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VoceLibera 29 gennaio 2016 - Anno 2° Numero 1

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Magazine dalla Casa Circondariale di Busto Arsizio

La finestra sul cortile

Condannati a convivere con la morte La finestra sul cortile Convivere con la morte

Braccialetto

Misterioso oggetto del desiderio

Tatuaggi, storie di crimine Ogni disegno è un marchio indelebile, testimonianza di un patto eterno col male


Seconda di copertina– pagina intera


In questo numero L’editoriale

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Sommario

di Federico Corona

L'ipocrisia della memoria

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ettantuno anni fa le truppe sovietiche dell'Armata Rossa liberarono Auschwitz dai nazisti, mettendo la parola fine a uno dei periodi più atroci della storia dell'umanità. Oggi, quell'orrore, vuole essere giustamente ricordato, condannato, portato alla memoria di noi tutti perché serva da stimolo alla civiltà, alla tolleranza, alla formazione di una società libera e laica. Eppure, nonostante le numerose iniziative culturali, eventi, e viaggi della memoria come quello organizzato dall'associazione Deina insieme con molti comitati Arci, che vedrà 1300 giovani visitare Cracovia, il ghetto ebraico, la fabbrica di Schindler e i campi di concentramento, nonostante le testimonianze di quei sopravvissuti nei cui occhi c'è ancora traccia di terrore, una nuvola di ipocrisia sembra avvolgere il ricordo della Shoah. O il genocidio armeno, o i massacri in Bosnia, o l'eccidio in Ruanda. Basta guardarsi attorno, leggere i giornali, informarsi, per rendersi conto di quante discriminazioni, ancora oggi, colpiscano le categorie più deboli della nostra società; per accorgersi che l'oppressione non è stata spazzata via dalla vergogna che l'Olocausto e tutti gli altri crimini vergognosi dovrebbero sedimentare nelle nostre coscienze. Per intuire come antisemitismo, xenofobia, intolleranza siano ancora sentimenti vivi e pulsanti, che trovano manifestazione nelle più svariate forme. Basti assistere al crescente odio verso Israele che tra i tedeschi – ma anche noi italiani non siamo da meno – registra ancora numeri inquietanti. O è sufficiente osservare le reazioni di alcuni paesi alla gestione dei flussi migratori di uomini, donne, anziani e bambini che sfidano il Mediterraneo o camminano per migliaia di chilometri per fuggire dalla morte, dalla persecuzione e dalla povertà. Il 26 gennaio, proprio alla vigilia della Giornata della Memoria, la Danimarca ha lanciato un messaggio preoccupante al resto d'Europa. Segue a pagina 33

Rimedi risarcitori: secondo la Suprema Corte non è richiesta “l’attualità del pregiudizio” per ottenere lo sconto di pena Pagg. 4 e 5

Braccialetti introvabili: e intanto chi ottiene gli arresti domiciliari non può uscire dal carcere

Pag. 15

Morire dal ridere

L’autoironia non è uno scherzo

Pag. 17

Gratuito patrocinio una spesa di civiltà

Pag. 24

Aria nuova a Busto Arsizio Cambiamenti e prospettive

Pagg. 30,31


Diritto & Rovescio

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Rimedi risarcitori: la Corte di Cassazione estende retroattivamente gli effetti della sentenza Cedu Molti non conoscono i propri diritti, non sanno come arrivare al ricorso e vedersi riconoscere la riduzione di pena dovuta per il trattamento inumano destinata a fare giurisprudenza la sentenza con la quale la Cassazione ha accolto il ricorso di un albanese rinchiuso a Foggia, che aveva chiesto la riduzione della pena pochi giorni dopo essere stato spostato in una cella a norma. Il detenuto aveva chiesto al magistrato di sorveglianza la riduzione della pena da espiare, tenendo conto della permanenza per cinque anni in una cella piccola “senza lo spazio di movimento necessario e in condizioni inumane”. Nel novembre 2014 il magistrato di sorveglianza aveva dichiarato inammissibile la richiesta. La ragione? L’istanza non era ‘attuale’ al momento della richiesta, perché pochi giorni prima di presentare ricorso l’albanese era stato spostato in una cella a norma. Il detenuto ha presentato ricorso in Cassazione che, con la sentenza 46966, ha esteso gli effetti della sentenza Torreggiani. Si tratta della storica sentenza con la quale l’8 gennaio 2013 la Cedu ha condannato l’Italia a risarcire sette ricorrenti per il trattamento disumano e degradante subito in istituti penitenziari italiani. Si parla di somme comprese tra i 10.600 e i 23.500 euro (quest’ultima cifra per un periodo di detenzione di tre anni e tre mesi). I rimedi dello sconto di pena o del risarcimento di 8 euro sono stati introdotti con norme del 2013 e 2014 proprio dopo la sentenza della Cedu. Secondo la Suprema

È

Corte, nulla autorizza a ritenere che le caratteristiche di “gravità e attualità” del pregiudizio “costituiscano presupposto essenziale per accedere al rimedio risarcitorio compensativo”. Così è stato accolto il ricorso del ricorrente ed è stato annullato senza rinvio il decreto che gli negava lo sconto. Ora tutti gli atti tornano al magistrato di sorveglianza di Foggia perché

“tortura”; secondo altri magistrati, invece, “l’attualità del pregiudizio” rappresentava una questione dalla quale dipendeva l’ammissibilità della richiesta di risarcimento. E i costi per lo Stato con migliaia di ricorsi pendenti davanti a magistrati di sorveglianza e giudici civili? Un calcolo impossibile da fare, perché bisogna tenere

faccia i calcoli dei giorni di carcere da sottrarre alla condanna. Un verdetto coerente. È giusto risarcire un detenuto che ha vissuto in condizioni incivili, rispetto alle quali l’eventuale esborso di 8 euro sarebbe una miseria, un insulto alla dignità della persona. Ma soprattutto non era comprensibile la diversa interpretazione della norma che veniva data dagli uffici di sorveglianza: secondo alcuni uffici di Sorveglianza, infatti, il rimedio andava applicato indipendentemente dal fatto che, nel frattempo, il detenuto fosse stato spostato in una cella “vivibile”, trattandosi di risarcimento del danno patito durante la permanenza in carcere in condizioni di

conto dei giorni di pena per ciascun detenuto, ma anche del fatto che in molti non conoscono i propri diritti e non arrivano al ricorso. È proprio questo che caratterizza l’inciviltà del nostro Paese: il rimedio non è accessibile, pertanto non c’è certezza. Attualmente sono 4mila i ricorsi presentati; all’Italia conviene attenersi a quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo, per non dover poi pagare milioni e milioni di euro per le condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo. Subito dopo le sentenze della Cedu, in Italia la magistratura di sorveglianza si era spaccata proprio sull’interpretazione del termine

‘attualità’ del pregiudizio. Molti magistrati respingevano i ricorsi. La posizione dell’Anm è chiara: il rimedio risarcitorio deve essere applicato anche retroattivamente, se non altro perché altrimenti si rischia di incorrere nelle condanne della Corte Europea. Un cambio di rotta dovuto evidentemente anche alle diverse condizioni delle carceri sotto il profilo del sovraffollamento: nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, il risarcimento è rappresentato dallo sconto di pena e non dagli 8 euro destinati a chi è già libero, che sono comunque sempre meno dei risarcimenti imposti dall’Europa. Secondo il presidente dell’Unione Camere Penali italiane, questa sentenza della Corte di Cassazione ha applicato un principio corretto sottolineando ancora una volta la necessità di seguire i dettami dell’articolo 27 della Costituzione, che parla della funzione educativa del carcere. La corsa alle richieste risarcitorie potrebbe costare molto allo Stato. Claudio Bottan


Diritto & Rovescio

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In questo caso le misure non contano: per la Corte Europea non è solo una questione di centimetri Sono molteplici i fattori che determinano la violazione dell’art. 3 che proibisce la tortura

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ebbene il criterio indicato dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradati (organismo istituito in seno al Consiglio d’Europa in virtù della Convenzione europea per la prevenzione della tortura o delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ratificata dall’Italia con Legge 2 gennaio 1989, n. 7) nel 2° rapporto generale del 13.04.1991 faccia riferimento ad uno spazio di almeno 7 mq., inteso come superficie minima “desiderabile” per una cella di detenzione, tuttavia la Corte di Strasburgo ha ritenuto che il parametro di 3 mq. debba essere ritenuto il minimo consentito al di sotto del quale si avrebbe violazione “flagrante” dell’art. 3 della Convenzione e dunque, per ciò solo, “trattamento disumano e degradante”, indipendentemente cioè dalle altre condizioni di vita detentiva (afferenti in particolare le ore d’aria disponibili o le ore di socialità, l’apertura delle porte della cella, la quantità di luce e aria dalle finestre, il regime trattamentale effettivamente praticato in istituto). Si consideri che la stessa Corte aveva ed ha ben presente la condizione detentiva

italiana, fatta oggetto di numerose pronunce, e pertanto non poteva non considerare la natura di mera “camera di pernottamento” attribuito dalla legge italiana alla cella in cui, viceversa, si svolgeva e si svolge, seppure ultimamente solo in parte, la quotidiana vita del detenuto e ciononostante ha ritenuto non derogabile, al ribasso, il limite “minimo” di 3 mq. In altre parole, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, oggi espressamente richiamata nel concetto di “gravità” dal comma 1 dell’art. 35 ter, ha stabilito che ancorché il detenuto, per assurdo, trascorra le sole ore dedicate al sonno nella camera, non può disporre di uno spazio comunque inferiore a 3 mq. Se è vero che il 1° comma dell’art. 6 0.P. si limita a prevedere che i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di “ampiezza sufficiente”, è anche vero che esiste dunque uno spazio vitale minimo al di sotto del quale la giurisprudenza della CEDU ravvisa la patente violazione dell’art. 3 della Convenzione ratificata in Italia con legge 4 agosto 1955, n° 848. Solo poche settimane fa la Corte dei Conti ha diffuso la

relazione che certifica un vero flop della politica carceraria degli ultimi governi. Basti pensare che i commissari straordinari che dal 2010 al 2014 hanno gestito il piano carceri hanno speso poco più di 52 milioni a fronte di una dotazione di 462 milioni e 769mila euro. E che gli interventi immobiliari finanziati dallo Stato, hanno realizzato solo 4.415 posti detentivi invece degli 11.934 previsti. Oltre 52mila persone oggi sono rinchiuse in 202 istituti di pena. Anche se i problemi non sono del tutto risolti il periodo buio dell’Italia per quanto riguarda il sovraffollamento delle carceri è stato quello del triennio 2010 -2013. Solo in quegli anni

oltre 4mila detenuti si sono rivolti alla Corte europea, dunque migliaia di casi partono da lontano. Chi è già libero, per ottenere il risarcimento dovrà rivolgersi al tribunale civile, con ulteriore aggravio di costi. Claudio Bottan

Reclusi: ma quanti siamo ? In Lombardia: 7.675 di cui stranieri: 3.528 di cui donne: 373 Capienza regolamentare degli istituti: 6.133 Detenuti presenti oltre la capienza regolamentare: 1.542 detenuti presenti al 31.12.2015

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Fonte: Dap

Capienza regolamentare istituti italiani: 49.605 posti, di cui 4.500 circa sono inagibili


Approfondimento

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Quei braccialetti preziosi, in edizione limitata La lista d’attesa è lunga. Sono già costati oltre cento milioni di euro ma sono introvabili, a scapito di coloro che potrebbero beneficiarne lasciando il carcere

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utti -o quasi- sono convinti che il carcere debba essere la soluzione estrema. Ma senza braccialetto elettronico le persone poste ai domiciliari non potranno più essere sorvegliate elettronicamente. Saranno soltanto sottoposte a controlli a sorpresa delle forze dell'ordine. Il rischio è dunque che l'arrestato possa fuggire o riprendere la lucrosa attività di traffico di stupefacenti o peggio, se ha compiuto reati violenti, che possa ancora fare del male. Il braccialetto elettronico, che funziona benissimo in molti Paesi, in Italia ha una storia davvero sfortunata. È uno strumento elettronico che si applica alla caviglia. È impermeabile e quindi permette alla persona che lo indossa di lavarsi senza problemi. Sopporta temperature fino a 70 gradi e trazioni fino a 40 chili prima di rompersi. È collegato alla centrale operativa delle forze dell'ordine incaricate del controllo del soggetto e segnala in tempo reale la rottura dell'apparecchio e l'allontanamento della persona dal domicilio. Può essere applicato non solo agli arrestati e ai detenuti ma anche alle persone colpite dall'allontanamento dalla casa familiare, per esempio mariti o padri violenti, che in tal modo potrebbero essere fermati tempestivamente se si avvicinassero alle vittime. Esiste, ma non ne parla più nessuno: eppure il braccialetto elettronico da tre lustri veniva annunciato, da un governo sì e dall'altro pure, come panacea al sovraffollamento carcerario e garanzia di sicurezza per la collettività. Sta andando così? La partenza è stata a rilento, dal 2001 soltanto 14 applicazioni fino a tutto il 2011. Un po' poca per un investimento di 11 milioni di euro l'anno, non a caso tacciato allora dalla Corte dei Conti di <<reiterata spese antieconomica e inefficace>>, e stroncato dal lapidario giudizio dall'allora vice capo dalla Polizia in Commissione Giustizia: <<Se fossimo andati da Bulgari avremmo speso meno>>.

La Corte dei Conti ha riferito che al 31 dicembre 2011 i braccialetti attivati erano appena 14, mentre il Ministero aveva già speso 81,3 milioni. Un po' per vergogna, un po' perché incombevano le censure europee sullo stato delle nostre carceri, i governi hanno da allora cercato di incentivare l'uso dei 2000 braccialetti disponibili in tutta Italia. Poi, però, a fine del 2013 è stato imposto per legge che il braccialetto diventasse lo standard per gli arresti domiciliari, eventualmente con obbligo per il giudice di motivare la non indispensabilità. Ma, al solito, i nobili propositi si sono scontrati con la più prosai-

Telecom dal 2001 al 2011 per l’utilizzo, in via di sperimentazione, dei primi 114 braccialetti. Ma in questo decennio sono stati pochissimi quelli effettivamente utilizzati. L’attuale contratto di fornitura non prevede peraltro la possibilità dell’aumento del numero di dispositivi da parte di Telecom. Occorrerebbe dunque rifare nuovamente l’appalto milionario. Ad oggi, tale gara non è stata ancora indetta ed il plafond di strumenti a disposizione rimane quello del tutto insufficiente delle 2.000 unità. Il vecchio e travagliato contratto del Ministero degli Interni con Telecom, scaduto e in attesa eterna di riproposizione della

Il Vice Capo della Polizia alla Commissione Giustizia: “Se fossimo andati da Bulgari avremmo speso meno” ca telenovela legislativo-economica attorno a questi strumenti. Da allora c'è stato uno sforzo per superare il deficit di informazione che ne limitava l'utilizzo. Gli apparecchi complessivi attualmente a disposizione sono circa 2000 e costano allo Stato italiano 11 milioni di euro l’anno (5.500 euro l’uno), versati a Telecom Italia (fornitore unico, senza gara d’appalto), a cui vanno aggiunti gli 80 milioni di euro, versati sempre a

gara, assicura infatti la fornitura di soli 2.000 braccialetti che, una volta esauriti, hanno prodotto in Italia tre alternative a macchia di leopardo. In alcuni uffici giudiziari, infatti, l'applicazione del braccialetto era stata di fatto momentaneamente sospesa, e dunque le persone poste ai domiciliari dai giudici non venivano più monitorati elettronicamente, ma solo (come prima) dagli estemporanei controlli delle obera-


Approfondimento

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Gli avvocati delle Camere Penali chiedono che si diffonda l'uso del bracciale elettronico al posto della detenzione in carcere te forze dell'ordine. In altri uffici i giudici avevano preso a negare gli arresti domiciliari in assenza di braccialetti disponibili, ma questo orientamento è stato bocciato dalla Cassazione, che ha ricordato come, se non esistono più esigenze cautelari per tenere in carcere una persona, non la si può lasciare in cella solo per una manchevolezza dello Stato. E allora nella maggior parte dei casi ci si è attrezzati pazientemente per una terza via, e cioè per il "riciclo", invece che dei regali di Natale, dei braccialetti a "numero chiuso": si aspetta che una persona finisca gli arresti domiciliari con il braccialetto, e si corre a prenotarlo (sempre uno degli stessi 2.000 dispositivi) per dirottarlo subito su altri in attesa. Si spiega così il fatto che in questo momento ci sia una lista d'attesa di circa 70 giorni per eseguire 507 ordinanze già firmate dai giudici. Dal 2014 sono state 6.483 le persone ammesse ai domiciliari con sorveglianza elettronica, e, pur nella ristrettezza dei soli 2.000 braccialetti disponibili, avrebbero potuto essere già di più se in 1.165 casi l'apparecchiatura non fosse stata impossibile da attivare per problemi del domicilio del detenuto (occorre, infatti, la disponibilità di una linea telefonica fissa). Come conseguenza, da luglio 2015 in avanti le persone poste ai domiciliari dai giudici non sono più controllate elettronicamente, ma solo monitorate dalle forze dell'ordine casa per casa. Con l’utilizzo del braccialetto, sinora è come se già si fossero risparmiati ben 1 milione e 131.000 giorni di carcere ponendo le persone agli arresti presso il domicilio, evitando così i costi di mantenimento della detenzione in cella e di pattugliamento fisico dei domiciliari.

