editoriale
la vera ricetta per la ripresa è la tenacia a cura di
U
na nuova avventura, qualsiasi essa sia, passa sempre attraverso una scommessa con se stessi e si porta appresso presupposti di entusiasmo, anche in momenti difficili come questo. Per la società e per l’editoria, soprattutto quella fatta di ‘carta stampata’. Eppure, questa scommessa ci eccita e ci inorgoglisce, perché abbiamo deciso di scommettere, ancora una volta, sull’informazione. Crediamo nella sua funzione e nell’importanza della pluralità delle voci, nell’anacronismo di fare un giornale cartaceo d’inchiesta, ma non solo, in un momento in cui le ‘notizie’ passano soprattutto attraverso i canali dei social network. Perché una cosa è il trending topic, cioè l’argomento più discusso del giorno sul web, una cosa è l’informazione giornalistica ‘vera’: qualche settimana fa, il giorno della morte dell’ex presidente Scalfaro (confermata dall’Ansa), ‘moriva’ virtualmente anche la pop star Adèle (naturalmente su Facebook e Twitter) con l’immediato risultato del cordoglio reale ‘on line’ di migliaia di fans. Ebbene: per fortuna Scalfaro non è Adèle e Twitter e Facebook, non sono giornalismo. Questo per ribadire, ancora una volta, la potenza ma anche i limiti, di un sistema di informazione che, forse, bisognerebbe per certi versi ripensare. Dunque, dicevamo, una nuova finestra sulla nostra regione e l’auspicio è quindi quello di poter contare su un ulteriore strumento in grado di sviluppare un dibattito vero, capace di scavare dietro le notizie con l’unico obiettivo di avvicinare il più possibile la coscienza delle persone alla reale dimensione dei fatti. Due riviste ‘cartacee’, in un unico prodotto editoriale: L’inchiesta Sicilia , magazine che da oltre 16 anni, offrendo un’informazione chiara e non di parte, focalizza la propria attenzione sui fatti di politica, economia, società e cultura della nostra Isola; e poi Salute In ,una rivista che focalizza la propria attenzione sulle eccellenze della sanità in Sicilia, argomento che ci sta molto a cuore. A questa iniziativa cartacea, si affiancheranno anche due canali paralleli di informazione, per rendere fruibile la nostra comunicazione a 360°: L’inchiesta Sicilia – Salute In ‘in Tv’ - Un format che ripropone le riviste in Tv attraverso canali televisivi (terrestri e satellitari) e canali web e L’inchiesta Sicilia - Salute In ‘On-line’ - Un portale web in grado di guidare il visitatore all’interno di percorsi, la cui multimedialità volge attenzione alle esigenze di fruibilità degli utenti, senza trascurare animazione e accorgimenti grafici ricercati. Forte di una veste editoriale nuova, più dinamica e moderna, la nuova ‘Inchiesta Sicilia’ sarà capace di sfruttare (ed è questa la vera e più importante novità che ci apprestiamo ad inaugurare) i nuovi mezzi di comunicazione: strumenti complementari alla carta stampata, in grado di offrire maggiori potenzialità editoriali e di abbracciare, in tempi rapidissimi, un maggior numero di lettori. Strumenti indispensabili per essere partecipi della società, esserne cronisti ma anche protagonisti, per informare e, sopratutto, cambiare. pagina 1
Editoria
sul filo del rasoio di Riccardo Arena Presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia
l panorama editoriale? Nulla di buono sul fronte occidentale. E nemmeno su quello orientale. E a dire il vero neppure sui fronti settentrionale e meridionale. Si possono dire solo un paio di cose. La prima è che in Sicilia il mercato del lavoro giornalistico e il settore dell’editoria sono sempre più asfittici. La seconda è che, per quanto fino a pochissimo tempo fa potesse sembrare impensabile, sono ad alto rischio posti di lavoro e testate finora considerate solidissime e inattaccabili. Se dunque prima si poteva fare una distinzione tra “stabilizzati” e “precari”, fra retribuiti “regolari” (o quasi) e “sottopagati”, oggi i confini sono sempre più labili: fra stati di crisi avviati, ricorsi alla cassa integrazione e ad altri ammortizzatori sociali, riduzioni del personale giornalistico e/o tecnico, non ci sono più “garantiti” per antonomasia, in questa regione che tanto ha dato e continua a dare nel campo dell’informazione, soprattutto sui temi della mafia, della crisi, dell’immigrazione. In queste condizioni vengono meno, per volontà degli editori, incapaci di far quadrare i conti – dissestati, il più delle volte, dalle loro scelte sbagliate – anche le garanzie di qualità in favore dei cosiddetti utenti dei prodotti editoriali: lettori, telespettatori o ascoltatori, “navigatori”. La Sicilia conta un numero di testate televisive registrate che è tra i più alti d’Italia. Un dato, questo, decisamente anomalo, in un mercato editoriale in aperta crisi e in una situazione economica generale che rasenta il collasso. Le nuove tecnologie promettono però sviluppo, possono aprire nuovi orizzonti e avveniristici spazi di fruizione e di interattività col pubblico. In un contesto in cui godono di sempre minori garanzie, quali sono dunque le prospettive per i giornalisti? Sempre le stesse: possono cioè essere garantiti solo dalla loro professionalità, dal saper dare qualità al proprio lavoro, dalle loro attendibilità e autorevolezza. Valori fondamentali, in un momento decisivo per le sorti della categoria e dell’Ordine, alla vigilia della partita della riforma delle professioni. Non sappiamo chi la vincerà, questa partita, se mai ci sarà un vincitore. Sappiamo però che dovunque si andrà, i giornalisti ci saranno – ci saremo – per raccontare come andrà a finire.
opinione
I
pagina 3
s
Periodico dell’Associazione Culturale NuovaComunicazione Via Marchese Ugo, 56 - 90141 Palermo
1 3 6 10
o
m
m
a
r
i
o
l’Editoriale La vera ricetta per la ripresa è la tenacia l’Opinione Editoria sul filo del rasoio l’inchiesta Quando la coppia.... scoppia Tavola rotonda Voglia di riforme
27
Testata Iscritta al Registro Nazionale della Stampa 6 Agosto 1996, n° 06429 Tribunale di Palermo n. 28/96 del 23 Settembre 1996 Nuova Edizione
Turismo Parola d’ordine divertimento
Sede e Amministrazione Via Marchese Ugo, 56 90141 Palermo linchiestasicilia@libero.it Direttore Responsabile Giulia Noera Coordinamento di Redazione Patrizia Romano Coordinamento Editoriale Giusi Serravalle Direttore Marketing Daniela Mainenti Collaboratori: Mathew Furline, Alberto Samonà Valerio Castelnuovo, Alessandra Ballarò Benedetto Darcamo, Roberto Li Chiavi Massimo Oriti, Pippo La Barba Salvo Ferlito, Massimo Arciresi Fateh Hamdam, Giovanna Cirino Annalisa Cardella, Alessandro Bellomo Salvo Sbacchis Progetto Grafico e Impaginazione Giusi Adelfio Stampa FCS srl Sito Internet www.inchiestasicilia.com www.inchiestasicilia.it Format televisivo "l'inchiesta sicilia" Condotto da: Elisabetta Cinà Editing: Andrea Muhari Riprese: Serenella Fiasconaro
12 13 14 16 18 20 22 24 28 29 30 34 36
32
Politica regionale Arriva l’arcangelo Arraffaele
Siciliani nel mondo Voto all’estero
Politica provinciale Cercasi idendità Politica Comuni Ciascuno ha il peso che si merita? Economia e lavoro Impresa e occupazione Società e Costume Nell’oblio della mente
c
Giudiziaria Giustizia è fatta... quando ci sarà tempo Il Personaggio Carlo Verdone Dai miei primi 50 anni L’intervista Il nuovo volto dell’Ircac Gastronomia Tradizione innovativa Moda La freschezza all’insegna del caldo Sport Lo sport che muore Tam Tam Sos Palestina Risponde l’esperto
cultura 38 39 40 41 42 43 44 46
La terza pagina Libri
Spettacolo Musica Arte Cinema Racconti Scuola
l’inchiesta
Quando la coppia Più di 130 mila casi. Oltre 350 sentenze al giorno. Il 25% dei legami in atto si scioglie. Ogni 4 minuti, in Italia, un matrimonio va in frantumi. E la Sicilia, tradizionalmente e storicamente meno coinvolta nel fenomeno, si equipara sempre più alle regioni del Nord. Esperti a confronto in un’analisi giuridica, legale, sociale, psichica, religiosa di un fenomeno in espansione: il divorzio a cura di
M
“
atrimonio! Che bruttissima parola! Di quelle che ti fanno capire in che guaio ti sei ficcato!” (George Bernard Shaw). “La base logica del matrimonio è il malinteso reciproco!” (Oscar Wilde). “Probabilmente il divorzio ha all’incirca la stessa età del matrimonio, credo però che il matrimonio abbia qualche settimana in più!” (Voltaire). “Il matrimonio è come una trappola per topi: quelli che son dentro vorrebbero uscirne e gli altri ci girano intorno per entrarvi!” (Giovanni Verga). Anno 1970, con 325 voti a favore e 283 contrari, la Camera approva la legge sul divorzio. Asce come rimedio al fallimento della viota coniugale , rappresentando, agli esordi, una vera e proprisa rivoluzione nel campo dei diritti umani, oggi una vera e propria piaga sociale. Andamento del fenomeno Lo stesso anno della promulgazione, si registrano 5 mila 500 divorzi. Appena un anno dopo, la cifra aumenta vertiginosamente, registrando 15 mila casi in più. Dal ’72 all’80, il fenomeno mantiene una media annua di 40 mila casi. Durante i 4 anni successivi, si arriva a 45 mila. Sino ad arrivare agli anni del boom, gli anni 90, in cui la cifra si aggira intorno ai 65 mila casi l’anno, cioè il 22 per cento dei matrimoni avvenuti in quel periodo. Da allora a oggi siamo di fronte una cresita inarre-
