22 aprile 2016 - Anno 2° Numero 4
Magazine dalla Casa Circondariale di Busto Arsizio - â‚Ź 3,50
COME AIUTARE IL BANCO DI SOLIDARIETA’ “LA LUNA”
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L’ATTIVITA’
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’attività dell’Associazione è molto semplice: raccogliere generi alimentari da portare a persone e famiglie che vivono in situazioni di particolare necessità. Le famiglie assistite con regolarità sono oggi 70, che diventeranno circa 130 dal prossimo mese di Novembre, in prevalenza residenti nel comune di Busto Arsizio. Sono invece oltre 170 i volontari attualmente coinvolti nelle attività del banco. Nell’anno 2014 sono state distribuite oltre 22 tonnellate di alimenti. Si parte da un bisogno incontrato, ci si sta di fronte e lo si ascolta; si segue cioè la realtà e ci si inoltra in essa. Così si generano continuamente incontri, tra chi porta il “pacco” con gli aiuti alimentari e chi lo riceve. Da ciò possono nascere nuovi rapporti di amicizia e spesso si incontrano altri bisogni, oltre a quello alimentare, perché, per la maggior parte delle famiglie in difficoltà, il bisogno alimentare è conseguenza di una situazione fragile e precaria. L’aiuto dato è per sua natura temporaneo e la sua durata dipende dall’evolversi della situazione della famiglia assistita. Un dato sicuramente positivo è che negli ultimi 5 anni sono state diverse le famiglie che non hanno più avuto bisogno del “pacco”, perché hanno ripreso a camminare con le proprie forze. I generi alimentari raccolti affluiscono al deposito, presso la sede operativa dell’Associazione, qui vengono preparati i “pacchi”, tenendo conto delle caratteristiche e della composizione di ciascuna delle famiglie assistite. Il “pacco” viene portato alle famiglie dai volontari, con una cadenza quindicinale. Si va nelle case sempre in coppia, poiché così è più facile richiamarsi allo scopo del gesto caritativo e aiutarsi reciprocamente.
i sono diversi modi per sostenere l’Associazione ONLUS “La Luna – Banco di solidarietà di Busto Arsizio”: Volontari: partecipando al Banco di Solidarietà, portando personalmente il “pacco” alle famiglie assistite, oppure dando la disponibilità a svolgere altre attività presso la sede operativa di via Meucci 3 a Busto Arsizio. Progetto “Famiglie Solidali”. Progetto “Donacibo”. Donazioni: le donazioni fatte all’Associazione “La Luna” da aziende o privati, sono fiscalmente deducibili, nei limiti previsti dalla legislazione attuale. I versamenti possono essere effettuati sul seguente conto corrente intestato all’Associazione “La Luna – Banco di Solidarietà di Busto Arsizio”, presso Banca Prossima (gruppo Intesa San Paolo): Codice IBAN: IT06 A 03359 01600 100000012862. 5 per mille: destinando la quota del 5 per mille delle imposte sul reddito. Basta apporre la propria firma ed il codice fiscale dell’Associazione “La Luna – Banco di Solidarietà di Busto Arsizio” 90039080123, nel riquadro destinato al sostegno del volontariato che figura sui modelli di dichiarazione (CUD, 730 e Unico persone fisiche).
“Condividere i bisogni per condividere il senso della vita” www.bancolaluna.org
Associazione “La Luna - Banco di Solidarietà di Busto Arsizio” – Opera dedicata a Sergio Canciani Sede Legale: Via Rossini 9, 21052 Busto Arsizio Sede Operativa: via Meucci 3 – 21052 Busto Arsizio (VA) Registro Regionale Organizzazioni Volontariato N. VA249 – C.F. 90039080123 Tel.+393384898686 +393288371611 - +393387930751 - e-mail: laluna.bancodisolidarieta@gmail.com
In questo numero
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L’editoriale di Federico Corona
È ora di premere play
Sommario Emergenza radicalizzazione Nelle carceri si teme il fondamentalismo
Il futuro non si può arrestare di fronte al cancello del carcere pag. 4
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a anni ormai, la gestione della nostra vita è ben localizzata. È tutto nelle nostre mani. Basta tirare fuori lo smartphone e le soluzioni sono a portata di click. Identità, gestione delle proprie finanze, comunicazioni. Tutto quello per cui prima dovevamo investire tempo ed energie, oggi lo possiamo fare tranquillamente seduti sul divano di casa, ai tavolini di un bar o alla banchina di una metropolitana. Un centro di controllo tascabile che ha - impossibile sostenere il contrario – rivoluzionato le nostre vite, semplificandole. Col tempo anche i più nostalgici si sono dovuti ricredere, e dare al digital quello che è del digital: la forza del progresso, quello che volenti o nolenti, tutti abbiamo dovuto abbracciare, a costo di accettare l'idea poco filosofica di condurre un'esistenza alle dipendenze di aggeggi senz'anima, sacrificando parte di quel serbatoio umano che resta materiale prezioso ma funzionale solo in forma ridotta. Eppure c'è un luogo, quel solito, occulto luogo, dove l'upgrade non è mai arrivato, uno spaccato arcaico ai margini della società 2.0. Sì, il carcere. Da queste parti, solo a pronunciare la parola “progresso” potresti essere visto come un pazzo. Come se Steve Jobs avesse parlato dei suoi Mac ai monaci amanuensi. Un luogo dove ancora oggi, nel 2016, i residenti devono compilare le loro legittime richieste scrivendo su fogli bianchi che prendono il nome di “domandine”, che passano di mano in mano prima di raggiungere la scrivania di chi dovrà dare le rispostine. Un luogo dove la corrispondenza tra familiari e detenuti è ancora e unicamente epistolare, come fosse la cornice romantica de I dolori del giovane Werther, dove i cancelli si aprono solo con le chiavi – e di cancelli, in carcere, ce n'è uno ogni 10 metri – e i sistemi di sorveglianza sono rimasti fermi ai primi messi sul mercato. Insomma, un luogo dove il tempo ha schiacciato pausa circa 20 anni fa, senza più ripremere play. Sarà per questa totale impermeabilità all'evoluzione digitale che la circolare diffusa dal D.A.P lo scorso novembre è passata in sordina, nonostante al suo interno ci fosse un messaggio esplicito importante e uno implicito ancora più importante. Nella circolare sono state dettate le linee guida sull'utilizzo dei personal computer e della connessione internet per motivi di studio, formazione e aggiornamento professionale negli istituti penitenziari da parte dei detenuti, che potranno navigare su siti di una white list. Una conquista non da poco, considerato il
Contaminazioni I redattori incontrano il territorio
pagg. 6 e 7
Detenzione e tecnologia: temi compatibili? Social, Web, Skype e connessioni interrotte da riavviare
da pag. 10 a pag. 17
Azzardo: una piaga sociale Si muovono i comitati dei cittadini
pagg. 22 e 23
Busto Arsizio: le evoluzioni Carcere modello con percorsi di vero reinserimento
pagg. 28 e 29
Diritto & Rovescio
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Quanti sono i detenuti che attualmente, in Italia, si trovano in carcere per terrorismo islamico? Dall’Interno: “Emergenza radicalizzazione e timore di attentati”
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i sono 38 accusati di 270 bis nel sistema penitenziario italiano. Di questi, 18 sono ospitati nella struttura di Rossano (Cosenza), già definita "la Guantánamo d'Italia". Da alcuni giorni, e non è un caso, è arrivato l'esercito a presidiare l'area per il timore di attentati a seguito dei fatti di Bruxelles. Il ministro dell'Interno Alfano, nella conferenza stampa di fine anno, aveva parlato però di 259 arrestati nel 2015 "per fatti legati al terrorismo": in realtà quelli con l'accusa specifica sono stati solo 23 (e 5 sono usciti pochi giorni dopo essere entrati), i restanti sono indagati per reati di "contorno" quali immigrazione clandestina, rapina, spaccio, furti, anche se hanno avuto un qualche contatto con presunti gruppi terroristi. Contatti che, è l'allarme della Direzione nazionale antiterrorismo, avvengono spesso in cella.
Sono 400 i detenuti a rischio radicalizzazione Sono 400 i detenuti a rischio radicalizzazione. Non sono "dentro" per il 270 bis, ma hanno manifestato segnali di potenziale adesione al salafismo più estremo. Anche per questo il Dap ha firmato un protocollo con l'Unione delle comunità islamiche per selezionare imam "certificati" col compito di guidare la preghiera dei 7mila detenuti musulmani: "Perché su un diritto intoccabile come la preghiera - dicono dal Dap non ci possano essere equivoci". Di fronte ai dati delle scarcerazioni, il Ministro allarga le braccia: "Si apre un interrogativo: sono state le forze di poli-
zia ad aver svolto indagini superficiali, o è l'autorità giudiziaria ad aver usato un metro di misura più lassista?". Secondo i dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, lo scorso anno sono stati scarcerati 19 accusati di terrorismo. Ebbene, di questi 19 ben 10 sono fuori non perché hanno espiato la pena (vero solo in 3 casi) o gli sono stati concessi i domiciliari (5 casi), ma perché per legge non potevano più essere tenuti in prigione. In cinque casi, infatti, erano scaduti i termini della custodia cautelare: processo troppo lungo, il giudizio si attende in libertà. In altre quattro occasioni l'arresto è stato revocato, cioè l'accusa di terrorismo è franata davanti al tribunale del Riesame, perché evidentemente non era abbastanza solida. In un caso, infine, l'arresto non è stato convalidato dallo stesso giudice per le indagini preliminari. Dieci su diciannove sono stati liberati prima che un tribunale decidesse se si trattava di terroristi oppure di innocenti: o non dovevano uscire dal carcere, o non dovevano proprio entrarci.
Detenuti per il 270-bis
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elle 23 persone finite in carcere nel 2015 per 270 bis (l'articolo del codice penale che punisce chi si associa a gruppi terroristici nazionali o internazionali, oppure si offre come reclutatore) cinque sono uscite dopo poco. Avevano sbagliato le procure? O c'è un "baco" nei tribunali? È intorno a questa domanda che si sta muovendo in questi giorni di grande tensione il dibattito all'interno della stessa magistratura. Indagini superficiali o confusione nelle procure? Intanto nelle carceri è emergenza radicalizzazione. Hanno scarcerato persino "Hitler". Così infatti gli amici chiamavano il curdo iracheno Ibrahim Jamal: pericoloso jihadista per i carabinieri del Ros, vittima di un incredibile errore giudiziario secondo il pubblico ministero di Trento. Dopo che a novembre nome e soprannome di Jamal aveva-
Diritto & Rovescio
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no fatto il giro del mondo per definire l'uomo di punta del gruppo del mullah Krekar, predicatore che dalla Norvegia reclutava mujaheddin per Al Ansar al Islam, i magistrati hanno annullato l'arresto di "Hitler" e quello di altri 7, su 17 catturati nell'operazione che aveva sgominato "una pericolosa associazione terroristica" a Merano. Un caso, questo, che racconta il cortocircuito del sistema giudiziario italiano in materia di terrorismo: il 20 per cento degli arrestati nello scorso anno è già stato liberato.
