzare. Il quesito che rimaneva irrisolto era se ciò fosse dovuto alla curvatura della superficie della cornea o ad altro meccanismo d‟azione. Alcuni recenti studi sembrano dimostrare che l‟applicazione delle lenti a contatto gas permeabili che

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usano una geometria inversa, ridistribuisca il tessuto corneale piuttosto che cambiare l‟errore rifrattivo attraverso una curvatura della cornea. L‟ipotesi è che un sottile strato di film lacrimale viene a formarsi tra la superficie posteriore della lente per ortokeratologia e la zona centrale della cornea. La pressione idraulica esercitata da questa deposito di film lacrimale provoca una ridistribuzione delle cellule epiteliali sottostanti dal centro verso la periferia come si può notare (figura 8).

Figura 8

Migrazione epiteliale periferica

Gli studi hanno scoperto che: 1. le cellule dell‟epitelio corneale si sono ridistribuite, con dei livelli significativi, sulla superficie corneale, portando a un assottigliamento della cornea centrale; 2. si è riscontrato un contemporaneo ispessimento della media periferia della cornea, in particolare nello strato stremale. Questi cambiamenti avvengono senza alcuna modifica evidente della curvatura posteriore della cornea. Erano quindi le cellule epiteliali corneali a essere ridistribuite come risultato della pressione esercitata dal film lacrimale citata in precedenza. Queste “forze” del film lacrimale causano una compressione che provoca una ridistribuzione delle cellule epiteliali (anche probabilmente di alcune cellule dello stroma) verso la periferia della cornea; questa ridistribuzione produce una riduzione della profondità sagittale della cornea, che risulta in un accorciamento della lunghezza assiale dell‟occhio e in ultima analisi; questa riduzione della lunghezza assiale provoca l‟avvicinamento dell‟immagine a fuoco della retina (macula), riducendo o eliminando la necessità di una correzione miopica.

70


5. LA VISIONE NELL’EQUILIBRIO POSTURALE L‟occhio è il principale organo sensoriale afferente del Sistema Tonico Posturale (figura 9) e dal quale provengono la maggior parte delle informazioni esterocettive dirette al SNC; inoltre la vista costituisce la principale sorgente della sensazione cinestetica (HERMAN et al. 198530).

Figura 9

Sistema Tonico Posturale

L‟occhio è al tempo stesso organo esterocettivo, attraverso la funzione retinica (i recettori sensoriali sono i fotorecettori rappresentati dai coni e bastoncelli della retina, che inviano all'encefalo informazioni sull'ambiente esterno) e organo propriocettivo legato sia all‟attività dei muscoli estrinseci oculari e sia alle vie che controllano i muscoli del collo, della spalla e dell‟occhio. Esiste una relazione bidirezionale tra funzione visiva e postura, infatti un‟alterazione della funzione visiva comporta una modifica della postura e viceversa. Visione e postura quindi sono due meccanismi all‟interno di un unico processo percettivo. La retina, visione periferica, invia al cervello informazioni derivanti da tutto l‟ambiente esterno, consentendo la stabilità posturale antero-posteriore; la fovea, visione centrale, analizza in maniera precisa l'oggetto del nostro interesse, fornendo la stabilità posturale laterale. L‟informazione sensoriale visiva è attiva quando l‟ambiente visivo è vicino; infatti se la mira visiva è distante 5 metri o più, le informazioni che provengono dal recettore visivo sono poco importanti da non venire prese in considerazione dal STP. 30

Vittorio Roncagli, Regolazione della postura e funzione visiva, convegno di Aggiornamento POSTURA Punta Marina Terme, 19-20 gennaio 2002, pp. 25