stabile. Oggi, il numero di separazioni e divorzi, secondo dati del ministero di Grazia e Giustizia, si aggira intorno ai 130 mila: più di 350 sentenze al giorno; insomma… uno scioglimento coniugale ogni 4 minuti. Negli ultimi due anni, poi, si è registrato un aumentyo record del 25 per cento in un solo biennio, tanto quanto sono aumentato in un decennio. In passato si è registrato un forte divario numerico tra Nord e Sud, con cifre preponderanti al Nord. La sicilia, in particolare, è sempre stata la regione meridionale con lacentualev più bassa. Nell’ultimo decennio, però, tale divorzio si è assottigliato, registrando un forte incremento in tutta l’Isola sia delle separazioni sia dei divorzi, con una crescita rispettivamente dell’85 e del 74 per cento. Il flusso delle cause è in costante aumento. Il numero più alto di contenziosi si registra nel capoluogo. In Sicilia la crisi riguarda in particolare famiglie di recente formazione. Prevalentemente sono in aumento i procedimenti consensuali. Le cause sono spesso determinate da un forte disagio economico che crea notevoli difficolltà
l’inchiesta
nell’adozione di provvedimenti. La durata media di un matrimonio si aggira intorno ai 14 anni. Dentro questi cambiamenti, ci sono anche le differenze multietniche che coinvolgono anche l’Italia, dove si dsono registrati il 9,2 per cento di separazioni e il 6,1 per cento dei matrimoni. L’avvocato del diavolo: aspetto legale e aspetto economico Il processo deo divorzio può seguire due processi alternativi. Tutto dipende dal consenso di entrambi i coniugi. I procedimenti di separazione possono essere consensuali o giudiziali. “I primi – spiega Caterina Mirto, avvocato matrimonialista, presidenter dell’Aiaf, associazione di avvocati esperti in diritto di famiglia _ si concludono in una sola udienza in presenza del Presidente del tribunale che constata la validità degli accordi raggiunti dalle parti, dopo avere esperito un tentativo di cionciliazione. Questo si conclude con un decreto di omologazione per accedere dopo tre anni alla richiesta di divorzio. Le separazioni giudiziali, invece – continua l’avvocato – iniziano a istanza di una deller parti e si svolgono in due fasi diverse; quella presidenziale in cui viene esperito il tentativo di conciliazione e vengono adottati provvedimenti provvisori e urgenti, la seconda, che si svolge davanti al Giudice struttore, può durare da uno a x anni e il giudizio si conclude con una sentenza che può essere appellata e successivamente anche impugnata in cassazione”. In entrambi i casi, le parti debbono essere assistite da un avvo-
cato e questo comporta già un primo carico di spese. Se si litiga, poi, la spesa non ha limiti. Il divorzio rappresenta un vero e proprio business. Certo tutto è affidato alla deontologia dei legali. Parliamo, comunque, di un volume di affari che ogni anno fattura dai 500 milioni al miliardio di Euro. Quando parliamo di divorzi congiunti, la cifra oscilla dai 2 ai 15 mila Euro, mentre quelli conflittuali sono, come si dice in termini legali, ‘senza tetto’ e con cifre da capogiro. In realtà, comunque, determinare il costo preciso di un procedimento di separazione e di divorzio è impossibile dal momento che non si possono preventivare gli atti che si andranno a compiere. “I costi, se parliamo di avvocati corretti – sottolinea l’avvocato Mirto – vengono determinasti attraversio un tariffario che è identico per tutte le regioni d’Italia. I costi aumentano solo in virtù di quello che si attua per il cliente. L’avvocato non può andare oltre le tariffe consentite dalla legge, ma nell’ambito delle stesse può applicare i minimi, le medie o i massimi. In caso di parcelle non corrispondenti al lavoro effettuato il cliente potrà rivolgersi al consiglio dell’ordine. pagina 7
l’inchiesta
I tempi biblici della legge - Aspetto giuridico I costi di un divorzio, oltre che sulla coppia, gravano sulle tasse statali, poiché una rilevante dei giudizi si svolge con il patrocinio a spese dello Stato. “Nel caso che si concluda con una separazione consensuale – spiega Rocco Camerata Scovazza, giudice reggente della prima Sezione Civile del Tribunale di Palermo – vengono liquidati dagli 800 ai 1000 Euro circa per ciascun difensore. Nel caso che il giudice prosegua, il costo sale a circa 1500 Euro. Il problema è aggravato pure dai tempi di procedimento che variano a secondo delle domamde formulate dalle parti, nonché dal tipo di giudizxio promosso. Una prima strozzatura – sottolinea il giudice – si verifica tra il deposito del ricorso e la convocazione delle parti per il tentativo di conciliazione, per cui passano almeno sei mersi. Altra strozzatura si verifica, invece, nell’intervallo di tempo tra l’udienza presidenziale e quella di prima comparizione avanti al G.I., che vede un intervallo di circa tre mesi. Successivamente i tempi del giudizio si protraggono a secondo delle questioni messe in campo dalle parti (affidamento dei figli, patrimonio, eccetera), in quanto siu frende necessaria la raccolta di prove e l’espletamento di consulenze tecniche”. Anima in frantumi - Aspetto psicologico Al di là dei tempi e delle procedure, il divorzio rimane uno degli espedienti più deleteri per la psiche individuale, implicando un coinvolgimento emotivo irreversibile. Un contributo per contenere i danni psicologici a carico di tutti i soggetti coinvolti viene dato dalla psicologia giuridica. Una disciplina, quest’ultima, che coniuga il diritto e la psicologia in ambito giuridico-giudiziario. I tratta di una disciplina an-
pagina 8
risateadentistretti
tica, ma di recente applicazione, in particolare in Sicilia. Nell’ambito del suo intervento, bisogna tenere conto soprattutto delle dinamiche che si innescano all’interno di una rottura. “Le cause sono tante – sottolinea Antonella Luppino, psicologa -. Tra queste, l’assenza di svincolo dalla famiglia di origine, l’immaturità affettiva, l’evoluzione personale, l’evento critico che conduce all’allontanamentyo dalla dimensione di coppia, nonché la rottura interna del patto di coppia”. Proprio per la molteplicità di cause, tracciara un profilo della coppia separata è estremamente complesso. “Generalmente è una coppia – continua l’esperta – in cui la dimensione del ‘Noi’ non esiste più e ha lasciato il posto alla dimensione dell’Io, dove non vi è più la capacità di mediare e fare compromessi all’interno di un circuito rabbioso dettato dalla delusione di come si vede adesso l’altro. A volta l’aggressività verso l’ex, che si avverte come traditore del patto coniugale, può manifestarsi in una conflittualità aperta, a volte moltom più sottile e celata”. La patologia del matrimonio si riflette prevalentemente sui figli. Anche se qualche volta fanno da deterrente alla separazione dei genitori. Società malata? Aspetto sociale Non sempre le cause investono la sfera individuale, ma anche sociale. Quanto influisce il contesto socio-culturale sui conflitti di coppia? “Il fattpo che molte persone decidano di separarsi – sottolinea il sociologo Fabio Lo Verde, direttore del dipartimento di Scienze Sociali presso la facoltà di Scienza della Formazione – non necessariamente implica che ci sia un diffuso malessere sociale. La società, vista nel suo insieme, potrebbe presentare uno stato di benessere sociale sistemico, mentre gli individui possono vivere individualmente uno stato di malessere diffuso. O viceversa. Quello della società italiana mi sembra, in questo momento, uno stato di incapacità di lettura sistemica. La cosa di cui possiamo essere certi – prosegue il sociologo – è piuttosto che oggi si manifestano elevati livelli di conflittualità spicciola, cioè di rissosità espressa nella società e dunque all’interno della struttura familiare. Nelle statistiche della litigiosità, rientrano anche i conflitti familiari. Ma in realtà se guardiamo al passato, l’instabilità coniugale è una delle caratteristiche che è sempre stata presente. Solamente che n el passato i fattori di instabilità erano altri. La centralità del diritto individuale della persona e il grande guadagno delle società occidentali contemporanee generano anche un loro contrario, e cioè che non si è disposti più, soprattutto da parte delle donne, a convivere in una situazione di forzata condivisione di spazi e tempi”. In Italia permangono, tra le cause sociali, delle differenze tra le varie aree geografiche. In merito alle differenze regionali – chiarisce il sociologo – c’è da dire che i diversi livelli di instabilità fra Nord e Sud evidenziano uno stato di cose che riguarda
Quando la coppia
l’inchiesta
comunque differenze territoriali in termini socioeconomici, culturali, valoriali, eccetera complessive, ma che per certi aspetti tendono a ridursi. Ad esempio è vero che ci sono più separazioni al nord che al sud, ma negli ultimi cinque anni i tassi di crescita si sono allineati. Anche il processo di secolarizzazione a cui siuamo andati incontro ha influito sulla desacralizzazione non solo del rito, ma anche degli effetti regolativi del progetto matrimoniale per come viene vissuto oggi rispetto al passato”. L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce Aspetto religioso
‘I matrimoni durano pochissimo. Aumentano i riti civili e le convivenze. I valori di una volta si stanno perdendo’. Il tribunale ecclesiastico siciliano lancia dati allarmanti. I separati cristiani, però, si sentono esclusi ed emarginati dalla chiesa. La comunità che li rappresenta manifesta grande risentimento in proposito. “I separati – dice don Fabio Fiorentino, direttore dell’Ufficio pastorale per la famiglia di Palermo – se non sono conviventi non hanno nessun problemas ad accostarsi aklla confessione e all’eucarestia, che sono comunemente le cose di cui ci si lamenta di più. La comunità cristiana – continua padre Fiorentino – è vicina con molte strutture ai separati; attraverso i gruppi diocesani o le parrocchie”.