La Procura Nazionale Antimafia: “Il pericolo Isis si annida nelle carceri”
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on solo le frontiere. Il pericolo Isis potrebbe essere più vicino di quanto si pensi e il nostro Paese non ha gli anticorpi per difendersi a dovere. A dirlo, nero su bianco, è stato il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, nell’ultima relazione sulle attività svolte dalla Dna. Dopo l’approvazione delle nuove norme antiterrorismo, infatti, la Direzione antimafia ha ottenuto la delega anche al coordinamento delle inchieste sul terrorismo. Ebbene, dal rapporto emerge un particolare non da poco: è innanzitutto nelle carceri che lo “Stato-mafia” (così la Dna definisce l’Isis) fa proselitismo. Ed è proprio qui che, purtroppo, si annidano incredibili e pericolose falle nel sistema. Secondo la relazione, infatti, “la maggioranza dei detenuti, ristretti per reati comuni, sono esposti al rischio di possibili attività di proselitismo”. Ed ecco il punto: per evitare il rischio del “radicalismo” nelle carceri, “appare opportuno investire innanzitutto nella formazione interculturale del personale della Polizia Penitenziaria e nell’apertu-
11 Imam per 5.781 islamici 391 ministri dei Testimoni di Geova per 31 fedeli 77 Buddhisti con 24 ministri di culto 20 fedeli della Chiesa Avventista hanno a disposizione 30 ministri di culto riconosciuti ra delle carceri a rieducatori di fede musulmana, adeguatamente preparati e moderati”. Il sistema carcerario italiano manca di ministri di culto islamici, col rischio che i detenuti cadano nella rete del proselitismo terroristico. I dati, raccolti dall’associazione Antigone, sono inverosimili: oggi nelle carceri italiane contiamo oltre 50mila detenuti. Di questi, ben 5.781 sono islamici (il secondo credo religioso praticato dopo quello cattolico). Ma gli imam riconosciuti sono troppo pochi: soltanto 11. In pratica, per ogni ministro di culto ci sono 525 fedeli da ascoltare e rassicurare. Per gli imam, infatti, secondo le denunce raccolte da Antigone, è difficile l’accesso nelle carceri “per motivi di sicurezza” e, soprattutto, per la mancanza di spazi ad hoc, a differenza invece dello spazio garantito ai sacerdoti: non c’è penitenziario che sia provvisto almeno di una cappella. La differenza tra Islam e Cattolicesimo, insom-
Italia: detenuti presenti al 31.03.2016
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Fonte: Dap
ma, è disarmante. E lo stesso vale anche per gli altri credo. Anche minori. Prendiamo i Testimoni di Geova. Nelle carceri ci sono 31 fedeli. E i ministri riconosciuti sono ben 391. In pratica ogni carcerato potrebbe ricevere la benedizione corale di 12 anziani (il corrispettivo dei sacerdoti nei Testimoni). Stesso discorso anche per i buddhisti (77 detenuti e 24 ministri di culto), per gli ortodossi dell’Est europeo (che possono contare su 34 sacerdoti) e per gli avventisti che, sebbene non siano nemmeno 20 in tutte le carceri italiane, possono avvalersi della lieta novella dei loro 30 ministri a disposizione. Che dire, ancora, dei fedeli dell’Assemblea di Dio: altri 46 sacerdoti riconosciuti dal Dipartimento Penitenziario. Insomma, una differenza che salta all’occhio. E che potrebbe essere molto pericolosa. Claudio Bottan
Detenuti stranieri: 17.920 Numero istituti: 193 Persone in detenzione domiciliare: 10.025
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Contaminazioni
Redattori in viaggio, liberi di scegliere il percorso VoceLibera si racconta all’Università di Bergamo. Esperienze ed emozioni a confronto “Non sprechiamo la sofferenza”. Ci eravamo lasciati con queste parole del prof. Lizzola a conclusione dell’incontro che si era tenuto in carcere, a Busto Arsizio, lo scorso mese di Febbraio. Le parole, lo sappiamo, sono un’arma affilata che a volte lascia il segno. Ci avevano incuriosito quegli studenti universitari che erano venuti a trovarci in galera; ci erano sembrati consapevoli dell’impegno che si erano assunti decidendo di far parte del gruppo “Riconciliazione e giustizia riparativa” coordinato dal Prof. Ivo Lizzola, ordinario di pedagogia della marginalità all’Università di Bergamo. Non una passeggiata, quindi, ma la disponibilità ad incontrare il dolore in ogni sua sfumatura, ascoltando vittime e carnefici, cercando nei loro occhi il senso della vita. Mettere a confronto vittima e carnefice richiede grande preparazione e predisposizione umana, bisogna innanzitutto annullare i benché minimi pregiudizi, essere coscienti che non tutti sono pronti e capaci di perdonare, come non tutti sono capaci e pronti a chiedere perdono. Si sono citati nel corso dell'incontro vari esempi e fatti che hanno dimostrato che cambiare si può; gli autori e le vittime del reato che si incontrano nel dialogo e nella sofferenza reciproca, creando un ponte capace di alleviare l'odio e la vendetta di chi è stato colpito e, a sua volta, in grado di dare una possibilità di riscatto e di reinserimento sociale a chi ha commesso il reato. Il ravvedimento del reo può portare alla luce persone all'apparenza spente, finite e senza nessun futuro; ma possono trasformarsi in uomini capaci di costruire un futuro più solido e di dare il loro contributo alla collettività, che però si mettono in gioco soltanto se coadiuvati da un percorso di vero recupero che il carcere, fine a se stesso, non è capace di offrire. Li abbiamo cercati ancora, e questa volta abbiamo ricambiato la visita andando a trovarli all’Università di Bergamo, Facoltà di Scienze dell’educazione. Grande fibrillazione nei giorni che precedevano l’incontro: si trattava di uscire dal carcere –per qualcuno dopo tanti anni-, sprecando un permesso premio che poteva essere trascorso in famiglia, per andare ad incontrare dei giovani studenti. Ci stavamo infilando nella tana del lupo, dove vengono educati gli educatori, e ci sentivamo un po’ fuori luogo. Cosa avremmo potuto
Ivo Lizzola do cente di Pedago gia So ciale e Pedagogia della Marginalità all’Università degli Studi di Bergamo. Si occupa da anni di relazioni tra le generazioni, delle condizioni di difficoltà esistenziali e delle relazioni di cura e autore di diverse pubblicazioni tra cui: “La paternità oggi, tra fragilità e testimonianza” (2014), “Incerti legami. Orizzonti di convivenza tra uomini e donne vulnerabili” (2014), “Di generazione in generazione – l’esperienza educativa tra consegna e nuovo inizio” (2013).
“Succede che un individuo riconosca solo in carcere la propria vittima. Accade allo spacciatore che deve per la prima volta vede un ragazzo in preda gli effetti devastanti di una crisi di astinenza” raccontare noi galeotti agli studenti universitari? <<Niente preparativi>>, avevo risposto sicuro in redazione a quelli che mi chiedevano di scrivere alcune domande, un documento, una relazione da leggere. <<Andiamo a braccio>>. In realtà non avrei saputo da che parte iniziare a scrivere, ero molto incuriosito da quel gruppo di universitari. Un manipolo di sfigati, una via di mezzo fra i boy scout, i chierichetti e i volontari della parrocchia di Don Silvano, stando a radiocarcere. Lungo l’autostrada, in macchina, saliva la tensione mentre cercavo di tenere a bada i pensieri che mi frullavano per la testa: “Cosa raccontiamo e, soprattutto, che aspettative avranno nei nostri riguardi?”. Durante l’incontro in carcere non c’era stato molto spazio per il dialogo; ci siamo dovuti adeguare ai tempi della prigione, scanditi dal vitto e dall’ora d’aria, anche se
avremmo voluto che durasse più a lungo. Quindi erano rimaste in gola molte domande, tante cose da dire, bloccate anche dal pudore verso i compagni detenuti. All’ateneo è stato tutto diverso. Anche le pizze che abbiamo spartito con i ragazzi, come se fossimo a casa, come se ci conoscessimo da sempre. È scattata subito l’empatia, la voglia di raccontarsi che covava da troppo tempo. Il bisogno di trasmettere un messaggio positivo, raccontando come si può sterzare e rimettersi in carreggiata anche in carcere. Partecipando all’incontro periodico dei tre gruppi di lavoro che si occupano di carcere, abbiamo ascoltato le parole degli studenti descrivere sensazioni, stati d’animo, stupore e conquiste: il risultato della loro frequentazione del carcere di Brescia, di San Vittore e del Beccaria di Milano. Il discorso ufficiale da leggere sarebbe stato fuori luogo. Quando è toccato a me, ho
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voluto lanciare una provocazione: <<Ragazzi, ho l’impressione che siate troppo infarciti di buonismo. Noi delinquenti siamo molto più cattivi, critici, cinici, quasi spietati con la categoria di cui momentaneamente facciamo parte>>. Non sono sicuro che mi abbiano creduto, ma il mio era solo un affettuoso tentativo per proteggerli rispetto all’ipocrisia che troveranno sul loro cammino. Le parole scorrevano in modo naturale, senza fretta, e il silenzio dell’ascolto rendeva inutile il microfono che avevo di fronte. È solo l’inizio, ci rivedremo. Una cosa è certa: vorrei che i miei nipoti incrociassero sulla loro strada educatori, insegnanti e assistenti impastati della passione che contraddistingue gli studenti che abbiamo incontrato a Bergamo. Il chiostro nel cortile della Facoltà
Banco La Luna: il volontariato porta a porta Il banco di solidarietà assiste le famiglie del territorio nei bisogni primari Cosa possiamo far e insieme? È concreto Luigi, mentre ci racconta del Banco La Luna, e ha fretta perché deve correre al magazzino dove è in corso la preparazione dei pacchi da distribuire. <<Seguiamo oltre 130 famiglie del territorio con l’aiuto di circa 200 volontari, andiamo a casa della gente perché solo così si può far sentire la vicinanza fraterna. Ma anche per evitare alle persone, che già vivono una condizione di disagio, l’ulteriore umiliazione del mettersi in fila alla nostra porta in attesa del pacco periodico. Gli italiani in difficoltà sono in costante aumento, ed ogni storia è la fotocopia di altre decine di casi simili. Generalmente la discesa verso l’inferno inizia con la perdita del posto di lavoro; dapprima saltano le rate del mutuo o l’affitto di casa, poi è la volta delle utenze, non si riescono più ad acquistare le medicine e ad affrontare le cure mediche. Quando interveniamo noi significa che si è raggiunto l’ultimo girone, vuol dire che manca anche il pane quotidiano, e da quel momento anche la dignità è perduta>>. È questa la fase in cui normalmente interveniamo su segnalazione di parrocchie e assistenti sociali, cercando di portare nelle case non solo il pacco periodico di alimenti, ma soprattutto la vicinanza, la parola di incoraggiamento. Il nostro è un tendere la mano per aiutare chi si trova in condizione di disagio a risollevarsi, a trovare la forza per credere ancora in un futuro migliore. E spesso i nostri assistiti
diventano a loro volta volontari, perché scatta in loro la voglia di rendersi ancora utili al prossimo. Come reperite gli alimenti? Le forme di approvvigionamento degli alimenti sono diverse. Innanzitutto è stata attivata una Convenzione con la “Fondazione Banco Alimentare”, che fornisce mensilmente una parte dei generi alimentari da consegnare alle famiglie assistite. Esistono poi altre forme di approvvigionamento: dalle “Famiglie Solidali”, che mensilmente si impegnano a fare la spesa per il Banco di Solidarietà, ad altre iniziative che si svolgono durante l’anno e che vedono coinvolte scuole, parrocchie, associazioni o singoli privati. Come si può aiutare il Banco? È semplice: Volontari: par tecipando al Banco di Solidarietà, portando personalmente il “pacco” alle famiglie assistite, oppure dando la disponibilità a svolgere altre attività presso la sede operativa. Progetto “Famiglie Solidali”: diventando famiglia solidale e impegnandosi a fare la spesa per Banco di Solidarietà. Il primo sabato di ogni mese viene consegnato a domicilio un contenitore da riempire durante il mese con cibo acquistato tra un elenco di alimenti suggeriti. E’ richiesto di
garantire un impegno per almeno un anno, così da consentire di programmare le attività in maniera stabile. Progetto “Donacibo: promuovendo o partecipando alla campagna di raccolta di cibo nelle scuole, che si svolge ogni anno, nella terza settimana di Quaresima. Il gesto proposto dalla “Federazione Italiana Banchi di Solidarietà” è rivolto a studenti ed insegnanti di asili, scuole elementari, medie e superiori di tutt’Italia. Gli alimenti non deperibili raccolti, sono a disposizione del più vicino “Banco di Solidarietà” per il sostegno delle famiglie assistite durante tutto l’anno. L'Associazione onlus La Luna organizza già da alcuni anni la raccolta di cibo non deperibile presso le scuole cittadine: l'iniziativa ha avuto inizio nel 2011 con la partecipazione di due scuole ed è cresciuta negli anni successivi fino a coinvolgere 30 istituti nel 2015, con l'adesione di oltre 8.000 alunni. L’iniziativa fa seguito anche all’adesione alla Carta di Milano da parte del Consiglio Comunale che con una delibera dello scorso ottobre, si è impegnato a sostenere e a dare effettivo riconoscimento al fondamentale diritto al cibo e alla nutrizione. Come si ricorderà, la Carta di Milano, eredità culturale di Expo Milano 2015 afferma, tra l’altro, che tutti hanno diritto ad accedere a una quantità sufficiente di cibo sicuro, sano e nutriente. Al centro della Carta di Milano c’è inoltre il tema della responsabilità, individuale e
Contaminazioni “Allora: dalle rapine in banca al Banco Solidale, che ne pensi del titolo?” collettiva, esplicata in impegni concreti e strutturati da parte dei cittadini, con le loro azioni quotidiane, delle associazioni, che raccolgono e diffondono le esigenze e le necessità della società civile, delle imprese, cuore produttivo dell’economia, dei governi e delle istituzioni, che devono dare gli indirizzi politici per il cambiamento. Quest’anno la raccolta di generi alimentari non deperibili si è svolta in 51 scuole di Busto, Olgiate Olona, Castellanza e zone limitrofe. In particolare, a Busto Arsizio hanno aderito 30 scuole, tra cui 7 materne e nidi, 12 primarie, 7 medie e 4 istituti superiori. Sono stati raccolti complessivamente oltre 9.000 Kg. di alimenti, in particolare nelle scuole di Busto si è superata la soglia di 5.300 Kg., con un incremento di oltre 500 Kg. rispetto alla passata edizione. Il cibo donato sarà distribuito dall’Associazione “La Luna”, durante tutto l’anno, a circa 130 famiglie in situazioni di particolare bisogno, attraverso i propri volontari che si recano direttamente al domicilio delle persone assistite.
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certi che non ci viene rubato l’orologio. Claudio Bottan
130 Famiglie 200 volontari 9.000 Kg di alimenti raccolti nelle 51 scuole del territorio con il progetto Donacibo
In carcere si vive una condizione di sofferenza e privazione, ma si sperimenta anche la solidarietà. In che modo potrebbero contribuire i detenuti? Si tratta di condizioni di disagio, sofferenza e privazioni inimmaginabili. Ma chi si trova in carcere non può dimenticare che fuori è altrettanto dura. Credo che andrebbero sensibilizzate le persone detenute sull’importanza del cibo, raccontando le difficoltà che vivono le famiglie all’esterno, incluse le loro. Sono molte, infatti, le famiglie di detenuti o ex detenuti che ci vengono segnalate per l’aiuto che possiamo dare. Occorre avere consapevolezza che la mancanza del cibo è una condizione di povertà assoluta, e ognuno può rivestire un ruolo importante nel sostegno reciproco alle situazioni di disagio. E poi, cosa più importante, le nostre porte sono sempre aperte per accogliere chiunque avesse il desiderio di darci una mano, e credo che per coloro che hanno vissuto l’esperienza del carcere potrebbe essere una forma di partecipazione ad attività solidali molto gratificante.