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Per fare in modo che il STP possa utilizzare le informazioni visive per il mantenimento dell‟equilibrio, è necessario che le informazioni visive siano comparate a quelle che provengono dal vestibolo e dai piedi. È stato dimostrato che la funzione visiva gioca un ruolo importante nel mantenimento dell‟equilibrio, nella deambulazione e nella coordinazione motoria. A livello neurologico questo è dovuto anche al fatto che il 20% delle fibre nervose provenienti dagli occhi, ossia quelle che provengono dalle parti laterali della retina e che informano sulla percezione dell‟ambiente, prima di arrivare alla corteccia visiva secondaria formano sinapsi con fibre provenienti da altre modalità sensoriali, in particolare di provenienza dall‟orecchio interno e dalla propriocezione. Così come se una postura scorretta viene mantenuta per periodi prolungati, si hanno effetti sulla coordinazione binoculare, il rendimento accomodativo diventa diverso tra i due occhi, avvengono variazioni dello stato forico e degradazione dell‟equilibrio del sistema visivo. A conferma di quanto detto si può fare riferimento a una ricerca effettuata da Harmon31 iniziata nel 1938 e terminata 10 anni dopo su un campione di 160.000 scolari. Si tratta di uno studio dedicato alla relazione fra l‟organismo in crescita e il suo ambiente di apprendimento, considerato come una distribuzione globale di energia radiante (luce, resistenza alla gravità, calore aerazione) alla quale deve adattarsi posturalmente e fisiologicamente per operare e cioè per imparare. Lo studio ha consentito di evidenziare l‟effetto nocivo delle tensioni indotte dall‟ambiente scolastico sulla postura (distorsioni dello scheletro), sulla visione (difetti di struttura oculare), sulla fisiologia generale (malnutrizione e altro), sulla resa scolastica. Questo ha permesso di identificare i principali agenti fisici di tensione. Mantenendo una postura in relazione con le linee di forza emananti dalla distribuzione dell‟energia radiante-ambiente, l‟organismo immaturo (lo scolaro) cresce in funzione di tali linee di forza e ne riproduce le tensioni nelle proprie strutture. Il fatto che l‟organismo in piena crescita debba confrontarsi alle tensioni fisiche dell‟ambiente, risulta in difetti (o deformazioni) dello scheletro, attitudinali o posturali, in difetti di struttura oculare (ametropie), in disturbi fisiologici e pedagogici. L‟esposizione prolungata alle tensioni indotte dell‟ambiente finisce per alterare le strutture più resistenti del corpo (deformazione dello scheletro e malocclusione; figura 10). 31

Armand R. Bastien, trad.it, il controllo della progressione miopica, pp.21, op.cit.

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I tessuti molli dipendono dai tessuti duri.

Figura 10

Variazione posturale conseguente alla malocclusione

Si vedono apparire degli astigmatismi all’ingrosso corrispondenti al posto in classe occupato dallo scolare. Le ricerche di Harmon hanno rilevato che dopo cinque anni di frequenza nelle scuole elementari di Austin, Texas; il 65% dei bambini manifestava un difetto di postura misurabile e l‟80% un difetto oculare misurabile. Prima delle scuole esisteva soltanto il 20% di difetti oculari misurabili. Il lavoro di Harmon dimostra che le restrizioni tendono a deformare l‟organismo, ma anche come una certa armonizzazione dell‟ambiente lavorativo potrebbe limitare le distorsioni strutturali confermando che postura ed equilibrio visivo vanno intesi come due aspetti inseparabili in quanto alterazioni posturali, che rappresentano l'adattamento effettuato dall'organismo, sono in qualche modo correlati con l'entità e l'eziologia dello squilibrio binoculare. In un lavoro Harmon si dimostra come la postura cambia sotto l‟effetto delle lenti positive (Figura 11), ma non solo, comincia a ridursi la tensione ai muscoli della schiena, scompaiono le oscillazioni di testa e collo; inoltre la pressione del sangue, il

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comportamento respiratorio e la reazione galvanica della pelle tendono a tornare normali.

