luigi veronesi luce, forma, costruzione. le sperimentazioni artistiche negli anni ’30 e ’40
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luigi veronesi
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luigi veronesi luce, forma, costruzione. le sperimentazioni artistiche negli anni ’30 e ’40
testo di
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Paolo Bolpagni
Questo catalogo è stato pubblicato in occasione della mostra “Luigi Veronesi. Luce, forma, costruzione. Le sperimentazioni artistiche negli anni ’30 e ’40” 10 A.M. ART, Milano, 14 gennaio – 4 marzo 2017 This catalogue was published on the occasion of the exhibition “Luigi Veronesi. Light, Form, Construction. His Art Experiments in the 1930s and 1940s” 10 A.M. ART, Milan, 14 January – 4 March 2017
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Si ringraziano tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione della mostra e del libro. Un ringraziamento particolare a Guido Bertero, Volker Feierabend, Massimo Prelz Oltramonti, Silvio Veronesi. We thank all those who made possible the realization of the exhibition and the book. Special thanks go to Guido Bertero, Volker Feierabend, Massimo Prelz Oltramonti, Silvio Veronesi.
10 A.M. ART in copertina cover
Senza titolo, 1943 particolare | detail testo di text by
Paolo Bolpagni traduzione translation
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Archivio fotografico Comitato Luigi Veronesi Bruno Bani Carmine De Martino Roberto Molinari MART - Archivio Fotografico e Mediateca Orcortè © 2016 Paolo Bolpagni © 2016 gli autori per i loro testi | the authors for their texts © Comitato Luigi Veronesi © 2016 10 A.M. ART – Amart Gallery s.r.l. ISBN: 978-88-940648-2-7
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Sommario contents 7 15
Caratteristiche e motivazioni dell’astrattismo di Luigi Veronesi dalle origini all’inizio degli anni Quaranta The characteristics and motivations of Luigi Veronesi’s abstraction from the beginning until the 1940s Paolo Bolpagni
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opere works
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apparati appendix
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Elenco delle opere | List of works Nota biografica | Biographical note Esposizioni | Exhibitions Bibliografia selezionata | Selected bibliography
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Caratteristiche e motivazioni dell’astrattismo di Luigi Veronesi dalle origini all’inizio degli anni Quaranta Paolo Bolpagni
Diagonale n. 3, 1938 particolare | detail
Dopo gli studi tecnici e l’apprendistato figurativo sotto la guida dell’insegnante Carmelo Violante, una svolta nel percorso di Veronesi risale al 1930, quando visitò per la prima volta la Biennale di Venezia, avendo così l’occasione di vedere, nel padiglione della Germania, le opere dei protagonisti di “Der blaue Reiter” e del Bauhaus, per la precisione tre dipinti di Kandinskij, tredici di Klee, cinque di Feininger e tre di Schlemmer, che particolarmente lo colpirono1. La formazione di Veronesi proseguiva poi con il viaggio a Parigi nel 1932 (il primo di una lunga serie, dato che, nel corso degli anni Trenta, si recò varie volte nella capitale francese per via del suo lavoro di disegnatore di tessuti), durante il quale vide Picasso e conobbe personalmente Léger e Vantongerloo, nonché gli esponenti dei primi gruppi concretisti, come, per esempio, l’appena disciolto “Cercle et Carré”, che aveva dato luogo ad “Abstraction-Création, art non figuratif” (fondato e diretto da Herbin, Vantongerloo, Béothy, Gleizes, Gorin), cui lui stesso aderì due anni dopo. Il 1934 fu un anno molto importante, anzitutto perché in dicembre ebbe luogo, nella Galleria Il Milione di Milano, la prima esposizione pubblica di incisioni non-figurative di Veronesi, accostate in mostra a quelle di Josef Albers, esponente di spicco del Bauhaus appena chiuso dalle autorità naziste. L’artista tedesco, senza dubbio, esercitò un notevole influsso su di lui, sia in direzione di una definitiva scelta a favore dell’astrattismo geometrico, sia, più profondamente, orientandolo verso una mentalità creativa razionale e pragmatica, rivolta a un’indefessa ricerca e sperimentazione di forme, media e materiali. Lo stesso insegnamento non poteva che venirgli anche da colui che sarebbe presto divenuto per lui un fondamentale punto di riferimento, cioè László Moholy-Nagy2, con il quale l’artista milanese iniziò una lunga e amichevole relazione epistolare3, scaturita da un incontro in Svizzera nel 19354. Nello stesso periodo, inoltre, Veronesi ebbe l’occasione di frequentare un altro esponente del Bauhaus, cioè Xanti Schawinsky, il quale, a causa della chiusura dell’istituto e delle persecuzioni che ne erano seguite, dopo aver lasciato la Germania si era stabilito a Milano, dove soggiornò per un paio d’anni nello studio Boggeri5. I contatti di Luigi Veronesi con gli esponenti delle tendenze più avanzate dell’arte europea, intanto, si moltiplicavano e infittivano: nel 1936 iniziò il suo rapporto con diversi protagonisti del Concretismo svizzero, tra cui Max Bill e Jean Tschichold, direttore della scuola grafica di Basilea, che gli consentì di visitare la collezione Müller, offrendogli così la possibilità di ammirare per la prima volta alcune opere di El Lissitskij, Rodčenko e Malevič. Proseguiva, nel frattempo, il confronto con Kandinskij, di cui Veronesi poteva osservare le ultime realizzazioni nel corso dei suoi viaggi parigini6. Nel 1937, nuovamente nella capitale francese, strinse amicizia con il pittore Joseph Lacasse e frequentò i celebri “jeudis chez Delaunay”, nel cui salotto fece ancora nuove conoscenze, tra cui quelle di Klein e Seligmann7. Era anche un periodo di studio, per Veronesi: se già verso la fine degli anni Venti aveva compulsato il Discours de la méthode di Descartes8, in questi anni si dedicò soprattutto all’approfondimento della scienza dei colori, accostandosi alla Farbenlehre di Goethe e alle teorie di Chevreul e di Ostwald, non tralasciando, tuttavia, di riflettere sulla profonda analisi degli elementi formali della pittura condotta da Kandinskij in Punkt und Linie zu Fläche, e persino su alcuni testi della Gestaltpsychologie. Non sfuggì all’attenzione di Veronesi nemmeno il libro del matematico Matyla Ghyka – pubblicato a Parigi nel 1931, con una prefazione di Paul Valéry – Le nombre d’or, rites et rythmes pytagoriciens dans le développement de la civilisation occidentale. Il volume, che allora godeva in Italia di una notevole circolazione, esaminava la persistenza dei ritmi pitagorici nell’arte occidentale e «individuava nella proporzione aurea la legge segreta dell’architettura mediterranea»9, presente e operante «nelle costruzioni egizie e greche, nei poliedri platonici, nell’icosaedro e nel dodecaedro di Leonardo, ma anche nelle simmetrie dei cristalli e nella forma delle foglie»10. Il libro “neopitagorico” di Ghyka aveva incontrato particolare favore nell’ambiente dell’astrattismo milanese, raccolto attorno alla Galleria Il Milione e alla figura singolare del roveretano Carlo Belli, il quale, nel suo Kn – raccolta di massime ed esortazioni largamente ispirata, anche nello stile sentenzioso e un po’ nietzschiano, a Über das Geistige in der Kunst di Kandinskij –, sosteneva che la geometria dovesse essere l’“asse portante” dell’arte del presente e del futuro; in effetti, la diffusione italiana del libro di Ghyka era partita proprio da Rovereto, dove «Baldessari, Belli, Figini e Pollini, Melotti l’avevano ricevuto da Depero»11. Nell’ambiente milanese, allora, si rileggeva con interesse e devozione persino il remoto Luca Pacioli del De divina proportione, e nel 1936, facendosi portavoce del Nombre d’Or, Leonardo Sinisgalli pubblicava sulla rivista “Campo Grafico” il suo Quaderno di Geometria12, «un testo illustrato da
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incisioni di Luigi Veronesi, che riassume emblematicamente un altro aspetto del tentativo di dare un denominatore comune, a un tempo canone esoterico e programma essoterico, alle diverse forme dell’operare artistico in quegli anni»13, attraverso l’applicazione dei princìpi della sezione aurea. Alla base di questi revivals neopitagorici stava sì, da una parte, l’esigenza di un ritorno all’ordine: molti, infatti, da Terragni a Melotti, credettero «nella possibilità del modulo come numero d’oro generatore di bellezza e di equilibrio»14; ma in realtà, se consideriamo più approfonditamente la questione, ci accorgeremo che tutto convergeva a creare un clima che potrebbe essere definito non tanto di rappel à l’ordre classicistico, quanto di ritorno a una concezione pre-classica, in cui il modello non era Raffaello ma Piero della Francesca, non Platone ma Pitagora e le concezioni orfiche: non un mondo di certezze, dunque, non la sensazione di poter dominare il cosmo, la vita e la forma, ma la consapevolezza del mistero e della sua sostanziale inconoscibilità, ove l’unica possibilità era quella di affidarsi al numero, che, mediante la regola della sezione aurea, avrebbe forse reso visibile l’ordine implicito nella natura, cosicché la ricostruzione dell’universo si sarebbe attuata, come dicevano i Puristi francesi, almeno attraverso l’esthétique du nombre. Tuttavia, all’interno della pattuglia degli astrattisti milanesi le posizioni erano tutt’altro che appiattite sulla dottrina belliana, e le ragioni dell’unità stavano nella necessità strategica di combattere il comune nemico del novecentismo, piuttosto che nell’affinità di indirizzi15. Da un lato, infatti, c’era il «Razionalismo istintivo» – così lo definì Maurizio Fagiolo dell’Arco16 – di Soldati, Reggiani, Rho e Radice. Dall’altro, invece, la fede in un irrealismo sottile da parte di Fontana, Licini e Melotti, laddove, soprattutto negli ultimi due, già serpeggiava una rêverie lirica che avrebbe risolto la geometria in musica: si pensi all’intento contrappuntistico della scultura ritmica di Melotti, che si propone come occupazione armonica dello spazio, o al soggettivismo sognante di un Licini, che vuole umanizzare i numeri e dimostrare che la geometria può diventare sentimento17. Del tutto peculiare e isolata era, appunto, la posizione di Veronesi, più giovane di tutti e caratterizzato, al contrario dei suoi compagni di strada, da una cultura tecnica e squisitamente europea, che lo portò a ribaltare il denominatore idealistico e spiritualistico del gruppo milanese in un Costruttivismo integrale e pragmatico. Già in quegli anni, infatti, i Costruttivisti russi, gli olandesi di “De Stijl” e gli esponenti del Bauhaus, in particolare Moholy-Nagy e Josef Albers, erano gli artisti che sentiva più congeniali, e che perciò studiava «con speciale attenzione, documentandosi in Italia e all’estero sulla loro attività e approfondendone i programmi e le teorie»18. Quindi, anche se Veronesi fece del numero d’oro, negli anni Trenta, una costante regola di lavoro, questa scelta fu in lui meno esplicita che negli altri astrattisti italiani, dal momento ch’egli accettava questa via soltanto dopo aver rinunciato al misticismo ed esoterismo che la connotava, per cui del pensiero pitagorico non accoglieva la valenza mistica e misterica, ma privilegiava quella massima – che premetterà nel 1949 a una raccolta di serigrafie – che così recita: «E in ogni cosa dona il primo posto alla ragione»19. Analogamente, se pure è vero che Kandinskij fu per il giovane Veronesi un maestro e un modello – e lo sarà a lungo, soprattutto nel campo delle ricerche sulle corrispondenze tra suoni e colori, condotte a partire dagli anni Cinquanta –, tuttavia le costanti anti-espressionistiche della produzione dell’italiano «non possono trovare giustificazione in una parentela data per scontata»20: anzitutto perché la kandinskijana ricerca dell’assoluto e il relativo aggancio alle concezioni teosofiche non trovano accoglienza alcuna nella sua produzione e concezione21. Inoltre gli è del tutto estraneo il concetto di Stimmung, per mezzo del quale il pittore russo aveva posto un’obiezione alla superficialità meccanica della percezione della realtà, elevando misticamente l’espressione artistica con un desiderio di sublimazione ancora romantico. Legato invece all’etica gramsciana, Veronesi evita qualsiasi compromesso con la trascendenza, cui è negata ogni possibilità di fondare una morale e, a maggior ragione, una concezione estetica. Il che basta, appunto, a spiegare il suo scarso interesse per Über das Geistige in der Kunst, così come per le formulazioni dell’astrattismo di Carlo Belli contenute in Kn, cui contrappone decisamente la rigorosa analiticità di Punkt und Linie zu Fläche. Tutt’al più, Veronesi può aver ricavato dallo Spirituale nell’arte la convinzione della natura psicofisica del fenomeno della visione cromatica – idea che sarà alla base dei suoi celebri corsi di “cromatologia” a Brera negli anni Settanta –, distinguendosi però da Kandinskij nel rifiuto di una concezione simbolica del colore. Si torna, così, alla motivazione di fondo del dissidio, dell’odi et amo che lega Luigi Veronesi al grande artista russo, da cui lo allontana, sostanzialmente, quel retaggio romantico – oserei dire wagneriano – che in ultima analisi caratterizza, nonostante la sua importante presenza