Nessuna preclusione? Assolutamente no. Sappiamo che si può cadere e siamo pronti a tendere la mano,
Volontari all’opera nella sede del Banco La Luna di Busto Arsizio
Bastarda la galera Segnali di fumo telematici dalle carceri italiane Internet, videochiamate e nuove tecnologie in arrivo
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detenuti delle carceri italiane potranno utilizzare i Pc in cella e connettersi a Internet per motivi di studio, per la formazione e l'aggiornamento professionale. Potranno anche utilizzare Skype per rimanere in contatto con i familiari. A stabilirlo è una circolare del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che introduce innovazioni nell'utilizzo dei personal computer, disciplinando l'utilizzo delle tecnologie informatiche “a sostegno dei percorsi rieducativi dei singoli detenuti, e per ampliare le potenzialità dei progetti trattamentali attivati in collaborazione con il mondo dell'imprenditoria, del privato sociale e con gli Enti Locali”. Nel quadro di nuove sperimentazioni, fa il suo ingresso in carcere la Rete Internet, da sempre bandita per motivi di sicurezza. Il Ministero della Giustizia, infatti, ha ritenuto di incentivare l’utilizzo dei computer da parte dei detenuti non solo per un utilizzo in video scrittura o grafica (come già avveniva fin dagli anni ’90) ma anche per collegarsi alla rete internet per motivi di studio, formazione ed aggiornamento professionale. Non può non cogliersi l’importanza di tale “apertura” anche se l’uso potrà avvenire solo in postazioni situate in locali prestabiliti (ad esempio biblioteche, aule, etc.) con accesso limitato alle white list di siti selezionati ed autorizzati dal ministero. Fatta strada ad internet, si è ritenuto di poter sfruttare anche l’applicazione Skype per facilitare i colloqui con i familiari, lontani dalla sede detentiva o impossibilitati a viaggiare. In realtà lo spirito del legislatore è quello di consentire al nucleo familiare del detenuto di vivere ore di socialità domestica con la moglie e i figli, di ricreare il salotto di casa, di vivere tranquillamente anche momenti di intimità. Insomma, colloqui ben diversi dal trambusto di una affollata e tradizionale sala colloquio. Sul tema dell’affettività, alcuni parlamentari si sono collegati via Skype con i detenuti del carcere di Padova e con i loro familiari, ricevendo spunti positivi per portare avanti la proposta di legge, deducendone (ma ci voleva questo collegamento per saperlo?) che “l’uomo assume atteggiamenti positivi quando vive bene le relazioni sociali”. La circolare consente la possibilità di tenere personal computer nelle camere di pernottamento e nelle sale destinate alle attività comuni. L’accesso a Internet, secondo le nuove norme, sarà possibile soltanto dalle postazioni nelle sale dove si svolgono i progetti di reinserimento dei detenuti, come ad esempio le biblioteche. La configurazione delle postazioni e la predisposizione delle politiche di sicurezza saranno curate a livello centrale, mentre le limitazioni poste all'infrastruttura di rete consentiranno di instradare il singolo utente esclusivamente verso i siti (white list) per i quali è stato autorizzato. Il provvedimento, spiega Santi Consolo, capo del diparti-
Connessioni interrotte tra detenuti e “social”
mento dell'amministrazione penitenziaria, "garantisce alla popolazione detenuta l'utilizzo delle tecnologie informatiche nel pieno rispetto delle esigenze della sicurezza. Si tratta, infatti, di un autentico progetto di inclusione sociale che passa anche attraverso la conoscenza e l'utilizzo della tecnologia da parte dei detenuti; soprattutto per quelle persone che provengono da situazioni di marginalizzazione e che, proprio in carcere, potranno avere la possibilità di sperimentare nuove tecniche di apprendimento, di studio e di formazione. Significativi sono i campi applicativi quali, a titolo esemplificativo, l'apprendimento delle lingue, la scrittura di testi di narrativa, le attività che impegnano molti detenuti anche al di fuori dei percorsi scolastici, con risultati importanti sotto il profilo della crescita personale. L'obiettivo ambizioso è quello di estendere tali possibilità a tutti i detenuti anche per conseguire titoli di studio e abilitazioni professionali". Per ottenere i computer da destinare alle carceri il capo del dipartimento ha avviato una collaborazione con Poste Italiane e Fondazione "Poste Insieme Onlus". I due provvedimenti, già attuativi con la circolare del 2 novembre 2015, consentiranno ai detenuti di “….sperimentare nuove tecniche di apprendimento, studio e formazione…”.
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Il Ministro della Giustizia Andrea Orlando a Strasburgo: “Bisogna offrire la possibilità di verificare con un click per ogni istituto penitenziario, quali siano le condizioni, i posti reali, il numero di detenuti, le regole per l’accesso dei familiari, i progetti di lavoro e formazione e la possibilità di seguire corsi di studio».
Noi: da carta, penna e calamaio alla scrittura digitale
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l Carcere è per sua natura un luogo chiuso, in cui i rapporti con l'esterno tendono ad essere rigidi e definiti. Di norma, infatti, niente può uscire e entrare dal carcere senza il benestare della direzione e, se è possibile controllare le lettere scritte dai detenuti, non si può esercitare la stessa sorveglianza sull' e-mail o sulle conversazioni on-line. La rigidità di questo divieto si sta lentamente stemperando sia in Italia che all'estero Mandare un messaggio capace di arrivare nelle case di tutti con un semplice clic. Sono loro, i detenuti, che curano grafica e contenuti di questi veri e propri giornali on line. Che ai siti professionali, non hanno nulla da invidiare. Ed è strano pensare che a mettere in piedi un sito Internet sia proprio chi Internet non lo può usare. Perché in carcere la linea telefonica è vietata: e senza linea telefonica, niente collegamento in Rete. Così i detenuti lavorano "al buio", scrivendo al computer i loro articoli, disegnando vignette, pensando all'architettura del sito, senza conoscerne il risultato. Qualcuno penserà poi a portare fuori il loro lavoro e inserirlo on line una volta a settimana. In VoceLibera è stata vissuta come una conquista l’autorizzazione a far entrare un semplice dispositivo Usb per l’archiviazione dei dati. La chiavetta consente ai collaboratori esterni di portare in carcere la rassegna stampa periodica, le immagini, le statistiche e tutto ciò che occorre per impaginare il mensile. Certo, basterebbe una rete intranet per lavorare in tempo reale, condividendo gli stati d’avanzamento dell’edizione. Ma i redattori reclusi, abituati alle sfide quotidiane per la sopravvivenza, hanno imparato ad accontentarsi e a compensare ogni difficoltà tecnica con la creatività e la fantasia.
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Prigione 2.0- Carcere e tecnologia sono compatibili? Ne abbiamo parlato con Mario Moroni, Ceo e founder di OkNetwork
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a startup digitale OkNetwork è stata fondata a Gennaio 2013 con lo scopo di unire il mondo del digitale con il mondo dell’intrattenimento. È specializzata in realizzazione e mantenimento di progetti digitali, ecommerce e social media per le imprese. All’interno del progetto c’è anche un’emittente digitale di radiovisione, un giornale locale e un’accademia formativa su tematiche digitali. Mario Moroni, lei lavora principalmente con uno staff di giovani e un approccio digital alla comunicazione. L’accesso ai social è paragonabile ad una patologia con il bisogno continuo di avere informazioni, di rimanere connessi. Non vede eccessi e rischi? Oggi i social sono necessari per quasi la totalità delle attività lavorative, sociali e di informazione. Purtroppo però non dovrebbero essere necessari per avere una vita reale all’esterno del digitale. Talvolta, grazie all’errato utilizzo che ne facciamo, queste tecnologie hanno il potere di risucchiare le nostre energie. Viene infatti studiato da tempo l’effetto FOMO, che sta per fear of missing out, in sintesi la paura di perdersi qualcosa di importante mentre si è offline. Siamo sempre in attesa di ricevere una mail, o di una notifica social, che ci “cambierà per sempre la vita” e abbiamo perennemente necessità di controllare, in attesa di quel like in più che possa cambiarci la giornata. Dobbiamo ricordarci però che quello che pubblichiamo online rimarrà per sempre in Rete, anche se lo cancelliamo, e che il tempo che dedichiamo alle interazioni online è tolto in qualche maniera alla vita reale, per sempre. Il mio consiglio è quello di suddividere il tempo in reparti chiusi, un tempo per il lavoro, un tempo per il digitale e spegnere il cellulare a cena e a pranzo L’amministrazione penitenziaria è in procinto di autorizzare l’utilizzo di internet in carcere. In che modo si possono utilizzare connessioni “protette”? Per connessioni protette oggi ci riferiamo a tutti quei punti di contatto con l’esterno che hanno un filtro di qualità. Per internet non consideriamo soltanto web o navigazione da mobile ma anche social media, programmi di messaggisti-
E’ giunto il momento di passare da chiavi e sbarre alla Smart Prison ca e chat. Credo che le connessioni “protette” possano diventare un reale strumento di salvaguardia dei costi, vedi lettere e francobolli, e per il controllo reale, attraverso algoritmi e azioni manuali, della comunicazione da e verso il carcere. Alcuni giovani detenuti potrebbero trovare una collocazione nel mondo del lavoro se imparassero ad utilizzare i social, il web, la scrittura digitale? Non c’è il rischio che rimanendo scollegati dal mondo reale per anni, al momento dell’uscita dal carcere siano emarginati a causa del gap che si è creato? Assolutamente si, il rischio di rimanere distaccati da un vero e proprio avanzamento tecnologico è un problema reale. Nel recente passato ho tenuto alcuni incontri formativi anche in carcere su questo argomento. Un tema che non è soltanto legato al carcere ma riguarda anche chi deve affrontare lunghe degenze in ospedale, soggetti che non hanno accesso alla rete per un lungo periodo. Chi si trova ad affrontare in carcere una pena dovrebbe, ad un certo punto del proprio percorso, poter “ricollegarsi” anche in maniera parziale alla rete. Ma-
gari utilizzando collegamenti protetti o limitati. Uno degli esempi potrebbe essere l’utilizzo della mail personale, se necessario controllata e filtrata, per poter comunicare con i propri familiari o amici più stretti. In caso contrario all’uscita dal percorso carcerario, l’ex detenuto si troverebbe ad essere catapultato in un mondo lavorativo e di relazioni completamente sconosciuto nel modo di comunicare e di rapportarsi dal punto di vista sociale. Basti pensare alla compilazione e spedizione del curriculum, che sarà inevitabilmente il primo approccio con il mondo lavorativo: difficilmente sarà scritto a mano, fotocopiato e consegnato porta a porta. Ma anche ipotizzando un’occupazione come magazziniere, il candidato dovrà avere una conoscenza di base delle principali applicazioni software.
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l nuovo giunto passa al ricevimento. Poggia la mano sullo scanner che rileva le impronte digitali, fissa l’obiettivo della telecamera che lo fotografa e contemporaneamente rileva biometria e iride. Contestualmente il suo fascicolo personale è condiviso con l’equipe trattamentale. Qualche minuto ed è immatricolato e dotato di un braccialetto al polso a tecnologia Rfid. Nel frattempo, la sua tessera sanitaria è stata
Open Prison Proviamo ad immaginare come potrebbe essere, partendo da tecnologie disponibili passata nel lettore che in tempo reale apre la cartella clinica in area sanitaria conpleta della storia medica del soggetto. Il passaggio successivo è attraverso un total body scanner che rileverà la presenza di qualsiasi oggetto o sostanza non consentita. Da questo momento il detenuto– e non sono passati più di 20 minuti– alla presenza di due operatori, potrà recarsi alla cella assegnata seguendo il percorso autorizzato che è stato preimpostato nel dispositivo che ha al polso. La porta del corridoio si apre fissando lo sguardo nell’apposito monitor a rilevamento biometrico e una volta giunto davanti alla cella assegnata gli basterà poggiare l’indice sul lettore di impronte per aprirla. Il monitor presente alla parete della cella indica il programma del giorno successivo: ore 10 visita medica, ore 11 colloquio educatori, ore 12 in mensa per il pranzo (che sceglierà dal touch screen), ore 14 ufficio tecnico per il ritiro di telefono e e-book reader e abilitazione alla rete wi-fi intranet, dalle 15 alle 18 attività comuni, 18,30 mensa per la cena, 20 chiusura celle Sfiorando il braccialetto sul rilevatore contact less di uno dei totem presenti nel corridoio della sezione, l’ospite può accedere a tutte le informazioni presenti nella sua cartella personale: posizione giuridica e fascicolo processuale tradotto nelle varie lingue, cartella sanitaria,
estratto conto, lista dei generi ordinabili con relativi prezzi e disponibilità-data prevista di consegna, potrà inoltre consultare le Faq, compilare form di richieste per colloqui con educatori, medici, volontari e avvocati. Estrarre file da inviare all’avvocato attraverso posta elettronica certificata e chattare con la fidanzata. La tecnologia avanza e porterà i detenuti ad essere monitorati con dispositivi audio e video sempre più elaborati, i detenuti del futuro avranno ancora meno interazione da uomo a uomo. Si prevede che il problema sovraffollamento cambierà il modo in cui i prigionieri vengono puniti: più segregazione e isolamento per i criminali violenti e meno delinquenti non violenti in prigione. Ma anche telemedicina, telelavoro, e-
Lo staff di OkNetwork
learning, musica, e-book e contatti con il mondo reale. Tecnologia che non deve spaventare nessuno, ma senza abusi. Claudio Bottan
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Tripadvisor della prigione e feedback degli utenti Sono pochi gli istituti di pena dotati di un sito internet. In nessun caso è possibile lasciare recensioni. Chi ha paura della rete?