L’Unione Camere Penali Italiane, con il suo Osservatorio Carcere, ha avviato dalla fine del 2014 un’attività di monitoraggio, in tutti i Tribunali italiani, delle problematiche relative alla detenzione in Italia. Grazie all’impegno dei referenti di ciascuna Camera Penale territoriale, si è ottenuto un quadro preciso sull’applicazione delle norme in materia di esecuzione penale. Così sono stati raccolti, studiati ed analizzati i dati relativi a una serie di questioni. E, tra le altre, all’applicazione delle norme (si tratta dell’articolo 275-bis c.p.p. e dell’articolo 58-quinques dell’Ordinamento penitenziario) in tema di sorveglianza elettronica, cioè dell’utilizzo dei cosiddetti braccialetti elettronici. All’esito del proprio studio statistico l’Osservatorio Carcere UCPI rileva innanzitutto come anche in questo settore (come del resto già riscontrato in materia di studio sulle misure alternative o sull’applicazione dell’art. 35-ter O.P.) le cattive prassi applicative finiscano per azzerare i principi posti a base delle riforme, generando uno spreco immotivato. Spreco che risulta ancor più rilevante in considerazione dello stato di continuo sovraffollamento delle carceri come problema di garanzia di diritti civili all'attenzione anche dell'Unione Europea, rimanendo uno strumento inutilizzato che avrebbe potuto contribuire a ridurlo. È necessario rendere effettivo questo strumento, ma bisogna impiegare nuove risorse. Ci sono casi di detenuti che, dopo essere stati posti ai domiciliari con il braccialetto, sono rimasti in carcere per mesi perché il dispositivo non era reperibile. Ne servirebbero, secondo i legali, almeno 5mila. I numeri raccontano che ogni detenuto costa allo Stato

2.000 braccialetti attualmente in uso 70 giorni l’attesa media per il braccialetto 1.131.000 giorni di carcere risparmiati dall’avvio della sperimentazione 11 milioni il canone annuo pagato a Telecom

circa 130 euro al giorno, e questo strumento consentirebbe risparmi, meno sovraffollamento in carcere, sollevando le forze dell'ordine dai controlli "a casa" degli arrestati. Cosmo Di Biase

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a Cassazione non sempre ha dato seguito a due sentenze con le quali ha affermato che la scarcerazione del detenuto , giudicato idoneo ai domiciliari, non può essere subordinata alla disponibilità del braccialetto. Con la sentenza 842 del 12.01.2016, la Corte Suprema torna sull’obbligo di motivare il no alla sostituzione della misura carceraria con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari con le procedure di controllo elettronico, chiarendo che anche il giudice dell’Appello cautelare ha il dovere di spiegare la sua scelta

Dall’inizio del contratto con Telecom sono stati già spesi 110 milioni di euro

fabbisogno: secondo l’Unione Camere Penali servono almeno 5.000 braccialetti per far fronte alle esigenze 130 euro al giorno il costo di un detenuto


L’antifavola

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Carta vince, carta perde I collaboratori di giustizia sono gestiti da uomini. Che possono anche sbagliare, in buona fede, e mettere a rischio delle vite

C’

è stato un lungo periodo di emergenza -nemmeno tanto lontano- in cui nelle carceri italiane regnava il caos totale. Il sovraffollamento, la carenza di personale e la cronica mancanza di fondi causavano problemi di ogni sorta: non solo spazi ridotti, ma anche cibo che scarseggiava, riscaldamento al minimo e carenze di ogni genere, dalla carta igienica all’assistenza sanitaria alla semplice carta per le fotocopie. Ho vissuto quel lungo periodo in un penitenziario del Nord-Est, il nome ha poca importanza. L’istituto era dotato di un reparto “protetti” ove erano custoditi collaboratori di giustizia provenienti da ogni par-

precedente destinazione di contenitore di cattive ragazze, la struttura aveva conservato una parvenza di vivibilità fatta di poche celle singole ed ampie, che si affacciavano su terrazzini dove era stesa la biancheria ad asciugare. I ben informati raccontavano della presenza di televisori di ultima generazione, frigorifero, play station e computer ad alleviare le giornate dei “pentiti”. Un fatto è certo: mentre i detenuti comuni trascorrevano 23 ore al giorno chiusi nel lordume di celle che parevano allevamenti per maiali, i collaboratori si annoiavano nel giardino antistante la palazzina, seduti al tavolino a giocare a carte sotto l’ombrellone oppure-come

te d’Italia. Personaggi di elevato spessore criminale che, per spontanea rivisitazione critica o per cinica convenienza, avevano scelto di collaborare con la magistratura facendo luce su inchieste scottanti. Era frequente l’atterraggio di elicotteri, a qualsiasi ora del giorno o della notte, che si posavano sul campo sportivo, ovviamente inutilizzato dai comuni galeotti. Li potevamo intravedere affacciandoci alla finestra del terzo piano; dopo essere saliti al terzo piano del letto a castello si riusciva a guardare oltre il muro di cinta che proteggeva la loro palazzina, che originariamente era destinata al reparto femminile. Della

mi è capitato di vedere– a cucinarsi la grigliata al barbecue appositamente costruito. Una disparità di trattamento che alimentava l’odio nei confronti degli “infami”, ai quali correva voce che venisse corrisposto un lauto stipendio mensile per la loro collaborazione oltre a consentire l’uso del telefono cellulare. Una mattina è accaduto l’imprevedibile, l’errore umano che ha vanificato ogni cautela adottata dall’istituzione per preservare l’incolumità dei collaboratori di giustizia e non mettere a rischio quella dei familiari. Quel giorno era venuto a farmi visita il mio avvocato e, una volta che ci siamo accomodati

nell’apposita stanza per il colloquio, si è accorto di non avere con sé il block notes e la penna per prendere appunti sulle questioni da discutere. Così si è rivolto all’agente in servizio alla porta d’accesso e ha chiesto se poteva avere dei fogli di carta ed una penna. In quel periodo chiedere della carta pareva un’eresia, mancavano anche i fogli per le stampanti e per le fotocopiatrici oltre a tutto il resto, così l’avvocato si è visto rifilare dei fogli riciclati. In sostanza si trattava di stampe o fotocopie inutilizzate che potevano essere usate sul retro. Con nostro stupore, ci siamo accorti che i fogli riciclati non erano documenti qualsiasi: si trattava dell’elenco dei collaboratori di giustizia presenti nell’apposito reparto, completo degli indirizzi delle abitazioni protette e “segrete” in cui erano stati trasferiti i familiari. Dalla stampa che avevamo tra le mani si intuiva che era una copia dell’ordine di servizio che prevedeva l’accompagnamento dei familiari ai colloqui, con indicazione dell’orario e della targa del mezzo “blindato” che sarebbe andato a prelevarli per accompagnarli in carcere seguiti da un mezzo di scorta. Parlare di sconcerto è un eufemismo. Mi limiterò a constatare che quando regna il caos dovuto a carenza di risorse, di mezzi e di uomini, anche la sicurezza delle persone è a rischio e nessuno può dirsi protetto. Nemmeno chi prende appunti sul retro di fogli riciclati, se ha la malaugurata idea di far notare “la leggerezza” compiuta dal passacarte. Qui lo dico e qui lo nego, sia chiaro. Non vorrei dovermene pentire. Elzevier


Le voci di dentro

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La satira? Piace solo se è addomesticata Dopo “Guardie e ladri” tutti solidali con la redazione, poi cominciano i distinguo. Riflettiamo su noi stessi (ma ci viene da ridere) e proseguiamo

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’è stato un vero e proprio tira e molla in redazione Il personaggio Mattarella è stato subito identificato: <<E’ per stabilire se era il caso o meno di scrivere un arti- lui>>, hanno commentato, è uguale al nostro Presidente, magari colo sui nostri custodi (gli agenti penitenziari). Ab- un po’ più giovane. biamo scritto e riscritto, utilizzando formule sempre diverse per Nel prossimo articolo includeremo anche Lino Banfi, che ci cercare di non intaccare la suscettibilità e gli equilibri tra noi deve scusare per la dimenticanza. detenuti ed il Corpo, ma soprattutto per trovare la forma più consona per affrontare il delicato argomento. Ci sono voluti Vittorio Romano circa tre mesi per completare l’impresa, coinvolgendo anche gli educatori e cercando di trovare consensi tra gli agenti che frequentano la redazione. Abbiamo provato ad agire con equilibrio, senza mai farci prendere la mano; ci siamo dimenticati delle antiche contrapposizioni tra divise e delinquenti, limitandoci a fungere da Il numero di dicembre 2015 di VoceLibera cronisti, osservatori della realtà che ci circonda. Quando sembrava che il risultato fosse in linea con le nostre aspettative, abbiamo creduto di aver colpito nel segno; finalmente avevamo trovato il punto di equilibrio tra due realtà contrapposte: “Guardie e Ladri”, che finalmente avvertono il cambiamento e si stringono la mano per annunciare una nuova epoca. Uno stravolgimento in positivo nella storia delle carceri. Le reazioni non si sono fatte attendere. Forse il carcere non è ancora pronto a vedersi obiettivo della satira. L’edizione speciale di dicembre ha cominciato a girare -tra l’altro– anche nelle sezioni e nei vari uffici del carcere. Gli agenti hanno letto e commentato gli articoli; ognuno ha avuto modo di apprezzare o criticare il contenuto degli articoli e si sono formati inevitabilmente schieramenti opposti. Una parte di loro non nasconde entusiasmo e apprezzamento complimentandosi con i redattori; un’altra sembra risentita, quasi come se avessimo violato un confine. Quelli dotati di sufficiente sense of humor, hanno fatto a gara per scoprire chi si celasse dietro soprannomi estrosi come “Tavernello”, “Genny ‘a carogna” e “Big Gim”, anche se non era difficile intuirlo. Ma quello che ha destato più curiosità è stato “Formaggino”: si è aperta la caccia al fantasma con le più svariate ipotesi sulla sua reale identità. Qualcuno ha provato ad interrogarci cercando di carpire qualche indizio, ma non c’è stato nulla da fare: abbiamo mantenuto il segreto professionale. Altri sono curiosi di sapere quale sia il proprio nickname. Non averne uno significa rimanere nell’anonimato, nell’indifferenza generale. Significa non essere stati presi in considerazione, e questo può causare crisi d’identità. È come il calciatore che non ha la figurina nell’album Panini.


Viaggiando in sezione

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Il bambino che ha dovuto diventare uomo da solo Un giorno prese coraggio, usci di casa ed iniziò ad affrontare la dura realtà

C

i sono storie di persone che restano inevitabilmente impresse nelle nostre menti. Sono il risultato del disagio sociale e dell'emarginazione. La storia di Moustafà è un esempio pratico della mancata integrazione di una stragrande maggioranza di stranieri che vivono nel nostro Paese. Il nostro compagno egiziano, ci accoglie nella sua cella tutte le volte con un grande sorriso e non perde mai l'occasione di raccontare le vicende della sua vita. La sua è la storia di un ragazzino diventato subito uomo: per necessità è stato costretto suo malgrado a bruciare le tappe della sua giovinezza. Si è trovato troppo presto ad affrontare un'esistenza complicata e di difficile integrazione, a convivere con il pericolo e a dover fare i conti con la solitudine. Aveva soltanto 10 anni quando insieme al padre inizia il suo viaggio verso l'Italia, - <<Andiamo incontro ad una vita migliore>> - gli diceva il genitore. Scelsero Milano come destinazione e suo padre comperò immediatamente un alloggio per dargli un tetto sicuro. Ma il

genitore di Moustafà, ben presto decise di lasciare l’Italia, lasciando la casa al figlio che sarebbe rimasto a Milano. Lo affidò ad un tutore provvisorio che gli assicurava assistenza quotidiana. Ma ben presto la presenza di questa persona si fece sempre più rara e il ragazzo inevitabilmente fu abbandonato al suo destino. Dovette arrangiarsi da solo e non riusciva a capire per quale motivo un genitore potesse abbandonare un figlio in quel modo. Un'età difficile per affrontare da solo le insidie della vita; non conosceva bene la lingua ed era costretto a vivere di stenti. L'unica soluzione possibile, era quella di affrontare le cose con coraggio e determinazione. Incontrò una persona che approfittando della sua particolare condizione e della sua giovane età - pensò bene di sfruttarlo per i suoi interessi. Non perse tempo e lo mise sulla strada a spacciare. Dalla marijuana alla cocaina il passo fu breve, e Moustafà si ritrovò qualche soldo in tasca che gli permetteva una vita più agiata. Non gli mancava il necessario e il guadagno era facile. Ma la strada del malaffare non era la prospettiva della sua vita, sognava un’esi-

stenza normale, vicino a suo padre, e di poter frequentare la scuola come tutti i ragazzi della sua età. Suo padre tornò in Italia dopo circa un anno, si presentò inaspettatamente in casa dal figlio e subito capì che c'era qualcosa di anomalo. Moustafà, infatti, gli apparse con occhi troppo diversi, era vestito con abiti costosi, la casa arredata fin troppo bene, cibo a volontà, per questo motivo il genitore chiese spiegazioni. Lui rispose: <<Faccio lo spacciatore, cosa vuoi? Tu mi hai abbandonato e io mi sono arrangiato>>. A quella risposta il padre con una reazione violenta lo cacciò fuori di casa e il ragazzo si ritrovò per strada per circa un mese, finché il genitore, risentito e preoccupato, lo andò a cercare riportandolo a casa. Da buon padre cercò di fargli capire che ciò che stava facendo non era giusto e che, se fosse andato avanti cosi, sarebbe finito sicuramente in galera. Ascoltò il genitore e decise di cercarsi un lavoro normale, ma non c'era nessuno disposto ad assumerlo. Ad appena 13 anni, Moustafà si sentiva già un grande peso sulle spalle, era cresciuto fin troppo in fretta per la sua età. A quel punto il padre vol-


Viaggiando in sezione le tornare in Egitto, perciò decise di mettere due connazionali in casa con suo figlio. Subaffittò due posti letto chiedendo 150 euro a persona al mese. Questo per far sì che Moustafà potesse avere un minimo per sopravvivere senza dover tornare sulla strada. Era però impossibile, in una città come Milano, poter vivere con quei pochi soldi e, appena il padre ripartì, Moustafà non esitò e si rimise a spacciare droga. Il carcere arrivò per lui quasi immediatamente. Fu rinchiuso a San Vittore dopo varie denunce. L'avvocato d’ufficio avvisò il padre che arrivò velocemente a Milano per sbrigare le pratiche della liberazione. Riuscì nell'intento, e dopo sei mesi gli furono concessi gli arresti domiciliari. Ma il ragazzo non aveva nessuna intenzione di rispettare le restrizioni imposte, e dopo circa una settimana tornò per strada a spacciare. Riacciuffato gli hanno comminato una pena di due anni e cinque mesi. Ma Moustafà non perde la speranza e continua a sognare una vita normale, un lavoro onesto e una famiglia. Appena sarà fuori, ci chiediamo se avrà la forza di voltare pagina, oppure

VL - Pg.11 seguirà ancora la strada del malaffare. Bella domanda; questo in teoria dovrebbero chiederselo anche le istituzioni. Una volta scontata la pena Moustafà si ritroverà nuovamente da solo, senza una famiglia che lo accudisca, senza amici, senza qualcuno fuori che lo possa guidare ed offrirgli un lavoro. Basterebbe poco per dargli lo stimolo e la giusta dignità che gli permetta di non ripetere l'esperienza amara conclusasi con la galera. Basterebbe una vita decente e dignitosa, per avere la forza di abbandonare le sue vecchie amicizie e tornare a sorridere, cosa che non fa da tanto, troppo tempo.