Figura 11

Cambio tensionale indotto dalla correzione positiva

Altro attrezzo importante per la modifica comportamentale è rappresentato dalle lenti ambientali o prismi gemellati base down (figura 12), per il contributo al ripristino di una buona postura e per l‟azione frenante che svolgono nei confronti del comportamento eso -centrico. Kaplan ha dimostrato come l'utilizzo di lenti prismatiche, modificando la percezione spaziale, può modificare l'atteggiamento posturale non solo della testa, ma anche di tutto il corpo. Le tecniche di adattamento ai prismi, che inducono una trasformazione fissa nella sfera visivo-spaziale (ad esempio, spostamento o inclinazione di oggetti rispettivamente dalla posizione centrale o verticale), usate in numerose ricerche, indicano che in presenza di un disturbo visivo-spaziale si verifica un "riadattamento sensoriale", ovvero: Il SNC si organizza per interpretare il nuovo stato spaziale sulla base dello stato precedente (ad esempio, dopo l'adattamento prismatico, una stanza inclinata di 20 gradi è percepita come allineata verticalmente). Tale processo si osserva quando un soggetto viene esposto ai prismi che spostano (o inclinano) lateralmente gli oggetti nel suo campo visivo. In seguito a una esposizione continua e quindi all'induzione di un "riadattamento sensoriale", avviene la rotazione (o inclinazione) del capo verso gli oggetti ruotati (o inclinati). Il soggetto è comunque totalmente inconscio dell'ampiezza e direzione del movimento del capo, infatti

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interpreta la posizione del capo come "eretta" e "dritta in avanti" sebbene sia realmente spostato; pertanto, in presenza di un riadattamento sensoriale indotto da una percezione alterata visivo-spaziale, il SNC tende a ricalibrare i "segnali propriocettivi" provenienti dalla muscolatura assiale. La funzione visiva può essere educata e allenata. "Vedere" modifica ed è modificato dal continuo adattamento dell'organismo con l'ambiente. L'interazione individuo-ambiente è un continuo processo alla ricerca di un equilibrio, continuamente messo in discussione da fenomeni interni ed esterni che agiscono quali fattori stressanti.

Figura 12

POSTURA ABITUALE SENZA PRISMI

E

CON PRISMI A BASE BASSA

Nel caso dei prismi base down, gli occhi e lo spazio si muovono verso l‟alto e questo cambiamento di prospettiva provoca un effetto simile a quello visto con le lenti positive. Il mondo visuale appare allargato con un effetto simile alla risposta SILO (smaller in large out) e di conseguenza il bacino si inclina verso il basso, il peso del corpo poggia maggiormente sui talloni, si ha una variazione della postura e conseguentemente del tono muscolare.

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Migliorare i meccanismi posturali contribuisce a migliorare anche le funzioni dei muscoli oculomotori e viceversa, in quanto i muscoli oculomotori sono sostanzialmente muscoli scheletrici e rispondono quindi ai meccanismi che regolano la neurofisiologia dei muscoli posturali. Normalizzare i meccanismi posturali aiuta a normalizzare il controllo dei muscoli oculomotori in quanto lo scopo della relazione visione-postura è quello di assicurare un funzionamento binoculare perfetto, al fine di garantire una comprensione ottimale della percezione sensitiva.

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6. LE MODIFICHE NEURO-ANATOMICHE INDOTTE DAL VISUAL TRAINING

6.1 Il Campo d’azione del Visual Training

Il processo del Visual Training si basa sulla ripetizione di una serie di esercizi che svolgono azioni migliorative nei confronti delle capacità visive del paziente al fine di sviluppare una visione più efficace. Rappresenta in sostanza un processo di apprendimento di nuove abilità. Quando è proposta una batteria di esercizi di Visual Training, ci si basa su ricerche scientifiche nel campo dell‟apprendimento e della memoria. Per questo è importante studiare le basi delle due abilità, poiché ciò che impariamo determina in gran parte ciò che siamo. A questo punto è di vitale importanza capire e conoscere le basi fisiologiche che sostengono il Visual Training in modo da poter rispondere con sicurezza ad alcune domande basilari, quali: Dove stiamo lavorando, su che sistema? Perché possiamo lavorare su questo? Quando è il momento idoneo per cominciare il Visual Training? Si definisce il Visual Training come “L’Arte di migliorare le condizioni visive del paziente32’’ e ha come obiettivo quello di stabilire nuove relazioni tra lui e il suo mondo visuale, creare nuove connessioni a livello neurale e imparare a utilizzare nuovi processi che gli permetteranno di estrarre in modo più efficace una quantità maggiore di informazione visuale. Quando il sistema visuale lavora in modo efficiente può ricevere, analizzare e comprendere di più e meglio l‟informazione visiva. Tenendo conto che l‟80% delle informazioni ricevute ogni giorno dal cervello entrano attraverso il sistema visuale, si spiega la grande importanza che questo riveste nel comportamento umano e nel processo di apprendimento. 32

