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Oggi scrivo io – Alessandro Fabbri: “Lo sport come mezzo diplomatico”
from FCS News Februar
Oggi scrivo io…
Alessandro Fabbri in campo
Oggi scrivo io… DI ALESSANDRO FABBRI
LO SPORT COME MEZZO DIPLOMATICO
Sono sempre rimasto affascinato dal potenziale dello sport, dalla sua immensa capacità di creare passione e sentimenti profondi. Un aspetto forse meno conosciuto è che lo sport, grazie alla sua valenza simbolica che travalica le barriere nazionali può anche diventare uno strumento di diplomazia internazionale laddove la politica fatica a creare relazioni amichevoli tra Stati. È successo molte volte nella storia moderna che, in coincidenza con eventi sportivi di grande rilevanza, le dispute fra nazioni lasciassero il posto alla competizione amichevole e pacifica tra atleti di tutto il mondo, in pieno rispetto di quello che fu lo spirito con il quale vennero concepite le prime Olimpiadi nell’antichità, quando si dichiarava una tregua fra le città-stato dell’antica Grecia per poter alleviare il malcontento tra i popoli attraverso delle gare amichevoli.
L’esempio della Ping-Pong Diplomacy segna la nascita della diplomazia sportiva. In piena Guerra Fredda, una partita di Ping Pong è stata fondamentale per creare un’apertura e instaurare una relazione tra Cina e Stati Uniti. Gli atleti di Tennis da Tavolo americani furono invitati nella Cina comunista per prendere parte al campionato mondiale di Ping Pong e lo stesso presidente americano Nixon fu invitato ad assistere. Entrambe le superpotenze stavano cercando un modo per allentare la tensione e risollevare i rapporti e trovarono nello sport un campo neutro e comune dal quale cominciare. Persino Forrest Gump cita questo avvenimento (romanzato) nel raccontare la sua storia e quella degli Stati Uniti.
Questo non fu un esempio isolato: nel febbraio del 2018, la Corea del Nord ha acconsentito a un’unione con la sorella del Sud in nome dello sport. Durante i giochi invernali di PyeonChang, la Corea ha sfilato sotto un’unica bandiera nonostante le continue tensioni politiche tra i due Paesi.
Purtroppo, nel corso della storia, non sono mancati episodi che, al contrario, hanno leso l’immagine dello sport attraverso l’intromissione di aspetti legati a controversie socio-politiche fra Stati, come l’uso strumentale della nazionale italiana di calcio da parte di Mussolini, con tanto di divisa nera e saluto romano, per acquisire prestigio internazionale, o l’utilizzo da parte di Hitler delle Olimpiadi di Berlino del 1936 per confermare la superiorità della razza ariana (tesi peraltro confutata dalle leggendarie 4 medaglie d’oro del velocista afroamericano Jesse Owens). Addirittura una partita di qualificazioni mondiali di calcio tra Salvador e Honduras, nel 1969, fu la goccia che fece traboccare il vaso di precedenti tensioni e diede vita ad una guerra lampo molto sanguinosa che fu ribattezzata, appunto, Guerra del Football.
Questi e altri esempi storici hanno da sempre catturato la mia attenzione, in quanto lo sport non è solo un’attività fisica, ma porta con sé valori e simboli che creano identità e orgoglio, permette a singoli individui e squadre nazionali di portare prestigio al proprio Stato nell’ambito delle competizioni internazionali e consente a Stati che non hanno ancora una chiara identità di creare uno spirito patriottico grazie ad una bandiera e un inno che risuona alle Olimpiadi (famoso e inquietante l’esempio dell’ampio uso di doping da parte di Stati satelliti dell’URSS che durante la Guerra Fredda hanno usato i propri atleti come armi diplomatiche per vincere ori e medaglie e guadagnare riconoscimento internazionale). D’altronde è famosa la frase di George Orwell, secondo cui „lo sport è una guerra senza gli spari“.