Marco Terreni

Allarme sul ritorno delle frontiere in Europa: se salta Schengen danni per 3 miliardi all’anno. Sono 1,7 milioni i lavoratori che attraversano ogni giorno i confini di un Paese Europeo. 4 milioni ogni anno i viaggi d’affari all’interno dei confini d’Europa

INSERZIONE MEZZA PAGINA


INSERZIONE PAGINA INTERA INTERNA


L’IMPORTANTE E’ LAVARSI E MANTENERE L’IGIENE Sapone e candeggina, sapone e candeggina, ma anche candeggina sola o sapone solo, acqua calda e spugna questo è un testo pulito

T

utti -o quasi- sono convinti che il carcere debba essere la soluzione estrema. Ma senza braccialetto elettronico le persone poste ai domiciliari non potranno più essere sorvegliate elettronicamente. Saranno soltanto sottoposte a controlli a sorpresa delle forze dell'ordine. Il rischio è dunque che l'arrestato possa fuggire o riprendere la lucrosa attività di traffico di stupefacenti o peggio, se ha compiuto reati violenti, che possa ancora fare del male. Il braccialetto elettronico, che funziona benissimo in molti Paesi, in Italia ha una storia davvero sfortunata. È uno strumento elettronico che si applica alla caviglia. È impermeabile e quindi permette alla persona che lo indossa di lavarsi senza problemi. Sopporta temperature fino a 70 gradi e trazioni fino a 40 chili prima di rompersi. È collegato alla centrale operativa delle forze dell'ordine incaricate del controllo del soggetto e segnala in tempo reale la rottura dell'apparecchio e l'allontanamento della persona dal domicilio. Può essere applicato non solo agli arrestati e ai detenuti ma anche alle persone colpite dall'allontanamento dalla casa familiare, per esempio mariti o padri violenti, che in tal modo potrebbero essere fermati tempestivamente se si avvicinassero alle vittime. Esiste, ma non ne parla più nessuno: eppure il braccialetto elettronico da tre lustri veniva annunciato, da un governo sì e dall'altro pure, come panacea al sovraffollamento carcerario e garanzia di sicurezza per la collettività. Sta andando così? La partenza è stata a rilento, dal 2001 soltanto 14 applicazioni fino a tutto il 2011. Un po' poca per un investimento di 11 milioni di euro l'anno, non a caso tacciato allora dalla Corte dei Conti di <<reiterata spese antieconomica e inefficace>>, e stroncato dal lapidario giudizio dall'allora vice capo dalla Polizia in Commissione Giustizia: <<Se fossimo andati da Bulgari avremmo speso meno>>. La Corte dei Conti ha riferito che al 31 dicembre 2011 i braccialetti attivati erano appena 14, mentre il Ministero aveva già speso 81,3 milioni. Un po' per vergogna, un po' perché incombevano le censure europee sullo stato delle nostre carceri, i governi hanno da allora cerca-

to di incentivare l'uso dei 2000 braccialetti disponibili in tutta Italia. Poi, però, a fine del 2013 è stato imposto per legge che il braccialetto diventasse lo standard per gli arresti domiciliari, eventualmente con obbligo per il giudice di motivare la non indispensabilità. Ma, al solito, i nobili propositi si sono scontrati con la più prosaica telenovela legislativo-economica attorno a questi strumenti. Da allora c'è stato uno sforzo per superare il deficit di informazione che ne limitava l'utilizzo. Gli apparecchi complessivi attualmente a disposizione sono circa 2000 e costano allo Stato italiano 11 milioni di euro l’anno (5.500 euro l’uno), versati a

Telecom Italia (fornitore unico, senza gara d’appalto), a cui vanno aggiunti gli 80 milioni di euro, versati sempre a Telecom dal 2001 al 2011 per l’utilizzo, in via di sperimentazione, dei primi 114 braccialetti. Ma in questo decennio sono stati pochissimi quelli effettivamente utilizzati. L’attuale contratto di fornitura non prevede peraltro la possibilità dell’aumento del numero di dispositivi da parte di Telecom. Occorrerebbe dunque rifare nuovamente l’appalto milionario. Ad oggi, tale gara non è stata ancora indetta ed il plafond di strumenti a disposizione rimane quello del tutto insufficiente delle 2.000 unità. Il vecchio e travagliato contratto del Ministero degli Interni con Telecom, scaduto e


tattoo Tatuaggi, amori... e criminali

I

tatuaggi, che vantano un’antica tradizione ricca di significati simbolici e rituali, sono sempre più diffusi. Ma prima di farsi decorare vale la pena meditare bene sulla decisione, perché può essere complicato e costoso tornare indietro. E bisogna anche sapere quali regole vanno seguite per evitare rischi per la salute. Cesare Lombroso, antropologo e criminologo torinese, nel suo saggio del 1876 L’uomo delinquente, scriveva “La pratica del tatuaggio compare solo nelle infime classi sociali… soprattutto tra i delinquenti di cui esso costituisce un nuovo e speciale carattere anatomico-legale”. Nel suo saggio sosteneva inoltre che, in alcuni individui, esistesse una “predisposizione innata” che li portava a commettere crimini e che i delinquenti avessero alcune particolari “anomalie anatomiche e psicologiche” che li rendevano diversi e distinguibili dagli altri uomini e stabili che il tatuaggio era proprio una di quelle “anomalie”. Questa sua teoria è sicuramente responsabile di tanti pregiudizi nei confronti dei tatuaggi che sopravvivono diffusamente ancora oggi, è comunque innegabile che le percentuali di tatuati tra delinquenti e carcerati siano particolarmente alte oggi così come ai tempi di Lombroso. In passato, oltre al tatuaggio volontario dei detenuti è stato molto diffuso anche l’uso di tatuaggi punitivi, che venivano inflitti come punizione corporale e allo stesso tempo producevano un “marchio d’infamia” indelebile sulla pelle, che additava i trasgressori a tutta la società perché venissero emarginati. La “marchiatura giudiziaria” dei criminali è stata praticata in tutto il mondo fino alla fine del XIX sec. quando venne abolita ovunque, salvo essere ripresa nella Germania Nazista. Le organizzazioni criminali, usavano il tatuaggio che in gergo è chiamato “devozione”- sia come segno di appartenenza alla propria organizzazione, che per indicare il grado occupato da ognuno e per manifestare i propri sentimenti d’amore, religiosità, superstizione, odio o per esprimere il proprio eroismo o ricordare date importanti. Alcuni tatuaggi sul dorso delle mani o sulla faccia sono volutamente visibili e indicano il rango, piccoli nei erano segni di bellezza: mentre gli altri più privati venivano tatuati sul torso o sulle braccia. Spesso il risultato di questi auto-tatuaggi è piuttosto rozzo e per farsi fare tatuaggi con un minimo di cura estetica “pe se fa fa’ ‘e signe” si rivolgono ad altri esperti. I tatuaggi più diffusi sono quelli d’amore seguiti da quelli religiosi: i criminali credenti e superstiziosi infatti, prima di commettere un delitto, non mancano


Rodolfo Livi nel suo “Manuale di Antropometria” (Hoepli 1900) scriveva: <<…Sono diverse le ragioni per cui chi “trasgredisce” e, più in generale, chi è rinchiuso si tatua più degli altri. Vi sono tatuaggi che indicano l’appartenenza a una certa organizzazione criminale e il grado occupato nella gerarchia dell’organizzazione e altri che sono propri dei detenuti e indicano il loro stato di reclusione: ad esempio cinque punti disposti come il cinque nei dadi significano “solo tra queste quattro mura” e altri ancora che esprimono amore, libertà, pentimento. Odio, desiderio di vendetta…>>


Bastarda la galera

VL - Pg.14 di farsi tatuare immagini della Madonna, dei santi, croci o altri simboli sacri accompagnati dalle proprie iniziali e di quelle del tatuatore quando l’opera è particolarmente ben riuscita. Sono molto diffusi tra i tatuaggi d’amore i disegni di fiori, vasi di fiori, cuori trafitti, cupidi, accompagnati a volte dal nome dell’amata. Infine molti detenuti sfogano la rabbia e il desiderio di vendetta nei confronti dei compagni traditori, poliziotti o giudici tatuandosi frasi minacciose o spregiative scritte per intero o solo con le iniziali di ogni parola, questo è in genere raro dato che è istinto del malavitoso non concedere mai perdono, anzi una vendetta ben eseguita è considerata meritevole di promozione all’interno della società. Anche i tatuaggi di bellezza, come nei sulla guancia (destra) sono diffusi, o disegni di anelli intorno alle dita o bracciali sul polso. Tra i carcerati campani sono comuni anche i tatuaggi di date considerate importanti: data della scarcerazione, oppure la data di morte di una persona cara. Tra i tatuaggi osceni, reperiti tra i disegni del Lombroso, una figura di Priapo sotto l’ombelico con la scritta “Afferrate chisto”, oppure il disegno di una vagina con la scritta: “Da questa si nasce, con questa si pasce, per questa si muore”. Vi sono poi tatuaggi misti religioso–amorosi come la figura di un cuore trafitto da una spada, sopra cui si trova una croce dalla cui base partono dei raggi. A detta di chi lo porta: il cuore trapassato dalla spada significa amore vivo, sentito, e ogni amore sincero deve portare al matrimonio e questo deve essere celebrato religiosamente, perciò “ci facette fa’ pure ‘a croce’ ”. Il pigmento usato per i tatuaggi era il nerofumo nella maggior parte dei casi, oppure rasura di muro affumicata, polvere da sparo, cinabro o indaco, gli strumenti erano aghi da cucire, spilli o stiletti affilati, gli aghi erano preferiti perché: ‘e pugnature ‘e spingole so’ belenose”. Il tatuatore traccia-

va sulla pelle il disegno da tatuare con un lapis, lo ribatteva ripetutamente con l’ago poi strofinava il pigmento nelle ferite; altri prima sporcavano la pelle di colore e poi la bucavano con l’ago, altri ancora intingevano l’ago nel colore diluito in acqua prima di bucare la pelle. Alcuni poi tracciavano il disegno su un foglio di carta, ne perforavano con un ago i contorni e lo trasferivano sulla pelle cospargendo la carta di nerofumo. A Torino, alla fine dell’Ottocento, fu scoperta una società segreta di assassini i cui adepti si facevano tatuare lo stesso soggetto, un “marchio di appartenenza”: il disegno di due mani che stringono un pugnale da cui cadono gocce di sangue. Ancora oggi nelle carceri il livello di allerta è molto alto rispetto alla pratica dei tatuaggi, proibita e punita con sanzioni disciplinari, per le implicazioni che derivano dal rischio di contagio con aghi infetti. Ma rimane una consuetudine radicata, specialmente tra i più giovani. Ci sono gli specialisti, in grado di costruire l’apparecchiatura necessaria utilizzando il motorino elettrico del lettore Cd o del tagliacapelli, che poi viene collegato alle pile per alimentarlo e montato su una penna munita di ago. Il colore viene preparato facendo bruciare la scorza del formaggio Galbanino fino ad ottenere il nerofumo. I risultati non sempre sono opere d’arte, e non è raro vedere qualcuno esibire orgogliosamente frasi che contengono grossolani errori di calligrafia indelebili. Se si è incostanti in amore, meglio tatuarsi solo ogni 3 - 4 fidanzamenti. Meglio ancora con i tatuaggi di coppia, e se proprio non se ne può fare a meno, farfalle, gabbiani, colombe; ma niente nomi, per carità. Una delle motivazioni principali che spinge gli italiani a chiedere la modifica del tatuaggio, è la presenza del nome del/ della ex. Stanco delle scenate di gelosia della nuova fiamma, il tatuato cede e ricorre al tentativo di rimediare, che non sempre produce risultati accettabili. I colori più difficili da eliminare, secondo una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità sono rosso, bianco e giallo. Rimuovere un tatuaggio non è affatto semplice: ci vuole molto tempo e parecchio denaro e non è detto che si riesca del tutto nell’impresa. Perciò think before you Ink.


Bastarda la galera

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Significato di alcuni tatuaggi presso le carceri italiane dall’inizio del ‘900 Farfalla ad ali spiegate Simbolo della libertà alla quale si tende con l’evasione. In qualche caso testimonia l’avvenuta evasione o un tentativo di essa Aquila reale con ali spiegate e artigli protesi Capacità di saper dominare le circostanze Corona di re Segno di autorità e di comando, di solito accompagna e completa altri disegni Serpente avvinghiato ad una spada Simbolizza una vendetta da compiere. La corona indica la volontà e il potere di adempiere al giuramento fatto. La testa del serpente indica che la vendetta è stata compiuta. Spesso il serpente viene tatuato intorno all’avambraccio che sostiene cosi la spada Pistola Questo tatuaggio dovrebbe indicare la destrezza del soggetto nel maneggio di tale arma e la sua decisione nell’usarla. Frequenti sono anche i tatuaggi di coltelli e pugnali raffigurati spesso conficcati nelle cerni del soggetto Sbarre, pugnale, croce Carcere, vendetta, morte. Il soggetto si trova in carcere per colpa di una persona della quale si vendicherà uccidendola Pugni chiusi, serrati in ceppi uniti da catene Indica che chi lo porta ha fatto almeno

dieci anni di carcere Isola con palma Testimonia la detenzione o l’internamento su di un’isola. Le punte della palma (cinque) simbolizzano i cinque punti della malavita. Il numero dei gabbiani può essere riferito agli anni trascorsi sull’isola Cinque punti della malavita Rappresentazione schematica di un uomo rinchiuso tra quattro mura, detto pure “uomo nel pozzo”. Di solito questo tatuaggio viene fatto sulle mani, tra il pollice e l’indice Tre punti vicino a occhio, orecchio e bocca Significano “non vedo, non sento, non parlo”. Una variante dello stesso tatuaggio è costituita dalla raffigurazione di occhio, bocca, orecchio preceduta dalla scritta “IO NON” Un occhio sul dorso del piede Frequente tra i ladri, l’occhio dovrebbe guidare i piedi nel buio della notte Rosa con spine Segno di affetto per la madre, spesso accompagnato da frasi come: “mamma perdona” Croce del detenuto Tatuaggio frequente tra coloro che sono stati detenuti da minorenni, è spesso il primo tatuaggio ad essere effettuato Mamma vita mia Anche questo simboleggia la detenzione

di un minorenne. A volte vengono scritte solo le iniziali. Alcuni sostengono che sta a significare “mafia” Bilancia della giustizia Tatuaggio abbastanza esplicito sulle convinzioni del soggetto che ne è portatore in merito al concetto di giustizia penale con specifico riferimento al suo caso La redazione


VoceLibera

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Abbiamo bisogno di voi, per crescere e continuare a sognare. Ci siete?

