SANDRO DE ALEXANDRIS 35,00 €
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SANDRO DE ALEXANDRIS A CURA DI | EDITED BY
Alberto Zanchetta
Questo catalogo è stato pubblicato in occasione della mostra “SANDRO DE ALEXANDRIS 1964 | 2018” 10 A.M. ART, Milano, 14 Febbraio – 11 Aprile 2019 This catalogue was published on the occasion of the exhibition “SANDRO DE ALEXANDRIS 1964 | 2018” 10 A.M. ART, Milan, 14 February – 11 April 2019
MOSTRA E CATALOGO A CURA DI
EXHIBITION AND CATALOGUE CURATED BY 10 A.M. ART – Amart Gallery s.r.l. Alberto Zanchetta IN COPERTINA COVER Interno II. 1991 particolare | detail p. 2 Sandro De Alexandris, 2007, foto di | photo by Giuseppe Comazzi TESTI DI TEXTS BY Alberto Zanchetta TRADUZIONE TRANSLATION Michael David Haggerty DESIGN Isabella Boghetti CREDITI FOTOGRAFICI PHOTO CREDITS © Archivio Fotografico dei Musei Civici – Fondazione Torino Musei, Torino © MAC – Museo d’Arte Contemporanea, Lissone Giorgio Avigdor Isabella Boghetti Angelo Candiano Giuseppe Comazzi Pino Dell’Aquila Roberto Goffi Thomas Libiszewski Nanni Orcorte Fulvio Richetto Paolo Robino
10 A.M. ART – Amart Gallery s.r.l. Corso San Gottardo, 5 – 20136 Milano T. +39 0292889164 – M. +39 3393724296 e.mail: info@10amart.it – www.10amart.it
RINGRAZIAMENTI ACKNOWLEDGEMENTS Si ringraziano tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione della mostra e del libro. We thank all those who made possible the realization of the exhibition and the book. Nessuna parte di questo catalogo può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. All rights reserved. No parts of this catalogue may be reprinted or reproduced or utilised in any form or by any electronic, mechanical or other means, now known or hereafter invented, any information storage or retrieval system, without permission in writing from the publishers. Finito di stampare nel mese di luglio 2020 a cura di Graphic & Digital Project Printed in July 2020 by Graphic & Digital Project ISBN: 978-88-940648-6-5
SOMMARIO CONTENTS
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IL PROGETTO INTORNO ALLA PITTURA (UN’IPERBOLE) THE PROJECT ABOUT PAINTING (A HYPERBOLE) Alberto Zanchetta
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OPERE WORKS
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APPARATI APPENDIX
172 177 182 188 189 190 195
Elenco delle opere | List of works Regesto Register Nota biografica Biographical note Esposizioni | Exhibitions Bibliografia selezionata | Selected bibliography
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IL PROGETTO INTORNO ALLA PITTURA (UN’IPERBOLE) Alberto Zanchetta
Corre l’anno 1972, il Centro La Cappella di Trieste organizza la mostra Basta il progetto1 e licenzia alle stampe una cartella contenente 12 eliocopie, una per ogni artista coinvolto. Con precisione millimetrica, Sandro De Alexandris traccia su un grande foglio di carta una griglia modulare lasciando intonse le parti attraversate da due diagonali “invisibili” che si intersecano al centro della pagina. In origine, l’intervento era stato concepito per la Galerie Contact-Wunstorf di Hannover e prevedeva l’utilizzo di puntatori laser che avrebbero parcellizzato lo spazio espositivo. Per alterne ragioni i fasci luminosi vennero poi sostituiti con dei fili sottili, tesi da angolo ad angolo della stanza. È solo tre anni più tardi, in occasione della mostra a Trieste, che l’intervento site-specific viene riformulato e convertito in un elaborato grafico. Non v’è dubbio che la deroga dell’artista sia accolta in casibus non exceptis, giacché tutti i suoi progetti sono direttamente vincolati al programma dell’operazione. Per De Alexandris, infatti, la categoria del pensiero non può rinunciare al campo topologico; premesso che l’opera d’arte esiste in simbiosi e in scambio reciproco con l’architettura, è altresì imprescindibile dallo spazio endogeno, mentale e sensibile, immanente sia all’autore, sia ai materiali e agli strumenti da lui impiegati. Nel caso di De Alexandris è possibile corroborare la teoria nella pratica, ma la pratica può a sua volta assurgere a livello teorico. L’artista tiene però a precisare che il progetto e la realizzazione hanno tempi differenti, sicché il progetto non si esaurisce mai nella sua enunciazione, esige, sempre e comunque, una verifica del proprio postulato. A questo proposito Paolo Fossati si accolla il compito di dire che il progetto, così come lo intende l’artista, è sondaggio e controllo del linguaggio, corrisponde cioè alla cristallizzazione di una forma interna e analoga alla realtà. Più precisamente, si tratta di «un processo concreto che rovescia di continuo i suoi termini noti nella fluttuazione dell’esperienza, non isolata e stabilita in una media statistica»2. “Progetto”, “indagine”, “organizzazione” sono parole che l’artista ha sempre ponderato con grande attenzione nei suoi scritti. La precisione e la padronanza linguistica che affiora nei testi da lui vergati ha indotto Gianni Contessi a supporre che nelle sue opere si celi una segreta natura scrittoria. Interrogativo affatto scontato, tantomeno capzioso, giacché il costrutto estetico corrisponde a un costrutto intellettuale, innanzitutto, e linguistico, inevitabilmente. È altrettanto curioso notare come i testi di De Alexandris citino spesso i letterati a discapito degli artisti e dei critici d’arte, forse perché la visione poetica è l’unica in grado di intercettare l’aposkopein, uno sguardo penetrante e perspicace, capace di proiettarsi in lontananza.
Progetto per ambiente n.4, 1969/72
Sandro De Alexandris, 1992, foto di | photo by F. Richetto
Sandro De Alexandris muove i suoi primi passi sulla scorta della tendenza “autre” vaticinata da Michel Tapié che in quello scorcio di secolo soggiorna a Torino con una certa continuità per promuovere e perfezionare le proprie teorie estetiche. L’anno in cui il critico francese decide di stabilirsi definitivamente nella città sabauda coincide con la mostra “Arte Nuova”, da lui curata a Palazzo Graneri nel 1959, rassegna che contribuisce ad aggiornare il milieu torinese su scala internazionale, successo che viene bissato due anni più tardi con “Strutture e Stile” alla Galleria Civica d’Arte Moderna. La fascinazione per l’Art autre diventa una tappa obbligata per De Alexandris allorquando espone, nel dicembre del 1963, una serie di quadri a olio la cui matrice gestuale finirà per stemperarsi molto precocemente. Contrariamente all’eccesso e all’esuberanza della generazione che lo ha preceduto, l’artista va maturando un atteggiamento più pacato e riflessivo, decide quindi di lavorare in una economia espressiva – lo comprova la laconicità del colore e la perentorietà dei materiali – alla ricerca di un punto di svolta (più che di ripresa) rispetto al recente passato. Ostinato a padroneggiare gli strumenti e la grammatica artistica, nella seconda metà degli anni Sessanta l’artista si affretta a scomporre con cautela l’eredità dei Maestri moderni, giungendo a concepire l’arte aprioristicamente, come se tutto non fosse mai avvenuto, come se tutto accadesse per la prima volta.
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In questo periodo De Alexandris è solito parlare di “oggetti” e non di “opere”, ma non certo perché voglia sminuirne il significato o il loro valore. Alla vena poetica di Adriano Spatola viene affidato il compito di precisare che «l’uso che De Alexandris fa dell’oggetto è un uso sperimentale […]. De Alexandris tende all’oggetto come punto di equilibrio dell’ambiente, una collocazione fisica in uno spazio mentale»3. Gli oggetti dell’artista sono capaci di autodeterminarsi e autosignificarsi in quanto assumono l’arte per quello che è effettivamente: un processo. Non quindi un argomento, né un aneddoto, bensì un linguaggio autoreferenziale. Si noti inoltre come il pensiero di De Alexandris si rivolga in modo scrupoloso alla sintassi della pittura sottoponendola al vaglio di una lente d’ingrandimento. La messa in evidenza dei minimi dettagli obbliga l’artista a non dare nulla per scontato, circostanza prontamente rilevata da Helmut Heißenbüttel – altro poeta, altra penna acuta che si presta all’esegesi dell’artista – che intuisce come «nel semplice tutto si mostra: tutto si mostra come semplice: tutto semplicemente semplice»4. Il concetto della “possibilità” è nodale nella ricerca di De Alexandris. Se una cosa è pensabile allora è anche possibile renderla visibile. Scandagliando alcuni piccoli fogli di carta, l’artista porta a compimento le sue prime, personalissime verifiche oggettive. All’artista basta imprimere una piegatura affinché il supporto cartaceo reagisca alla variazione di intensità e incidenza della luce, producendo una “pittura in assenza di pittura”. Pochi anni prima di De Alexandris, anche Manfredo Massironi era giunto a interrogarsi sulla legittimità di considerare opera d’arte un normale cartone ondulato di colore paglierino. Per comprendere le affinità tra i due artisti, e le conseguenti discordanze formali, è necessario riportare la memoria al 1959, anno in cui Massironi partecipa al Premio San Fedele; è in questo frangente che l’artista patavino viene ammesso all’esposizione con un cartone cannettato le cui scanalature sono interrotte nella parte mediana da scanalature di senso inverso, espediente che enfatizza la vibrazione delle luci e delle ombre sull’opera. In segno di protesta e di sdegno, il Presidente della giuria avversa la partecipazione del giovane artista e decide di rassegnare le proprie dimissioni, ritenendo che quell’opera non esprima alcun valore o messaggio artistico. Lo scandalo del cartone ondulato non passa inosservato da parte di Piero Manzoni che si premura di scrivere al collega per esternargli il suo interessamento e compiacimento. E non per caso, in quello stesso anno, Manzoni sigla con il suo nome il centro di un cartoncino piegato a metà5. Laddove si arresta l’intuizione di Massironi, che non esaurisce né approfondisce le implicazioni del suo cartone cannettato, De Alexandris si impegna a massimizzare l’effetto luminoso-volumetrico ottenuto dalle piegature della carta. Benché entrambi gli artisti siano interessati alle oscillazioni luminose generate dal supporto, le scanalature preesistenti di Massironi si discostano da quelle di De Alexandris, che viceversa concepisce la piegatura sia come “progetto”, sia come “percorso”. Ponderate con attenzione e precisione, le introflessioni/estroflessioni cagionate dalle piegature articolano il campo visivo che è in rapporto alla dimensione architettonica. Il cimento di formati sempre più grandi induce poco dopo l’artista a collaudare il medesimo procedimento con il polistirene e i laminati, trovando piena rispondenza alle sue esigenze nell’impiego di lastre in metallo. A quel punto De Alexandris si affida alla piegatura meccanica per riuscire finalmente a imprimere il gesto, senza doverlo più esprimere. A detta di Carlo Belloli, «le superfici di De Alexandris sono dunque modulatori proporzionali, a rispondenza visiva monocroma e a persistenza visuale complessa» appartenenti a «un tipo di visualità plastica elementarista e metacostruttivista»6. Come molti altri artisti dell’epoca, anche i lavori di De Alexandris si inscrivono su un fondo neutro, un disimpegno visivo che consente un engagement intellettuale. Dovendosi orientare nell’ampio repertorio dei materiali tecnici destinati alla pittura, e in specie quelli secondari erroneamente considerati minori, l’artista individua nella carta – necessariamente liscia, immancabilmente bianca – tutte quelle caratteristiche che soddisfano le sue esigenze operative. A scanso di equivoci, si aggiunga che queste sue opere non sono dei monocromi, vale a dire quadri di un unico colore, proprio perché egli non concepisce il bianco come colore ma si limita a identificarlo con il materiale. Aggirando la monomania e la monotonia del “campo cromatico”, De Alexandris debella ogni tipo di soggettività ed emotività, convertendo
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l’esperienza artistica in un processo di deduzione e produzione. Nonostante la carta bianca suggerisca una sospensione della visione, il suo volume non è invisibile allo sguardo, men che meno al tatto. Di conseguenza De Alexandris realizza alcune strutture plastiche – sarebbe improprio chiamarle sculture – che commutano la geometria in un volume tridimensionale (un disegno nello spazio che è anche un tentativo di disegnare, foss’anche piegare, lo spazio stesso). Altre e coeve opere presentano curvature oppure fratture, finanche una pigmentazione fluorescente, più simile a un’emissione luminosa che a una gradazione cromatica. Negli anni successivi l’artista ricorre al colore con un atteggiamento più permissivo, lasciandolo trapelare, quasi per riverberazione, negli intervalli che separano le carte graduate dei Rilievi. In questo caso specifico esiste un’equivalenza tra la sovrapposizione dei cartoncini Schoeller e la loro suddivisione in aree che modulano, e al contempo moltiplicano, la superficie. I diversi spessori, disposti a intervalli regolari, mettono in evidenza linee verticali, orizzontali e oblique che regolano l’intensità oltre che i rapporti di proporzionalità delle parti applicate per scorrimento o per rotazione. Analoghe diagonali, ortogonali e parallele si riscontrano anche nei Markierungen realizzati da Winfred Gaul (vedi p.16) a cavallo degli anni 1972-1977. Appena dopo aver concluso il ciclo dei Signalbilder, Gaul giunge a una essenzialità scarna e severa con cui delinea la tela di lino grezza mediante il gesso, il carbone o il pastello a cera. Si tratta di un gesto automatico, una traccia lasciata sulla superficie a rimarcare il “passaggio” dell’artista, di contro al “percorso” dell’altro. Mettendo a confronto i due artisti, è curioso notare come in Gaul l’atto del dipingere converga con l’atto del disegnare, mentre in De Alexandris l’operazione si converta in una schematizzazione concettuale. I Rilievi di quest’ultimo sono ottenuti mediante l’avvicinamento delle diverse superfici, a sancire un intervallo tra gli spessori che pone in risalto i volumi cromatici. Assecondando il proprio carattere costruttivo, l’artista separa e raccorda, disarticola e riconfigura lo spazio a livello pratico-operativo, trovando una correlazione al proprio “pensiero in termini di pittura”. Lasciatosi alle spalle la serie delle piegature, indicate con l’acronimo TS [19651969], e avendo ormai concluso la serie dei Rilievi [1967-1973], l’artista rivolge il suo interesse a un nuovo ciclo di lavori, i t/n [1974-1978], che si prefiggono l’obiettivo di sottrarre luce al supporto. Ancora una volta De Alexandris ricorre a dei cartoncini che vengono intaccati – in estensione e in profondità – da una punta d’acciaio. Ogni incisione viene praticata in verticale e in modo equidistante l’una dall’altra, ne deriva un ordito che sottrae consistenza allo spessore del materiale, espediente che ne rivela la flagrante concretezza. Piuttosto che dare forma a un’intenzione, De Alexandris è ora interessato a monitorare una situazione, nel senso di “dare luogo a un gesto”. Il faustiano in principio era l’azione viene commisurato all’affondo del bisturi che scorre deciso, ammettendo pur tuttavia qualche minima palpitazione o lieve imprecisione della mano (fortunatamente De Alexandris non smania di raggiungere la perfezione: le sue opere sono tecniche, non disumane)7. Dice bene l’artista, ogni solco tracciato dal bisturi non implica una reiterazione, non c’è meccanicità del gesto perché la manualità è un’interminabile gesto iniziatico. Come se fosse sempre la prima volta, tutto accade una sola volta. La seconda volta è già un’altra cosa, non la cosa stessa.
Sandro De Alexandris, Doppio percorso diagonale R, 1970/72, rilievo Schoeller su tavola | Schoeller relief on board, 99 x 99 cm
Il valore intrinseco dei t/n è proporzionale al loro ritmo interno, un ritmo che viene cadenzato (o sarebbe meglio dire rallentato) dalla fruizione. La cecità apparente profusa dai t/n appartiene a quella che Klaus Honnef soleva indicare come “bassa percezione”, definizione coniata per identificare opere che impongono al riguardante un’osservazione prolungata. A questo proposito Francesco Poli ha ammesso che nelle opere di De Alexandris «c’è poco da vedere per chi non è capace di entrare con lo sguardo dentro la profondità impalpabile della superficie, per chi non è abituato alla riflessione e alla meditazione visiva e pretende da un’opera l’impatto diretto di una rappresentazione
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che soddisfi la sua aspettativa di “contenuto artistico”»8. Benché lo spettatore sia solito pretendere che l’opera d’arte gli si riveli subitamente e integralmente, è probabile che egli non sia comunque in grado di comprenderla appieno. È come se l’evidenza finisse per accecarlo involontariamente. Si può guardare la pittura, se ne può parlare e cercare di descriverla, raccontarla, spiegarla, eppure non basta, perché la pittura non è mai ciò che ci sta di fronte. Il quadro non è altro che una conseguenza, un testimone oculare che ricambia il nostro sguardo, mettendoci in soggezione ogni qual volta ci ricorda che soltanto il pittore può comprendere per davvero la sua essenza. Per capire cosa essa sia, bisogna entrarci dentro, così come ha fatto De Alexandris ricorrendo alla piegatura e al bisturi. Egli pensa/progetta la pittura con acume, e altrettanto affilato è l’armamentario tecnico da lui usato nel corso degli anni. Taglienti sono il bisturi e la carta, la grafite – che è parente del diamante – così come le sottili lamiere, simili a lame di ghigliottina. Il camice bianco indossato dal pittore è il medesimo del chirurgo, l’uno e l’altro impegnati in un’operazione accurata ancor più che delicata. Anche se l’artista ha il sangue freddo e la mano sufficientemente ferma per adempiere al suo proposito, Delacroix ha giustamente fatto notare che «il pittore non è un chirurgo; non è nella destrezza che consiste il suo merito»9. Ebbene, più che un camice da chirurgo, è probabile che De Alexandris si sia scelto una camicia di forza per riuscire a esercitare la propria concentrazione, decentrando l’attenzione sui limiti stessi della pittura. Ma per quanto radicale, l’operatività dell’artista non inclina mai all’annichilimento, al contrario, presuppone sempre un ricominciamento. Consapevole che la negazione non possa adempiere al suo scopo, è lo stesso De Alexandris a portare il seguente esempio: se si gratta il bianco (del cartoncino) si finisce per scoprire un altro bianco (quello del muro sottostante). In virtù di ciò, l’artista accetta di brandire il bisturi per un’ultima volta, allorquando vìola la superficie dei grandi Trittici [1981] che costituiscono un inventario e un superamento delle precedenti operatività. In essi ritroviamo incisioni, sfasamenti geometrici, sovrapposizioni di cartoncini spellati e un cromatismo dalla stesura mossa e disomogenea che realizza un campo di trasparenza materica. Commentando i Trittici, Alberto Veca ha compreso come «De Alexandris abbia aumentato in complessità quello studio degli indici di variazioni della luce sulla superficie che era stato il filo conduttore delle sue ricerche precedenti: un aumento che equivale a una maggiore forza di contrasto che le diverse operazioni sulla superficie, dalla pennellata, all’incisione, allo strappo, al mantenimento del materiale intatto, e quindi a una forma di sospensione/osservazione possono assumere nell’accostamento»10. Ciò che Veca e altri critici dimenticano di dire è che la serie dei Trittici coincide con una crisi metodologica da parte di De Alexandris. A queste date l’artista si trova a un importante crocevia che gli impone di schierarsi a favore o a discapito della pittura, scelta che lo indurrà a mitigare la sua adamantina progettualità. All’intaglio dei t/n subentra allora lo strappo, lo sfrangiarsi e la sovrapposizione di carte o tele ricoperte di colore. Sono la risultante di prove, studi, esercizi che erano stati dimenticati all’interno di una cassapanca. Tesaurizzando i vecchi frammenti di pittura, De Alexandris riscopre la fragranza dei colori e la loro sovversiva raffinatezza. Paragonabile all’affioramento di un ricordo sopito, i lacerti di pittura tornano a palesarsi nelle loro differenti texture e consistenze materiche grazie a un principio sia di contiguità sia di continuità. Nel tentativo di muovere il piano pittorico, l’artista strappa e combina i brandelli irregolari fissandoli all’estremità superiore del supporto affinché si increspino o si distendano in caduta libera. L’effetto è quello di uno stillicidio, non dissimile da un dripping, che accoglie la casualità e incoraggia la legge di gravità11. I lembi sfilacciati e fluttuanti permettono a De Alexandris di raggiungere scarti compositivi e accostamenti coloristici impensabili fino a pochi anni prima. Con il passare del tempo, però, l’ampio campionario di carte, tele e veline va assottigliandosi sempre più. Quantunque De Alexandris si sforzi di rimpinguare il proprio “giacimento pittorico”, alla fine si rassegna all’idea che sia impossibile replicare le prove di colore che si erano accumulate spontaneamente, senza alcuna velleità o premeditazione. Esaurite le scorte personali, De Alexandris si interroga nuovamente sul proprio modus operandi, decide quindi di affrancarsi dal tempo biologico per immergersi in un tempo sospeso che indugia vertiginosamente nella pittura. A partire dalla metà degli anni Novanta il ticchettio dell’orologio sembra quindi arrestarsi bruscamente, abdicando in favore di un tempo “infinito”, che
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non volge mai al termine, proprio come la pittura. Fino a questo momento il percorso di De Alexandris rispecchia i crismi dell’epoca ed è perfettamente allineato con le ricerche internazionali. Tangenze, affinità, sensibilità lo accomunano ad altri importanti artisti della sua stessa generazione; sennonché, dalla metà degli anni Novanta De Alexandris riprende confidenza con i pennelli e le tele, adottando formati ricorrenti che gli permettono di lavorare su una (propria) misura (interna) che chiede d’essere interrogata e interpretata, come fosse un oracolo. Si tratta di una pittura più vissuta che da vedere, refrattaria alla finzione e all’illusione, più meditativa che mentale. Da oltre un ventennio, l’artista cerca di imbrigliare la pittura in margini in[de]finiti che ci riconducono al Limen, a una soglia che non è solo limite o confine, ma anche dimora e traguardo. Al nostro sguardo è concesso di varcare le “soglie”, di accedere ai “giardini”, di addentrarci nelle “stanze”, di oltrepassare gli “specchi” citati nei titoli delle opere. Permane pur tuttavia l’impressione che le distanze siano incolmabili e le attese finiscano per procrastinarsi all’inverosimile. Le soglie che noi vediamo non sono prossime alla “sparizione”, rivendicano semmai una “sospensione” tra dentro e fuori, tra finito e infinito. Se le decadi precedenti escludevano l’idea del monocromo, sul volgere del nuovo millennio è innegabile che la pittura di De Alexandris sia policroma, oltre che indeterminata e indefinibile. In-scrivendo e ri-scrivendo le qualità della pittura, l’artista ne delimita la spazialità, fende e frammenta lo spazio con segni neri e rossi, a creare un apparato nervoso e venoso su cui modellare il corpo del colore. Le cromie emergono e si impongono per velature, sembrano voler suggerire una prospettiva surrettizia che viene vanificata di continuo, sicché ogni connotazione spaziale finisce per riassorbirsi a livello planimetrico, facendo da collante tra ciò che è vicino e ciò che è lontano. Per l’artista è di vitale importanza suddividere la superficie, frazionare lo sguardo all’interno di una texture che scandisce l’intensità dei valori pittorici. Si noti come in queste opere ricorrano delle flebili e sottili righe che delimitano il processo di creazione dell’immagine pittorica. In un costante processo di sintesi ed epurazione, il segno riduce e ridistribuisce il campo pittorico, si prodiga nel trovare uno schema geometrico, una suddivisione razionale subito sovvertita dal colore, che penetra, si spande, sfuma, dissimulando il reale e dissolvendo le forme. Sono “brani” di pittura che l’artista impagina con invidiabile destrezza, rimpinguando quell’effemeride che pochi anni prima si componeva di piegature, spessori, incisioni, strappi. Ricusando le esperienze condotte all’insegna di un’eccessiva rarefazione, De Alexandris pare aver riscoperto la propria Bestimmung, ossia una “vocazione” e una “determinazione” a dipingere per velature, trasparenze e sovrapposizioni. Impropriamente si potrebbe supporre che l’artista si sia riconciliato con la pittura, in verità non c’è mai stata una cesura, tantomeno una abiura della disciplina pittorica. Nei tanti percorsi/progetti intrapresi da De Alexandris, quest’ultimo è sicuramente il più importante, e non a caso il più longevo, giacché ha inizio nel 1992 e prosegue ancora oggi. Quella di De Alexandris non è pittura di immagini bensì d’atmosfera, di memoria e al contempo di amnesia. L’artista soppesa le pennellate prestando grande attenzione al tocco, all’impasto e al cromatismo che conferisce alla tavolozza la sua tipicità. La pittura si dilata e si infittisce di continuo, affiorando come sul pelo dell’acqua. Parrebbe assomigliare a una terra emersa, a un’oasi dove è possibile rifugiarsi ed estraniarsi, in solitudine e in silenzio. Sandro De Alexandris non manca occasione di paragonare la propria pittura a un’isola che risplende di luce; egli porta spesso l’esempio di Itaca, potrebbe però essere Citera, ormai lontana, ormai perduta, proprio come Atlantide. O magari caduta, sospesa, tra terra e cielo, tra realtà e invenzione, alla maniera di Sabha. Sensazioni paniche, ancor più che pittoriche, avvolgono lo spettatore con campiture di colore che sembrano sipari di una “pittura che recita la pittura”. La coltre nebulosa lascia intendere e
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intravedere la sua natura, fomentando quel senso di appartenenza al reale, senza però dovergli corrispondere pienamente. Il colore calca il centro della scena, si stringe su se stesso, asseconda la simmetria dei bordi laterali, di contro alla dismisura dei bordi superiori e inferiori, che lasciano intonso il perimetro della tela di lino, a rimarcare un equilibrio momentaneo. Come afferma Gualdoni, De Alexandris «ragionava e ragiona d’amore, e con amore, della pittura. Della pittura, dell’opera, e non dei suoi molteplici travestimenti e travisamenti retorici. Della pittura, ovvero della sua ragione concettuale ultima, un vedere e far vedere che, ripulito d’ogni scoria il viaggio dello sguardo dall’occhio all’intelletto all’animo, possa ancora far dire senza virgolette di cosa mentale, di pienezza d’esperienza»12. Ma se Amore non può darsi senza Psiche, allo stesso modo non può venir meno il connubio tra progetto e pittura, attrazione che soddisfa un desiderio reciproco. Tra persistenze e rarefazioni, non v’è dubbio che le soluzioni tecno-poetiche di Sandro De Alexandris continuino a interrogare e rivelare la pittura tenendosi ai bordi della sua identità. Del resto, «ogni viaggio attraverso – intorno – la pittura è sempre ricominciamento»13, un inesausto tentativo di dipingere l’impalpabile, metafora forse dell’effimero e della fugacità, di un fremito che si invola nell’aurora.