Eppure molte coppie ottengono l’annullamento del proprio matrimonio. Il tribunale ecclesiastico regionale della Sicilia per il 2008 ha trattato ben 1169 cause. Ma in quali casi ricorrono gli estremi? “La Chiesa – precisa il sacerdote – non annulla il matrimonio validamente contratto; si può fare un processo canonico per accertare l’invalidità del vincolo. Solo dopo il pronunciamento ufficiale e positivio del tribunale ecclesiastico si può passare a nuove nozze”. La religiosità, comunque, sembra influire sulle scelte di separazione. Ma quanto? “Direi parecchio – sottolinea il direttore del centro pastorale – ed essendo un tema di particolare rilevanza morale, forse non potrebbe essere diversamente”. I corsi pre-matrimoniali hanno effetti sull’animo di chi li segue. La loro obbligatorietà per il matrimonio in chiesa, comunque non sembra preservare da una futura separazione. “Non possono preservare da scelte future – precisa il religioso – anche se non in linea con gli impegni richiesti dal matrimonio religioso. I corsi hanno lo scopo di illuminare la scelta matrimoni alla luce della fede e di formare una coscienza piàù profonda sui fini del sacramento. Resta detto che chi non condivide è libero di sposare civilmente, perché in talia, per non nostra fortuna, vige la democrazia”. Dal n. 142 maggio 2009
tavola rotonda a cura della Redazione de l’Inchiesta Sicilia
Voglia di
riforme L’informazione è nodo centrale della democrazia E’ necessario aprire un dibattito sull’applicazione della legge Frattini, perché ne usufruiscano i giornalisti e non testate di comodo
P
er rompere il ghiaccio, dareste una definizione, che non sia da vocabolario, del termine mistificazione? Virzì – La mistificazione può nascere da un’impostazione ideologica nel descrivere un fatto di storia o di cronaca. Sono convinto di avere studiato su testi non soltanto scritti dai vincitori, ma scritti con una impostazione ideologica molto particolare, perché sin dai tempi di Roma antica c’era un tracciato visibilissimo che separava il mondo in buoni e cattivi: chi perdeva era il male che era condannato a perire. Si può mistificare anche la cronaca. Credo che ci siano vari livelli di responsabilità: per un attivista di partito in fondo è mestiere, per un giornalista opinionista è il mestiere abbracciato con troppo entusiasmo. Credo che la difesa sia la possibilità di confrontare tesi diverse. Ecco, il pluralismo è una buona ricetta contro i tentativi di mistificazione. Mirto – Il pluralismo rimane l’unica difesa per il cittadino comune per salvaguardarsi da un bombardamento di informazione. Soltanto accostandosi a diverse opinioni, evidentemente, si può formare un’opinione che possa rasentare un’idea di verità. Mi sembra che non sempre si possa obbedire al proprio editore, sia esso Cnn o la Rai. Rispetto a certi fatti, devi raccontare, mettendoci quella maledetta passione…. Raiti – Ritengo che la mistificazione oggi sia un atteggiamento mentale che troviamo spesso, anche preconcetto, e che va oltre l’attività della cronaca. Frequentemente siamo co-
sono intervenuti:
pagina 10
Salvo Raiti deputato Assemblea regionale di Italia dei Valori Guido Virzì deputato Assemblea regionale di Alleanza Nazionale Claudia Mirto segretario provinciale sezione Assostampa di Palermo Fabio Nuccio segretario regionale Assostampa
stretti a notare che la registrazione della cronaca va scomparendo per lasciare spazio a una scelta ideologica che viene calata su quel fatto per dare un orientamento, una visione che è quella dell’interlocutore che dà la notizia in quel momento. Nuccio – La mistificazione è ciò che fanno i politici in campagna elettorale ed è quello che, spesso, fanno i giornalisti per piacere ai politici. Io credo che un giornalista, esprimendo le proprie idee, debba dare informazione sui fatti. E dico di farlo esprimendo le proprie idee, perché è evidente che ogni giornalista, nelle cose che scrive, mette le sue idee, il cuore e dà un’interpretazione dei fatti. Il giornalista, il conduttore del talkshow, l’inviato sono legittimati a fare trapelare anche in maniera esplicita i propri convincimenti? Mirto – Il conduttore del talkshow, sicuramente, è pagato per questo. E’ pagato dall’editore che gli chiede di fare spettacolo su tutto. Fa intrattenimento. Conduce il suo circo mediatico. Il giornalista, invece, ha il dovere e il diritto di esprimere, nella maniera e secondo le regole più generali dell’etica giornalistica e dell’informazione, ciò che ritiene opportuno. Mi esprimo, quindi, a favore della legittimità dell’operato del cronista. Raiti – Rispondo a questa domanda avendo come esempi di giornalismo vero quello espresso negli ultimi decenni da Montanelli e Biagi, le cui opinioni sono sempre state a conoscenza di tutti. La loro professionalità consiste proprio in questo: essere in grado di ragionare sulla cronaca, sul fatto, dando agli interlocutori la possibilità di farsi una verità propria. Virzì – Credo che i giornalisti siano essere umani con propri sentimenti, storie personali, che, anche con il massimo impegno, prima o poi, traspaiono. Però, credo che sia illegittimo costruire intere trasmissioni, crearsi un pubblico tutto della stessa linea. E questo, soprattutto nella Tv italiana si vede troppo spesso. Ritengo che questo modo di gestire l’informazione, scavi dei solchi di odio civile nella nazione. Nuccio – E’ mia opinione che ogni giornalista abbia un proprio modo di vedere le cose. Vengono contrapposte due tesi che sono politiche, ma non si può dire quale sia quella giusta. Credo, quindi, che nell’informazione pubblica questi modi debbano essere annullati o rappresentati tutti. Dal n. 83 - aprile 2003
politica
Regionale
arriva l’arcangelo Arraffaele “… che rade al suolo per ricostruire…”. I passaggi più salienti e i passi più sconcertanti della ricostruzione più eclatante degli ultimi cinquant’anni di politica siciliana di Giovanna Cirino
E
pagina 12
ra stato un inverno lungo, rigido, d’intemperie. Poi, prepotentemente era arrivata la calura. Ci si preparava alle serate all’aperto, alla lotta senza quartiere contro le zanzare e anche alle elezioni europee, accompagnate dall’antico dilemma: “… vado a votare o resto sulla sdraio…?” All’improvviso la pigra estate viene interrotta da una notizia che sgomenta e al pari di un’eruzione etnea fa alzare la temperatura, avvolgendo tutto di una cenere oscura: “Raffaele Lombardo, presidente della Regione Siciliana azzera la giunta”. La notizia è il naturale epilogo seguito ai feroci scontri tra il governatore e i due maggiori partiti della sua coalizione, il Pdl e l’Udc. Ma che cosa è successo? Partiamo dall’inizio. Aprile 2008, straordinaria vittoria elettorale di Raffaele Lombardo e del centro destra che lo sostiene. Con 35 punti di vantaggio su Anna Finocchiaro, l’esponente del Movimento per l’Autonomia diventa presidente della Regione Siciliana. All’Ars vanno 62 deputati contro 28 del centro-sinistra. Sulla carta tutto ok, ma i guai cominciano subito, proprio mentre la sinistra si sgretola inesorabilmente. Le ostilità si moltiplicano. La maggioranza del governo siciliano non cela più l’insofferenza nei confronti del governatore, sempre più smarcato e ‘autonomista’. Gli insulti sono il pane quotidiano. I contrasti sulle scelte amministrative si trasformano in scontro politico. Totò, l’ex amico Cuffaro, ancora forte nonostante tutto,
assieme a Castiglione e Nania, rappresentano per l’esponente dell’Mpa, i nemici da affondare. La riforma sanitaria, la legge finanziaria, la nomina dei nuovi dirigenti regionali, il mancato invito del presidente del Senato Schifani alla cena con il presidente della Repubblica in visita in Sicilia, sono occasioni per scambiarsi ingiurie e invocare la Magistratura. Ci va giù pesante il presidente dell’Ars, Francesco Cascio, indispettito per il commissariamento dell’Iacp. La situazione è chiara: l’amore è finito e si consuma ‘la guerra dei Roses’. Lombardo moralizzatore? Difficile pensarlo per i suoi oppositori che si divertono a chiamarlo l’Arraffaele: “… l’uomo che prende tutto, che occupa i posti di governo e sottogoverno…. Che costruisce un sistema di potere medievale… il peggiore governo degli ultimi 15 anni…”. E via di questo passo, accuse reciproche di lottizzazione, passaggi acrobatici di deputati, consiglieri e assessori che saltano da una parte all’altra. Il caos regna sovrano e la frattura diventa insanabile. Lombardo alle europee corre da avversario del Pdl e dell’Udc, alleato con la destra di Storace e con il Partito dei Pensionati. Spera di superare lo sbarramento del 4 per cento. Una strada in salita che lo porta a giocarsi il tutto per tutto per non restare all’angolo. Azzarda, quindi, il gesto eclatante: “Ho chiesto a tutti gli assessori di presentare le dimissioni e sette lo hanno già fatto, perché stare in questo governo significa non sabo-
tarlo. Questa casa va rasa al suolo e ricostruita”. Il fuoco etneo il presidente deve averlo nel Dna perché le notizie che arrivano da Palazzo d’Orleans sono in pieno Mongibello style: “Quarantotto ore e avremo una giunta in grado di operare, composta da forze politiche e da esterni”. Lombardo prova a mettere assieme politici di mestiere e pezzi di società civile. E cerca alleanze. Quattro giorni per riflettere, incontrarsi, sperare in una schiarita che però non arriva. Mentre la crisi regionale si fa sempre più incandescente, Lombardo presenta la nuova squadra e assegna le prime deleghe. Al momento che andiamo in stampa la situazione è la seguente: Cintola, Vizzini (dimissionario dall’Antimafia), Romano e Cuffaro raggiunti da avviso di garanzia e qualcuno a comparire in Procura per il coinvolgimento nell’indagine sul tesoro di Ciancimino. Il problema sporcizia (non solo immondizia e cassonetti) non è stato risolto. Le città siciliane sono sporche e desolate con poco appeal per i turisti. Tutto tace, tutto è bloccato: il rilancio dell’agricoltura, la riforma degli Ato rifiuti, l’attuazione di politiche sociali per fronteggiare la crisi economica che duramente colpisce la popolazione siciliana, la tanto sbandierata battaglia per ottenere le accise petrolifere, l’attuazione del Piano energetico regionale…. Che cosa ci aspetta? Dal n. 144 luglio 2009
politica
Provinciale di Patrizia Romano
I
ntermediario tra Regione e Comuni. E’ proprio su tale assunto che si colloca l’azione della Provincia nell’ambito delle politiche di programmazione e coordinamento fra i due Enti. In un contesto istituzionale calato nel sistema organico delle autonomie locali, la Provincia assume sempre più questo ruolo. Un ruolo in cui viene osservato sia il principio della sussidarietà verticale, che delinea il rapporto fra le istituzioni su un piano di parità, sia il principio della complementarità, in termini di supporto agli Enti Locali. Non sempre, però, questi ruoli vengono riconosciuti. Anzi, sempre più pressante, arriva la volontà di sopprimere l’ente provinciale, ritenuto da molte forze politiche trasversali l’ente inutile per eccellenza. Come vive la Provincia di Palermo questo clima di deligittimazione? “Le forze avverse agiscono in maniera pesante – dice Salvatore Currao, segretario generale e direttore della Priovincia di Palermo. Il clima di sciacallaggio, creato prevalentemente da Confindustria e dai sindaci delle grandi aree metropolitane, insinua nella mente del cittadino l’idea che la Pro-