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n Italia, come in molti altri Paesi del mondo, chi vive in prigione deve fare i conti con problemi di spazio, cibo scadente e igiene ai minimi termini. Corpi ammassati e violazioni all’ordine del giorno, che spesso non trovano spazio adeguato sui mezzi di comunicazione. Negli Stati Uniti è attiva una piattaforma online dove è possibile pubblicare recensioni degli istituti penitenziari. Il sito di riferimento è Yelp. Si possono trovare commenti sulla pulizia delle celle, sulla quantità e qualità del cibo, su eventuali problemi riguardo la sicurezza o maltrattamenti da parte delle guardie delle carceri americane. «Tutto ciò che permette di aumentare la consapevolezza pubblica sulle condizioni dei detenuti nelle prigioni statunitensi è un buon segno», secondo un membro di A merican civil liberties union, associazione per i diritti civili, l’equivalente della nostra Antigone. È uno strumento molto prezioso. Aiuta a rendere trasparente un sistema che non lo è affatto e la prigione in rete ha anche un funzione deterrente verso tutti coloro che pensano che si tratti di ozio, televisione e poker. In Italia la fonte istituzionale dei dati statistici sugli istituti di pena è il Ministero della Giustizia attraverso il sito www.giustizia.it. Tuttavia molte associazioni sollevano dubbi sul metodo di esposizione dei dati, che lascia spazio ad interpretazioni elastiche. Nonostante sia stato più volte sollecitato, il Ministero non ha mai reso disponibili dati disaggregati per singolo istituto in quanto a capienza effettiva, presenze, celle o sezioni momentaneamente chiuse. Siamo perciò ben lontani dall’ipotesi di un’auspicabile interazione trasparente. Eppure, è dimostrato, la partecipazione della Rete ai processi di cambiamento diventa indispensabile: condivisione di buone pratiche, suggerimenti, ma anche critiche, tutto contribuisce a migliorare condizioni di vita ed efficienza. E la prigione non può sottrarsi al processo di cambiamento in atto.
Dove viene applicata la tecnologia un altro mondo la Contea di Chippewa, nel Wisconsin, un bellissimo Stato del Nord America circondato dai grandi laghi. Qui una realtà relativamente piccola ha introdotto un grande cambiamento : amici e familiari dei detenuti possono visitarli da casa, ma faccia a faccia, usando Internet e un sistema di comunicazione della Securus Technologies, molto simile a Skype. Basta disporre di una webcam e di una connessione di decente qualità. Non sarà gratis, però. Il pragmatismo statunitense, nonché i modelli di amministrazione degli istituti di detenzione, hanno convinto a tassare le visite virtuali: un dollaro al minuto, per un collegamento minimo di 20 minuti. E dunque, che parliate due minuti o sette, il prezzo sarà di 20 dollari, e se volete raddoppiare dovete prepararvi a sborsare 40 dollari. Un sistema di tariffazione non dissimile a quello applicato in tanti punti internet a pagamento. In Europa il tema sarebbe trattato diversamente, ma lo sceriffo di Chippewa, Jim Kowalczyk, taglio alla marine su un
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viso rassicurante, la spiega banalmente così: La Contea ha già pagato 2.000 dollari per il nuovo sistema, mentre Securus ne ha messi circa 100 mila. L’azienda può così recuperare il suo investimento. Resta inteso che le persone che visitano il carcere di persona, durante il normale orario di visita il martedì e il sabato, non pagheranno una tassa. Come in passato, i visitatori potranno sedersi a un terminale al primo piano del carcere e parlare al video con i detenuti al secondo o terzo piano. Chi si collega deve sottoscrivere una serie di obblighi e sa che le conversazioni saranno tutte registrate. Tra gli obblighi c’è anche il divieto di mostrare nudità. Una clausola che restituisce, d’un colpo, tutta la tristezza della situazione, e la solitudine affettiva e sessuale in cui vivono i detenuti.
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Social network e pena sono compatibili, oppure ci vuole l’isolamento virtuale? Tra divieto di comunicare e risocializzazione
G Un sorriso di troppo E via alla lapidazione virtuale
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a sfrontata allegrezza della giovane rumena che posta su Facebook foto che la ritraggono in spensierata leggerezza al mare è un affronto per i genitori di Vanessa. È una questione di buon gusto. Mentre per i naviganti l’affronto è semplicemente vederla viva. Ma non giustifica la rabbiosa reazione sui social network di quanti si sono scatenati con insulti, invocando la pena di morte. Non si tratta di difendere gli assassini, ma una società civile dà a tutti una possibilità di redimersi. <<Le pene devono tendere alla rieducazione>>, recita la Costituzione. E poi non si possono avere due pesi e due misure: nell’ottobre del 2010, un pugile, Alessio Burtone, per una banale discussione con un tremendo pugno uccise un’infermiera rumena. Condannato a otto anni di carcere, a quattro anni e tre mesi dall’omicidio è tornato in libertà. Che ne dice la Rete? La tentazione di scattare selfie e postarli in rete, sicuramente non è un reato e forse nemmeno una violazione delle disposizioni contenute nel provvedimento che concedeva alla rumena la possibilità di lavorare durante il giorno, occupandosi delle pulizie in una pizzeria del Lido di Venezia. La questione è fuori dalle aule giudiziarie e riguarda l’educazione, non la rieducazione. È un fatto di rispetto verso le vittime del reato, che impone l’obbligo di muoversi in punta di piedi. Probabilmente Doina Matei, dopo essersi vista richiudere le porte del carcere, avrà una nuova opportunità. Il presidente del tribunale di Sorveglianza di Venezia, Pavarin, chiamato a decidere sulla revoca della misura alternativa è noto e stimato per equilibrio e pragmatismo che a volte gli sono valsi le critiche di quella parte di opinione pubblica più forcaiola.
ià nel 2010 la Corte di Cassazione si è espressa sull’uso di Facebook da parte di persone agli arresti domiciliari. Il tema è più che mai attuale, dal momento che a un simile regime potrebbe essere destinato il leader di una delle principali forze politiche in Italia, in tempi in cui la battaglia tra partiti e leader si svolge sempre più a colpi di blog e tweet. La sentenza , allora, così fu motivata: “La moderna tecnologia consente oggi un agevole scambio di informazioni anche con mezzi diversi dalla parola, tramite web e anche tale trasmissione di informazioni deve ritenersi ricompresa nel concetto di comunicazione, pur se non espressamente vietata dal giudice, dovendo ritenersi previsto nel generico ‘divieto di comunicare’ il divieto non solo di parlare direttamente, ma anche di comunicare attraverso altri strumenti, compresi quelli informatici, sia in forma verbale che scritta o con qualsiasi altra modalità che ponga in contatto l’indagato con terzi”.
In gabbia non si cinguetta Insomma, niente Facebook, Twitter e persino Instagram. Le videochat a circuito chiuso di Chippewa, però, sono tutta un’altra cosa. In un Paese che è tutt’altra cosa. Nelle prigioni degli Stati Uniti capita che molti detenuti ottengano di nascosto telefoni cellulari per comunicare con l’esterno: a volte li usano semplicemente per mantenere i contatti con i propri familiari, spesso però li utilizzano per organizzare le attività criminali dall’in-
terno del carcere. I direttori di alcuni penitenziari hanno deciso di far schermare le celle e ora una nuova proposta di legge, presentata nella Carolina del Sud, potrebbe rendere illegale la pratica dell’aggiornamento dei profili di Facebook dal carcere tramite telefono cellulare. La proposta è stata presentata dal depu-
tato democratico Wendell Gilliard, convinto che grazie al nuovo divieto potrebbero diminuire i casi di carcerati che gestiscono attività criminali durante la prigionia o che inviano minacce alle vittime che li hanno fatti arrestare e condannare. La nuova norma farebbe aumentare automaticamente di trenta giorni la pena detentiva per chi utilizza i social network attraverso i cellulari, che nelle carceri sono vietati. La legge propone anche di istituire un divieto per la pubblicazione di pagine a sostegno dei detenuti da parte di altre persone. Questo passaggio della proposta, dicono gli esperti, difficilmente sarà applicato perché è in contrasto con il diritto alla libertà di parola garantito dalle leggi statunitensi.
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La tecnologia apre una breccia nelle mura del carcere L’accesso ad un servizio di telecomunicazione collaudato aumenta la sicurezza generale e migliora il comportamento dei detenuti
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l primo telefono pubblico è stato installato in una banca di Hartford, nel Connecticut nel 1889; il primo telefono pubblico in un carcere è stato probabilmente installato non molto tempo dopo. Ironia della sorte, lo stesso dispositivo, certamente dotato di sofisticati controlli di back-end, è ancora in uso nelle prigioni in tutto il mondo dopo 127 anni. Ma quando è stata l'ultima volta che qualcuno di noi ha utilizzato un telefono pubblico? E la ragione è semplice: il telefonino, che magnificamente il italiano si dice anche “cellulare” come il mezzo per il trasporto dei detenuti. I telefoni cellulari di contrabbando sono un problema significativo nelle prigioni di tutto il mondo. Un dato ufficiale, anche se non recente, parla di oltre 15.000 apparecchi confiscati nella sola California nel 2012. Non vi è dubbio che l'utilizzo di telefoni cellulari senza restrizioni in carcere è un grave rischio per la sicurezza in quanto spesso l’uso è per attività criminale, tuttavia è stato dimostrato che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di detenuti che cercano una più frequente interazione e accessibilità ai contatti con la famiglia e le persone care. Interazione che ora è fortemente condizionata dal numero limitato di telefonate e colloqui consentiti Quindi i telefoni cellulari di contrabbando sono un problema di domanda e offerta. Tuttavia, come il problema del traffico di droga, senza affrontare le cause della domanda, il problema non sarà mai risolto. Statistiche ufficiali fanno emergere un aumento del numero di telefoni cellulari introdotti illegalmente nelle prigioni, dispositivi utilizzati dai detenuti per contattare le persone al di fuori del carcere. Alcune di queste chiamate hanno permesso ai detenuti di commettere atti illegali, come contattare altre persone per organizzare crimini, minacciare e beffare le famiglie delle loro vittime. In molte carceri, i telefoni cellulari sono diventati un contrabbando più prezioso delle droghe. Secondo un recente articolo della rivista Time, durante un'operazione in Texas, ad un agente sotto copertura sono stati offerti 200 dollari da un prigioniero per un telefono cellulare e solo 50 per l'eroina. Time riferisce anche che un membro del personale carcerario della California ha ammesso di incassare più di 100.000 dollari con la vendita di telefoni cellulari per i detenuti. Mentre il problema del telefono cellulare può essere affrontato con un giro di vite sul personale penitenziario corrotto, la tecnologia viene utilizzata anche per ridurre il numero di telefoni che possono essere contrabbandati nelle strutture. Body scanner completamente in grado di individuare la presenza di oggetti e sostanze non consentite sui prigionieri sono più efficaci delle perquisizioni eseguite da personale carcerario. Inoltre, le nuove tecnologie permettono di “blindare” il carcere e bloccare il segnale del telefono cellulare, oltre ad individuarne l’esatta posizione. Il Senato Usa ha varato il Prison Secure Communications Act, una misura che consente alle carceri di annullare il segnale dei cellulari. Tuttavia, la Federal Communications Commission (FCC) vieta la pratica, e le società di telefonia mobile stanno combattendo il blocco del segnale. Si tratta delle stesse compagnie telefoniche che offrono agli istituti penitenziari un servizio di noleggio di cellulari
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Telemedicina, colloqui, gestione delle pratiche La tecnologia modifica la detenzione Con notevoli risparmi per la collettività
Telefoni business e sicurezza
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ià nel 2005 la società Prisoncellphones del Texas ha sviluppato una soluzione, chiamata MeshDetect. Si tratta di una soluzione di telefonia mobile che offre ai detenuti il noleggio di cellulari altamente personalizzati con tutte le caratteristiche di sicurezza e di controllo delle cabine telefoniche della prigione. Questo permette a quei detenuti che hanno il legittimo desiderio di un contatto più frequente con la famiglia di utilizzare la tecnologia wireless in tutta sicurezza. Nuove opportunità di guadagno per gli istituti penitenziari che fungono da fornitore di servizi a pagamento e facilitazione nel reinserimento permettendo ai reclusi di tenere contatti e ricercare opportunità di lavoro. Oltre a ridurre la domanda di telefoni illegali, con il conseguente crollo del valore sul mercato nero, un servizio ufficiale consente l’ accesso ad un servizio di telecomunicazione collaudato, con l’ulteriore vantaggio di ridurre la recidiva, migliorare il comportamento del detenuto e aumentare la sicurezza generale. Alla fine tutte le innovazioni della tecnologia fanno breccia nelle mura della prigione. Anche il Dipartimento di Giustizia Usa ha recentemente sollecitato il Federal Bureau of Prison ad autorizzare i detenuti ad un accesso controllato ai telefoni cellulari per facilitare la comunicazione con i potenziali datori di lavoro e la famiglia.
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on più di 2,3 milioni di detenuti negli istituti statali, federali e locali, e alcune carceri che ospitano più detenuti rispetto alla loro capacità ufficiale, negli Usa le strutture carcerarie si affidano a una tecnologia sofisticata per mantenere il controllo della situazione. Molte delle telecamere utilizzate per monitorare i detenuti sono tecnologicamente più avanzate rispetto a quelle utilizzate per stazioni di servizio e centri commerciali. Tuttavia, gli amministratori delle prigioni di oggi gestiscono il controllo dei detenuti non solo con la videosorveglianza. Un recente articolo del New York Times spiega come alcune carceri stanno utilizzando il monitoraggio a radiofrequenza (RFID), un processo di rilevazione in cui un detenuto indossa un braccialetto elettronico che traccia il suo movimento in tutto l’istituto. Se un detenuto che indossa un braccialetto RFID entra in una zona vietata, scatta un allarme acustico. Il tracciamento RFID può anche rendere più facile contare i detenuti e consentire al personale penitenziario di reagire più rapidamente ad un tentativo di fuga e per avvisare il personale se vi è una concentrazione inusuale di persone in una certa zona. Informazioni sul movimento possono essere memorizzate nei computer e potrebbero rivelarsi utili nelle indagini per determinare chi era presente in una determinata parte di un edificio in un particolare momento, per esempio in caso di risse. Esistono altri meccanismi avanzati di monitoraggio, come ad esempio i controlli con la scansione biometrica dell'iride o il rilievo delle impronte digitali di un detenuto. Alcune prigioni consentono le visite ai detenuti attraverso la tecnologia audio / video elettronica, come i televisori a circuito chiuso. Teleconferenza e videoconferenza vengono utilizzati anche
per consentire ai detenuti di comparire in tribunale a distanza. La tecnologia sta cambiando anche l'assistenza sanitaria nelle carceri. Alcune strutture sanitarie carcerarie sono ora equipaggiate con telecamere e strumenti medici a distanza, consentendo ai detenuti di ricevere visite di controllo virtuali da medici. L'Università del Texas Medical Branch (UTMB), in partnership con Texas Tech University, ha un sofisticato programma di telemedicina attraverso il quale i medici possono utilizzare le telecamere per visitare la gola di un detenuto o ascoltare il battito cardiaco di un prigioniero in cuffia. Il vantaggio è un notevole risparmio di costi, l'uso della telemedicina comporta la riduzione della necessità di spostamenti che, in ambito penitenziario, hanno vaste implicazioni. La necessità di trasportare un detenuto al di fuori dei confini di un carcere può essere un ostacolo significativo per fornire cure mediche. I critici sostengono che basandosi sulla tecnologia per limitare il contatto diretto, si disumanizza il detenuto e si infliggono danni psicologici attraverso l'isolamento costante. La ricerca psichiatrica, nonché gli standard di trattamento penitenziario, riconoscono che privare gli individui del contatto umano crea le condizioni di isolamento estremo che vanno ad aggravare la malattia mentale esistente o generare la malattia mentale in persone che in precedenza erano individui sani .