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1 Basta il progetto, cartella a cura di Gianni Contessi, Centro La Cappella, Trieste, 15 dicembre 1972 – 15 febbraio 1973. 2 P. Fossati, Dal progetto all’opera, Museo di Castelvecchio, Verona 1974, p. 18. 3 A. Spatola, Geiger 1968 – Antologia sperimentale, Edizioni Geiger, Torino 1968, s.p. 4 H. Heißenbüttel, De Alexandris, OOLP, Torino 2014, p. 33. Le 13 Abkürzungen di Heißenbüttel erano state vergate nel 1970 in occasione di una mostra allestita alla Galerie 66 di Hofheim; smarrite nel corso degli anni, sono state recentemente ritrovate da De Alexandris che le ha volute raccogliere e licenziare alle stampe. 5 L’opera sarà riprodotta sul manifesto della mostra che la Galleria La Tartaruga di Roma dedicherà all’artista nel gennaio del 1967. 6 C. Belloli, “De Alexandris e la modulazione di proporzioni”, in Sandro De Alexandris / operazioni plastiche, edizioni Studio di Informazione Estetica, Torino 1967, s.p. 7 In questo senso, l’artista è uno strumento del fare, una “applicazione tecnica” del processo artistico. 8 F. Poli, Sandro De Alexandris, Il velo dell’aria,
Giampiero Biasutti, Torino 2009, p. XI. E. Delacroix, Scritti sull’arte, Edizioni Se, Milano 2005, p. 45. 10 A. Veca, De Alexandris, Galleria Giancarlo Salzano, Torino 1982, s.p. 11 In taluni casi, le increspature delle carte e le ondulazioni delle tele sbrindellate vengono attenuate con dei piccoli listelli di legno. I rapporti cromatici-armonici vengono invece compensati con delle linee tracciate a mano libera, espediente che permette di stabilizzare ed equilibrare le forme. 12 F. Gualdoni, Sandro De Alexandris, Galleria Peccolo, Livorno 2012, pp. 3-4. 13 S. De Alexandris, Soglie, OOLP Libreria d’Arte, Torino 2014, p. 81. 9
Sandro De Alexandris, foto di | photo by Giuseppe Comazzi
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THE PROJECT ABOUT PAINTING (A HYPERBOLE) Alberto Zanchetta
It is 1972 and the Centro La Cappella in Trieste has organised the show Basta il progetto1 and has passed to the press a portfolio containing 12 heliographs, one for each artist involved. With millimetric precision, Sandro De Alexandris traced out a modular grid on a large sheet of paper, leaving untouched the parts crossed by two “invisible” diagonals that intersect at the centre of the page. Originally the intervention was devised for the Galerie Contact-Wunstorf in Hanover and it foresaw the use of laser pointers that would have parcelled out the exhibition space. For various reasons, the luminous beams were substituted with slender threads stretched from corner to corner of the room. And then only three years later, for the show in Trieste, the site-specific intervention was reformulated and converted into graphic art. There can be no doubt that the artist’s waiving of himself from the work was accepted in casus non exceptis, since all his projects are directly tied to the programming of the operation. In fact, for De Alexandris thought cannot renounce the topological area; given that the work of art exists symbiotically and reciprocally with the architecture, it is equally bound to the endogenous mental and sensible space that is unavoidable to both the artist, the materials, and the tools he employs. In the case of De Alexandris it is possible to corroborate the theory in his practice, but in turn the practice can reach a theoretical level. The artist, however, takes care to clarify that the project and its realisation have different times, and so the project is never completed by its manifestation but expects, forever and always, a testing of its proposals. With regard to this, Paolo Fossati takes on the task of saying that the project, in the intentions of the artist, is a probe and control of language; in other words, it corresponds to the crystallisation of a form that is internal and analogous to reality. More precisely, we are dealing with a “concrete process that continuously overturns its known terms in the fluctuation of experience, and is not isolated and stabilised by a statistical average”2. “Project”, “inquiry”, and “organisation” are words that the artist has always used with great attention in his writings. The precision and linguistic mastery that bloom in the texts signed by him led Gianni Contessi to guess that there was hidden in his works a secret bent for writing. This is a statement that should not be taken for granted nor discounted since the aesthetic construct corresponds to an intellectual construct, above all and inevitably a linguistic one. It is equally curious to note how the texts by De Alexandris often quote writers rather than artists and art critics, perhaps because the poetic vision is the only one able to intercept the aposkopein, a penetrating and perspicacious gaze that can see into the far distance. Sandro De Alexandris began in the footsteps of the “autre” trend predicted by Michel Tapié who in that period was staying in Turin to promote and perfect his own aesthetic theories. The year this French critic decided to settle in Turin, coincided with the show “Arte Nuova” curated by him at Palazzo Graneri in 1959, a show that helped to update the Turin milieu and bring it to an international level; the success of the show was repeated two years later with “Strutture e Stile” at the Galleria Civica d’Arte Moderna. Fascination with Art autre was obligatory for De Alexandris, and in December 1963 he exhibited a series of oil paintings, but their gestural matrix was destined to disappear quite soon. Contrarily to the excess and exuberance of the generation that preceded him, the artist was developing a more calm and thoughtful attitude, and so he decided to work with an expressive economy – this is demonstrated by the laconic colours and the decisiveness of the materials – in search of a turning point – rather than a recovery – with respect to the recent past. Obstinate in his attempt to master the tools and grammar of art, in the second half of the 1960s the artist hastened to dismantle with great caution the heredity of the modern masters, arriving at conceiving of art as though nothing had ever happened, as though everything was taking place for the first time. In this period De Alexandris usually spoke of “objects” and not of “works”, though certainly not because he wished to diminish their meaning or value. Adriano Spatola’s poetic words had the task of making clear that “the use De Alexandris makes of the object is an experimental use […]. De Alexandris approaches the object as a balancing point / a physical positioning in a mental
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space”3. The artist’s objects were capable of determining and signifying themselves inasmuch as they employ art for what it effectively is: a process. So not an argument nor an anecdote but, rather, a self-referential language. It should also be noted how De Alexandris’s thought scrupulously answers to the syntax of painting by undergoing a process of enlargement. The highlighting of minimal details obliges the artist to take nothing for granted, something immediately noted by Helmut Heißenbüttel – another poet, another acute writer who attempted a critical interpretation of the artist – who intuited how “in simplicity everything is shown: everything is shown as simple: everything is simply simple”4. The concept of “possibility” is central to the art of De Alexandris. If a thing is thinkable then it is also possible to make it visible. By trying things out on some small pieces of paper, the artist brought to completion his first, highly personal, objective verifications. For the artist it was sufficient to make a fold so that the paper support could react to the variations of intensity and incidence of the light, producing a “painting in the absence of painting”. A few years earlier than De Alexandris, Manfredo Massironi too had arrived at questioning himself about the legitimacy of considering as a work of art a normal piece of pale yellow corrugated paper. In order to understand the affinities between the two artists, and the consequent formal discords, it is necessary to think back to 1959, the year in which Massironi took part in the Premio San Fedele; it was in this moment that he was admitted to the exhibition with a ribbed piece of cardboard the furrows of which are interrupted in the median part by furrows running in the opposite way, an expedient that underlines the vibrations of the light and shade of the work. As a mark of protest and indignation, the president of the jury held out against the participation of the young artist and decided to resign, believing that the work had no artistic value or message. The scandal of the corrugated cardboard was not missed by Piero Manzoni who hurried to write to his colleague to express his interest and pleasure. And it was not by chance that in the same year Manzoni signed his name at the centre of a piece of cardboard folded in half5. Where Massironi’s intuition stopped - though this neither exhausts nor investigates in-depth the implications of his ribbed cardboard - De Alexandris involved himself in maximising the luminous-volumetric effect obtained by folding paper. Even though both artists were interested in the luminous oscillations generated by the support, Massironi’s pre-existing ribbings are different from those of De Alexandris who, vice-versa, conceived of the folding as both “project” and as a “path” to be followed. Thought out with great attention and precision, the introversions/extroversions caused by the folding articulate the visual field which has a direct relationship to an architectural dimension. The use of increasingly large formats shortly after led the artist to try out the same procedure with polystyrene and laminates, and he also found a complete answer to his needs in the use of metal sheets. At that point De Alexandris began to trust in mechanical folding in order to finally manage to impress his gesture, without having to express it any longer. According to Carlo Belloli, “the surfaces of De Alexandris are, then, proportional modulators that give a visual monochrome answer and a complex visual persistence” that belong to “a type of elementary and meta-constructivist plastic visuality”6. Like many other artists of the time, the works by De Alexandris too have a neutral background, a visual disengagement that allows an intellectual engagement. Having to orientate himself in the wide choice of technical materials used for painting, above all the secondary ones wrongly considered to be minor, the artist pinpointed paper – necessarily smooth, always white – as having all the characteristics that satisfied his actions. To avoid any misunderstanding, it should be added that these works of his are not monochromatic, that is pictures having a single colour, precisely because he does not consider white as a colour but limits himself to identifying it with the material. By avoiding the monomania and monotony of the “colour field”, De Alexandris weakens any kind of subjectivity and emotiveness by converting the artistic experience into a process of deduction and production. Despite the fact that the white paper suggests a suspension of vision, its volume is not invisible
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to the gaze and even less to touch. As a result, De Alexandris made some sculptural structures – though it would not be correct to call them sculptures – that commute the geometry into a three-dimensional volume (a drawing in space that is also an attempt at drawing, and perhaps even folding, space itself). Other contemporary works show curves or fractures, and also fluorescent pigmentation, more similar to a luminous emission than to a gradation of colour. In the following years the artist used colour with a more permissive attitude, allowing it to filter, almost by reverberation, into the intervals that separate the graduated sheets of paper of the Rilievi (see p. 9). In this specific case there is an equivalence between the superimposition of the Schoeller cards and their subdivision into areas that modulate and, at the same time, multiply the surface. The various thicknesses, laid out at regular intervals, highlight vertical, horizontal, and oblique lines that regulate the intensity as well as the proportional relationships of the parts applied by scrolling or rotation. Analogous diagonals, orthogonal and parallel lines can also be seen in the Markierungen made by Winfred Gaul between 1972 and 1977. Having just finished the series Signalbilder, Gaul arrived at a naked and severe concision with which he delineated the raw linen canvas with plaster, charcoal, or wax pastel. We are dealing with an automatic gesture, a trace left on the surface to mark the artist’s “passage”, contrarily to the “path” of the other. When comparing the two artists it is curious to note how in Gaul the act of painting merges with the act of drawing, while in De Alexandris the operation is converted into a conceptual schematisation. The latter’s Rilievi were obtained by the bringing together of various surfaces to highlight the chromatic volumes. Indulging his own constructive character, the artist separates and joins together, disarticulates and re-programmes space at a practical-operative level, finding a correlation with his own “thought in terms of painting”. Having left behind him the series of folded works indicated by the initials TS (1965-1969), and having by now finished his series of Rilievi (1967-1973), the artist turned his interest to a new series of works, the t/n pieces (1974-1978) that had the aim of subtracting light from the support. Once again De Alexandris used cards that were notched – in length and depth – by a steel point. Each incision was undertaken vertically and at an equal distance one from the other, and the outcome was a hatching that subtracted consistency from the thickness of the material, an expedient that revealed its overt concreteness. Rather than give a form to an intention, De Alexandris was now interested in monitoring the situation, in the sense of “giving place to a gesture”. The Faustian in the beginning was action is brought into line with the decided cutting of the scalpel, admitting, however, some slight palpitation or imprecision of the hand (luckily, De Alexandris does not worry about reaching perfection: his works are the result of a technique that is not inhuman)7. The artist puts it well when he says that each groove traced out by the scalpel does not imply a reiteration, there is nothing mechanical about an interminable initiative gesture. It is as though it is always the first gesture, everything happens just once. The second time is already another things, not the thing itself.
Winfred Gaul, Markierungen XVI, 1973, acrilico su tela | acrylic on canvas, 50 x 50 cm Collezione MAC | MAC Collection, Lissone
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The intrinsic value of the t/n works is proportionate to their internal rhythm, a rhythm that is cadenced (though perhaps it would be better to say slowed down) by our enjoyment of it. The apparent blindness squandered by the t/n belongs to what Klaus Honnef used to indicate as “low perception”, a definition coined for identifying works that impose on the viewer a prolonged observation. With regard to this, Francesco Poli has admitted that in the works of De Alexandris “there is not much to see for those who are not able to enter with their gaze the impalpable depth
of the surface, for those who are not used to visual thinking and meditation and who expect from a work the direct impact of a representation that satisfies their expectations of an ‘artistic content’”8. Even though viewers usually expect that an art work will reveal itself immediately and wholly, it is probable that they are not anyway capable of fully understanding it. It is as though the evidence ended up blinding them involuntarily. We can look at painting, we can speak about it and try to describe it, illustrate it, explain it, and yet this is not enough, because painting is never what is in front of us. Painting is nothing other than a consequence, an ocular testimony that reciprocates our view, making us apprehensive every time we remember that only the painter can really understand its essence. In order to understand what it is, it is necessary to enter within it, just as De Alexandris has done with the use of folding and a scalpel. He thinks of/plans painting with great sharpness, and equally sharp is the range of technical tools he has used over the years. The scalpels, paper, and graphite – which is a relative of diamond – are cutting, just as are the slender sheets of metal, similar to the blade of a guillotine. The white scrubs worn by the painter are the same as those of a surgeon, both being employed in an operation that is accurate even more then delicate. Even if the artist has the cold blood and is sufficiently stable for undertaking his task, Delacroix rightly pointed out that “a painter is not a surgeon his merit is not to be found in his mastery”9. So, more than a surgeon’s scrubs, it is probable that De Alexandris has chosen a straitjacket in order to manage to exercise his concentration, shifting his attention to the limits of painting. But however radical he is, the artist’s action never moves towards annihilation; on the contrary it always assumes a new start. Aware that negation cannot be bent to his aims, it is De Alexandris himself who uses the following example: if you scratch the white of the cardboard, you end up discovering another white (that of the underlying wall), and due to this the artist accepted brandishing the scalpel for the last time, as soon as he violated the surface of the large Trittici (Triptychs, 1981) that make up an inventory and an overcoming of the preceding ways of operating. In these we find the incisions, geometric shifts, superimpositions of shaved cardboard, and a colouring with a moved and irregular application that creates a field of material transparency. When commenting on the Trittici, Alberto Veca understood how “De Alexandris has increased in complexity the study of the indices variations of light on the surface that had been the leitmotif of his preceding art: an increase that is the equivalent of a greater force of contrast that the various operations on the surface – from the brushstrokes to incisions, tearing, the maintenance of the intact material and thus of a form of suspension/observation – can have in their juxtaposition”10. What Veca and other critics forget to say is that the Trittici series coincided with a methodological crisis on the part of De Alexandris. Here the artist found himself at an important crossroads which forced him to side with or against painting, a choice that was to induce him to mitigate his adamantine planning. The incisions of the t/n pieces were, then, substituted by the tearing, unravelling, and superimposition of cards or canvases covered with colour. It is the result of trials, studies, exercises that had been forgotten inside a chest. Building on the old fragments of painting, De Alexandris rediscovered the fragrance of colours and their subversive refinement. Comparable to the blooming of a muted memory, the scraps of painting once again obviated themselves in their different textures and material consistencies, thanks to a principle of both contiguity and continuity. In an attempt to move the pictorial plane, the artist tore up and combined the irregular scraps by fixing them to the upper extremity of the support so that they wrinkled or distended in free fall. The effect is not dissimilar to dripping, and it accepts chance and encourages the laws of gravity11. The frayed and fluctuating strips allow De Alexandris to arrive at compositional dodges and colour juxtapositions that were unthinkable until just a few years before. However, with the passing of time the wide range of cards, canvases, and tissue paper has been continuously lessening. Even though De Alexandris does his best to replenish his own “painterly deposit”, when it comes down to it he accepts the idea that it is impossible to repeat the colour proofs that had built up spontaneously, without any particular intention or premeditation. Having used up his personal stockpile, De Alexandris once again questioned himself about his modus operandi, and then
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decided to free himself from biological time in order to immerse himself in that suspended time that vertiginously lingers in painting. From halfway through the 1990s, the ticking off the clock seems to suddenly stop and abdicate in favour of an “infinite” time that, just like painting, never comes to an end. Until this moment the path of De Alexandris mirrors that of the times and is perfectly in line with international art researches. Tangency, affinity, and sensitivity make him resemble other important artists of his generation; however, from halfway through the 1990s De Alexandris rediscovered his faith in brushes and canvas and adopted recurrent formats that allowed him to work on his own internal rhythm, one that asked to be questioned and interpreted as though it were an oracle. We are dealing with a painting more to be experienced than to be seen, one resistant to pretence and illusion, more meditative then mental. For more than twenty years the artist has tried to harness paintings with indefinite boundaries that lead us to Limen, to a threshold that is not just a limit and a boundary, but also a home and an objective. Our eye is allowed to go beyond the “thresholds” and to gain entry to the “gardens, to enter the “rooms”, to go beyond the “mirrors” quoted in the titles of the works. There remains, however, the impression that the distances are impossible to overcome and that the waiting is put off continuously. The thresholds that we see are not near to “disappearance” but if anything they lay claim to a “suspension” between inside and out, between finished and the infinite. If the preceding decades excluded the idea of monochrome, with the arrival of the new millennium it is undeniable that De Alexandris’s painting was monochrome, as well as being indeterminate and indefinable. By inscribing and rewriting the qualities of painting, the artist has delimited its spatiality, and split and fragmented the space with black and red marks, to create a nervous and venous apparatus on which to model the body of the colour. The colours emerge and impose themselves through veils, they seem to want to suggest a surreptitious perspective that is continuously foiled, and so every spatial connotation ends up being absorbed at the level of planimetry and acts as a glue between what is near and what is distant. What is of vital importance to the artist is to subdivide the surface, to fracture the gaze within a texture that scans the intensity of the pictorial values. It should be noted how in these works there reoccur faint and subtle lines that delimit the process of the creation of pictorial image. In a constant process of synthesis and purification, the marks reduce and redistribute the painterly field, and do all they can to find a geometric scheme, a rational subdivision that is immediately subverted by the colour that penetrates, expands, blends, to dissimulate reality and to dissolve its forms. These are “excerpts” of painting that the artist creates a layout for with enviable dexterity, replenishing that ephemeris that just a few years earlier was composed of folds, thicknesses, incisions, and tears. By challenging the experiences conducted under the flag of excessive rarefaction, it seems that De Alexandris has rediscovered his own Bestimmung, his “vocation” and “resolution” to paint with veils, transparencies, and superimpositions. Wrongly we might suppose that the artist has been reconciled to painting, but truthfully there has never been a break and even less a rejection of the painting discipline. In the many paths/projects undertaken by the artist this latter is undoubtedly the most important and, not by chance, the most enduring, since he began in 1992 and is still following it today. The painting of De Alexandris is not of images but, rather, of atmosphere, of memory and, at the same time, of amnesia. The artist weighs his brushstrokes by paying great attention to touch, impasto and chromatism, all of which confers on the colour range its particular character. The painting dilates and thickens in continuation, coming to the surface as though rising just above the water. It could seem like an emergent land, an oasis where it is possible to find refuge and to be estranged in solitude and silence. Sandro De Alexandris is ever ready to compare his painting
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to an island glows with light; he often uses the example of Ithaca, though it could also be Cythera, by now distant, by now lost, just like Atlantis. Or perhaps fallen, suspended between the earth and the sky, between reality and invention, like Sabha. Stupor rather than painterly sensations enwrap the viewers with fields of colour that seem the theatre curtains of a “painting that recites painting”. The nebulous covering allows us to understand and glimpse its nature, leading to that sense of belonging to reality without, however, making it correspond completely. Colour stresses the centre of the scene, it presses in on itself, and supports the symmetry of the lateral edges, as against the exaggerated upper and lower edges, that leave untouched the perimeter of the linen canvas and underline the momentary balance. As Gualdoni has stated, “De Alexandris thought and thinks of love and with love with regard to painting. Of painting, of the work, and not of its many disguises and rhetorical misunderstandings. Of painting, or in other words of its final conceptual reason, a seeing and making see that, the journey of the eye to the intellect, the mind having been cleansed of any dross, can still speak without quotation marks of mental things, of the fullness of experience”12. But if Amor cannot be given up without Psyche, in the same way there cannot fail the marriage between the project and the painting, an attraction that satisfies a reciprocal desire. Between persistence and rarefaction, there is no doubt that the technical-poetic solutions of Sandro De Alexandris continue to question and reveal painting by clinging to the borders of its identity. But then, “every journey through – around – painting is always a new beginning”13, an inexhaustible attempt to paint the impalpable, perhaps a metaphor for the ephemeral and the transient, of a murmur that flies into the sunrise.
Basta il progetto, portfolio curated by Gianni Contessi, Centro La Cappella, Trieste, 15 December 1972 – 15 February 1973. 2 P. Fossati, Dal progetto all’opera, Museo di Castelvecchio, Verona 1974, p. 18. 3 A. Spatola, Geiger 1968 – Antologia sperimentale, Edizioni Geiger, Turin 1968, pages unnumbered. 4 H. Heißenbüttel, De Alexandris, OOLP, Turin 2014, p. 33. The 13 Abkürzungen by Heißenbüttel were written in 1970 for a show held at the Galerie 66 in Hofheim; missing over the years, they were recently rediscovered by De Alexandris who collected them together and had them printed. 5 The work was to be reproduced on the poster for the show that the Galleria La Tartaruga, Rome, devoted to the artist in January 1967. 6 C. Belloli, “De Alexandris e la modulazione di proporzioni”, in Sandro De Alexandris / operazioni plastiche, edizioni Studio di Informazione Estetica, Turin 1967, pages unnumbered. 7 In this sense, the artist is a tool for making, a “technical application” of the artistic process. 8 F. Poli, Sandro De Alexandris, Il velo dell’aria, Giampiero Biasutti, Turin 2009, p. XI. 9 E. Delacroix, Scritti sull’arte, (Writings on Art), Edizioni Se, Milan 2005, p. 45. 10 A. Veca, De Alexandris, Galleria Giancarlo Salzano, 1
Turin 1982, pages unnumbered. 11 In some cases the wrinkling of the paper and the undulations of the torn canvas, are attenuated by small strips of wood. The chromatic-harmonic relationships, instead, are balanced with lines traced out freehand, an expedient that allows the stabilisation and balancing of the forms. 12 F. Gualdoni, Sandro De Alexandris, Galleria Peccolo, Livorno 2012, pp. 3-4. 13 S. De Alexandris, Soglie, OOLP Libreria d’Arte, Turin 2014, p. 81.