all’interno del razionalistico Bauhaus, la produzione pittorica e la dottrina estetica di Kandinskij. In effetti, appare chiaro che il concetto d’arte idealisticamente inteso – come osservò Luigi Rognoni22 – non può in alcun modo adattarsi alla creatività veronesiana, che nella sperimentazione sui più vari materiali e nei più vari ambiti, fermo restando l’assunto metodologico e formale di base, rivela la propria essenza costruttivista, dando vita a un’arte in cui la tecnica e la ricerca linguistica non sono componenti estrinseche, ma sostanziali (benché non uniche), e in cui la presenza di una liricità più segreta e riposta non si traduce certo in “sfogo” soggettivo e personale, né in aspirazione trascendente o mistica. Ragion per cui anche l’evidente fascino esercitato su Veronesi dall’esthétique du nombre e dalla possibilità di fondare certi equilibri compositivi sulla sezione aurea mai lo porta a condividere l’illusione di comprendere il mistero dell’universo attraverso una formula. Piuttosto, l’amore per il numero e la proporzione, di cui non mancò di osservare l’assidua presenza negli elementi della natura, poteva sì derivargli dagli ammiratissimi Egizi o dai Greci, ma ancor più dalla profonda consapevolezza dell’irrazionalità, del mistero della realtà apparente, fenomenologica, rispetto a un’altra dimensione che la mente riesce a inventare, costruire, proporre secondo infinite armonie, e nella quale, davvero, è possibile trovare un ordine universale. L’idea di un’arte fondata sull’espressione numerica, che ha avuto il suo padre moderno in Seurat, e che nel Novecento è stata approfondita soprattutto dall’astrattismo e dal Costruttivismo russo23, in Veronesi si configura, dunque, come un antidoto, una certezza da opporre all’inconoscibilità del reale. Perciò l’armonia delle sue opere, se da una parte è il riflesso di una fiducia cartesiana nella razionalità, in cui non ha mai smesso di credere, dall’altra comunica un’immagine della vita come enigma: nelle sue composizioni, infatti, le forme – proprio come noi – vivono nello spazio senza conoscere da dove vengono né dove vanno. Non è vero, allora, che le geometrie di Veronesi esprimano soltanto se stesse, il proprio essere linguaggio24; quelle realtà senza peso e superfici diafane sono pure apparenze, così come sono ingannevoli parvenze la nostra stessa vita e tutte le cose che è possibile percepire e riscontrare nella realtà dei fenomeni, che, caduta ogni trascendenza, è ormai considerata la realtà tout court. In questo universo senza dèi e senza risposte, per non cadere nel caos e nella disperazione, resta dunque una sola via, un’unica tavola della legge, cioè quella dell’armonia numerica, sulla quale è fondato il mondo parallelo dell’arte, costruito iuxta propria principia, che non ammette regole e verità al di fuori di quelle filtrate dallo scrutinio della ragione25. Compito dell’uomo non è, infatti, affidarsi fideisticamente alla trascendenza, bensì cercare di costruire con le proprie forze, proprio a partire dall’incomprensibilità del reale, una condizione di equilibrio armonioso almeno nell’arte, se non nella vita26. Quella di Veronesi, quindi, non è una posizione di chiusura in una turris eburnea, sorda ai drammi del mondo e della vita; anzi, è proprio l’acuta e lucida consapevolezza di un universale Weltschmerz a indurlo a offrire all’umanità il solo rimedio ch’egli conosca e ritenga valido, cioè quello dell’arte, alla quale sarebbe assurdo voler negare l’ordine armonico che manca alla vita. Ad ogni modo, non si deve dimenticare che i referenti fondamentali di Veronesi negli anni Trenta – e lungo l’intero corso della sua lunghissima attività – si identificavano, in larga misura, con il pragmatismo e la fenomenologia formale del Bauhaus27. In particolare, dalla conoscenza diretta di Moholy-Nagy non gli derivò affatto l’adesione all’apparato dottrinario-precettistico o al moralismo ideologico che stavano alla base dell’attività dell’istituto di Gropius, quanto piuttosto un grande insegnamento metodologico, di manipolazione indefessa di materiali, cosicché, nell’assoluta apertura al continuo mutare delle situazioni, essi diventano condizione stessa dell’esistenza e della tipicità del fenomeno artistico, e si condensano in pochi, fondamentali, elementi metodici di base28. Anche dal rapporto diretto con la cultura figurativa francese degli anni Trenta, ciò che Veronesi recepisce non è l’ubbidienza a uno schema teorico precostituito, che dominava nelle frange puriste del post-cubismo d’oltralpe, bensì la tendenza di ordine sperimentale a sezionare e comporre volumi e strutture dal punto di vista compositivo, cioè di aggregazione. Infine, può ancora leggersi nel senso di una derivazione bauhausiana la straordinaria apertura d’interessi di Veronesi – chiaramente eterodossa rispetto alle abitudini creative e “manipolatorie” di colui che è “soltanto” pittore29 –, che lo distingueva dai suoi compagni di strada del Milione e che lo condusse ben presto a sconfinare in altri “settori” dell’operare artistico. Giova precisare, comunque, che la pratica delle più diverse metodologie figurali non tradì mai l’essenza del pragmatismo fenomenologico di Veronesi, che fu sempre inerente e interno alla forma, la quale rappresenta
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Galleria l’Equipe, Parigi, 1939
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l’imprescindibile denominatore centrale della sua personalità creativa30. Ne consegue che la dimensione naturale della sua attività risulta essere quella della «continua verifica fenomenica»31, della ricerca, della «sperimentazione strumentale anziché solo formale dello stile»32. Perciò, va senz’altro rifiutata un’interpretazione neopitagorica o neoplatonica, ma allo stesso tempo, proprio per il suo essere sempre cosciente dell’impossibilità di agire in un non luogo, sarebbe assurdo volerlo collocare nello schema di un razionalismo ortodosso, raggelato nella sua utopia di simmetria e perfezione33. Dunque è un insospettabile dinamismo a connotare, fin dalla metà degli anni Trenta, la produzione di Veronesi, solo apparentemente immutabile e paga di sé nel suo eterno arabesco di forme e norme geometriche. Sì, perché l’estensione della fenomenologia metodologica di ascendenza costruttivista-bauhausiana non limita in lui, ma anzi arricchisce – riconfermandola – la volontà di esperire tutte le possibilità e le processualità del divenire ritmico delle forme. Arriviamo così a quello che possiamo considerare il punto centrale della personalità immaginativa di Veronesi, cioè il suo intimo corrispondere alla realtà non per mezzo di una fredda e didascalica emblematicità di pure icone astratte, di più o meno statiche architetture plastiche ed elementi figurali, bensì attraverso l’essenza ritmica di una fenomenologia temporale di tali entità formali34, che quindi non pretendono – alla maniera dei Puristi o astrattisti neopitagorici, e anche del Kandinskij “spirituale” – di elevarsi al rango di assoluti, ma si accontentano, pragmaticamente, di essere «segni di un tempo-spazio»35. Entro questa fondamentale dimensione, Veronesi contrappone all’architettonicità formale rigorosa (e talvolta anche spigolosa) di Reggiani, così come al fabulismo evocativo e onirico di Soldati, una propria personale liricità, che tuttavia, un po’ come nella scultura “contrappuntistica” di Melotti, non vuol risolversi romanticamente in contemplazione o evocazione, ma si configura come dinamica. È una ritmicità che si concretizza, dal punto di vista strutturale, nel moto generato dal «rapporto tra le figure lineari e lo spazio ch’esse creano nella dimensione del quadro»36. In un suo saggio del 1980 Glauco Viazzi osservava, appunto, che nell’arte di Veronesi non troviamo in alcun modo «il movimento di oggetti o figure del mondo esterno», ma che il dinamismo è «interno alle figure e
determinato da esse», cosicché «nelle “composizioni” e “costruzioni” lo spazio risulterà costruito o da un collage di superfici cromatiche […] o dallo stagliarsi delle superfici, isolate l’una dall’altra, di contro allo sfondo»37: è allora il rapporto tra le loro posizioni e giaciture – ovvero il ritmo da esse determinato – a formare la particolare spazialità di tali opere. E non si tratta di uno spazio fisico, misurabile, bensì dinamico e concreto, che potremmo accostare a quello delle geometrie non euclidee di Gauss e del matematico Nikolaj Lobačevskij, che nel 1855 aveva pubblicato quella Pangeometria cui si erano già ampiamente ispirate le avanguardie sovietiche. Come notò Viazzi, «per certo non era nei propositi di Lisitskij o di Moholy-Nagy o di Veronesi, il tradurre […] il pensiero matematico di Lobačevskij in quanto tale. Ma senz’altro in linea affatto generale i costruttivisti facevano una pittura topologica e non metrica, e il Veronesi ne era pienamente partecipe»38. Aggiungiamo un ulteriore tassello al nostro discorso osservando che l’eccezionalità dell’esperienza di questo singolare artista italiano sta nell’aver lavorato allo stesso tempo, e con esiti parimenti alti, sia nel campo della pittura, sia in quello della fotografia, dalla seconda metà degli anni Venti in avanti (sebbene gli approdi non-figurativi risalgano al decennio successivo, quando peraltro nascerà in lui un preciso interesse anche per il cinema e la scenografia). Ancora una volta, la diversità dei mezzi impiegati trovava in Veronesi una propria coerenza nel modo di concepire lo spazio, con uno sperimentalismo – tecnico e non solo – che è erede della lezione avanguardistica di Man Ray, di Christian Schad, di Aleksandr Rodčenko, di El Lissitskij, di László Moholy-Nagy39. Le considerazioni già espresse a livello generale sul procedimento creativo e sul “mondo visivo” e formale di Luigi Veronesi possono perciò essere ribadite per quanto riguarda i suoi famosi fotogrammi, a proposito dei quali Paolo Fossati notò acutamente che essi restituiscono «quanto accade nello spazio e nel tempo fisici» della realtà fisico-chimica del medium impiegato, «ponendo gli oggetti come punto di partenza e non come dato finale di conoscenza»40. È un concetto espresso anche da Giuliana Scimè, che riconosce, nell’utilizzo degli strumenti della fotografia da parte di Veronesi, una volontà di «trasmutare l’oggettualità delle cose, la loro apparenza concreta e ben nota», con un misto di «stringente logica» e «dolcissima poesia», con una «fusione di sensibilità
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e metodologia scientifica»41. Ciò è innegabile, ma probabilmente agiscono ulteriori moventi, leggibili in termini per così dire purovisibilistici, che ci devono indurre a un’interpretazione in chiave formale e strutturale. Osserviamo, per esempio, che è un fenomeno piuttosto frequente, nelle opere eseguite da Veronesi alla fine degli anni Trenta, l’interazione tra frammenti di fotogramma e materia pittorica, che gli consente spesso di conseguire un’eccezionale efficacia nel riprodurre non il moto di figure del mondo esteriore, bensì il dinamismo loro interno, quasi fosse auto-generato. Si avverte perciò come un senso di energia compressa, che adombra la natura morfologica degli elementi compositivi utilizzati, siano essi pigmenti o superfici fotografiche. Studi cinetici, costruzioni astrattiste, spirali, strutture elicoidali, ellissi, linee e sfere sfumate, articolazioni “a nastro”, ingranaggi, tratteggi, segmenti paralleli, curve e triangoli costituiscono il lessico del linguaggio personale elaborato dal Veronesi fotografo, che assomma, in queste composizioni in bianco e nero, tutti i riferimenti che tra gli anni Trenta e l’inizio dei Quaranta agivano nel suo retroterra immaginativo e culturale. Come avviene nei dipinti, a dominare è il principio del divenire ritmico degli elementi formali, che conferisce il senso di una concreta temporalità fenomenica, la quale, a dispetto delle apparenze, non ha nulla di “fantasmatico”, ma anzi sembra talora anticipare certi esiti cinetici e persino optical (si pensi allo Studio ottico del 1938). Giulia Veronesi, in un testo del 1966 dedicato al fratello, sottolineava, nella sua produzione artistica, la presenza del duplice concetto di tempo illimite e di infinito spaziale42, che non si traduce – come ci si potrebbe aspettare, se ci trovassimo di fronte a una mente creativa meno costruttivista – in un assoluto formale, bensì in ritmo, cioè in una possibilità di svolgimento e di compilazione inesauribile, ma non per questo sacralizzata. L’intenso lirismo, allora, non è né evocativo, né effusivo, né tanto meno mistico, ma nasce più concretamente dalla consapevolezza di aver stabilito un contatto ritmico, che scaturisce dalla dialettica tra l’eterno movimento dei misteriosi e inconoscibili elementi nell’universo – che potremmo identificare con l’immagine aperta della parabola43, così amata da Veronesi – e la fissità puntuale che caratterizza le infinite possibili configurazioni mediante le quali la mente razionale dell’artista “imbriglia” tali forme dinamiche; una fissità (apparente, giacché presuppone quel moto perpetuo, e necessaria, appunto, per garantire la fruibilità di almeno una minima porzione di esso) che è resa possibile dalla salda certezza degli onnipresenti assi cartesiani, che rappresentano l’unico mezzo concesso all’uomo per conoscere e far proprio – pur in modo parzialissimo – se non altro un momento, una particella dell’infinito fluire e trascorrere del tempo, cioè dell’universo44. Dunque è una liricità che nasce nella dialettica della tensione «fra gli oggetti […] che paiono ruotare attorno ad un asse ottico centrale per assumere posizioni compositive suscettibili di continue nuove disposizioni»45 e il rigore razionale degli assi cartesiani, la cui valenza – quasi di categoria kantiana46 – doveva forse essere derivata a Veronesi da quella giovanile lettura del Discours de la méthode di cui si diceva all’inizio.
