NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI – MILANO DIPLOMA ACCADEMICO DI 1°LIVELLO DEL CORSO DI : Graphic Design and Art Direction
Grafica
in scatola. Progettare l’immagine di un gioco ispirato alla storia di Iqbal Masih.
DOCENTE REFERENTE TESI: Patrizia Melli STUDENTE: Valentina Bazzacchi 1405C A.A. 2008/2009
a Maia
INDICE Introduzione
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Iqbal
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Il lavoro minorile
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Il Pakistan
11
Il libro su Iqbal
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Fonti
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Studio per una promozione etica del film 16 Il gioco
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Il mio progetto
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I simboli
26
Le carte
32
La plancia
39
La scatola
46
Ringraziamenti
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INTRODUZIONE Il progetto da cui, e di cui, è parte la presente tesi è quello del gioco in scatola, creato dai colleghi studenti del master in Action Marketing della NABA, che ha la finalità di promuovere il lungometraggio di animazione intitolato “Storia di un bambino che non aveva paura” (tutt’ora in fase di lavorazione, prodotto dalla casa di produzione Gertie di Franco Serra con la regia di M. Fuzellier) sulla vita di Iqbal Masih, un bambino pakistano vittima dello sfruttamento schiavistico del lavoro minorile in una tipica fabbrica di tappeti del Pakistan.
8 | INTRODUZIONE
Iqbal Iqbal Masih nasce in Pakistan, a Muridke, nel 1982. La sua vita è simile a quella di milioni di bambini asiatici: infanzia negata, lavoro e sfruttamento. Inizia a lavorare quando è ancora molto piccolo: annoda tappeti in una fabbrica per pagare un debito di dodici dollari, contratto dal padre per sostenere le spese del matrimonio della sorella di Iqbal. Ha cinque anni. Iqbal lavora incatenato ad un telaio per dodici ore al giorno; quando non rende come ci si aspetta da lui, o quando più semplicemente, cerca di “ribellarsi” viene intimorito e picchiato dai “caporali” al soldo del suo padrone. Perché non di lavoro si tratta, ma di schiavitù: gli interessi sul debito paterno sono, ovviamente, usurai e non possono non essere pagati. Formalmente, la retribuzione di Iqbal è infatti di una rupia al giorno, 3 centesimi di euro al cambio attuale. Il confronto matematico con il debito di dodici dollari è esemplificativo: la famiglia ha dato la vita (sotto forma di lavoro) del piccolo Iqbal in cambio di quelli che, nei Paesi in cui si vendono i tappeti prodotti in Pakistan, sono solo pochi spiccioli. A causa del duro lavoro e dell’insufficienza di cibo e riposo, Iqbal non cresce correttamente: a dieci anni ha il volto scavato e le mani (piccole, e non a caso, “perfette” per il tipo di lavoro che fa) sono già distrutte; a dodici anni, poco prima di essere assasinato, aveva il corpo di un bambino di sei anni e viso di un uomo adulto. Iqbal cerca di fuggire, molte volte. Ma viene sempre catturato e ricondotto alla fabbrica, anche quando tenta di chiedere aiuto alla polizia. Il direttore lo punisce ogni volta, buttandolo in una specie di pozzo nero quasi senza aria che Iqbal chiama "la tomba”. Fino ad un giorno del 1992, in cui il bambino riesce ad uscire di nascosto dalla fabbrica-prigione e ad assistere insieme ad altri compagni di lavoro a una manifestazione del Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (BLLF). Durante la manifestazione Iqbal prende l’iniziativa che cambierà la sua vita: decide di raccontare la sua storia e la condizione di assoluta inumanità in cui sono costretti gli altri bambini nella fabbrica di tappeti in cui è sfruttato fino alla distruzione. Inizia a questo punto una nuova vita: gli avvocati del sindacato lo aiutano a liberarsi dalla schiavitù; incontra Eshal Ullah Kahn, leader del Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato, che lo aiuta e lo indirizza allo studio e all'attività in difesa dei diritti dei bambini. Dal 1993 comincia a viaggiare e a tenere conferenze.
INTRODUZIONE | 9
A partire dal 1993, dunque, Iqbal comincia a tenere una serie di conferenze internazionali, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sul problema drammatico dei diritti negati ai bambini nel suo Paese, e contribuendo sia al dibattito sulla schiavitù che sui diritti negati all’infanzia in tutto il mondo. A Stoccolma, nel 1994 (vogliamo sottolineare che Iqbal ha soltanto unidici anni di età) parla ad una conferenza internazionale sul lavoro e pronuncia una frase semplice, ma rimasta storica ed emblematica: “Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”. A soli 12 anni, poi, dieci anni prima che in Occidente temi quali “Globalizzazione” e sfruttamento del lavoro minorile nei (cosiddetti) Paesi in via di sviluppo siano temi sulla bocca di tutti, il piccolo sindacalista pakistano è così diventato un simbolo planetario della lotta allo sfruttamento del lavoro minorile e della ribellione nei confronti dell’infanzia negata nel Terzo mondo. Nel dicembre del 1994 ottiene un premio di 15 mila dollari, offerto per mezzo di una sponsorizzazione dal marchio di abbigliamento sportivo Reebok. Con quel denaro Iqbal avrebbe voluto finanziare una scuola nel suo Paese. Iqbal riceve poi anche una borsa di studio negli Stati Uniti, dall'Università Brandeis di Waltham, ma rifiuta: ha deciso di non pensare solo a se stesso, non “scappa”. Sceglie invece di restare in Pakistan, per cercare di aiutare le migliaia di bambini pakistani che ancora soffrono la schiavitù dalla quale lui ha avuto non solo il coraggio, ma anche la fortuna, di liberarsi solo pochi anni prima. Rimane, dunque, e continua nel suo nuovo lavoro di giovanissimo sindacalista, nonostante le quotidiane minacce dei fabbricanti di tappeti, che lo temono, sia per l’esempio di ribellione e libertà che incarna che (data l’alta visibilità che si è guadagnato sul piano internazionale), sia per quello che potrebbe fare concretamente in futuro. Nel gennaio del 1995 Iqbal partecipa inoltre ad una conferenza contro la schiavitù minorile a Lahore, sempre in Pakistan. Grazie a lui, circa tremila bambini-schiavi vengono liberati dall’inferno in cui vivono: costretto da una forte pressione internazionale, il governo pakistano deve chiudere decine di fabbriche di tappeti che impiegano migliaia di piccoli schiavi.