Ibrahimi D., le basi neurofisiologiche del Visual Training., in Neuroscienze.net, rivista telematica in www.Neuroscienze.net pp.2

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Il Visual Training Optometrico è uno strumento molto utile per risolvere tutta una serie di disfunzioni visive non migliorabili attraverso il solo impiego di compensazione ottica, sia essa ottenuta con occhiali o lenti a contatto. Più la domanda posta dal training corrisponde all‟attività visiva quotidiana dell‟individuo, maggiore sarà il transfer di ciò che è stato appreso. L‟esercitazione di un‟abilità nella sua totalità è più efficace che l‟esercitazione delle sue componenti isolate. Attraverso il Visual Training non devono essere migliorati nello specifico i dati analitici, ma il generale behavior visivo. Le procedure devono seguire un itinerario che preveda almeno: - Procedure di coordinazione motoria grossolana, equilibrio e postura; - Procedure di localizzazione; - Procedure di discriminazione spaziale per dimensione e distanza; - Procedure di fine destrezza motoria soprattutto nei bambini; - Procedure di visualizzazione per convertire stimoli kinestetici, tattili, uditivi e visivi in comportamenti motori e simbolici; - Procedure di lettura che permettano di trasformare gli stimoli simbolici in “azione”.

Il Training visivo ha le stesse funzioni della lente positiva: esso diviene un utensile, il più potente utensile disponibile, per il ripristino della plasticità visiva di una persona e per l‟inversione dei deterioramenti visivi. Lo scopo del training visivo è migliorare la qualità, la portata e il benessere del controllo visivo sul movimento, sulla fissazione, sulla messa a fuoco e sulla visione binoculare, che a loro volta, sono correlate alla qualità di attenzione e concentrazione. Lo sviluppo di queste capacità visive contribuisce a una identificazione accurata degli oggetti e degli eventi nello spazio/tempo e costituisce una parte inseparabile della base necessaria per un pensiero intelligente e flessibile.

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Esempi di procedure di training visivo optometrico (figura 13 - figura 14)

Figura 13

Palla di Mardsen

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Figura 54

Paziente alle prese con esercizi di fissazione

In particolare esistono varie aree di trattamento legate alle specifiche disfunzioni visive: disfunzioni accomodative, oculomotorie e fusionali, disturbi percettivi, ambliopie posturali, sindromi vertiginose visive, sindromi post-traumatiche (T.B.I.). Nel campo dello squilibrio muscolare e dello strabismo, inoltre, il training visivo spesso contribuisce a ripristinare una funzione visiva binoculare a un livello di efficienza decisamente superiore rispetto alle procedure chirurgiche che producono occhi retti ma caratterizzati da disfunzione funzionale. Secondo una ricerca del dott. Steven J. Cool, alcune condizioni biochimiche devono essere presenti perché si possa verificare una effettiva plasticità corticale e funzionale. La Via Visuale si compone di una successione di neuroni ed è esattamente qui che bisogna concentrarsi quando facciamo Visual Training. La plasticità neurale si basa sui cambi morfologici della sinapsi, più concretamente nella neoformazione, distruzione e ristrutturazione delle ramificazioni dei bottoni sinaptici e delle spine sinaptiche con i lori recettori. Questo processo è chiamato plasticità