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1 Cfr. E. Pontiggia, Veronesi: il senso dell’armonia, in “Terzoocchio”, XXIII, 5 (85), Bologna, dicembre 1997, p. 33. 2 Quando Moholy-Nagy si dimise dal Bauhaus, fu sostituito nella direzione del corso preliminare proprio da Albers. 3 Due lettere di Moholy-Nagy a Veronesi sono riprodotte in P. Fossati (a cura di), Veronesi. Le ragioni «astratte», Torino 1970, pp. 19-20. 4 Cfr. F. Tedeschi, Notizie biografiche, in L. Caramel - P. Quaglino (a cura di), Luigi Veronesi. Mostra antologica (catalogo della mostra tenuta nel 1989-1990 a Milano), Milano 1989, p. 163. 5 Cfr. S. Danesi, Una proposta di evoluzione del linguaggio scenico, in S. Danesi, Avanguardie a teatro tra le due guerre. Luigi Veronesi - scenografie (catalogo della mostra tenuta nel 1974 a Milano), Milano 1974, p. 12. 6 Cfr. E. Pontiggia, op. cit., 1997, p. 34. 7 Cfr. L. Caramel (a cura di), Luigi Veronesi. Biografia, in “Temporale”, III, 10, Lugano 1986, p. 18; C. Franza, La ricerca astratta di Veronesi, in C. Franza (a cura di), Le stanze
della geometria (catalogo della mostra tenuta nel 1989 a Palazzolo sull’Oglio), Cernusco sul Naviglio 1989, s.n. 8 Cfr. L. Serravalli (a cura di), Luigi Veronesi (catalogo della mostra tenuta nel 1999 a Rovereto), Mori 1999, p. 3. 9 E. Pontiggia, Il vuoto e l’armonia. L’opera di Luigi Veronesi dal 1927 al 1945, in L. Caramel - C. Cerritelli (a cura di), Luigi Veronesi. Razionalismo lirico 1927-1997 (catalogo della mostra tenuta nel 1997-1998 a Cantù e a Finale Ligure), Milano 1997, p. 44. 10 Ibidem. Per dare un’idea delle argomentazioni di Ghyka, conviene riportare i titoli – assai eloquenti – dei capitoli che compongono il suo trattato: Du nombre à l’harmonie, La divine proportion, Les canons géométriques de l’architecture méditerranéenne, L’harmonie architecturale et l’orchestration des volumes, Du rythme à l’incantation, De l’incantation à l’amour. 11 S. Danesi, Veronesi: Tipografia e réclame, in GRAFICA grafica II 1, Roma 1976, p. 9. 12 Cfr. G. Lupo, Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta, Milano 1996.
S. Danesi, Veronesi: Tipografia e réclame, cit., 1976, p. 9. Ibi, pp. 9, 12. 15 Cfr. M. Fagiolo dell’Arco, Sull’astrattismo o razionalismo in Italia negli anni 30, in “Quinta parete”, 4, Torino, lugliodicembre 1972, p. 21. 16 Ibi, p. 20. 17 Invece la posizione particolare di Fontana durante gli anni del Milione è stata definita da Crispolti di «inventismo fenomenologico» (E. Crispolti, Posizione di Luigi Veronesi, in “Il Margutta”, V, 11-12, Roma, novembre 1972, p. 13). 18 L. Caramel, Luigi Veronesi. Disegni e tempere 1946-1967 (catalogo della mostra tenuta nel 1968 a Como), Como 1968, s.n. 19 Cfr. M. Fagiolo dell’Arco, Sull’astrattismo (o Razionalismo) in Italia negli anni ’30. Dedicato a Veronesi, in M. Fagiolo dell’Arco - G. Martano (a cura di), Exposition de Luigi Veronesi (catalogo della mostra tenuta nel 1970 a Saint-Paul-deVence), Torino 1970, p. 3. A tal riguardo, Elena Pontiggia ha scritto che «al termine di un percorso nitidamente razionale, Veronesi giunge per così dire a un pitagorismo laico, dove il numero non ha più niente di mitico o di divino, ma è, ancora e sempre, la legge dell’universo» (E. Pontiggia, Veronesi: il senso dell’armonia, cit., 1997, p. 34). Del resto, è lo stesso Veronesi a suffragare, in alcuni suoi scritti, la validità di questa tesi interpretativa: cfr. L. Veronesi, Appunti sulla sezione aurea, Milano 1985 e L. Veronesi, Arte e scienza: le proporzioni (testo della conferenza tenuta il 6 febbraio 1987 all’Università di Macerata per l’inaugurazione dell’anno accademico), in L. Veronesi, Le conferenze di Macerata, Modena 1993, pp. 31-45. 20 N. Ponente (a cura di), Luigi Veronesi. Arte come metodo 1934-1976, in “R2”, Roma, 26 gennaio 1976, p. 3. 21 Cfr. G. Ferrari, Appunti per un percorso di Veronesi, in Luigi Veronesi (catalogo della mostra tenuta nel 1975 a Parma), Parma 1975, p. 77. 22 Cfr. L. Rognoni, La «sonorizzazione visiva» di Luigi Veronesi, in L. Veronesi, Proposta per una ricerca su “Suono e colore”, Studio Marconi Laboratorio/7, Milano, 2 marzo 1972, p. 3. 23 Cfr. E. Pontiggia, Veronesi: il senso dell’armonia, cit., 1997, p. 34. 24 Su questo punto non concordo con la pur acuta analisi critica di Maurizio Fagiolo dell’Arco, il quale sosteneva che «la pittura di Veronesi non rappresenta niente: rappresenta se stessa in quanto linguaggio» (M. Fagiolo dell’Arco, Sull’astrattismo (o Razionalismo) in Italia negli anni ’30. Dedicato a Veronesi, cit., 1970, p. 5). 25 Cfr. E. Pontiggia, Veronesi: il senso dell’armonia, cit., 1997, p. 34. 26 Ibidem. 27 Cfr. E. Crispolti, op. cit., 1972, p. 13. 28 Cfr. P. Quaglino, Luigi Veronesi (catalogo della mostra tenuta nel 1983 a Ravenna), Ravenna 1983, pp. 11-17. 29 Cfr. E. Crispolti, op. cit., 1972, p. 14. 30 Caramel ha ammonito contro la tentazione di separare in modo artificioso i vari ambiti tecnici ed espressivi entro i quali operò Veronesi, osservando che «a non cadere in ingiustificati settorialismi […] ci invita […] in modo esplicito lo stesso artista con la sua continua attenzione per esperienze linguistiche intrecciantisi al di là degli artificiosi confini dei “generi”, in una dimensione ben più complessa di quella consentita da un limitato grammaticalismo» (L. Caramel [a cura di], Aspetti del primo astrattismo italiano 1930-1940 [catalogo della mostra tenuta nel 1969 a Monza], Monza 1969, pp. 15-16). 31 Ibi, p. 16. 32 E. Crispolti, op. cit., 1972, p. 14. 33 Cfr. N. Ponente, op. cit., 1976, pp. 3-4. 34 Cfr. E. Crispolti, op. cit., 1972, p. 15. 35 Ibidem. 36 G. Marchiori, Veronesi o della coerenza, in G. Marchiori (a cura di), Luigi Veronesi (catalogo della mostra tenuta nel 1954 a Milano), Milano 1954, s.n. 13
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37 G. Viazzi, Il costruttivismo di Luigi Veronesi, in G. Viazzi (a cura di), Luigi Veronesi, Roma 1980, p. 11. 38 Ibi, pp. 13-14. 39 Cfr. A. Di Brino, Mediazione critica del visibile. Luigi Veronesi: fotografia, grafica e cinema, in P. Bolpagni - A. Di Brino - Ch. Savettieri (a cura di), Ritmi visivi. Luigi Veronesi nell’astrattismo europeo (catalogo della mostra tenuta nel 2011-2012 a Lucca), Lucca 2011, pp. 33-37. 40 P. Fossati, Veronesi fotografo, in L. Veronesi, Fotogrammi e fotografie 1927-80, Torino 1983, p. 73. 41 G. Scimè, Forme come concetti, in I grandi fotografi. Luigi Veronesi, Milano 1983, p. 6. 42 «Egli escogita quell’infinito spaziale […] che ben presto si identificherà per lui con la ricerca “temporale” in una dinamicità compositiva espressa infine nella forma delle “variazioni”: dapprima pittoriche (1936), quindi silografiche (1937), in serie di composizioni varianti un solo tema nel meditato giuoco dei medesimi elementi. Veronesi esporrà nel 1939 a Parigi una serie di variazioni pittoriche ideate appunto alla stregua di variazioni musicali; ed approfondirà poco dopo nella tecnica cinematografica anche questa ricerca di spaziotempo […]» (G. Veronesi [a cura di], Luigi Veronesi. Silografie e litografie [catalogo della mostra tenuta nel 1960 a Milano], Milano 1960, s.n.). 43 L’aveva intuìto Fagiolo dell’Arco, il quale scriveva che «il “segno” di Veronesi, la sigla che distingue i suoi quadri, è la parabola: l’unica forma geometrica che si apre e si chiude, che dà il senso del dinamismo perché è la più ricca di “suspense”» (M. Fagiolo dell’Arco, Sull’astrattismo (o Razionalismo) in Italia negli anni ’30. Dedicato a Veronesi, cit., 1970, p. 5). 44 Cfr. E. Crispolti, op. cit., 1972, p. 15. La fondamentale valenza – concettuale, oltre che formale – degli assi cartesiani nell’opera di Veronesi è stata rilevata anche da Guido Ballo (cfr. G. Ballo, Luigi Veronesi [catalogo della mostra tenuta nel 1983 a Milano], Milano 1983). 45 P. Fossati, Qualche ipotesi sul lavoro di Veronesi, cit., 1968, p. 7. 46 Penso che lo spunto non sia peregrino, perché le categorie kantiane non designano aristotelicamente i modi d’essere della realtà, bensì il nostro modo di conoscerla: in altre parole, esse sono funzioni a priori dell’intelletto, che determinano le condizioni trascendentali dell’esperienza. Veronesi sembra affidare agli assi cartesiani il compito di “ingabbiare”, di fermare per un istante in una visione razionale il vorticoso fluire di un universo altrimenti inconoscibile, cosicché essi diventano le condizioni stesse della percezione della realtà. A distinguerli dalle categorie kantiane, di cui in sostanza condividono la funzione, è il fatto ch’essi non siano innati o aprioristicamente dati nella mente dell’uomo, ma frutto della razionalità, di un pensiero particolarmente elaborato e consapevole.
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The characteristics and motivations of Luigi Veronesi’s abstraction from the beginning until the 1940s Paolo Bolpagni
Sovrimpressione, 1938 particolare | detail
After his technical studies and apprenticeship in figurative art under the guidance of Carmelo Violante, Veronesi’s career reached a turning point in the1930s when, for the first time, he went to the Venice Biennale; here he was able to see in the German pavilion works by the protagonists of the Blaue Reiter and the Bauhaus. He was struck above all by three paintings by Kandinsky, thirteen by Klee, five by Feininger, and three by Schlemmer1. Veronesi’s development then continued with a journey to Paris in 1932 (the first of a long series given that, during the 1930s, he had to go there frequently as a result of his work as a fabric designer) during which he saw Picasso and came to know personally Léger and Vantongerloo. He also came into contact with the exponents of such early Concrete Art groups as, for example, the recently disbanded “Cercle et Carré” which had in turn set up the “Abstraction-Création, art non figuratif” group (founded and directed by Herbin, Vantongerloo, Béothy, Gleizes, and Gorin), which he himself joined two years later. 1934 was a very important year, above all because in December the Galleria Il Milione in Milan had organised the first public exhibition of non-figurative etchings by Veronesi, flanked in the show by those of Josef Albers, a leading figure of the Bauhaus which had just been closed down by the Nazi authorities. There is no doubt of the influence this German artist had on him, both for his definitive decision in favour of geometrical abstraction and, even more deeply, for orienting him towards a rational and pragmatic creative mentality, one aimed at a relentless search for and experimentation with forms, media, and materials. The same lesson was also imparted by the person who was soon to become Veronesi’s reference point, László Moholy-Nagy2, with whom he began a long and friendly correspondence3, one started off after a meeting in Switzerland in 19354. Furthermore, in the same period Veronesi had the possibility of frequenting another exponent of the Bauhaus, Xanti Schawinsky who, due to the closure of the school, had left Germany and moved to Milan where he settled for a couple of years in the studio of Boggeri5. In the meantime, Luigi Veronesi’s contacts with the exponents of the most advanced trends in European art grew and multiplied: in 1936 he built relationships with various protagonists of Swiss Concrete Art, amongst whom Max Bill and Jean Tschichold, the director of the graphics school in Basel who made it possible for him to visit the Müller collection: here for the first time he was able to see works by El Lissitsky, Rodchenko, and Malevich. In the meantime he continued to follow the development of Kandinsky, whose latest works he was to see during his journeys to Paris6. In 1937, once again in the French capital, he became friends with the painter Joseph Lacasse and began to go the famous “jeudis chez Delaunay”; here he made more friends, among them Klein and Seligmann7. For Veronesi this was still a period for studying: if already towards the end of the 1920s he had perused the Discours de la méthode by Descartes8, in these years he deepened his knowledge of the science of colour, reading the Farbenlehre by Goethe and the theories of Chevreul and Ostwald without, however, ceasing to make a deep analysis of the formal elements of painting undertaken by Kandinsky in Punkt und Linie zu Fläche, and even reading some texts of Gestaltpsychologie. Nor did Veronesi miss the book by the mathematician Matlya Ghyka – published in Paris in 1931 with a preface by Paul Valéry – Le nombre d’or, rites et rythmes pytagoriciens dans le développement de la civilisation occidentale. The book, that in Italy at the time was widely read, examined the persistence of Pythagorean rhythms in Western art and “pinpointed the secret of Mediterranean architecture in the golden mean”9, present and operating “in Egyptian and Greek constructions, in Platonic polyhedrons, in Leonardo’s icosahedrons and dodecahedrons, and also in the symmetry of crystals and the forms of leaves”10. Ghyka’s neo-Pythagorean book was a particular favourite of the abstractionist milieu in Milan, which was centred on the Galleria Il Milione and the singular figure of Carlo Belli, from Rovereto, who, in his Kn – a collection of maxims and exhortations mainly inspired, even in its sententious and Nietzsche-like style, by Kandinsky’s Über das Geistige in der Kunst – held that geometry should be the cornerstone of present and future art. In fact, the diffusion of Ghyka’s book in Italy began in Rovereto itself where “Baldessari, Belli, Figini, Pollini, and Melotti were given it by Depero”11. At the time the Milanese milieu reread, even devotedly, the ancient De divina proportione by Luca Pacioli and, in 1936, electing himself the spokesman for Nombre d’Or, Leonardo Sinisgalli published his Quaderno di Geometria12 in the magazine “Campo Grafico”, “a text illustrated with etchings by Luigi Veronesi that emblematically sums up another aspect of the attempt to find a common denominator, one that was both an esoteric rule and an esoteric programme, in the various forms art of the period”13, through the application of the principles of the golden mean.