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La fine per Iqbal arriva, tragicamente, quando non ha ancora compiuto tredici anni. Il 16 aprile del 1995, il giorno di Pasqua, Iqbal Masih venne assassinato mentre gioca in bicicletta davanti a casa sua, nella zona di Chapa Kana, vicino a Lahore. Il processo che vede imputati gli esecutori materiali dell'omicidio non chiarisce del tutto i termini della vicenda. Quello che appare comunque certo, è che il suo assassinio sia opera di sicari della locale "mafia dei tappeti". La polizia pakistana, molto spesso accusata di essere collusa con questa organizzazione criminale, scrive infatti nella sua relazione che «l'assassinio deriva da una discussione tra un contadino ed Iqbal». La sua morte ha così una forte eco in tutto il mondo. In Italia nel 1998 la regista Cinzia Torrini realizza il primo film su Iqbal Masih e lo intitola, appunto, “Iqbal”. Nel 2002, poi, lo scrittore Francesco D’Adamo prende ispirazione dalla vita dell’eroico bambino pakistano per scrivere il suo romanzo “Storia di Iqbal”, al quale è ispirato il lungometraggio di animazione della casa di produzione Gertie oggetto della promozione del gioco a cui la presente tesi vuole dare veste grafica.
Il lavoro minorile Sono più di duecentocinquanta milioni, secondo l'Unicef e le organizzazioni non governative, i bimbi lavoratori nel mondo. Di questi, centoventi milioni lavorano a tempo pieno, altri centotrenta svolgono attività dopo la scuola. L'età è compresa tra i cinque e i quindici anni. Il sessantuno per cento di loro vive in Asia. Secondo l’Organizzazione internazionale per il lavoro nella sola India, dove peraltro il lavoro minorile è vietato per legge, ci sono più di sessanta milioni di bambini lavoratori. Sono impiegati nel settore delle costruzioni, nel settore tessile, nell’industria del tabacco, nella produzione di manufatti e di fuochi d’artificio. Alcuni, come i piccoli impiegati nella produzione di braccialetti di vetro di Ferozabad, lavorano a contatto con acidi e sostanze chimiche. In Bangladesh, sono più di sei milioni i minori impiegati in attività pericolose o a rischio. In Nepal ogni anno almeno settemila bambine vengono avviate e costrette alla prostituzione, mentre i loro coetanei maschi vengono impiegati nella tessitura di tappeti o nella produzione di pallottole e nell’assemblaggio di armi.
INTRODUZIONE | 11
Il Pakistan Il lavoro forzato in Pakistan, definito più correttamente dagli osservatori internazionali come “lavoro sotto vincolo”, è un fenomeno storico in quella parte del mondo: è vecchio di molti secoli ed è la causa di quello che per milioni di persone (gran parte dei quali bambini) si può identificare senz’altro come uno stato di schiavitù. Ci sono vari tipi diversi di lavoro forzato (in Pakistan come in tutti i cosiddetti Paesi in via di sviluppo) e spesso si tratta di lavoro operaio, fornito quale restituzione di una somma di denaro ricevuta in prestito dagli usurai locali. In questi casi i prestiti, chiamati “peshgi”, vengono di proposito concessi a poveri lavoratori senza più mezzi di sussistenza, magari perché in ritardo con i tempi di produzione di un tappeto. Finché il debito (calcolato sulla base del numero di ore/lavoro considerate, in maniera del tutto unilaterale ed arbitraria, “improduttive”) non sarà completamente estinto, l’operaio rimarrà alla mercè del proprio “datore di lavoro”. Ovviamente la retribuzione del lavoratore è assolutamente irrisoria rispetto alla somma di capitale e interessi che costituiscono il debito. È quindi facile immaginare (in sistemi in cui le leggi sono regolarmente inadeguate e la corruzione delle autorità è la norma) con quanta velocità il debito cresca in maniera esponenziale, fino a rendere quello che in origine era (ed in apparenza è ancora) un operaio regolarmente salariato, uno schiavo a tutti gli effetti. Inoltre, in caso di morte o malattia debilitante del lavoratore/debitore, i debiti vengono trasmessi (ereditariamente ed automaticamente) a ai familiari. In questo modo la schiavitù si trasmette da una generazione all’altra: molte famiglie nascono già schiave (in ogni senso) di questo meccanismo perverso e non conoscono altro stato che quello della schiavitù (definitiva ed ineluttabile) nell’arco di tutta la loro esistenza. Non è tutto: molto spesso sono i bambini, cioè quelli che sono i più deboli e indifesi, a subirne le conseguenze più gravi di questo stato di cose. I bambini, infatti, spesso sono costretti al lavoro forzato per alleviare lo stato di gravissima indigenza e difficoltà economica delle proprie famiglie, le quali li cedono a datori di lavoro senza scrupoli nella speranza che, ovviamente, si tratti di una soluzione temporanea: l’unica soluzione per poter pagare debiti che la famiglia può avere contratto per i più svariati motivi (di norma per spese legate alla sussistenza: l’indebitamento di chi vive nel Terzo mondo non ha nulla a che vedere con i debiti, spesso “voluttuari” e sempre volontari a cui siamo abituati in Occidente).