V

oceLibera è una lente di ingrandimento sul grande tema della Giustizia,

in tutte le sue forme, analizzata dal punto di vista di chi vive sulla pro-

pria pelle l'applicazione delle leggi. Attenzione però, perché il fatto che a scrivere di giustizia e detenzione siano persone che hanno un debito con la società non deve essere fuorviante. I contenuti rispettano i canoni e le leggi deontologiche del giornalismo classico, sono frutto di una lucida analisi - dati e

fatti alla mano - di ciò che funziona e ciò che invece potrebbe funzionare meglio. Non è dunque un megafono delle ingiustizie, ma uno strumento che speriamo possa essere utile per accendere i riflettori su tematiche importanti di cui troppo poco spesso si parla e che, è bene ricordarlo, a detta della Costituzione stabiliscono il grado di civiltà di un Paese. VoceLibera è dettagliato: norme vigenti, regolamenti, interviste a figure illustri, approfondimenti sui

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Sarà

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Il riso che riempie lo spirito L’autoironia non è uno scherzo. Roba seria, mica da ridere

M

io padre apre la casella di posta elettronica e chiama tutta la famiglia al rapporto sfavillante di gioia: abbiamo ricevuto una mail dal supermercato, che di recente ha indetto un concorso con in palio auto nuove fiammanti. La nostra macchina sembra sul punto di esalare l’ultimo respiro. Ci farebbe comodo. Oggetto della mail: urgente comunicazione – aprire subito. Non è mai capitato prima, così con il fiato sospeso attendiamo pazientemente che il click riveli il contenuto del messaggio virtuale, mentre papà sente già le chiavi in mano e il tipico odore di nuovo accarezzargli le narici. Infine compare sul monitor: “Dai registri di cassa risulta che signoria vostra abbia acquistato n°3 barattoli di passata di pomodoro prodotti in data. Vi chiediamo cortesemente di riportarli presso il banco clienti al più presto. Potrebbero contenere frammenti e polvere di vetro”. Ci guardiamo, perfettamente consapevoli del fatto di aver utilizzato quella passata settimane fa. Siamo vivi e il nostro apparato gastrico non ha mostrato alcun segno di cedimento, in fondo anche questa è una bella notizia. Dalle stelle alle stalle, ci sentiamo un po’ ridicoli e ci ridiamo su. Una vera risata fa bene, non di quelle studiate per sembrare simpatici (che non fanno altro che infiammare le corde vocali), ma di quelle che ti partono tutt’un tratto dalla pancia senza preavviso e ti esplodono in bocca. Sane. Contagiose. In terza elementare la tanto prodiga insegnante di storia ha sottoposto a me e ai miei compagni il film “Il nome della rosa”, tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco, con scopi didattici quali il conoscere e comprendere l’epoca me-

dioevale. Confesso di ricordare ben poco di monasteri e medioevo mentre ricordo perfettamente uomini sprofondare avvelenati nelle vasche da bagno e persone divorate dalle fiamme (che per altro hanno tormentato i miei sonni per i cinque anni a seguire). In tutto il film non si fa che parlare del “libro del riso”, oggetto incriminato per il quale il perfido omicida decide di mietere vittime tra i compagni frati che osano sbellicarsi dalle risate con quelle pagine in mano. Alla fine del film non avevo minimamente capito il suo significato, persuasa che l’assassino

fosse indispettito dal fatto che la gente leggesse ricette per cucinare il riso. A distanza di anni ho poi capito che il problema fosse un altro: era proibito ridere. Probabilmente da bambina di otto anni quale ero, trovavo talmente assurda una cosa del genere che nemmeno mi ha attraversato l’anticamera del cervello. Ridere è naturale, è il modo con cui alleggeriamo le nostre giornate e gli ambienti potenzialmente ostili. Penso sia capitato a tutti di trovare durante un colloquio di lavoro, un esame o uno scontro verbale, quel piccolo dettaglio, quella parola o quell’ espressione, che rendono la situazione buffa e divertente. Non c’è niente che avvicini e stemperi la tensione come la condivisione dell’ilarità. Anche

durante i litigi fermarsi e provare a guardarsi dall’esterno, vedendo le cose per quelle che sono, aiuta i contendenti a vedersi esagerati e buffi in certi casi, sino a dire “abbiamo litigato proprio per una sciocchezza”. Il professor Lupin in Harry Potter insegna che per vincere le peggiori paure (e parliamoci chiaro, tutti noi ne abbiamo), occorre imparare a vederle da un punto di vista ironico. Nel romanzo si legge del temuto docente con addosso gli indumenti di una vecchia zia, un ragno con i pattini a rotelle, un serpente tramutato in pagliaccio: immagini poco realistiche e infantili ma che rendono l’idea. La risata è un salvagente. Figuracce e momenti imbarazzanti possono essere subito cancellati dalla mente del nostro pubblico grazie all’autoironia e essa stessa ci salva dalla frustrante non riuscita dei nostri obiettivi. Tutti noi vorremmo essere perfetti, eppure ci riscopriamo ogni giorno perdutamente imperfetti. Come sopravvivere se non ridendoci sopra? Sara Arrigoni


Foto news

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Il giro del mondo attraverso le immagini più significative dell’ultimo periodo. Spesso uno scatto racconta emozioni forti più di tante inutili parole

Photo - AP

Amnesty contro l'Ue

I Miserabili di Banksy contro la polizia francese

Una barca stracolma di manichini con il giubbotto salvagente arancione davanti al molo di Amsterdam e un grosso cartello che recita: “Leader d'Europa, non è delle urne elettorali che vi dovreste preoccupare. Sono i libri di storia.” In occasione della riunione dei ministri degli Interni europei nella capitale olandese per discutere sulla proposta di creare un gruppo di guardia di frontiera per gestire i flussi migratori, Amnesty International ha voluto ricordare con questa immagine quello che succede nel mar mediterraneo.

Una bambina in lacrime e vestita di stracci, con una bomboletta di gas ai piedi e la bandiera francese sgualcita alle sue spalle. È l'ultima opera dello street artist britannico Banksy, apparsa davanti all'ambasciata francese di Londra e subito rimossa dalle autorità. Quella bambina è Cosette, personaggio dei Miserabili di Victor Hugo, utilizzata da Banksy per polemizzare contro l'uso dei lacrimogeni da parte della polizia francese nella “giungla” di Calais.

Cento piazze per le unioni civili

Il volo di Monfils

Il mondo arcobaleno scende in piazza in favore del ddl Cirinnà. Erano più di un milione, sparsi per cento città italiane, i manifestanti che secondo l'Arcygay hanno partecipato alla giornata a favore delle Unioni Civili: “la più grande manifestazione Lgbt della storia italiana”. Tra questi moltissimi giovani che sventolavano cartelli con lo slogan svegliatitalia e solo un rappresentante della politica, il ministro Maurizio Martina, che ha criticato la decisione di illuminare il Pirellone con la scritta Family Day.

Un tuffo spettacolare per respingere il contropiede di Kuznetsov, che però si ferma sulla rete. Poco importa, perché il meraviglioso gesto atletico del tennista Monfils regala un'istantanea da incorniciare, con il francese disteso orizzontalmente a mezz'aria in tutta la sua lunghezza, parallelo al cemento della Margaret Count Arena di Melbourne, dove comunque riuscirà a vincere l'incontro in 4 set e accedere ai quarti di finale degli Australian Open.


Attualità

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I foreign fighters? Criminali comuni psicolabili L’allarme dell’Europol e le rivelazioni di un ex militare jihadista che ha conosciuto l’Isis

S

econdo il recente rapporto di Europol (l’agenzia per la lotta al crimine dell’Unione Europea), i Foreign Fighters pronti a colpire sarebbero fra 3 e 5 mila. Uno spunto allarmante è offerto ad alcuni dati contenuti nel rapporto: al 20% di loro sono stati diagnosticati problemi mentali prima di entrare nell’Isis, mentre l’80% dei miliziani reclutati ha precedenti penali. Una conferma in tal senso ci viene fornita da una nostra fonte, un ex ufficiale dell’esercito del Marocco che durante i mesi caldi della primavera araba ha abbandonato la divisa per affiancare un gruppo di ribelli vicini all’Isis. L’ex militare ci ha spiegato che gli obiettivi principali degli attacchi dei terroristi sono state le carceri, dove venivano liberati i detenuti senza alcuna distinzione o criterio. È facile immaginare che orde di criminali comuni abbiano trovato accoglienza tra i coetanei che inneggiavano al Califfato islamico. Altrettanto credibile è il racconto di stupri di gruppo, furti e violenze di ogni genere sui civili. Azioni non dettate dal fondamentalismo

religioso ma dall’indole criminale, ulteriormente alimentata dall’assunzione di stupefacenti. Il nostro interlocutore ha abbandonato l’illusione rivoluzionaria basata su nobili principi ed è fuoriuscito dalla Jihad nonostante le minacce ed un fallito tentativo di rapimento. Oggi vive in Europa e guarda con preoccupazione al programma di attacchi su larga scala di cui parla il rapporto Europol. Un dato significativo è l’età media dei miliziani, che non supera i venticinque anni. Disadattati, privi di valori e punti di riferimento, sono facilmente influenzabili dalla propaganda jihadista che inneggia al potere assoluto. Gli addestramenti includono dei veri e propri lavaggi del cervello, con prove di resistenza psico-fisica alla tortura per evitare che –in caso di cattura– vengano rivelate le strategie (ammesso che ve ne siano). È significativo rilevare che, ad oggi, non ci sia notizia di “pentiti” tra i terroristi dell’Isis che abbiano dato qualche contributo per debellare il rischio di attacchi ad obiettivi sensibili dell’Occidente. La nostra fonte ci ha provato, ha raccontato la realtà vissuta all’interno delle cellule combattenti, descrivendole per quello che sono: una banda di criminali, esaltati e fuori controllo, che rispondono solo alla logica del terrore. E del denaro.

Secondo l’Europol sarebbero fra 3 e 5 mila i foreign fighters pronti a colpire obiettivi sensibili in Europa

Mercenari al soldo dei produttori di petrolio, con i quali fanno affari contrabbandando l’oro nero attraverso il colabrodo dei compiacenti confini della Turchia. Se volessimo individuare una regia occulta del terrorismo islamico, senza essere tacciati di dietrologia o qualunquismo, potremmo quindi affermare che “il grande fratello” è nient’altro che il vil denaro; un fiume di dollari che sgorga dal sottosuolo dei paesi arabi e determina gli equilibri economici e geo-politici mondiali. Non a caso, gli economisti di mezzo mondo hanno lanciato l’allarme per il prezzo del barile di petrolio che è sceso sotto i minimi storici. Una caduta libera che non porterà alcun beneficio al cittadino-consumatore, anzi, metterà in serie difficoltà la tenuta dei bilanci di molti stati che già preannunciano un futuro fatto di lacrime e sangue. Appunto. L’azzeccagarbugli


Attualità

VL - Pg.20

Spesa per il patrocinio gratuito? Prezzo della civiltà L’assistenza legale ai cittadini non abbienti è in aumento ed è costata oltre 1 miliardo in 8 anni. Rimane sempre tre volte sotto la media dei Paesi europei

L’

ultima relazione del Ministero della Giustizia sull’istituto del gratuito patrocinio – da non confondere con il difensore d’ufficio, che è invece un avvocato nominato dallo Stato (ma pagato poi dall’imputato) al solo scopo di assicurare la difesa tecnica a chi ancora non abbia un difensore di fiducia – mostra che le persone ammesse all’assistenza a spese dello Stato nel penale sono aumentate dalle 97.950 del 2007 alle 153.000 del 2014, ad un costo annuale di 88 milioni (sceso da un picco di quasi 101 milioni nel 2013 perché la penultima legge di stabilità ha ridotto di un terzo le liquidazioni). Nel civile, invece, dove si è partiti più a rilento che nel penale (35,1% dei fondi contro il 71% di Francia e Germania), sono arrivate a beneficiarne 111.800 persone nel 2013 e 124.000 nel 2014, per un costo di 53,8 milioni nel 2014 contro i 25,2 del 2007 (pur diminuito del 9% rispetto a 12 mesi fa). A tratti, in passato, il gratuito patrocinio, specie nei processi–fantasma agli imputati stranieri “irreperibili”, ha rischiato di essere considerato un ammortizzatore sociale corporativo della fascia di avvocati meno capaci di stare da sola sul mercato. Ma negli ultimi tempi l’aumento della specializzazione dei legali e dunque della qualità anche di queste difese, sommato al congelamento normativo degli ultimi processi agli imputati “irreperibili”, hanno ridimensionato questa criticità. Alla quale la ricerca dell’Oua (Organizzazione unitaria dell’avvocatura) oppone peraltro il diminuito valore della parcella media liquidata agli avvocati: 809 euro nel penale, il 14% meno che nel 2007. Anzi, per l’assistenza legale ai non abbienti l’Italia spende ancora poco, cioè 2,67 euro pro capite: non soltanto 20 volte meno di alcune nazioni del Nord Europa, ma soprattutto tre volte meno della media dei Paesi del Consiglio d’Europa (7,50 euro pro capite), o la metà di nazioni comparabili come Ger-

mania e Francia (4,20 e 5,60 euro). Ormai dire “spesa pubblica” pare peggio che pronunciare una parolaccia. Figurarsi se una voce di spesa pubblica, da sola, ammonta a 1 miliardo e 90 milioni di euro negli ultimi 8 anni. Se poi questa montagna di soldi dei contribuenti è andata a beneficio di chi aveva in corso un processo, rischia il linciaggio chi s’azzardi a sostenere che è stato ed è denaro ben speso. E invece è proprio cosi: anzi, è un segno di civiltà che dal 2007 al 2014 siano state 1 milione e 320.000 le persone non abbienti ammesse nei processi penali e civili al “gratuito patrocinio”, cioè alla possibilità di scegliere un legale di propria fiducia senza pagare la parcella, saldata invece dallo Stato a chi ha un reddito inferiore a 11.369 euro (erano 10.628 sino a poco

tempo fa). Giovanni Misso

Spesa annua per assistenza legale ai non abbienti: Italia: 2,67 euro pro capite Media Ue: 7,50 euro

“ Causa che pende, causa che rende”

Studio Legale Associato

Avv. Massimo Della Pena Affidatevi con fiducia alla nostra professionalità Pagamento anticipato e condanna assicurata 1/8 di pagina inserito in articolo specifico


Attualità

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Liberi di leggere, un libro "sospeso" per le carceri Anche dagli avvocati di Busto Arsizio un contributo per la biblioteca to nazionale anticorruzione vuole che la legge venga abolita. A Busto Arsizio, recentemente la Camera Penale ha messo a disposizione un contributo per l'acquisto di nuovi testi che vadano ad implementare la rinnovata biblioteca. L’esigenza è quella implementare i titoli con pubblicazioni recenti per mantenersi aggiornati nonostante la restrizione. C’è una grande sete di sapere in luoghi in cui, nell’immaginario comune, la cultura è solo quella della malavita. Cosmo Di Biase