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On the basis of these neo-Pythagorean revivals there was certainly, on the one hand, the need to return to order: many artists, in fact, from Terragni to Melotti, believed “in the possibility of a module such as the golden mean as a generator of beauty and balance”14. But if we consider the question more deeply we become aware that everything was coming together to create a climate that we could define, not so much as a rappel à l’ordre, as a return to a pre-classical conception, one in which the model was not Raphael but Piero della Francesca, not Plato but Pythagoras and Orphic concepts: not a world of certainties, then, but an awareness of mystery and its basic unknowability, where the only possibility was to trust in numbers which, through the rules of the golden mean, might perhaps have made visible the order implicit in nature, and so a reconstruction of the universe could be undertaken, as the French Purists said, at least by way of the esthétique du nombre. However, the positions of the Milanese abstractionists were anything but unitary or based on Belli’s doctrines, and the reasons for their unity were to be found in the strategic need to combat the common enemy of the Novecento movement rather than having aims in common15. In fact, on the one hand there was “instinctive rationalism” – to use the definition coined by Maurizio Fagiolo dell’Arco16 – of Soldati, Reggiani, Rho, and Radice. On the other, instead, trust was given to the subtle unreality of Fontana, Licini, and Melotti, in which, above all for the last two, there was already to be found a lyrical rêverie that would transform geometry into music: just think of the ideal counterpoint in Melotti’s rhythmic sculptures that suggested itself as the harmonic occupation of space, or of the dreamy subjectivism of Licini who wanted to humanise numbers and demonstrate that geometry could become feeling17. Quite particular and isolated was, in fact, the position of Veronesi; he was younger than the others and, differently from his fellow travellers, had a technical and wholly European background, something that led him to overturn the idealistic and spiritualist denominator of the Milanese group in favour of an integral and pragmatic constructivism. Already in these years, in fact, the Russian Constructivists, the Dutch “De Stijl” group, and the exponents of the Bauhaus, above all Moholy-Nagy and Josef Albers, were the artists he felt more in harmony with and, therefore, studied “with special attention, informing himself about their activities in Italy and abroad, and studying in depth their programmes and theories”18. And so, even if Veronesi in the 1930s made the golden mean a constant rule in his art, for him this choice was less explicit than for other Italian abstractionists, given that he accepted this path only after having rejected the mysticism and esotericism associated with it. So he did not accept the mystical and spiritual values of Pythagorean thought, but preferred the maxim – that he was to affix to a collection of silkscreen prints in 1949 – “And in all things give the first place to reason”19. Similarly, even though it is true that for the young Veronesi Kandinsky was a master and a model to be followed (and he was to remain so for a long time, above all in the field of research into the correspondences between sounds and colours from the 1950s onwards), the anti-expressionist constants of Veronesi’s output “cannot find a justification in a predictable affinity”20, above all because Kandinsky’s search for the absolute and the related theosophical concepts had no counterpart in his production and ideas21. Furthermore, the concept of Stimmung was quite foreign to him, an idea through which the Russian artist had made an objection to the mechanical superficiality of the perception of reality, mystically equating artistic expression to a wish for sublimation that was still Romantic. As a follower of Gramsci-like ethics, Veronesi avoided any kind of compromise with transcendence, which denied any possibility for demonstrating a moral and, even more so, an aesthetic concept. This is in itself enough to explain his lack of interest for Über das Geistige in der Kunst, just as for Carlo Belli’s formulations about abstraction in Kn, which he countered with the analytical rigour of Punkt und Linie zu Fläche. At the most, Veronesi might have gained from Concerning the Spiritual in Art a conviction about the psychophysical nature of the phenomenon of chromatic vision – an idea that was to be at the heart of his famous courses on “chromatology” at the Brera Academy in the 1960s –, but he distanced himself from Kandinsky in his rejection of a symbolic conception of colour. So in this way we make a return to the basic reasons for the disagreement, the odi et amo, that linked Luigi Veronesi to the great Russian artist, from whom he was basically separated by that Romantic – I would even say Wagnerian – heritage that in a final analysis characterised the pictorial output and aesthetic doctrine of Kandinsky, despite his important presence within the Bauhaus’s rationalism.
Actually, it seems clear that an idealistic conception of art – as Luigi Rognoni22 observed – cannot in any way be applied to Veronesi’s creativity which, in its experimentation with various materials covering the most varied areas of interest, and taking at face value his methodological and formal basis, reveals its constructivist essence which gave rise to an art in which technique and linguistic research were not extrinsic but substantial components (even though not the unique ones), and in which the presence of a more secret and gentle lyricism was translated neither into a subjective and personal “outburst” nor into transcendental or mystical aims. For this reason even the evident fascination Veronesi felt for an esthétique du nombre and the possibility of basing certain compositional balances on the golden mean, never led him to share the illusion of understanding the mystery of the universe through a formula. Rather, his love of numbers and proportion, the continuous presence of which he also found in natural elements, was certainly derived by him from his beloved Egyptian or Greek art, but even more so from his deep awareness of the disorder, irrationality, and mystery of apparent, phenomenological reality with respect to another dimension that the mind invents, constructs, and proposes according to infinite harmonies, one in which, quite genuinely, it is possible to find a universal order. The idea of an art based on numeric operations, whose modern father was Seurat, and that in the twentieth century was used above all by the Russian Constructivists23, in Veronesi was, then, an antidote, a certainty to be set against the unknowability of reality. And so if the harmony of his works is, on the one hand, a reflection of his Cartesian faith in rationality, something he never stopped believing in, on the other it communicates an image of life as an enigma: in fact in his compositions, the forms – just like us – live in space without knowing where they come from or where they are going. So it is not true that Veronesi’s geometries only express themselves, express their own being, as a language24: those weightless realities and those diaphanous surfaces are pure appearances, just like the deceptive appearance of our own life and all the things that it is possible to perceive and come across in phenomenal reality that, in the absence of any kind of transcendence, is by now considered to be reality tout court. In this universe without gods and without answers, there remains only one path to follow in order not to descend into chaos and desperation : the harmony of numbers on which is founded the parallel world of art, one constructed iuxta propria principia and that does not admit rules and truths other than those filtered through reason25. In fact, it is not the task of humanity to uncritically entrust ourselves to transcendence, but to try to construct with our own forces, starting from that unknowability of reality, a condition of harmonious balance, at least in art if not in life26. So Veronesi’s is not a position of being closed within a turris eburnea, one shutting out the dramas of the world and of life; on the contrary, it is this very acute and lucid awareness of a universal Weltschmerz to induce it to offer humanity the only remedy he knows and holds to be valid, i.e. that of art, which it would be absurd to deny that harmonic order that is missing from life. In any case, we must not forget that the basic referents of Veronesi in the 1930s – and throughout the course of his long life – are mostly to be identified with the pragmatism and the formal phenomenology of the Bauhaus27. In particular, his knowledge of Moholy-Nagy did not come about
Galleria l’Equipe, Parigi, 1939
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in any way from any adhesion to the doctrinal precepts or ideological moralising that was at the heart of Gropius’ institute but, rather, to a great methodological lesson of a tireless manipulation of materials so that, in his absolute receptiveness to the continual mutation of situations, they might become the very condition of the existence and the typicality of art phenomena, and might condense in themselves a few, elemental basic methods28. Even what Veronesi absorbed from his direct relationship with French figurative culture in the 1930s was not obedience to the pre-established theoretical scheme that dominated the fringes of French post-Cubism but, rather, the experimental kind of tendency to dissect and compose volumes and structures from a compositional viewpoint: aggregation in other words. Finally, we can analyse in a Bauhaus-like way the extraordinary receptiveness of Veronesi’s interests – clearly heterodox with respect to the creative and “manipulative” habits of someone who was “only” a painter29 – that distinguished him from his fellow travellers in Milan and that soon led him to move over into other “sectors” of artistic production. It should, however, be pointed out that his various fields of activity never betrayed the essential phenomenological pragmatism of Veronesi, something that was always inherent in his forms, forms which represented the inescapable central denominator of his creative personality30. The result was that the natural dimension of his activity was to be found in “continuous phenomenal verification”31, in research, in the “exploitative rather than simply formal experimentation of his style”32. And so we must reject any kind of neo-Pythagorean or neo-Platonic interpretation but, at the same time, and precisely because of his constant awareness of the impossibility of acting in a non place, it would be absurd to place him within a scheme of orthodox rationalism, frozen in a Utopia of symmetry and perfection33. So it was an unsuspected dynamism that, from halfway through the 1930s, denoted Veronesi’s production, one that was only apparently unchangeable in its eternal self-satisfying arabesque of forms and geometrical rules. Yes, because the extension of methodological phenomenology in a Constructivist-Bauhaus sense did not limit him but, on the contrary, enriched – by reconfirming it – his will to accomplish all the possibilities and processes for the rhythmic development of the forms. And so we arrive at what could be considered the central point of Luigi Veronesi’s imaginative personality: his intimate correspondence with reality, not by way of a cold and didactic use of pure abstract icons, of more or less static sculptural architectures and figural elements but, rather, by the rhythmical essence of a temporal phenomenology of such formal elements34 that, therefore, do not claim – like the Purists or neo-Pythagorean abstractionists, and even the “spiritual” Kandinsky – to raise themselves to the rank of absolutes, but that pragmatically settle for being “signs of space-time”35. Within this basic dimension, Veronesi counters Reggiani’s rigorously formal (and at times angular) architectonics or Soldati’s evocative and dreamlike fables, with his own personal lyricism which, however, rather like Melotti’s “counterpointed” sculpture, does not aim at romantically resolving itself in contemplation or evocations, but establishes itself as dynamism. It is a rhythmicity that, from a structural point of view, is concretised in the energy generated by the “relationship between linear forms and the space they create within the painting’s dimension”36. In an essay written in 1980, Glauco Viazzi observed that in Veronesi’s art in no way do we find “the movement of objects or figures from the outside world”, but that the dynamism is “inside the figures and is determined by them”, so that “in the ‘compositions’ and ‘constructions’ space results constructed either by a collage of coloured surfaces [...] or by emerging from the surfaces, isolated from each other, or against the background”37: so then it is the relationship between their positions and depositing – in other words, the rhythm they determine – that forms the particular spatiality of the works. This is not a question of a physical, measurable space but of a dynamic and concrete one that we might compare to that of the non-Euclidian geometries of Gauss and the mathematician Nikolai Lobachevsky who, in 1855, had published the Pan-geometry which so widely inspired the Soviet avant-gardes. As Viazzi noted, “certainly it was not the aim of Lissitzky or Moholy-Nagy or Veronesi to translate [...] Lobachevsky’s mathematical ideas as such. But without a doubt in absolutely general terms the Constructivists made a topological and not metrical painting, and Veronesi was fully a part of this”38.
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I will add further to this argument by noting that the exceptionality of this singular Italian artist’s experience is to be found in having worked at the same time, and with equally excellent results,
both in the field of painting and in that of photography from halfway through the 1920s (although his non-figurative approach evolved in the succeeding decade when, what is more, he became deeply interested in cinema and stage design). Once again, the diversity of the means he employed gained in Veronesi’s work a coherency in the way space was conceived of, with an experimentation – and not only a technical one – that was the avant-garde lesson of Man Ray, Christian Schad, Alexander Rodchenko, El Lissitzky, and László Moholy-Nagy39. The previous general considerations about the creative procedure and the visual and formal world of Luigi Veronesi can, then, also be underlined with respect to his famous photos, with regard to which Paolo Fossati acutely observed that they offer us “what happens in the physical space and time” of the physical-chemical reality of the medium employed “by suggesting the objects as a starting point and not as the final fact for gaining knowledge”40. This is also a concept expressed by Giuliana Scimè who recognizes, in the use of photographic tools by Veronesi, a will to “transform the objective reality of things and their concrete appearance, as is well known”, with a mixture of “stringent logic” and “sweet poetry” and a “fusion of sensibility and scientific methodology”41. This is undeniable, but probably there are also other motivations that can be found in what we might call pure visibility and that force us to make a formal and structural interpretation. We see, for example, that a fairly frequent phenomenon in the works by Veronesi from the end of the 1930s is an interaction between fragments of the photos and painterly material, something that often allowed him to be extraordinarily efficacious in reproducing, not the motion of the figures of the outside world but, rather, the dynamism within them, almost as though it were self-generated. And so we feel a sense of compressed energy, one that veils the morphological nature of the compositional elements employed, whether pigments or photographic surfaces. Kinetic studies, abstract constructions, spirals, helical structures, ellipses, shaded lines and spheres, ribbon-like articulations, interlocking, hatching, parallel segments, curves, and triangles: all these go to make up the alphabet of the personal language elaborated by Veronesi the photographer which, in these black and white compositions, bring together all the references that, from the end of the 1930s to the early 1940s, acted on his imaginative and cultural background. As happened in his paintings, what was dominant was the principle of the rhythmic development of the formal elements, something that confers a sense of a concrete phenomenal temporality which, differently from what it might seem to be, has nothing “phantasmal” but, rather, at times seems to anticipate certain kinetic and even optical works (I have in mind, for example, the Studio ottico of 1938).
Studio ottico, 1938 particolare | detail
In an essay written in 1966, Giulia Veronesi, the artist’s sister, underlined that in his art production there was the double concept of unlimited time and infinite space42, that is not translated – as we would expect if we were dealing with a less constructivist creative mind – into a formal absolute but into a rhythm, in other words into an inexhaustible possibility for development and compilation, though not in any way made sacred. So his intense lyricism is neither evocative nor effusive, and even less is it mystical but, more concretely, it was born from the knowledge of having established a rhythmic contact, one originated from the dialectic between the eternal movement of the mysterious and unknowable elements of the universe – that we could pinpoint in the parabolas43 so loved by Veronesi – and the fixity that characterises the infinite possible configurations by way of which the artist’s rational mind curbed
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these dynamic forms; a fixity (only an apparent one, since it assumes a perpetual and necessary motion for the enjoyment of at least a small part of it) that is made possible by the deep certainty of the ubiquitous Cartesian axes and that is the only possible means allowed to man to know and make his own – even if only partially – if nothing else a moment, a particle of the infinite flow of time: in other words, of the universe44. So then, we are dealing with a lyricism that comes about in the dialect of the tensions “between the objects [...] that seem to rotate around a central optical axis in order to find compositional positions susceptible to continuous new arrangements”45 and the rational rigour of the Cartesian axes, the value of which – almost like one of Kant’s categories46 – was perhaps derived by Veronesi from his youthful reading of the Discours de la méthode, which I mentioned at the start.