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sinaptica. Negli anni „70 Bliss e Lomo33 scoprirono che stimolando i circuiti neurali dell‟ippocampo il numero delle connessioni sinaptiche aumentava nel tempo. È il cosiddetto fenomeno della plasticità a lungo termine o potenziale a lungo termine. Esiste però anche la possibilità di una depressione a lungo termine nel cervello. Esistono due concetti che giustificano la Plasticità a Lungo Termine: La Facilità Sinaptica: se si stimola rapidamente e ripetitivamente una terminazione presinaptica durante un tempo limitato senza arrivare all‟affaticamento della trasmissione sinaptica, il neurone risponderà meglio e più rapidamente ai nuovi impulsi che gli arriveranno; La Moltiplicazione Sinaptica: se si stimola ripetitivamente per vari giorni una terminazione presinaptica, durante un tempo limitato senza arrivare all‟affaticamento della trasmissione sinaptica, il neurone moltiplicherà i suoi terminali presinaptici (più bottoni e assoni) e postsinaptici (più spine sui dendriti), aumentando così la quantità di sinapsi che uniscono i neuroni. Questi due meccanismi facilitano rispettivamente la sommatoria temporale e spaziale degli impulsi nervosi che riceverà il neurone posteriore alla sinapsi facilitata, migliorando l‟intensità e la velocità della conduzione nervosa. I neuroni comunicano tra di loro attraverso la zona denominata sinapsi. Una tipica sinapsi chimica (figura 15) si forma dalla membrana presinaptica nel bottone sinaptico dell‟assone e la membrana postsinaptica in una delle spine dei dendriti. Esattamente qui, nelle sinapsi avvengono i cambiamenti creati grazie al Visual Training.

33

Ibrahimi D., le basi neurofisiologiche del Visual Training., pp.8, op.cit.

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Figura 15

Neurone con evidenziazione del collegamento sinaptico

I neurotrasmettitori che innescano questa biochimica e consentono alle connessioni sinaptiche di iniziare il movimento e la crescita in nuove direzioni, creano le condizioni per far si che il cambiamento, anche funzionale, si verifichi in seguito all‟apprendimento permettendo agli impulsi elettrici di viaggiare più velocemente. Il cervello è dotato di duttilità, ossia della capacità di cambiare e riconfigurare le connessioni in base a nuovi pensieri ed esperienze. La possibilità di modificazione delle connessioni neurali e di sviluppo di nuove vie è stata dimostrata dagli esperimenti di Avi Karni e Leslie Underleider dei National Institutes of Mental Health34.

34

Salvatore Dattola, Considerazioni sul Visual Training Optometrico, Il training visivo è il più potente utensile

disponibile per la restaurazione della plasticità visiva di una persona e per l’inversione dei deterioramenti visivi,

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Nel corso delle indagini, i due ricercatori assegnarono ai soggetti un semplice compito motorio, come tamburellare con le dita, e identificarono le aree cerebrali interessate con una tecnica di scansione: la risonanza magnetica. I volontari eseguirono il compito giornalmente per quattro settimane, divenendo sempre più svelti e abili. Alla fine del periodo, venne rieseguita la risonanza magnetica e si è constato che l‟area cerebrale coinvolta nell‟esecuzione del compito si era espansa, in quanto la ripetizione e la pratica regolare dell‟esercizio avevano indotto il “reclutamento” di nuovi neuroni e modificato le connessioni neurali originarie. Oggigiorno tale processo lo si riconosce con il termine di Neurogenesi Adulta: ovvero la capacità che ha il cervello di produrre nuove cellule nervose durante tutta la vita. In alcune zone del cervello come l‟ippocampo, zona fondamentale per l‟apprendimento, incaricata di ricevere e ordinare temporalmente e spazialmente le informazioni che in un futuro rimarranno in memoria, si generano nuovi neuroni in risposta agli stimoli provenienti dall‟esterno. Possiamo dire che il cervello non è una materia rigida, incapace di modificare la sua struttura una volta sviluppato, ma presenta una plasticità considerevole. È vero che la plasticità diminuisce con l‟età, però non si perde mai completamente, soprattutto se non si smette di stimolarla. Questo spiega perché una vita attiva fisicamente e intellettualmente diminuisce il rischio di degenerazioni cerebrali legate all‟età. Ogni volta che si propone il training è importante condurlo con procedure atte a creare una sorta di autoregolazione da parte del paziente, il quale basa l‟efficacia delle sue risposte motorie in funzione di un feedback, sia esso tattile, uditivo, propriocettivo kinestetico o visivo. In questo senso è importante poter impiegare metodologie e disposizioni in linea con l‟abitudine di apprendimento soggettiva. L‟enfasi fornita durante un esercizio specifico può cambiare radicalmente l‟apprendimento ottenibile da quell‟esercizio; inoltre più fattori si includono durante le procedure e più efficace risulterà il trattamento, con impatto più determinante a seconda delle soggettive abilità visive. Non a caso durante un esercizio di inseguimento visivo potrebbe essere inserita una richiesta accomodativa, una antisoppressiva, una richiesta di equilibrio posturale e altro ancora. F.COVD Fellow del college ofoptometrists in Vision Development,St. Luis, MO, USA, in P.O. Professional Optometry® Aprile 2008, pp. 124