U

n tempo era il caffè sospeso; quello che si pagava nei bar per un amico in arrivo o per un senzatetto in cerca di qualcosa di caldo da bere. Poi è diventato il "libro sospeso"; la pratica di comprare un volume in più per uno sconosciuto che lo ritira direttamente in cassa. Ora questa versione ha trovato una sua variante, nata con l'iniziativa "liberi di leggere"; quello che si lascia in sospeso è sempre un libro, ma stavolta a riceverlo sono le biblioteche degli istituti carcerari italiani. A ottobre dello scorso anno è iniziata la raccolta dei volumi per i detenuti italiani, prorogata fino a fine novembre grazie al successo che ha avuto. I libri non vengono scelti dai lettori, ma sono gli stessi istituti penitenziari a indicare una lista di testi richiesti, in modo da evitare che le biblioteche si riempiano soltanto di titoli vecchi; infatti quello che manca, spesso sono le novità, libri che parlino di qualcosa di più attuale. Non tutte le biblioteche degli istituti penitenziari sono uguali. Le dimensioni e le modalità di accesso e fruizione cambiano molto da un istituto all'altro. Molto spesso le biblioteche sono semplicemente una stanza chiusa. Inizialmente ogni libreria aderente a "Liberi di leggere", si è messa in contatto con un istituto carcerario della zona per ricevere la lista dei libri da acquistare. In pochi giorni le adesioni si sono allargate e i volumi "sospesi" sono pronti a essere inviati alle biblioteche delle carceri di riferimento. L'esigenza è maggiormente indirizzata ai testi in lingua straniera, special-

mente in Arabo. Il successo dell'operazione si è esteso tanto da coinvolgere anche gli editori. Il numero di volumi all'interno delle biblioteche penitenziarie non è comunque basso, per effetto delle donazioni che provengono da associazioni culturali e privati, oltre che dai tomi che i detenuti, al momento dell’uscita, lasciano a chi rimane. Ci avevano provato i grillini con una proposta intelligente: sconto di alcuni giorni di pena per ogni libro letto dai detenuti. È finita nel dimenticatoio, forse perché troppo intelligente. In realtà la proposta dei Cinque Stelle era incompleta, mancava cioè l’indicazione del metodo con il quale si sarebbe dovuta verificare l’effettiva lettura del libro: chi si sarebbe dovuto occupare del controllo? Premesso che il certificatore avrebbe dovuto conoscere la materia, in questo caso aver letto una discreta quantità di libri, non se n’è saputo più nulla. D’altronde sarebbe stato impensabile andare sulla fiducia. Si sa, i detenuti –nel comune sentire– non sono affidabili. In Romania, invece, alcuni detenuti specialmente i colletti bianchi finiti dietro le sbarre per corruzione - hanno pubblicato tra il 2013 e il 2015 circa 415 testi scientifici, approfittando del fatto che per ogni testo pubblicato vengono condonati 30 giorni di pena. Sembra che questo soprassalto per la scienza nasconda un escamotage ed abbia coinvolto alcuni professori che si sono preoccupati di scrivere questi testi e farli recapitare al detenuto, che doveva semplicemente preoccuparsi di trascriverli a mano (come vuole la legge). Ma il fenomeno è stato così evidente che il Direttora-

WhatsApp sarà gratuito in tutto il mondo Non verranno più richiesti agli utenti gli 89 centesimi per l’utilizzo di WhatsApp . Lo ha detto a Monaco l’ad e confondatore della società Jan Koum. L’uso della popolare applicazione era gratuito per il primo anno ma bisognava pagare dopo un abbonamento annuale di 89 centesimi. Secondo quanto si è appreso, WhatsApp non farà però ricorso alla pubblicità per finanziarsi: verranno provati dei servizi a pagamento per permettere agli utenti di usare WhatsApp per comunicazioni ufficiali e di lavoro, come ricevere notizia dalla propria banca su una transazione fraudolenta. WhatsApp secondo le ultime rilevazioni ha circa 900 milioni di utenti nel mondo, è stata fondata da Koum e Brian Acton nel 2009 ed è stata acquistata da Facebook per circa 19 miliardi di dollari.


Attualità

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Dopo lo scandalo Vw e il caos di Colonia, il Mein Kampf torna a infiammare gli animi dei tedeschi Polemica sull'uscita a gennaio della nuova edizione per studenti. Sono molte le patate bollenti di Frau Merkel alle prese con le “esuberanze” dei migranti

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opo la pausa natalizia torna a infiammarsi la polemica sull'ipotesi di rendere il Mein Kampf un libro di testo su cui far studiare i ragazzi dei licei, come richiesto alla fine dello scorso anno dall’associazione degli insegnanti tedeschi. Un dibattito che questo mese affronterà probabilmente la fase più calda, dato che entro fine gennaio è prestal'uscita di una nuova edizione critica, corredata di 3.500 annotazioni, curata dall'istituto di storia contemporanea di Monaco. Per 70 anni i diritti del libro sono stati detenuti dalla Baviera, che ha sempre rifiutato i permessi di ristampa. I diritti sono però scaduti alla fine del 2015 e le autorità, per sottolineare che non si tratta di un "via libera" per tutti, hanno annunciato che perseguiranno comunque per incitamento all'odio razziale chiunque lo editi acriticamente. Alle associazioni ebraiche questo non basta, e giudicano irresponsabile l'idea di rendere il testo argomento di studio nelle scuole. Gli insegnanti, dal canto loro, più che uno strumento per far conoscere la storia giudicano l'approfondimento di alcuni passi selezionati del libro un metodo per contrastare l'estremismo politico e l'avanzata dei movimenti populisti di estrema destra che tanto attraggono i giovani. Sempre che non sia proprio questo l'orientamento politico dell'insegnante di turno. È l’ennesima patata bollente tra le mani della Cancelliera, mentre arrivano critiche da ogni parte per l’eccessiva apertura ai profughi dopo il caos di San Silvestro a Colonia, dove migliaia di migranti si sono dati appuntamento at-

traverso i social per dare libero sfogo alle proprie frustrazioni, mettendo in scena violenza ed arroganza soprattutto nei confronti delle donne. Elzevier è convinto che a Colonia, con mille persone islamiche balzate addosso a mille ragazze la notte di Capodanno per prendersele, si sia trattato di terrorismo di massa, facile, a buon

piccole dosi altrimenti fa sbarellare. Ci ha pensato l’Imam di Colonia a chiarire le cose: <<Le infedeli hanno provocato i fratelli mussulmani con il loro profumo, il trucco e – perfino– le risa>>. Ma di quale integrazione stiamo parlando? Si attendono intanto sviluppi sul dieselgate, la truffa perpetrata dai dirigenti Volkswagen con la consapevole

mercato. È pure il caso di scriverlo senza edulcorazioni. Non ci piove su questo. Terrorismo islamista. Ed è ridicolo spiegare che l’islam non è così. Ovvio che l’islam vero non può essere questo. Ma quella moltitudine di islamici era così, e noi non ci possiamo fare niente, e non riusciremo a mutare la realtà delle cose spiegando che l’autentico musulmano è diverso. Un fatto gravissimo, che mette la Germania di fronte alle proprie lacune organizzative, con la Polizei impreparata a fronteggiare “l’esuberanza” dei migranti, ai quali probabilmente andrebbero fatti dei test attitudinali prima della partenza dai luoghi d’origine: deve essere provata la tenuta all’alcol che, come la libertà, andrebbe somministrato a

manomissione dei test sulle emissioni di gas inquinanti dagli scarichi dei veicoli del gruppo. Siamo proprio sicuri che debba essere questo il Paese guida dell’Europa? Elzevier


Tutto a busto

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Torneo di calcio a 5 nel carcere di Busto Arsizio Non serve essere i più forti per essere vincitori. Basta crederci

I

l torneo di Natale di calcio a 5 organizzato e giocato all’interno del carcere di Busto Arsizio assegna il primo premio alla terza sezione, a quanto pare contro ogni pronostico. Le squadre sfidanti erano 5, composte dal padiglione TA (trattamento avanzato) e dalle sezioni ordinarie composte dalla 1° 2° 3° e 4° ; il clima si poteva definire da stadio poiché il coinvolgimento è stato generale un po’ in tutte le sezioni. In finale la sezione TA, che dopo una bellissima partita giocata alla pari e con tanto agonismo è terminata con il risultato di 3-3. La lotteria dei rigori ha decretato il vincitore malgrado ogni pronostico che dava la TA come favorita. Ma tante volte essere i più forti non significa per forza essere vincitori, ed in questo caso i calciatori della terza sezione hanno dimostrato più determinazione e voglia di vincere, forse più motivati ad esprimere la loro voglia di libertà. Un episodio in particolare riguarda alcuni ragazzi della squadra vincitrice: prima della partita hanno infatti annunciato agli operatori che la partita l'avrebbero vinta loro, proprio perché avevano più rabbia rispetto agli avversari, visto che vivono in una sezione chiusa, e alla fine hanno avuto ragione. Bisogna dare merito alla squadra campione, che è arrivata in finale con 4 vittorie rispetto alla TA, che aveva raggiunto la finale per merito e senza aver giocato nessuna partita di qualificazione; non conosciamo il motivo di questa scelta, ma sarà stato sicuramente valido. Possiamo soltanto dire che la cosa più bella si è vista alla fine della partita, quando tutti si sono stretti in un abbraccio unico, cosa che si stenta a vedere tra le nostre squadre più blasonate di seria A e del resto d’Europa. Significa che stiamo migliorando e la speranza è che in futuro tutto

La palla al piede? Si, ma senza catene lo sport, qualsiasi sia il risultato, si possa concludere con un abbraccio, col “fare gruppo” poiché lo sport -quello "sano"- porta solo effetti positivi: la possibilità di credere in sé stessi migliorando il rapporto con le persone che ci circondano. In sostanza lo sport fa bene in tutti i sensi. Per questo più si pratica e più ci sentiamo uomini liberi. A conclusione della partita finale, l'area trattamentale ha organizzato una premiazione delle squadre finaliste presso il teatro dell’istituto, consegnando ai vincitori, primi e secondi classificati, degli attestati con i nomi dei calciatori e dello staff tecnico. Toccante è stato il discorso di un nostro compagno detenuto che ha in prospettiva una lunga pena da espiare ha voluto esprimere il suo pensiero per l’occasione: <<Ringrazio immensamente tutti per avermi dato la possibilità di essere un po’ più libero. Erano anni che non mi sentivo cosi>>. Un’emozione collettiva che ha contagiato anche la Dottoressa Gaeta, responsabile dell’area trattamentale, la quale molto emozionata ha risposto: <<Era questo che volevamo accadesse, farvi sentire un po’ più liberi>>.

C’è stato un piccolo banchetto a base di pizza made in carcere a conclusione del campionato. Iniziative come queste fanno bene allo sport e soprattutto a chi è privato della libertà. Si tratta di momenti che interrompono la routine quotidiana, proiettando la mente altrove. Abbiamo chiesto al mister della squadra, il Sig. Luca Cirigliano, - uno degli organizzatori insieme al volontario Agostino ed all’educatore Domenico Grieco -, che tipo di emozione gli aveva trasmesso questo evento: <<E’ stata una delle più grandi soddisfazioni da quando sono nel mondo dello sport>>. Concludendo, non bisogna dimenticare che la squadra di calcio a cinque dell’istituto di Busto Arsizio rimane imbattuta e si accettano sfidanti esterni per proseguire con il progetto. William Amato Questa volta è proprio il caso di dire che l’iniziativa è andata in goal. William Amato


SIAMO BELLI E ANCHE BRAVI

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ocelibera in Europa e nel mondo. Abbiamo viaggiato tanto in questi mesi, aprendovi le porte di tante galere e, grazie alla collaborazione dei nostri compagni di sventura che hanno avuto modo di vivere esperienze dirette di detenzione all'estero, siamo riusciti a raccontare come funziona altrove. Questa volta però ci fermiamo qui, “a casa”, per raccontarvi cosa è cambiato e sta cambiando a Busto Arsizio. A Maggio 2015 avevamo intervistato la dott.ssa Rita Gaeta, responsabile Area Trattamentale dell’istituto, che ci aveva anticipato alcune evoluzioni in atto. In quel momento alcuni detenuti iniziavano l’esperienza Expo, andando a lavorare in Art. 21 all’esposizione universale. Iniziativa che si è conclusa positivamente, ed è servita da traino per avviarne altre che consentono ad un numero sempre più alto di persone di accedere al lavoro esterno. Anche l’accesso al beneficio dei permessi premio ha visto un notevole incremento, senza che si sia mai verificato alcun incidente di percorso che avrebbe rappresentato il fallimento per tutti. Lo scorso novembre sono state finalmente aperte le due nuove sezioni sperimentali tanto attese; si tratta di un reparto all’avanguardia, in linea con gli standard dei più rinomati istituti del Nord Europa ai quali viene fatto riferimento ogni qualvolta si vogliano citare esempi positivi. Spazio e comfort caratterizzano questa importante opera, con “camere di pernottamento”, calde, fresche, pulite, spaziose e munite di doccia calda e con un vero WC; letti singoli, luci per la lettura notturna, tutto curato nei minimi particolari. Ma il cambiamento non è solo strutturale. Il reparto sperimentale, infatti, adotta la procedura della vigilanza dinamica, auspicata dal legislatore quale metodo per responsabilizzare i detenuti, che vivono la giornata con le porte delle celle aperte, sottoscrivendo con l’amministrazione un patto che implica il rispetto delle regole di base. La presenza della polizia penitenziaria diventa quindi impercettibile e circoscritta alla discreta osservazione, dai monitor delle telecamere, di quanto accade negli spazi comuni. Il nuovo reparto ospita coloro che in base al programma trattamentale si avviano al prossimo reinserimento nel mondo libero. In sostanza si tratta dell’ultimo miglio, quel tratto del percorso di rieducazione che consentirà di affrontare la realtà –spesso difficile– del quotidiano confronto con “il fuori”. Si tratta di un salto culturale, creativo e coraggioso, indice della volontà di progredire verso un sistema di espiazione delle pene in linea con i dettami costituzionali. Sono ormai alle spalle i tempi che hanno condotto alla tristemente famosa sentenza Torreggiani, con la quale la Corte Europea emetteva la sentenza pilota di condanna che ha visto coinvolto anche l’istituto di Busto Arsizio. La risposta da parte delle istituzioni non si è fatta attendere, ed ora le condizioni di detenzione, ma anche di lavoro per il personale, sono decisamente migliorate, soprattutto per effetto della diminuzione del numero di ristretti che ha consentito di gestire meglio le risorse umane e finanziarie. L’ampliamento dei posti disponibili, per effetto dell’apertura del nuovo reparto, ha consentito ottenere una maggiore vivibilità degli spazi in tutte le sezioni; nelle celle è stato eliminato il terzo piano del letto a castello riducendo a due il numero di occupanti, che di conseguenza fruiscono di uno spazio individuale ampiamente al di sopra dei 3 mq stabiliti dalla Cedu come <<limite al di sotto del quale si ha violazione dell’art. 3 che proibisce la torture ed i trattamenti inumani e degradanti, indipendentemente dalle altre condizioni di detenzione quali –ad esempio– le ore di apertura delle porte della cella, la possibilità di lavorare, studiare, ecc..>>. Reazione positiva, naturalmente, da parte dei fortunati assegnatari dei nuovi “alloggi”, consapevoli comunque di essere investiti della responsabilità che deriva dal carattere sperimentale dell’iniziativa. Dipenderà esclusivamente dal loro comportamento, infatti, la buona riuscita dell’esperimento e l’auspicabile ampliamento alle rimanenti sezioni delle medesime condizioni di trattamento. Si sono finalmente tranquillizzati gli animi, si riaccendono le speranze e gli ospiti non devono più lottare per sopravvivere al disagio quotidiano. C’è sicuramente maggiore spazio e stimoli nuovi per progettare il futuro di ognuno. A completare l’opera, ha contribuito anche la realizzazione del nuovo spazio dedicato alla biblioteca, ora dotata di oltre quattro mila titoli che aumentano velocemente per effetto di iniziative solidali che hanno vista coinvolta anche la Camera Penale di Busto Arsizio. Tutto bene allora? No, non ancora