Cf. E. Pontiggia, Veronesi: il senso dell’armonia, in “Terzoocchio”, XXIII, 5 (85), Bologna, December 1997, p. 33. 2 When Moholy-Nagy resigned from the Bauhaus, his place as director of the preliminary painting course was taken by Albers. 3 Two letters from Moholy-Nagy to Veronesi are reproduced in L. Caramel (editor), Veronesi. Le ragioni «astratte», Turin 1970, pp. 19-20. 4 Cf. F. Tedeschi, Notizie biografiche, in L. Caramel - P. Quaglino (editors), Luigi Veronesi. Mostra antologica (catalogue of the exhibition held in Milan 1989-1990), Milan 1989, p. 163. 5 Cf. S. Danesi, Una proposta di evoluzione del linguaggio scenico, in S. Danesi, Avanguardie a teatro tra le due guerre. Luigi Veronesi - scenografie (catalogue of the exhibition held in Milan in 1974), Milan 1974, p. 12. 6 Cf. E. Pontiggia, op. cit. 1997, p. 34. 7 L. Caramel (editor), Luigi Veronesi. Biografia, in “Temporale”, III, 10, Lugano 1986, p. 18; C. Franza, La ricerca astratta di Veronesi, in C. Franza (editor), Le stanze della geometria (catalogue of the exhibition held in 1989 in Palazzolo sull’Oglio), Cernusco sul Naviglio 1989, unnumbered. 8 Cf. L. Serravalli (editor), Luigi Veronesi (catalogue of the exhibition held in 1999 in Rovereto), Mori 1999, p. 3. 9 E. Pontiggia, Il vuoto e l’armonia. L’opera di Luigi Veronesi dal 1927 al 1945, in L. Caramel - C. Cerritelli (editors), Luigi Veronesi. Razionalismo lirico 1927-1997 (catalogue of the exhibition held in 1997-1998 in Cantù and in Finale Ligure), Milan 1997, p. 44. 10 Ibid. In order to gain an idea of Ghyka’s arguments, there follow some titles (fairly telling in themselves) of the chapters that make up his treatise: Du nombre à l’harmonie, La divine proportion, Les canons géométriques de l’architecture méditerranéenne, L’harmonie architecturale et l’orchestration des volumes, Du rythme à l’incantation, De l’incantation à l’amour. 11 S. Danesi, Veronesi: Tipografia e réclame, in GRAFICA grafica II 1, Rome 1976, p. 9. 12 Cf. G. Lupo, Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta, Milan 1996. 13 S. Danesi, Veronesi: Tipografia e réclame, op. cit. 1976, p. 9. 14 Ibid. pp. 9, 12. 15 Cf. M. Fagiolo dell’Arco, Sull’astrattismo o razionalismo in Italia negli anni 30, in “Quinta parete”, 4, Turin, July-December 1972, p. 21. 16 Ibid. p. 20. 17 Fontana’s particular position during the Il Milione years, instead, has been defined by Crispolti as “phenomenological inventiveness” (E. Crispolti, Posizione di Luigi Veronesi, in “Il Margutta”, V, 11-12, Rome, November 1972, p. 13). 1
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L. Caramel, Luigi Veronesi. Disegni e tempere 1946-1967 (catalogue of the exhibition held in 1968 in Como), Como 1968, unnumbered. 19 Cf. M. Fagiolo dell’Arco, Sull’astrattismo (o Razionalismo) in Italia negli anni ’30. Dedicato a Veronesi, in M. Fagiolo dell’Arco - G. Martano (editors), Exposition de Luigi Veronesi (catalogue of the exhibition held in 1970 in Saint-Paul-de-Vence), Turin 1970, p. 3. With regard to this, Elena Pontiggia has written “at the end of a clearly rational path, Veronesi arrived at, so to say, a secular Pythagorism where numbers were no longer mythical or divine but were and continued to be the law of the universe” (E. Pontiggia, Veronesi: il senso dell’armonia, op. cit. 1997, p. 34). But then it was Veronesi himself who, in some of his writings, validated this interpretative idea: cf. L. Veronesi, Appunti sulla sezione aurea, Milan 1985, and L. Veronesi, Arte e scienza: le proporzioni (text of a conference held on 6 February 1987 at Macerata University for the opening of the academic year), in L. Veronesi, Le conferenze di Macerata, Modena 1993, pp. 31-45. 20 N. Ponente (editor), Luigi Veronesi. Arte come metodo 1934-1976, in “R2”, Rome, 26 January 1976, p. 3. 21 Cf. G. Ferrari, Appunti per un percorso di Veronesi, in Luigi Veronesi (catalogue of the exhibition held in 1975 in Parma), Parma 1975, p. 77. 22 Cf. L. Rognoni, La «sonorizzazione visiva» di Luigi Veronesi, in L. Veronesi, Proposta per una ricerca su “Suono e colore”, Studio Marconi Laboratorio/7, Milan, 2 March 1972, p. 3. 23 Cf. E. Pontiggia, Veronesi: il senso dell’armonia, op. cit. 1997, p. 34. 24 I am not in agreement with what is undoubtedly an acute critical analysis by Maurizio Fagiolo dell’Arco who held that “the painting by Veronesi does not represent anything: it represents itself insofar as it is a language” (M. Fagiolo dell’Arco, Sull’astrattismo (o Razionalismo) in Italia negli anni ’30. Dedicato a Veronesi, op. cit. 1970, p. 5). 25 Cf. E. Pontiggia, Veronesi: il senso dell’armonia, op. cit. 1997, p. 34. 26 Ibid. 27 Cf. E. Crispolti, op. cit. 1972, p. 13. 28 Cf. P. Quaglino, Luigi Veronesi (catalogue of the exhibition held in 1983 in Ravenna), Ravenna 1983, pp. 11-17. 29 Cf. E. Crispolti, op. cit. 1972, p. 14. 30 Caramel has warned about the temptation to artificially separate the various technical and expressive areas within which Veronesi operated, and observed that “we are explicitly invited [...] not to fall into unjustified sectarianism [...] by the artist himself in his continual attention to linguistic experiences beyond the artificial confines of ‘genres’, in a far more complex 18
dimension than that allowed by a limited attention to grammar” (L. Caramel [editor], Aspetti del primo astrattismo italiano 19301940 [catalogue of the exhibition held in 1969 in Monza], Monza 1969, pp. 15-16). 31 Ibid. p. 16. 32 E. Crispolti, op. cit. 1972, p. 14. 33 Cf. N. Ponente, op. cit. 1976, pp. 3-4. 34 Cf. E. Crispolti, op. cit. 1972, p. 15. 35 Ibid. 36 G. Marchiori, Veronesi o della coerenza, in G. Marchiori (editor), Luigi Veronesi (catalogue of the exhibition held in 1954 in Milan), Milan 1954, unnumbered. 37 G. Viazzi, Il costruttivismo di Luigi Veronesi, in G. Viazzi (editor), Luigi Veronesi, Rome 1980, p. 11. 38 Ibid. pp. 13-14. 39 Cf. A. Di Brino, Mediazione critica del visibile. Luigi Veronesi: fotografia, grafica e cinema, in P. Bolpagni - A. Di Brino - Ch. Savettieri (editors), Ritmi visivi. Luigi Veronesi nell’astrattismo europeo (catalogue of the exhibition held in 2011-2012 in Lucca), Lucca 2011, pp. 33-37. 40 P. Fossati, Veronesi fotografo, in L. Veronesi, Fotogrammi e fotografie 1927-80, Turin 1983, p. 73. 41 G. Scimè, Forme come concetti, in I grandi fotografi. Luigi Veronesi, Milan 1983, p. 6. 42 “He excogitated the infinite space [...] that he was soon to pinpoint in the form of ‘variations’: first in painting (1936), and then in xylography (1937), in series of compositions that varied a single theme in a mediated game with the same elements. Veronesi was to exhibit, in Paris in 1939, a series of painted variations devised along the lines of musical variations; shortly after he was to deepen his interest in space-time through
cinematographic techniques [...]” (G. Veronesi [editor], Luigi Veronesi. Silografie e litografie [catalogue of the exhibition held in 1960 in Milan], Milan 1960, unnumbered). 43 This had been intuited by Fagiolo dell’Arco who wrote that “Veronesi’s ‘sign’, the leitmotif of his paintings, is the parabola: the only geometrical form that opens and closes and that gives a sense of dynamism, because it is the one most full of ‘suspense’” (M. Fagiolo dell’Arco, Sull’astrattismo (o Razionalismo) in Italia negli anni ’30. Dedicato a Veronesi, op. cit. 1970, p. 5). 44 Cf. E. Crispolti, op. cit. 1972, p. 15. The fundamental value – a conceptual as well as formal one – of the Cartesian axes in the work of Veronesi was also pinpointed by G. Ballo (cf. G. Ballo, Luigi Veronesi [catalogue of the exhibition held in 1983 in Milan], Milan 1983). 45 P. Fossati, Qualche ipotesi sul lavoro di Veronesi, op. cit., 1968, p. 7. 46 I think that this is not far from the point, because the Kantian categories do not map out in an Aristotelian manner reality’s modes of being but, rather, our ways of knowing it: in other words, they are a priori functions of the intellect that determine the transcendental conditions of experience. Veronesi seems to entrust to Cartesian axes the task of “boxing in”, of blocking for a moment in a rational vision the swirling flow of a universe that is otherwise unknowable, so that they become the conditions themselves of perception of reality. What distinguishes them from Kantian categories, the function of which they basically share, is the fact that they are not innate or a priori in the mind of man, but are the rational outcome of a particularly elaborate and knowing way of thinking.