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Gli esercizi vanno personalizzati sul singolo paziente in quanto ogni persona presenta una “personalità visiva unica” e necessita di una programmazione specifica: sta al professionista saper riconoscere la direzione da imprimere al trattamento. Nel decidere se ammettere o meno un paziente a un programma di Trattamento visivo, non si deve tenere conto dell‟età; ciò che conta è la motivazione: - Il Visual Training è finalizzato allo sviluppo e al potenziamento di una serie di abilità visive che porteranno il paziente a raggiungere il suo scopo. - Le procedure di Visual Training non sono il risultato della mera osservazione empirica, ma si fondano su un modello evolutivo della visione. Ogni tecnica: a) Fornisce al paziente un problema da risolvere ed è più efficace se esiste un solo percorso per giungere alla soluzione, perché in tal caso garantisce migliore apprendimento; b) deve rappresentare uno stadio verso le procedure successive; c) deve portare sia l‟optometrista che il paziente a saper valutare l‟esecuzione della procedura. - Il trattamento non è una procedura meccanica, il lavoro non è svolto da uno strumento ma dal paziente che deve partecipare in modo attivo al programma, cosi come l‟optometrista.

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6.2 Riscontro neurologico

Figura 16

Rappresentazione grafica del Sistema Limbico

Richie Davidson35 ha dimostrato che i lobi prefrontali e il sistema limbico ci permettono di mescolare pensiero e sensazioni, cognizione ed emozione. Il lobo parietale svolge un suo ruolo nelle rappresentazioni mentali quando creiamo qualche immagine mentale; all‟interno di esso esiste una zona chiamata circonvoluzione angolare nella cui zona i sensi si incontrano. Studi classici hanno dimostrato l‟importanza dell‟amigdala e dell‟ippocampo per l‟apprendimento e la memoria. L‟amigdala è cruciale per certi tipi di emozione negativa, in particolare la paura, mentre l‟ippocampo svolge un ruolo essenziale per la comprensione del contesto degli eventi. Alcune patologie emotive implicano disfunzioni dell‟ippocampo, in particolare la depressione e i disturbi da stress post-traumatico, scoprendo che in questi casi l‟ippocampo si restringe. Ciò misurabile oggettivamente. 35

Salvatore Dattola, Considerazioni sul Visual Training Optometrico, pp. 128, op.cit.