PUBBLIREDAZIONALE—DOPPIA PAGINA CENTRALE


SIAMO BELLI E ANCHE BRAVI, MA MOLTO BRAVI Anzi, siamo proprio i migliori che ci sono sul mercato internazionale

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pene in linea con i dettami costituzionali. Sono ormai alle spalle i tempi che hanno condotto alla tristemente famosa sentenza Torreggiani, con la quale la Corte Europea emetteva la sentenza pilota di condanna che ha visto coinvolto anche l’istituto di Busto Arsizio. La risposta da parte delle istituzioni non si è fatta attendere, ed ora le condizioni di detenzione, ma anche di lavoro per il personale, sono decisamente migliorate, soprattutto per effetto della diminuzione del numero di ristretti che ha consentito di gestire meglio le risorse umane e finanziarie. L’ampliamento dei posti disponibili, per effetto dell’apertura del nuovo reparto, ha consentito ottenere una maggiore vivibilità degli spazi in tutte le sezioni; nelle celle è stato eliminato il terzo piano del letto a castello riducendo a due il numero di occupanti, che di conseguenza fruiscono di uno spazio individuale ampiamente al di sopra dei 3 mq stabiliti dalla Cedu come <<limite al di sotto del quale si ha violazione dell’art. 3 che proibisce la torture ed i trattamenti inumani e degradanti, indipendentemente dalle altre condizioni di detenzione quali –ad esempio– le ore di apertura delle porte della cella, la possibilità di lavorare, studiare, ecc..>>. Reazione positiva, naturalmente, da parte dei fortunati assegnatari dei nuovi “alloggi”, consapevoli comunque di essere investiti della responsabilità che deriva dal carattere sperimentale dell’iniziativa. Dipenderà esclusivamente dal loro comportamento, infatti, la buona riuscita dell’esperimento e l’auspicabile ampliamento alle rimanenti sezioni delle medesime condizioni di trattamento. Si sono finalmente tranquillizzati gli animi, si riaccendono le speranze e gli ospiti non devono più lottare per sopravvivere al disagio quotidiano. C’è sicuramente maggiore spazio e stimoli nuovi per progettare il futuro di ognuno. A completare l’opera, ha contribuito anche la realizzazione del nuovo spazio dedicato alla biblioteca, ora dotata di oltre quattro mila titoli che aumentano velocemente per effetto di iniziative solidali che hanno vista coinvolta anche la Camera Penale di Busto Arsizio. Tutto bene allora? No, non ancora


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importante opera, con “camere di pernottamento”, calde, fresche, pulite, spaziose e munite di doccia calda e con un vero WC; letti singoli, luci per la lettura notturna, tutto curato nei minimi particolari. Ma il cambiamento non è solo strutturale. Il reparto sperimentale, infatti, adotta la procedura della vigilanza dinamica, auspicata dal legislatore quale metodo per responsabilizzare i detenuti, che vivono la giornata con le porte delle celle aperte, sottoscrivendo con l’amministrazione un patto che implica il rispetto delle regole di base. La presenza della polizia penitenziaria diventa quindi impercettibile e circoscritta alla discreta osservazione, dai monitor delle telecamere, di quanto accade negli spazi comuni. Il nuovo reparto ospita coloro che in base al programma trattamentale si avviano al prossimo reinserimento nel mondo libero. In sostanza si tratta dell’ultimo miglio, quel tratto del percorso di rieducazione che consentirà di affrontare la realtà –spesso difficile– del quotidiano confronto con “il fuori”. Si tratta di un salto culturale, creativo e coraggioso, indice della volontà di progredire verso un sistema di espiazione delle pene in linea con i dettami costituzionali. Sono ormai alle spalle i tempi che hanno condotto alla tristemente famosa sentenza Torreggiani, con la quale la Corte Europea emetteva la sentenza pilota di condanna che ha visto coinvolto anche l’istituto di Busto Arsizio. La risposta da parte delle istituzioni

Inserzione– quarto di pagina

non si è fatta attendere, ed ora le condizioni di detenzione, ma anche di lavoro per il personale, sono decisamente migliorate, soprattutto per effetto della diminuzione del numero di ristretti che ha consentito di gestire meglio le risorse umane e finanziarie. L’ampliamento dei posti disponibili, per effetto dell’apertura del nuovo reparto, ha consentito ottenere una maggiore vivibilità degli spazi in tutte le sezioni; nelle celle è stato eliminato il terzo piano del letto a castello riducendo a due il numero di occupanti, che di conseguenza fruiscono di uno spazio individuale ampiamente al di sopra dei 3 mq stabiliti dalla Cedu come <<limite al di sotto del quale si ha violazione dell’art. 3 che proibisce la torture ed i trattamenti inumani e degradanti, indipendentemente dalle altre condizioni di detenzione quali –ad esempio– le ore di apertura delle porte della cella, la possibilità di lavorare, studiare, ecc..>>. Reazione positiva, naturalmente, da parte dei fortunati assegnatari dei nuovi “alloggi”, consapevoli comunque di essere investiti della responsabilità che deriva dal carattere sperimentale dell’iniziativa. Dipenderà esclusivamente dal loro comportamento, infatti, la buona riuscita dell’esperimento e l’auspicabile ampliamento alle rimanenti sezioni delle medesime condizioni di trattamento. Si sono finalmente tranquillizzati gli animi, si riaccendono le speranze e gli ospiti non devono più lottare per sopravvivere al disagio quotidiano. C’è


Quelli che...

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Storie apparentemente surreali di vita quotidiana tra le mura Quelli che:

vero, avevamo deciso di sospendere questa rubrica. Temevamo ci venisse a mancare il materiale umano che ci consente di raccontare le chiacchiere quotidiane che circolano tra i corridoi delle sezioni e gli spazi dei passeggi. Ma è più forte di noi. Siamo troppo affezionati a Quelli che…, perché rappresenta uno specchio della realtà; non c’è nulla di inventato (purtroppo). Ma è anche il modo per non prendersi troppo sul serio e fare dell’autoironia un’ancora di salvezza. Quindi, dicevamo, che la fonte di ispirazione è sempre in agguato e negli ultimi tempi ne abbiamo sentite delle belle:

È

Quelli che: <<Io onestamente non riesco a capire una cosa: ho venduto il bar e ho investito il ricavato in cocaina. L’ho pagata sull’unghia, con i miei soldi, mica come certi che fanno le truffe! Faccio l’imbrenditore, investo in materie prime e beni di prima necessità; seguo le leggi del mercato che sono fatte di domanda e offerta, faccio girare l’economia. Ma allora mi chiedo: ma cosa ci faccio in galera? Dov’è il reato? E poi si lamentano che c’è un calo dei consumi e la gente non spende. Per forza! Se bloccano tutte le iniziative imbrenditoriali, come pretendono di far ripartire l’economia del Paese? Io e la mia signora, la mattina ci alzavamo ed andavamo a fare colazione in centro, ma mai prima delle undici; poi a pranzo le dicevo: “Ma amore, ti devi mettere a cucinare… Lascia stare che andiamo al ristorante, serviti e riveriti come dei signori; una bella bottiglia di quello buono, poi andiamo a fare shopping in centro”. Adesso questi mi chiedono di andare a lavorare alla cioccolateria per duecento euro al mese. Dicono che serve per la sintesi comportamentale...Duecento euro io li spendevo solo per l’aperitivo del venerdì con gli amici, altri duecento

li lasciavo all’estetista quando andavo a fare massaggi e lampada, e se mi girava ne lasciavo altri cento di mancia. Dico io: ma quanto costate che vi compro tutti? A proposito: mi scusi Dottoressa, ma come mai mi è stata rigettata la richiesta di permesso premio?>>

<<Anch’io sono arrivato a Malpensa. Quando sono sbarcato mi hanno fermato al controllo bagagli perché avevo tutti gli abiti tra le braccia mentre aspettavo la valigia al nastro trasportatore. Il poliziotto che mi si è avvicinato mi ha chiesto per quale motivo non li avessi messi in valigia. Gli ho spiegato che la valigia era piena e non ci stava più nulla. Ho notato che si è insospettito ed era incredulo, ma non ci ho fatto caso. Mentre stavo uscendo dal gate trascinandomi la valigia e cercando di non far cadere a terra gli abiti, mi hanno bloccato un gruppo di finanzieri chiedendomi di seguirli. Una volta aperta la valigia, hanno avuto un soprassalto alla vista dei venti chili di erba che vi erano contenuti. Ancora non capisco perché si sono così arrabbiati: l’avevo detto che la valigia era piena!>>

Quelli che: <<Sono arrivato all’aeroporto Malpensa con l’intenzione di farmi una vacanza in Italia. Era da tanto tempo che desideravo vedere le città d’arte, il Colosseo, gli Uffizi, la Torre di Pisa. Ho portato giusto due cose, non ho riempito la valigia sapendo che avrei potuto fare shopping a Milano; ho sempre sentito parlare di via Montenapoleone. I due chili di cocaina? Uso personale. Come dite? Se mi hanno creduto? No. E non ho ancora capito perché mi hanno condannato a quattro anni di carcere. La legge in Italia è strana>>.

<<Per uno che voglia fare l'attore, vale di più un anno di prigione che un anno di scuola: in prigione s'impara di più e ci si annoia molto meno>>. Carmelo Bene, Travail Théâtral, 1976


Web e dintorni

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Gli affabulatori del cyberspazio ingannano il mondo reale Dalla finta blogger siriana agli ossessionati per le scie chimiche. E gli oratori con l'altoparlante Twitter. Così il web ci intrappola in una rete di balle spaziali

B

logger siriano-americana, lesbica, Arraf è nata in Virginia e vive a Damasco, la città da cui posta le sue opinioni sui conflitti di Medio Oriente. Nel 2010 c'è un tentativo di arrestarla, che viene sventato dal babbo pensionato e dai vicini di casa, tra gli applausi della stampa internazionale. Passa un anno e Arraf viene rapita in pieno giorno, senza che nessuno possa salvarla, da due motociclisti mascherati, di sicuro agenti del servizio segreto siriano. È una notizia che rimbalza nelle redazioni dei giornali, dei tiggì e dei siti di news di tutto il pianeta provocando un coro universale di proteste. Intervengono con editoriali di fuoco il New York Times, Fox News, Al Jazeera, il Daily Mail, il Guardian, la Cnn, l'Associated Press e su Internet i siti "free Amina" cominciano a spuntare come funghi. Ma ecco che un giornale del posto nota che nessuno ha mai visto Arraf. Nessuno sa dove abita né che lavoro faccia. Nessuno conosce di persona chi la conosca di persona. Breve inchiesta del Wall Street Journal, e salta fuori che in realtà "Arraf" è Tom Mac Master, un dottorando della University of Edinburgh. Appassionato di fantascienza e fantastoria, il giovane scozzese spiega d'aver adottato il falso profilo perché le sue opinioni sul Medio Oriente non erano prese sul serio quando le postava col suo nome. È una delle numerose storie, divertente e agghiacciante, della rete. Internet, è una specie di Speakers' Corner, il palco per gli oratori improvvisati nell'angolo nord-orientale di Hyde Park, a Londra. Ma lo è su una scala fino a pochi anni fa inimmaginabile. Come i predicatori che, in piedi su sgabelli pieghevoli e

cassette di frutta, evangelizzano i passanti a Speakers' Corner, anche la maggior parte degli oratori su Twitter e in altri angoli della rete parla a vanvera e risulta assai poco interessante. Però ci sono così tanti ascoltatori che, con un minimo d'eloquenza e d'esperienza, non impiegano molto a far echeggiare la vostra voce e la vostra immagine in tutto il pianeta. Internet è lo Speaker's Corner assoluto, è "l'angolo" finale. Lasciamo

da parte le idee sensate, che in rete hanno il loro spazio, proprio come qui, nel mondo solido e naturale. Ma il problema, destinato a crescere negli anni, è che chiunque abbia un'idea fissa e delirante, come i complottisti e i fanatici del gossip metafisico, o chiunque coltivi un'ossessione allucinatoria, come chi pensa che degli insetti misteriosi (forse dei nanorobot alieni) corrano sotto la sua pelle e organizza un potente social per venire a capo del mistero, può trovare degli amici, e se la fortuna lo assiste persino dei seguaci. Non c'è dubbio che Internet abbia cambiato (in meglio) la vita dei civilizzati. Viviamo in comunità sempre più vaste. Trascinati dentro la dimensione parallela della rete, non l'abbiamo mai saputa così lunga: che tempo fa a Dusseldorf oppure a Lodi, dove sta passando

il weekend Angelina Jolie, cosa fanno di bello l'amico Caio o il conoscente Sempronio stasera, quanti attentati ci sono stati oggi in Iraq o in Libia, come si dice "grazie" in cinese mandarino. In pochi anni, da quando esistono la rete e la telefonia mobile, c'è stato un salto di paradigma che ha coinvolto tre quarti dell'umanità. Tutti sanno di comunicazione, di scrittura, di creatività. Tutti vogliono emozioni. E nel farlo utilizzano dei metodi grezzi e spesso ridicoli, ripescano una vecchia retorica priva di originalità, per fare marketing, prima di ogni cosa di se stessi. Il risultato è che si è generata una nebulosa per cui fare cose lontane da quelle che si sanno veramente è molto sexy e molto attraente. E il lavoro intellettuale e creativo è diventato un giochetto eccitante di gente che altrimenti si annoierebbe nel fare lavori troppo aridi e apparentemente seri. E i risultati, purtroppo, si vedono. Ma come tutte le storie, anche la favola del cyberspazio ha una faccia dispari: la sua tendenza a cercarsi un posto al sole nel mondo reale. Alla rete, la rete va stretta. Livio Mostoni


Letto per voi

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Le pagine che in questo ultimo mese hanno accompagnato parte del nostro tempo, ed inevitabilmente influenzano il nostro scrivere

Abolire il carcere L. Manconi, S. Anastasia, V. Calderone, F. Resta

La donna dei fiori di carta Donato Carrisi

La verità è che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani non ha idea di che cosa sia una prigione. Altri, invece,...

Questa è la storia di un eroe insolito e della sua ossessione. Questa storia ha attraversato il tempo e ingannato la morte, perché è destinata al cuore di una donna misteriosa.

Con il vento nei capelli

Piccolo porco capitalista

Salwa Salem

Sofia Macías

È la storia dell’impegno di molte donne, che cercano di praticare il dialogo senza negare l’esistenza di contrasti anche drammatici, di reciproca conoscenza senza soffocare le differenze.

Piccolo porco capitalista ti insegna a risparmiare e far fruttare al meglio il tuo denaro. Usando esempi della vita reale, Sofia Macías spiega passo per passo, in modo chiaro e divertente, come fare.