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opere works
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Collage, 1935, tempera, collage e fotogramma su carta, 37 x 27 cm
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Composizione, 1935, tempera su carta, 18 x 23 cm
26
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Senza titolo, 1936, inchiostro di china su carta, 25 x 32 cm
28
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Composizione con fotogramma, 1936, tempera e riporto fotografico su carta, 22 x 20,7 cm
30
31
Composizione, 1936, tempera e riporto fotografico su cartoncino, 21 x 22 cm
32
33
Composizione, 1938, tempera, collage e fotogramma su cartoncino, 36 x 50 cm
34
35
Composizione, 1938, tempera su cartoncino, 24 x 33 cm
36
37
Composizione, 1938, tempera su carta, 31 x 33 cm
38
39
Composizione n. 33, 1938, tempera su cartoncino, 35 x 50 cm
40
41
Composizione n. 35, 1938, tempera su carta, 34 x 50 cm
42
43
Composizione, 1938, tempera su carta, 34 x 49 cm
44
45
Composizione n. 1, 1938, olio e tempera su carta fotografica, 40 x 54 cm
46
47
Composizione n. 51, 1938, tempera e fotogramma su carta, 60 x 80 cm
48
49
Composizione, 1938, olio e fotogramma su tela, 30 x 40 cm
50
51
Composizione X1, 1938, olio e fotogramma su tela, 28 x 36 cm
52
53
Costruzione W, 1938, olio e fotogramma su tela, 28 x 39 cm
54
55
Diagonale n. 3, 1938, olio, tempera e fotogramma su tavola, 47,5 x 62,5 cm
56
57
Composizione H, 1939, olio su tavola, 50 x 70 cm
58
59
Composizione n. 18, 1941, olio su tela, 48 x 60 cm
60
61
Composizione, 1941, china e tempera su carta, 27,7 x 21 cm
62
63
Senza titolo, 1942, china su carta, 38 x 30 cm
64
65
Costruzione G1, 1943, olio su tavola, 40 x 30 cm
66
67
Senza titolo, 1943, tecnica mista su carta, 37,5 x 30 cm
68
69
Senza titolo, 1943, tecnica mista su carta, 32 x 23 cm
70
71
Senza titolo, 1932, fotogramma, 22 x 17 cm
72
73
Senza titolo, 1935, fotogramma, 8 x 11,8 cm
74
75
Senza titolo, 1936, fotogramma, 29 x 39,5 cm
76
77
Senza titolo, 1936, fotogramma, 40,5 x 30,5 cm
78
79
Senza titolo, 1936, fotogramma, 18 x 23,5 cm
80
81
Senza titolo, 1936, fotogramma, 24 x 30 cm
82
83
Senza titolo, 1936, fotogramma, 26,5 x 37 cm
84
85
Senza titolo, 1936, fotogramma, 30 x 28 cm
86
87
Senza titolo, 1937, fotogramma, 28 x 30 cm
88
89
Fotogramma F, 1937, fotogramma su carta sensibile azzurra, 22,3 x 18,5 cm
90
91
Superimpressione, 1937, fotogramma, 28,4 x 22 cm
92
93
Senza titolo, 1937, fotogramma, 33 x 24,5 cm
94
95
Senza titolo, 1937, fotogramma, 28,5 x 28 cm
96
97
Studio ottico, 1937, fotogramma, 28,5 x 27,5 cm
98
99
Senza titolo, 1938, fotogramma, 29 x 35,5 cm
100
101
Studio ottico, 1938, fotogramma, 23 x 28,5 cm
102
103
Senza titolo, 1938, fotogramma, 15 x 20 cm
104
105
Sovrimpressione, 1938, fotogramma, 26 x 23 cm
106
107
Senza titolo, 1938, fotogramma, 29,5 x 28 cm
108
109
Senza titolo, 1938, fotogramma, 10 x 15 cm
110
111
Senza titolo, 1939, fotogramma, 29 x 22 cm
112
113
Senza titolo, 1940, fotogramma, 23,5 x 29 cm
114
115
Senza titolo, 1940, fotogramma, 16 x 18,5 cm
116
117
Studio cinetico, 1940, fotogramma, 16 x 16 cm
118
119
Senza titolo, 1945, fotogramma, 23,8 x 30 cm
120
121
Senza titolo, 1947, fotogramma, 16,5 x 14,5 cm
122
123
124
apparati appendix
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Elenco delle opere List of works
p. 25 Collage, 1935, tempera, collage e fotogramma su carta, 37 x 27 cm (*)
(*) Opera in mostra | Work in the exhibition
p. 27 Composizione, 1935, tempera su carta, 18 x 23 cm (*) p. 29 Senza titolo, 1936, inchiostro di china su carta, 25 x 32 cm (*) p. 31 Composizione con fotogramma, 1936, tempera e riporto fotografico su carta, 22 x 20,7 cm Collezione Guido Bertero p. 33 Composizione, 1936, tempera e riporto fotografico su cartoncino, 21 x 22 cm (*) p. 35 Composizione, 1938, tempera, collage e fotogramma su cartoncino, 36 x 50 cm (*)
p. 51 Composizione, 1938, olio e fotogramma su tela, 30 x 40 cm (*) p. 53 Composizione X1, 1938, olio e fotogramma su tela, 28 x 36 cm (*) p. 55 Costruzione W, 1938, olio e fotogramma su tela, 28 x 39 cm MART, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, collezione VAF-Stiftung p. 57 Diagonale n. 3, 1938, olio, tempera e fotogramma su tavola, 47,5 x 62,5 cm (*)
p. 37 Composizione, 1938, tempera su cartoncino, 24 x 33 cm (*)
p. 59 Composizione H, 1939, olio su tavola, 50 x 70 cm MART, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, collezione VAF-Stiftung
p. 39 Composizione, 1938, tempera su carta, 31 x 33 cm (*)
p. 61 Composizione n. 18, 1941, olio su tela, 48 x 60 cm (*)
p. 41 Composizione n. 33, 1938, tempera su cartoncino, 35 x 50 cm (*)
p. 63 Composizione, 1941, china e tempera su carta, 27,7 x 21 cm Collezione Guido Bertero
p. 43 Composizione n. 35, 1938, tempera su carta, 34 x 50 cm MART, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, collezione VAF-Stiftung p. 45 Composizione, 1938, tempera su carta, 34 x 49 cm (*) p. 47 Composizione n. 1, 1938, olio e tempera su carta fotografica, 40 x 54 cm MART, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, collezione VAF-Stiftung
126
p. 49 Composizione n. 51, 1938, tempera e fotogramma su carta, 60 x 80 cm MART, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, collezione VAF-Stiftung
p. 65 Senza titolo, 1942, china su carta, 38 x 30 cm (*) p. 67 Costruzione G1, 1943, olio su tavola, 40 x 30 cm (*) p. 69 Senza titolo, 1943, tecnica mista su carta, 37,5 x 30 cm (*) p. 71 Senza titolo, 1943, tecnica mista su carta, 32 x 23 cm (*)
p. 73 Senza titolo, 1932, fotogramma, 22 x 17 cm (*)
p. 103 Studio ottico, 1938, fotogramma, 23 x 28,5 cm (*)
p. 75 Senza titolo, 1935, fotogramma, 8 x 11,8 cm Collezione Guido Bertero
p. 105 Senza titolo, 1938, fotogramma, 15 x 20 cm (*)
p. 77 Senza titolo, 1936, fotogramma, 29 x 39,5 cm (*) p. 79 Senza titolo, 1936, fotogramma, 40,5 x 30,5 cm Collezione Massimo Prelz Oltramonti p. 81 Senza titolo, 1936, fotogramma, 18 x 23,5 cm (*)
p. 107 Sovrimpressione, 1938, fotogramma, 26 x 23 cm (*) p. 109 Senza titolo, 1938, fotogramma, 29,5 x 28 cm (*) p. 111 Senza titolo, 1938, fotogramma, 10 x 15 cm Collezione Guido Bertero
p. 83 Senza titolo, 1936, fotogramma, 24 x 30 cm (*)
p. 113 Senza titolo, 1939, fotogramma, 29 x 22 cm Collezione Massimo Prelz Oltramonti
p. 85 Senza titolo, 1936, fotogramma, 26,5 x 37 cm (*)
p. 115 Senza titolo, 1940, fotogramma, 23,5 x 29 cm (*)
p. 87 Senza titolo, 1936, fotogramma, 30 x 28 cm (*)
p. 117 Senza titolo, 1940, fotogramma, 16 x 18,5 cm (*)
p. 89 Senza titolo, 1937, fotogramma, 28 x 30 cm (*)
p. 119 Studio cinetico, 1940, fotogramma, 16 x 16 cm (*)
p. 91 Fotogramma F, 1937, fotogramma su carta sensibile azzurra, 22,3 x 18,5 cm Collezione Guido Bertero
p. 121 Senza titolo, 1945, fotogramma, 23,8 x 30 cm Collezione Guido Bertero
p. 93 Superimpressione, 1937, fotogramma, 28,4 x 22 cm Collezione Massimo Prelz Oltramonti
p. 123 Senza titolo, 1947, fotogramma, 16,5 x 14,5 cm (*)
p. 95 Senza titolo, 1937, fotogramma, 33 x 24,5 cm (*) p. 97 Senza titolo, 1937, fotogramma, 28,5 x 28 cm (*) p. 99 Studio ottico, 1937, fotogramma, 28,5 x 27,5 cm (*) p. 101 Senza titolo, 1938, fotogramma, 29 x 35,5 cm (*)
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Nota biografica
Biographical note
Luigi Veronesi nasce a Milano nel 1908. Si iscrive all’istituto tecnico, segue un corso per disegnatore tessile e studia pittura sotto la guida del professor Violante. Mentre approfondisce le sue cognizioni matematiche e fisiche che saranno fondamentali per comprendere l’insieme della sua opera, si avvicina agli artisti che gravitano attorno alla galleria milanese Il Milione dove, appena diciassettenne, espone per la prima volta opere influenzate da Sironi e Modigliani. Si avvicina, anche grazie all’amicizia con Léger conosciuto a Parigi, all’arte non figurativa aderendo nel 1934 al gruppo “Abstraction-Création” e contemporaneamente lavora con la rivista “Campo Grafico”. Evidenzia subito interessi molteplici: i lavori grafici lo porteranno a collaborare con le riviste “Casabella” e “Ferrania”, la pittura astratta lo avvicina alla musica (alle sue “Quattordici variazioni di un tema pittorico” del 1939 si ispira Riccardo Malipiero con le “Quattordici variazioni di un tema musicale”) mentre la fotografia comincia a emergere con tutta la sua forza espressiva.
Molte sono le ricerche realizzate tra gli anni Trenta e Quaranta sia in bianco e nero che a colori sperimentando ogni genere di tecnica con una particolare attenzione ai fotogrammi. Nel 1947 entra a far parte del gruppo fotografico “La Bussola” e ne firma il manifesto programmatico, l’anno dopo del MAC. Negli anni Cinquanta e Sessanta riceve i primi importanti riconoscimenti (premi per le più diverse attività, partecipazioni a Biennali come quelle di Venezia e San Paolo, mostre personali in Italia e all’estero) e inizia la sua attività didattica all’Accademia di Belle Arti di Brera e poi alla Nuova Accademia di Milano. Negli anni Ottanta e Novanta al rinnovato interesse per la fotografia si accostano interventi di arti applicate con affreschi, progetti di piazze, interventi grafici in esterni. Luigi Veronesi muore a Milano il 25 febbraio 1998.
Luigi Veronesi was born in Milan in 1908. He attended a technical istitute, taking a course in textile design and studying painting with the professor Violante. While continuing his studies of mathematics and physics, a fundamental factor for an understanding his oeuvre, he made the acquaintance of artists who gravitated around the Milanese gallery Il Milione, where he had his first show when he was just 17 years old, featuring works influenced by Sironi and Modigliani. Thanks to his friendship with Léger, whom he met in Paris, he approached non-figurative art, joining the Abstraction-Création group in 1934. At the same time, he worked with the magazine Campo Grafico. He always had multiple interests: his work in graphic art led to collaboration with the magazines Casabella and Ferrania, while his interest in abstract painting led him to music (his Fourteen variations on a pictorial theme in 1939 inspired Riccardo Malipiero’s Fourteen variations on a musical theme of the same period), and his work as a photographer began to emerge with all its expressive force. He completed many projects in the 1930s and 1940s, both
in black & white and in color, experimenting with many techniques, particularly that of photograms. In 1947 he joined the photography group La Bussola and signed its programmatic manifesto, and in 1949 he took part in the group MAC (Movimento Arte Concreta). In the 1950s and 1960s he received many important honors (prizes for his various activities, invitations to participate at Biennials such as those of Venice and Sao Paulo, solo shows in Italy and abroad), and began his teaching activities at the Brera Fine Arts Academy and the Nuova Accademia in Milan. In the 1980s and 1990s his renewed interest in photography moved in parallel with projects of applied art, with frescoes, designs for urban squares and outdoor graphics. Luigi Veronesi died in Milan on 25 February 1998.
Nota biografica tratta dal libro R. Mutti, L. Caramel, Luigi Veronesi: lo spazio sensibile, catalogo della mostra a cura di R. Mutti e T. Mangano, (Milano, Bel Vedere Fotografia, 2007), Mondadori Electa, Milano, 2007, p. 117.
Biographical note taken from the book by R. Mutti, L. Caramel, Luigi Veronesi: lo spazio sensibile, catalogue of the exhibition curated by R. Mutti and T. Mangano, (Milan, Bel Vedere Fotografia, 2007), Mondadori Electa, Milan, 2007, p. 117.
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Esposizioni | Exhibitions
Mostre personali | Solo Exhibitions 1932
- Libreria Il Milione, Milano
1934
- Galleria Il Milione, Milano
1937 - Arti grafiche e fotografie, Galleria Il Milione, Milano 1939
- Galerie L’Equipe, Parigi
1949 - 15 fotografie astratte, Libreria Salto – Galleria Salto, Milano 1950
- 10 stampe a mano, Libreria Salto, Milano
1951
- Centro Studi Grafici, Milano
1953
- Galleria Schettini, Milano
1956
- Galerie de l’Institut, Parigi
1957
- Galleria Apollinaire, Milano - Biblioteca Comunale, Milano
1958
- Galleria d’Arte del Grattacielo, Milano
1960 - Trent’anni di incisione, Galleria Salto, Milano 1962
- Galleria delle Ore, Milano - Galleria Ciranna, Milano
1963
- Galleria Ciranna, Milano
1964 - Omaggio a Veronesi, Avezzano
130
1965
- Galleria Lorenzelli, Milano - Galleria Narciso, Torino - Galleria del Corso, Pavia
1966
- Galleria La Polena, Genova - Galleria San Petronio, Bologna
1967
- Galleria Milano, Milano - Galleria Pegaso, Milano
1968
- Galleria Vismara, Milano - Galleria La Colonna, Como - Galleria Il Bilico, Roma - Galleria Martano Due, Torino - Galleria del Grattacielo, Legnano
1969
- Museo Civico, Crema - Centro Culture Antonio Rosmini, Trento
1970
- Musée Municipal, Saint-Paul-de-Vence - Galleria Peccolo, Livorno
1971
- Galleria La Chiocciola, Padova