vincia sia l’emblema degli enti inutili e che vada eliminata per ridurre i costi della politica. In questi ultimi anni – continua il segretario – abbiamo assistito al proliferare di enti intermedi, per la gestione dei servizi sovracomunali. Enti assolutamente privi di controllo. Ritengo che sia stato concesso troppo ai cosiddetti ‘altri enti locali’, privi di elezione diretta o ai cosiddetti ‘enti strumentali’ come le Autorità d’Ambito, i Distretti, le Istituzioni o le Società di scopo che rappresentano la vera emergenza finanziaria”. In virtù dei poteri operativi conferiti, questi hanno finito, comunque, per prevalere sull’attività di programmazione, regolazione e controllo che spetta agli Enti Locali. “Insomma, troppi enti, troppe agenzie, troppi consorzi, troppe Unioni – riprende il direttore – sono stati frapposti ai livelli istituzionali previsti dalla Costituzione ed è da essi che occorre iniziare per eliminare enti spesso inutili. Non dimentichiamo – conclude – che è proprio la nostra Costituzione a prevedere che le Province rappresentino gli interlocutori principali delle Regioni e dei Comuni”. Dal n.150 – luglio 2010
Cercasi Identità Molte forze politiche trasversali vogliono
l’eliminazione delle Province, riducendone le funzioni. Perché questa
volontà di deligittimazione? Ne parliamo con Salvatore Currao, segretario generale e direttore della Provincia di Palermo
pagina 13
politica
Comuni
Ciascuno ha il peso che si merita? Il quadro delle prossime elezioni amministrative a Palermo sta segnando la fine della sonnolenza della politica bipolare siciliana degli ultimi anni. La vera sconfitta, in questo clima di scomposizione, è la logica che ha finora tenuto in piedi la vecchia dialettica Polo-Ulivo. In tutto questo, però, i siciliani non riescono né ad individuare una
continuità, né ad identificare i portatori di nuove istanze di Cristina Lombardo
S
pagina 14
i dice che la scelta più facile sia quella di chi non ha scelta: ma in Sicilia, more solito, in vista delle imminenti amministrative, le cose stanno diventando maledettamente complicate, proprio per eccesso di scelta. Un preludio della disarticolazione del bipolarismo? Forse. Di certo il 61 a 0 di undici anni fa è sempre più lontano: adesso, la banalità politica di un centro-destra orfano di quel Miccichè che lo portò al trionfo in Sicilia, imbambolato sul territorio e balbettante nell’alternativa a Lombardo, ha consegnato l’isola in pianta stabile ad un Terzo polo che governa con un terzo dei voti dei siciliani, tratta il Pd da gregario e piazza i suoi uomini dappertutto. Tuttavia, se il Pdl è banale, il Pd è invece votato al masochismo. Vanta il gruppo parlamentare più numeroso a Sala d’Ercole, eppure a livello regionale si accoda senza un minimo distinguo a Lombardo. Persino a Palermo, dove il centro-destra lascia un’eredità pesante, il centro-sinistra è riuscito a rinunciare alla pole position, imponendo ai candidati alle primarie di rifiutare ogni intesa
con i partiti del Terzo polo, rei di aver sostenuto Cammarata fino a poco tempo addietro. Una scelta che fa diventare più difficile non solo la posizione del Pd nella contesa, ma finanche la permanenza di Giuseppe Lupo alla segreteria regionale: i filo-governativi, tra i “democrat”, stanno infatti preparando la mozione di sfiducia al segretario regionale. Intanto, negli altri grossi centri, si profila un’intesa tra Pd e Terzo Polo a Trapani, mentre ad Agrigento il Partito Democratico dovrebbe accordarsi con Fli ed Api, lasciando l’Udc e l’Api a sostenere il sindaco uscente Zambuto, fortemente inviso anche al Pdl. Alle strette, una possibile lettura è che il qua-
dro delle prossime elezioni amministrative stia segnando la fine della sonnolenza della politica bipolare siciliana degli ultimi anni. La vera sconfitta, in questo clima di scomposizione, è quindi la logica che ha finora tenuto in piedi la vecchia dialettica Polo-Ulivo, i quali “simul stabunt vel simul cadent”. In tutto questo, però, i siciliani non riescono né ad individuare una continuità, né ad identificare i portatori di nuove istanze. Il centro-sinistra poteva diventare un protagonista, invece è sempre più marginalizzato e dominato dalla incandescenze di personalità dirompenti come Raffaele Lombardo, che riesce puntualmente a rendere subalterno il Pd alla sua strategia. La centralità del Movimento per le autonomie è sempre più confermata, ma ciò non implica che il Governatore abbia davvero in mente un piano ed una politica di ampio respiro. L’Udc da un lato sceglie un candidato condiviso con il partito di Lombardo al comune di Palermo, nella persona dell’avvocato Massimo Costa, dall’altro commenta la mozione di sfiducia presentata proprio da Pdl, Pid e Grande Sud, contro il governo guidato dal leader autonomista, con un sibillino “valuteremo…”. Che sia il preludio per un ritorno di fiamma tra Pdl ed Udc? Difficile prevederlo. D’Alia nei giorni scorsi escludeva ipotesi di intese con il centro-destra, a cui invece il segretario Lorenzo Cesa ha mostrato favore. L’ipotesi di lavoro dei vertici romani dello Scudocrociato sembra quella di proporre ad un Pdl allo sbando, che teme di dover schierare un candidato-agnello sacrificale, una convergenza su Massimo Costa. Il quale, si sa, vanta una solida amicizia con il presidente dell’Ars Francesco Cascio. A questo punto, tutto tornerebbe. Ma se invece i tre poli schierassero ciascuno un candidato sindaco, con la lista di Carlo Vizzini pronta a presentarne un quarto, ogni ipotesi è ammessa. Specialmente se nelle primarie del centro-sinistra dovesse trionfare Fabrizio Ferrandelli, benedetto dal duo Cracolici-Lumia: si accettano scommesse su quanto tempo impiegherà l’ex capogruppo orlandiano, se investito della leadership del centro-sinistra palermitano, a rimangiarsi la promessa di non fare accordi col Terzo polo. Il quale, a quel punto, avrà buon gioco a riproporre la strategia dei “due forni” di andreottiana memoria. Confermandosi al vertice di importanti comuni con solo un terzo dei voti dei siciliani.
l’inchiesta
e
economia lavoro di Patrizia Romano
S
impresa eoccupazione
pagina 16
Il quadro economico della Sicilia è sconfortante. Le dinamiche che lo caratterizzano sono molto complesse. In questo contesto confuso emerge la provincia di Palermo, la cui posizione esula dal quadro regionale e le strutture economiche produttive sembrano seguire le dinamiche nazionali. Analisi introspettiva sull’impresa palermitana. Intervista al presidente della Camera di Commercio di Palermo, Roberto Helg
ettori in aumento e settori in calo. Comunque sia, la situazione imprenditoriale in Sicilia sembra scivolare sempre più verso una crisi inesorabile. Permane una serie di difficoltà legata in parte ai problemi internazionali e in parte a squilibri insiti nella compagine territoriale. A questi fattori si aggiungono la speculazione imperante all’interno di certi ambiti, nonché lo sviluppo caotico e disordinato del terziario. Tutto ciò configura un quadro economico della Sicilia assai complesso. Alcuni settori segnano discontinui regressi, o meglio, fasi altalenanti sia sotto il profilo produttivo sia sotto quello occupazionale. In questo contesto regionale, a rivestire la posizione più significativa è la provincia di Palermo, la cui evoluzione congiunturale manifesta un’economia pro-ciclica, cioè una struttura economica produttiva che segue le dinamiche del ciclo economico nazionale. Ed è proprio sulla provincia del capoluogo che abbiamo tentato un’analisi introspettiva dei dati emersi nei vari settori. Secondo dati forniti dalla Camera di Commercio di Palermo, il comparto in cui si registra una media regionale inferiore rispetto alla nazionale (20 per cento) è quello industriale, la cui consistenza numerica nel capoluogo siciliano registra nel 2007, 9 mila 387 aziende, mentre nel 2008 evidenzia la presenza di 8 mila 777 unità, con un calo, quindi, preoccupante. Calo che si allarga a tutte le altre province dell’Isola. Molto serio il quadro del comparto agricolo, dove tra il 2007 e il 2008 si è registrata la chiusura di molte aziende bene avviate. Soltanto in provincia di Palermo sono state chiuse circa 400 aziende. L’agricoltura in Sicilia presenta due volti: quello ceralicolo, che copre il 70 per cento circa del terreno coltivato ed ha una coltura molto povera e quello ortofrutticolo, senz’altro molto più redditizio. “Quello dell’industria e dell’agricoltura – dichiara Roberto Helg, presidente della Camera di Commercio di Palermo – sono due settori in sofferenza già da parecchi anni. In tutta Italia, il calo è stato veramente vertiginoso. Si parla di 30 mila aziende in meno in pochi anni. Ma l’aspetto più grave – osserva Helg – non è tanto il calo numeri-
e
economia lavoro
co delle aziende, quanto le perdite nell’ambito occupazionale. Si tratta di aziende che richiedono per la propria produttività molto personale, creando molta occupazione. Chiudendo, quindi, generano effetti catastrofici proprio in termini occupazionali”. Anche la pesca, che riveste un’importanza notevole, registra perdite non indifferenti. A Palermo, tra il 2007 e il 2008, siamo passati da 208 a 198 unità. Si tratta prevalentemente di aziende a conduzione familiare, pertanto, in termini occupazionali non ha ripercussioni allarmanti, ma li ha in termini di produttività. Non dimentichiamo che il pescato annuo siciliano, pari al 25 per cento del pescato italiano, detiene il primato nazionale. Anche i dati relastivi al commercio non sono confortanti. In provincia si calcolano circa 300 aziende in meno, anche se dietro a queste perdite si affaccia qualche nuova impresa. “Non si tratta della nascita di aziende vere e proprie – frena il presidente – ma di una regolamentazione presso la Camera di Commercio di esercizi individuali”. Al di sotto delle innate potenzialità anche il turismo registra un calo di attività apparentemente poco rilevante, ma indicativo dello stato di sofferenza in cui versa il settore. In lieve aumento il numero delle imprese non classificate. Anche nekl settore artigianale si registra una crescita di imprese. A Palermo, le aziende registrate sono aumentate di circa mille unità. Ma questa impennata non sembra esaltare il presidente della Camera di Commercio che attribuisce questo aumento ad altri fattori. “In molti casi – dice – si tratta di piccoli artigiani costretti ad adeguarsi alla normativa e, quindi, regolarizzare la propria posizione presso la Camera di Commercio”. Globalmente le differenze tra un anno e l’altro non sembrano eccessive, ma se leggiamo dietro le righe, il quadro appare allarmante. “Se facciamo un’analisi quantitativa tra le imprese che nascono e quelle che muoiono – conclude Helg – ci rendiamo conto che lo scarto non è eccessivo e che il rapporto, tutto sommato, è equilibrato. Se invece tentiamo un’analisi qualitativa, la situazione diventa preoccupante. Il nodo della questione si incentra sulla tipologia di aziende che nascono e quelle che muoiono. Le aziende che nascono sono prevalentemente a conduzione familiare e hanno uno o due dipendenti, le aziende che chiudono, invece, hanno una gestione imprenditoriale e contano
molti dipendenti. Quindi siamo sempre lì… quando traduciamo la chiusura di imprese in termini occupazionali, ci rendiamo conto del problema. L’aspetto più grave – ribadisce – non tanto il calo delle aziende, quanto il calo in termini occupazionali”.