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Il lobo frontale del cervello, in rapporto alle dimensioni del resto della massa encefalica degli esseri umani, è più grande che nelle altre specie. La parte più frontale del lobo frontale svolge un ruolo importante in certi tipi di cognizione. I lobi frontali sono importanti per certi aspetti specifici dell‟intelligenza umana, sia cognitiva che emotiva, come altre zone del cervello legate alle emozioni positive che sono in rapporto con la capacità di ragionare. I lobi frontali insieme all’amigdala e all’ippocampo, hanno collegamenti con il sistema immunitario, con il sistema endocrino (ormonale) e con il sistema autonomo che regola il battito cardiaco e la pressione sanguigna. Ciò indica come la mente può influenzare il corpo. Nei primi anni di vita l‟ambiente ha molte possibilità di modellare il cervello; così come un‟esperienza ripetuta. Quando si sposta l‟attenzione all‟interno del campo visivo, pur tenendo gli occhi immobili, è un evento puramente mentale a coordinare l‟attenzione visiva spaziale. La capacità di rivolgersi selettivamente a certi attributi specifici del campo visivo senza muovere gli occhi mette in gioco parti del lobo frontale e della corteccia parietale. Se gli occhi sono aperti ma l‟attenzione è passiva, vi è una disattivazione dei meccanismi di controllo del lobo frontale che selezionano l‟attenzione, mentre i sistemi sensoriali deputati alla visione restano ancora attivi. Certi tipi di emozioni positive sono collegate all‟attivazione del lobo frontale sinistro del cervello; si tratta di una zona attivata anche da alcune forme di ragionamento; mentre in certi tipi di emozioni negative (atti antisociali, impulsivi, violenze) l‟attivazione dei lobi frontali è ridotta. Diverse ricerche americane hanno evidenziato come disfunzioni visive, in particolare oculomotorie, accomodative e binoculari siano spesso associate ai soggetti violenti, soprattutto in età giovanile. È evidente un‟atrofia, un lobo frontale più piccolo in quegli individui che hanno una tendenza a non pensare prima di agire. Strutture come l‟amigdala sono in collegamento con la corteccia frontale; un ragionamento molto presente attiva la corteccia frontale e inibisce l‟amigdala. Questi aspetti descritti ci comunicano come molti aspetti cognitivi del Visual Training possono indurre benefici non solo visivi, ma anche sociali.

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Molti autori sottolineano come le persone in trattamento spesso migliorino anche in aree non prettamente visive, come nel caso di un‟attivazione dei lobi frontali che inibisce l‟amigdala. La rieducazione visiva quindi, attraverso una certa attenzione e cognizione in atto, può recitare un ruolo importante anche a livello emozionale. Secondo Joseph Trachtman36 i soggetti che hanno appreso a sovra-accomodare nella visione da vicino, con prevalenza del SNP, inibiscono la stimolazione simpatico mimetica dell‟amigdala e dell‟ippocampo, due noti centri dell‟apprendimento e della memoria. Insegnando a questi soggetti ad accomodare in modo corretto, non solo l‟immagine ottica risulterà più chiara, ma anche il processo informativo sarà più efficiente. Questo tipo di apprendimento è detto “non cognitivo”, ovvero appreso meccanicamente nel “farlo” alla stessa stregua dell‟imparare a nuotare o dell‟andare in bicicletta; apprendimenti questi non spiegabili teoricamente.

36

Salvatore Dattola, Considerazioni sul Visual Training Optometrico, pp. 130, op.cit.

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CONCLUSIONI

Il coinvolgimento di una serie di variabili comportamentali dettate dalle leggi della fisiologia e dell‟endocrinologia, riscontrabili per esempio nell‟attivazione di aeree del lobo frontale, sminuisce l‟ormai obsoleto concetto del raggiungimento dei 10/10 come situazione ideale per affrontare i compiti in un ambiente che si è modificato così in fretta nell‟ultimo centenario e che ha visto come protagonista, questa volta come elemento preponderante, il passaggio verso una società moderna che ha fatto della lotta all‟analfabetizzazione una delle sue ragioni d‟essere. I profondi mutamenti nell‟economia, per esempio quella italiana, hanno mutato sostanzialmente le mansioni da cui si produce ricchezza per un paese: negli anni Trenta per la prima volta l‟agricoltura perse il primato nella formazione del reddito nazionale e ne conseguì una rapida urbanizzazione. In alcuni anni gli spostamenti verso la città dalle zone agricole e montane superarono il milione e ciò favorì l‟aumento della scolarizzazione. Proprio questa drasticità ha favorito l‟insorgenza di problemi di adattamento funzionale che prima erano praticamente assenti o abbastanza rari per farne una casistica. Come già detto, miopia oppure problemi accomodativi, insufficienze di convergenze sono solo modifiche adattive significative per far fronte a una mansione cognitiva a distanza prossimale mal tollerata. Come ricorda Neisser37 (primo psicologo a proporre il temine Cognitivismo nella sua opera, Cognitive Psycology, nel 1967): la modalità di funzionamento cognitivo non è mai statica perché ogni individuo agisce secondo il modo con il quale egli comprende il suo ambiente. Approcciarsi in un ambiente in cui scansione spaziale ridotta e minuziosa, in cui percezione prettamente simbolica e riduzione delle capacità motorie vengono imposte dall‟obbligo scolastico, determinano di conseguenza una variazione comportamentale che può tradursi in uno stile exocentrico o esocentrico, come prodotto funzionalmente manifesto di diversi stili di information-processing.