1972 - Galleria Tino Ghelfi, Vicenza - Studio Marconi, Milano - Proposta per una ricerca su “suono e colore”, Galleria Milano, Milano - Galleria Martano Due, Torino - Galleria Eunomia, Milano - Galleria La Polena, Genova - Ricerche musicale-cromatiche, Galleria Pourquoi Pas?, Genova - Galleria dei Mille, Bergamo
1973
- Centro d’Arte Rizzolino, Milano - Galleria Il Nome, Vigevano - Galleria Pictogramma, Roma - Galleria La Nuova Città, Brescia
1974 - Stadtisches Museum, Leverkusen - Museo Teatrale alla Scala, Milano - Galleria Milano, Milano - Galleria Martano, Torino - Galerie Liatowitsch, Basilea - Luigi Veronesi, ricerche fotografiche, Galerie Friedrich, Monaco - Teatro Fraschini, Pavia - Galleria Pourquoi Pas?, Genova 1975 - Fotografie e fotogrammi 1934-1974, Galleria Martano, Torino - Galleria Ferruccio Fata, Bolzano - Palazzo Pilotta, Sala delle Scuderie, Parma - Galerie E, Bozen, New York - Martini Ronchetti Gallery, New York - Transart, Milano 1976 - Incisioni, fotografie, ricerche grafiche, Calcografia Nazionale, Roma - Galleria Rondanini, Roma - Galleria La Chiocciola, Padova - Studio F22, Palazzolo Sull’Oglio
- Galleria Martano, Torino - Galleria Martini & Ronchetti, Genova - Galleria d’Arte Contemporanea Suzzara, Mantova - Galleria Il Diaframma, Milano - Galleria Paganini, Rovereto - Galleria La Chiocciola, Padova - Galleria A, Parma - La Saletta del Libraio, Milano
1978
- Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, Ferrara - Studio Haus Mezzera, Milano - Galleria Nuovo Spazio, Venezia - Galleria Milano, Milano - Civica Galleria, Gallarate - Galleria Centro, Napoli - Trimarchi Arte Moderna, Bologna
1979
- Galleria La Colonna, Como - Arte Duchamp, Cagliari - Galleria Sagittaria, Pordenone - Teatro Verdi, Milano - Galleria del Ponte, Vicenza - Galleria Martini & Ronchetti, Genova - Galleria Milano, Milano - Galleria Spatia, Bolzano
1977
1980 - Photographia. La linea sottile, Galleria Flaviana, Locarno - Galleria Vismara, Milano - Galleria Plusart, Mestre - Galleria Il Chiodo, Mantova - Bluart Arte Contemporanea, Varese - Galleria Radice, Lissone - Centro Culturale Rondottanta, Sesto San Giovanni, Milano - Galleria Spatia, Bolzano 1981
- Galleria Toninelli, Roma - Galleria Comunale, Cesena
1982
- Galleria Martano, Torino - Galleria Il Punto Sette, Busto Arsizio - Galleria Spatia, Bolzano - Galleria Rizzardi, Milano - Spazio Studio d’Arte, Bologna
1983
- P.A.C., Milano - Arte Duchamp, Cagliari - Galleria Bergamini-Diarte, Milano - Galleria Il Chiodo, Mantova - Loggetta Lombardesca, Ravenna - Studio La Città, Verona - Palazzo della Permanente, Milano - Galleria Spatia, Bolzano
1984
- Galleria Bluart, Varese - Galleria Sagittaria, Pordenone - Palazzi Comunali, Todi - Galleria Martano, Torino - ‘900 la tradizione moderna, Roma - Arte Duchamp, Cagliari
1985
- Galleria Radice, Lissone - Galleria La Chiocciola, Padova - Centro Culturale Polivalente, Pieve di Cento - Campogalliano - Sala Vesprini, Porto Sant’Elpidio
1986
- Galleria Vismara, Milano - Castello dei Pio, Carpi - Nuova Galleria del Teatro, Parma - Galleria Il Chiodo, Mantova - Galleria Totem, Venezia - Studio Dabbeni, Lugano - Biblioteca Comunale Ugo Bernasconi, Cantù - Accademia dei Concordi, Rovigo - XLII Biennale Internazionale d’Arte, Venezia - Galleria Milano, Milano - Palazzo Tagliacucchi, Modena - Il Patio Galleria d’Arte, Ravenna
1991
- Valente Arte Contemporanea, Finale Ligure - Galleria Spazi d’Essenza, Torino
1992
- Galleria Arte 92, Milano - Museo Enrico Butti, Viggiù - Galleria Stazione dell’Arte, Novara
1993
- Studio Stefanini, Firenze
1994 - Veronesi e la fotografia, Compagnia dei Fotografi, Milano - Galleria Microbrera, Milano - Galerie am see, Zurigo - Valente Arte Contemporanea, Finale Ligure - Centro Convegni Cà Radetzky, Milano - Aquarelle, Rocca Paolina, Perugia 1995
- Studio F22, Palazzolo sull’Oglio - Galleria Carini, Milano - Galleria Spatia, Bolzano - Galleria dell’Arancio, Grottammare
1997
- Istitut Mathildenhohe, Darmstadt - Sprengel Museum, Hannover - Die Galerie, Francoforte - Circolo Artistico, Bologna
Mostre collettive | Group Exhibitions 1933 - Esposition italienne du beau livre, de l’illustration et de l’affiche illustrée, Palais des Beux Arts, Bruxelles 1934 - Mostra internazionale di scenografia, Circolo Nuova Vita, Milano 1935 - Prima mostra d’arte astratta italiana, Studio di F. Casorati e E. Paulucci, Torino 1936 - Omaggio a Persico, Galleria Il Milione, Milano - VI Triennale d’arte, Milano - Mostra di pittura moderna italiana, Villa Olmo, Como - Galleria Moody, Buenos Aires 1937 - Arte grafica e fotografia, Galleria Il Milione, Milano - Seconda mostra d’arte, Villa Olmo, Como 1938 - Mostra nazionale di scenografia, Roma
1987 - Biblioteca Universitaria, Macerata - Galleria Vismara, Milano - Valente Arte Contemporanea, Finale Ligure - Chiostro di Voltorre, Gavirate - Luigi Veronesi 1932-1987 antologia fotografica, Centro Santa Chiara, Trento 1988 - Photogramme, Spectrum Photogalerie, Hannover - Galerie Meissner, Amburgo - Studio d’Arte Raffaelli, Trento - Luigi Veronesi. La ricerca fotografica di un pittore, Galerie Caroline Dohmen, Francoforte - Galleria Sant’Agostino, Torino - Studio Calcografico Urbino, Pescara - Foto Club Il Sestante, Roma 1989
- Lighting World, New York - Grafica e fotografia, Galleria Il Sestante, Gallarate - Galleria Il Platano, Asti - Museion – Museo d’Arte Moderna, Bolzano - Studio Reggiani, Milano - Studio F22, Palazzolo sull’Oglio
1990 - Luigi Veronesi. Antologica, Palazzo Reale, Milano - Palazzi Comunali, Cesena - Museo Civico, Modena - Galleria Editalia, Roma
- Museum Bochum, Bochum - Haus fur Konstruktive und Konkrete Kunst Zurich, Zurigo - Vintage fotografie & Fotogramme, Rudolf Kicken Galerie, Koln - Galleria del Design e dell’Arredamento, Cantù - Chiostri di Santa Caterina, Oratorio de’ Disciplinanti, Finale Ligure - Museion – Museo d’Arte Moderna, Bolzano 1998
1999
- Spazio espositivo dell’Arsenale, Iseo - Galleria Studio 53, Rovereto - Fondazione Corrente, Milano - Galleria Blu, Milano
2000
- MAN – Museo d’Arte di Nuoro, Nuoro - Laboratorio Officina, Trapani - Galerie Aras, Ravensburg - Galleria Martano, Torino
2001 - Veronesi – anni’60, Galleria Cardelli & Fontana, Sarzana 2002
- Galleria Il Torchio, Milano - Galleria Martano, Torino
2005 - Luigi Veronesi. Antologica, Palazzo Reale, Milano 2007 - Luigi Veronesi: lo spazio sensibile, Galleria Bel Vedere, Milano - Valente Arte Contemporanea, Finale Ligure 2011 - Ritmi visivi – Luigi Veronesi nell’astrattismo europeo, Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca
1940 - VII Triennale d’arte, Milano 1944 - Konkrete Kunst, Kunsthalle, Basilea 1945 - Pittura astratta, Galleria Bergamini, Milano 1947 - Arte astratta e concreta, Palazzo Reale, Milano 1948 - Mostra delle 12 stampe a mano della I cartella d’arte concreta, Libreria Salto, Milano - Mostra del gruppo fotografico “La Bussola”, Ridotto del Piccolo Teatro, Milano 1949 - III Mostra internazionale “Arte d’oggi”, Palazzo Strozzi, Firenze - Arte concreta, Galleria Salto, Milano 1950 - Opere concrete di 7 artisti milanesi, Saletta del Grifo, Torino - Pitture concrete e astratte, Galleria del Naviglio, Milano - Mostra di bozzetti pubblicitari, Galleria dell’Annunciata, Milano - II Mostra d’arte contemporanea, Collegio Valdese, Torre Pellice - Mostra dell’Art Club, Torino 1951 - Arte astratta e concreta in Italia, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma - Arte astratta italiana-1. I primi astrattisti italiani 1913-1940, Galleria Bompiani, Milano - II Mostra – Concretisti italiani (Gli artisti del MAC), Galleria Bompiani, Milano - Gruppo fotografico “La Bussola”, Venezia - Subjektive Fotografie, Staatlichen Schule fur Kunst und Handwerk, Saarbrucken - IX Triennale d’arte, Milano 1952 - Mostra dei pittori concreti di Milano e Torino, Galleria Gissi, Torino 1953 - Mostra del MAC, Studio B24, Milano - Mostra di arte concreta, Galleria San Matteo, Genova - 14 pittori al Circolo Zenit, Circolo Zenit, Milano - Mostra Nazionale di Fotografia Artistica, Ravenna
131
1954 - XVII Biennale internazionale d’arte, Venezia - MOMA, New York 1955 - Biennale dell’incisione, San Paolo del Brasile 1956 - 23 pittori d’oggi italiani e stranieri, Galleria Apollinaire, Milano 1957 - MAC – I Rassegna nazionale d’arte concreta, Galleria Schettini, Milano - Art abstrait – Les premieres générations (1910-1939), Musée d’Arte et d’Industrie, Saint-Etienne - II Biennale dell’incisione, Venezia - Colori e forme nella casa d’oggi, Villa Olmo, Como 1959 - 50 anni d’arte a Milano – Dal Divisionismo ad oggi, Palazzo della Permanente, Milano - III Biennale dell’incisione, Venezia - Biennale dell’incisione, Varsavia 1960 - Arte astratta italiana: le origini, Ancona 1961 - Premio Marche, Ancona 1962 - Breveglieri, L.Crippa, Francese, Meloni, Veronesi, Galleria delle Ore, Milano - Premio Marche, Ancona - Premio per il disegno, Lignano 1963 - L’incisione artistica italiana d’oggi, Palazzo della Ragione, Padova - Grafica internazionale, Amici dell’Arte, Macerata - Proposta per un’evidenza dell’astrattismo italiano, Galleria Minima, Milano - Premio Marche, Ancona 1964 - II Mostra mercato nazionale d’arte contemporanea, Palazzo Strozzi, Firenze - 44 protagonisti della visualità strutturata, Galleria Lorenzelli, Milano - Concretismo Milano-Firenze-Roma 19471950, Galleria di Palazzo Libri, Firenze - Premio Marche, Ancona - Premio Biella per l’incisione, Circolo degli Artisti, Biella
132
1967 - Gli artisti per Firenze – Museo internazionale d’arte contemporanea, Palazzo Vecchio, Firenze - 9 protagonisti dell’arte astratta, Galleria La Polena, Genova - Luigi Veronesi, Claudio Annaratone – Mostra d’arte astratta, Galleria Teodorico, Pavia - VII Biennale d’arte contemporanea, San Benedetto del Tronto - Pitture, disegni, sculture, Galleria delle Ore, Milano - IX Premio nazionale di pittura “Silvestro Lega”, Fondazione “Cesare Castelli”, Modigliana 1968 - Esposizione dell’astrattismo italiano 19301940, Galleria Notizie, Torino - 15 maestri dell’astrattismo, Vismara Arte Contemporanea, Milano - XIX Mostra d’arte contemporanea, Collegio Valdese, Torre Pellice - Quadriennale di Torino, Torino 1969 - I Triennale dell’incisione, Palazzo della Permanente, Milano - 8 pittori italiani, Galleria Lorenzelli, Bergamo - Aspetti del primo astrattismo italiano 19301940, Galleria Civica d’Arte Moderna, Monza - L’art graphique du XXe siècle, Palais de l’Europe, Mentone - Nuovi materiali, nuove tecniche, Caorle - Maestri dell’arte astratta, Galleria Vismara, Milano 1970 - Dix maitres italiens de la peinture contemporaine, Chateau-Musée, agnes-su-Mer - VIII Biennale Internazionale de Menton, Palais de L’Europe, Mentone - The Non-Objective World 1924-1939, Galerie J.Chauvelin, Paris - Annely Juda Fine Art, Londra - Galleria Milano, Milano - Arte concreta – Der italienische Konstruktivismus, Westfalisches Kunstverein, Munster
1965 - Opere piccole, Galleria Lorenzelli, Milano - VI Biennale dell’incisione italiana contemporanea, Opera Bevilacqua La Masa, Venezia - VI Mostra nazionale d’arte contemporanea di pittura e bianco e nero, Palazzo Scolastico B. Caselli, San Benedetto del Tronto - La collezione di un critico d’arte, Galleria d’Arte Contemporanea San Petronio, Bologna - IX Quadriennale nazionale d’arte, Roma
1972 - Accrochage 1972, Studio F22, Palazzolo sull’Oglio - Il mito della macchina: esaltazione – ironia – crisi, Galleria Blu, Milano - II Triennale dell’incisione, Palazzo della Permanente, Milano - Astratti e figurativi, Galleria La Bussola, Torino - 1939 -1955 The Non -Objective World, Annely Juda Fine Art, Londra - XXIII Mostra d’arte contemporanea, Scuole Comunali, Torre Pellice - Konstruktivismus, Entwicklung un Tendenzen seit 1913, Galeria Grnurzynska + Bagera, Colonia
1966 - Stile e grido, Galleria Lorenzelli, Bergamo - Disegni di maestri contemporanei, Montrasio Arte Contemporanea, Monza - XXXIII Biennale internazionale d’arte, Venezia - Nigro, Radice, Reggiani, Veronesi, Galleria Pegaso, Milano - Italy – Graphics ‘67, University of Kentucky Art Gallery, Lexington - Pitture italiane degli ultimi vent’anni, Galleria Lorenzelli, Bergamo
1973 - X Quadriennale d’arte, Roma - Pittura in Lombardia, Villa Reale, Monza - Abstraction – Création. Art non figuratif 19321936, Jacques Dame Gallery, Bruxelles - Scenografia: contributo di avanguardie pittoriche, Galleria Martano due, Torino - Medium Fotografie, Stadtisches Museum, Leverkusen - Combattimento per un’immagine – Fotografi e pittori, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino