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Ma, come abbiamo visto, si tratta di debiti a tasso di interesse molto più che “usuraio”: impossibili da saldare se non “in cambio” di una vita umana. Chi presta denaro in questi casi particolari, infatti, lo fa non nella normale prospettiva di rientrare della somma prestata e remunerata dagli interessi, ma con la precisa intenzione di “acquistare” il bambino per impiegarlo in fabbrica (proprio come nel caso, appunto, di Iqbal Masih). Apparentemente per un periodo limitato, di fatto a tempo indefinito, cioè a dire fintantoché in fabbrica sarà ritenuto utile il lavoro del piccolo. Il lavoro minorile “sotto vincolo” viene impiegato in tutte le principali attività lavorative locali, dato l’oggetto di questa tesi ci siamo concentrati industria del tappeto. Per le fabbriche di tappeti, nella fattispecie, fintantoché le mani del bambino saranno abbastanza piccole (e le forze sufficienti) da permettergli di rendere secondo la produttività oraria richiesta. Lo scopo del lavoro forzato Il numero di lavoratori “sotto vincolo”, e quindi schiavi, in Pakistan attualmente rimane imprecisato; stime approssimative (ovviamente non ufficiali) calcolano che circa 20 milioni di individui ne siano vittime (circa il 13% degli abitanti su di una popolazione totale circa di 149 milioni di individui). Quanto ai bambini, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organisation, ILO) parla di 3 milioni e 300 mila bambini tenuti in lavoro/schiavitù su di un totale di 40 milioni di bambini di età compresa fra i cinque e i quattordici anni. Come è facile intuire, si tratta di dati contestati dalle autorità pakistane, sebbene queste ultime, come rilevato dalla Commissione di Esperti per l’applicazione ed il Rispetto delle convenzioni dell’ILO, non abbiano mai presentato a confutazione né documenti né valutazioni proprie del fenomeno. Come già accennato, una grossa quota di questi lavoratori “sotto vincolo” è rappresentato da bambini. Recentemente, infatti, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha stimato il numero di bambini sfruttati in Pakistan nel numero di 3,3 milioni circa. In modo diverso il fenomeno era stato valutato da parte dell’UNICEF, che nel 1990 aveva stimato il numero di bambini coinvolti addirittura intorno agli 8 milioni. Secondo un rapporto del 1993 riportato da Anti-Slavery International e curato dal Centro per il Miglioramento delle Condizioni di lavoro e dell’Ambiente, nell’industria del tappeto, l’80% dei lavoratori era composto da bambini al di sotto dei 15 anni, mentre il 10% da piccoli addirittura al di sotto dei 10 anni di età.
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Le condizioni In generale, i numerosi rapporti ed articoli da parte di giornalisti, ispettori per la tutela dei diritti umani, sindacalisti e rappresentanti dell’ONU sul fenomeno del lavoro “sotto vincolo” in Pakistan, forniscono tutti il medesimo quadro: un numero elevatissimo di ore di lavoro (sette giorni su sette e 52 settimane all’anno); assoluta noncuranza degli standard di base in materia di salute e sicurezza sul lavoro; costante aumento dell’indebitamento da parte dei lavoratori; predominanza dello sfruttamento del lavoro minorile. Durante una missione investigativa di ispettori dell’ICFTU (International Confederation of Free Trade Unions) è stata ad esempio riscontrata la presenza di un bambino di appena 6 anni impiegato “sotto vincolo” già da un anno per 10 ore al giorno. Il suo debito nei confronti del datore di lavoro era cresciuto da 14 mila rupie (debito, fra l’altro, ereditato dai propri genitori) a 16 mila rupie. Nel 1991 un rapporto dell’ILO ha calcolato approssimativamente che met’ dei 50 mila minori impiegati nell-industria del tappeto non sopravvive oltre i dodici anni di vita, a causa della malnutrizione e delle malattie contratte sul luogo di lavoro. La legislazione pakistana sul lavoro “sotto vincolo” Il Pakistan ha ratificato due convenzioni internazionali, nel 1957 e nel 1960, per l’abolizione delle condizioni di schiavitù connesse al lavoro sotto vincolo. Ma anche dopo che queste convenzioni internazionali sono state tradotte in legge nazionale (nel marzo del 1992), secondo il quale il sistema di lavoro “sotto vincolo” veniva abolito ed ogni lavoratore liberato ed esentato dai propri obblighi dai propri datori di lavoro, un gran numero di rapporti indipendenti e testimonianze indicano che questa legge è stata sistematicamente violata, rimanendo di fatto lettera morta fino ad oggi.