Le sequenze psico-motorie di

Bastien, per esempio, vanno a proporsi come metodo per perfezionare l‟apprendimento basilare dello spazio, fino al suo completo padroneggiamento, affinché il cervello, 37

Renato Pocaterra e Stefania Pozzi, Percezione visiva: oltre l’approccio classico, pp.65, op.cit.

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tramite la visione, lo possa proiettare in modo significativo sui punti dove si trovano gli oggetti e gli avvenimenti che gli vengono trasmessi dalla luce. Il “vantaggio miopico” rappresenta una condizione sfavorevole per molti versi e favorevole per altri su cui si può e si deve intervenire per evitare conseguenze di irreversibilità. Essa però non rappresenta l‟unica strada percorribile che potrebbe essere imboccata da tutti. Il calo deficitario può presentarsi in altra veste con modifiche di performance e conseguente insuccesso professionale. In questa tesi si è citato il caso della bambina dislessica che prima di una rieducazione visuo-psico-motorio leggeva e scriveva male e che presentava un serio problema di apprendimento scolastico con risultati per nulla soddisfacenti. Una ricerca condotta da Daniel38 (2006) ha riscontrato nei ragazzi quindicenni con difficoltà di lettura tendenze suicidarie tre volte superiore a quella dei compagni di classe; oppure la ricerca fatta da Brier39 (1989) il quale riportava i dati raccolti da enti pubblici nord-americani per cui il 36% di giovani incarcerati presentavano disturbi di apprendimento, anche se questi dati possono essere falsati da altri fattori concomitanti come svantaggio socioculturale, famiglie disagiate ecc… L‟intreccio dell‟Optometria comportamentale con altre discipline appare ormai evidente. Dal ruolo sociale come in questo caso, alla posturologia, la ricerca di soluzioni va al di là della semplice visita preposta a prescrivere una correzione permanente. Della modifica comportamentale, l‟optometria ne fa dunque il suo modus operandi. Le variazioni sinaptiche, il miglioramento delle condizioni accomodative con conseguente riattivazione delle funzioni sopite, svolte da amigdala e ippocampo, per quanto riguarda l‟aspetto microscopico, la rieducazione di una progressione miopica con cambi indotti sulla postura e sulla distanza lavorativa, per quanto riguarda l‟aspetto macroscopico, diventano vere e proprie procedure di apprendimento e di consolidamento plastico del nuovo schema visuo-motorio.

38

Cornoldi C., varietà di disturbi specifici di apprendimento; Pegaso Università telematica, D.M 20/04/2006 G.U n°118 del 23/05/2006 pp.13 39 Cornoldi C., varietà di disturbi specifici di apprendimento, pp.14, op.cit.

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Considerare tutti i campi d‟azione, le modifiche auspicabili, non preoccupandosi solo di ottenere la nitidezza dell'immagine sulla retina, rappresenta la base sulla quale costruire un'opportuna e approfondita analisi indirizzata a determinare la performance visiva di un individuo e definire il suo rendimento in funzione della sua attività principale; ma soprattutto serve a rendere ancora più marcata la differenza tra una Optometria Classica ormai antica che non tiene conto di nulla se non dell‟errore refrattivo in sé e una Optometria moderna che tiene conto della dinamicità dei processi adattivi, della variabilità della genetica, del comportamento e dell‟ambiente, divenendo per lo più, il metodo più giusto per analizzare le influenze che la visione subisce e le influenze che la visione genera.

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