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OPERE WORKS
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Due spessori orizzontali al centro, 1964, incisione su cartoncino, 50 x 50 cm
Misura di spazio 1, 1965, incisione su tavola, 80 x 80 cm
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Senza titolo, 1964,tempera su cartoncino, 35 x 35 cm
Senza titolo 4, 1964, tempera su cartoncino, 35 x 35 cm
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sp 1, 1964, cartoncino piegato, 25 x 25 cm
sp 2, 1964, cartoncino piegato, 28 x 28 cm
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sp 3, 1964, cartoncino piegato, 18 x 28 cm
sp 4, 1964, cartoncino piegato, 17,7 x 28 cm
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sp 5, 1964, cartoncino piegato, 13,8 x 28 cm
sp 6, 1964, cartoncino piegato, 28 x 28 cm
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sp 7, 1964, cartoncino piegato, 29 x 29 cm
sp 8, 1964, cartoncino piegato, 30 x 30 cm
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ts/g1, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
ts/g3, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
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ts/g4, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
ts/g5, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
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ts/g8, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
ts/g9, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
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ts/g10, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
Bianco+Bianco n. 4, 1964, rilievo in legno e smalto su tavola, 53 x 53 cm
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Bianco+Bianco n. 7, 1964, rilievo in legno e smalto su tavola, 53 x 53 cm
Bianco+Bianco n. 8, 1964/65, rilievo in legno e smalto su tavola, 50 x 50 cm
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Sandro De Alexandris, TS-13, 1966/67, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Collezioni del Novecento, Museo Sperimentale,Torino 44 foto di | photo by Paolo Robino, 2019, su concessione della | courtesy of Fondazione Torino Musei
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Misura di spazio n. 5, 1965/66, ferro, 80 x 80 x 5 cm
Misura di spazio n. 7, 1965/66, ferro, 80 x 80 x 5 cm
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Misura di spazio n. 9, 1965/66, ferro, 80 x 80 x 5 cm
TS/7, 1966, ferro, 180 x 180 x 5 cm
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TS/3, 1966, ferro, 50 x 160 x 5 cm
TS/4, 1966, ferro, 50 x 160 x 5 cm
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TS/5, 1966, ferro, 50 x 160 x 5 cm
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TS/9, 1966, ferro, 100 x 175 x 5 cm
TS/14, 1966/67, ferro, 100 x 175 x 5 cm
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Interno dello studio, 1967
TS/11, 1966/67, ferro, 150 x 75 x 25 cm 57
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Interno dello studio, 1967
TS/17, 1966/67, ferro, 200 x 200 x 15 cm
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2TS/P3, 1967, resine poliestere, 160 x 80 x 30 cm
2TS/P1, 1967, resine poliestere, 160 x 80 x 30 cm
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TS/16, 1966/67, ferro, 200 x 100 x 10 cm
TS/LP 11, 1967, laminati plastici e vernice acrilica, 80 x 200 x 30 cm
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TS/LP 12, 1967, laminati plastici e vernice acrilica, 150 x 80 x 2,5 cm
TS/LP 2, 1967, laminati plastici e vernice acrilica, 100 x 100 x 10 cm
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TS/21, 1966/68, ferro, 150 x 180 x 15 cm
TS/LL P 01, 1965/69, poliestere su tavola, 120 x 120 x 8 cm
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TS/22, 1966/69, ferro, 120 x 280 x 160 cm
2TS/LL 05, 1967/69, poliestere su tavola, 150 x 200 x 27,5 cm
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2TS/LL 03, 1967/69, poliestere su tavola, 150 x 200 x 27,5 cm
2TS/LL 02, 1967/69, poliestere su tavola, 150 x 200 x 27,5 cm
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3TS/LL 04, 1969, poliestere su tavola, 160 x 168 x 8 cm
3TS/LL 07, 1969, poliestere su tavola, 164 x 164 x 8 cm
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Collezione Intesa San Paolo, Gallerie d’Italia, Cantiere del ’900, Milano
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Percorso orizzontale, 1967, rilievo Schoeller su tavola, 69 x 69 cm
Costruzione ortogonale, 1970, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
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Rosso al centro, 1969, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
Rosso verticale, 1970, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
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Giallo orizzontale, 1970, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
Giallo luce ortogonale, 1971, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
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Riverberazione sulla diagonale, 1970/71, rilievo Schoeller su tavola, 70 x 70 cm
Spostamento ortogonale G1, 1967/72, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm
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Rosso ortogonale, 1969/72, rilievo Schoeller su tavola, 89 x 89 cm
Doppio percorso diagonale R, 1970/72, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm
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Giallo ortogonale+giallo luce 1/2, 1/4, 1970/72, rilievo Schoeller su tavola, 70 x 70 cm
Ripartizione ortogonale 1/9, G 1, 1971/72, rilievo Schoeller su tavola, 69 x 69 cm
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Continuo-variato in dieci tempi d’attuazione 1.10, 1970/71, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
Percorso orizzontale a intensità variata in cinque tempi, 1965/73, rilievo Schoeller su tavola, 35 x 35 cm
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Ripartizione orizzontale a intervalli di tempo uguali I.5.1, 1967/73, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm
Ripartizione orizzontale a intervalli di tempo uguali I.5.2, 1967/73, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm
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Spostamento ortogonale n. 2, 1967/73, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm
Costruzione ortogonale n. 2, bianco+nero, 1969/73, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm
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Nero verticale+giallo luce ortogonale, 1973, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm
Ripartizione orizzontale alternata, 1973, rilievo Schoeller su tavola, 89 x 89 cm
95
96
Ripartizione orizzontale a intensità variata+tracciato ortogonale 3.T.01, 1973/74, rilievo Schoeller su tavola, 149 x 99 cm
Ripartizione orizzontale a intervalli di tempo uguali 3.T.1, 1973/74, rilievo Schoeller su tavola, 149 x 99 cm
97
98
Ripartizione orizzontale a intervalli di tempo uguali 3.T.2, 1973/74, rilievo Schoeller su tavola, 149 x 99 cm
Tracciato ortogonale ad intensità variata, 1974, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
99
100 Sandro De Alexandris. 1964|2018, 10 A.M. ART, Milano, 2019
101
102
t/n 1.0, 1974, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
t/n 1.04, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
103
104
t/n 1.014, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
t/n 1.015, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
105
106
t/n 2.0, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
t/n 2.01, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
107
108
t/n 4.01, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
Senza titolo, 1975, cartoncino graffiato, 100 x 70 cm
109
110
Senza titolo, 1975, cartoncino graffiato, 100 x 70 cm
t/n 1.016, 1974/76, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
111
112
t/n 1.018, 1974/76, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
t/n 1.019, 1974/76, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
113
114
t/n 5.0, 1974/77, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
t/n 1.13, 1974/78, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
115
116
t/n 1.15, 1974/78, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
t/n 1.16, 1974/78, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
117
118
t/n 1.017, 1974/78, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
Buongiorno Ulrich, 1981, cartone Schoeller graffiato, rilievo e inchiostro su tavola, 140 x 300 cm
119
120 Sandro De Alexandris, 1981, foto di | photo by Roberto Goffi
121
122
Il limite e l’armonia, a L.W., 1981, cartone Schoeller graffiato e inchiostro su tavola, 140 x 300 cm
123
124
Senza titolo, 1981, cartone Schoeller graffiato e inchiostro su tavola, 70 x 150 cm
Dedicato a un poeta, a E.E.C., 1981/83, collage di carte graffiate e inchiostro, 12 elementi 35 x 61 cm
125
126
Fermagli dell’aria, 1983, tecnica mista su tavola, 81,5 x 143,5 cm
Margini dell’infinito, 1983, tecnica mista su tavola, 81,5 x 143,5 cm
127
Senza titolo, 1984, tecnica mista su tavola, 64 x 100 cm
128
129
130
Soglia II. 1989, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
Soglia III. 1989, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
131
Sandro De Alexandris, 1990, foto di | photo by Pino Dell’Aquila 132
Stanza, 1989, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
133
134
Interno I. 1990, tecnica mista su tavola, 145 x 100 cm
Giardino II. 1990, tecnica mista su tavola, 145 x 100 cm
135
136
Stanza IV. 1990, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
Stanza V. 1990, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
137
138
Margine V. 1991, tecnica mista su tavola, 145 x 100 cm
Stanza VI. 1991, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
139
Sandro De Alexandris, 1990, foto di | photo by Pino Dell’Aquila 140
Stanza VII. 1991, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
141
142
Stanza X. 1992, tecnica mista su tela, 163 x 143,5 cm
Interno II. 1991, tecnica mista su tavola, 145 x 100 cm
143
144
Interno VI. 1992, tecnica mista su tela, 163 x 143,5 cm
Porta, 1993, tecnica mista su tela, 163 x 143,5 cm
145
Interno dello studio, 1992, foto di | photo by Fulvio Richetto 146
147
148
Margine blu, 1996, olio e pastelli su tela, 145 x 100 cm
Luogo dell’ombra, 1999, olio e pastelli su tela, 163 x 120 cm
149
150
Soglia XVI. 1997, olio e pastelli su tela, 190 x 220 cm
Passo d’indaco, 1997, olio e pastelli su tela, 163 x 190 cm
151
152
Stanza XVII. 1997, olio e pastelli su tela, 190 x 220 cm
Aura V. 2007, olio e pastelli su tela, 163 x 120 cm
153
154
Galleria Annotazioni, Milano, 2008, foto di | photo by Thomas Libiszewski
155
156
Aura VII. 2009, olio e pastelli su tela, 145 x 160 cm
Del respiro V. 2014, olio e pastelli su tela, 145 x 160 cm
157
158
Aura VIII. 2016, olio e pastelli su tela, 163 x 180 cm
Stanza XLVI. 2013, olio e pastelli su tela, 145 x 100 cm
159
160
Stanza XLVIII. 2014, olio e pastelli su tela, 145 x 160 cm
Il velo dell’aria XIV. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 143,5 cm
161
162
Del respiro VI. 2016, olio e pastelli su tela, 145 x 100 cm
Soglia XLIII. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 143,5 cm
163
164
Il velo dell’aria XV. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 143,5 cm
Sospeso II. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 143,5 cm
165
166
Soglia XLIV. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 180 cm
Trasparente XVIII. 2018, olio e pastelli su tela, 145 x 120 cm
167
168
Verso i margini dell’aria, 2018, olio e pastelli su tela, 190 x 220 cm
Il velo dell’aria XVII. 2019, olio e pastelli su tela, 190 x 220 cm
169
170
APPARATI
APPENDIX
171
Elenco delle opere List of works
p. 22 Due spessori orizzontali al centro, 1964, incisione su cartoncino, 50 x 50 cm p. 23 Misura di spazio 1, 1965, incisione su tavola, 80 x 80 cm
p. 38 ts/g8, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm p. 39 ts/g9, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
p. 24 Senza titolo, 1964, tempera su cartoncino, 35 x 35 cm
p. 40 ts/g10, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
p. 25 Senza titolo 4, 1964, tempera su cartoncino, 35 x 35 cm
p. 41 Bianco+Bianco n. 4, 1964, rilievo in legno e smalto su tavola, 53 x 53 cm
p. 26 sp 1, 1964, cartoncino piegato, 25 x 25 cm
p. 42 Bianco+Bianco n. 7, 1964, rilievo in legno e smalto su tavola, 53 x 53 cm
p. 27 sp 2, 1964, cartoncino piegato, 28 x 28 cm p. 28 sp 3, 1964, cartoncino piegato, 18 x 28 cm p. 29 sp 4, 1964, cartoncino piegato, 17,7 x 28 cm p. 30 sp 5, 1964, cartoncino piegato, 13,8 x 28 cm p. 31 sp 6, 1964, cartoncino piegato, 28 x 28 cm p. 32 sp 7, 1964, cartoncino piegato, 29 x 29 cm p. 33 sp 8, 1964, cartoncino piegato, 30 x 30 cm p. 34 ts/g1, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm p. 35 ts/g3, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm p. 36 ts/g4, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
172
p. 37 ts/g5, 1964/65, incisione su cartoncino, 30 x 30 cm
p. 43 Bianco+Bianco n. 8, 1964/65, rilievo in legno e smalto su tavola, 50 x 50 cm p. 46 Misura di spazio n. 5, 1965/66, ferro, 80 x 80 x 5 cm p. 47 Misura di spazio n. 7, 1965/66, ferro, 80 x 80 x 5 cm p. 48 Misura di spazio n. 9, 1965/66, ferro, 80 x 80 x 5 cm p. 49 TS/7, 1966, ferro, 180 x 180 x 5 cm p. 50 TS/3, 1966, ferro, 50 x 160 x 5 cm p. 51 TS/4, 1966, ferro, 50 x 160 x 5 cm p. 52 TS/5, 1966, ferro, 50 x 160 x 5 cm p. 54 TS/9, 1966, ferro, 100 x 175 x 5 cm p. 55 TS/14, 1966/67, ferro, 100 x 175 x 5 cm
p. 57 TS/11, 1966/67, ferro, 150 x 75 x 25 cm p. 59 TS/17, 1966/67, ferro, 200 x 200 x 15 cm p. 60 2TS/P3, 1967, resine poliestere, 160 x 80 x 30 cm p. 61 2TS/P1, 1967, resine poliestere, 160 x 80 x 30 cm p. 62 TS/16, 1966/67, ferro, 200 x 100 x 10 cm p. 63 TS/LP 11, 1967, laminati plastici e vernice acrilica, 80 x 200 x 30 cm p. 64 TS/LP 12, 1967, laminati plastici e vernice acrilica, 150 x 80 x 2,5 cm p. 65 TS/LP 2, 1967, laminati plastici e vernice acrilica, 100 x 100 x 10 cm
160 x 168 x 8 cm p. 73 3TS/LL 07, 1969, poliestere su tavola, 164 x 164 x 8 cm p. 76 Percorso orizzontale, 1967, rilievo Schoeller su tavola, 69 x 69 cm p. 77 Costruzione ortogonale, 1970, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm p. 78 Rosso al centro, 1969, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm p. 79 Rosso verticale, 1970, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm p. 80 Giallo orizzontale, 1970, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
p. 66 TS/21, 1966/68, ferro, 150 x 180 x 15 cm
p. 81 Giallo luce ortogonale, 1971, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
p. 67 TS/LL P01, 1965/69, poliestere su tavola, 120 x 120 x 8 cm
p. 82 Riverberazione sulla diagonale, 1970/71, rilievo Schoeller su tavola, 70 x 70 cm
p. 68 TS/22, 1966/69, ferro, 120 x 280 x 160 cm
p. 83 Spostamento ortogonale G1, 1967/72, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm
p. 69 2TS/LL 05, 1967/69, poliestere su tavola, 150 x 200 x 27,5 cm p. 70 2TS/LL 03, 1967/69, poliestere su tavola, 150 x 200 x 27,5 cm p. 71 2TS/LL 02, 1967/69, poliestere su tavola, 150 x 200 x 27,5 cm p. 72 3TS/LL 04, 1969, poliestere su tavola,
p. 84 Rosso ortogonale, 1969/72, rilievo Schoeller su tavola, 89 x 89 cm p. 85 Doppio percorso diagonale R, 1970/72, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm p. 86 Giallo ortogonale+giallo luce 1/2, 1/4, 1970/72, rilievo Schoeller su tavola, 70 x 70 cm
p. 87 Ripartizione ortogonale 1/9, G 1, 1971/72, rilievo Schoeller su tavola, 69 x 69 cm p. 88 Continuo-variato in dieci tempi d’attuazione 1.10, 1970/71, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm p. 89 Percorso orizzontale a intensità variata in cinque tempi, 1965/73, rilievo Schoeller su tavola, 35 x 35 cm p. 90 Ripartizione orizzontale a intervalli di tempo uguali I.5.1, 1967/73, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm p. 91 Ripartizione orizzontale a intervalli di tempo uguali I.5.2, 1967/73, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm p. 92 Spostamento ortogonale n. 2, 1967/73, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm p. 93 Costruzione ortogonale n. 2, bianco+nero, 1969/73, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm p. 94 Nero verticale+giallo luce ortogonale, 1973, rilievo Schoeller su tavola, 99 x 99 cm p. 95 Ripartizione orizzontale alternata, 1973, rilievo Schoeller su tavola, 89 x 89 cm p. 96 Ripartizione orizzontale a intensità variata+tracciato ortogonale 3.T.01, 1973/74, rilievo Schoeller su tavola, 149 x 99 cm p. 97 Ripartizione orizzontale a intervalli di tempo uguali 3.T.1, 1973/74, rilievo Schoeller su tavola, 149 x 99 cm p. 98 Ripartizione orizzontale a intervalli di tempo uguali 3.T.2, 1973/74, rilievo Schoeller su tavola, 149 x 99 cm
173
p. 99 Tracciato ortogonale ad intensità variata, 1974, rilievo Schoeller su tavola, 30 x 30 cm
p. 114 t/n 5.0, 1974/77, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 131 Soglia III. 1989, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
p. 102 t/n 1.0, 1974, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 115 t/n 1.13, 1974/78, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 133 Stanza, 1989, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
p. 103 t/n 1.04, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 116 t/n 1.15, 1974/78, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 134 Interno I. 1990, tecnica mista su tavola, 145 x 100 cm
p. 104 t/n 1.014, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 117 t/n 1.16, 1974/78, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 135 Giardino II. 1990, tecnica mista su tavola, 145 x 100 cm
p. 105 t/n 1.015, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 118 t/n 1.017, 1974/78, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 136 Stanza IV. 1990, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
p. 106 t/n 2.0, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 119 Buongiorno Ulrich, 1981, cartone Schoeller graffiato, rilievo e inchiostro su tavola, 140 x 300 cm
p. 137 Stanza V. 1990, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
p. 107 t/n 2.01, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 122 Il limite e l’armonia, a L.W., 1981, cartone Schoeller graffiato e inchiostro su tavola, 140 x 300 cm
p. 138 Margine V. 1991, tecnica mista su tavola, 145 x 100 cm
p. 108 t/n 4.01, 1974/75, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
p. 124 Senza titolo, 1981, cartone Schoeller graffiato e inchiostro su tavola, 70 x 150 cm
p. 139 Stanza VI. 1991, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
p. 109 Senza titolo, 1975, cartoncino graffiato, 100 x 70 cm
p. 125 Dedicato a un poeta, a E.E.C., 1981/83, collage di carte graffiate e inchiostro, 12 elementi 35 x 61 cm
p. 141 Stanza VII. 1991, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
p. 126 Fermagli dell’aria, 1983, tecnica mista su tavola, 81,5 x 143,5 cm
p. 142 Stanza X. 1992, tecnica mista su tela, 163 x 143,5 cm
p. 127 Margini dell’infinito, 1983, tecnica mista su tavola, 81,5 x 143,5 cm
p. 143 Interno II. 1991, tecnica mista su tavola, 145 x 100 cm
p. 128 Senza titolo, 1984, tecnica mista su tavola, 64 x 100 cm
p. 144 Interno VI. 1992, tecnica mista su tela, 163 x 143,5 cm
p. 110 Senza titolo, 1975, cartoncino graffiato, 100 x 70 cm p. 111 t/n 1.016, 1974/76, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm p. 112 t/n 1.018, 1974/76, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm p. 113 t/n 1.019, 1974/76, cartone Schoeller graffiato su tavola, 145 x 100 cm
174
p. 130 Soglia II. 1989, tecnica mista su tavola, 163 x 143,5 cm
p. 145 Porta, 1993, tecnica mista su tela, 163 x 143,5 cm
p. 148 Margine blu, 1996, olio e pastelli su tela, 145 x 100 cm
p. 163 Soglia XLIII. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 143,5 cm
p. 149 Luogo dell’ombra, 1999, olio e pastelli su tela, 163 x 120 cm
p. 164 Il velo dell’aria XV. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 143,5 cm
p. 150 Soglia XVI. 1997, olio e pastelli su tela, 190 x 220 cm
p. 165 Sospeso II. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 143,5 cm
p. 151 Passo d’indaco, 1997, olio e pastelli su tela, 163 x 190 cm
p. 166 Soglia XLIV. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 180 cm
p. 152 Stanza XVII. 1997, olio e pastelli su tela, 190 x 220 cm
p. 167 Trasparente XVIII. 2018, olio e pastelli su tela, 145 x 120 cm
p. 153 Aura V. 2007, olio e pastelli su tela, 163 x 120 cm
p. 168 Verso i margini dell’aria, 2018, olio e pastelli su tela, 190 x 220 cm
p. 156 Aura VII. 2009, olio e pastelli su tela, 145 x 160 cm
p. 169 Il velo dell’aria XVII. 2019, olio e pastelli su tela, 190 x 220 cm
p. 157 Del respiro V. 2014, olio e pastelli su tela, 145 x 160 cm p. 158 Aura VIII. 2016, olio e pastelli su tela, 163 x 180 cm p. 159 Stanza XLVI. 2013, olio e pastelli su tela, 145 x 100 cm p. 160 Stanza XLVIII. 2014, olio e pastelli su tela, 145 x 160 cm p. 161 Il velo dell’aria XIV. 2017, olio e pastelli su tela, 163 x 143,5 cm p. 162 Del respiro VI. 2016, olio e pastelli su tela, 145 x 100 cm
175
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Regesto
Umbro Apollonio, Studio di Informazione Estetica, Torino 1967 Le serie “Bianco+Bianco” del 1964/65 e “Misure di spazio” del 1965/67 manifestano una proprietà più che altro dimostrativa, quasi a confermare la pensabile estensione estetica di adattamenti scientifici. Poi, oltre le strutture in cartoncino e plexiglas del 1966 – una sorta di scalatura sintattica a equilibri e incastri scanditi –, De Alexandris eseguisce i “TS” del 1966 e 1967, dove allo studio puntuale degli spostamenti di forme elementari di già presiede un’inferenza emotiva. Dalla pretta deduttività dottrinaria il passaggio è avvenuto in favore di una proprietà metodologica, la quale si è valsa di un maggior grado affettivo di tramite e quindi di un’organizzazione meno primitiva delle precedenti, perché meno ordinaria e fornita, ora, del profitto di uno spiegamento di sensibilità che dà impronta particolare all’oggetto. È interessante, anzi di qualche rilevanza, che tali operazioni plastiche in ferro smaltato non lascino margine alcuno a equivoci o ambiguità: sono chiare, nette, non c’è nulla da interpretare, nulla da scoprire che sia diverso dall’accertamento della loro tenuta ecologica. Carlo Belloli, Studio di Informazione Estetica, Torino 1967 Quelle che De Alexandris intitola “Misure di spazio” potrebbero costituire una valida premessa alle operazioni di modulazione graduata e graduabile di una superficie piana, al fine di esercitare la capacità di suggestione dell’effetto di proporzione in quanto atto estetico già compiutamente significante. Così, ripartendo superfici a decorso orizzontale, De Alexandris presenta lo spettacolo della proporzione come dialettica di una plasticità che non ha più ricorso al colore e alla forma per sostanziarsi e definirsi. Questa estrema economia espressiva permette a De Alexandris di approfondire un metodo di sintesi che, nell’ambito del rapporto spazio-volume, rischia troppo spesso di sottostare a riduzioni del preesistente extraplastico o a dicotomie del simbolo. Nell’operare di De Alexandris la sintesi si svolge direttamente sulle componenti spaziali e si personalizza nell’invenzione di distanze fra settori di superficie visualmente anonima: bianco opaca. Leonardo Mosso, Studio di Informazione Estetica, Torino 1967 Parlare di De Alexandris è per me parlare di un’esperienza amica e vicina / dirò che il significato della sua opera deve essere indagato su di un piano di valori che sono quelli della ricerca / della ricerca come illuminazione e come espansione infinita della conoscenza / e cioè su di un piano dove la ricerca stessa si sublima in conoscenza in testimonianza di quel diritto primario dell’uomo che è la conoscenza. Umbro Apollonio, “Art International”, vol.XII/3 1968
Sandro De Alexandris, 1974, foto di | photo by Giorgio Avigdor
Ecco, De Alexandris divide con non molti il merito di esporre un comportamento creativo libero, limpido, semplice, capace di inserirsi autorevolmente in un contesto civile, alieno da qualsiasi compromissione di ordine ludico o divagante, sorretto su linearità assolute ed in questo riportando a nuove situazioni le proposte dei costruttivisti e dei geometrici. Da questi gli viene appunto quella certa rigidità speculativa, quasi riferimento
a segni matematici piuttosto che a reazioni intuitive colme di proposizioni linguistiche, che costituisce un po’ il limite di tale lavoro e che è del resto comune a tutti i purismi. Possiamo sbagliarci, ma le indicazioni riguardano meglio i trattamenti modulari della forma che i referenti di conoscenza. L’avvio però è giusto, e la serietà del comportamento dà garanzia che il passaggio verso l’attestazione di valori meglio precisati, e non solo indicati, non può avvenire che per quel punto di partenza da cui De Alexandris s’è mosso. Situazione che non ha aspettato l’arrivo delle proposte americane istituite sulle “strutture primarie” per affrontare un’esperienza che, al pari di quelle, risponde all’evolversi delle istanze attuali e prospetta nuove soluzioni al mandato estetico in senso di intervento pertinente al costituirsi di un ciclo di civiltà. Adriano Spatola, “Geiger” 2, Torino 1968 Il significato di un oggetto è l’uso che di tale oggetto fa l’arte / il prodotto della ricerca artistica è sempre intenzionale / De Alexandris lavora per produrre strutture elementari / la sua ricerca è una ricerca “all’aperto” in quanto programmata / l’uso che De Alexandris fa dell’oggetto è un uso sperimentale / si tratta soprattutto di strutture “abitabili” mentalmente / “l’homme y passe à travers des forets de symboles / qui l’observent avec des regards familiars” / ma qui la simbologia è ridotta alla sua fredda essenzialità / non rimanda ad altro che a se stessa / è costruita come panorama piatto delle possibilità standard dell’uomo / un oggetto è prima di tutto un oggetto e si sviluppa come oggetto / l’abolizione dell’alone metafisico della ricerca pura / il prodotto artistico come campo di forza di un metodo / dove il significato programmato è prima di tutto un punto di riferimento / l’oggetto come forza libera / la sua esistenza in un’area di interlocuzioni semantiche / la sua “presenza” nell’ambiente / De Alexandris tende all’oggetto come punto di equilibrio dell’ambiente / una collocazione fisica in uno spazio mentale. Lara Vinca Masini, Studio 2B, Bergamo 1968 Le grandi forme strutturali di De Alexandris non intendono esistere in sé indipendentemente dalle cose, ma instaurare un rapporto tra loro e le cose, caratterizzare, con la loro presenza, in una situazione data, anche ciò che è fuori di esse, farlo vivere e muovere in uno scambio relazionale, dinamico, attivo. Tendono, infine, a istituire superfici autonome, cariche di significati, alludenti ad una sorta di spazio-luce, di spazio-colore purissimo, e possono assumersi come mezzo di personalizzazione e di sensibilizzazione dello spazio architettonico. Umbro Apollonio, Galleria San Fedele, Milano 1970 Gli oggetti di De Alexandris ritengono sempre in sé la condizione di un processo dinamico: esso si comunica non per via di violenta antitesi o di abile dialettica, costrette nell’interno dello schema, ma per lo scorrimento e lo spostarsi delle coordinate che reggono i piani, i quali mettono perciò in vista lo spessore, pur esso, nel suo regolato rilievo, elemento attivo al pari degli altri. Ciò significa che la dinamica, privata di ridondanze o perturbamenti meccanici, si manifesta attraverso tensioni mai quantitative, sibbène ottenute per specifica e misuratissima qualificazione delle singole componenti. Rispetto all’abuso oramai frequente di superfici speculari e di accelerati cinetismi, con conseguenze spesso e volentieri di comodo spettacolare, il rigore di De