Il tasso di disoccupazione sfiora il 20 per cento della media nazionale, più di 12 punti percentuali di distanza dal dato medio italiano. L’occupazione in Sicilia continua ad esprimere margini di sofferenza molto ampi. n. 139 febbraio 2009 pagina 17
e
società costume
nell’oblio dellamente L’alcolismo non è una dipendenza assimilabile alle condizioni sociali, ma una vera e propria malattia individuale. L’apertura agli altri, la condivisione, il sostegno reciproco rappresentano la via per uscirne. Ed è ciò che si tenta di fare nelle associazioni di sostegno attraverso i programmi di recupero
di
E
siste, nella società in cui viviamo, una realtà parallela quasi ignorata. Una realtà fatta di dolore e grandi difficoltà, da cui chi si trova a viverla non uscirà indenne, ma da sopravvissuto. E il mondo delle dipendenze. Oggi, parlare di tossicodipendenze rimanda a un idea ben delineata, in cui tutte le sostanze stupefacenti hanno una precisa immagine di riprovazione e avversione nell’immaginario collettivo. Ma ci
sono altre sostanze, anch’esse distruttive, che non ricevono la stessa etichetta: si tratta dell’alcool. “La realtà dell’alcolismo oggi in sicilia – spiega Bruno, componente da oltre vent’anni dell’associazione Alcolisti Anonimi, che preferisce in linea con le regole dell’associazione, mantenere un anonimato parziale – è pervasiva. Ai nostri gruppi d’ascolto si avvicina gente di qualsiasi ceto e condizione economica. Anche uomini e donne della Chiesa, giovani di qualsiasi età e giovanissimi. Pur-
e
lascheda
società costume
∆ Alcolisti in Sicilia deao deaoonn daeein dddaaaaaaai ndeeee ∆ Decessi provocati dall’alcool deao deaoonn daeein dddaaaaaaaindeeee ∆ Incidenti provocati dall'alcool deao deaoonn daeein dddaaaaaaai ndeeee ∆ Identikit dell’alcolista deao deaoonn daeein dddaaaaaaai ndeeee ∆ Incidenza percentuale deao deaoonn daeein dddaaaaaaai ndeeee ∆ Strutture preposte deao deaoonn daeein dddaaaaaaai ndeeee ∆ Malattie provocate dall’alcool deao deaoonn daeein dddaaaaaaai ndeeee
troppo, l’alcolismo ha una dimensione trasversale rispetto alle categorie con le quali siamo soliti dividere la società”. Invece, l’idea comune dell’alcolista è quella del barbone avvinazzato che barcolla per le strade o quella del vecchio avventore della bettola, assimilando questa dipendenza ai più bassi e degradati strati sociali. “In realtà – continua Bruno – l’alcolismo non è una dipendenza riconducibile a condizioni sociali particolari, ma è una vera e propria malattia individuale. La definizione che ne dà l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, è di una malattia inguaribile, progressiva e mortale, non facendo alcun riferimento all’identità sociale dell’alcolista. In effetti, le cause dell’alcolismo vanno sempre ricercate nella psiche dell’alcolista. E’ nella sua mente che si trovano le motivazioni primarie che lo hanno spinto a bere. Per questo colpisce tutti i livelli della società”. Esiste, dunque, uno specifico identikit dell’alcolista e del potenziale malato. In genere si tratta di un individuo con grosse difficoltà relazionali. “L’immagine dell’alcolista ritrae sempre una persona dipendente, immatura, insicura, narcisista, egocentrica, che tende a sottrarsi alle responsabilità – spiega Bruno -. Quando le cose si fanno difficili, si nasconde dietro la bottiglia, così spariscono problemi, ansie e paure. Si può divenire alcolista anche per troppa timidezza nei confronti degli altri, o per avere una marcia in più con le donne o, ancora, per superare tutti gli esami della vita. C’è chi come me, ad esempio, proviene da famiglie tranquille, senza grossi problemi e, magari, con un lavoro avviato, ma per affrontare con giusto piglio la vita di tutti i giorni, crede che gli sia necessario qualche bicchiere. L’alcool, infatti abbatte i freni inibitori della psiche, diventando il rimedio indispensabile per
affrontare le difficoltà reali o presunte tali”. La dipendenza ha dunque una dimensione tutta psichica. Ma come è possibile che compresi i danni devastanti dell’alcool, l’alcolista non riesca a porvi rimedio da solo. “Ci sono due tipi di dipendenza che lavorano contemporaneamente – spiega ancora Bruno -. Una è quella mentale: l’alcolista ha una personalità estremamente fragile, per la quale la sola idea di abbandonare la bottiglia lo terrorizza letteralmente. Questa è pur sempre la stampella sulla quale poggia la propria vita. L’altra dipendenza è fisica: il corpo dell’alcolista, dopo un certo tempo, va in assuefazioni perché ingenti quantitativi di alcool inducono l’organismo a produrre una sostanza che, immessa nel sangue, ha il compito di attenuarne l’effetto. Perciò per ottenere la stessa sensazione, l’alcolista neessita sempre di un quantitativo superiore di alcool. Quando ritiene di dovere smettere o attenua la quantità di alcool ingerita, quella sostanza continua a essere immessa nel sangue nelle stesse precedenti quantità, creando un danno per l’organismo stesso, poiché se in eccesso provoca profondi scompensi. Per
ridurre gli scompensi, l’alcolista, paradossalmente, è costretto a continuare a bere”. Partendo da questa realtà, l’associazione, da ormai sett’anni, si impegna per il recupero dalla dipendenza dall’alcool. “La nostra associazione fa del rapporto interpersonale – riprende Bruno – la chiave di recupero degli alcolisti. Ogni alcolista che ci contatta trova un gruppo ristretto di persone con le quali, nel più assoluto anonimato, sa di potersi completamente aprire”. All’interno del gruppo egli diviene uno fra tanti, uguale agli altri, accettato e accolto per quello che è. Trova il sostegno che spesso la famiglia non riesce a dargli”. Il programma di recupero prevede dei passi che contemplano, in primo luogo, l’accettazione della condizione di alcolista e, in secondo luogo, si procede a una verifica di se stessi e alla conoscenza delle proprie qualità e dei propri difetti. Si tenta inoltre di recuperare le relazioni con gli altri e infine di dare stabilità ai risultati raggiunti, cercando insieme di contribuire al recupero di altri alcolisti. Dal n. 97 –agosto 2004 pagina 19
giudiziaria
M
ilioni di procedimenti in corso e tempi lunghissimi per definirli. La giustizia è veramente alle strette e la situazione è ormai insostenibile. Sul piano nazionale, sembra che questo marasma giudiziario riguardi l’intera Penisola. Ma se ci introduciamo in una comparazione dei dati che emergono dai vari Tribunali, ci si rende conto del forte divario che caratterizza Nord e Sud. Le ragioni sono tantissime. In primo luogo, l’aumento delle cause civili; le cosiddette sopravvenienze. Anche se nel 95’, con l’introduzione del giudice di pace e con l’attuazione del nuovo codice di procedura civile, si registra una lieve riduzione dei tempi, sempre in quello stesso periodo aumenta vertiginosamente il numero delle cause civili. Da allora, giorno dopo giorno, si forma il grande arretrato. A questi motivi, si aggiungono i cambiamenti sociali dell’ultimo quarantennio. Negli anni Settanta, si affermano i di-
ritti dei lavoratori. Di conseguenza aumentano le controversie individuali legate al lavoro. La società si trasforma da contadina a industriale e attorno alla nuova classe emergente nascono maggiori conflitti giudiziari. Cambia pure il tenore di vita, mutano i costumi sociali. Tutti elementi che provocano l’aumento dei procedimenti civili. Ciò è positivo, ma evidenzia la carenza e l’inefficienza dei luoghi deputati ad applicarla. Pensiamo, per esempio alla mancanza di uffici per i magistrati. Non sempre questi dispongono di un luogo fisico dove lavorare tranquillamente. I magistrati si trovano spesso a fare richiesta pure di personale che li coadiuvi. Ma la figura di un pieno collaboratore non è prevista da nessuna parte. L’altro limite è fornito dall’ eccessiva frammentazione degli uffici giudiziari, che è stata ridotta dalla eliminazione delle Preture solo parzialmente. Per raggiungere un buono standard organizzativo pare che ogni tribunale debba disporre di una ventina di giudici. Molti tribunali di alcune grandi aree metropolitane del Nord dispongono di un numero eccessivo di magistrati, mentre tutti quelli del Sud di-
spongono sì e no di una decina di unità. Milioni di procedimenti in corso e tempi lunghissimi per definirli. La giustizia è veramente alle strette e la situazione è ormai insostenibile. Sul piano nazionale, sembra che questo marasma giudiziario riguardi l’intera Penisola. Ma se ci introduciamo in una comparazione dei dati che emergono dai vari Tribunali, ci si rende conto del forte divario che caratterizza Nord e Sud. Le ragioni sono tantissime. In primo luogo, l’aumento delle cause civili; le cosiddette sopravvenienze. Anche se nel 95’, con l’introduzione del giudice di pace e con l’attuazione del nuovo codice di procedura civile, si registra una lieve riduzione dei tempi, sempre in quello sbiamenti sociali dell’ultimo quarantennio.a e l’inefficienza dei luoghi deputati ad applicarla. Pensiamo, per esempio alla mancanza di uffici per i magistrati. Non sempre questi dispongono di un luogo fisico dove lavorare tranquillamente. I magistrati si trovano spesso a fare richiesta pure di personmente. I magistrati si trovano spesso a fare richiesta pure di persone
“giustiziaèfatta”
...quando ci sarà tempo Carenza organica Inefficienza strutturale Mutamenti sociali Aumento dei procedimenti in corso Sono numerose le cause che ostacolano il corso della legge Soprattutto nel Sud d’Italia
pagina 20
a cura di Al.Ba.