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“Fino a quando di sarà nel mondo un bambino privato della sua infanzia nessuno potrà dire: Non mi riguarda”. storia di iqbal, F. D’Adamo
Il libro su Iqbal Il libro di Francesco D’Adamo (Storia di Iqbal, Le Monnier, 2002) rappresenta il primo evento “biografico” sulla vita di Iqbal ed è scritto per ragazzi a partire dai dodici anni di età. Racconta in modo sostanzialmente fedele la storia del bambino Pakistano. Il testo è scritto mediante la tecnica del narratore interno (Fatima, una delle bambine che lavorava nella stessa fabbrica di Iqbal), un modo per rendere descrizioni dettagliate e “vive”, “fotografiche” poiché rappresentano una soggettiva “obiettiva” della realtà raccontata. Il linguaggio del testo è semplice e informale, le frasi sono chiare e comprensibili, anche se spesso si leggono periodi più lunghi ed articolati. Nel testo compare inoltre a più riprese l’ormai “classico” aquilone, gioco semplice e spontaneo (tanto “povero” quanto genuino), da tempo elevato ad emblema della libertà dei bambini meno fortunati. Il libro di D’Adamo ha riscosso un grande successo di critica e pubblico ed ha avuto il grande merito di rilanciare la figura del coraggioso, ed incredibilmente “maturo”, bambino sindacalista che ha pagato con la vita la sua volontà di riscatto non proprio, ma di tutti i compagni di schiavitù che non ha abbandonato quando lui (ma solo a lui) era stata offerta la possibilità allettante di “diventare occidentale”.
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Fonti: Anti-Slavery International, This menace of bonded labour: Debt Bondage in Pakistan, 1996. Human Rights Watch/Asia, Contemporary forms of slavery in Pakistan, 1995. International Confederation of Free Trade Unions (ICFTU), European Trade Union Confederation (ETUC), International, Textile, Garment and Leather Workers’ Federation (ITGLWF) and European Trade Union Committee: Textiles, Clothing and Leather (ETUC: TCL), Pakistan: Forced Labour, 1995. International Labour Organization (ILO), Report of the Committee of Experts on the Application of Conventions and Recommendations, editions from 1988 to 1997, especially 1996 and 1997 editions. Official Journal of the European Communities, Council Regulation (EC) No. 3281/94 of 19 December 1994 applying a four-year scheme of generalized tariff preferences (1995 to 1998) in respect of certain industrial products originating in developing countries, 1994. (http://www.nexuscgil.org/pubblicazioni/carpe_diem/DB05.htm)
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Studio per una promozione etica del film Qui di seguito ho riportato lo studio condotto dagli studenti del master di Action Marketing e Patrizia Moschella (responsabile del progetto) con l’obiettivo di trovare il mezzo più idoneo alla promozione del lungometraggio animato ispirato alla storia di Iqbal e attualmente in produzione. Questo materiale mi è stato fornito da Patrizia Moschella e da Franco Serra (produttore del lungometraggio presso la Gertie) ed è stato un indispensabile punto di partenza per il mio progetto di tesi.
Missione Realizzazione di un piano di comunicazione adatto alla promozione del lungometraggio animato a forte contenuto etico intitolato “Storia di un bambino che non aveva paura”. Il cartone animato è indirizzato ad un pubblico di bambini e ragazzi adolescenti (incluse, ovviamente le relative famiglie) compreso tra i nove e i tredici anni.
Prima fase: la ricognizione Nella prima fase sono state individuate le cosiddette “tematiche di apprezzamento e di rigetto” relative alla storia di Iqbal, per poi studiare la forma di comunicazione più idonea alla promozione. La ricerca è stata effettuata da tre gruppi, adottando tecniche di ricognizione differenti a seconda dell’area di indagine: 1. Studio della figura dell’eroe, con interviste interattive attraverso il supporto di carte simboliche. Dalle interviste sono emerse due tipologie di eroe: gli adulti preferiscono personaggi realmente esistiti, portatori di ideali positivi e classici, mentre i più giovani si identificano con personaggi fantastici, accattivanti e ribelli. 2. Ricerca sugli elementi del libro che possono rendere il lungometraggio un prodotto di successo, attraverso interviste realizzate in contesti istituzionali e non, a ragazzi e ad un esperto. Questi elementi sono quelli che innescano un forte processo di identificazione su valori fondamentali quali la libertà, il coraggio e la ribellione. 3. Indagine per capire come un bambino e un adolescente di oggi avvertano e si relazionino a situazioni ed argomenti quali la ribellione, i diritti dell’infanzia, il rapporto con il potere e la libertà.
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Una prima fase di ricerca si è concentrata sui prodotti cinematografici ed editoriali di successo tra i ragazzi. Successivamente è stato individuato l’ambito scolastico come campo d’azione in cui interagire con i bambini, con due tipologie di immaginario differenti a seconda del target. Grazie a giochi di associazione d’immagine-parole per i più piccoli, e il completamento di una storia interrotta si è poi appurato che un film non deve sensibilizzare verso realtà arretrate ma piuttosto fornire concrete possibilità di ribellione e/o riscatto. Da un confronto dei risultati dei tre gruppi, si può affermare che non esistano particolari temi di rigetto, e che anzi le tematiche più delicate e apparentemente più difficili si rivelano oggetto di particolare interesse. È possibile affrontare quindi tutti i temi, anche drammatici, con un approccio che sia fortemente identificante, accattivante nella grafica e concreto. A questo proposito, questioni quali la morte, l’abbandono, la separazione dalla famiglia e il rapporto con il potere sono fondamentali e meritano un approfondimento. Il tema risultato però centrale è quello dell’aggregazione e dell’idea di solidarietà di gruppo. È importante perché si rivela lo strumento per la creazione di un pensiero critico e di azioni cooperative, finalizzate alla condivisione e al perseguimento di un obiettivo comune.