Niente di personale

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La finestra sul cortile La quotidiana normalità della morte

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a stanza è avvolta da una tenue luce azzurra che la rende più fredda; illuminata anche di notte per permettere alle telecamere di cogliere ogni movimento anomalo che possa far pensare ad un tentativo di suicidio. È la cronaca a raccontarci chi occupa la cella di osservazione che abbiamo di fronte, nella palazzina centrale. Si trova al pian terreno, nel reparto infermeria. Fino a ieri mattina "l’osservato a vista" era un uomo che, forse in un momento di follia, ha accoltellato a morte la moglie nel letto matrimoniale dove dormiva anche il figlioletto che fortunatamente è scampato alla furia omicida. Una delle tante storie, di quelle che quando le leggiamo o vediamo alla televisione ci paiono talmente lontane da lasciarci indifferenti. Ma osservare l'ombra di quell'uomo seduto sul letto, immobile, mentre il buio e il silenzio accompagnano ancora una notte troppo lunga, significa sentire i suoi pensieri e immergersi nei suoi tormenti. È difficile associare quell'ombra esile ad un assassino; molto più naturale vederci solo un uomo spaventato, accorgersi che il letto non ha lenzuola e che indossa una di quelle tute da ginnastica che la suora fornisce a chi non ha nulla. È ancora troppo presto perché abbia avuto un colloquio con qualche familiare che possa avergli portato indumenti. È troppo grave quello che ha combinato perché qualcuno sia venuto a trovarlo. Radiocarcere dice che ha tentato di impiccarsi, cosa alquanto improbabile data la stretta sorveglianza che vigila su di lui giorno e notte, ma forse si tratta delle solite chiacchiere che circolano, montano e mutano tra i reparti fino a diventare certezze, sulle quali qualcuno sarebbe disposto a scommettere perfino un pacco di tabacco. Il mattino seguente la sagoma è diversa, si intravede una persona più anziana, tremolante e dalla stazza imponente, steso sul letto sotto la solita coperta senza lenzuolo e fuma una sigaretta dopo l'altra. Dicono i giornali che abbia abusato di alcune minorenni. Il precedente occupante è stato trasferito nella cella a fianco in compagnia di altre due persone: ha iniziato il suo percorso ad ostacoli, che lo vedrà cadere nel baratro della disperazio-

ne ed entrare nel vortice della routine. Ora condivide la stanza con un tale che ha ucciso moglie e figli, un altro ancora che ha sferrato un colpo mortale alla compagna. In compenso può parlare con qualcuno: è un passo avanti, viene anche a messa nonostante sia imbottito di psicofarmaci. Tra qualche giorno andrà ai passeggi, magari a scuola e in palestra, giocherà a carte e cucinerà le sue fettine di carne. Anche il pedofilo lascerà la cella di osservazione e verrà inghiottito dalla normalità della prigione che digerisce ogni bestialità. La trafila proseguirà con il prossimo caso di cronaca che leggeremo sulle pagine dei giornali. Prendo in mano la mia sentenza, ormai sgualcita e quasi illeggibile, ma non riesco a trovare la parte in cui il tribunale mi condanna a toccare con mano la morte, a sfiorarne le sensazioni, a conviverci. La legge prevede circuiti penitenziari differenziati in base al grado di pericolosità del detenuto. Mi chiedo spesso se sia socialmente più pericoloso l’assassino, che magari ha agito per ragioni che si nascondono in un angolo ignoto della mente, oppure il tunisino che per dodici volte ha picchiato donne, anziani e bambini per un cellulare, per dieci euro o un berretto alla moda. Non lo so. Quello che so è che ho accumulato troppa familiarità con una violenza che non mi appartiene, alla quale mi rifiuto di assuefarmi. So anche che vorrei avere la libertà di decidere autonomamente con chi sedermi a tavola e non esserne costretto. Liberamente potrei anche scegliere di “fare socialità” con l’assassino. L’azzeccagarbugli


Come cucinare una perfetta pizza Pizza, pizza, pizza e ancora pizza. Pizzicare al punto giusto la cottura

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ocelibera in Europa e nel mondo. Abbiamo viaggiato tanto in questi mesi, aprendovi le porte di tante galere e, grazie alla collaborazione dei nostri compagni di sventura che hanno avuto modo di vivere esperienze dirette di detenzione all'estero, siamo riusciti a raccontare come funziona altrove. Questa volta però ci fermiamo qui, “a casa”, per raccontarvi cosa è cambiato e sta cambiando a Busto Arsizio. A Maggio 2015 avevamo intervistato la dott.ssa Rita Gaeta, responsabile Area Trattamentale dell’istituto, che ci aveva anticipato alcune evoluzioni in atto. In quel momento alcuni detenuti iniziavano l’esperienza Expo, andando a lavorare in Art. 21 all’esposizione universale. Iniziativa che si è conclusa positivamente, ed è servita da traino per avviarne altre che consentono ad un numero sem-

pre più alto di persone di accedere al lavoro esterno. Anche l’accesso al beneficio dei permessi premio ha visto un notevole incremento, senza che si sia mai verificato alcun incidente di percorso che avrebbe rappresentato il fallimento per tutti. Lo scorso novembre sono state finalmente aperte le due nuove sezioni sperimentali tanto attese; si tratta di un reparto all’avanguardia, in linea con gli standard dei più rinomati istituti del Nord Europa ai quali viene fatto riferimento ogni qualvolta si vogliano citare esempi positivi. Spazio e comfort caratterizzano questa importante opera, con “camere di pernottamento”, calde, fresche, pulite, spaziose e munite di doccia calda e con un vero WC; letti singoli, luci per la lettura notturna, tutto curato nei minimi particolari. Ma il cambiamento non è

solo strutturale. Il reparto sperimentale, infatti, adotta la procedura della vigilanza dinamica, auspicata dal legislatore quale metodo per responsabilizzare i detenuti, che vivono la giornata con le porte delle celle aperte, sottoscrivendo con l’amministrazione un patto che implica il rispetto delle regole di base. La presenza della polizia penitenziaria diventa quindi impercettibile e circoscritta alla discreta osservazione, dai monitor delle telecamere, di quanto accade negli spazi comuni. Il nuovo reparto ospita coloro che in base al programma trattamentale si avviano al prossimo reinserimento nel mondo libero. In sostanza si tratta dell’ultimo miglio, quel tratto del percorso di rieducazione che consentirà di affrontare la realtà –spesso difficile– del quotidiano confronto con “il fuori”. Si tratta di un salto culturale, creativo e


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ocelibera in Europa e nel mondo. Abbiamo viaggiato tanto in questi mesi, aprendovi le porte di tante galere e, grazie alla collaborazione dei nostri compagni di sventura che hanno avuto modo di vivere esperienze dirette di detenzione all'estero, siamo riusciti a raccontare come funziona altrove. Questa volta però ci fermiamo qui, “a casa”, per raccontarvi cosa è cambiato e sta cambiando a Busto Arsizio. A Maggio 2015 avevamo intervistato la dott.ssa Rita Gaeta, responsabile Area Trattamentale dell’istituto, che ci aveva anticipato alcune evoluzioni in atto. In quel momento alcuni detenuti iniziavano l’esperienza Expo, andando a lavorare in Art. 21 all’esposizione universale. Iniziativa che si è conclusa positivamente, ed è servita da traino per avviarne altre che consentono ad un numero sempre più alto di persone di accedere al lavoro esterno. Anche l’accesso al beneficio dei permessi premio ha visto un notevole incremento, senza che si

sia mai verificato alcun incidente di percorso che avrebbe rappresentato il fallimento per tutti. Lo scorso novembre sono state finalmente aperte le due nuove sezioni sperimentali tanto attese; si tratta di un reparto all’avanguardia, in linea con gli standard dei più rinomati istituti del Nord Europa ai quali viene fatto riferimento ogni qualvolta si vogliano citare esempi positivi. Spazio e comfort caratterizzano questa importante opera, con “camere di pernottamento”, calde, fresche, pulite, spaziose e munite di doccia calda e con un vero WC; letti singoli, luci per la lettura notturna, tutto curato nei minimi particolari. Ma il cambiamento non è solo strutturale. Il reparto sperimentale, infatti, adotta la procedura della vigilanza dinamica, auspicata dal legislatore quale metodo per responsabilizzare i detenuti, che vivono la giornata con le porte delle celle aperte, sottoscrivendo con l’amministrazione un patto che implica il rispetto delle regole di base.

INSERZIONE PUBBLICITARIA

MEZZA PAGINA INTERNA

La presenza della polizia penitenziaria diventa quindi impercettibile e circoscritta alla discreta osservazione, dai monitor delle telecamere, di quanto accade negli spazi comuni. Il nuovo reparto ospita coloro che in base al programma trattamentale si avviano al prossimo reinserimento nel mondo libero. In sostanza si tratta dell’ultimo miglio, quel tratto del percorso di rieducazione che consentirà di affrontare la realtà –spesso difficile– del quotidiano confronto con “il fuori”. Si tratta di un salto culturale, creativo Ciao a tuttireparto all’avanguardia, in linea con gli standard dei più rinomati istituti del Nord Europa ai quali viene fatto riferimento ogni qualvolta si vogliano citare esempi positivi. Spazio e comfort caratterizzano questa importante opera, con “camere di pernottamento”, calde, fresche, pulite, spaziose e munite di doccia calda e con un vero WC; letti singoli, luci per la lettura notturna, tutto curato nei minimi particolari. Ma il cambiamento non è


Info Point

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La revoca della patente agisce solamente dalla data della sentenza definitiva di condanna Lo stabilisce la Motorizzazione: non dal momento in cui viene accertato il reato

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a prassi resta invariata fino a un’ eventuale bocciatura da parte della Cassazione: il periodo di "blocco" di tre anni - nel quale chi subisce la revoca della patente per guida in stato di ebrezza grave non può conseguire una nuova licenza - va contato a partire dalla data di passaggio in giudicato della sentenza di condanna e non da quella in cui è avvenuta l'infrazione. Lo ha stabilito la Motorizzazione, con la circolare 29675 del 21 dicembre 2015, che indica la volontà di non seguire la giurisprudenza contraria. La motorizzazione ha deciso così perché confortata da altra giurisprudenza recente riguardo alla norma che impone il blocco (art. 319, comma 3-ter del Codice della strada): l'ordinanza 19572/2015, emessa il 28 settembre della scorso anno dal Tribunale di Firenze. Un provvedimento preso con motivazioni che la circolare definisce <<fondate su una interpretazione strettamente giuridica della norma>> e non su <<circostanze di fatto (tempi del processo, ecc.)>> che invece hanno pesato su altre sentenze di senso contrario: In effetti, il comma 3-ter fa decorrere i tre anni di "blocco" dalla <<data di accertamento del reato>> e il Tribunale di Firenze interpreta queste parole sia in senso letterale che in senso logico-sistematico giungendo alla conclusione che esse indichino il giorno di

passaggio in giudicato della condanna. Dal punto di vista letterale, i giudici di Firenze notano che spetta istituzionalmente al giudice accertare la sussistenza di un reato. Se ne deduce che l'accertamento effettuato dagli organo di polizia non conta a questi fini. A riprova di ciò, si cita il fatto che, se avesse voluto stabilire diversamente, la norma non avrebbe usato la parola <<reato>> ma <<consumazione dell'illecito>> o simili, legate comunque al momento in cui gli agenti verbalizzano l'accaduto e non quando il giudice dichiarare definitivamente che si è

dall'articolo 224 emerge che la revoca viene disposta dal prefetto solo dopo tale passaggio, per cui l'imputato non potrebbe nemmeno candidarsi per gli esami necessari a ottenere una nuova patente, essendo formalmente ancora titolare della propria. Dunque, gli uffici della Motorizzazione continueranno a respingere le domande basate su un calcolo dei tre anni che parta dalla data dell'infrazione. Faranno così - afferma la circolare - fino a quando non arriveranno decisioni contrarie dai <<massimi organi giurisprudenziali>>. Resta il problema pratico di revoca disposta anche dopo diversi anni dall'accaduto, dati i tempi della giustizia. Da un lato, non è detto che i divieti di guida che il Codice della strada consente di adottare in via cautelare bastino a evitare che un conducente pericoloso circoli. D'altra parte, se dopo l'infrazione l'imputato assume un comportamento ineccepibile, gli si causano pregiudizi per troppo tempo.

trattato di un reato. Dal punto di vista logico-sistematico, occorre notare che l'articolo 224, comma 2 del codice della strada lega la revoca della patente a una <<condanna irrevocabile>>, come può essere solo col passaggio in giudicato. Sempre

Il credo religioso non evita lo spaccio

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l reato di detenzione di stupefacenti per spaccio scatta anche se si giustifica il possesso dell'hashish con l'appartenenza alla religione rastafariana, per la quale l'utilizzo della marijuana ai fini meditativi è un fatto assolutamente normale. La Corte d'Appello ha confermato la condanna per due uomini che avevano dichiarato di aderire a tale fede, perché l'appartenenza non era stata dichiarata nell'interrogatorio di garanzia e inoltre è noto che i rastafariani utilizzano per scopi religiosi solo la marijuana e non i suoi estratti, quale l'hashish, nei confronti dei quali non sono per niente permissivi. Corte d'Appello di Palermo Sezione VI penale Sentenza 4 giugno 2015 n°2388


Visto da dentro

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Spazio dedicato a privati, “liberi” e “diversamente liberi”, aziende, associazioni e istituzioni per annunci di varia natura, con l’obiettivo di mettere in contatto il dentro ed il fuori cercando di soddisfare le reciproche esigenze. Per info contattare la redazione citando il codice dell’inserzione. Email info@vocelibera.net Antonio - cerca in acquisto, nord Italia azienda di servizi, noleggio con conducente, con clientela e parco macchine, per riprendere la vecchia attività. Cod. 071

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Byron - ho 40 anni, sono di nazionalità Ecuadoregna, cerco lavoro come autista di motrice/bilico o tir in Lombardia, ho esperienza di carico e scarico, centinati-frigo, porta container, Pat. CE CUC, sono automunito e soprattutto sono serio, responsabile e puntuale. Cod. 71

Damiano - vendo Panda 2005 azzurra Diesel 4 porte in buone condizioni km 105000, motore ottimo, ha bisogno solo di una lucidata e un cambio gomme. Prezzo equo. Cod. 86

Bibliotecario - car cer e cerca privati o associazioni che possano donare libri usati anche recenti. Cod. 008

I redattori di VoceLibera - cercano in dono testi di Cesare Beccaria e Piero Calamandrei per approfondimenti. Annuncio sempre valido.Cod.029

Cooperativa sociale - cer ca in dono ritagli di tessuto e pelle di fine serie per produzione artigianale in carcere.Cod.009 Mohammad - vendo pelliccia di visone lunga, taglia 48, in ottima forma tenuta in deposito frigo Milano, per il prezzo ci possiamo accordare. Cod. 84

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Corrado - vendo comò 1920 quattro cassetti e specchiera, molto bella ed in buono stato, contattare la redazione per foto, prezzo ragionevole. Cod. 85

Angelo - vendo decoder satellitare, prezzo modico. Cod. 81

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Victor - Ciao a tutti sono un ragazzo domenicano, ho 25 anni sono alto 1,70 e peso 65 kg, sono mulatto e ho un fisico palestrato, sono una persone solare, mi piace la musica, la palestra e nuotare al mare. Mi piacerebbe fare una bella amicizia con una ragazza simpatica. Scrivimi perché potresti essere proprio tu la persona che sto cercando. Un caloroso bacio a presto. De La Cruz Victor Marino Via per Cassano n° 102 21052 Busto Arsizio (VA)

Vittorio - vendo per collezionisti, 1480 schede telefoniche dal 1997 al 2006, 27 cataloghi Telecom completi su 36 tutti con folder. cod. 056

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Fabrizio - 35 enne, prossimo al fine pena, cerca ragazza coetanea per una vacanza oltre Oceano. Cod. 051

Vladimir - cerca lavoro come saldatore a filo. Buona lettura disegno meccanico. Gestione autonoma lavori di saldatura e carpenteria medio e pesante. Cod. 054


Prigioni dall’altro

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Dai racconti sulle esperienze di detenuti che arrivano a Busto Arsizio, oppure dalle lettere dei nostri compagni che vengono trasferiti – o meglio – “sballati” in gergo carcerario, le continue transumanze diventano fonte di conoscenza che può tornare utile per confrontarci e migliorare attraverso le esperienze altrui. La redazione Come funziona altrove:

Tira aria nuova a Busto Arsizio Non solo intesa come spazio dedicato ai “passeggi”, e nemmeno aria che entra dagli spifferi delle finestre: cronaca di un cambiamento annunciato