1974 - Medium Fotografie – Fotoabeiten bildender Kunstler von 1910 bis 1973, Haus am Waldsee, Berlino - Arti applicate in Italia 1930-1950, Galleria Milano, Milano - Maestri dell’astrattismo internazionale, Galleria dello Scudo, Verona 1975 - Didattica, Modigliana - Veronesi e Vemil, Centro d’Arte Palace Cristallo, Cortina d’Ampezzo 1976 - XXXI MIA, Monza - Le ragioni di un impegno..., Studio F22, Palazzolo sull’Oglio - Rispecchiamenti, Transart, Milano - Omaggio alla scultura lignea e Veronesi, Centro d’Arte Palace Cristallo, Cortina d’Ampezzo 1977 - Mario Ballocco, Jorrit Tornquist, Luigi Veronesi, Studio Marconi, Milano - Galleria d’arte contemporanea, Suzzara - Galleria Paganini, Rovereto 1978 - Abstraction – Création 1931-1936, Wesfalisches Landesmuseum fur Kunst und Kulturgeschichte Landshaftsverband Westfalen-Lippe - Giornate internazionali del cinema d’artista, Firenze - Mail Art – Cartoline/Cartoline per Como, La Ruota, Como 1979 - The italian Eye: 18 Contemporary Italian Photographers, Alternative Center for International Arts, New York - (S)Compare il nome, rimane la cifra..., Galleria Milano, Milano - Venezia ‘79, la fotografia, Venezia - Origini dell’astrattismo, Palazzo Reale, Milano - Rassegna nazionale del disegno e dell’incisione, Villa Cornaggia Medici Burda, Rho - Pop art, Ridotto del Teatro Regio, Parma - Festival di musica contemporanea, Haus der Kultur, Bolzano - Una ipotesi di museo immaginario, Venezia 1980 - Photographia – La linea sottile, Galleria Flaviana, Locarno - Pup art, Centro Culturale Franco-Italiano, Torino - Anni creativi al Milione 1932-1939, Palazzo Novellucci, Prato - Il Movimento arte concreta (1948-1958), Galleria Martano, Torino - Astratto = Reale, Palazzo Comunale, Verolanuova - Grafica italiana astratta, Museo d’Arte Moderna, Haifa - Rassegna sull’avanguardia cinematografica tra le due guerre, Galleria d’Arte Moderna, Ferrara 1981 - Fontana, Licini, Veronesi, Galleria Rizzardi, Milano - Movimento arte concreta Milano 1948-1958, Galleria Milano, Milano - L’attimo fuggente, Chiostro di Voltorre, Gavirate
- MAC Movimento arte concreta, Sala del Consiglio, Termoli - Materiali. Arte italiana 1920-1940 nelle collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino - Astrattismo italiano tra le due guerre, Galleria Martano, Torino - FIAC, Parigi 1982 - Segno / Tra coerenza e trasgressione, Museo Progressivo d’Arte Contemporanea, Livorno - Gli anni Trenta. Arte e cultura in Italia, Palazzo Reale – ex Arengario – Galleria del Sagrato, Milano - Proposta (opere su carta di artisti italiani), Padiglione d’Arte Contemporanea Parco Massari, Ferrara - Il linguaggio dell’incisione, Cellatica 1983 - 1 – La sperimentazione negli anni 1930-1970, Galleria d’Arte Moderna, Bologna - Due secoli di storia del popolo di legno, Chiostro di San Nicolò, Spoleto - “Campo Grafico” cinquant’anni dopo 1933-1983, Biblioteca Comunale, Milano - Rigori astratti della ragione e fantasia del concreto, Chiostro della Badia, Ganna - Il linguaggio dell’incisione, Palazzo Bagatti Valsecchi, Milano 1984 - Raffaello e la sezione aurea, Palazzo Barberini, Roma - MAC – Movimento arte concreta 1948-1958, Civica Galleria d’Arte Moderna, Gallarate - Il se/gno di/verso, Galleria Gironda, Milano - Variazioni, Galleria delle Forme d’Arte, Milano 1985 - Il dopoguerra dei fotografi, Galleria Comunale d’Arte Moderna, Bologna - III Biennale Nazionale d’arte contemporanea – Generazione primo decennio, Palazzo Vescovile, Rieti - 1975-1985: dieci anni di arte contemporanea, Bluart Arte Contemporanea, Varese - Vom Klang der Bilder, Neue Staatgalerie, Stoccarda - Mehr Licht / More Light, Kunsthalle, Amburgo - Il museo sperimentale di Torino – Arte italiana degli anni sessanta nelle collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino 1986 - Arte astratta italiana, Galleria Sprovieri, Roma - Reggiani e Veronesi (Antologica su carta 1934-86), Galleria Il Milione, Milano - Il tempo degli astratti – immagini di arte italiana negli anni Trenta, Museo Civico, Riva del Garda - Reggiani e Veronesi, Galleria La Scaletta, Reggio Emilia - Vismara arte 21 anni 1965-1986, Vismara Arte Contemporanea, Milano - Fabriano (C)Arte 1986 – Dimensione collage, Palazzo del Buon Gesù, Fabriano 1987 - Allitterazioni – Dieci artisti MAC tra ieri e oggi, Torre del Lebbroso, Aosta - Italienische Graphik der Gegenwart, Studio Dobler, Kaufbeuren - Astrattismo italiano - Disegni italiani del ‘900,
Internazionale d’arte Contemporanea, Milano - La grafica dell’astrattismo (con Omaggio a Luigi Veronesi), Centro Culturale Città di Cremona, Cremona - Inediti da una collezione d’arte moderna, Castello San Giorgio, Orzinuovi - Arte e Design dal 1908 al 1987 nelle collezioni di arazzi e tappeti d’autore di Elio Palmisano, Palazzo della Permanente, Milano - Tre forme, Tre colori, Tre autori – Bruno Munari, James Rivière, Luigi Veronesi, Vismara Arte Contemporanea, Milano - Arte svelata – Collezionismo privato a Como dall’Ottocento a oggi, Fondazione Ratti, Como - Antologie, Galleria La Chiocciola, Padova - Movimento arte concreta 1948-1958, Galleria Fonte d’Abisso, Modena 1988 - Photogramme, Spectrum Photogalerie Sprengel Museum, Hannover - 20 anni di fotografia italiana, Sala Consiliare del Comune – Ridotto del Civico Teatro G. Chiabrera – Palazzo di Giustizia, Savona - Xylon italiana 1 – Triennale nazionale di xilografia, Museo di Villa Croce, Genova - 50 anni di fotografia sperimentale in Italia 1935-1985, Centro Culturale Editoriale Pier Paolo Pasolini, Agrigento - Il Milione e l’astrattismo 1932-1938, Palazzo dei Priori, Fermo - Centro Studi Osvaldo Licini, Monte Vidon Corrado - Disegno italiano – Italienische Zeichnungen 1908-1988, Stadtische Galerie in Stadelschen Kunstistitut, Francoforte 1989 - Italian Art in 20th Century – Painting and Sculpture 1900-1988, Royal Academy of Arts, Londra - Italia anni Trenta, Galerija Grada Zagreba, Zagabria - Milano anni Trenta – Il primo astrattismo italiano, Palazzo Rondanini alla Rotonda, Roma - 150 anni di fotografia in Italia: un itinerario, Palazzo Rondanini alla Rotonda, Roma - Maestri italiani dell’astrattismo, Studio Reggiani Arte Contemporanea, Milano - L’Europa dei razionalisti, Palazzo Volpi – San Francesco, Como - Arte italiana – Presenze 1900-1945, Palazzo Grassi, Venezia - Fogliar d’artista, Villa Pellizzardi, Querceto 1990 - Italiens Moderne. Futurismus und Rationalismus, Museum Fridericianum, Kassel – IVAM Centre Julio Gonzàles, Valencia - Palazzo Pretorio, Prato - Colore – struttura. Una linea italiana 1945/1990. Palazzo Atti, Todi 1991 - Il miraggio della liricità, Liljevalchs konsthall, Stoccolma - Itinerari, Galleria La Scaletta, S. Polo di Reggio Emilia - Fontana, Veronesi, Dorazio al Teatro alla Scala, Ridotto dei palchi del Teatro alla Scala, Milano 1992 - Giamaica. Arte a Milano 1946-1959, Casa del Mantegna, Mantova – Galleria Comunale d’Arte, Cesena – Villa La Versiliana, Pietrasanta
- Pittura a Milano. 1945-1990, Palazzo della Permanente, Milano - L’incisione italiana del XX secolo, Galleria New Art, San Benedetto del Tronto
1993 - Il segno esemplare, International Art Academy, Roma - Bauhaus e razionalismo nelle fotografie di Feininger, Grignani, Schawinsky e Veronesi, Galleria Fonte d’Abisso, Milano - Il disegno nelle raccolte private modenesi, Palazzina dei Giardini, Modena 1994 - 25 anni di pittura a Trissino, Scuola Media Statale “A.Fogazzaro”, Trissino - Omaggio a Luigi Veronesi, Premio “La strada”, Ventimiglia - Le donazioni alla Fondazione Ragghianti, Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca - Trasparenze. Proposte di comunicazione fotografica, Grosseto 1995 - La resistenza del linguaggio nell’arte italiana, Palazzo Ricci, Macerata - Vismara Arte. 30 anni. 1965-1995, Vismara Arte, Milano 1996 - MAC. Movimento Arte Concreta 1948-1958, Galleria Niccoli, Parma - Sogni di carta. L’arte del disegno in Lombardia 1946-1996, Museo Internazionale della Grafica, Lubiana - Variazioni astratte: Dorazio, Minoli, Munari, Nangeroni, Veronesi, Galleria Osemont, Albissola Marina - Ascoltare l’immagine, Palazzo Mediceo, Seravezza - Fotografia tra le due guerre, Galleria Milano, Milano 1997 - Carte italiane, Museo Civico, Palau - Sogni di carta. L’arte del disegno in Lombardia 1946-1996, Museo Etnografico, Pietroburgo - Les Années ‘30 in Europe. 1929-1939, Musée d’arte moderne de la ville de Paris, Parigi - Geometrie dell’universo, Convento dell’Annunciata, Rovato - Mac e dintorni, Galleria del Credito Valtellinese, Sondrio - Abstracta. Austria, Germania, Italia 19191939, Museo d’Arte Moderna, Bolzano – Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum, Innsbruck – Museo d’Arte Moderna, Trento - Forme di luce, Palazzo Rucellai, Firenze - V Biennale d’arte, Santa Maria della Pietà, Cremona - Dorazio, Munari, Veronesi. Il lirismo dell’astrazione, Galleria Omega, Reggio Emilia 1998 - Trasparenze. Opere su vetro di artisti contemporanei, Palazzo Ducale – Liguria Spazio Aperto, Genova - Premio Mecenate 1998, Scuola Grande di San Rocco, Venezia - Arte italiana. Ultimi qurant’anni. Pittura aniconica, Galleria d’Arte Moderna, Bologna - Le arti della fotografia, Villa Mirabello, Varese
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1999 - Mac/Espace, Acquario Romano, Roma - Minimalia. An italian vision in the 20th Century Art, PS1, New York - Il grande rettile e gli altri, Museo Civico “G.Fattori”, Livorno 2000 - Segni di libertà, Galleria San Fedele, Milano - 2000. 20 anni di Astrazione Italiana, Galleria Spazia, Bologna - Il fascino della ceramica, Museo della ceramica, Castelli - Miracoli a Milano. 1955/1965. Artisti, Gallerie, Tendenze..., Museo della Permanente, Milano 2002 - Tessere d’arte – Nuove acquisizioni, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato 2003 - Bella Pittura – Meisterwerke italienischer Kunst im 20. Jahrhundert aus den Sammlungen der Stadt Mailand, Stadtgalerie Klagenfurt, Austria 2004 - Collezione Stucchi, GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, Bergamo 2005 - I maestri della fotografia, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia - Exhibition of Photograms, American Center for Contemporary Experimental Art, ACCEA, Yerevan - Fotographie Konkret, Museum im Kulturspeicher, Wurzburg - Eroffnungsausstellung – SQUARE – Die Sammlung Marli Hoppe-Ritter, Museum Ritter, Waldenbuch 2006 - Astrattismo italiano 1910-1970, Associazione Culturale Trifoglio, Chieti - My Collection, Museo Ken Damy, Brescia 2007 - Il Diaframma di Lanfranco Colombo: una storia italiana, Museo Centrale Montemartini, Roma - La terra del Fuoco, Chiesa della Santa Croce, Avigliana - Ausgerechnet... Mathematik und Konkrete Kunst, Museum im Kulturspeicher, Wurzburg 2008 - NeoRealismo – La nueva imagen en itlaia. 1932-1960, Sala Amòs Salvador, Logrono 2009 - Twentysix Gasoline Stations ed altri libri d’Artista, Museo Regionale di Messina, Messina - Fotografia Astratta, Museo Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo - Astratta, MAR Museo d’Arte della città di Ravenna, Ravenna - Grafik; Multiple & Plastik der 60igen und 70igen Jahre, Galerie Baal, Bielefeld - Spazio libro d’Artista, Palazzo Manganelli, Catania 2010 - Homo Ludens. El Artista frente al juego, Fundacion Museo Jorge Oteiza, Alzuza
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2011 - L’Italia s’è desta 1945-1953 – Arte in Italia nel secondo dopoguerra, da De Chirico a Guttuso, da Fontana a Burri, MAR Museo d’Arte della Città di Ravenna, Ravenna
2013 - Project Room. Fotografia dalle collezioni, Centro d’Arte Moderna e Contemporanea della Spezia (CAMeC), La Spezia 2015 - Painting In Italy 1910s-1950s: Futurism, Abstraction, Concrete Art, Sperone Westwater Gallery, New York - Ein Quadrat ist ein Quadrat ist ein Quadrat, Museum Ritter, Waldenbuch - Rendezvous der Lander – Neuhangung der Sammlung Peter C. Ruppert – Konkrete Kunst in Europa nach 1945, Museum im Kulturspeicher, Wurzburg 2016 - The Artist and the book in Twentieth Century Italy, Museum of Modern Art (MOMA), New York - Painting In Italy 1910s-1950s: Futurism, Abstraction, Concrete Art, Robilant+Voena, Londra - Versus – La sfida dell’artista al suo modello in un secolo di fotografia e disegno, Galleria Civica di Modena, Modena
Opere in collezioni pubbliche | Works in public collections - Museum Bochum, Bochum - Kunstmuseum Bonn, Bonn - Sprengel Museum, Hannover - Museum Ritter, Waldenbuch - Museum im Kulturspeicher, Wurzburg - VAF-Stiftung, Francoforte - Museu Berardo, Lisbona - IVAM, Istituto Valenciano de Arte Moderna, Valencia - Musée Cantonal des Beaux - Arts – MCBA, Losanna - Museo d’Arte della Svizzera italiana (MASILugano), Lugano - Museum of Modern Art (MOMA), New York - TATE, Londra - Museo Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo - Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma - Castello di Masnago, Museo d’Arte Moderna, Varese - Galleria d’Arte Moderna, Avezzano - Palazzo dei Diamanti, Ferrara - Fondazione Ragghianti, Lucca - Museo Teatrale alla Scala, Milano - MUSEION – Museum fur moderne und zeitgenossische Kunst, Bolzano - Museo MAGA, Gallarate - Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova - MAR Museo D’Arte della città di Ravenna, Ravenna - Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (MART), Rovereto - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM), Torino - Cà la Ghironda, Museo d’Arte Classica, Moderna e Contemporanea, Zola Predosa
Bibliografia selezionata | Selected bibliography
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