Seconda fase: la sintesi visiva L’intero gruppo ha progettato, quale strumento grafico per la razionalizzazione dei risultati ottenuti nella prima fase, un gioco in scatola sostitutivo dei gadget abituali. L’idea è risultata essere il migliore strumento di comunicazione dei temi di grande rilevanza (come sono quelli emersi) a dei bambini. Di conseguenza, gli argomenti attorno ai quali si svilupperà questo tipo di comunicazione sono da ricercare tra le caratteristiche chiave che qualificano il piccolo Iqbal e la sua storia: • Creatività • Ribellione • Indipendenza intellettuale • Sviluppo del senso critico • Lavoro di squadra
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Stabiliti questi punti fondamentali, sono state realizzate diverse ipotesi di gioco. Le caratteristiche principali da sviluppare per la realizzazione del prodotto sono: • Gioco da tavola • Struttura a percorso • Tappe/ostacoli: attività di diverso tipo, che richiedono l’impiego di capacità creative e conoscenze teorico-pratiche. • Gioco a squadre • Partenza = prigione • Meta finale = libertà • Binomio attività/tematiche della storia Per quanto riguarda poi l’architettura e l’organizzazione del gioco, il gruppo ha scelto di ispirarsi al tema circolare dei Mandàla. La plancia avrà quindi una forma circolare, organizzata su più livelli, che con un movimento rotatorio, rivoluzioneranno l’andamento del gioco e le sorti dei partecipanti. Le squadre si troveranno in questo modo ad affrontare prove che svilupperanno le capacità di ognuno e che, al tempo stesso, si baseranno sullo spirito di gruppo.
Il gioco Io Possiamo (così era stato chiamato in origine) è un gioco a squadre nel quale vengono esaltate la creatività e l’ingegno, l’abilità e lo spirito di gruppo di ogni giocatore. É un gioco avvincente e stimolante, che sprona all’unione proattiva e in cui vince la squadra più affiatata. Le competenze di ciascuno dei giocatori/compagni, infatti, sono indispensabili per aiutare la squadra a superare gli ostacoli del percorso. KIT DI GIOCO • Una plancia a cinque corone • Un tabellone • Venti carte “MISSIONE” • Cinquanta carte “CREATIVITÀ” • Cinquanta carte “CONOSCENZA” • Cinquanta carte “INGEGNO” • Cinquanta carte “AMICI” • Cinquanta carte “IMPREVISTI” • Quattro pedine “EROE”
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• Quattro pedine “AMICI” • Due dadi: lancio => movimento corona KIT DI ATTIVITÀ • Quattro matite • Una forbice arrotondata • Un blocco di carta riciclata • Una benda scura • Una confezione di pongo
Lo scopo Vince la squadra che, superate tutte le prove necessarie per liberare dalla prigione i propri compagni, raggiunge la parte esterna del tabellone all’ultima corona.
I mazzi di carte 1. CARTE MISSIONE Su ogni carta è rappresentato l’ordine delle attività da collezionare lungo il percorso. Ad esempio: INGEGNO terza corona AMICIZIA prima corona CREATIVITÀ quarta corona CONOSCENZA seconda corona 2. CARTE CREATIVITÀ Il giocatore estraendo questa carta deve disegnare, scolpire nel pongo, o ritagliare, l’oggetto indicato che la sua squadra deve riconoscere. Ad esempio: “disegna e fai indovinare ai componenti della tua squadra: PRIGIONE, AMICIZIA ... 3. CARTE CONOSCENZA In questo mazzo si richiedono prove di abilità linguistica.
Ad esempio, “fai indovinare ai tuoi compagni le seguenti parole leggendole al contrario”:
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C H I A C C H I E R E G R A T T A C I E L O A U T O S T R A D A Oppure, “date queste lettere componi il maggior numero di parole. Conquisti l’abilità con almeno cinque parole”: I M I A L N E A 4. CARTE AMICIZIA Queste carte mettono alla prova la memoria visiva e la conoscenza del gruppo. Ad esempio, (in coppia) “Dopo essere stato bendato, uno dei giocatori ti toccherà la spalla destra. Hai una possibilità per indovinare chi è stato”. Oppure, (quiz) “Ricordi la squadra del cuore del compagno seduto alla tua sinistra?”. 5. CARTE INGEGNO Questo mazzo mette a dura prova le abilità dei giocatori attraverso tre divertenti mini-giochi: Fila-strocca, Cogli la Nota e Intreccio al Buio. Ad esempio, “con le parole indicate comporre una filastrocca in rima con almeno sei versi”. MARE VENTO TAPPETO Oppure DISEGNO FANTASIA COLORE 6. CARTE IMPREVISTI Nel tabellone, oltre alle carte Attività, sono distribuite delle caselle Imprevisti, che si riferiscono la mazzo di carte omonimo. Queste carte indicano sia imprevisti positivi che negativi. Ad esempio, “perdi l’ultima attività acquisita. Torna alla casella di partenza e perdi tutte le abilità”.