cosa metti atavola?
occhioalconsumo
Carenze organiche e strutturali. Ritardi legislativi. Nell’ambito dei controlli alimentari, esiste una vera e propria disincrasia tra ciò che prevede la legge e ciò che, in base alla stessa, dovrebbe essere realizzato. Il rischio di contaminazioni è sempre in agguato. E i pericoli per il consumatore, inevitabilmente, crescono di Patrizia Romano
Q
uante insidie si nascondono dietro al bancone di vendita dei prodotti alimentari? Quanti veleni arrivano sulle nostre tavole? Quanti rischi corre giornalmente il consumatore ingenuo e sprovveduto? Tutti interrogativi inquietanti ai quali è difficile dare una risposta. Tutto finché non scoppiano casi eclatanti come il vino al metanolo, il formaggio al botulino, il latte alla diossina, il pesce al mercurio, la mucca pazza. Casi alla ribalta della cronaca che, per qualche mese, turbano il consumatore e, forse, scuotono la tranquilla coscienza dei produttori e di chi dovrebbe controllare la qualità dei cibi. E dopo? Spenti i riflettori dei mass-media, si ritorna a imbandire la tavola con ogni sorta di cibo e correndo ogni sorta di rischio. E se i rischi sono all’incirca uguali per tutti i consumatori italiani, c’è tra questi chi rischia di più, come chi vive nelle regioni italiane in cui il consumatore è un soggetto giuridicamente sconosciuto. Tra le regioni messe peggio, un posto di rilievo spetta alla Sicilia, dove non esiste alcuna connessione tra ciò che impone la normativa e ciò che viene realizzato. La Regione Sicilia ha recepito le direttive emanate dall’Unione Europea soltanto dopo quattro anni dall’emanazione e, tra l’altro, non hanno ancora trovato piena attuazione. I decreti cardine del quadro normativo che disciplina il controllo degli alimenti sono quelli del 97. I due decreti che vanno sotto la sigla Haccp (Hazard analisis critical control point), dettano le norme relative alla sicurezza degli alimenti. Sicurezza che deve essere garantita
attraverso un’analisi mirata a prevenire ogni rischio durante le fasi di produzione, stoccaggio e lavorazione, denominate ‘fasi critiche’ e che inglobano preparazione, trasformazione, confezionamento, deposito, trasporto, manipolazione, fornitura, trasferimento, eccetera di ogni alimento. Tutte le fasi, insomma, in cui il prodotto rischia contaminazioni microbiologiche. Contaminazioni la cui responsabilità viene attribuita a molti soggetti: dal produttore al venditore. Produttore e rivenditore hanno, dunque, molte responsabilità. Ma a chi spetta il controllo vero e proprio? Le strutture preposte sono tante. Per la Sicilia questo rappresenta un problema, in quanto le strutture previste per la normativa sono decisamente carenti. Sembra che tra personale e strutture, nell’Isola si riesca a coprire appena il 25 per cento del fabbisogno. Anche se, comunque, va detto che stabilire il rapporto tra strutture ed esigenze
del territorio non è facile. “Per una legislazione quale quella alimentare, in continua evoluzione rispetto al mercato globale e alle aree di libero scambio – spiega Francesco Strafalaci, presidente dell’Unione consumatori – è difficile individuare l’esatto numero di persone da adibire ai controlli alimentari. Pertanto, si propone quale prima fase di razionalizzazione quella di un migliore coordinamento degli interventi in atto svolti dalle Ausl, dai Nas (Nucleo antisofisticazioni dei Carabinieri), dai vigili annonari, dai medici veterinari, dai laboratori di Igiene e Profilassi, eccetera. Ciò al fine di verificare, tramite il monitoraggio, l’eventuale miglioramento della situazione”. Alcune di queste strutture dovrebbero esercitare un controllo prettamente sanitario. Altre, invece, hanno un ruolo più analitico. Altre ancora, infine, dovrebbero svolgere un ruolo repressivo. L’inchiesta Numero 85 – Giugno 2003 pagina 21
Carlo
Verdone
ilpersonaggio
È
un attore molto amato dal pubblico, Carlo Verdone. E come regista lo è altrettanto dal momento che, tranne poche eccezioni, ha sempre diretto i suoi film, da lui stesso scritti con sceneggiatori di fiducia. Non sempre la critica lo ha apprezzato, ma l’anno scorso gli è stata dedicata la rassegna di Assisi ‘Primo piano sull’autore’, in cui non pochi sono stati i ripensamenti sull’intera sua opera, con rivalutazioni doverose da parte di chi, in passato, lo aveva considerato superficialmente.
Così gli chiediamo fino a che punto Assisi sia stata per lui una celebrazione e fino a che punto una seria rivisitazione critica di vent’anni di carriera, dal 1980 al 2000. C’è stata una valutazione sincera e serena dei miei 17 film, una sorta di sdoganamento critico che mi ha gratificato. Il verificare come diversi critici autorevoli che, a suo tempo, non erano stati proprio generosi nei miei confronti, si siano convinti di certe qualità cambiando parere, mi ha dato una nuova carica di sicurezza e di ottimismo. E poi sai che ti dico? Che alcuni miei film sono stati riscoperti e rivalutati in occasione della loro proposta in televisione, a distanza di anni. Si vede che a volte occorre proprio una seconda lettura. Di solito, il piccolo schermo mortifica il cinema, ma nel mio caso pare che, invece, sia stato quanto mai opportuno… Hai avuto la fortuna di essere rivalutato abbastanza presto, mentre in Italia le rivalutazioni non solo sono sempre assai tardive, ma spesso esagerate, comprendendo anche autori e film di assoluta mediocrità, basti pensare ai film di Pierino e ad altro ‘trash’ nostrano. Certa critica, cosiddetta d’avanguardia, giunge talora a un estremismo delirante per stupire. La tendenza alla rivalutazione del ‘trash’ approda così a impensabili eccessi. Il cinema tradizionale è, invece, generalmente odiato, salvo riscoperte tardive. In ogni caso, riconosco che alcuni miei film sono stati di semplice transizione: un atto di umiltà per tracciare il percorso logico alla preparazione di un film successivo. Per esempio, Troppo forte del 1986, non mi piace più, ma mi è servito per arrivare un anno dopo a Io e mia sorella. Così pure Il bambino e il poliziotto del 1989 è stata solo la premessa a Stasera a casa di Alice dell’anno successivo e, soprattutto, a Maledetto il giorno che ti ho incontrato di tre anni dopo. Io stesso mi rendo conto dei pregi e dei limiti dei miei film, ci mancherebbe altro che pretendessi d’essere sempre stato su un certo livello. Il successo, magari ti costringe, qualche volta, a realizzare un’opera in cui non credi troppo. E l’ispirazione non è un
Intervista al popolare attore e regista, che ripercorre le proprie esperienze di successo, mentre sta lavorando al suo diciottesimo film che ritiene il più difficile di una carriera lunga oltre un ventennio
dono a cui si può fare ricorso quando si vuole. Certo, per tanto tempo, all’uscita di ogni mio film, l’attesa è stata quella del grosso incasso e delle battute memorabili. Il pubblico mi preferisce comico, ma in più occasioni ha apprezzato anche il lato malinconico che mi appartiene, come in Compagni di scuola. E poi certi miei film ritenuti soltanto comici, se valutati con attenzione, rivelano pure ben altri aspetti. Prendi Viaggi di nozze, secondo me tanto divertente quanto crudele: nel virtuosismo espressivo dei miei personaggi ci sono dettagli che fanno riflettere, come la solitu-
pagina 22
daim i e i p r i m i
ilpersonaggio
dine, il vuoto cerebrale, la disperazione di certo grottesco esistenziale. Eppure la tua popolarità si deve soprattutto a personaggi godibilmente bizzarri o a battute memorabili. Tra queste ultime ricordo quella famosa su un film di Anghelopulos: “Sul giornale c’era scritto quattro palle di critica. Con le due che gli ho lasciato sulla sedia fanno sei….”. Con il tuo nuovo film torni alla comicità pura o tenti un’altra strada? L’anno scorso mi dicevi che eri molto incerto sulla scelta da fare. A cinquant’anni compiuti comincia una se-
conda fase della mia carriera. Sto cominciando un film in cui rischio molto, senza dubbio il più difficile di tutta la mia attività. Il titolo dovrebbe essere Ma che colpa abbiamo noi e riguarda l’analisi di gruppo per otto personaggi, ciascuno con le sue fragilità e le sue debolezze. Ho lavorato un anno e mezzo al copione. Il tema è quello delle nevrosi individuali, delle incertezze, dell’immaturità e della paura di crescere. Oggi, la commedia privilegia l’esplorazione dell’intimo, essendo molto diffuso un microcosmo colorato di nevrosi e di disorientamento nella vita quotidiana.