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Alexandris è, oltre tutto, un monito. Nel suo progettare ipotesi, di concretezza indiscutibile appena le si è apprese nel realizzo che vi ha dato – e qui va posto il punto risolutivo del problema creativo rispetto alla realtà empirica e cioè che la messa in opera, quand’è distaccata in modo definitivo dalle insinuazioni della memoria, diventa una risposta a necessità umane di prim’ordine – egli afferma una condizione di vita i cui edonismi sono, se mai, di tenuità così tanto meditata da annullarsi del tutto. Helmut Heissenbuttel, Sandro De Alexandris, Galerie 66, Hofheim Taunus, 1970 Sintesi 11. Poche forme niente colore: poche forme bianche: semplici proporzioni bianche: bianco non come sottrazione di colore bensì come non colore: non colore non come il più semplice da contrapporre al colorato: non colore come il più semplice con cui il molteplice colorato può essere misurato: proporzioni semplici come il semplice con cui le forme molteplici possono essere misurate: identità di semplici proporzioni e non di colore con se stesse: identità di semplici proporzioni e non di colore con la disposizione verso ciò che esiste: il semplice che fa riferimento al tutto. Ernesto Luciano Francalanci, Galleria Method, Bergamo 1974 La ricerca di Sandro De Alexandris è volta alla messa in forma dei modelli elementari nei quali si verifica un doppio processo di comunicazione. Il primo intende affermare la regolarità del pattern: il messaggio “poetico” si diparte quindi dalla riconoscibilità della sequenza e del rapporto degli elementi costituenti il modello, a loro volta riconoscibili nel repertorio dei simboli standardizzati. Paolo Fossati, Dal progetto all’opera, Museo di Castelvecchio, Verona 1974 Al centro di tutte queste ricerche sta, anche, un progetto inteso come sondaggio e controllo del linguaggio, se questo è cristallizzazione di una forma interna e analogo alla realtà. Come rivela il lavoro di De Alexandris non si tratta di una concettualità che fissa, ma l’organizzazione flessibile di una variabilità e della modificazione implicita in ogni accrescimento conoscitivo. Siamo ancora una volta in presenza di un processo: di quel processo concreto che rovescia di continuo i suoi termini noti nella fluttuazione dell’esperienza, non isolata e stabilita in una media statistica. L’enunciazione di alcune regole modulari fondamentali del comportamento conoscitivo si compie con un continuo richiamo della virtualità di una situazione che sembra dare lo stesso risultato complessivo e gioca invece su uno spessore di composizione diverso e diversamente motivato. Luciano Caramel, Edizione Serre Ratti, Como 1975 La massima apertura entro la massima circoscrizione. Questa, lapidariamente, la chiave di lettura, e la “qualità” prima, del lavoro di De Alexandris, e quindi anche della presente cartella. Apertura nei confronti del reale, cioè delle sue possibilità. Circoscrizione del campo operativo, degli strumenti, dell’oggetto dell’indagine: circoscrizione come scelta: ed “una scelta – sottolinea
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l’artista – non è una negazione, è determinazione di possibilità”. Non, perciò, riduzione come affermazione di certezza, di statica e convenzionale obiettività, sulle orme di una stanca divulgazione post-concretista. “Porre dei limiti alle proprie operazioni – è ancora De Alexandris – non vuol dire limitare la propria disponibilità a ciò che può essere. Vuol dire invece costringere l’analisi, perseguire il massimo di concentrazione”. Con quali risultati è facile constatarlo nelle tavole qui raccolte: delle superfici uniformemente bianche, solo interrotte, dal centro verso il basso, da brevi segmenti che si ripetono identici nella misura e nella posizione, mutando solo nel colore, dal bianco al nero, gradualmente, foglio dopo foglio. Paolo Fossati, “Data” n.21, Milano 1976, Galleria Peccolo, Livorno 1976 Da anni, ormai, De Alexandris ha posto il problema del quadro, e concepisce il quadro in termini diversi da quanto vanno facendo altri operatori in qualche modo imparentati dalla critica al suo lavoro. Per i quali, si torni a parlare di pittura, o a proporre una tradizione costruttivistica, la tela, il riquadro o il foglio sono strumenti deduttivi su cui sperimentare, operare, fissare una serie di ipotesi, di calcoli, di sequenze, di moduli. Lo stesso utilizzo della superficie bianca distingue nettamente “l’opera” da altre possibili ipotesi di lavoro, da altri comportamenti. Del resto “l’opera” è, a quel punto, un oggetto, oggetto fra oggetti, separato dall’orizzonte comune. Di qui l’affermarsi concettuale, corporale o comportamentistico a correggere il tiro dei pittori di “pittura” o di costruzione per ritessere la rete dell’oggetto, non più separato, nei destini generali. De Alexandris procede, ha proceduto, altrimenti. E basti pensare, di primo acchito, a questi suoi lavori in cui il bianco vuole non essere un colore, l’opera non mira a far luogo a parte come oggetto, la pittura, che sappiamo pur sempre essere un aggiungere dati e modi, è assente e De Alexandris vi lavora se mai, per sottrazione, levando bianco al bianco, tranciandone la compattezza. Paolo Fossati, Sandro De Alexandris il tempo sospeso della pittura, Martano Editore, Torino 1979 Questa autopresentazione di uno spazio propone il bianco come potere, come possibilità, come seduzione di poter fare e poter nascondere il già fatto, un bianco che copre, per l’occhio, lo spazio della tela o del foglio fino a renderlo unitario e compatto, senza scatti e senza salti. “Sappiamo di scrivere solo quando il salto è compiuto, ma per compierlo bisogna prima scrivere, scrivere senza posa”, annota letterariamente Blanchot. E basta accostarsi di poco a questa “pittura di bianco” per assistere al suo contrario: il bianco non è compatto, ma inciso, tagliato, rigato secondo una ripetizione microscopicamente identica e variata di segni, di gesti che scompongono il piano pittorico in una sequenza a sorpresa: perché è bianco lo spessore che si deposita a fianco del gesto, la farina che si irrigidisce appena deposta dalla fermezza della mano. Così lo spazio riprende il sopravvento sul bianco che lo annulla e il gesto decompone la forma in materia, cancellando ogni illusione di definitezza in perdita continua. Con un risultato che può far pensare a un elemento intellettuale o mentale: il tempo del segnare, del fare, dell’incidere è vinto e inghiottito da una globalità (spazialità) di tempo, che è il tempo non immediato tutto ritrovato di colpo all’incontro
dell’occhio: il tempo della pittura, appunto, fatto di duplicazioni fra azioni e materie e di brevi accumuli e di brevi vuoti ritmici restringendo il campo (il tempo) al qui e non abbandonandolo al tutto. (Tempo totale come spazio che si autopresenta nella forma e nello spazio, purgando di continuo il linguaggio, grattandolo fino al suo tornar materia, quasi misurandolo nel rasentare un muro, senza ridare né vigore né plasticità alla pittura, lasciandola in una distanza ambigua, senza tutele particolari. In un punto, molto preciso se ci arriva la mano e l’occhio, tra forma e informe: con una bella dose di ironia, se l’ironia non si fa solo deformando, ma stando al gioco e sotto il testo a grattarlo compare il testo e sotto la pittura la pittura). E, appunto, ancora, il tempo. L’operazione di guardare questi lavori nella loro vicinanza e presenza è scissa da quella di vederli come totalità e distanza, il dato visibile è allontanato da quello della percezione, la visualità dalla gestificazione che la pone: tutti arretramenti, spostamenti, glissando, gli spazi temporali in rotta fra loro tengono sospeso il “quadro” in una realtà, in una quantità discontinua che segmenta l’operazione pittorica e la ribalta. Ma questa quantità e questa realtà plurima e discontinua non è poi quella del tempo e spazio effettivi, quotidiani, presenti all’esperienza più diretta? […] […] Il punto su cui, credo, conviene riannodare le fila del discorso qui tentato può perciò lasciar da parte un’analisi puntuale delle serie/suites seguenti di questo pittore. Ed il punto, il luogo è questo, in sostanza: che se la “geometria” di De Alexandris, processo ed immagine, è proprio figurazione, in modo non dissimile da quanto avviene per via generazionale in una larga fetta d’arte recente, è figurazione senza nessun fine, preconcetto e ideologico, di rappresentazione. L’identico che si conserva nel tempo ri-presentandosi nelle maglie della varietà e degli accrescimenti non ha nulla a che vedere con l’esser se stesso materico e fisico, e immateriale e mentale, dell’opera di De Alexandris. È un simulacro che ricorda molto da vicino l’ipotesi e la simulazione formale di un inserto scientifico. “Proprio del simulacro è non d’esser copia, ma di rovesciare tutte le copie, rovesciando anche i modelli: allora ogni pensiero diventa un’aggressione”: è un appunto della prefazione al già citato “Différence et répétition” di Deleuze. E lo stesso Deleuze aggiungerà pochissime righe oltre: “L’empirismo non è affatto una reazione contro i concetti, né un semplice appello alla esperienza vissuta. Esso instaura al contrario la più folle creazione di concetti che mai si sia vista o intesa. […] Per l’appunto esso tratta il concetto come l’oggetto di un incontro, come un qui-ora o piuttosto come un Erewhon da cui emergono inesauribili i qui e gli ora sempre nuovi infinitamente distribuiti”. Che è poi il concetto di serie, di metodo, di sequenza matematica che tenta le possibili situazioni fino a segnalare, appunto, la distribuzione continuamente incalzante di una fenomenologia di incontri e di creazioni. Ma un’ipotesi del genere non illuda della naturalezza, della non drammaticità di un simile creazionismo: esso si nutre della sua equivalenza a una fisicità fisica (fisiologica), nutritiva e distruttiva che si muove con una velocità superiore allo sguardo e alla visualità, alla strumentalità percettiva. E ha, quella equivalenza, il merito, o il rischio, di non lasciare le cose, e prime fra tutte le “cose” della pittura, abbandonate alla propria indifferenza dello esser se stesse. Non riproduzione, ma immagine, non sistema ma empiria, non pittura ma divorante incrinatura, materia divorata e respinta, ricaduta. Ed è quanto si diceva all’inizio: il taglio, l’incisione non rivela il gesto, segna un rapporto tra frequenza dell’incidere e materia, più della parte incisa conta il leggero polline che ne segna i margini,
come una farinosità di segatura rappresa. Senza più possibilità di distinguere fra un interno (alla materia) e un esterno (della materia), tra fragranza e caduta. Roberto Pasini, Valente Artecontemporanea, Finale Ligure 1997 De Alexandris non tradisce emozioni indebite, è sempre rigoroso, ma sa esserlo per passaggi di materie elegiache che danno un corpo, per quanto sobrio, al precedente “giansenismo” (prendo il termine da Rosci, fra i più puntuali analizzatori del suo lavoro). Siamo nello spogliatoio di Chronos. Quella lunga fase si è spinta, con ricchezza di lente interne energie, fino al ’93. Poi è avvenuto uno scarto, nel già lungo percorso dell’artista, una modificazione minima ma significativa, di cui danno appunto conto le opere esposte in questa mostra: si è aperto nuovamente il sipario, la scena spaziale è riaffiorata, la lucidità un po’ acida e adamantina che aveva preceduto gli anni Ottanta si è rimessa in mostra, coniugandosi, per via di pittura, questa volta, con la dolcezza chardiniana delle garze, esautorandole. È avvenuta una calibrata sintesi fra il rigore mentalista e le sensibilità cromatiche. Ne è nata una sequenza di opere spoglie, su grandi tele verticali, spesso non riempite, ma lasciate nude ai margini, evocative di refrain del percorso di De Alexandris, basta guardare i titoli: Soglia, Stanza, Giardino, Margine, Spazio d’ombra. Ancora una volta, in fondo, “misure di spazio”: ipotesi, progetti, regolati da segni verticali e orizzontali che tracciano il templum, il recinto sacro della non rappresentazione (l’etimo non mente, dal greco temnein, tagliare). È un dialogo con la parete, prima ancora che con la superficie, quasi un tu per tu segreto, cui accostarsi con animo pulito: il segno è fermo ma volutamente indefinitorio, scende verticale, ma poi si perde, ha il gene dell’onement di Newman, però lo dissipa in un geometrismo che svapora, che non ha miti. Prevalgono i toni scuri, il blu, l’ardesia, l’indaco e la pittura si lascia riconoscere: vedi il ductus, come un batuffolo che si ripete, si ripete, si ripete… ma non chiude, anzi si propone come apertura totale, quasi un invito a superare la “soglia”, ad andare oltre il “margine”. De Alexandris ha dunque scelto un cammino di nuovo conio, pur entro i binari di sempre: è venuta meno la materialità elegiaca, il quadro è tutto in sé, nel suo vapore cromatico, ma condizionato da una spazialità sezionata, individuata, delicata e forte al tempo stesso. Paolo Fossati, Istituto Italiano di Cultura, Colonia 1998 Sospesa come è alla superficie della tela come un fantasma, come una ossessione, la pittura ci è comparsa di fronte sta davanti. La pittura c’è, è una presenza. Ci se n’accorge immediatamente: nel caso di De Alexandris non si tratta di quadri finestra, di luoghi da attraversare scendendo lungo le prospettive delle marche di colore, inseguendo la disposizione di tracciati che ritagliano rettangoli e spazi e li dispongono come in un teatro, in un angolo di stanza. Bisogna fare i conti con la presenza della superficie. Il quadro sta su, è lì da solo, né oggetto né spettacolo. Se mai è un inciampo. Una porta chiusa. Ognuna delle tele dipinte è una presenza di pittura. La pittura c’è, esiste: è qui. Si erge. Il che impone un attimo di sospensione. È indispensabile prestare attenzione (un’attenzione necessariamente non piccola) ad uno scarto di tempo e di spazio, nella immediatezza stessa dell’impatto
di lettura di queste superfici. L’attimo della sorpresa, lo spettatore sarà obbligato a constatare, per una alchimia neppur troppo misteriosa, si complica in spazio d’attesa. Su queste tele la pittura ha dipinta una sorpresa ed un’attesa. Una sospensione. Claudio Cerritelli, L’incanto della pittura, Casa del Mantegna, Mantova 2004 Per Sandro De Alexandris la possibilità dell’immagine è inaspettata, nasce da qualcosa che s’incrina, che appare e si cela dentro il proprio misterioso divenire. Le misure spaziali sembrano statiche e invece comportano slittamenti interni al rivelarsi del colore. La superficie non è solo il supporto della pittura ma ne costituisce il respiro fisiologico, l’estensione e la rarefazione che si trasmette nel corpo dell’immagine, fino a farsi limite indistinto tra presenza e assenza della materia. Al pensiero dell’assenza l’artista ha dedicato la sua riflessione mettendo in evidenza la lacerazione tra visibilità del colore e tacita separazione dal mondo, spazio intoccabile che si nutre di silenzi, cognizioni e misure emotive vissute agli estremi della visione. Francesco Tedeschi, De Alexandris, De Ferrari Editore, Genova 2004 La concentrazione iniziale sulle possibilità di elaborazione della superficie, nella sua struttura quasi impercettibilmente modificata, ma anche le gradazioni spazio-temporali successive, possono essere intese come passaggi rivolti all’introduzione di un “pensiero pratico” sulla pittura, in modo più misurato e discreto, rispetto a quanto le esperienze americane di Stella o di Ryman, o le posizioni di pittura analitica europea, hanno proposto. L’assenza quasi assoluta di un colore che non derivi dalle minime deviazioni strutturali proposte dai nudi supporti, modificati dalle variazioni di spessore e da scanalature programmate, sembra poter preparare una valorizzazione della natura di un colore che sarà o che potrebbe essere. La partizione dello spazio interno, o anche l’interferenza con quello esterno, quando i lavori di De Alexandris raggiungono una connotazione esplicitamente tridimensionale, può essere un altro dei caratteri di una riflessione “sulla” pittura e sulle sue eventualità, all’interno di quella fase di “preparazione a…”, o di denudamento. Nel momento più propriamente tridimensionale del suo lavoro il distacco dalla sostanza pittorica non è mai, cioè, definitivo, prevedendo in qualche caso l’inserimento di un colore che segnala la diversità delle superfici che determinano l’“oggetto” scultoreo. Più ancora, però, un valore cromatico-spaziale in senso lato scaturisce da quell’insistenza sulle ombre e sulle variazioni geometriche che movimentano la rigidità della superficie. Tutto il lavoro di De Alexandris degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, in questa direzione, può essere letto come modo di pensare attorno alla pittura, o sulla pittura, e di creare o predisporre un terreno utile a una sua ripresa di vitalità e di presenza, che non si limiti a essere uno dei tanti ripetuti “ritorni” a una sua ipotetica natura originaria, ma la collochi in un piano aderente alle questioni teorico-programmatiche scaturite dalla sua apparente negazione. Sono gli anni di una “pittura muta”, di un fare che lascia sottotraccia l’aspirazione a una costruzione in senso compiuto del luogo della pittura come illusione. [...] […] Il suo modo di agire non sconfessa nulla del suo passato, può essere considerato la continuazione di una strada da tempo intrapresa in un linguaggio ora
compiutamente pittorico e per questo più evocativo, poetico, meno assertivo o strutturale delle sue opere degli anni Settanta. Il suo non è un “ritorno” alla pittura, in quanto non vi è per lui alcun bisogno di porsi a difensore delle sue sorti o della sua realtà. La pittura è, come era prima, come poteva essere implicitamente presente anche nel suo lavoro precedente, ed è una scelta operativa ed espressiva quella che le dà vita in questo modo, ora, senza che intenda essere affermazione definitiva di senso. La pittura non è valore in quanto tale, poiché è anche, in sé, metafora, o, come dice l’artista stesso: “È spazio di sospensione che noi dobbiamo attraversare mentre lo sguardo indugia divagante, si trattiene, prolunga il tempo, ne ripercorre l’attesa e l’operare, l’interminabile susseguirsi e sovrapporsi di atti, azioni, le cui tracce permangono, assorbite nel corpo della pittura. Corpo materiale che restituisce l’incorporeo, mentre trattiene e distilla l’invisibile, sorgente e sostanza del visibile”. Il procedimento adottato è atto linguistico e simbolico a un tempo, in quanto agire con la pittura fa riaffiorare quelle complessità di definizione che non possono essere compiute nella riflessione teorica, ma trovano nella concreta operatività un’ulteriore conferma o un ulteriore scarto dal progetto. Con questo approdo, con questa stagione, tuttora aperta e ricca di sfumature e possibilità, De Alexandris si muove in un campo i cui confini non sono più così determinati, come potevano apparire nelle poetiche alle quali si è riferito o delle quali ha partecipato tra gli anni Sessanta e Settanta, riassorbendo tutto quel lavoro in termini di dialogo a distanza, ma aprendosi al divenire in un modo imprevedibile. Certamente si pone ora, in maniera più marcata che in passato, il problema, se problema può essere, della collocazione della sua opera in un discorso complessivo sulla pittura nell’epoca che stiamo attraversando. Quello che la pittura di De Alexandris ci pone, vista nell’insieme delle ragioni che hanno motivato fin dagli esordi il suo lavoro artistico, non è tanto un problema di persistenza o meno delle ragioni della pittura, quanto la necessità di viverne la problematicità e la progettualità. Claudio Cerritelli, Carte, Valente Artecontemporanea, Finale Ligure 2006 L’operazione pittorica è coscienza di saper condurre ogni residuo del visibile verso la purezza stupefatta dello sguardo, di poter restituire al piano creativo ogni complicità con il mondo ma soprattutto con la soglia della pittura intesa come giardino di luce, stanza di interminabili silenzi. Quella del silenzio è una questione perfino ovvia per un tipo di pittura che si nutre degli umori segreti del monocromo, mettendo a distanza l’assordante spettacolo del mondo, anzi spegnendo ogni suo clamore nelle variazioni impercettibili del bianco e del nero, con qualche grigio che gli può stare accanto. Il silenzio è condizione per pensare il destino della pittura, per comporre e ricomporre i frammenti della storia privata e collettiva, per costruire il futuro attraverso le carte sparse del presente. In effetti la categoria del futuro non è mai stata amata da De Alexandris, il suo procedere senza bisogno di collocarsi o di rispecchiarsi in qualche tendenza creativa indica un diverso progetto artistico. Non certo l’utopia di un’avanguardia che mette a soqquadro gli statuti del linguaggio e neppure la nostalgia verso una tradizione che si difende dalle ansie della sperimentazione, piuttosto l’aspirazione a parlare del tempo soggettivo, la tensione a cercare la visione interiore nella coscienza profonda dell’essere. Il grande silenzio del tempo
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soggettivo sembra guidare l’esperienza creativa come volontà di cogliere un’altra temporalità dentro la misura essenziale dello spazio pittorico, anche a rischio di ripetere gli stessi gesti, di utilizzare le stesse materie, di calcolare gli stessi spazi d’ombra e di luce. Un rischio che l’artista non ha mai evitato di correre preferendo interrogare lo spazio ai margini dell’infinito, per rimarcare il senso del fare arte nelle latitudini della poesia, seguendo i passi del viaggiatore incantato, là dove la pittura abita attraverso il gesto sospeso del suo linguaggio indicibile. […] […] Nel ciclo di “Carte” del 2003 De Alexandris riafferma il canto sospeso della pittura nell’ampia gamma del suo respiro, lo spazio è lo specchio trasparente e leggero della messa in forma del colore, a sua volta la luce dilata i confini delle apparizioni che ogni volta si incrinano e ridefiniscono nella continua gestazione del visibile. Tornano filtrati dai sedimenti del colore materie e gesti, maniere e procedure di un passato che non si stacca dai segni inesorabili del dipingere, si rinnovano cifre e metodologie del fare che diventano parvenze mute di un discorso senza fine. Del resto, perché dovrebbe interrompersi il viaggio dentro le stanze dell’infinito? Tutto è ancora in gioco in questo spazio che lascia intravedere lacerti di superfici consumate dal pensiero echi di geometrie disperse, simulacri di materie sottratte all’atto del dipingere e restituite ad una diversa seduzione del colore. Il bisogno di pittura non tralascia alcuna fonte di scrittura, eleva le tracce del quotidiano a livello di una contemplazione senza tempo, “senza descrivere altro che l’atto del dipingere – ha scritto l’artista – l’ininterrotto movimento di questo atto in cui la pittura si dispiega e si riconosce”. Angela Madesani, Sandro De Alexandris, Nicolodi Editore, Rovereto 2007 Il nucleo portante della sua ricerca è costituito dalla luce, dalla forma. È già l’idea di assenza come entità concreta seppure sfuggente e impalpabile. L’attenzione ossessiva è rivolta alla luce interna della pittura. La sua è una visione per sovrapposizioni, come una trasparenza in un antico palinsesto. Degli strati precedenti si conserva la memoria, anche se questo non è l’aspetto dominante, la tensione principale del suo lavoro. La pittura copre e scopre di volta in volta, senza nessuna velleità di rivelazione. Un dipinto del 1999 è intitolato Margini dell’infinito. Si tratta di un evidente ossimoro, una forma di impossibilità della pittura per ribadire i concetti espressi poc’anzi. Come si fa a mettere i margini all’infinito? E d’altro canto come si fa a non aspirare all’infinito? Nei suoi titoli nel corso degli anni, appare un termine: ceruleo. Ancora una volta una sorta di idea fissa, un’ossessione. Il termine ceruleo, che viene dal cielo e che perlopiù si riferisce a quella zona del mare lontana dal lido, dove l’acqua è profonda e restituisce, appunto, l’immagine del cielo che vi si specchia. Si tratta di un colore misterioso che va dal bianco al nero, imprendibile, impalpabile che non è soggetto a definizioni proprio come la pittura. A qualcosa di liquido, che non si riesce a fermare, che si insinua e che si espande. Prima di tutto questo è il momento, iniziale: Aurora, un altro titolo ricorrente. È il momento della penombra, quello in cui, così Zambrano, annida la liberazione anche per il sole, l’affrancamento della luce. Presenza fondamentale è anche l’ombra, che occupa uno spazio che è in ognuno di noi, nel desiderio di non apparire. Al centro di tutto sono sempre la pittura, il suo profumo, la sua aura, la sua allure, la suggestione. De Alexandris è pittore parco, ogni dipinto è frutto di grande lavoro, di
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lunghe gestazioni. Tra le opere più recenti, del 2006, un Indocile rosso, in cui è un tentativo di uscita: riuscito. È la voglia di uscire dagli schemi, dai binari, dal conformismo dell’arte, è il tentativo di spingersi in una rara dimensione poetica. Dove le definizioni, le spiegazioni non sono più possibili e forse neppure utili. È il tentativo di respirare a pieni polmoni, al di là. Al di là della realtà, dell’apparenza in un territorio che supera le convenzioni, le regole, qualsiasi tipo di coercizione. Alberto Veca, Annotazioni d’Arte, Milano 2008 La variabile “tempo” – su cui si è discusso con Sandro anche in altre occasioni – è stata per decenni la protagonista dell’operare di De Alexandris in una felice consonanza con ricerche di altri artisti che sull’operare, sulla “teatralità” dell’agire, sul concepire l’opera come una registrazione, come documentazione di una esperienza vitale hanno posto basi teoriche che, indipendentemente dal succedersi delle mode, dei generi, mi sembra ancor oggi uno dei contributi più significativi dell’arte plastica del secolo scorso. Rispetto all’esperienza a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso si può aggiungere un ulteriore arricchimento: al “tempo dell’operare” mi sembra, e non da oggi, si aggiunga anche il “tempo della memoria”, quindi quel tanto di finzione, di rappresentazione non di ciò che accade effettivamente – la stanza di lavoro, i materiali, la fisicità e la tempistica con cui ci si paragona con la tela, la carta, gli strumenti dell’operare – ma di ciò che è frutto della riflessione, anch’essa paradossalmente presente, quindi attiva, quindi capace di suggerire. E questo è possibile perché anche “allora”, senza alcun rimpianto ma nella consapevolezza di poter leggere con maggiore esperienza quella e questa stagione, i due tempi, per così dire, coincidevano: era più urgente segnalare il “dramma” del fare piuttosto che cercare, nel proprio immaginario, altri soggetti. [...] […] Dove si narra di soglie, di porte, di luoghi di connessione, una nevralgica perché elementare riflessione sugli strumenti elementari del fare pittura, dove si vitalizza la logica della equivalenza fra “messa in scena” e “presentazione senza finzioni dell’operare”, dove diventa nevralgica la materializzazione dell’intervallo, fra superficie e allusione anche alla profondità non importa – ma è opportuno ricordare l’esperienza “scultorea” di De Alexandris, tanto negli esiti oggettuali degli anni Sessanta quanto nei cartoni incisi degli anni Settanta, quanto infine nelle “sovrapposizioni” polimateriche degli anni Ottanta – nel riscatto accordato alla pittura come strumento principe dell’illusione, per una ulteriore indagine che rinnova lo storico dibattito sul primato delle “arti plastiche”, proponendo un intrigante interrogativo, in parte legato alla traiettoria espressiva dell’artista, in parte alla congiuntura di cui siamo attori e spettatori. In una rarefatta selezione della tavolozza cromatica il percorso sembra osservare costantemente l’ingombro fisico del telaio o del foglio di carta, replicarne la fisionomia fino a condurre dai margini esterni al cuore del campo, in una gradazione di luce e ombra, appunto il titolo da cui hanno preso le mosse queste note affrettate ma, spero, confidenti con il materiale in discussione. Flaminio Gualdoni, Galleria Peccolo, Livorno 2012 Della pittura, ovvero della sua ragione concettuale ultima, un vedere e far vedere che ripulito d’ogni scoria il viaggio dello sguardo dall’occhio all’intelletto
all’animo, possa ancora far dire senza virgolette di cosa mentale, di pienezza d’esperienza. L’artista ha agito, dapprima, sulla verifica degli atti formativi diretti e sull’interna fisiologia della forma/quadro, costeggiando un grado nei pressi dello zero fatto di concretezza della superficie, di segni che fossero davvero segnati, d’uno spazio che fosse quello spazio, con quella struttura, con quella misura e qualità dell’apparire. Ha, a un certo inderogabile punto, affrontato la questione decisiva dell’idea del pittorico, il colore. Il colore è corpo e materia, in pittura. È captazione sensibile diretta, pienezza visiva, autonomo innesco emotivo, simbolo anche: molte cose, e la storia di molte cose, così come la stessa vicenda dell’arte tutta le ha edificate in patrimonio della coscienza. È faccenda di luce, anche. Sapeva da subito, De Alexandris, che le stagioni della Monochrome Malerei avevano aperto tante strade quante ne avevano chiuse. La verifica ulteriore, esauritesi quelle spinte programmatiche e polemiche, ritrovato il fare pittura possibile alla fine della anatomia del pittorico, è stata per lui una ridefinizione purificata dell’immagine di pittura, e del suo colore. Non sono nati ragionamenti sul colore, ma ragionamenti del colore. Saggiato sino all’ultimo il tasso di oggettività del corpo pittorico, De Alexandris ne ha infine ulteriormente compresa l’intima estraneità al mondo: che origina non da un guardar fuori, ma da un guardar dentro. Un farsi spazio, non un dire spazio. Un sostanziarsi, pienamente, in luogo. Ecco che la superficie dell’immagine, luogo perfetto d’incontro tra il qui dello sguardo e l’alterità continua del suo oggetto, può concepirsi come ambito d’un vedere in predicato. Tracce grafiche elementari, minimamente struttive, stabiliscono il campo nel quale il colore si dispiega come cadenza di una bellezza senza carne, come fantasma sensuale animato da uno splendore esente da grazie, come intonazione insieme intellettuale ed affettiva priva d’altre responsabilità che il proprio risuonare. Giorgio Bonomi, “Arte Contemporanea” n.34, anno VIII 2013 È il concetto di “assoluto” quello che ci pare possa meglio accompagnarci nella nostra disamina dell’opera di De Alexandris. Potremmo anche definire l’artista “pittore assoluto” sia per le sue qualità caratteriali che per la sua pratica pittorica: per le prime, è nota la sua riservatezza, l’essersi volontariamente messo non “fuori” bensì “a lato” del sistema ufficiale dell’arte, almeno per quel che riguarda gli aspetti apparenti ed appariscenti, che in quelli sostanziali (cioè nella storia dell’arte contemporanea) c’è, e a pieno titolo; il secondo aspetto lo vedremo qui di seguito. Anzitutto vediamo l’assoluto nel rigore della “ripetizione differente”, che gli permette di realizzare, all’interno dei suoi “cicli” o “serie” che si sviluppano, nella cronologia del suo lavoro, opere apparentemente simili ma che, invece, negli slittamenti, a volte quasi impercettibili, acquistano notevole forza ed efficacia, senza mutevolezze, cambiamenti, improvvisazioni. Assoluta è la sua pittura perché è autonoma, non abbisogna né di composizione né di segni: quella di De Alexandris è una “pittura assoluta di colore”. Sulla tela, o sugli altri materiali usati quali il legno o il metallo, non abbiamo immagini, non c’è racconto, c’è il colore, e questo scorre verso il basso. In verità dei segni, nei quadri degli ultimi due decenni, sono presenti, ai lati e nella parte superiore, eppure non hanno valore dichiarativo ma soltanto limitativo, sono le “soglie” – per usare una parola e un concetto cari all’artista – che delimitano il campo d’azione del colore. Sono confini