Foto news
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Il giro del mondo attraverso le immagini più significative dell’ultimo periodo. Spesso uno scatto racconta emozioni forti più di tante inutili parole
Brasile, è festa contro il presidente
Il terremoto mette in ginocchio l'Ecuador
Persone in festa nelle piazze brasiliane dopo l'approvazione della Camera al processo di impeachment contro la presidente Dilma Rousseff, giudicata colpevole da una commissione di aver truccato i bilanci dello stato lo scorso ottobre. Ben 367 deputati su 513 hanno votato a favore, superando la soglia di due terzi richiesta affinché il voto fosse valido. Ora il voto dovrà passare al Senato, anche se l'esito appare già scritto. Una tv brasiliana ha paragonato l'esplosione di gioia del popolo carioca con quella della vittoria di un mondiale di calcio
Un soccorritore scava tra le macerie dopo il terribile terremoto che ha colpito l'Ecuador causando più di 400 morti. La scossa più violenta, di magnitudo 7.8, è stata registrata nella notte tra sabato e domenica 17 aprile, alla quale ne sono seguite più di 300 nelle 36 ore successive. L'epicentro è stato vicino alla costiera Muisne, ma le scosse sono state avvertite anche nella capitale, distante circa 300 km. Molte persone sono ancora disperse e intrappolate tra le macerie
Lo spettacolo del Coachella Festival
Il trionfo di Jeeg Robot
Una ragazza con un copricapo indiano osserva il palco del Coachella Festival all'ora del tramonto. Anche quest'anno, il famosissimo festival hippy-indie ha radunato migliaia di persone nella location dell'Empire Polo Club, a Indio, California. Due week end all'insegna di musica e arte, ai quali, anche quest'anno, hanno partecipato i migliori artisti internazionali: dai Guns N' Roses a Disclosure, da Snoop Dogg a Rihanna, dagli LCD Soundsystem a Calvin Harris. Molte altre star hanno assistito allo spettacolo da spettatori, a pochi metri dal palco
Gabriele Mainetti alza fiero il suo primo David di Donatello come miglior regista esordiente con il film “Lo chiamavano Jeeg Robot”. La pellicola fanta-noir ha fatto il pieno di statuette con tutti i suoi attori: Claudio Santamaria (miglior attore protagonista), Ilenia Pastorelli (miglior attrice protagonista), Antonia Truppo (miglior attrice non protagonista) e Luca Marinelli (miglior attore non protagonista). La 60esima edizione dei David di Donatello è andata in scena per la prima volta su Sky
Sarà
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Il bisogno di possedere Oggetti, luoghi, persone: cosa possediamo davvero?
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a il cielo di turno qualche quanti cacittadella, contapricci ho do o nazione in fatto per quel picpiù. Si possedecolo orsetto alla vano i luoghi e le mela verde: non mi persone essenpiaceva affatto ma zialmente per in classe quasi tutte potere. Ora la le bambine lo avedomanda è: una vano. Ora, dopo volta che abbiauna ventina di anmo tra le mani un ni, se ne sta buono oggetto, una fabin fondo al cassetto brica, un terreno, che ormai è perce ne sappiamo meato del suo fapoi prendere custidioso odore. ra? Troppe volte Come ci siamo desideriamo, otridotti così? I noteniamo e scaristri antenati possechiamo, per rindevano solo i peli correre e fagocicon cui madre natare qualcos’altura aveva deciso tro, mentre ciò di proteggerli dal che già abbiamo freddo e ora persiviene dimenticato Si possiede per causalità, per capriccio, no da bambini con e sepolto dalle per reale desiderio o per legame affettivo le semplici parole nuove conquiste. “è mio!” partiamo Anche nel campo alla conquista del relazionale queciuccio, del mestosto è un rischio. lo, del peluche, del gatto, dello davvero qualcosa prima di possederlo. Nel celeberrimo film Colazione da smartphone ultimo modello (che ma- Nei periodi di “vacche magre” la for- Tiffany (che solo di recente ho scopergari usiamo solo per chattare e fare za di volontà assume un ruolo fonda- to essere una gioielleria), un appassioqualche selfie), del motorino, del qua- mentale nel tenere salde le redini del nato George Peppard dice alla protadro di valore, della macchina di lusso. desiderio di possedere. Così si impara gonista Holly: “Vuoi sapere qual è la Oggetti che desideriamo finché il por- a corteggiare le cose per giorni, setti- verità sul tuo conto? Sei una fifona, tafoglio non inizia a sbottonarsi e de- mane, mesi, finché quando finalmente non hai un briciolo di coraggio, neancide per noi che si può fare. I verbi quella tal cosa rientra nelle nostre pos- che quello semplice ed istintivo di essere e avere non rappresentano solo sibilità, la si gode ancora di più. riconoscere che a questo mondo ci si due ausiliari fondamentali nella coniu- Se doveste andare su un’isola deserta innamora, che si deve appartenere a gazione di quasi tutti i verbi della lin- e fosse consentito portare con sé sol- qualcuno, perché questa è la sola magua italiana ma sono forse due facce tanto tre oggetti, quali portereste? niera per poter essere felici […]”. Vi della vita che pur compresenti preval- Pensateci ora. Alcuni di voi sceglie- sembra un paradosso? Io penso di no. gono alternativamente l’uno sull’altro. rebbero probabilmente strumenti ne- L’amore in fondo è anche un possedeSe penso per esempio alla mia vita cessari per la sopravvivenza, altri in- re ma un possedere liberante, che si riesco ad individuare periodi in cui mi vece oggetti a cui sono legati affetti- prende cura dell’altro. Non si dice sono concentrata sull’essere (corsi di vamente. Si possiede per causalità forse “mio marito”, “mio figlio”, “mia formazione, amicizie, amori, attività, (con un’eredità per esempio), per ca- madre” ecc.? riflessioni) e momenti in cui oggetti di priccio, per reale desiderio o per lega- C’è qualcos’altro che chiunque posvario genere hanno riempito i vuoti me affettivo. siede, anche se spesso non ne è consalasciati da frustrazioni, fallimenti, Nella storia, a partire dalla fondazione pevole: le proprie esperienze e le prolontananza delle persone care. A volte dei grandi imperi, era il possesso della prie capacità. Di queste nessuno ne è le condizioni economiche consentono terra a cambiare le sorti di una singola privo e nessuno può esserne privato. di appagare i propri desideri e a volte vita come di un intero regno. Quante Sara Arrigoni no; in ogni caso però probabilmente è lotte e quanto sangue è stato versato buona abitudine imparare a desiderare per sottoporre al dominio del signore
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Tavoli generali: una sfida. E non solo per una questione di dignità e di diritti, ma soprattutto per una più evoluta esecuzione penale
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iniziativa degli Stati generali sull’esecuzione penale nasce da un’esigenza di dare un senso alla pena, non solo più civile ma più vicino possibile all’art.27 della nostra Costituzione. Attivare un dialogo con i portatori di diverse esperienze e con studiosi di altre materie, può contribuire a superare le criticità nella quale ci troviamo ancor oggi, e rendere più concreto il discorso sulla penalità uscendo da un antiquato concetto. I 18 Tavoli, sono ora sottoposti alla consultazione pubblica voluta dal Ministro della Giustizia, consideriamo questo primo passo come un fatto importante, grazie anche a tutte quelle persone che si sono impegnate nei Tavoli, gli attori appunto degli Stati Generali. L’enorme lavoro che hanno svolto e, a quanto risulta, senza alcun compenso economico. Il Ministro ha sostenuto che l’art. 27 della nostra Costituzione “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, esprime un principio che non ha ancora trovato piena applicazione, come dimostrano le sentenze della CEDU. Per questo sono stati istituiti gli Stati Generali, aprendo un confronto, così si legge, che “dovrà portare concretamente a definire un nuovo modello ed una più evoluta esecuzione penale”. Gli Stati Generali devono diventare l’occasione di rendere pubblico questo tema e tutto ciò che comporta, sia sul piano della sicurezza pubblica, sia su quello di dare la possibilità a chi ha sbagliato di reinserirsi positivamente nel contesto sociale, non commettendo nuovi reati. L’ambiziosa scommessa –prosegue Orlando- è che “attraverso gli Stati Generali su questi temi si apra un dibattito che coinvolga l’opinione pubblica e la società italiana nel suo complesso, dal mondo dell’economia, a quello della produzione artistica, culturale, professionale”. La presentazione ministeriale prosegue dando rilievo al parallelo percorso della legge delega, in materia di pene detentive non carcerarie, di riforma del sistema sanzionatorio, nonché alla riorganizzazione dell’amministrazione
penitenziaria e dell’esecuzione penale esterna. Considerandoli come “coincidenza che permetterà di arricchire di contenuti la delega e di progetti le nuove articolazioni”. L’obiettivo finale – definito come “sfida” – è presto svelato: affermare al termine di questo lavoro comune “un modello di esecuzione della pena all’altezza dell’articolo 27 della nostra Costituzione”; “non solo per una questione di dignità e di diritti ma anche perché ogni detenuto recuperato alla legalità significa maggiore sicurezza per l’intera comunità”. Questa presentazione ministeriale è anche un’ammissione di responsabilità della politica. Una politica che non è ancora riuscita a realizzare un modello di esecuzione penale all’altezza della Costituzione. Le stesse condanne della Corte di Strasburgo vanno lette come un’ingiunzione alla responsabilità del legislatore italiano prima che dell’amministrazione responsabile a gestire l’esecuzione penale. Un’ attenzione particolare sia ai legami affettivi, sia ai percorsi di risocializzazione già intrapresi presso alcuni istituti. Da tenere anche in considerazione i problemi connessi ai continui trasferimenti a cui i detenuti sono
spesso sottoposti. Riguardo particolare ai permessi premio, limitate alla concessione per soli “gravi motivi” e , al fine di introdurre le “occasioni di particolare importanza” ai bisogni legati all’affettività e alla sessualità, autorizzazioni ai colloqui intimi. Eliminazione della differenziazione nel trattamento dei condannati ex art. 4-bis ordinamento penitenziario adeguamento del lavoro penitenziario. Occorrono inoltre specifiche attenzioni alla salute dei detenuti, adeguamento delle strutture architettoniche degli istituti di pena e del modello detentivo comunemente indicato come “vigilanza dinamica”, vedi modello norvegese. Particolare attenzione andrebbe posta anche alla rimozione degli automatismi e delle preclusioni che attualmente impediscono l’applicazione delle misure non detentive nei confronti degli autori dei reati ricompresi nell’art. 4-bis O.P. Tali misure non devono essere intese come modo di afflizione attenuata ma come miglior modo per attuare un graduale reinserimento sociale. A cura di Giovanni Misso
Attualità
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Il carcere aperto: un incessante lavoro di accrescimento Una circolare del Dap del 18 luglio 2013 spiega il concetto di "carcere aperto". È un chiaro riferimento all'art. 6 della Riforma penitenziaria del 1975 che definisce le celle come luogo di pernottamento, intendendo che la vita del detenuto debba normalmente svolgersi al di fuori di esse. È anche l'occasione per puntualizzare come il mandato principale assegnato all'Amministrazione sia quello di creare le condizioni per un "trattamento penitenziario conforme a umanità e dignità" ponendo, come punto focale della propria azione, la centralità della persona detenuta e la garanzia dei diritti fondamentali, affinché i principi dell'art. 27 della Costituzione relativi alla presunzione di non colpevolezza degli imputati e di finalizzazione della pena alla rieducazione del condannato possano trovare adeguata realizzazione. Questo tipo di regime, inoltre, ha l'obiettivo di responsabilizzare le guardie penitenziarie e non confinarle in un ruolo di mera custodia. Il regime aperto, attraverso la sorveglianza dinamica, in pratica, garantisce l'apertura delle celle per otto ore al giorno. II modello di sorveglianza dinamica fonda i suoi presupposti su di un sistema che fa della conoscenza del detenuto il fulcro su cui deve poggiare qualsiasi tipo di intervento trattamentale o di sicurezza adeguato.