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Come si gioca PRIMA FASE - Conquistare l’Abilità Un giocatore per squadra mischia le carte del Mazzo Missione e ne estrae una, che stabilisce l’ordine del gioco. Ogni squadra (di almeno due giocatori) sceglie la pedina del colore che preferisce e si posiziona nel suo spazio sulla casella di partenza (centro della corona). Inizia la squadra che lancia per prima i dadi. Il dado X indica il numero di spostamenti della pedina e quello Y il numero di movimenti di una delle corone, a scelta, in senso orario; muovere prima la pedina o la corona è a discrezione dei partecipanti. Le pedine possono spostarsi in tutte le direzioni, mentre le corone ruotano solamente in senso orario. Il risultato dei lanci dei dadi non può essere frazionato a seconda delle necessità dei giocatori. Gli spostamenti devono portare la pedina a conquistare lo spazio dell’attività necessaria al completamento della prova secondo l’ordine riportato nella carta Missione. C’è inoltre un ostacolo al raggiungimento della casella-attività: la pedina può passare da una corona all’altra solo quando due caselle corrispondenti formano uno spicchio dello stesso colore aprendo un “Passaggio”. Raggiunta la posizione indicata dalla carta Missione, la squadra pesca una carta dal mazzo correlato e affronta la prova richiesta (ad esempio, il logo “Conoscenza” risponde appunto al mazzo Conoscenza). In caso di successo, la squadra nel turno seguente porterà avanti la sua missione altrimenti dovrà continuare ad affrontare la stessa prova di abilità pescando una carta diversa, fino alla vittoria. Una volta superate tutte le attività secondo l’ordine indicato dalla carta Missione, automaticamente si torna a liberare gli amici dalla prigione (sulla parte centrale del tabellone): alla pedina “Eroe” si unisce la pedina “Amici”, dello stesso colore, per raggiungere tutti insieme la libertà.
22 | INTRODUZIONE
SECONDA FASE - Fuga verso la libertà In questa seconda fase del gioco l’obiettivo consiste nel raggiungere la libertà posta al di là dell’ultima corona. I movimenti si riferiscono sempre alle indicazioni ottenute dal lancio dei due dadi: è possibile spostarsi da una corona all’altra solo attraverso le caselle che riportano lo stesso colore, ma, nella seconda fase di gioco, il colore delle pedine condiziona il percorso ed è necessario scegliere caselle e uscite dello stesso colore della propria pedina. Raggiungi l’ultima uscita prima dei tuoi avversari e conquista la libertà insieme ai tuoi amici!
Fotografie del prototipo di gioco realizzato dagli studenti del Master di Action Marketing. .
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il mio progetto dopo aver preso visione del materiale prodotto dagli studenti di action marketing, tra cui un primo prototipo del gioco, ancora spoglio da una veste grafica adeguata, ho letto il romanzo storia di iqbal per saperne di piÚ SULLA VITA DEL NOSTRO PICCOLO EROE. HO INCONTRATO FRANCO SERRA E MICHAEL FUZELLIER ALLA GERTIE CON I QUALI HO APPROFONDITO GLI ASPETTI DEL LUNGOMETRAGGIO UTILI AL MIO PROGETTO DI TESI E MI HANNO FORNITO LE PRIME ILLUSTRAZIONI DEI PERSONAGGI E LA SCENEGGIATURA. SUCCESSIVAMENTE HO CONTATTATO IL PROGETTISTA DI GIOCHI CLAUDIO PROCOPIO CHE HO INCONTRATO ALL’ACCADEMIA DEL GIOCO DIMENTICATO PRESSO LA FABBRICA DEL VAPORE. INSIEME ABBIAMO ANALIZZATO LA STRUTTURA DEL GIOCO DI IQBAL INDIVIDUANDONE I PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA SUI QUALI LAVORARE.
26 | IL MIO PROGETTO
I SIMBOLI I simboli sono rappresentativi delle sei categorie di cui sopra (missione, imprevisti, ingegno, conoscenza, creatività, amicizia). I simboli per categoria sono: Missione => mappa in stile “caccia al tesoro dei pirati”; Imprevisti => punto interrogativo; Ingegno => lampadina; Conoscenza => lente di ingrandimento; Creatività => pennello; Amicizia => baloon da fumetto contenente una stellina.
La scelta dei simboli Per iniziare, ho associato ad ogni categoria uno o due simboli che ne richiamavano il concetto (nell’immaginario comune o per semplice associazione di idee). Quindi: Missione => mappa o simbolo del bersaglio o busta da lettera; Imprevisti => punto interrogative o fulmine; Ingegno => lampadina; Conoscenza => lente di ingrandimento o occhio; Creatività => pennello o ingranaggio (rotella dentellata); Amicizia => baloon da fumetto contenente una stellina o stellina da sola o baloon da fumetto da solo. Successivamente, avvalendomi di un breve test (dove chiedevo di associare ogni categoria a un simbolo), ho individuato il simbolo più riconoscibile e meglio riconducibile a ogni categoria (i simboli definitivi sono quindi quelli citati sopra).