appena accennati, ed a ragione se sono una “soglia”, cioè quella linea quasi immaginaria che segna il limite tra interno ed esterno, ma che è sempre o troppo al di qua o troppo al di là, come, se dal campo dello spazio passiamo a quello del tempo, è il presente che è il punto di congiunzione tra passato e futuro ma che non si riesce mai essendo “un non ancora” o “un già passato”. Gianni Contessi, Sandro De Alexandris, Soglie, OOLP Editore, Torino 2014 Le parole di De Alexandris trovano un’eco nell’incipit di uno degli scritti di Paolo Fossati dedicati all’opera dell’artista (Data, n.21, 1976), là dove il critico dichiara che “De Alexandris ha posto il problema del quadro”: certo fare pittura è pratica relativamente semplice, spontanea o molto calcolata che sia. Il nodo da sciogliere riguarda invece l’istituzione quadro e ciò che ne corrobora significati e funzioni. Soprattutto significati e funzioni che attengono al ruolo del riguardante e ai tempi di percezione, lettura e rilettura, di quanto inscenato dal manufatto e atti a meglio saggiare l’autonomo fenomeno denominato pittura. È con il tempo che De Alexandris si confronta nel nome dell’interiorità della pittura. Ma De Alexandris sa bene che il tempo non coincide con quello dell’attuale condizione storica, che ha reso obsoleta, ove non l’abbia negata come pericolosa, l’interiorità. Nella consapevolezza della condizione di crisi entro la quale sopravvive l’idea storica della rappresentazione pittorica, Sandro De Alexandris tenta l’impossibile: fissare la dissoluzione del sistema istituzionale entro il quale si colloca l’atto pittorico nel momento della sua formulazione sulla tela. Per questo si rende necessaria la reiterazione dell’atto nel suo stabilire la sequenza narrativa di una sorta di agonia sospesa da cui tuttavia dipende, per citare ancora Blanchot, il quadro a venire. Francesco Tedeschi, Cantiere del ’900/2, Gallerie d’Italia, Milano 2015 Forme del/nel bianco. Con De Alexandris, incontriamo un’altra forma di essenzialità, data da un intervento plastico e cromatico al tempo stesso. Il taglio orizzontale e diagonale della superficie lascia emergere una porzione di colore che determina una variazione luminosa minima, ma determinante. La presa di coscienza che qualsiasi intervento rispetto allo stato inerte della materia e della forma genera una misurazione, una ipotesi di geometria, di spazio, di luce. Questa possibilità è lo scarto dalla rigidità di un’asserzione incontrovertibile: “Il mio lavoro è indagine su ciò che può essere. Indagine a stabilire i limiti e le condizioni delle possibilità. Se possibilità in quanto qualità del possibile è ciò che può farsi, ciò che può farsi in quanto indicazione di possibilità è progetto”, dice l’incipit di un testo di De Alexandris dell’epoca in cui realizzò quest’opera. Un procedere quasi alla maniera del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein, ma che come sarà del resto anche nel filosofo austriaco, non può arrestarsi alla definizione tautologica di una realtà finita, in quanto destinato ad aprirsi alle infinite eventualità del fare, dell’accadere e della forma. Francesco Tedeschi, Studio G7, Bologna 2016 Eppure, in considerazione dello spazio al quale è temporaneamente destinata, la selezione compiuta,
di opere che partono da un valido e raro momento della serie “t/n”, degli anni Settanta, per passare a due delle “stratificazioni” degli anni Novanta e giungere al presente, più che essere esemplificativa, è esemplare. Esemplare nel senso in cui può esserlo, più che una mostra temporanea, la sala di un museo. I quadri in esposizione costituiscono cioè un’immagine completa e unitaria dell’artista, come dovrebbe essere una sala di museo, nel caso in cui un luogo destinato alla conservazione e alla lettura dell’arte nella sua storia e nelle sue diramazioni vale a delineare una fisionomia compiuta, anche attraverso rimandi interni e possibili confronti utili a rimarcare i caratteri propri di un linguaggio, le sue aperture, le sue direzioni di indagine e di comunicazione. Per questo si può dire che questo nucleo di lavori individualmente realizzati (vale a dire portati all’essere, resi concreti, quindi “compiuti”) riesce a fornire, pur in uno spazio limitato, ma fortemente determinato, un valido ritratto di Sandro De Alexandris e, forse, del suo ruolo culturale. Ancora una volta, De Alexandris si rivela artista da accostare attraverso un’attenta lettura delle atmosfere e dei luoghi generati dal differente applicarsi di una riflessione interiore sul senso della pittura, svolta non tanto per le ragioni interne all’operare artistico e alle vicende contingenti di un’epoca che ne rimette in gioco i caratteri e le prerogative alla luce delle sollecitazioni di un pensiero rivolto a un apparente azzeramento dell’espressione, ma per la profonda convinzione che l’opera è parte di un processo che la trascende. In una dimensione interiore e ulteriore, quasi metafisica, i gesti, le tracce, i colori e le forme prodotti dall’azione di De Alexandris configurano in maniera impalpabile e impercettibile la condizione di un transito sospeso dal fare all’essere: “pura pausa, intervallo, sospensione che segna il momento del trapasso dal determinato all’indeterminato” (S. De Alexandris, settembre 1984). Pittura sostanziata di pensiero, immateriale ma nello stesso tempo fisicamente presente, la sua opera trova la sua dimensione apparentemente definitiva nella diluizione cromatica che da oltre vent’anni egli pratica, in diverse forme.
processo bensì carico di liricità. Pur nei mutamenti, la pittura dell’artista si è sviluppata con grande coerenza e senza quasi soluzioni di continuità: forse i colori sono aumentati di tono e appaiono più “severi” ma senza allontanarsi da quel sentimento, da quella passione che, prima di essere per la pittura, è per la vita. Claudio Cerritelli, 100% Italia, Museo Ettore Fico, Torino 2018 Nelle “Superfici incise” di Sandro De Alexandris l’uso del cartone è decisivo almeno quanto la punta della lama che ne svela la sostanza interna, il silenzio interiore, le potenzialità non dette, il significato sospeso sul filo dell’inesprimibile. L’immagine si svela nel tempolavoro che coincide con il progetto del vissuto, flusso esistenziale oggettivato nella misura del cartoneschermo dove massima è la tensione esecutiva. Il supporto viene modificato con una successione di linee incise a intervalli uguali e costanti, fitta e progressiva strutturazione di solchi che l’atto di incidere pone in evidenza come traccia di una determinazione manuale che porta con sé la misura soggettiva del fare. La fisicità ossessiva del gesto agisce sul cartone con il bisturi e con l’uso del righello, il campo d’azione è delimitato da ritmi ripetuti e implacabili che lasciano respirare in modo diverso il perimetro, infatti i margini vengono preservati dai tagli, con la conseguente necessità di concentrare l’immagine dentro l’aria del vuoto. La luce non è dipinta ma scaturisce dalla consistenza della materia-supporto che si modifica e si attua come metodo in divenire, regola aperta che accetta scarti e pause all’interno del differente incedere delle linee che richiede tempi di lettura prolungati, per condurre lo sguardo a misurarsi con la progressiva assimilazione del reticolo inciso.
Giorgio Bonomi, Pittura analitica, origini e continuità, Silvana Editoriale, Milano 2017 L’artista ha parlato di “pittura che cerca la pittura”: la sua ricerca, risalente alla seconda metà degli anni Sessanta, si realizza con segni minimi, attraverso la monocromia “sfiorata”, piccoli slittamenti, geometria euclidea, materiali, lenta percezione che permette “l’affioramento” della luce. Già negli anni Sessanta De Alexandris esprimeva, ante litteram, molte caratteristiche analitiche, come in quelle opere in cui sottili linee attraversano orizzontalmente il supporto che è costituito da carta o legno o, anche, ferro; a questo decennio risalgono pure i “T/S”, sigla che indica “Tempo/Spazio”, secondo il dettato einsteiniano; poi, nei Settanta, la “T” diviene minuscola ed è affiancata da una “n” (“t/n”), il tutto a significare un “tempo” non più della teoria ma quello del vissuto con la “n” che è quella della matematica e che indica “l’indefinito”. Questi lavori sono “quasi” monocromi, dato che i colori sfumano uno dall’altro con grande “lentezza”. Già in queste brevi annotazioni si vede quanto la pittura del Nostro sia tutta dentro l’Analitica, cioè la sua è una pittura certamente razionale e progettuale ma non fino alla freddezza matematica o chirurgica: anzi, proprio perché tra il progetto e l’opera finita c’è uno scarto, uno slittamento che avviene in corso d’opera, il risultato finale ha la sua autonomia, e appare non solo come
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Umbro Apollonio, Studio di Informazione Estetica, Turin 1967 The two series “Bianco+Bianco”, 1964/65, and “Misure di spazio”, 1965/67, show a characteristic that is more than anything else demonstrative, almost as though to confirm the possible aesthetic extensions for adaptations of science. And then, apart from the structures in cardboard and plexiglas from 1966 – a kind of syntactic scaling with marked balances and joints, from 1966 to 1967 De Alexandris made his “TS” where, as well as a careful study of the shifts of elementary forms there is already emotive interference. There was a passage from open doctrinaire deduction to methodological mastery, which gained a greater degree of affectivity through a less primitive organisation than the preceding works, because it was less ordinary was now supplied with a range of sensitivity that left a particular mark on the object. It is not only interesting but also important that such sculptural operations in enamelled iron left no space to misunderstandings or ambiguities: they are clear and sharp, there is nothing to interpret, nothing to discover that might be different from a verification of their ecological capacity. Carlo Belloli, Studio di Informazione Estetica, Turin 1967 What De Alexandris titled “Misure di spazio” could be a valid premise for the graduated and gradable modulations of a flat surface, with the aim of exercising the suggestive capacity of the effect of proportion as an already completely significant aesthetic act. And so, by dividing the surface horizontally, De Alexandris presents the spectacle of proportion as the dialectic of a plasticity that no longer relies on colour and form in order to define itself. This extreme expressive economy allows De Alexandris to investigate a method of synthesis that, in the space/volume relationship, all too often risks being subject to reductions of what already resides outside plastic reality or to symbolic dichotomies. In De Alexandris’s way of operating, the synthesis directly acts on the spatial components and is personalised in the invention of distances between visually anonymous sectors of the surface: an opaque white. Leonardo Mosso, Studio di Informazione Estetica, Turin 1967 To speak about De Alexandris is for me to talk about a friendly and close-at-hand experience / I will say that the meaning of his work has to be looked for on a plane of values of research / of research as enlightenment and the infinite expansion of knowledge / and that is on a plane where research itself is sublimated into a knowledge and testimony of that primary right of man that is knowledge. Umbro Apollonio, “Art International”, vol.XII/3 1968
Galleria Salzano, Torino, 1982, foto di | photo by Pino Dell’Aquila Galleria Monogramma, Roma, 1999
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There you are, De Alexandris shares with just a few others the merit of displaying a free, limpid, simple creative behaviour able to insert itself authoritatively in a civil context, far distant from any kind of playful or tangential compromise, sustained by an absolute linearity and, in this, leading the proposals of the
Constructive and Geometric artists to new situations. From these, indeed, derives a certain speculative rigidity, almost more a reference to mathematical signs than to intuitive reactions with linguistic proposals that is the limit of this kind of work and that, moreover, is common to all purist arts. I might be mistaken, but the information about how to treat the modularity of the forms is better than the references to knowledge. The starting point, however, is right, and the seriousness of the behaviour is a guarantee that the passage to the demonstration of better explained and not merely indicative values can only happen from the starting point that De Alexandris has moved from. This is a situation that has not waited for the arrival of American proposals based on “primary structures” in order to deal with situations that, like them, answers to the development of current issues and proposes new solutions to the aesthetic task in the sense of an intervention relevant to the construction of a cycle of civilisation. Adriano Spatola, “Geiger” 2, Turin 1968 The meaning of an object is the use art makes of it / the product of art research is always intentional / De Alexandris works to produce elementary structures / his art is a “open air” research because it is programmed / the use De Alexandris makes of the object is an experimental use / we are dealing above all with a mentally “liveable” structure / “l’homme y passe à travers des forets de symboles / qui l’observent avec des regards familiars” / but here the symbolism is reduced to its cold concision / it alludes to nothing other than itself / it is constructed like a flat panorama of the standard possibilities of humanity / an object is above all an object and develops like an object / the abolition of the metaphysical halo of pure research / that artistic product as the field of the force of a method / where the programmed meaning is first of all a reference point / the object as a force / liberates its existence in an area of semantic communications / its “presence” in the environment / De Alexandris approaches the object as a balancing point / a physical positioning in a mental space. Lara Vinca Masini, Studio 2B, Bergamo 1968 The large structures by De Alexandris are not intended to exist in themselves independently from things, but to establish a relationship between them and the things which, in a given situation, characterise what is outside them even just by their presence, and to make it live and move in a relational, dynamic, and active exchange. And, finally, they tend to establish autonomous surfaces full of meanings that allude to a kind of space-light, a pure space-colour, and that can become a means of personalisation and consciousness of the architectonic space. Umbro Apollonio, Galleria San Fedele, Milan 1970 The objects by De Alexandris always contain in themselves the condition of a dynamic process: this is communicated, not by a violent antithesis or a clever dialectic, but by the shift and flow of the coordinates that sustain the planes, which thereby reveal the fullness of its regulated significance, an element as active as the others. This means that the dynamic, deprived of any redundancy or mechanical disturbances, is
shown through tensions that are never quantitative by rather obtained by a specific and carefully measured qualification of the individual components. With respect to the by-now frequent abuse of mirroring surfaces and speeded-up kinetics, frequently with pleasantly viewable results, De Alexandris’s is, apart from anything else, a warning. In his planning of concrete hypotheses, that are indisputably concrete in their final form (and here we should make the resolving point of the creative problem with respect to empirical reality; in other words, the implementation of the work, when it is finally detached from memory, becomes an answer to human needs of the first order), he asserts a condition of life in which hedonism is, if anything, so tenuous and so meditated as to be completely annulled. Helmut Heissenbuttel, Sandro De Alexandris, Galerie 66, Hofheim Taunus, 1970 Synthesis 11. A few forms and no colour: a few white forms: simple white proportions: white not as the subtraction of colour but as a non-colour: non-colour not as something simply to be counterposed to colour: not colour as something simply against which multiple colour can be measured: simple proportions as the simplicity with which multiple forms can be measured: the identity of simple proportions and not of colour with itself: the identity of simple proportions and not of colour disposed towards what exists: simplicity refers to everything. Ernesto Luciano Francalanci, Galleria Method, Bergamo 1974 Sandro De Alexandris’s art is aimed at shaping elementary models in which we can verify a double process of communication. The first aims at asserting the regularity of the pattern: the “poetic” message, then, departs from the recognisability of the sequence and from the relationship of the elements making up the model which, in turn, are recognisable in the repertory of standardised symbols. Paolo Fossati, Dal progetto all’opera, Museo di Castelvecchio, Verona 1974 At the heart of all these researches is also a project to be understood as a survey and control of language, as if this were the crystallisation of an internal form analogous to reality. As De Alexandris’s work shows, we are not dealing with a conceptuality that fixes, but with the flexible organisation of the variability and modification implicit in any cognitive growth. We are once more in the presence of a process: the concrete process that continuously overturns its well-known terms in the fluctuation of experience, not isolated and established in a statistical median. The outlining of some basic modular rules of cognitive behaviour is undertaken through a continuous reference back to the virtuality of a situation that seems to give the same overall result but that, instead, plays on a compositional depth that is different and differently motivated. Luciano Caramel, Edizione Serre Ratti, Como 1975 The greatest receptiveness within the greatest circumscription. This, in brief, is the prime interpretation and “quality” of the work by De Alexandris and,
therefore, also of the present portfolio. Receptiveness to reality: in other words, to its possibilities. Circumscription in the operative field of the tools, the objects of inquiry: it is not, as the artist has underlined, “a negation but the resolution of a possibility.” So it is not reduction as an affirmation of certainty, of static and conventional objectivity tracking a tired postConcretist popularisation. As De Alexandris has also said, “To impose limits on your own undertakings does not mean limiting one’s own openness to what can be. It means, instead, to force an analysis, to follow the greatest concentration.” It is easy to verify the results in the plates collected together here: the uniform, white surfaces only interrupted, from the centre towards the bottom, by brief segments that are repeated identically in size and position, and change only their colouring slowly, from white to black, sheet after sheet. Paolo Fossati, “Data” n.21, Milano 1976, Galleria Peccolo, Livorno 1976 For years by now De Alexandris has posed the problem of pictures, which he conceives of in different terms to those whom critics have compared him to. For them there is a return to speaking about painting, or to propose a Constructivist tradition: the canvas, panel or surface sheet are deductive tools on which to experiment, operate, fix a series of hypotheses, of calculations, sequences, modules. The very use of a white surface sharply distinguishes “the work” from other possible hypotheses of work, from other behaviours. But then at this point “the work” is an object, an object among other objects, separate from other common developments. From this derives the establishment of conceptual, corporeal or behavioural aspects to modify the aims of painters of “painting” or constructions in order to remake the fabric of the – no longer separate – object in the general aims. De Alexandris proceeds and has always proceeded in another way. It is enough to consider these works, where white does not aim at being a colour, which do not aim at being something separate such as an object, where painting - which we know is always a question of adding data and modes – is absent, and that De Alexandris works by subtraction, removing white from white and reducing its compactness. Paolo Fossati, Sandro De Alexandris il tempo sospeso della pittura, Martano editore, Turin 1979 This representation of a space proposes white as potential, as possibilities, as the seduction of power to be able to make and to hide what has already been made; a white that, for the eye, covers the space of the canvas or sheet of paper to the point of making it unitary and compact, without jerks or jumps. “We know that we write only when the jump has been undertaken, but to undertake it we need to write beforehand, to write without posing,” to use the words of Blanchot. And it is enough to come fairly close to this “painting of white” to see its contrary: the white is not compact but incisive, cut, streaked according to a microscopically repetition, identical and extended with marks, of gestures that break up the pictorial plane into a surprising sequence: because the thickness that is deposited at the side of the gesture, the “flour” that becomes rigid as soon as it is put in place by the firmness of the hand, is white. In this way space gets the better of the white that annuls it and the gesture breaks down the form into material, thus cancelling any
illusion of a definition that is being lost in continuation. With a result that can make us think of an intellectual or mental element: the time of marking, of making, of incising is vanquished and swallowed by the totality (spatiality) of time, which is the non-immediate time that is suddenly found when it meets the eye: the time of painting, indeed, consisting of duplications of actions and materials, of brief accumulations and brief rhythmic voids, so reducing the field (time) to the present and not completely abandoning it. (Total time as space that presents itself in form and space, continuously purging language, scratching it until it returns to being material, almost measuring it by rubbing it against a wall, without giving back either vigour or plasticity to painting, leaving it at an ambiguous distance, without any particular protection. At a point, a very precise one if the hand and eye arrive there, that is between form and shapelessness: with a fine dose of irony, if the irony is not arrived at only through deformation, by playing along and by scraping under the text until the text appears, and under the painting until the painting appears.) And time once again. The act of looking at these works close up is split by seeing them as totality and distance; the visible datum is distanced by the datum of perception, the visuality of the gesturemaking that poses it: all retreats, shifts, skating forward; the temporal spaces on a collision course between each other keep the “picture” suspended in a situation, in a discontinuous quantity that divides the painterly operation and the foreground. But then isn’t this quantity and this multiple and discontinuous situation that of effective, everyday time and space, present in the most firsthand experience? […] I believe that the point for tying together the threads of this argument can, therefore, leave aside a careful analysis of the later series/suites by this painter. And the point is this: that if the “geometry”, the process and images, of De Alexandris is figuration in a way not dissimilar to what has happened to a large part of recent art, it is a figuration without the preconceived and ideological goal of representation. The equality that is conserved in time by representing itself in the tangles of variety and increase that has nothing to do with the material and physical, immaterial and mental being of De Alexandris’s work. It is a simulacrum that is highly reminiscent of the hypothesis and formal simulation of a scientific insert. “A simulacrum itself is not a copy but overturns all copies, also overturning the models: so then every thought becomes an aggression”: this is a note in the previously quoted “Difference and Repetition” by Deleuze. A few lines on he adds, “Empiricism is not at all a reaction against concepts, nor is it a simple call to lived experience. On the contrary, it installs the craziest creation of concepts that have ever been seen or understood. […] To be precise, it deals with a concept as though it were the object of a meeting, as the here-and-now or, rather, as an Erewhon from which there inexhaustibly emerge infinitely distributed and always new here-and-nows.” Which is the concept of series, of method, of a mathematical sequence which attempts possible situations until it signals the continually insistent distribution of a phenomenology of meetings and creations. But such a hypothesis does not avoid naturalness, the non-drama of a similar creationism: it is nourished by its equivalence to a physical (physiological) physicality, one that is nutritive and destructive and that moves with a velocity superior to looking and to visuality, to perceptive instrumentality. And that equivalence has the merit, or the risk, of not leaving things alone, first and foremost all the “things” of painting, which are left to the indifference of being themselves. Not a reproduction but an
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image, not a system but empiricism, not painting but an all-consuming rift, material devoured and rejected, a return. And what I said at the beginning: cutting, the incision does not reveal the gesture but marks the relationship between the frequency of incising and the material; more than the incised part, what counts is the light dust that marks the edges, like the powder resulting from energetic sawing. Without any possibility of distinguishing between an interior (to the material) and an exterior (of the material), between fragrance and shedding. Roberto Pasini, Valente Artecontemporanea, Finale Ligure 1997 De Alexandris never gives way to undue emotions; he is always rigorous but he knows how to be so through his use of passages of elegiac materials that give a body, however sober, to the preceding “Jansenism” (I have taken the term from among the most accurate analysts of his work). We are in the changing room of Chronos. That long phase continued, with a wealth of slow internal energies, until 1993. Then there came about a deviation in the artist’s already lengthy career, a small but significant modification, which is testified to by the works in this show: once again the curtain has been lifted, the spatial scene has revealed itself once more, the rather acid and adamantine lucidity that preceded the 1980s is once more on show, but joined through the painting to a Chardin-like gauzy sweetness. There has come about a balanced synthesis between mentalist rigour and chromatic sensitivity. From this there has been born a series of naked works on large vertical canvases, often not completely filled but left bare at the edges, evocative of the refrain of De Alexandris’s devilment: it is enough to look at the titles: Soglia, Stanza, Giardino, Margine, Spazio d’ombra. Once again the “measure of space”: hypothesis, these are projects adjusted by vertical and horizontal marks that trace out a templum, the sacred boundary of non-representation (the etymon does not lie: from the Greek temnein, to cut). It is a dialogue with the wall, even more than with the surface, almost a secret tête-à-tête to be approached with a clear mind: the mark is firm but willingly indefinite, it descends vertically but then loses itself, it has the gene of Newman’s onement, but dissipates it in a geometry that evaporates it, that has no myths. There prevail dark tones of blue, slate, indigo, and the painting allows itself to be recognised: you can see the ductus like a cotton ball that is repeated and repeated… but never finishes; on the contrary, it suggests itself as a total opening, almost an invitation to go beyond the “threshold”, to go beyond the “boundary”. So De Alexandris has chosen a completely new journey even while following along his usual tracks: there is less elegiac materiality, the picture is wholly of itself in its chromatic vapour, but it is conditioned by a dissected, individuated spatiality that is delicate, and strong at the same time. Paolo Fossati, Istituto Italiano di Cultura, Cologne 1998 The painting appears before us suspended on the surface of the canvas like a ghost, like an obsession. The painting exists, it is a presence. We immediately become aware of it: in the case of De Alexandris we are not dealing with window-like paintings, of places to be entered by descending along the marks of colour, following the traces that shape rectangles and spaces