La Pfeizer preferisce concentrarsi sul Viagra e, finalmente, ha rinunciato a fornire i farmaci per l’iniezione letale
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ra che anche la Pfizer, l'ultima signora di Big Pharma a cedere, si è autoesclusa dal business della morte inflitta con i suoi farmaci, nei 32 Stati americani che ancora applicano la pena capitale l'illusione dell'esecuzione "umana" crolla. E i vecchi fantasmi - sedie elettriche, camere a gas, cappio, plotoni di esecuzione - ritornano. Nessuna casa farmaceutica, europea o americana, venderà più gli anestetici chirurgici (tranquillanti, sonniferi, miorilassanti) che formavano i cocktail letali iniettati con gli stantuffi nelle vene del morituro legato alla barella. Per ottenerli, gli Stati che ancora si ostinano a usarli dovranno farseli preparare da farmacisti che mescoleranno privatamente e spesso illegalmente gli ingredienti o, colmo del paradosso, tentare di ottenerli per contrabbando da India o Cina. Dunque dovranno violare la legge per applicare la più infame tra le leggi. La Pfizer, che preferisce essere celebre nel mondo per le sue pilloline azzurre, gli antibiotici, i chemioterapici, gli antinfiammatori, le statine e il catalogo di prodotti che ne fanno la quarta casa farmaceutica del mondo con quasi 50 miliardi di dollari in incassi lordi annui, ha citato ragioni etiche per il suo rifiuto: "La nostra società lavora per migliorare e salvare la vita dei pazienti e dunque obietta decisamente contro l'uso dei suoi prodotti per iniezioni letali". I grossisti, così come i dettaglianti del suoi medicinali saranno sottoposti a "stringenti controlli" per garantire che i suoi farmaci non siano più venduti agli Stati che li userebbero per le esecuzioni o al governo, che ancora contempla il patibolo per reati di valenza federale. Scelta etica e insieme scelta di marketing perché la morte, associata al nome dell'azienda, è bad business, un pessimo affare che i ricavi e i profitti non giustificano più. Lo scorso anno, 28 condanne sono state eseguite, la cifra più bassa dal 1999 e meno di un millesimo dei 2.943 detenuti nei bracci
della morte, dove, in attese che ormai oltrepassano i 15 anni, è più probabile morire di morte naturale che legati alla barella con le flebo nelle vene. Un volume di affari che, per il numero dei giustiziati e per il modesto costo di comunissimi farmaci, dal Propofol (l'anestetico che uccise Michael Jackson), al Sodio Thiopenthal al Curaro, non vale l'imbarazzo di essere agenti di morte. Come medici e infermieri che non possono partecipare alle esecuzioni, se non per certificare il decesso.
Approfondimento
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Gioca responsabilmente. È come dire annega con cautela o sparati con prudenza Non è solo un fenomeno sociale, ma una vera e propria malattia, che rende incapaci di resistere all’impulso di giocarsi tutto
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icordo un uomo che scommetteva su tutto e perdeva tanti soldi giustificandosi nei modi più assurdi; mi hanno derubato, li ho prestati, ho cambiato i freni alla macchina ecc. e mille altre bugie, mentre quelle rare volte che vinceva faceva finta di trovarli per caso proprio lì, dove li aveva lasciati. La scusa per rigiocarseli era che i soldi trovati vanno spesi e quindi li andava a rigiocare. Tutte le sere si prometteva di non giocare più, quando finiva lo stipendio si nascondeva nel suo mondo, ma la mattina successiva quelle promesse erano dimenticate. Cominciò a rendersi conto di avere un grosso problema che non riusciva più a gestire, piangeva spesso, ed i rimorsi lo torturavano. Distrutto e umiliato se ne andò di casa, girovagò per Milano per giorni e giorni, dormì nell’orto di sua proprietà, non riusciva neanche a tornare a casa dalla propria famiglia, chiese ospitalità ad alcuni amici che gli fecero capire che doveva tornare a casa e chiedere aiuto ai propri cari per il suo problema. Non voglio ricordare bene il proseguire della storia, io l’ho conosciuto perché era mio padre e abbiamo fatto tutto il possibile per aiutarlo, ma non voleva essere aiutato, perché continuava a nascondere il suo problema che per lui non esisteva, ma dopo anni di lotta e sofferenza di mia madre ce l'abbiamo fatta, e finalmente ha ripreso in mano la sua vita. W. A.
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n "Manifesto di democrazia economica" per un «cammino di libertà» dall’azzardo, una lettera-appello al presidente Mattarella, un grande evento nazionale per il 7 maggio in decine di piazze italiane. Sono le tre importanti iniziative del movimento Slotmob, presentate alla Camera. E che giungono dopo oltre 150 slotmob promossi in tutta l’Italia, per sostenere i bar che hanno deciso di dire "no" alle macchinette e per informare i cittadini sulla «presenza invasiva, ossessiva e crescente dell’azzardo in Italia, un fenomeno sfuggito dalle mani di un apprendista stregone», come si legge nelle prime righe del "Manifesto". Un documento che chiede che «venga rimesso in discussione in maniera democratica, aperta, informata e trasparente, l’affidamento del settore dell’azzardo alle società commerciali, in gran parte transnazionali, che sono strutturalmente interessate a farne profitto». Società, sottolinea il portavoce del movi-
mento Carlo Cefaloni, «di cui spesso ignoriamo i veri soci, nascosti tra paradisi fiscali e intrecci societari». Proprio per questo il movimento ha predisposto anche una lettera, che ogni cittadino potrà firmare e spedire al Quirinale, per chiedere al capo dello Stato «custode della Costituzione democratica fondata sul lavoro» che «faccia valere la sua autorevolezza, anche con un semplice messaggio al Parlamento, incapace di agire in questo campo, e al Governo che, sull’azzardo, dimostra di avere le idee confuse sul bene comune perché mette sullo stesso piano, in maniera contraddittoria, le esigenze di tutelare la salute pubblica, combattere l’illegalità e dare un apporto all’erario». Antonello Puricelli
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ioca responsabilmente è come dire annega con cautela, sparati con prudenza. In queste poche battute di Crozza c’è tutta l’ipocrisia di uno Stato che nei fatti incentiva l’azzardo rifiutandosi di bandire la pubblicità, ma solo ponendo dei limiti in certe fasce orarie per la tv. L’avvertenza del “gioco responsabile” compare in fretta come quella sui medicinali che <<possono avere conseguenze gravi, compresa la morte>>. L’azzardo non va messo vicino alla bellissima parola “gioco”. È un tipico caso di enorme male istituzionale che viene presentato come virtù. Confindustria-gioco, che rappresenta anche le lobby dell’azzardo, protegge molto questo settore della nostra economia, al punto da riuscire a non far cambiare nulla, o solo aspetti irrilevanti. Il proliferare dell’offerta dell’azzardo in Italia è un’attività industriale che produce danni alla salute e disgregazione sociale, pur generando ingenti profitti per una filiera che parte dall’ultimo concessionario locale e arriva ai vertici delle società transnazionali con proprietà e sedi difficilmente rintracciabili. Senza troppe analisi, esistono tante persone libere e piene di dignità come i baristi che hanno detto “no” rifiutando di diventare un terminale della piovra. Un meccanismo che sembra invincibile si è quindi infranto davanti a un’obiezione mite e decisa. In questo caso si è generato, grazie al supporto di tante espressioni di cittadinanza attiva, un movimento di democrazia economica che chiede di mettere in discussione l’intera questione azzardo contestandone l’affidamento alle società commerciali che, mosse dal profitto, non possono che incentivarne la diffusione. Ecco la lettera aperta del movimento SlotMob: Caro Presidente Sergio Mattarella, con la scusa di legalizzare il cosiddetto “gioco” d’azzardo, i legislatori italiani si sono mossi come degli apprendisti stregoni trasformando il Paese in un casinò diffuso nel pieno della crisi economica e morale più dura del dopoguerra. La paura del futuro e la mancanza di prospettive hanno spinto fasce crescenti di popolazione verso un consumo compulsivo e disperato della promessa illusoria di una salvezza individuale dal progressivo impoverimento. Il fenomeno azzardopoli, che muove un giro di 88 miliardi di euro l’anno, non si può ridurre, come si fa di solito, ai casi di dipendenza patologica individuale da curare con i fondi insuf-
ficienti di un sistema sanitario pubblico messo già in grave difficoltà. Bisogna agire alla radice e riconoscere che è lo Stato che sta vivendo una pericolosa crisi di astinenza del denaro che arriva dal settore dell’azzardo appaltato a grandi società commerciali transnazionali. Occorre, perciò, recidere questo vincolo per rimettere in discussione l’intera materia in modo democratico e partecipato. Senza una diversa economia, capace di generare benessere per tutti, vinceranno sempre le lobby, come si è visto nel tentativo fallito di imporre il ragionevole divieto assoluto di pubblicità dell’azzardo. Esistono gruppi di potere trasversali capaci di cambiare le leggi dalla sera alla mattina umiliando le reti di cittadinanza attiva e le amministrazioni comunali che cercano di recuperare sovranità sui loro territori. Rivolgiamo, perciò, questo appello al custode della Costituzione democratica fondata sul lavoro perché faccia valere la sua autorevolezza, anche con un semplice messaggio al Parlamento, incapace di agire in questo campo, e al Governo che, sull’azzardo, dimostra di avere le idee confuse sul bene comune perché mette sullo stesso piano, in maniera contraddittoria, «le esigenze di tutelare la salute pubblica, combattere l’illegalità e dare un apporto all’erario». Si può rispondere all’effetto devastante dell’incentivazione legale dell’azzardo solo a partire dal legame sociale, dal riconoscere la scelta di libertà e dignità dei baristi che rifiutano di fare da terminale alla macchina dei soldi che vanno ad ingrassare i soliti noti. Lo Stato segua l’esempio di questi cittadini responsabili. Chiediamo al nostro Presidente di rispondere al nostro appello per far togliere la gestione dell’azzardo alle società commerciali che non possono far altro che incentivarlo per trarne profitto. Esiste un Paese reale che resiste e che ce la potrà fare perché rifiuta di ridurre tutto a merce o materiale di scarto. Al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella Palazzo del Quirinale Roma 00187 Data
Firma
Quelli che
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Ci sono Santi e “santini”. Basta capirsi A volte non basta la parola. Malintesi comici tra “professionisti”
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tando reclusi abbiamo modo e ... tempo per sentire storie inverosimili, a tratti assurde e ridicole visto il "livello di professionalità" che esiste tra le persone appartenenti all'universo criminale. C'è un linguaggio criptato in questo ambiente che viene usato per sostituire e nascondere parole o frasi che potrebbero creare allarme nelle istituzioni se pronunciate come le conosciamo in origine. Ad esempio in gergo i poliziotti vengono chiamati "madama" o "sbirri", le armi "ferri", la cocaina "bamba" o "bianca", i documenti falsi vengono chiamati "santini" ecc. ecc. E' proprio da questi "santini" che parte il racconto di un detenuto a cui per ovvi motivi daremo il soprannome di Ciccio. Quando Ciccio viene a sapere che, a breve, per lui possono aprirsi le porte del carcere per delle condanne definitive, chiede ad una persona fidata "dell'ambiente" di procurargli un "santino" per poter sfuggire alla giustizia. Il "collega" si dice pronto a soddisfare le esigenze di Ciccio, e dopo aver pattuito il compenso stabiliscono di vedersi l'indomani per la consegna del materiale. All'orario concordato per l'appuntamento in un centro commerciale della zona - Ciccio non vede il suo referente, e preoccupandosi del ritardo (sapendo con chi ha a che fare e per cosa si devono incontrare), lo contatta al telefono e si sente rispondere che nel bar all'interno, seduta ad un tavolo , c'era sua nonna ad aspettarlo. Ma come -dice Ciccio-..tua nonna? Incredulo ed incuriosito, chiede all’interlocutore per quale motivo per la consegna avesse mandato sua nonna, e questi, con toni molto decisi e ribadendo la sua professionalità gli dice di stare tranquillo: ha scelto la persona più' adatta per soddisfare le sue esigenze . Rinfrancato dalle parole del "professionista", si presenta al tavolo del bar dove nota seduta una vecchietta sugli 80 anni. Dopo qualche secondo di convenevoli Ciccio va al sodo e chiede i documenti da lui commissionati al nipote. L'anziana donna fruga nelle tasche e tira fuori una quantità industriale di immaginette sacre e santini di ogni genere da fargli scegliere. Ciccio, frastornato e smarrito aspettandosi di
vedere dei documenti richiama il "collega" indispettito sentendosi rispondere che “la nonna è una persona di chiesa da anni è la perpetua nella parrocchia del paese - chi meglio di lei avrebbe potuto procurargli dei ...santini"? Sconsolato e deluso per aver dato fiducia ad una persona che sembrava sapesse il fatto suo, e non avendo più' tempo per provvedere, il povero Ciccio si lasciò' andare al suo destino. Antonello Puricelli
VL - Pg.26per voi Letto
Letto per VL - Pg. voi 25
Le pagine che in questo ultimo mese hanno accompagnato parte del nostro tempo, ed inevitabilmente influenzano il nostro scrivere
Steve Jobs Walter Isaacson La caparbietà e l’innovazione innata in Jobs, studiata anche adesso dopo la sua scomparsa ma che non è ancora del tutto capita. Nella biografia Isaacson, racconta questa evoluzione, passo dopo passo, sia nel modo di agire che nel rapporto con gli altri collaboratori.
Banche e anomalie come difendersi Giuseppe Catapano Michele Imperio Il volume illustra i termini operativi e le attività che si possono attivate per contrastare le banche e le loro postille a discapito dei clienti Dà una linea operativa legale, mettendo a frutto la conoscenza, le relazioni e le competenze di professionisti, e mettendo a frutto leggi, esistenti, a favore delle persone ma che le banche cercano di nascondere insegnando ai loro dirigenti l’arte del raggiro.
Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole.
(Philip K. Dick)
Il club Bilderberg La storia segreta dei padroni del mondo Daniel Estulin
Perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia
Seconda edizione e seguito del racconto sulla più potente loggia massonica del mondo, dal 1954 un gruppo ristretto di persone si riunisce e decide le sorti del mondo politico ed economico, studiando strategie e percorsi da seguire. Nessuna notizia, però, è mai trapelata di quanto avviene nelle stanze presso l’hotel Bildeberg in Olanda.