E il cinema italiano sullo schermo? Abbiamo tanti bravi attori, ma non altrettanto bravi registi. Ho visto comunque film interessanti. Il comune denominatore del nostro cinema resta, però, il piangersi addosso. Dal momento che la situazione interna, come quella internazionale, è assai complicata, prevalgono i film di nevrosi e di crisi psicologica. Che ne pensi della televisione attuale? Che è un gran calderone. E’ come una di quelle torte in cui si trova un po’ di tutto, all’insegna della ricerca del massimo share. Anche se la fiction è abbastanza volgarizzata, di buono c’è l’interesse di far lavorare tanti attori e, tra questi, si possono fare belle scoperte. So che sei un appassionato tifoso della Roma, ma oltre al calcio hai altri hobbies? La musica. Vado sempre alla scoperta di nuovi autori e di nuove tendenze. Mi piace aggiornarmi e così spendo un sacco di soldi in compact. Qual è il tuo ricordo più bello? Bhe, risale a più di vent’anni fa, quando Sergio Leone produsse il mio primo film, Un sacco bello. Lui e io abbiamo visto il film in una saletta privata, seduti ciascuno a molto distanza dall’altro. Leone non ha riso neppure una volta e io temevo parecchio il suo giudizio. Poi lui si è alzato, è venuto verso di me e mi ha mostrato un pugno chiuso dicendo: “Sto film ce l’ho così”. Capii che gli era piaciuto e che la mia carriera nel cinema era cominciata. Dei primi cinquant’anni di Verdone vale la pena di scoprire tanto d’altro nel suo gustosissimo libro di ricordi di vita e di cinema Fatti coatti (o quasi), dedicato affettuosamente ad Alberto Sordi ed edito da Mondadori. Così l’autore ne spiega lo spirito: In ognuno di noi convivono due anime: una controllata e formale, l’altra anarchica e sbracata. Ecco, io definirei quest’ultima ‘l’anima coatta’. L’anima insolente, sbruffona e ironica che ci aiuta a sorridere dei difetti altrui, ma soprattutto a ridere dei nostri.
di pagina 23
50anni
Dal numero 72 – Aprile 2002
intervista
il nuovo volto
dell’Ircac
Insediatosi alla guida dell’ente dopo una serie di commissariamenti, inaugura una
nuova stagione per il credito alle imprese, incentivando le possibilità di finanziamento. A colloquio con Antonio Carullo, nuovo presidente dell’Istituto regionale per il credito alla cooperazione
di Rosalinda Camarda
pagina 24
Sono passati sei mesi da quando il nuovo consiglio di amministrazione è stato insediato alla guida dell’Ircac, dopo un periodo di commissariamento durato circa tre anni. Qual è lo stato generale attuale trovato dai nuovi protagonisti dell’ente? Ne parliamo con Antonio Carullo, nuovo presidente dell’Istituto regionale per il credito alla cooperazione. Credo che sia importante, innanzitutto, ricordare per grandi linee, qual è il ruolo dell’Ircac. L’Istituto regionale per il credito alla cooperazione è un ente economico regionale che ha come obiettivo la promozione, l’incremento e il potenziamento della cooperazione in Sicilia. Si tratta, insomma di un istituto di credito speciale, che non raccoglie risparmio sotto alcuna forma, e che gestisce invece, per conto della Regione Siciliana una serie di leggi e di finanziamenti. L’Ircac dispone finanziamenti diretti e indiretti (contributo interessi su finanziamenti bancari), leasing agevolato, aumento di capitale sociale a un tasso di interessi molto basso, attualmente intorno all’1,30 per cento. Il Consiglio di amministrazione si è insediato nello scorso mese di aprile dopo una serie di commissariamenti che avevano di fatto determinato una stasi operativa dell’Ente. La ripresa funzionale dell’Ircac consente di dare una risposta positiva sul fronte dell’accesso al credito alle cooperative siciliane e ai loro consorzi. In questi sei mesi di attività, il consiglio ha deliberato finanziamenti diretti in favore di cooperative siciliane per un importo di cinque milioni e mezzo di Euro e ha consentito, attraverso il contributo interessi, l’attivazione di finanziamenti del sistema bancario per sei milioni e 700 mila Euro. L’Istituto concede finanziamenti per l’avvio di nuove attività, per l’acquisto di stabilimenti e attrezzature, per il leasing. Naturalmente ogni intervento dell’Ircac viene fatto in perfetta armonia con le indicazioni comunitarie sulla concessione dei crediti a tassi agevolati alle imprese.
D
al 2000 il regolamento comunitario per gli aiuti alle imprese ha di fatto bloccato l’intervento dell’Ircac in favore delle cooperative agricole, che costituivano una fetta significativa della vostra utenza. Lei ha di recente incontrato l’assessore all’Agricoltura, Leontini. Si aprono nuove prospettive? Ormai da oltre tre anni, l’Istituto non può rispondere alle domande di finanziamento delle cooperative agricole: la legge regionale numero 6 del 2001 ha disposto, infatti, che l’Ircac possa continuare a concedere gli aiuti alle imprese cooperative previsti dalle disposizioni di legge previdenti all’entrata in vigore della legge regionale numero 4 del 2000 nei limiti stabiliti per gli aiuti ‘de minimis’ a esclusione di alcuni comparti fra cui, appunto, l’agricoltura. La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 3 gennaio scorso del nuovo regolamento comunitario sugli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese nel settore agricolo e agroalimentare potrebbe aprire uno spiraglio per l’Ircac. Il mondo della cooperazione è in piena ripresa e secondo i dati di numerosi studi (dalla Fondazione Curella all’Istituto Tagliacarne) anche in Sicilia la cre-
intervista scita è costante. Su quali fronti l’Ircac può essere vicino alle cooperative? In tutta Italia, e in maniera particolare in Sicilia, le cooperative sono afflitte dal problema della sottocapitalizzazione. Le regole imposte alle banche dagli accordi di Basilea 2 e vigenti dal gennaio 2007 determineranno un’indicazione di rating poco vantaggiosi per le coop che potrebbero vedere aumentare a dismisura il costo del denaro concesso dalle banche o addirittura di vedersi negato l’accesso al credito. La risposta a tale problema, peraltro ineludibile vista la perentorietà delle indicazioni di Basilea 2, per le imprese cooperative è una sola: puntare su una maggiore capitalizzazione in modo da presentarsi all’appuntamento del primo gennaio 2007 in una condizione di minore svantaggio rispetto alle altre piccole e medie imprese. Il legislatore regionale ha affidato all’Ircac già nel 1991, la possibilità di procedere alla ricapitalizzazione delle cooperative, prevedendo la concessione di un finanziamento a tasso age-
volato che metta i soci nelle condizioni di aumentare, nel periodo di cinque anni, il capitale sociale della cooperativa.In questi anni l’Ircac ha già attivato in maniera abbastanza significativa questo tipo di incentivazione, finanziando la ricapitalizzazione di 74 cooperative per un finanziamento complessivo di 34 miliardi di vecchie lire. Ma come è comprensibile ben altri potranno essere i numeri quando apparirà in maniera del tutto evidente che il parametro del capitale sociale è fondamentale nella definizione del rating da parte degli istituti di credito e per le cooperative diventerà davvero irrinunciabile provvedere alla ricapitalizzazione. Il ricorso all’Ircac, dunque, potrebbe una strada quasi obbligata. Ma molte cooperative non sanno come funziona l’Ircac e cosa è possibile ottenere… E’ vero, molte cooperative non sanno soprattutto che l’Ircac ha ripreso a funzionare
a pieno regime ed è per questo che abbiamo deciso di varare un efficace Piano di comunicazione. I punti principali riguardano il rilancio dello sportello di consulenza aziendale a cui possono rivolgersi le cooperative per avere notizie sulle possibilità offerte dalla normativa regionale e sugli interventi dell’Ircac. Lo sportello funziona a Palermo e ha una sede decentrata a Messina, mentre è in itinere l’organizzazione di uno sportello decentrato a Catania. L’Ircac partecipa anche a manifestazioni, convegni e fiere di settore e sta lavorando alla piena riattivazione del sito internet e del numero verde. Numero 101 – novembre 2004
turismo
parola d’ordine
divertimento
Voglie esaltanti che incalzano, desideri reconditi che esplodono, capricci da soddisfare a qualque costo. Quella estiva è la stagione più amata Viaggio tra le tendenze turistiche più trend dell’anno di Benedetto Darcamo e Patrizia Romano
P
artire, partire, partire!!! Questo pensiero prende sempre più spazio nella mente dei siciliani con l’avvicinarsi delle vacanze estive. Anche quest’anno, crisi o meno, milioni di famiglie sono pronte a fare le valigie e ad abbandonare il caos cittadino. “Sette giorni di puro relax”: è la risposta, ormai standardizzata, che si ottiene chiedendo al vostro amico/parente/vicino il programma che ha riservato per la prossima estate. Tra le mete preferite dal popolo dei vacanzieri, il villaggio turistico non passa mai di moda e continua a essere considerato da molti come l’oasi perfetta per combattere il caldo e lo stress dei mesi di luglio e di agosto. Insomma, si parte per ricaricare le proprie batterie, preparandosi al ritorno della routine settembrina. Sfogliando le brochure di un qualsiasi villaggio turistico, i nostri occhi si illuminano guardando immagini di spensieratezza e di divertimento sfrenato, accompagnate da ulteriori raffigurazioni, totalmente antitetiche, di pace e tranquillità. Come dire: ce n’è per tutti i gusti, cosa aspetti? Ma, in effetti, conciliare l’attivismo e l’ozio è alquanto difficile, se non impossibile: come risolvere questo problema? Semplice: rinunciare ai buoni propositi iniziali. Ecco allora che l’idea dell’amaca sotto una palma che avevamo tanto immaginato viene sostituita da quella di un campo da tennis in cui siamo i protagonisti con le nostre racchette scintillanti sotto il sole. O ancora, le rilassanti serate in spiaggia, con cocktail in mano e musica hawaiana come sottofondo vengono sostituite da notti brave in discoteca al ritmo di una musica elettrizzante. Peccato che nella realtà queste immagini portino anche a strappi muscolari e occhiaie. Insomma, tutte queste attività sono molto allettanti, ma dobbiamo ricordare che se non ci diamo un limite la strada a cui porteranno sarà soltanto una: niente relax, soltanto altro stress.