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and place them as though in a theatre, in a corner of a room. It is necessary to come to grips with the presence of the surface. The painting is hung, it is there alone, neither an object nor a play. If anything, it is a stumbling block. A closed door. Each one of the painted canvases represents the presence of painting. The painting is there, it exists: it is here. It rises up. Which imposes a moment of suspension. It is indispensible to pay attention (an attention that is not necessarily little) to a scrap of time and space, in the very immediacy of the impact of an analysis of these surfaces. The moment of surprise - as the viewers will be obliged to confirm, and due to an alchemy that is not even too mysterious - becomes caught up in the space of waiting. On these canvases the paint has painted a surprise and a wait. A suspension. Claudio Cerritelli, L’incanto della pittura, Casa del Mantegna, Mantua 2004 For Sandro De Alexandris, the possibilities of the image are unexpected, and result from something that breaks down, that appears and then hides itself within its own mysterious development. The spatial measures seem static but, instead, lead to internal shifts that reveal the colour. The surface is not only the support for the paint but is its physiological breath, the extension and rarefaction that is transmitted through the body of the image, to the point of making it the indistinct limit between the presence and absence of the material. The artist has dedicated to the thought of absence his own thoughts by highlighting the laceration between the visibility of the colour and its tacit separation from the world, an untouchable space that is nourished with silence, cognition, and emotive measures experienced at the edges of vision. Francesco Tedeschi, De Alexandris, De Ferrari Editore, Genoa 2004 The possibilities for developing the surface in its almost imperceptibly modified structure that the artist initially concentrated on, as well as his successive space-time gradations, can be understood as passages aimed at the introduction of “practical thought” about painting, with respect to what such Americans as Stella or Ryman, or European analytical painting proposed. The almost absolute lack of a colour, that does not derive from the minimal structural deviations proposed by the naked supports modified by the variations of thickness and by programmed grooving, seems to prepare an evaluation of the nature of a colour that will or could exist. The partitioning of the internal space, or even the interference with the external space, when the works by De Alexandris arrive at an explicitly three-dimensional connotation, might well be another of the aspects of his thoughts “about” painting and about its results within the phase of “preparation for…”, or of stripping it down. In the most genuinely three-dimensional period of his work his detachment from painterly substance was, in other words, never definitive and in some cases he inserted a colour to mark the diversity of the surfaces that determined the sculptural “object”. Even more evident, however, is a chromatic/spatial value that is sparked off by that insistence on shadows and the geometric variations that activates the rigidity of the surface. All De Alexandris’s work of this type from the 1960s and the early 1970s can be read as a way of thinking about painting and of creating or laying out a terrain useful for its regaining of life, as well as
a presence not limited to being one of the repeated “returns” to its hypothetical original nature, but that places it as part of the theoretical/programmatic questions unleashed by its apparent negation. These were the years of a “silent painting”, of an activity that left to be intuited the aim of a complete construction of painting’s standing as illusion. […] His way of proceeding disowns nothing from his past, but can be considered the continuation of a path he had been following for some time in a language that is now wholly painterly and for this reason more evocative, poetic, less assertive and structural than his works from the 1970s. his was not a “return” to painting, because for him there was no need to act as the defender of its destiny or its reality. Painting is, just as it was before and as it was implicitly in his earlier work; it is an operative and expressive choice that he gives life to in this way, without being a definitive affirmation of sense. Painting is not a value as such because it is also in itself a metaphor or, as the artist himself has said, “It is the space of suspension that we have to pass across while our gaze hovers and meanders, is held, extends time, retraces waiting and action, the interminable succession and superimposition of acts, actions, the traces of which remain, absorbed into the body of painting. A material body that re-establishes the incorporeal while it keeps hold of and distils the invisible, the source and substance of the visible.” The procedure adopted is both a linguistic and symbolic act, inasmuch as operating with paint reveals those complexities of definition that cannot be completed theoretically but find in concrete action a further confirmation of further rejection of the project. By arriving at this, something that is still open and receptive to shadings and possibilities, De Alexandris is moving in a field with boundaries not completely fixed, as they might have seemed in the poetics I have referred to and which he participated in between the 1960s and 1970s, reabsorbing all that work in terms of dialogue and distance, but also opening up to development in an unexpected way. Certainly he now posed himself, in a more marked manner than in the past, the problem, if it is one, of placing his work in an overall discussion about painting in the period we are looking at. What De Alexandris’s painting poses us with, seen within the totality of the reasons that from the very beginning have motivated his artistic work, is that this is not so much a problem of the persistence or otherwise of the reasons behind painting, as of the need to experience its problems and planning. Claudio Cerritelli, Carte, Valente Artecontemporanea, Finale Ligure 2006 Undertaking painting is to be aware of how to lead any residue of what is visible towards the amazed purity of the eye, to be able to restore to creativity any complicity with the world and, above all, with the threshold of painting as a garden of light, a room of interminable silences. The question of silence is even obvious for a kind of painting that is nourished by secret monochrome moods, placing at a distance the world’s deafening spectacle or, rather, eliminating its turmoil in the imperceptible variations of black and white, with some touches of grey that might be placed near to them. Silence is the condition for thinking of the destiny of painting, for composing and recomposing the fragments of a private and collective story, for constructing the future through the scattered papers of the present. Indeed, the category of the future has never been loved by De Alexandris: his proceeding
without any need to place himself or mirror himself in some creative trend indicates a different artistic project. His is certainly not the utopia of an avant-garde that turns upside-down the statutes of language, nor even nostalgia for a tradition that defends itself from the anxieties of experimentation; it is rather the ambition to speak of subjective time, the impulse to search for an interior vision in the deepest knowledge of being. The great silence of subjective time seems to guide creative experience like the wish to capture another temporality within the essential measure of pictorial space, even at the risk of repeating the same gestures, to utilise the same materials, to calculate the same spaces of light and shade. This is a risk that the artist has never avoided as he prefers to question the space at the edges of infinity, in order to notice the sense of making art in the area of poetry, following the steps of an enchanted traveller where painting lives through the suspended gesture of its indescribable language. […] In the 2003 series of works on paper, De Alexandris underlines the unsettled song of painting throughout its range, space is the light and transparent mirror of transforming colour into form, and in its turn light dilates the boundaries of the apparitions that each time crack and are redefined in the artist’s continuous management of the visible. Filtered through the sediments of colour, there is a return of the materials, and gestures, the ways and procedures of a past that is not detached from the inexorable marks of painting; there are renewed distinguishing features and methodologies of making that become the silent semblances of an endless discourse. But then why should a journey within the rooms of infinity be interrupted? Everything is still in play in this space that allows us to glimpse the parts of surfaces consumed by thought, the echoes of dispersed geometries, the simulacra of materials subtracted from the act of painting and restored to a different colour-seduction. The need for painting does not overlook any source of handling; it elevates the traces of daily life to the level of a timeless contemplation, or as the artist has written, “Without describing anything other than the act of painting, the uninterrupted movement of this act in which painting is displayed and is recognised.” Angela Madesani, Sandro De Alexandris, Nicolodi Editore, Rovereto 2007 The main support of his art consists of light and form. This is already the idea of absence as a concrete entity, however elusive and impalpable. Obsessive attention is paid to the painting’s internal light. His is a vision of superimpositions, like the transparency of an ancient palimpsest. A memory is conserved of the preceding layers, even though this is not a dominant aspect, the main impulse of his work. From time to time the paint covers and discovers, without any claims to revelation. A painting from 1999 is titled Margini dell’infinito. This is an obvious oxymoron, a form of impossibility for painting in order to highlight the concepts expressed slightly earlier. How can boundaries be set to the margins of the infinite? But then, how can we not aspire to the infinite? In his titles over the years there often appears a term: cerulean. Once again a kind of fixation, an obsession. The term cerulean, refers to the sky or at least that area of the sea distant from the beach where the water is deep and, indeed, reinstates the image of the sky that it mirrors. We are dealing with a mysterious colour that ranges from white to black, ungraspable, impalpable, and that is not subject to such definitions as that of painting. To something liquid, that it does
not manage to stop, that insinuates and expands. First of all, this is the initial moment: and Aurora is another recurrent title of his. This is the moment of semidarkness, the one in which, according to Zambrano, there nestles the liberation of the sun, the release of light. Shadow is also a fundamental presence and it occupies a space that is in each one of us, in a desire for it if not for its apparition. Painting is always at the centre of everything, its perfume, its aura, its allure and fascination. De Alexandris is a careful painter and each work is the result of hard work, of long gestation. Among the most recent works is one dating from 2006 titled Indocile rosso in which there is a successful attempt at exiting. This is the wish to leave behind schemes, tracks, the conformism of art, and an attempt at pushing himself into a rare poetic dimension. Where definitions and explanations are no longer possible and, perhaps, not even useful. It is an attempt to breath, filling the lungs completely, above and beyond. Above and beyond reality, of appearance in a territory that goes beyond conventions, rules, any kind of coercion. Alberto Veca, Annotazioni d’Arte, Milan 2008 The variable of “time” - which I have discussed with Sandro on other occasions – has been for decades the protagonist of De Alexandris’s working process, in a happy consonance with the art of other artists who, by operating, by the “theatricality” of working, by conceiving the work as a recording, as the documentation of a vital experience, have created theoretical bases that, independently of the passing of fashions and genres, seem to me to be still today to be one of the most significant contributions to the plastic arts of the last century. With respect to the experience on the cusp of the 1960s and 1970s, we could add a further enrichment: to the “time for operating” it seems to me, and not only now, there can also be added the “time of memory”, and hence that touch of fantasy, the representation not of what effectively happens – the work rooms, the materials, the physicality, and the timing with which he measures himself against the canvas, paper, the work tools – but of what is the result of thought, which is also paradoxically present, and so active and able to make suggestions. And this is possible because even “then”, without any regrets but in the knowledge of being able to analyse with greater experience this or that period, the two times, so to speak, coincided: it was more urgent to indicate the “drama” of making rather than searching for other subjects in his own store of images. […] Where he narrates thresholds, doors, connecting places: a neuralgic thought, because it is an elementary one, about making painting, where there is revitalised the logic of the equivalence between “staging” and “presenting the working process without fakery”, where what becomes neuralgic is the materialisation of the interval between surface and allusions even to depth – though De Alexandris’s experience of “sculpture” should not be forgotten, both in the objects of the 1960s and the incised paper works of the 1970s, as well as the mixed media “superimpositions” of the 1980s – redeeming painting as the main tool of illusion, for a further inquiry that renewed the historical debate about the primacy of the plastic arts, which suggests an intriguing question, partly linked to the artist’s expressive development, and partly to the circumstance that we are both actors and spectators. In a rarefied selection of the coloured panels, the path followed seems to constantly observe the physical
encumbrance of the canvas or of the sheet of paper, repeating its physiognomy to the point of leading from the external margins to the heart of the field, in a gradation of light and shade, which in fact is the title that gave rise to these speedy yet, I hope, confident notes about the work in discussion. Flaminio Gualdoni, Galleria Peccolo, Livorno 2012 About painting, in other words about its latest conceptual reasons, a seeing and making see which, cleansed of all the dregs of the journey of looking - from the eye to the intellect and to the mind – can still say something, without inverted commas, about mental things, about the fullness of experience. First of all the artist operated by verifying direct formative acts and the physiological interior of the form/painting, skirting very close to the concreteness of the surface, of marks that might really be marked, of a space that might be that space, with that structure, measure, and quality of appearance. At a certain obligatory point he dealt with the decisive question of the idea of the pictorial, colour. In painting, colour is a body and a material. It is the direct intake of the senses, visual fullness, autonomous emotive bait, and also the symbol and history of many other things, just as the very occurrence of all art has been built for handing down knowledge. It is also the job of light. De Alexandris knew straight away that the period of the Monochrome Malerei had opened up as many paths as it had closed. A further verification is, having exhausted his programmatic and polemical impulses, and having found that painting was possible after having dissected its anatomy, he was able to give a purified redefinition of the image of painting and its colour. This did not give rise to reasoning about colour, but to the reasoning of colour. Having fully tasted the objectivity of the pictorial corpus, De Alexandris then further understood its intimate extraneousness from the world: something that originates, not from cooling outside, but from an interior gaze. The making of space, not speaking about space. A full substantiation of its place. And so the surface of the image, the perfect meeting place of the gaze and the continuous otherness of its object, can be conceived of as the area of a seeing in the predicate. Elementary graphic traces, minimally instructive, establish the field in which the colour spreads like the cadenza of a fleshless beauty, like a sensual ghost animated by a splendour without grace, like an intonation that is both intellectual and affective, without other responsibilities than its own sound. Giorgio Bonomi, “Arte Contemporanea” n.34, year VIII 2013 It is the concept of the “absolute” that seems to me the best companion for our examination of the work by De Alexandris. We could also define the artist as an “absolute painter” both for his character and for his painting: for the first, note his reserve, his placing himself, not “outside”, but rather “to one side” of the official system of art, at least with regard to its apparent and flashy aspects, as well as of its substance (in other words, the history of contemporary art); the second aspect we will see later. Above all, we see him absolute in the rigour of his “differing repetition”, which allows him to undertake - in the series that he has developed throughout the trajectory of his career - works that are apparently similar but that in their, at times, almost imperceptible shifts take on a notable
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force and efficacy, without fickleness, changes, or improvisations. His painting is absolute because it is autonomous; it has need neither of composition nor of marks: De Alexandris’s is an “absolute painting of colour”. On the canvas, or such other materials as wood or metal, there are no images, no narrative, only colour which runs downwards. To tell the truth, in the last two decades there are images at the sides and in the upper part, and yet they have no declarative value, only limitative ones: they are the “thresholds” – to use a word and a concept dear to the artist – that delimit colour’s field of action. They are boundaries that are only hinted at, and rightly they are a “threshold”, that almost imaginary line that marks the limit between inside and out, but that is always either too near or too far, as though – if we pass from the field of space to that of time – it is the present that is the point of juncture between the past and the future, but that is never either of them, being a “not yet” or an “already past”. Gianni Contessi, Sandro De Alexandris, Soglie, OOLP Editore, Turin 2014 The words of De Alexandris have an echo in the beginning of one of the essays by Paolo Fossati about the artist’s work (in Data, n.21, 1976) where the critic states that “De Alexandris has posed the problem of paintings”: of course, making a painting is relatively simple, whether it is spontaneous or highly calculated. The problem to be solved is, instead, about the role of the viewers and the times of perception, analysis, and rereading, what has been put into play by the work and ways of better appreciating the autonomous phenomenon called a painting. De Alexandris deals with time in the name of the interiority of painting. But De Alexandris well knows that time does not coincide with that of the current historical condition, which it has made obsolete, at least when it hasn’t rejected interiority as dangerous. In the awareness of the crisis within which the historical idea of painterly representation continues to live, Sandro De Alexandris attempts the impossible: to fix the dissolution of the institutional system within which is to be found the act of painting in the moment of its formation on the canvas. Due to this, it is necessary to reiterate the act as it establishes the narrative sequence of a kind of suspended agony on which, however, there depends a painting in development, to quote Blanchot once again. Francesco Tedeschi, Cantiere del ‘900/2, Gallerie d’Italia, Milan 2015 Forms in / of white. With De Alexandris we come across another form of concision, given by an intervention that is both plastic and chromatic. The horizontal and diagonal cut on the surface allows the emergence of a portion of colour that causes a minimum yet determinant luminous variation: the realisation that any intervention with respect to the inert state of the material and the form will generate a measure, a hypothesis of geometry, of space, of light. This possibility is a shift away from the rigidity of an incontrovertible assertion: “My work is an inquiry into what might be. An inquiry to establish the limits and conditions of possibilities. That is, if possibility, inasmuch as the quality of what is possible is what can be made of it, is what can be made as an indication of possibility as a project,” as the beginning of an essay by De Alexandris in the
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period he made this work states. A procedure almost in the manner of Wittgenstein’s Tractatus logicophilosophicus, but as with the Austrian philosopher himself, it cannot stop with the tautological definition of a completed situation, because it is destined to open out to infinite possibilities of making, happening, and of form. Francesco Tedeschi, Studio G7, Bologna 2016 And yet, in consideration of the space to which is temporarily destined, the selection of works that start from a valid and rare point of the “t/n” series, dating from the 1960s, to then pass to two of the “stratification” pieces of the 1990s, and then to the present day, more than being illustrative is exemplary. Exemplary in the sense in which it can be, more than a temporary show, a museum room. In other words, the pictures on show give a complete and unitary image of the artist, as a museum room ought to do, where a place set aside for the conservation and analysis of art and all its history and offshoots is valid for outlining a complete physiognomy, also through internal allusions and possible comparisons useful for noting the characteristics typical of a language, its openings, its directions for inquiry and communication. As a result we can say that this group of works, individually realised (in other words, brought into being, made concrete and so “complete”), manages to supply, even though in a small but strongly characterised space, a valid portrait of Sandro De Alexandris and, perhaps, of his cultural role. Once again, De Alexandris shows himself to be an artist to deal with through a close analysis of the atmospheres and places generated by the different application of interior thought on the meaning of painting; this thought is undertaken, not so much for the internal reasons of art production and the contingent events of an age that puts into play its characters and prerogatives in the light of the needs of a thought aimed at an apparent elimination of expression, but for the deep conviction that the work is part of a process that transcends it. In an interior and ulterior, almost metaphysical dimension, the gestures, traces, colours, and forms produced by the action of De Alexandris configure in an impalpable and imperceptible manner the condition of a transit halfway between doing and being: “pure pause, interval, suspension that marks the moment of the transfer from what is determinate to what is indeterminate” (S. De Alexandris, September 1984). A painting that is substantiated by thought, immaterial but, at the same time, physically present, his work finds its apparently definitive scope in the chromatic dilution that for more than twenty years he has undertaken in various forms. Giorgio Bonomi, Pittura analitica, origini e continuità, Silvana Editoriale 2017 The artist has spoken of “painting that searches for painting”: his art from the second half of the 1960s, is made from minimal marks, by way of a “lightly touched” monochrome, small shifts, Euclidean geometries, materials, and a slow perception that allows him the “surfacing” of light. Already in the 1960s De Alexandris expressed, ante litteram, many analytical characteristics, as in those works in which slender lines horizontally cross the support of paper or wood or even iron. Dating from this decade are also the “T/S” works, initials standing for Time/Space, according to Einstein’s provision. Then, in the 1970s, the “T” became lower
case and it was flanked by an “n” (“t/n”), to signify a no longer theoretical “ time” but the one experienced with an “n”, which is that of mathematics and means “the indefinite”. These works are “almost” monochrome, given that the colours shade into each other with great “slowness”. Already in these brief notes we can see how much the painting of De Alexandris is a part of Analytical Painting; that is, his is a painting that is certainly rational and planned but not to the point of mathematical or surgical coldness: on the contrary, precisely because it is halfway between a plan and a finished work there is a deviation, a swerve that comes about during the working process, and the final result has its autonomy and appears, not only as a process but as being loaded with lyricism. Even in its changes, the artist’s painting has developed with great coherence and without interruption; perhaps the colours have increased their tonalities and seem more “severe”, but without distancing themselves from that feeling, that passion that, before being painting, is for life. Claudio Cerritelli, 100% Italia, Museo Ettore Fico, Turin 2018 In the “Superfici incise” by Sandro De Alexandris, the use of cardboard is decisive, at least as much as the tip of the blade that has revealed its inner substance, its interior silence, the unsaid potentiality, the meaning suspended on the edge of the inexpressible. The image reveals itself in the time-work that coincides with the projecting of experience, the objective existential flow within the dimensions of the cardboard-screen where there is the greatest executive tension. The support is modified by a succession of incisions at regular intervals, a thick and progressive structuring of grooves that the act of incising highlights as the trace of a manual intention that brings with itself the subjective measure of making. The obsessive physicality of the gesture acts on the cardboard with the blade and ruler; the field of action is determined by repeated and implacable rhythms that allow a different breath to the perimeter; in fact, the edges are preserved from the cuts with the consequent need to concentrate the image within the air of the void. The light is not painted but is sparked off by the consistency of the material-support that changes and acts as a method of development, a receptive rule that accepts deviations and pauses within the different incisions of the lines, a rule that asks for lengthy periods of analysis in order to lead the eye to measure itself against the progressive assimilation of the incised grid.