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ocelibera in Europa e nel mondo. Abbiamo viaggiato tanto in questi mesi, aprendovi le porte di tante galere e, grazie alla collaborazione dei nostri compagni di sventura che hanno avuto modo di vivere esperienze dirette di detenzione all'estero, siamo riusciti a raccontare come funziona altrove. Questa volta però ci fermiamo qui, “a casa”, per raccontarvi cosa è cambiato e sta cambiando a Busto Arsizio. A Maggio 2015 avevamo intervistato la dott.ssa Rita Gaeta, responsabile Area Trattamentale dell’istituto, che ci aveva anticipato alcune evoluzioni in atto. In quel momento alcuni detenuti iniziavano l’esperienza Expo, andando a lavorare in Art. 21 all’esposizione universale. Iniziativa che si è conclusa positivamente, ed è servita da traino per avviarne altre che consentono ad un numero sempre più alto di persone di accedere al lavoro esterno. Anche l’accesso al beneficio dei permessi premio ha visto un notevole incremento, senza che si sia mai verificato alcun incidente di percorso che avrebbe rappresentato il fallimento per tutti. Lo scorso novembre sono state finalmente aperte le due nuove sezioni sperimentali tanto attese; si tratta di un reparto all’avanguardia, in linea con gli standard dei più rinomati istituti del Nord Europa ai quali viene fatto riferimento ogni qualvolta si vogliano citare esempi positivi. Spazio e comfort caratterizzano questa importante opera, con “camere di pernottamento”, calde, fresche, pulite, spaziose e munite di doccia calda e con un vero WC; letti singoli, luci per la lettura notturna, tutto curato nei minimi particolari. Ma il cambiamento non è solo strutturale. Il reparto sperimentale,

infatti, adotta la procedura della vigilanza dinamica, auspicata dal legislatore quale metodo per responsabilizzare i detenuti, che vivono la giornata con le porte delle celle aperte, sottoscrivendo con l’amministrazione un patto che implica il rispetto delle regole di base. La presenza della polizia penitenziaria diventa quindi impercettibile e circoscritta

diminuzione del numero di ristretti che ha consentito di gestire meglio le risorse umane e finanziarie. L’ampliamento dei posti disponibili, per effetto dell’apertura del nuovo reparto, ha consentito ottenere una maggiore vivibilità degli spazi in tutte le sezioni; nelle celle è stato eliminato il terzo piano del letto a castello riducendo a due il numero di occupanti, che di conseguenza fruiscono di uno spazio individuale ampiamente al di sopra dei 3 mq stabiliti dalla Cedu come <<limite al di sotto del quale si ha violazione dell’art. 3 che proibisce la torture ed i trattamenti inumani e degradanti, indipendentemente dalle altre condizioni di detenzione quali –ad esempio– le ore di apertura delle porte della cella, la possibilità di lavorare, studiare, ecc..>>. Reazione positiva, naturalmente, da parte dei fortunati assegnatari dei nuovi “alloggi”, consapevoli comunque di essere investiti della responsabilità che deriva dal carattere sperimentale dell’iniziativa. Dipenderà esclusivamente dal loro comportamento, infatti, la buona riuscita dell’esperimento e l’auspicabile ampliamento alle rimanenti sezioni delle medesime condizioni di trattamento. Si sono finalmente tranquillizzati gli animi, si riaccendono le speranze e gli ospiti non devono più lottare per sopravvivere al disagio quotidiano. C’è sicuramente maggiore spazio e stimoli nuovi per progettare il futuro di ognuno. A completare l’opera, ha contribuito anche la realizzazione del nuovo spazio dedicato alla biblioteca, ora dotata di oltre quattro mila titoli che aumentano velocemente per effetto di iniziative solidali che hanno vista coinvolta anche la Camera Penale di Busto Arsizio. Tutto bene allora? No, non ancora. La

Un salto culturale, creativo e coraggioso, indice della volontà di progredire verso un sistema di espiazione delle pene in linea con i dettami costituzionali alla discreta osservazione, dai monitor delle telecamere, di quanto accade negli spazi comuni. Il nuovo reparto ospita coloro che in base al programma trattamentale si avviano al prossimo reinserimento nel mondo libero. In sostanza si tratta dell’ultimo miglio, quel tratto del percorso di rieducazione che consentirà di affrontare la realtà –spesso difficile– del quotidiano confronto con “il fuori”. Si tratta di un salto culturale, creativo e coraggioso, indice della volontà di progredire verso un sistema di espiazione delle pene in linea con i dettami costituzionali. Sono ormai alle spalle i tempi che hanno condotto alla tristemente famosa sentenza Torreggiani, con la quale la Corte Europea emetteva la sentenza pilota di condanna che ha visto coinvolto anche l’istituto di Busto Arsizio. La risposta da parte delle istituzioni non si è fatta attendere, ed ora le condizioni di detenzione, ma anche di lavoro per il personale, sono decisamente migliorate, soprattutto per effetto della


Prigioni dall’altro mondo

strada è lunga, si tratta di una tappa intermedia dell’ambizioso percorso di rinnovamento intrapreso. L’esperienza insegna che in tema di innovamento non bisogna mai porsi dei limiti. Occorre discuterne, servono i confronti costruttivi che vedano coinvolti tutti gli attori in scena: operatori penitenziari, volontari, istituzioni, società civile e -perché nogli ospiti, che possono dare il proprio contributo in termini di proposte che consentano di evolvere. La redazione di VoceLibera, in tal senso, è un periscopio che osserva e rac-

conta le mutazioni del pianeta carcere, sempre pronti a coglierne gli aspetti positivi, i buoni esempi, ma anche a suggerire. Siamo convinti che a breve ci saranno ulteriori sviluppi, magari con un’inversione di tendenza rispetto al fuggi fuggi generale che faceva scappare tutti da Busto Arsizio con destinazione i soliti noti istituti “modello”. Questa volta rischiamo veramente l’overbooking, con le file di condannati muniti di valigia davanti ai cancelli.

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La redazione

“La carcere è la semplice custodia d’un cittadino affinché sia giudicato reo, e questa custodia essendo essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile e dev’essere meno dura che si possa. Il minor tempo dev’esser misurato e dalla necessaria durazione del processo e dall’anzianità di chi prima ha un diritto di esser giudicato.” Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1763


A tavola in Via per Cassano

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IN BOCCA ALL’ESPERTO Il nostro critico gastronomico in incognito visita periodicamente le cucine delle celle nelle sezioni. Prenota sotto falso nome e cena senza qualificarsi, per esprimere così un giudizio da “cliente qualunque”. Occhio!

Anche in carcere è Natale: con poche risorse ottimi risultati Tutti a tavola per festeggiare e rendere sopportabile la permanenza dietro le sbarre

I

l nostro esperto gastronomico continua la sua avventura girando per le cucine delle celle in cerca di qualcosa di straordinario. Influenzando la scelta da lui provata attraverso varie cucine di etnie differenti. Dopo aver girato ed assaggiato varie pietanze, di svariate culture, non si poteva che tornare alle grandi presentazioni e bontà fatte dal nostro Luca, oramai diventato cuoco stellato di Busto Arsizio. Fa brillare occhi e palati di tutti noi, mostrando una vera e propria passione nella preparazione di pietanze e nella presentazione dei piatti. Questa volta ci ha deliziato, con l'occasione del Natale, preparando un antipasto freddo coi fiocchi: cevice peruviano di petto di pollo tagliati a cubetti, per poi passare al piatto forte; petto d'anatra con salsa di caffè. Preparazione dell'antipasto: tagliuzzare a cubetti il petto di pollo, metterlo in pentola con succo di limone, sedano a cubetti e pepe. A cottura quasi ultimata, aggiungere cipolla di tropea con acqua e aceto, peperoncino fresco tritato con salsa di soia. Preparazione piatto: lessare due patate, tagliarle in maniera che formino un fiore, metterli sul lato del piatto come fossero dei petali di rosa, posizionare al centro i petti di pollo, tagliare a strisce il sedano e alcune cipolle di tropea, metterle in acqua con ghiaccio cosi creando dei ricciolini croccanti da posizionare sul pollo, condire il tutto con il sugo di cottura. L'antipasto fresco coi fiocchi è servito.

Preparazione del petto d'anatra con crema di caffè; fare delle incisioni sulla pelle in diagonale formando dei rombi, ungere con olio, poi sale e pepe. Preriscaldare la pentola, posizionare il petto d'anatra intero e farlo cucinare per 7 minuti sul lato della pelle e 5 minuti su l'altro lato . Una volta cotto, lasciarlo riposare e procedere con la salsa. Glassare un succo d'arancia, aggiungere un bicchiere di caffè, un cucchiaino di miele e tre scalogni incisi, fare cucinare a fuoco lento per circa 18 minuti col coperchio e 5 minuti senza, al fine di ottenere una salsa vellutata al caffè. Preparazione piatto: mettere il petto d'anatra intero in forno preriscaldato - per circa 6/7 minuti. Una volta pronto, scalopparlo in fette di un centimetro e adagiarlo su un piatto, condirlo con la salsa di caffè e gli scalogni.

Tutti a tavola per festeggiare il Natale e rendere meno pesante la nostra reclusione. Marco Terreni

Lo chef Luca per fantasia, preparazione e sapore del piatto che ha preparato, merita senz’altro le tre sbarre di VoceLibera e, al momento, è in testa alla classifica delle migliori cucine di Via Per Cassano. Ambiente # # # Servizio # # # Presentazione piatto # # # # Degustazione # # # #


Domande & opinioni

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L'ipocrisia della memoria

Segue da pagina 3 Spoglio di ogni compassione, ai migranti che faranno richiesta di asilo il governo danese sequestrerà denaro e beni personali fino a 1350 euro “per contribuire alle spese di mantenimento e di alloggio”. Stesso triste destino attenderà quei disgraziati che vorranno rifarsi una vita in Svizzera, dove al confine troveranno un cartello in cui campeggia la scritta: “consegnare i propri beni in cambio di una ricevuta”. Sicuri di essere davvero così lontani dalle spoliazioni dei nazisti ai danni degli ebrei deportati nei

lager? Siamo propri certi che questi provvedimenti tengano conto del rispetto per la dignità umana che gli stermini del passato ci hanno imposto come dovere imprescindibile? Senza contare le politiche di certi partiti europei che trasudano di nazionalismo fanatico e xenofobia dichiarata. Il vento dell'intolleranza soffia ancora forte e finché l'intenzione di contrastarlo viene declassata a buonismo, mettere le fondamenta per una società fondata sull'uguaglianza sembra ancora un miraggio. È evidente che i paragoni con quanto

accaduto nel Secolo Breve rientrino nel campo dell'iperbole, ma se vogliamo rendere, come giusto che sia, la Giornata della Memoria un messaggio altisonante, sarebbe bene che oltre a ricordare e commemorare, agissimo come se non avessimo dimenticato.

Federico Corona

Attraverso la pagina VoceLibera ci vengono poste alcune domande dai nostri lettori In molti ci chiedete se è possibile acquistare il nostro magazine in edicola: Non siamo in edicola, per il momento. I costi di distribuzione sono molto alti e non ce lo possiamo ancora permettere. È possibile acquistare online, sia il singolo numero che sottoscrivere l’abbonamento dal sito http://vocelibera.net/shop/ In carcere ci sono spazi riservati all’affettività con figli e mogli/fidanzate/compagne? Bella domanda. È un tema “bollente” sul quale si discute ormai da anni, ed è anche una delle esigenze più sentite da parte degli ospiti delle carceri. Purtroppo sono molte le famiglie che si disgregano a causa del carcere, e la possibilità di vivere dei momenti di affettività contribuirebbe a mantenere saldi i rapporti. Ma siamo fiduciosi: in questo momento Busto Arsizio è in continua evoluzione, sappiamo da quali condizioni siamo partiti ed apprezziamo la volontà di cambiamento, che si tocca con mano. Nulla esclude che ci possano essere sorprese positive anche in tale senso


Diamo i numeri

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230 euro

il costo di un chilo di riso nella città siriana di Madaya, secondo la pagina creata su Facebook dagli abitanti

15 morti

per fame in pochi giorni secondo l'Osservatorio siriano dei diritti umani. L'Onu non indica i numeri ma conferma.

Corre la Cina su due ruote (elettriche), molto meno l'Europa 42,4 milioni 1,5 milioni

stima delle vendite di biciclette elettriche nel 2018 in Cina in Europa

VoceLibera Magazine dalla Casa Circondariale di Busto Arsizio Ideato da 3B Coop. Sociale e Atena S.r.l.

Progetto Esterna-Mente Direttore responsabile: Federico Corona Coordinamento progetto: Barbara Trebbi Redazione: William Amato, Sara Arrigoni, Claudio Bottan, Alessandro Buoni, Cosmo Di Biase, Issam El Jyad, Elzevier, Giovanni Misso, Livio Mostoni, Vittorio Romano, Marco Terreni, L’azzeccagarbugli E-mail redazionevocelibera@gmail.com

www.vocelibera.net

34 per cento 61 per cento 168 milioni 250 milioni

quota di mercato della grande distribuzione in Italia nel Regno Unito

Stampa: Pixartprinting S.p.A., (Quarto d’Altino VE)

Trib. di Busto Arsizio N° 05/2015 – Iscrizione ROC 25894/2015 Abbonamenti IBAN: IT04O0501801600000000137206 Causale: VoceLibera Intestato a 3B Cooperativa Sociale Onlus

bambini che lavorano nel mondo quindici anni fa

Narcos in cifre 100 mila i morti dal 2006 al 2016, la stima è approssimativa

Responsabile del trattamento dati: 3B Cooperativa Sociale Onlus Via Carcano 18, 21100 Varese

Da 25 a 40

I numeri cartacei arretrati possono essere richiesti via e-mail alla redazione

per difetto dalle autorità messicane

i guadagni dei cartelli, in miliardi di dollari incassati ogni anno dai cartelli messicani per la vendita di droga negli Usa. Business gigantesco per il principale Paese produttore, il Messico, e per quello di sbocco

Numero chiuso in redazione il 29.01.2016

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Art director: Claudio Bottan

12.687 i posti di lavoro per le attività riparative nel 2015 grazie alle convenzioni stipulate con enti pubblici A fine 2015 i detenuti ammessi al lavoro esterno erano mentre per 6557 era in corso la messa in prova

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US

VL - Pg.35

Oggi parliamo di programmi tv

Cosmo Di Biase

Issam El Jyad

Marco Terreni

Claudio Bottan

Regione Europa Appuntamento fisso del sabato mattina per uno sguardo sull’Europa

C’è posta per te Emozioni e lacrime. Quando arriva la posta in carcere spero sempre che sia Mario...

National Geographic Le meraviglie del mondo diventano più che semplici desideri

Report Uno spaccato sui vizi (tanti) e le virtù (pochine) dell’Italia

Alessandro Buoni

Vittorio Romano

Sara Arrigoni

Federico Corona

Masterchef Bastianich e Cracco, quando volete vi sfido ai fornelli

Geo, Rai 3 Viaggiare alla scoperta degli angoli nascosti del pianeta

Pechino express Itinerario interattivo condito da sano divertimento

Piazzapulita Nella jungla dei talk show si distingue per la qualità e professionalità dei suoi servizi

Barbara Trebbi

Elzevier

Azzeccagarbugli

Oscar

Food Maniac Un modo semplice per raccontare la cucina d’effetto

Leonardo Spazio dedicato alle nuove scoperte scientifiche. Rai 3

Chi l’ha visto? Rai 3 Le soluzioni impensabili

Cronache animali -Canale 5 Per mantenersi aggiornati, vita da cani...


QUARTA DI COPERTINA—PAGINA INTERA


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