Lo stile grafico dei simboli Una volta scelti i simboli adatti a rappresentare ogni categoria, li ho realizzati passando attraverso tre stili diversi: il primo, immediato e preciso, ha rivelato una buona resa iconica, ma non è apparso adatto al target di riferimento, a causa di stile troppo serioso ed “adulto”. Gli atri due stili si sono dimostrati decisamente più adatti al mondo infantile del cartone animato e del fumetto. Il terzo stile è dunque sulla stessa linea del secondo ma semplificato e depurato di alcuni piccoli dettagli.
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IL MIO PROGETTO | 27
Studio iniziale dei simboli e primo posizionamento sul retro delle carte.
28 | IL MIO PROGETTO
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IL MIO PROGETTO | 29
Simboli stile 1 applicati sul retro delle carte, anche con effetto Glossy.
30 | IL MIO PROGETTO
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IL MIO PROGETTO | 31
Simboli stile 2 applicati sul retro delle carte. A sinistra: prove di lampadine e pennelli.
32 | IL MIO PROGETTO
LE CARTE Colore esterno: viola caldo, con predominanza del rosso; non è legato alle squadre.
Simbolo categoria: sul retro (missione, imprevisti, ingegno, conoscenza, creatività, amicizia); l’interno reca scritto l’istruzione per superare la prova. Fa eccezione la “creatività”, che illustra la prova mediante disegno invece che istruzioni testuali.
Colore interno: giallo pastello, chiaro. Colore “leggero” che permette la facile lettura del testo e si accoppia col viola, del quale è complementare).
Decorazione interna: All’interno delle carte di tutte le categorie (esclusa creatività) viene ripreso il simbolo già presente sul retro, a scopo decorativo e anche funzionale, ossia quello di richiamare la categoria. Per le carte creatività la spiegazione del gioco viene demandata unicamente a un’illustrazione. I giocatori hanno tre modi per far indovinare l’oggetto raffigurato sulla carta: disegnandolo, modellandolo con il pongo o ritagliandolo. Quindi su ogni carta creatività l’oggetto da indovinare è accompagnato dal simbolo che indica la tecnica da utilizzare per rappresentarlo.
Carattere: ottenuto a partire dal font “Gastro Intestinal” (Categoria “Script, Hand-written”), scelto come stile di partenza poiché si presta all’utilizzo ludico infantile/adolescenziale e quindi più adatto allo scopo. Il font originale è stato ritoccato su Illustrator: le linee sono state ricreate mediante l’utilizzo delle Curve di Bezier, per favorire al massimo la leggibilità, e l‘applicazione di uno stile brushes (o pennello) per rendere un “effetto disegnato” appunto hand-written.
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IL MIO PROGETTO | 33
Colori utilizzati sul retro e sul fronte delle carte; Font Gastro Intestinal ripassato con stile Brushes "Oval" 2 pt.
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Simbolo singolo sul retro delle carte o texture di simboli? Un altro interrogativo emerso durante la lavorazione al progetto grafico del retro delle carte è stato il seguente: da una parte la texture richiama il retro tipico delle carte da gioco, e permette di riconoscerlo subito come tale. Dall’altra, però, rischiava di appesantire troppo, dal punto di vista visivo, la scena di gioco, perché avevo già optato per una plancia alquanto “impegnativa” e ricca di colori e simboli. Quindi la scelta ha dovuto “necessariamente” ricadere sull’utilizzo del simbolo singolo, che risulta di gran lunga più chiaro e riconoscibile, grazie al fatto che deve essere associato al simbolo trovato sulla casella del tabellone.
A destra: Retro carte con texture di simboli; Nelle pagine seguenti: retro carte con simboli definitivi su sfondo pastello e interno delle carte delle categorie �imprevisto positivo, imprevisto negativo, missione,ingegno, amicizia, conoscenza�. .
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Studio del simbolo che rappresenta la tecnica
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del modellare il pongo.
Illustrazione interna delle carte "Creatività" con "simboli tecnica".
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LA PLANCIA Scelta dei colori I colori delle caselle rappresentano i colori delle squadre. I colori sono rosso, verde, arancione e azzurro. La scelta di colori di questo tipo è stata ispirata da una breve indagine sui tipici colori di cui si fa maggiore uso in Pakistan, dalla quale è emerso che si tratta di norma di co lori forti, intensi e molto vivaci. Sono inoltre colori storici e dunque tipici, “collaudati”, nell’ambito dei giochi in scatola, sia per “personalità” che per l’immediatezza della distinguibilità visiva.
Simboli Su ogni casella è indicato il simbolo corrispondente alla categoria della relativa carta da “pescare” all’occorrenza (durante la prima fase del gioco).
Forma/struttura La plancia è organizzata su cinque livelli, concentrici di forma circolare, fissati al centro e rotanti. Il livello centrale è fisso, è destinato ad accogliere le pedine, ed è la zona destinata alla partenza-prigione. Gli altri quattro livelli sono definiti “corone”, quindi abbiamo la prima corona partendo dal centro fino ad arrivare, muovendosi verso l’esterno, alla quarta (che è appunto la più esterna). Le quattro corone sono suddivise in caselle. La struttura della plancia è fedele al progetto originale elaborato dai colleghi del master in Action Marketing and Visual Communication della NABA. L’unico intervento che ha interessato la forma della plancia, è stato quello di rendere i cerchi più irregolari, per rendere più “dinamica” dare più “movimento” alla struttura, che appariva inizialmente di impatto eccessivamente rigido e statico.