Nino di Matteo Salvo Palazzolo Titolare delle indagini Stato mafia che si sviluppa nel solco di Falcone Borsellino Chinnici, lo hanno reso il bersaglio numero uno dei capi di mafia come Totò Riina e Matteo Messina Denaro, le parole del pm raccolte dal giornalista Palazzolo, suonano come un grido: La mafia non è sconfitta.
VoceLibera
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Abbiamo bisogno di voi, per crescere e continuare a sognare. Ci siete?
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oceLibera è una lente di ingrandimento sul grande tema della Giustizia, in tutte le sue forme, analizzata dal punto di vista di chi vive sulla propria pelle l'applicazione delle leggi. Attenzione però, perché il fatto che a scrivere di giustizia e detenzione siano persone che hanno un debito con la società non deve essere fuorviante. I contenuti rispettano i canoni e le leggi deontologiche del giornalismo classico, sono frutto di una lucida
analisi - dati e fatti alla mano - di ciò che funziona e ciò che invece potrebbe funzionare meglio. Non è dunque un megafono delle ingiustizie, ma uno strumento che speriamo possa essere utile per accendere i riflettori su tematiche importanti di cui troppo poco spesso si parla e che, è bene ricordarlo, a detta della Costituzione stabiliscono il grado di civiltà di un Paese. VoceLibera è dettagliato: norme vigenti, regolamenti, interviste a fi-
gure illustri, approfondimenti sui casi di malagiustizia e malagestione, temi che rientrano dunque nella sfera dell'attualità, uno spazio anche per quello che ha rappresentato fino a ieri il cuore di VoceLibera, ovvero uno spazio intimo dove i detenuti possono raccogliere riflessioni personali sulla loro vita da ristretti proiettata verso il futuro e poi ancora rubriche, attività interne al carcere, appuntamenti culturali, lettere e molto altro ancora.
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Niente di personale
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Assenza di contatto con la realtà Non c’è campo. Mancano le competenze per un approccio professionale alla tecnologia applicata al quotidiano
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n “Storia di Karel” Antonio Pennacchi ci porta in un Pianeta immaginario, dove nel prossimo millennio avrà trovato rifugio una comunità sopravvissuta alla distruzione della Terra per mano dell’uomo e della sua sete di progresso. La regressione, ricetta per sottrarsi ai mali del mondo, imponeva agli abitanti del pianeta il divieto assoluto di ricorrere a qualsiasi forma di tecnologia, e tutto il sapere del genere umano era contenuto in una sfera la cui energia si stava inesorabilmente esaurendo, ponendo alcuni di fronte al dilemma e alla tentazione di accedere alla conoscenza. L’evoluzione della specie umana, come nel romanzo di Pennacchi, si arresta di fronte al cancello di ingresso del carcere : varcarne la soglia rappresenta un balzo indietro nel tempo di almeno mezzo secolo. L’ospite di turno viene spogliato, oltre che degli indumenti, anche della possibilità di utilizzare conoscenze, tecnologie e strumenti di comunicazione che ormai fanno parte da decenni della quotidianità. Nell’era digitale, il malcapitato si troverà tra le mani carta, penna, busta e francobollo in sostituzione di WhatsApp; un fornello da campeggio a fare le veci del microonde e le immancabili “domandine” per ogni necessità. La malsana idea di chiedere se è possibile l’invio di un fax, potrebbe rivelarsi fatale: inevitabilmente dovrete compilare una domandina indirizzata ad una non meglio specificata oscura identità superiore. Dopo la lunga, tortuosa e misteriosa trafila, la domandina tornerà al mittente con richiesta di fornire ulteriori precisazioni: chi è il beneficiario, a chi è intestato il numero di telefono (prego, fornire copia della bolletta telefonica) e per quale ragione tutta quell’urgenza (sic!). A quel punto saranno già trascorsi almeno una decina di giorni ed effettivamente vi chiederete a vostra volta: già, che fretta c’era? Si poteva tranquillamente inviare una lettera, e magari sarebbe anche arrivata in una settimana. Sì, perché la Pec (Posta elettronica certificata) la devono ancora inventare e ve ne dovreste fare una ragione. La prossima frontiera è l’Internet delle cose, ovvero gli oggetti di uso quotidiano che comunicano tra loro, senza
l’intervento umano. Intanto si fa un gran parlare di tecnologie applicate alla gestione delle carceri, come i cancelli automatizzati, le sale regia con molte telecamere e i sistemi anti scavalcamento. C’è dell’altro? Si, c’è dell’altro e un gruppo di addetti ai lavori di ogni amministrazione europea si riunisce e si confronta, almeno una volta l’anno, per discutere e scambiarsi informazioni ed esperienze su tutte quelle tecnologie dell’informatica e comunicazione (in inglese ICT, Information Communications Technologies) che possono essere utili per il reinserimento delle persone detenute nella società e, al contempo, possono essere d’ausilio a tutto il personale che opera nei penitenziari. Le discussioni non sono accademiche, ma mostrano i vantaggi e gli insuccessi di applicazioni pratiche che gli altri Paesi hanno già adottato, ci si confronta per diffondere le “buone pratiche” ed eventualmente correggere il tiro con l’esperienza di ciascun Paese. Purtroppo, alle discussioni non ha mai partecipato una delegazione italiana. Non che ciò possa stupire. Al DAP stanno ancora cercando di capire come utilizzare al meglio la posta elettronica tra un Ufficio e l’altro, e le applicazioni informatiche sono a malapena utilizzabili per qualche statistica interna. Figuriamoci se qualche “filosofo” che fa fatica anche a gestire la diffusioni delle Circolari, è in grado di mettersi a discutere sui vantaggi del riconoscimento biometrico per la localizzazione in tempo reale dei detenuti, magari anche con un monitoraggio delle loro condizioni di salute con collegamento ad un centro clinico o all’infermeria del carcere. Fantascienza? No. Semplicemente potenziali occasioni (perse).
L’azzeccagarbugli
Tutto a busto
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Da carcere di frontiera a nuova frontiera della carceri La Casa Circondariale di Busto Arsizio è ormai riconosciuta come istituto modello nel panorama italiano. In evoluzione continua
E
' ormai trascors qual-
che anno dalla storica sentenza Torreggiani che condanno l'Italia per il mancato rispetto delle regole fondamentali per i diritti dell'uomo. Trattamenti considerati inumani, dovuti alle carenze strutturali ed alle condizioni fatiscenti delle carceri italiane, influenzate negativamente dall'aumento sproporzionato della popolazione detenuta che in quegli anni ha toccato punte vertiginose ed incontrollabili. Busto Arsizio è stato uno dei primi istituti penitenziari ad indossare la maglia nera, e nel 2013 proprio da questo istituto partì la denuncia di Mino Torreggiani, il detenuto che segnalò la situazione disastrosa alla Corte Europea. Dopo un lento cammino di rinnovamento, Busto Arsizio da protagonista negativo si trasforma in protagonista positivo, quasi a volersi porre come virtuoso esempio per altre realtà penitenziarie. Le direttive di legge impongono alle carceri di tutta Italia di adeguarsi alle direttive europee ,restituendo dignità ai detenuti e tutelandoli da ogni forma di trattamento inumano e degradante. Busto Arsizio lo ha fatto, si è adeguato. Con l’apertura delle due nuove sezioni, infatti, è stata finalmente offerta alla popolazione detenuta una condizione ambientale che rispetti i canoni imposti dalla CEDU, con spazi maggiori e servizi confortevoli. Acqua calda, docce in camera, bagni decenti e piastrellati,
stanze a due letti separati e non a due o tre piani, come fino a qualche tempo fa. Sezioni aperte 12 ore al giorno, con la possibilità di dialogare e socializzare con tutti gli occupanti. Certo non tutti i 355 detenuti del carcere vantano le stesse condizioni degli abitanti delle nuove sezioni, ma un primo passo è stato fatto. Le istituzioni si possono comunque dichiarare soddisfatte per il lavoro svolto fino a questo momento. Il progetto vedrà l'adeguamento
delle restanti sezioni, che sono già in corso di ristrutturazione e seguiranno la stessa linea di rinnovamento delle nuove opere. Da lodare gli sforzi della direzione e delle maestranze che si sono impegnate a seguito di questa importante trasformazione e che, coadiuvati dai 200 agenti di polizia penitenziaria presenti, hanno contribuito a questo percorso di umanizzazione del carcere, dedicando finalmente più attenzione alle persone. All’inaugurazione delle nuove sezioni, davanti al prefetto di Varese Giorgio Zanzi, erano presenti il direttore generale dell’Asst Valle Olona Giuseppe Brazzoli con lo staff interno per l’area sanitaria e Francesca Romana Valenzi in rappresentanza del provveditorato. Dopo una breve introduzione del direttore Orazio Sorrentini, ha preso la parola la senatrice Laura Bignami che ha ribadito la priorità di intervenire su istruzione e inserimento nel mondo del lavoro dei detenuti,
fattori indispensabili per un reinserimento nella vita sociale. Dopodiché ha preso la parola l’assessore comunale ai servizi sociali, Mario Cislaghi, in rappresentanza del sindaco Gigi Farioli, che ha mostrato la sua soddisfazione e la sua speranza di poter inserire un altro detenuto in uno dei settori amministrativi, come è già successo in passato. Un particolare elogio, da parte dell'assessore, è andato alla cioccolateria presente in carcere per il buon lavoro svolto, ma anche come ringraziamento per il dono ricevuto in occasione del Natale e per aver omaggiato con venti pacchi regalo alcuni anziani bisognosi. Il senatore della Lega Nord, Stefano Candiani è intervenuto, rivolgendosi al direttore Orazio Sorrentini, spronandolo a continuare su questa strada, e auspicando che questo lavoro non sia solo un evento spot. Tra gli interventi, da sottolineare anche quello della dottoressa Anna Ferrari, Magistrato di sorveglianza e coordinatrice dell’Ufficio di sorveglianza di Varese, che ha confermato il suo assenso a proseguire sulla linea del rinnovamento, ma soprattutto dedicare risorse e mezzi per
l'inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, sia all’interno che all’esterno del carcere. Soltanto in questo modo, ha continuato il magistrato, le persone possono sentirsi vive e seguite. “Tanto è stato fatto, ma tanto ancora c’è da fare”, conclude, “per questo rimbocchiamoci le maniche tutti insieme, maestranze da una parte e detenuti dall’altra”. Senza queste due premesse non sarebbe possibile continuare. La parola passa al deputato del Pd Maria Chiara Gadda, che ribadisce l'importanza di puntare sulle opportunità di lavoro per tornare a essere cittadini che operano a pieno titolo nella società. Successivamente, in un dialogo con l’europarlamentare Laura Comi alcuni detenuti stranieri hanno espresso la volontà di scontare la propria pena nel paese di origine, affermano che la lontananza dai propri affetti equivale a scontare una pena doppia. Agevolare quindi le espulsioni sarebbe un primo passo importante per ridurre il disagio all'interno delle carceri italiane, considerando che 1/3 della popolazione carceraria è di altra nazionalità. A conclusione, è intervenuto l’onorevole Franco Vazio, Vicepresidente della Com-
missione giustizia della Camera, confermando che il suo partito non crede in soluzioni come indulto e amnistia che ricorrono ciclicamente, ma puntare concretamente sul reinserimento sociale e lavorativo. Gran lavoro di squadra, insomma, che ha prodotto i risultati sperati e proseguirà incessantemente. Cosmo di Biase
Una percentuale di detenuti “lavoranti” superiore alla media nazionale
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Visto da dentro
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A tavola in Via per Cassano
VL - Pg.31
IN BOCCA ALL’ESPERTO Il nostro critico gastronomico in incognito visita periodicamente le cucine delle celle nelle sezioni. Prenota sotto falso nome e cena senza qualificarsi, per esprimere così un giudizio da “cliente qualunque”. Occhio!