Sandro De Alexandris. 1964|2018, 10 A.M. ART, Milano, 2019 187
Nota biografica
Nato a Torino nel 1939, dai primi anni Sessanta ha rivolto la propria attenzione ai procedimenti del linguaggio che evidenziano le componenti sistematiche e autoriflessive proprie dell’astrazione radicale. Un percorso lungo la linea della cancellazione e dell’azzeramento verso uno stato di sospensione. Pittura che interroga la pittura, lettura del fenomeno visivo e riflessione sulla dimensione mentale dell’immagine, sui mezzi e i materiali attraverso cui si sviluppa, sul suo formarsi. Pittura che interroga se stessa privilegiando la visione interiore, la tensione, le suggestioni del colore e della luce. Dagli inizi del suo lavoro, la ricerca è di una struttura formale essenziale, dove la linea orizzontale è il grado zero della conoscenza.
Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum, Graz, 1969
– Carte e Spessori Orizzontali, serie di nude presentazioni di segni lineari schematici tracciati sulla carta tramite pressione o piegatura. – Bianco+Bianco, otto tavole identiche su cui sono disposti cubetti bianchi alla cui base sta quella che De Alexandris definisce una matematica della plasticità. – Misure di spazio, formato comune sul quale traccia dei solchi e sporgenze orizzontali lungo tutta la larghezza della superficie, disposti secondo un ordine calibrato. – TS, opere collocate a parete o a terra, ma di natura ambientale, dalla forte presenza plastica. – Prosegue le ricerche sulla carta come riflessione sulla forma-luce. Riprende le precedenti sperimentazioni, con graduali complicazioni delle possibilità combinatorie derivate dall’ipotetico grado zero. – t/n, in cui t in minuscolo sta per il tempo relativo e n è il neutro dell’indeterminato in matematica. Si tratta di cartoni bianchi solcati da incisioni minime, fitte e ripetute con regolarità, effettuate mediante un bisturi. Negli anni Ottanta sposta l’attenzione del suo lavoro verso spazi orizzontali, con i Trittici, anche se, a differenza dell’impostazione tradizionale, le tre parti non risultano realmente separate, risultando così concatenate logicamente. Da qui prende il via una serie di opere realizzate mediante sovrapposizione di carte colorate e tele che portano l’artista a un ritorno verso la pittura. Più che di riconciliazione sarebbe corretto parlare di una voluta astinenza per arrivare a restituire alla pittura la propria messa in opera. Ciò che De Alexandris mostra è l’altrove della pittura. I luoghi e gli spazi che rappresenta servono a creare uno stato di sospensione, dislocamento. Dentro la pittura De Alexandris torna a occuparsi di ciò che riguarda la natura originaria dell’atto pittorico, della sua presenza, della sua comprensione e della sua percezione senza voler descrivere, raccontare o aggiungere nulla al mondo che sta fuori di essa.
188
Biographical note
Sandro De Alexandris was born in 1939 in Turin, from the early 1960s he was concerned with the language procedures that highlight the systematic and self-reflexive components of radical abstraction. This was a path consisting of cancellations and eliminations leading to a state of suspension. A painting that questioned painting, an analysis of the visual phenomenon, and thoughts about the mental dimension of images, about the means and materials through which they develop, and about their formation. A painting that questioned itself by privileging an interior vision, tension, and suggestions of colour and light. From the very start of his career there was a search for an essential formal structure, where the horizontal line was the zero degree of knowledge. - Carte e Spessori Orizzontali, a series of marks presentations of schematic linear marks made on paper by pressing or folding it.
Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum, Graz, 1969
- Bianco+Bianco, eight panels of the same format on which are laid out small white geometric cubes, at the heart of which is what De Alexandris calls the mathematics of plasticity. - Misure di spazio, a common format on which he marked horizontal grooves and protuberances for the whole width of the surface, all laid out in a calibrated order. - TS, works placed on the wall of the floor, but of an environmental nature, with a strong sculptural aspect. - He continued with his works on paper as a reflection on form-light. He once again took up his earlier experiments with gradual complications of the combinatory possibilities derived from a hypothetical zero degree. - t/n, in which the lower case t stands for relative time, and n is the indeterminate neutral in mathematics. These are white cardboard works grooved by minimal incisions undertaken with a scalpel. In the 1980s he shifted his attention onto working with horizontal spaces with his Trittici, even though, differently from their traditional layout, the three parts were not really separate and so they seemed logically connected. From here on he began a series of works made with the superimposition of coloured papers and canvas, which led the artist to a return to painting. More than a reconciliation, it would be correct to speak of an intentional abstinence in order to arrive at returning its implementation to painting. What De Alexandris showed was the “elsewhere� of painting. The places and spaces that he represented helped to create a state of suspension, of dislocation. With his painting, De Alexandris began to concern himself with the originary nature of the act of painting, of its presence, understanding, and its perception without the aim of describing, recounting, or adding anything to the world that lays outside it.
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Esposizioni Exhibitions
Mostre personali | Solo Exhibitions 2019 - Sandro De Alexandris. 1964 | 2018, Galleria
2001
- Galleria Giancarlo Salzano, Torino
10 A.M. ART, Milano 1999 2018
- Sandro De Alexandris / Rolando Tessardi, Spazio Kn, Trento
2017
- Galleria Monogramma, Roma
1998
- Candiano, De Alexandris, Istituto Italiano di Cultura, Kӧln
- Paolo Tonin Arte Contemporanea, Torino
2016
- Galleria Studio G7, Bologna
2015
- Galerie 21, Livorno - De Alexandris, Modorati, Progettoarte-Elm, Milano
2012
- Galleria Peccolo, Livorno
1997
- Valente Artecontemporanea, Finale Ligure
1993
- Galerie Kreiter-Kunt, Mainz
1992
- Torino ’60/’70. Gorza, Surbone, De Alexandris, Palazzo Graneri, Torino - Il Triangolo Nero, Alessandria
- Galleria Giampiero Biasutti, Torino 1991 2008
- Galerie Kreiter-Kunt, Mainz
- Annotazioni d’Arte, Milano 1990 2007
- Costantini, De Alexandris, Galleria Giancarlo Salzano, Torino
2006
- Valente Artecontemporanea, Finale Ligure
- Valente Artecontemporanea, Finale Ligure - Palazzo Nervi, Torino
1987
- Spazio Temporaneo, Milano
- Biblioteca Luisia, Vigone 1985 2005
- Spazio Temporaneo, Milano
- Cavenaghi Arte, Milano 1984 2004
- Civico Museo d’Arte Contemporanea, Calasetta - Fondazione Achille Marazza, Borgomanero
- Galleria Il Segno, Torino
1982
- Galleria Giancarlo Salzano, Torino
- Galleria Giancarlo Salzano, Torino 1981 2003
- Valente Artecontemporanea, Finale Ligure
2002
- Cavenaghi Arte, Milano
- Sandro De Alexandris: succedere, Galleria Serreratti, Como
1979
- Studio Palazzoli, Milano
- Galleria Giancarlo Salzano, Torino
Istituto Italiano di Cultura, Köln, 1998, foto di | photo by Angelo Candiano
190
1977
- Galleria Martano, Torino
1976
- Galleria Peccolo, Kӧln - Galleria Peccolo, Livorno
1975
- Galleria Serreratti, Como
1974
- Galleria Method, Bergamo - Galleria La Polena, Genova - Elementarietà come mezzo: De Alexandris, Gorza, Surbone, Galleria della Trinità, Roma
- Sul progetto: pensieri e riflessioni. De Alexandris/ Devalle/Gastini/Gorza/Griffa, Galleria d’Arte Roccatre, Torino
2017
- Pittura analitica, Piazzola sul Brenta, Villa Contarini; Umbertide, Centro per l’Arte Contemporanea, Rocca di Umbertide - Pittura analitica, origini e continuità, FerrarinArte, Legnago - Intorno alla Maison Poétique, Galleria Roccatre, Torino - My way, A modo mio. Ginevra Grigolo e lo Studio G7, MAMbo, Bologna
- Galleria Adelphi, Padova 2016 1973
- Galleria dei Mille, Bergamo
1970
2014
- Galerie 58, Rapperswil
- Tra idea, mito e realtà, Palazzo Lomellini, Carmagnola
2013
- Galerie Friedrich Tschanz, Solothurn
1968
2012
- Oltre, otto artisti al di là dell’apparenza, Sala Manzù, Bergamo - Intorno alla Pittura, Morotti Arte Contemporanea, Daverio
2011
- Astratta Uno, Fondazione Zappettini, Chiavari
- Studio di Informazione Estetica, Torino
1963
- Galleria Botero, Torino
Mostre collettive | Group Exhibitions 2019
- Italia Moderna 1945-1975. Dalla Ricostruzione alla Contestazione, Fondazione Pistoia Musei, Palazzo Buontalenti, Pistoia
- Incanto della pittura. Percorsi di arte italiana del secondo Novecento, Casa del Mantegna, Mantova
- Il Marchesato ritrovato. Aleramo, un albero, venti autori, Teatro Aycardi, Finalborgo - Storie di colore, Palazzo Libera, Villa Lagarina
2002
- Per una assenza, Galleria Giancarlo Salzano, Torino - Visione interiore, Palazzo Bargnani Dandolo, Adro; Villa Glisenti, Villa Carcina; Fondazione Cicogna Rampana, Palazzolo sull’Oglio; Chiesa dei Disciplini, Castenedolo
- Le carte del gioco, idee, teorie e progetti 19661969 di S. De Alexandris e A. Lora Totino, Galleria Martano, Torino - Generazione anni Trenta. Catalogo delle collezioni permanenti, Museo MAGI ’900, Pieve di Cento - Astratta. Dalla collezione Calderara, Palazzo Cavour, Torino
2000
2010
- Torino Sperimentale 1959-1969, Sala Bolaffi, Torino
1999
- Proiezioni 2000, XIII Quadriennale, Palazzo delle Esposizioni, Roma 2008
- Pittura aniconica, Casa del Mantegna, Mantova
- Per Video, Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain, Liège
- Viaggio in Italia: Italienische Kunst 1960 bis 1990, Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum, Graz
- Dialoghi 1, Sandro De Alexandris, Marina Sasso, Il Triangolo Nero, Alessandria
- Arte Contemporanea in Giustiniana, Tenuta La Giustiniana, Gavi - ’900 Cento anni di creatività in Piemonte, Palazzo del Monferrato, Alessandria
1998
- Pittura-Pittura e astrazione, arte e linguaggio negli anni ’70, Fondazione Città di Cremona, Cremona
- Per Video, Galeria Zpap-Art Nova 2, Katowice
2007
- Sur le versant de la peinture, Museo Archeologico, Aosta
2018
- 100% Italia. 1915-2015 Cent’anni di capolavori, Museo Ettore Fico, Torino
- Percorsi del colore, Galleria Disegno Artecontemporanea, Mantova
- Tratti, Chiesa di S. Chiara, Cuneo
1967
- Studio UND, Munchen
- Il disegno: linea, forma, energia, Il Triangolo Nero, Alessandria
2001
- Centro Arte Viva Feltrinelli, Trieste - Studio 2B, Bergamo
- Sulle tracce del segno, Cavenaghi Arte, Milano
- Novanta artisti per una bandiera, Chiostri di San Domenico, Reggio Emilia
1969
- Galleria Diagramma, Milano
2005
- L’arte del Novecento e il libro, Palazzo Cisterna, Torino
- Cantiere del ’900/2, Opere dalle collezioni Intesa San Paolo, Cantiere del ’900, Milano
- Galleria San Fedele, Milano
- Duo, Galleria Giancarlo Salzano, Torino
2015 1971
- Galerie Historial, Nyon
2006
2004
- Peinture, Scrittura, Sculpture, Collegio Fratelli Cairoli, Pavia
- Galerie 66, Hofheim
- Percorsi del colore, Fortezza Castelfranco, Finale Ligure
- Gioco di carte, Galleria Roccatre, Torino
- Galleria Peccolo, Livorno
- Galleria Ferrari, Verona
- Il colore dello spirito, Collegio Fratelli Cairoli, Pavia
- Percorsi del colore, Riva del Garda
- Per Video, Museum Ludwig, Kӧln - Per Video, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino
191
- Pittura Struttura Scrittura. Una situazione Torinese, Fondazione Antonio e Carmela Calderara, Vacciago - Malgré tout… la pittura, Ex Lanificio Bona, ThononEvian, Maison des Arts, Carignano - Libri d’artista in Italia 1960-1998, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino
1997
- In carta, Galleria della Molinella, Faenza
1987
- 250 artisti per un anniversario, Galleria La Polena, Genova
1976
- Un discorso sul metodo, XXVII Mostra d’Arte Contemporanea, Torre Pellice
- VIII Biennale nazionale d’arte contemporanea, Galleria d’Arte Moderna Ricci-Oddi, Piacenza 1975 1986
- Sammlung Etzold-Ein Zeitdokument, Stadtisches Museum Abteiberg, Mönchengladbach
- Aspekte italienischer Kunst, Galerie Alberstrasse, Graz - Spazio-movimento-composizione-struttura, Studio F22, Palazzolo sull’Oglio
- Mostra Nazionale di pittura Città di Monza, Villa Reale, Monza 1996
- Artists’ Books, Galleria Martano, Torino - Premio di pittura Stefano Ferrario, Palazzo Cicogna, Busto Arsizio
1995
- Riflessione e ridefinizione della pittura astratta, Civica Galleria d’Arte Moderna, Gallarate
1994
- Della luce, XXXII Biennale d’arte città di Milano, Palazzo della Permanente, Milano - Trentaquattro artisti per trentaquattro cornici, Cornici di Antichi Maestri Pittori, Torino - Coscienza della realtà, Bertolt Brecht, Milano - No limits world, Galleria La Bussola, Torino
1993
- Tra realismo e informale 1956-1969, Galleria Narciso, Torino
1992
- Arte Contemporanea 1, Museo Butti, Viggiù
- XXI Premio Vasto di arte e critica: il significante visivo, Vasto
1974
- Dal progetto all’opera, Museo di Castelvecchio, Verona - De Mathematica, Galleria L’Obelisco, Roma
1985
- Il Museo Sperimentale di Torino: Arte Italiana degli anni Sessanta nelle collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli
- IX Biennale internazionale d’arte, Galleria d’Arte Moderna, Campione - Internationale Kleineformat Austellung, Galerie Lydia Megert, Berna - Psichico e formale, Galleria Unimedia, Genova
1982
- Turin: Artist Today, St. Enoch Art Gallery, Glasgow
1981
- Modi di racconto, Rondòttanta, Sesto S. Giovanni - Il materiale delle arti, Castello Sforzesco, Milano
1980
- Arte in Italia negli anni Sessanta: oltre l’Informale, Museo Progressivo d’Arte Contemporanea, Livorno - Coletta, De Alexandris, Gastini, Spazio/Sette, Verona - L’intensità del disegno, Galleria Stufidre, Torino
- In Progress, Museo Progressivo d’Arte Contemporanea, Livorno
1973
- Verso il bianco, Galleria Unimedia, Genova - Espressioni d’arte di Torino a Martigny, Martigny
1972
- Trigon Austellung, Museo Revoltella, Trieste - Basta il progetto, Centro La Cappella, Trieste - Strukturierte Monochromie, Galerie Teufel, Kӧln - Faites votre jeu, Galleria del Cavallino, Venezia - IX Biennale Internationale d’Art, Mentone
- Filosofia della composizione, Unione Culturale Franco Antonicelli, Torino 1971
1991
- Architettura e Urbanistica a Torino 1945/1990: i quadri, Lingotto, Torino
1979
- Stanze del gioco, Pinacoteca Comunale, Ravenna
- Multiples, Museum of Modern Art, Philadelphia
- Kunstzene Oberitalien, Stadtische Kunstsammlung, Gelsenkirchen
- Colangelo, De Alexandris, Gandini, Galleria Flori, Firenze; Galleria Gap, Roma
1990
- Irrituale, LX Biennale nazionale d’arte, Palazzo della Gran Guardia, Verona - Raccolta del disegno contemporaneo: acquisizioni 1990, Galleria Civica, Modena - Segni Strutture Immagini, Galleria Salamon Arte Moderna, Torino - Arte per il mondiale ’90, Galleria Nuova Gissi, Torino - L’altra faccia di Torino, Palazzo Nervi, Torino - Premio Marche, Biennale d’arte contemporanea, Ancona
1988
- Old carpets & modern artists, Il Mercante d’Oriente, Verona - Anni ’90 bilanci e prospettive, Galleria Antonio da Sangallo, Loreto
192
- Trigon ’71 Intermedia Urbana, Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum, Graz
- Proposta, Studio d’Arte Eremitani, Padova 1978
- Bohm, De Alexandris, Keller, Galerie Historial, Nyon
- Parola immagine e scrittura, Collegio Raffaello, Urbino
1970
- The Museum of Drawers, Kunsthaus, Zurich
- La sequenza, Dov’è la Tigre, Milano
- Arte e Critica ’70, Galleria della Sala di Cultura, Modena - XXIV Premio Michetti, Francavilla al Mare
1977
- Miniaturen ’70, Galerie 66, Hofheim
- Rationale Konzepte ’77, Stadtische Kunstsammlung, Gelsenkirchen
1969
- Sammlung Etzold, Stadtisches Museum Abteiberg, Mönchengladbach
- Punto e linea sulla superficie, Chiostro di San Domenico, Cagliari
- XXIV Salon des Réalités Nouvelles, Musée d’Art Moderne, Paris - Hommage an das Schweigen, Kunstpavillon, Innsbruck - Albrecht, De Alexandris, Klau, Heideman, Galerie Contact-Wunstorf, Hannover
- Ars multiplicata, ars mobilis, Galerie 66, Hofheim - Nuovi materiali, nuove tecniche, Caorle - Klub Konkretistu, Galerie Umeni, Karlovy Vary - Prospettive 4, Galleria Due Mondi, Roma - IV Internationalen Malerwochen, Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum e Künstlerhaus, Graz - Plastic Research, New Goodman Gallery, Johannesburg
1968
- XXIII Salon des Réalités Nouvelles, Musée d’Art Moderne, Paris - VI Premio Masaccio, San Giovanni Valdarno
1967
- Exibition Artypo, Stedelijk Van Abbemuseum, Eindhoven - Museo sperimentale d’arte contemporanea, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino - Ipotesi linguistiche intersoggettive, Centro Proposte, Firenze - IX Premio Nazionale di pittura Silvestro Lega, Palazzo di Re Enzo, Bologna
1966
- Strutture organizzate, Centro Proposte, Firenze
Opere in collezioni pubbliche | Works in public collections - IT, Torino, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea - IT, Milano, Cantiere del ‘900, Collezione Intesa San Paolo - IT, Livorno, Museo Progressivo d’Arte Contemporanea - IT, Vacciago, Fondazione Antonio e Carmela Calderara - IT, Genova, Museo di Villa Croce - IT, Pieve di Cento, Museo MAGI ‘900 - IT, Calasetta, MACC - Museo d’Arte Contemporanea - AT, Graz, Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum - DE, Mönchengladbach, Stadtisches Museum Abteiberg, Sammlung Etzold
Galerie 66, Hofheim, 1970 Galerie Kreiter-Kunt, Mainz, 1991
193
194
Bibliografia selezionata Selected bibliography
2018
Soglie, OOLP Editore, Torino
- Luca Pietro Nicoletti, Un appunto per De
- Riccardo Zelatore, Lo stupore del minimo, in Soglie, OOLP Editore, Torino
Alexandris e Tessadri. Letture parallele, catalogo della mostra, Spazio Kn, Trento - Francesco Poli, Sul progetto: pensieri e riflessioni, catalogo della mostra, Galleria Rocca Tre, Torino - Helmut Heissenbuttel, De Alexandris, ripubblicazione del testo 13 abkurzungen fur Sandro De Alexandris - Stoccarda 1970, OOLP Editore, Torino - Claudio Cerritelli, Pittura Analitica, in 100% Italia. Cent’anni di capolavori, catalogo della mostra, Museo Ettore Fico, Torino
2017 - Michele Bramante, Sandro De Alexandris, Soglie, catalogo della mostra, Paolo Tonin Arte Contemporanea, Torino
- Francesco Poli, Qualche domanda a Sandro De Alexandris, dialogo, in Soglie, OOLP Editore, Torino - Claudio Cerritelli, La pittura come spazio della pittura, dialogo, in Soglie, OOLP Editore, Torino - Angela Madesani, L’esercizio interminabile, dialogo, in Soglie, OOLP Editore, Torino - Giorgio Bonomi, Spigolature bibliografiche, “Titolo” n.8, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli - Roberto Mastroianni, Ripetizione e differenza, la pittura analitico-filosofica di Sandro De Alexandris, “Titolo” n.7, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli - Paola Malato, Tra Idea Mito e Realtà, catalogo della mostra, Palazzo Lomellini, Carmagnola
- Giorgio Bonomi, A coté dell’analitica, i “compagni di strada”, in Pittura analitica, origini e continuità, catalogo della mostra, Silvana Editoriale, Milano
2013
- Michele Bramante, Sandro De Alexandris-Luce e percezione, “JULIET 185”, Trieste
- Giorgio Bonomi, L’assoluto della pittura di Sandro De Alexandris, “Arte Contemporanea New” n.34
2016 - Francesco Tedeschi, Quadri a un’esposizione, catalogo della mostra, Galleria Studio G7, Bologna - Francesco Poli, Gioco di carte, catalogo della mostra, Galleria Roccatre, Torino - Emanuela Zanon, Sandro De Alexandris-Quadri a un’esposizione, Julietartmagazine.com/it/events
- Diego Collovini, Sandro De Alexandris, “Arte Contemporanea New” n.33
2012 - Flaminio Gualdoni, De Alexandris. Pratica del colore, catalogo della mostra, Galleria Peccolo, Livorno - Angela Madesani, Intorno alla pittura, catalogo della mostra, Morotti Arte Contemporanea, Daverio - Angela Madesani, Oltre, otto artisti al di là dell’apparenza, catalogo della mostra, Circolo Culturale G. Greppi - Sala Manzù, Bergamo
2015 - Francesco Tedeschi, Bianco e colore. Forma del/nel bianco, in Forme e percorsi nell’arte italiana del Novecento, in Cantiere del ’900/2, catalogo della mostra, Gallerie d’Italia, Milano - Francesco Tedeschi, Sfiorare il tempo, in De Alexandris-Modorati, catalogo della mostra, Progettoarte-Elm, Milano - Bruno D’Amore, Arte e Matematica, Edizioni Dedalo, Bari - Sara Marceddu, Memorie e sinfonie dello spazio e del tempo. Dialogo tra De Alexandris e Modorati, “Arte e Critica” n.82, Roma - Gabriele Albanese, Peinture Scrittura Sculpture, catalogo della mostra, Collegio Fratelli Cairoli, Pavia - Giorgio Bonomi, Nell’assoluto della pittura, colloquio di Giorgio Bonomi con Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Galerie 21, Livorno
Interno dello studio, 2008, foto di | photo by Giuseppe Comazzi
2014 - Gianni Contessi, Per Sandro De Alexandris, in
2011 - Alberto Rigoni, Le opere ci guardano, in Astratta Uno, catalogo della mostra, Fondazione Zappettini, Chiavari
2010 - Giorgina Bertolino, Francesca Pola, Intervista a Sandro De Alexandris, in Torino Sperimentale 1959-1969, Allemandi Editore, Torino - Luisa Perlo, Sperimentare al plurale. Le esperienze e le ricerche dei gruppi, in Torino Sperimentale 1959-1969, Allemandi Editore, Torino
2009 - Gianni Contessi, Miriam Panzeri, Paolo Fossati, La passione del critico, scritti scelti sulle arti e la cultura del Novecento, Bruno Mondadori, Milano - Claudio Cerritelli, Parole al minimo, catalogo della mostra, Cavenaghi Arte, Milano, Neos Edizioni, Milano
195
- Francesco Poli, Il velo dell’aria, catalogo della mostra, Galleria Giampiero Biasutti, Torino - Lea Mattarella, Tutte le sfumature del bianco, “Arte”, Cairo Editore, Milano
2008 - Claudio Cerritelli, Pittura Aniconica. Arte e critica in Italia 1968/2007, Mazzotta Editore, Milano - Alberto Veca, Equinozi, catalogo della mostra, Annotazioni d’Arte, Milano - Flaminio Gualdoni, Pittura-Pittura e Astrazione. Arte e linguaggio negli anni ’70, catalogo della mostra, Fondazione Città di Cremona, Cremona - Marisa Vescovo, ’900. Cento anni di creatività in Piemonte, catalogo della mostra, Silvana Editoriale, Milano - Claudio Cerritelli, Sandro De Alexandris, scritti 1967-2007, “Nuova Meta-parole & immagini”, Milano - Christa Steinle, Gudrun Danzer, Viaggio in Italia. Italienische Kunst 1960 bis 1990, catalogo della mostra, Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum, Graz