Intervento grafico sulla plancia Le mie scelte grafiche di colorazione e illustrazione, sono state operate all’interno del vincolo imposto dalla struttura del gioco e dal suo funzionamento. Tale vincolo è stato, nello specifico, quello di dover suddividere le caselle equamente, per i quattro colori delle squadre e per i cinque simboli delle carte (tutte tranne “missione”, cioè la carta che viene pescata all’inizio del gioco da ogni squadra). In ogni casella il colore della squadra e il simbolo della carta devono essere ben riconoscibili, per cui ho scelto di evitare l’inserimento di ulteriori elementi grafici che potessero “disturbare” lo svolgimento del gioco. L’unico intervento decorativo per il
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quale ho ravvisato necessità di integrazione (al fine di dare più “personalità” al tabellone e legarlo così maggiormente alla storia di Iqbal) è stato l’inserimento di “cuciture” tra una casella e l’altra. In generale, ho optato per una linea di intervento “minimale”, basta su di una precisione di interventi di tipo “chirurgico”: l’obiettivo essenziale è stato, infatti, quello di conferire alla plancia l’aspetto di una sorta di tappeto variopinto e vivace, senza però comprometterne la facilità e immediatezza d’uso e la visibilità dei simboli.
Stile di colorazione Mentre per la creazione dei simboli e delle cuciture ho utilizzato uno stile grafico vettoriale a tinte piatte, eseguito con il programma Adobe Illustrator CS3, per la colorazione delle caselle ho voluto restituire alla plancia un gusto più illustrativo in stile “fatto a mano”. Utilizzando il programma Corel Painter X, ho ricreato digitalmente la tecnica del pastello a cera utilizzato su di una superficie cartacea a puntini (cosiddetto “effetto retinatura”). Ho poi abbinato il colore blu al giallo-arancio e il rosso al verde, in modo tale da far trasparire sotto ogni colore l’altro colore abbinato e “sporcare” così lievemente la tinta, dando un effetto appunto “retinato”. Questo trattamento ha permesso di rendere dinamica, di “muovere”, la superficie e renderla simile ad un tessuto, così da richiamare le sembianze di un tappeto.
Partenza - Prigione La Partenza-Prigione è la zona centrale della plancia, destinata ad accogliere le pedine alla partenza. Coerentemente con la storia di Iqbal, è stata concepita per rappresentare la fabbricaprigione, ovvero il luogo dove i bambini erano costretti al lavoro forzato (nel caso di Iqbal dei suoi piccoli amici è, nella fattispecie, la fabbrica di tappeti di Guzman, il padrone della fabbrica). Dal punto di vista grafico ho deciso, inoltre, di mettere in evidenza l’idea di prigione, piuttosto che quella di partenza, scegliendo il simbolo del lucchetto associato a delle catene. Una scelta dettata dal fatto che si tratta di un genere di simbolo di facile e immediata comprensione, che richiama l’idea di incatenamento e quindi di assenza (e, soprattutto, di privazione “violenta”) di libertà.
I colori del Pakistan - Moodboard
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Colori utilizzati per le quattro squadre e di conseguenza per le caselle della plancia, A destra: dettaglio della plancia.
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Prove di rappresentazione della prigione. A destra: plancia completa.
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LA SCATOLA Da un’analisi dei prodotti in commercio rivolti al nostro target (ovvero bambini dai nove anni in su) è emerso gli elementi principali che compongono il packaging di un gioco in scatola sono caratterizzati da una certa ricorrenza, e sono: nome/logo del gioco, visual, logo del produttore, frasi simili agli strilli delle copertine dei settimanali e periodici, piccole fotografie di situazioni reali in cui si utilizza il gioco. In caso di produzione anche cinematografica, è riportato anche quest‘ultimo, come ad esempio “Disney-Pixar”
Nome/logo del gioco Reinterpretazione del classico carattere dell’alfabeto latino “riccioluto” a grazie molto accentuate (ad imitazione della scrittura araba, e usato spesso in riferimento ed associazione al mondo arabo/medio orientale). Per il posizionamento delle lettere la resa del carattere ai fini del logo è ad hoc per il titolo del gioco sulla scatola, e non risponde ad un uso reale del font per scrittura.
Visual/illustrazione Rappresenta di norma il gioco stesso e i partecipanti, in situazione più o meno realistica. Iqbal, la sua amica Fatima che, giocando, corrono lungo il percorso sulla plancia. Iqbal e Fatima rappresentano in pratica delle “pedine animate”, che fuggono dalla fabbricaprigione diretti verso l’esterno del tabellone, cioè verso la libertà. I personaggi che ho rappresentato sono ripresi dalle illustrazioni della Gertie in modo tale da rendere riconoscibile il legame tra il film animato e il gioco.
Logo del produttore Nel mio caso ho scelto come produttore ipotetico del gioco la Ravensburger perchè ha un format grafico molto forte e riconoscibile. Inoltre compare sulla scatola il logo della Gertie, casa di produzione del lungometraggio di animazione dedicato a Iqbal, “Storia di un bambino che non aveva paura“ a cui è legato il gioco. Ho scelto di realizzare una scatola classica in cartone di misura 30x30x6 cm.
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Titolo/logo colorato; Nelle pagine precedenti: schizzi e prove posizione.
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Fronte scatola; A sinistra: prove sfondo pastello. .
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