Poker di carpacci. E la cella è servita Piatti sempre più ispirati alla cucina asiatica. Fantasia tutta made in Italy
A
lla cella 2 della 5^ sezione si continuano a preparare vere e proprie delizie dell’arte culinaria. Luca si ispira sempre di più alla cucina orientale. A fine pena usciremo tutti con gli occhi a mandorla. Ma noi redattori di VoceLibera, anche parecchio golosi, abbiamo il dovere di assaggiare per poter esprimere il nostro voto. Quindi scavalchiamo la fila formatasi davanti alla cella 2 e approfittando della nostra tessera stampa, entriamo per l’ennesima prova del cuoco. Fare i giornalisti tutto sommato ha i suoi vantaggi. La ricetta di oggi si chiama:
Tavolozza di carpacci affumicati Ingredienti: pesce spada affumicato; tonno affumicato; patate; riso basmati; sedano; parmigiano; succo d’arancia; sesamo; albume; foglie di sedano; scalogno; salsa di soia; sale; pepe; olio evo. Mettiamo a cuocere il riso basmati per circa 10 min. senza salarlo, lo facciamo raffreddare e lo condiamo con la salsa di soia, un filo di olio e sesamo. Mondiamo il sedano, togliendo anche i filamenti, per renderlo il più liscio possibile, lo tagliuzziamo alla julienne, conservandone anche le foglioline più piccole che metteremo a bagno in acqua fredda e successivamente lasceremo freddare in frigorifero. In questo modo il sedano risulterà più croccante e con una forma arricciata creando un effetto estetico particolare. Luca ci spiega che è importante disporre queste composizioni, cosiddetti, “piatti asiatici”, su spazi più ampi per ottenere quell’impatto estetico di migliore effetto. Per la composizione useremo il nostro tanto amato coppa pasta, (mitico prodotto dell’artigianato carcerario), cominciando a riempirlo con il riso e con il pesce spada, che adagiamo sopra in modo ondeggiante, per creare un effetto scomposto. Un pizzico di sale e pepe e poggiamo sopra i riccioli di sedano e le scaglie di parmigiano. Sfiliamo il coppa pasta e il gioco è fatto, abbiamo così dato vita alla nostra bella formina. Condiamola alla fine con olio evo, versandone anche attorno alla composizione. E
come accade in autunno, lasciamo che cadano le foglioline, quasi come se le avesse portate una folata di vento. Fatta la prima ne faremo un’altra uguale in un altro punto del tavolo. Per il carpaccio di tonno invece: peliamo le patate tagliandole a cubetti di circa 0,8 mm., (Luca ci tiene alle misure, un po’ meno se si tratta di quelle cautelari), le facciamo bollire mantenendo la croccantezza giusta, una volta raffreddate con acqua fredda per fermare la cottura, le condiamo con sale pepe e olio evo. Nel frattempo uniamo due albumi al succo di una sola arancia e due pizzichi di sale (se non fossimo in galera, avremmo utilizzato due gr. di lecitina di soia per creare un’aria d’arance, ma in carcere noi non possiamo, lo potete fare voi da casa), con energia e cattiveria sbattiamo gli ingredienti (per noi è una pratica che facciamo volentieri, ci serve come sfogo per scaricare la tensione) il tutto fino a formare una spuma dal sapore di arancia. Tagliamo finemente a rondelle lo scalogno e con il coppa pasta inseriamo la patata e il tonno sempre in senso ondeggiante, aggiungiamo poco sale, olio evo e pepe. Infine le rondelle di scalogno, come se piovesse, completando con “l’aria di arancia” che metteremo sopra e intorno alla formina. Prepareremo ancora un’altra e poi un’altra ancora, fino ad arrivare alle quattro composizioni posizionate su altri punti del tavolo. Ed ecco che il poker è servito. Adesso tocca a voi, buon lavoro e non dimenticate di farci sapere com’è andata, attendiamo le vostre sincere critiche e i più accaniti commenti, interagendo sulla pagina Fa-
cebook di VoceLibera. A proposito: bevete alla nostra salute. Noi vi consigliamo di abbinare una bottiglia di Fiano di Avellino, l’ideale per bagnare questi deliziosi piatti. Anche se siamo un po’ invidiosi… del vino si intende. Vittorio Romano
Lo chef Luca per fantasia, preparazione e sapore del piatto che ha presentato, merita senz’altro le tre sbarre di VoceLibera e, al momento, rimane in testa alla classifica delle migliori cucine di Via Per Cassano. Ambiente # # # Servizio # # # Presentazione piatto # # # # Degustazione # # # #
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Carceri dell’altro mondo
Trento: domotica e standard qualitativi esemplari L’istituto trentino è all’avanguardia per dotazioni tecnologiche
I
l carcere di Trento, sito in località Spini di Gardolo è fulgido esempio di collaborazione tra le istituzioni; nello specifico la sua realizzazione si deve alla cooperazione tra il Ministero della Giustizia, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e la Provincia Autonoma di Trento. La struttura che è stata realizzata in soli 3 anni e 8 mesi e consegnata con un anno di anticipo rispetto ai tempi stabiliti, sorge su un’area demaniale di 110.000 metri quadrati, di cui 18.000 coperti, per un totale pari a 130.000 metri cubi suddivisi tra sezioni detentive, infermeria, spazi per la formazione scolastica e professionale, aree dedicate allo sport oltre a quelle previste per la socializzazione e gli incontri con parenti e avvocati. Durante la cerimonia di inaugurazione , avvenuta il 31 gennaio 2011, l’allora Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, affermava che : “la Casa Circondariale di Trento rappresenta un modello da seguire per il resto del paese”.
Il potenziale strutturale e tecnologico dell’istituto, è stato puntualizzato anche dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il quale riferiva che: “il nuovo complesso è al di so-
Un controllo non invasivo e touch screen
pra degli standard qualitativi di molte strutture penitenziarie del paese”. La struttura è dotata di un sistema automatizzato che risponde a livelli gerarchici col quale si sta sperimentando una forma di sorveglianza dinamica, che consente di ridurre al minimo la presenza umana nelle sezioni detentive. Al primo livello è posta la sala regia , al secondo gli snodi presenti su ogni piano del reparto detentivo e all’ultimo vi sono le sezioni che operano direttamente sulle singole celle. La sala regia oltre a consentire una videosorveglianza attiva su ogni angolo della struttura, permette l’apertura e la chiusura dei cancelli, l’accensione dell’impianto di riscaldamento, l’erogazione di acqua calda, la regolazione della temperatura degli uffici e perfino l’ accensione e lo spegnimento dei televisori nelle camere detentive. La tecnologia e la domotica
di cui si avvale la sala regia fanno di questa postazione il quartier generale sotto il quale operano gli avamposti attivi negli snodi e nelle sezioni. Gli snodi hanno, invece, un controllo limitato al piano, nel quale possono essere aperti o chiusi i cancelli, accese e spente le luci, fino agli interventi sulle singole celle. Queste ultime vengono, poi, gestite in modo ancora più diretto dalle sezioni, dove è presente un ‘altra postazione dotata di analoghi sistemi di controllo tecnologico. Inoltre, è presente un sistema innovativo che mette in contatto il detenuto con l’agente attraverso un citofono attivo dentro la cella. La strumentazione adottata si avvale di un sistema operativo che sfrutta il touchscreen , di facile comprensione per il personale .
Domande & opinioni
VL - Pg.33
Segue da pag. 3
È ora di premere play contesto di cui sopra. Ma soprattutto, ed ecco il messaggio implicito che noi di VoceLibera abbiamo voluto cogliere, questa circolare può essere vista come la silenziosa testimonianza di un'apertura delle istituzioni verso la tecnologia applicata al carcere, nel tentativo di accorciare il passo dagli istituti di pena più moderni e all'avanguardia che, manco a dirlo, si trovano fuori dai nostri confini. Potrebbe essere lo spartiacque per portare l'innovazione nel sistema più conservatore. n realtà, dall'emanazione della circolare, sono pochissimi i penitenziari che hanno colto al balzo l'occasione di fare un passo in avanti verso la digitalizzazione della struttura e impegnarsi nel ridurre quel gap digitale che travolge i detenuti con condanne lunghe. Pensate a chi è entrato in carcere prima del 2007, quando l'iphone non era ancora entrato in commercio. Che mondo troverà una volta uscito? Quanto si sentirà a disagio in una società che è costantemente e simultaneamente iperconnessa? Se il carcere, così come dice la Costituzione, ha il compito di riabilitare chi ha sbagliato, è utopico pensare che il suo reinserimento non debba passare dai rudimenti virtuali su cui la società civile ha costruito le fondamenta della vita moderna. Noi di VoceLibera, sempre con le orecchie dritte quando si parla di progresso ed evoluzione, avevamo già parlato di tecnologia e carcere in uno dei primi numeri del giornale. E non perché siamo visionari o lungimiranti, ma semplicemente perché è il modo più comodo e veloce di migliorare il funzionamento degli istituti di pena, semplificare il lavoro di operatori, assistenti, poliziotti e mettere a disposizione dei detenuti gli strumenti necessari per non rendere la carcerazione più dolorosa di quanto, da un punto di vita umano già sia.
proposte concretamente realizzabili nella speranza che qualcuno si unisca al nostro coro e faccia aprire gli occhi a un sistema che dorme da troppo tempo. Federico Corona
Sfruttiamo così l'assist del D.A.P per tornare a parlare di quello che dovrà essere il carcere 2.0, avanzando alcune
Attraverso la pagina VoceLibera ci vengono poste alcune domande dai nostri lettori Ho sentito che in carcere c'è tanta solidarietà e vi aiutate a vicenda tra voi. È vero? target04 Si è vero. C'è molta solidarietà tra noi poiché le situazioni difficili, all'interno di una struttura penitenziaria, sono molteplici e se vediamo un compagno in difficoltà, cerchiamo di aiutarlo. È vero che dopo un certo orario non potete più uscire dalla cella? Pigly71 Le celle sono aperte dalle 7 del mattino alle 19 di sera, in regime aperto. Mentre a chi non ha ancora una condanna definitiva è concessa “l’aria” solo per due ore al mattino e due al pomeriggio. Durante il colloquio con la propria moglie o fidanzata potete abbracciarvi o, come vedo nei film, c'è un vetro che vi separa? robert E' possibile abbracciarsi e darsi qualche bacio, ma con molta discrezione. Se si è sottoposti ad una misura detentiva particolare per gravi reati tipo quelli che prevedono il 41bis (mafia, terrorismo ecc.), esiste il colloquio "protetto" con un vetro che separa il detenuto dal proprio familiare. In questo caso il contatto umano non è possibile.
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Diamo Diamo ii numeri numeri
Anno 2° Numero 4
Detenuti presenti e capienza regolamentare degli Istituti Penitenziari per regione Situazione al 31 marzo 2016 Regione
ABRUZZO BASILICATA CALABRIA CAMPANIA EMILIA ROMAGNA FRIULI VENEZIA GIULIA LAZIO LIGURIA LOMBARDIA MARCHE MOLISE PIEMONTE PUGLIA SARDEGNA SICILIA TOSCANA TRENTINO ALTO ADIGE UMBRIA VALLE D’AOSTA VENETO
Totale nazionale
NuDetenuti Detenuti presenti mero in Presenti di cui istitu- Capienza semilibertà (**) Regolamenti Stranietare Totale Stranieri Totale Donne ri (*) 8 3 12 15
1.583 470 2.357 6.074
1.685 429 2.554 6.747
78 7 55 336
224 85 448 832
9 4 17 168
0 0 0 7
11
2.779
3.055
131
1.469
30
5
5 14 6 18 7 3 13 11 10 23 18
484 5.260 1.110 6.132 853 263 3.842 2.354 2.630 5.900 3.406
619 5.807 1.422 8.066 902 305 3.676 3.175 2.060 5.772 3.344
16 367 74 387 20 0 136 136 53 113 125
233 2.591 756 3.744 310 55 1.592 469 421 1.222 1.551
11 58 24 50 12 0 48 79 22 72 120
2 4 6 8 1 0 7 2 1 0 32
2 4 1 9
506 1.336 181 1.705
434 1.215 169 2.119
13 35 0 116
310 363 104 1.141
1 7 1 30
1 0 0 3
193
49.575 53.495
2.198
17.920
763
79
Detenuti italiani + stranieri presenti per posizione giuridica al 31 marzo 2016 Regione di detenzione
In attesa 1° giudizio
Appellanti
Ricorre nti
Totale non definitivi
Condannati definitivi
Internati in ex OPG
Case di lavoro colonie
Totale
Abbruzzo
176
69
61
169
1251
0
88
1645
Basilicata
36
15
29
53
340
0
0
420
Calabria
538
353
185
608
1406
0
2
2484
1359
846
566
1757
3598
13
8
6390
Emilia Romagna
490
240
256
557
1936
5
67
2994
Friuli Venezia Giulia
119
52
29
94
405
0
0
589
Lazio
950
730
433
1298
3555
0
2
5670
Liguria
282
100
90
221
916
0
1
1389
1209
603
561
1287
5506
0
2
7891
Marche
133
52
41
104
665
0
0
891
Molise
19
8
19
30
256
0
0
302
Piemonte
546
230
196
488
2634
0
3
3609
Puglia
757
231
150
479
1930
0
5
3073
Sardegna
177
73
58
155
1706
0
22
2036
1326
649
383
1182
3194
31
34
6799
432
257
146
446
2422
35
3
3741
59
42
19
70
305
0
0
495
118
58
57
146
951
0
0
1330
6
3
12
18
145
0
0
184
342
165
81
275
1459
0
43
2365
9074
4776
3372
9440
34580
84
280
61606
Campania
Lombardia
Sicilia Toscana Trentino Alto Adige Umbria Val D’Aosta Veneto Totale italiani + stranieri
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Lo Lo Zoo Zoo di di 105 105
L
a storia dell'autoscuola Cassanese, una delle prime licenze di autoscuola rilasciate in provincia di Varese, inizia negli anni '60. Nel corso degli anni si sono avvicendate tre diverse proprietà, ma è con quella attuale che si è arrivati ad ampliare l'offerta, aggiungendo i corsi a quelli necessari anche per conse-
guire patenti C, D, ed E -le cosiddette "patenti superiori"-. La presenza sul territorio da così tanti anni fa sì che le persone formate dall'autoscuola Cassanese siano moltissime, non solo di Cassano Magnago ma anche dei paesi limitrofi. Negli ultimi anni ci sono state molte variazioni volute dalla Comunità Europea sulle categorie di patenti, "costringendo" le autoscuole ad ampliare notevolmente i propri parchi veicolari. Il patentino del ciclomotore è diventato una patente vera e propria, categoria AM. Alla classica patente B sono state affiancate la B1 (per quadricicli non leggeri, conseguibile a 16 anni) e la B96 (per veicoli a rimorchio con massa totale del complesso fino a 4250 kg). Sono nate inoltre la C1, la D1, la C1E, e le Carte di Qualificazione Conducenti (CQC) per i trasporti professionali di merci e di persone.
Corso XX Settembre, 14 21052 Busto Arsizio (Varese) tel 0331 1551990 L'Ottica Gallazzi è stata fondata dal Sig Nicola Davide Gallazzi, esperto operatore nel settore dell'Ottica, specializzato in Ottica Pediatrica e in Contattologia. La nuovissima realtà ha come unico obiettivo quello di stupire il cliente, proponendo sempre novità sia nelle tendenze moda del momento, sia ricercando prodotti difficili ed impossibili da trovare sul mercato, ma soprattutto nel settore tecnologico ed innovativo. Veniteci a trovare: cortesia, gentilezza e professionalità saranno al Vostro servizio