2007 - Claudio Cerritelli, Stanze di luce infinita, in Sandro De Alexandris, Nicolodi Editore, Rovereto
mostra, Casa del Mantegna, Mantova - Alberto Veca, Il segno di Sandro De Alexandris, “Arte Incontro in Libreria” n.46, Milano - Claudio Cerritelli, Astraendo e figurando, venti artisti contemporanei sul motivo dell’albero, in Il Marchese ritrovato. Aleramo, un albero, venti autori, catalogo della mostra, Teatro Aycardi, Finalborgo - Alberto Veca, Dagli anni Sessanta, catalogo della mostra, Civico Museo d’Arte Contemporanea di Calasetta, Calasetta - Fabrizio Parachini, Il bianco assente, catalogo della mostra, Fondazione Achille Marazza, Borgomanero
- Giovanni Maria Accame, Quando l’artista scrive, in Parola d’artista, Edizioni Charta, Milano - Gisella Vismara, Tra riflessione e azione, in Parola d’artista, Edizioni Charta, Milano
2006 - Alberto Veca, Dedicate, catalogo della mostra, Cavenaghi Arte, Milano - Claudio Cerritelli, Carte sospese sui margini dell’infinito, catalogo della mostra, Valente Artecontemporanea, Finale Ligure
2005 - Alberto Veca, Un libro come uno specchio, “Nuova Meta-parole & immagini”, Milano - Fabrizio Parachini, Fabrizio Parachini intervista Sandro De Alexandris, “Zone d’arte” - Guido Curto, Guarda che bello il fruscio del rosa!, “La Stampa Torinosette”, Torino, 21 gennaio
2004
196
- AA.VV., Proiezioni 2000. Lo spazio delle arti visive nella civiltà multimediale, catalogo della mostra, Palazzo delle Esposizioni, Roma, De Luca Editore, Roma - Francesco Poli, Sandro De Alexandris: soglie, stanze, spazi d’ombra, specchi, indocili attese…, catalogo della mostra, Galleria Monogramma, Roma - Gabriele Simongini, De Alexandris, in “Il Tempo”, Roma, 24 ottobre - Vittorio Esposito, Sandro De Alexandris, in “Italia Sera”, Roma, 24 ottobre
- Riccardo Zelatore, Sulle tracce del segno, catalogo della mostra, Cavenaghi Arte, Milano
- Vito Apuleio, De Alexandris, in “Il Messaggero”, Roma, 4 novembre
- Marco Rosci, Anche l’immagine ma di tutto e di più, in L’arte del Novecento e il libro, Edizione Lybra Immagine, Milano
- Roberto Pasini, Cento segni di solitudine, dal Romanticismo al Postmoderno, Clueb, Bologna
- Paolo Levi, De Alexandris, in “La Repubblica”, Torino, 1 dicembre
2002 - Claudio Cerritelli, Visione Interiore. Il senso del presente nella pittura italiana, catalogo della mostra, Libri Scheiwiller, Milano
2001 - Luciano Caramel, La Collezione Calderara e l’arte astratta, in Astratta. Dalla collezione Calderara, catalogo della mostra, Palazzo Cavour, Torino, Skira Editore, Milano - Marco Rosci, La purezza del mondo sul lago d’Orta, in Astratta. Dalla collezione Calderara, catalogo della mostra, Palazzo Cavour, Torino, Skira Editore, Milano - Giorgio Di Genova, Storia dell’arte italiana del ’900. Generazione anni Trenta, Bora Edizioni, Bologna - Arrigo Lora Totino, Le carte del gioco, per l’appunto, in Le carte del gioco. Sandro De Alexandris-Arrigo Lora Totino, Martano Editore, Torino - Laura Castagno, La Maison Poétique. Una ricerca a più voci, in Le carte del gioco. Sandro De Alexandris-Arrigo Lora Totino, Martano Editore, Torino - Giovanni Romano, Per Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Galleria Giancarlo Salzano, Torino - Paolo Levi, De Alexandris, in “La Repubblica”, Torino, 18 maggio - Marco Rosci, De Alexandris, in “La Stampa Tuttolibri”, Torino, giugno - AA.VV., Generazione anni Trenta. Catalogo delle collezioni permanenti, catalogo della mostra, Museo d’arte delle generazioni italiane del ’900 “G. Bargellini”, Pieve di Cento, Bora Edizioni, Bologna
- Roberto Pasini, Informale, astrattismo ed altro, in Arte Italiana. Ultimi quarant’anni-Pittura aniconica, catalogo della mostra, Galleria d’Arte Moderna, Bologna, Skira Editore, Milano - Francesco Poli, Le arti figurative, in Nicola Tranfaglia (a cura di), Storia di Torino, Einaudi, Torino - Giulio Bedoni, Gillo Dorfles, Francesco Saba Sard, La collezione Calderara, Skira Editore, Milano
1998 - AA.VV., Per Video, catalogo della mostra, Museum Ludwig, Kӧln - Paolo Fossati, De Alexandris, Candiano, catalogo della mostra, Istituto Italiano di Cultura di Colonia, Kӧln, De Ferrari Editore, Genova - Giorgina Bertolino, Sandro De Alexandris, in Gianfranco Bruno (a cura di), Sur le versant de la peinture, 11 peintres à Turin, catalogo della mostra, Museo Archeologico, Aosta, Musumeci Editore, Aosta - Marco Rosci, Gli allievi ribelli di Spazzapan, in “La Stampa”, Torino, 11 maggio - Marco Rosci, Una situazione Torinese. Dalla logica all’emozione pittorica, in Pittura Struttura Scrittura. Una situazione Torinese, catalogo della mostra, Fondazione Calderara, Vacciago di Ameno - Marco Rosci, Malgré tout… la pittura, catalogo della mostra, Thonon-Evian, Carignano - Liliana Dematteis, Giorgio Maffei (a cura di), Libri d’artista in Italia 1960-1998, catalogo della mostra, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino
1997 - Roberto Pasini, La forma interminabile della pittura, catalogo della mostra, Valente Artecontemporanea, Finale Ligure, De Ferrari Editore, Genova - Bruno Bandini, Claudio Cerritelli, In carta, catalogo della mostra, Faenza
- Francesco Tedeschi, De Alexandris, De Ferrari Editore, Genova - Claudio Cerritelli, Incanto della pittura. Percorsi di arte italiana del secondo Novecento, catalogo della
1999
- Angela Madesani, Storie di Colore, catalogo della mostra, Villa Lagarina, Palazzo Libera, Nicolodi Editore, Rovereto
- Angela Madesani, Indocile pittura, in Sandro De Alexandris, Nicolodi Editore, Rovereto - Fabrizio Parachini, Il colore dello spirito, catalogo della mostra, Collegio Fratelli Cairoli, Pavia
catalogo della mostra, Chiesa di S. Chiara, Cuneo
2000 - Riccardo Cavallo, Fulvia Giacosa, Ida Isoardi, Tratti,
1996 - Marco Rosci, in AA.VV., Premio di pittura Stefano Ferrario, catalogo della mostra, Busto Arsizio - Lara Vinca Masini, Arte contemporanea. La linea del modello. Arte come progetto del mondo, vol. III, Giunti Editore, Firenze
1995 - Paolo Fossati, Dopo l’astrattismo, in G.M. Accame, V. Fagone, P. Fossati, R. Lambarelli, D. Paparoni (a cura di), Riflessione e ridefinizione della pittura astratta, catalogo della mostra, Galleria d’Arte Moderna, Gallarate
- Paolo Levi, Gli anni ’60 al Circolo degli artisti, in “La Repubblica”, Torino, 26 aprile
- Marco Rosci, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Spazio Temporaneo, Milano
- Luigi Lambertini, L’immagine parlata, intervista a “Radio 1”, Roma, aprile
- Francesco Vincitorio, in “La Stampa Tuttolibri” n.587, Torino
- Angelo Dragone, Torino ’60/’70. Gorza, Surbone, De Alexandris, in “L’Iniziativa”, Torino, maggio-giugno - Francesco Poli, Qualche domanda a Sandro De Alexandris, La più bella galleria d’Italia, in AA.VV. (a cura di), Attualissima, catalogo della mostra, Firenze - Gottardo Ortelli, Arte contemporanea 1, catalogo della mostra, Museo Butti, Viggiù
1991 1994 - Enrico Crispolti, Le ultime ricerche, in Carlo Pirovano (a cura di), La pittura in Italia. Il Novecento/3 Le ultime ricerche, Mondadori Electa, Milano - Francesco Tedeschi, Coscienza della realtà, catalogo della mostra, Circolo Culturale Bertolt Brecht, Milano - Pino Mantovani, Trentaquattro artisti per trentaquattro cornici, catalogo della mostra, Umberto Allemandi Editore, Torino - Francesco Poli, Undici quadri in una dimensione dinamica, in “No Limits World” n.25, Milano
1993 - Paolo Fossati, Di cose accadute a Torino, in G. Celant, P. Fossati, I. Giannelli (a cura di), Un’avventura internazionale: Torino e le arti 1950/1970, catalogo della mostra, Castello di Rivoli, Edizioni Charta, Milano - Gerard Wolsch, Sandro De Alexandris bei KreiterKunt, in “Allgemeine Zeitung”, Mainz, 27 settembre - Giorgio Auneddu, Sandro De Alexandris, in Rosanna Maggio Serra, Riccardo Passoni (a cura di), Il Novecento, catalogo delle opere esposte, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino - Piera Giovanna Tardella, Torino, e Lisa Parola, Sandro De Alexandris, in Carlo Pirovano (a cura di), La pittura in Italia. Il Novecento/2 1945/1990, Mondadori Electa, Milano - Paola Malato, Sandro De Alexandris, in “Terzoocchio” n.69, anno XIX, Bologna - Gottardo Ortelli, Della Luce, in AA.VV., XXXII Biennale d’arte città di Milano, catalogo della mostra, Palazzo della Permanente, Milano
1992 - Marco Rosci, Individualità e confluenza, in Marco Rosci (a cura di), Torino ’60/’70, Gorza, Surbone, De Alexandris, catalogo della mostra, Palazzo Graneri, Torino
- Paolo Fossati, Quadri 1945 e seguenti, in L. Mazza, C. Olmo (a cura di), Architettura e urbanistica a Torino 1945/1990, Centro Congressi Lingotto, Torino, Umberto Allemandi Editore, Torino - Gerard Wolsch, Sandro De Alexandris bei KreiterKunt, in “Allgemeine Zeitung”, Mainz, 25 marzo
1986 - Dierk Stemmer, Hans Peter Riese (a cura di), Sammlung Etzold - Ein Zeitdokument, catalogo della mostra, Stadtisches Museum Abteiberg, Mӧnchengladbach - Francesco Poli, Enigmatiche presenze, in “Città” n.27, Torino, 2 ottobre - Marco Rosci, in AA.VV., Mostra nazionale di pittura “Città di Monza”, catalogo della mostra, Monza - Guido Montana, Il significante visivo. XXI Premio Vasto di arte e critica d’arte, “Questarte” n.51, Vasto
1985 - Francesco Vincitorio, La parte dell’occhio, in “L’Espresso” n.1, Roma
1990 - Paolo Fossati, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Valente Artecontemporanea, Finale Ligure - Marco Rosci, Forma simbolica e miti collettivi, catalogo della mostra, Galleria Nuova Gissi, Torino - Francesco Poli, Sandro De Alexandris, in AA.VV., Premio Marche Biennale d’arte contemporanea, catalogo della mostra, Ancona, De Luca Editori d’Arte, Roma
- Angelo Dragone, Timbri di Luce, in “La Stampa”, Torino, 6 gennaio - Ferdinando Albertazzi, Un viaggio alle radici del senso, in “L’Arena”, Verona, 17 giugno - Maria Teresa Roberto, Sandro De Alexandris, in Mirella Bandini, Rosanna Maggio Serra (a cura di), Il Museo Sperimentale di Torino: arte italiana degli anni Sessanta nelle collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna, catalogo della mostra, Castello di Rivoli, Fabbri Editore, Milano
- Marco Rosci, Paride Chiapatti (a cura di), L’altra faccia di Torino, catalogo della mostra, Torino - Enrico Crispolti, Luca Beatrice, Segni Strutture Immagini, catalogo della mostra, Salamon Arte Moderna, Torino - Walter Guadagnini, Raccolta del disegno contemporaneo: acquisizioni 1990, Galleria Civica di Modena, Modena - Luciano Caramel, Una scelta “irrituale”, in L. Caramel, G. Cortenova, E. Crispolti, T. Toniato (a cura di), Irrituale. LX Biennale nazionale d’arte, catalogo della mostra, Verona, Mazzotta Editore, Milano
1988 - Paride Chiapatti, Sandro De Alexandris-Beppe Devalle, in AA.VV., Anni ’90: pittura e scultura, bilanci e prospettive, catalogo della mostra, Loreto, Mazzotta Editore, Milano - Miklos N. Varga, Sandro De Alexandris, in “Terzoocchio” n.48, anno XIV, Bologna
1982 - Alberto Veca, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Galleria Giancarlo Salzano, Torino - Angelo Dragone, Misure dello spazio segnate dal bisturi, in “La Stampa”, Torino, 23 giugno - Paride Chiapatti, Disagio e vertigine di fronte alle opere di De Alexandris, in “L’Unità”, Torino, 24 giugno - Pino Mantovani, Turin: Artists Today, catalogo della mostra, St. Enoch Art Gallery, Glasgow
1981 - Alberto Veca, Sandro De Alexandris: succedere, catalogo della mostra, Galleria Serreratti, Como - Alberto Veca, Modi di racconto, catalogo della mostra, Rondòttanta, Sesto San Giovanni
- Luciano Caramel, Old Carpets & modern artists, catalogo della mostra, Il Mercante d’Oriente, Verona
- Alberto Veca, Sandro De Alexandris, in B. Freddi, L. Magagnato, P.C. Santini, A. Veca (a cura di), Il materiale delle arti. Processi tecnici e formativi dell’immagine, catalogo della mostra, Castello Sforzesco, Milano
1987
1980
- Giovanni Anzani, VIII Biennale nazionale d’arte contemporanea, catalogo della mostra, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, Piacenza
- Francesco Poli, Filosofia della composizione, catalogo della mostra, Unione Culturale Franco Antonicelli, Torino
- Angelo Mistrangelo, Dieci anni di Torino in mostra, in “Stampa Sera”, Torino, 4 aprile - Angelo Dragone, Tre storie astratte di castigata bellezza, in “La Stampa”, Torino, 13 aprile - Luisa Somaini, Torino anni ’60/’70. Gorza, Surbone, De Alexandris, in “La Repubblica”, Roma, 18 aprile
197
- Franco Torriani, L’intensità del disegno, catalogo della mostra, Galleria Stufidre, Torino
divisioni, in Quattro saggi di critica d’arte, Edizioni Alephzero, Bologna
- Mirella Bandini, Copertina d’artista, Torino
- Luciano Caramel, Sandro De Alexandris. Cinque Serigrafie, Edizioni Serreratti, Como
1979 - Paolo Fossati, Sandro De Alexandris. Il tempo sospeso della pittura, Martano Editore, Torino - Pier Giovanni Castagnoli, Paolo Fossati, Stanze del gioco, in “La Tradizione del Nuovo” n.5, anno III, catalogo della mostra, Pinacoteca Comunale, Ravenna - Flavio Caroli, Ma questi ventenni sono vitali…, in “Corriere della Sera”, Milano, 27 maggio - Umbro Apollonio, Occasioni del tempo. Occasioniipotesi, Edizioni Studio Forma, Torino
1978 - Francesco Poli, La sequenza, catalogo della mostra, Dov’è la Tigre, Milano - Ferdinando Albertazzi, Linee rette non colorate, in “Nuova Società” n.118, anno VI, Torino - Matteo D’Ambrosio, Parola immagine e scrittura, catalogo della mostra, Collegio Raffaello, Urbino - Herbert Distel, The Museum of Drawers, catalogo della mostra, Kunsthaus, Zurich
1974 - Vittorio Fagone, Lara Vinca Masini, In Progress. Informazioni e materiali del Museo Progressivo d’arte contemporanea, catalogo della mostra, Museo Progressivo d’arte contemporanea, Livorno - Vittorio Fagone, Psichico e formale, catalogo della mostra, Galleria Unimedia, Genova - Luigi Lambertini, Elementarità come mezzo: De Alexandris, Gorza, Surbone, catalogo della mostra, Galleria della Trinità, Roma - Bruno D’Amore, Filiberto Menna, De Mathematica, catalogo della mostra, Galleria L’Obelisco, Roma - Germano Beringheli, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Galleria La Polena, Genova
- Marisa Volpi Orlandini, Maria Luisa Frongia, Punto e linea sulla superficie, catalogo della mostra, Cagliari - Franco Torriani, Sandro De Alexandris, in “G 7 Studio” n.15, Bologna - Paride Chiapatti, Professionalità e impegno in Galli e De Alexandris, in “L’Unità”, Torino, 12 ottobre - Ferdinando Albertazzi, Fantasticamente, in “Gala International” n.85, anno XIV, Milano
- Paolo Fossati, Sandro De Alexandris, in “Data” n.21, Milano - Paolo Fossati, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Galleria Peccolo, Livorno - Francesco Vincitorio, La parte dell’occhio, in “L’Espresso” n. 25, Roma - Mirella Bandini, Un discorso sul metodo, catalogo della mostra, XXVII Mostra d’arte contemporanea, Torre Pellice - Franco Torriani, Indagine sul processo percettivo, in “Gala International” n.79, anno XIII, Milano
1975 - Bruno D’Amore, Lo spazio e le sue possibili
198
- Hermann G. Krupp, De Alexandris Austellung eroffnet, in “Hofheimer Zeitung”, Hofheim, 7 marzo - Jacques Monnier, De Alexandris: l’expression geometrique, in “Tribune de Lausanne”, Lausanne, 26 marzo - Rainer Michael Mason, Problèmes d’espace et de lumière, in “Tribune de Genève”, Genève, 25 marzo - Umbro Apollonio, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Galerie Historial, Nyon - Umbro Apollonio, Helmut Heissenbuttel, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Galleria San Fedele, Milano - AA.VV., XXIV mostra nazionale di pittura Michetti, catalogo della mostra, Francavilla al Mare - Dieter Hoffmann, Miniaturen ’70 International, catalogo della mostra, Galerie 66, Hofheim - Lara Vinca Masini, Sandro De Alexandris, in AA.VV., Arte e Critica ’70. Segnalazioni, catalogo della mostra, Modena
- Ernesto L. Francalanci, Sandro De Alexandris. La luce come misura dello spazio, catalogo della mostra, Galleria Method, Bergamo
- Hans Neuburg, Zwei junge italienische Kunstler in Rapperswil, in “Die Tat 23”, Zurich, 3 ottobre
- Paolo Fossati, Tre spunti per una mostra, in L. Magagnato e P. Fossati (a cura di), Dal progetto all’opera. Spazio e/o geometria - processo dell’esperienza visiva, catalogo della mostra, Museo di Castelvecchio, Verona
1973 - Michel Ragon, Michel Seuphor, L’art abstrait 1939/1970 en Europe, vol. III, Aimé Maeght Editeur, Parigi - Ernesto L. Francalanci, Per una ipotesi di autogestione. Faites votre jeu, in Faites votre jeu, catalogo della mostra, Edizioni del Cavallino, Venezia - Angelo Dragone, 50 anni d’arte a Torino, in AA.VV., Espressioni d’arte di Torino a Martigny, catalogo della mostra, Martigny
1972 1976
- Umbro Apollonio, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Galerie 66, Hofheim
- Germano Beringheli, Il bianco tra progetto e realtà, in “Il Lavoro”, Genova, 26 marzo
1977 - Ferdinando Albertazzi, Dal possibile al probabile, in “L’Arena”, Verona, 16 marzo
1970
- AA.VV., IX Biennale Internationale d’Art, catalogo della mostra, Mentone - Gianni Contessi, Note sulla progettazione. Basta il progetto, catalogo della mostra, Edizioni La Cappella, Trieste
1971 - Lara Vinca Masini, Cesare Vivaldi, Colangelo, De Alexandris, Gandini, catalogo della mostra, Galleria Flori, Firenze; Galleria Gap, Roma, Edizioni Presenza, Roma - Hartmut Bohm, Relief Structure Artists in Europe, in “The Structurist” n.11, University of Saskatchewan, Saskatoon - Arnold Kohler, La pureté d’un théorème, in “Tribune de Genève”, Genève, 16 dicembre
- Lara Vinca Masini, Sandro De Alexandris, in L’arte contemporanea in Italia, Edizioni Presenza, Roma - Udo Kultermann, Neue Formen des Bildes, Verlag Ernst Wasmuth, Tubingen 1969, Nuove Forme della pittura, Feltrinelli Editore, Milano - Ernesto L. Francalanci, Cronaca d’estate, in “Art International”, vol. XIV/10, Lugano, dicembre
1969 - Peter Weiermair, Hommage an das Schweigen, catalogo della mostra, Kunstpavillon, Innsbruck - Herman G. Krupp, Ars multiplicata ars mobilis, catalogo della mostra, Hofheim - Umbro Apollonio, Sandro De Alexandris, in Luigi Mallè, Garibaldo Marussi, Franco Passoni, Lorenza Trucchi (a cura di), Nuovi materiali nuove tecniche, catalogo della mostra, Caorle - Lara Vinca Masini, Arsen Pohribnj, Klub Konkretistu, catalogo della mostra, Karlovy, Vary - Umbro Apollonio, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Friedrich Tschanz, Solothurn - Wilfried Skreiner, IV Internationalen Malerwochen, catalogo della mostra, Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum, Graz - Richard Rubinig, Die Retzhofer Maler. Prasentieren sich in der Grazer Neuen Galerie, in “Neue Zeit”, Graz, 5 ottobre - Umbro Apollonio, Plastic research, catalogo della mostra, New Goodman Gallery, Johannesburg - Leonardo Mosso, Sandro De Alexandris, in “Interni” n.36, Milano
1968 - Lara Vinca Masini, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Studio 2B, Bergamo - I. Meyerson, XXIII Salon des Réalités Nouvelles, catalogo della mostra, Musée d’Art Moderne, Parigi - Umbro Apollonio, Sandro De Alexandris, in “Art International”, vol. XII/3, Lugano - Adriano Spatola, Per Sandro De Alexandris, in “Geiger 68”, Torino - Giovanni Maria Accame, Gillo Dorfles, Guido Montana, Claudio Popovich, Lea Vergine (a cura di), VI Premio Masaccio, catalogo della mostra, San Giovanni Valdarno
- Miklos N. Varga, Consonanze, poesia con un pastello, 30 esemplari, Il Girasole Edizioni, Valverde, Libreria Bocca, Milano, 2005 - AA.VV., Soglie, testi scelti da Ferdinando Albertazzi con 14 xerografie, 55 esemplari, La Luna Nera Edizioni, Alessandria, 1993 - Paul Celan, Fadensonnen, poesia con due acqueforti, 22 e IV esemplari,Triangolo Nero, Alessandria, 1992
Libri d’artista
- Trasparenze*, Trasparenze**, Trasparenze***, Il Geko Edizioni, collana Transiti, Genova, 2015
- Luciano Inga Pin, L’itinerario di Sandro De Alexandris, in “Gala” n.31, Milano
- Soglie, OOLP Editore, Torino, 2014
- Lea Vergine, L’annata artistica, in AA.VV., Almanacco Letterario Bompiani, Milano
- Passaggi, Peccolo Editore, collana Memorie d’artista, Livorno, 2013
1967 - AA.VV., artypo, catalogo della mostra, Stedelijk Van Abbemuseum, Eindoven - Umbro Apollonio, Sandro De Alexandris. Operazioni Plastiche; Carlo Belloli, Sandro De Alexandris e la modulazione di proporzione; Leonardo Mosso, Sandro De Alexandris; in Sandro De Alexandris. Operazioni Plastiche, Edizioni Studio di Informazione Estetica, Torino
- Sandro De Alexandris, Arrigo Lora Totino, Le carte del gioco, Galleria Martano, Torino, 2001 (ripubblica e raccoglie in unica edizione: Gang Gegen, Logogrammi, Movimento, Eco e riverbero, Cromofonemi, Dialemmi,1966/67; L’infinito, Un nonnulla, Busta Celeste, Studio di Informazione Estetica, Torino, 1969)
- Lara Vinca Masini, Ipotesi linguistiche intersoggettive, catalogo della mostra, Centro Proposte, Firenze - Umbro Apollonio, IX Premio nazionale di pittura Silvestro Lega, catalogo della mostra, Modigliana, Bologna - Aldo Passoni, In ore di disagio una aperta fiducia nel mondo della tecnologia, in Eugenio Battisti, Germano Celant, Luigi Mallè, Aldo Passoni (a cura di), Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea, catalogo della mostra, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino - Arrigo Lora Totino, Operazione plastica-misure di spazio di S. De Alexandris, in “Centroarte” n.1, Torino
1963 - Luigi Carluccio, Sandro De Alexandris, catalogo della mostra, Galleria Botero, Torino
Livre de peintre - Mario Pasquetti, La costanza e il roseto, poesia con un’opera, veline colorate sovrapposte, 33 esemplari, Edizioni PulcinoElefante, Osnago, 2017 - Miklos N. Varga, Soglia, poesia con un’opera, veline colorate sovrapposte, 30 esemplari, Scoglio di Quarto Edizioni, Milano, 2016 - Giancarlo Pontiggia, Ho sognato il Tour, dieci poesie con nove interventi a pastelli e pigmenti, 35 esemplari, Edizioni Il Bulino, Roma, 2010 - Piero Amerio, Due stanze da osservazioni sul passaggio della cometa, due poesie con una incisione, 35 e V esemplari, Franco Masoero, Torino, 2008
199
200