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L’abbraccio del tempo con l’eternità

di Don Cesare Naumowicz

Nelle sue Confessioni, sant’Agostino si chiede: «Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più!». L’uomo è un abitatore consapevole del tempo. Il passare del tempo ci inquieta e suscita degli interrogativi su dove stiamo andando. Nella storia del pensiero si sono moltiplicate le definizioni del tempo e del suo significato. È soprattutto nota la classica distinzione greca tra chrónos, che è il tempo «cronologico», e kairós, cioè il tempo esistenziale e personale. Secondo la filosofia del «carpe diem», invece, bisogna innanzitutto valorizzare e godere del momento presente. C’è anche l’idea che il tempo ritorni in una serie di eterne rotazioni.

La Bibbia non si accontenta di una semplice riflessione sui ritmi stagionali e secolari o sui flussi dell’esistenza umana. Essa ha una sua teologia ben strutturata riguardo al tempo. Una caratteristica fondamentale della esperienza biblica di fede è la sua «storicità». «Il Verbo, la Parola divina che era ‹in principio›, che era ‹presso Dio›, anzi che era Dio, si intreccia intimamente con la sarx, cioè con la ‹carne›, la fragilità, il limite temporale e spaziale dell’umanità. Le sue azioni sono sperimentabili» (G. Ravasi).

Parlando della nascita del Figlio di Dio, san Paolo la colloca nella «pienezza del tempo» (cfr. Gal 4,4). Con l’Incarnazione l’eternità è entrata dentro la storia dell’uomo e il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. L’uomo compie se stesso in Dio, che gli è venuto incontro mediante l’eterno suo Figlio. A Nicodemo Gesù disse: «Chiunque crede nel Figlio dell’uomo ha già la vita eterna» (Gv 3,15).

Noi viviamo ancora nel tempo dolorosamente segnato dal male e dalla morte. Paolo ricorre a immagini di parto e di attesa per descrivere le tensioni dell’ora presente (cfr. Rm 8,18­27). Regno di Dio è già all’opera negli eventi di questo mondo, ma Dio non è ancora «tutto in tutti». La risurrezione finale viene promessa come una trasfigurazione e un compimento. Il Verbo «si è fatto tempo egli stesso, prendendo la nostra umanità – e ha immesso in esso il destino di speranza del suo Giorno: il Giorno del Risorto» (M. Cozzoli), imprimendo ai nostri giorni il finalismo dell’Eterno.

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