Certo, per chi entra in un villaggio turistico è quasi impossibile non restare stregato da un incontenibile euforia: fare e provare tutto diventa un obbligo morale. Ed ecco spiegato come il primo pensiero, svegliandosi, non sia più avere una rilassante colazione, bensì gettarsi in piscina per partecipare al ‘risveglio muscolare’ seguito da un’esilerante strapazzata in piscina chiamata ‘acqua-gym’. Ma oltre al villaggio turistico, quali sono le mete più ambite dai siciliani? Dove andranno? Cosa faranno? “Parlare di tendenze turistiche – osserva Gino Campanella, presidente Fiavet (Federazione italiana agenzie di viaggi) di Palermo – è un po’ prematuro, perché ancora non possiamo includere i vacanzieri dell’ultimo momento che rappresentano il grosso del flusso turistico. Nelle linee generali – continua Cam-
Parlare di tendenze, senza considerare l’aspetto economico è riduttivo. Il suo andamento ha sempre condizionato e modificato le dinamiche sociali. I settori più penalizzati dalla crisi sono quelli voluttuari. Quindi, dal settore turistico, che non è certo un bene di prima necessità, ci aspetteremmo i dati più allarmanti. Ma è proprio così? “Niente affatto – sottolinea il presidente della Fiavet. Sino a ora – dice – abbiamo registrato un incremento, rispetto allo scorso anno, del 10 per cento. Contiamo sulla possibilità di arrivare al 15 per cento senza utopie. Anche se lentamente, la crisi e la paura sembrano rientrare. Qualcuno parte proprio in barba ai timori passati. La prima fascia a esorcizzare la paura è la fascia media che rappresenta la massa. Quelli della vacanza breve ed economica… per capirci, nonché la più penalizzata” – sottolinea l’esponente della Federazione -.
panella – possiamo avanzare qualche previsione. In Italia, per esempio, le mete più gettonate saranno le località balneari. Se ci spostiamo in Europa, le città più ambite rimarranno Parigi, Berlino, Barcellona, proposte in pacchetti culturali. All’estero, invece, la tendenza sarà, ancora una volta, verso la Tunisia, Malta, Egitto e, in particolare, la Grecia. Richiesta anche la Russia che, lo scorso anno ha cavalcato l’onda”.
In realtà, il lungo raggio non ha risentito pesantemente della crisi. “Certo – conferma Gino Campanella – il lungo raggio è sempre stato appannaggio d’elite, cioè di coloro che i soldi ce li hanno sempre avuti. L’incremento, quindi, si registra all’interno delle fasce intermedie” – ribadisce -. Continua ad andare bene la crociera, il cui successo è legato alla politica dei prezzi che punta su un rapporto qualità/prezzo stupefacente Numero 149 – Maggio 2010 pagina 27
gastronomia
tradizione
innovativa
Grazie alle nuove tecnologie e, quindi, nuove metodologie di cotture, si riesce a proporre pietanze raffinate, usando ingredienti del territorio o riproponendo ricette classiche rivisitate di Valerio Castelnuovo
U
pagina 28
na cucina all’insegna della tradizione. E’ quello che si propone la gastronomia siciliana per la prossima estate. Una culinaria che sembra non volersi distaccare molto dalla cultura classica e tradizionale. “Oggi c’è una continua ricerca di prodotti tipici, profumi e ricette tradizionali ormai dimenticate – dice Giuseppe Giuliana, maestro di cucina, presidente dell’associazione provinciale Cuochi e Pasticceri Palermo, nonché Coach del Culinary Team Palermo -. Le pietanze vengono riproposte con semplicità e gusto, ma soprattutto si prende in considerazione la loro digeribilità”. Una scelta quasi d’obbligo con l’arrivo della stagione calda. Ma come metterla in atto? “Grazie alle nuove tecnologie e, quindi, nuove metodologie di cotture – spiega Giuseppe Giuliana – si riesce a proporre pietanze raffinate, usando ingredienti del territorio o riproponendo ricette classiche rivisitate. Da qualche anno vanno molto di moda i ‘Finger-Food’. Sono delle preparazioni che vengono servite nei conviviali, nei buffet, ma anche come aperitivi nelle cene di gala o insieme ai cocktail. I ‘Finger-Food’ – continua il nostro chef – sono piccole preparazioni da gustare in un bocconne con l’aiuto, al mas-
simo, di due dita (da qui il nome finger), a volte disposti in piccoli contenitori particolari o su basi alimentari. Personalmente li definisco piccole opere d’arte”. E’ in queste occasioni che la fantasia gioca un ruolo importante, così pure la buona conoscenza degli ingredienti, dei vari tipi di cottura e ancora tante altre qualità che un bravo chef deve avere. “Pensate – sottolinea ancora Giuliana – che servire in un finger le micro polpettine di sarde al pistacchio con passata di pomodoro e clorofilla alla mentuccia può sembrare un qualcosa di non fattibile per un provetto cuoco, invece, non sono altro che le nostre polpette di sarde classiche rivisitate e presentate diversamente, rendendole una prelibatezza per il palato. Le nuove tendenze culinarie devono, quindi, comprendere preparazioni gastronomiche realizzate rispettando le tradizioni, i prodotti di qualità, le stagionalità, i colori e i profumi, ma soprattutto la genuinità”. Inoltre, con l’arrivo dell’estate si cerca di salvaguardare anche il palato, mettendolo akl riparo dal caldo e dall’afa. Le papille gustative si adattano alle nuove condizioni climatiche e, così, le tendenze gastronomiche si modificano. “La prima cosa che bisogna evidenziare – sottolinea
Mario Cosentino, presidente regionale dell’associazione cuochi e chef – è che con l’estate, proprio a causa del caldo, si tende a mangiare molto meno e, ovviamente, a bere di più. Questo spinge a un maggiore consumo di prodotti freschi come il gelato, i dessert, i semifreddi alla frutta, eccetera”. Molti, addirittura, preferiscono sostituire questo tipo di alimento a un pasto completo. Come sempre sono i giovani i più innovativi e i più aperti verso le nuove tendenze. “In realtà, comunque, è il palato a esigere innovazioni gastronomiche e a spingere gli addetti ai lavori a inventare piatti pratici, veloci, leggeri e sempre più decorativi. Ecco, quindi – sottolinea lo chef – che i locali di tendenza diventano quelli dove si preparano piatti come il cus cus nelle sue varie performance; di pesce, carne o vegetariano. Sempre all’insegna del pasto leggero e gustoso, trovano un posto di tutto rilievo pure il Kepbap greco e l’orientale sushi”. Ritornando, invece, alla nostra cucina che gioca sempre un ruolo predominante, diamo una panoramica sui piatti più gettonati per l’estate. Ancora una volta, comunque, all’insegna della praticità. “Fra le scelte più pratiche – suggerisce lo chef – propongo i classici marinati di pesce, accompagnati da verdure grigliate o, all’insegna della cucina made in Sicilia, la classica caponata di melanzane presentata in forma di tortino gratinato e accompagnato, a sua volta, da scaglie di primo sale e mandorle tostate. Inoltre, il più festeggiato sulla tavola mediterranea, rimane il pesce azzurro. Pertanto, suggerisco la tagliata di tonno del Mediterraneo, lo sformato di alici, i filetti di sgombro in crosta di pistacchio. Per non parlare, poi, delle classiche grigliate di pesce azzurro. Dal numero 144 – luglio 2009
ineout
freschezza
la all’insegna del caldo Moderata e smodata. Sobria e trasgressiva. Soffocante e refrigerante. L’estate è tutto e il contrario di tutto. Ma è, in particolare, voglia di mutamento e di sterzate alla routine. Voghe e tendenze della bella stagione
ve s t i r e d ’ e s t at e Sarà l’arrivo della bella stagione o i segnali di afa o, ancora, quel bisogno di frescura sul corpo… Comunque sia, le sfilate primavera estate 2009 mostrano una tendenza alla trasparenza, se non alla nudità. Tendenza che, lo scorso anno, sembrava essere stata riposta nel cassetto. La moda che ha prevalso nel 2008, infatti, è stata una moda sobria, moderata, quasi rigorosa. C’è, dunque, un ritorno alla trasgressione? “Per scoprirlo – dice Marinella Calzona, presidente dell’assocoazione Moda e Modi – dovremo attendere le sfilate del prossimo febbraio. Solo allora saremo in grado di valutare se l’immagine di una donna seducente, ma vestita andrà raffoezandosi e se la crisi economica e finanziaria che ci ha investito ci avrà resi più sobri e più misurati, quindi meno inclini alle astravaganze e alle trasgressioni. Bisogna dire – continua la nostra esperta - che, al di là delle trasparenze, c’è continuità di stili. Il dubbio che ci assale è se mantenere gli stessi elementi stilistici non sia dovuto a un certo timore di osare novità, dal momento che non è dato prevedere l’accoglienza che troveranno tra i consumatori”. Risulta dunque molto difficile segnalare delle vere tendenze per questa estate poiché la nota dominante delle collezioni presentate lo scorso settembre è stata scarsa di novità in grado di catturare l’attenzione.
make up Anche il makeup è soggetto a mode e tendenze proprio come l’abbigliamento. Ogni stagione ha i propri colori e le proprie atmosfere ai quali adattarsi. Però, è opportuno precisare che non è del tutto corretto seguire queste
tendenza
tendenze pedissequamente, senza tenere conto degli effetti che il makeup ha si ciascuno di noi. Il trucco nel suo complesso scalfisce in maniera significativa il nostro aspetto. Pertanto, bisogna tenere conto, innanzitutto, dei caratteri naturali. Quindi, partiamo dal principio che, per non sbagliare, è sempre meglio andare sul leggero, piuttosto che calcare la mano. Faremo, senz’altro, meno danni. Il trucco acqua e sapone rimane quello vincente, ma con la stagione in corso può essere rivisto, puntando su ciglia nere e
di Luciana Rossello Dal numero 149 – Maggio 2009
lunghe. La pelle dell’estaste 2009, invece, si mantiene naturale, con tocchi leggeri di fard sulle gote. Anche le palpebre si avvarranno di ombretti tenui, dai colori quasi pallidi. L’obiettivo del makeup è quello di esaltare la semplicità della donna in tutta la sua naturalezza. La voglia di trasgressione estiva, comunque, ci sarà sempre. La si potrà soddisfare, però, soltanto attraverso gli occhi, puntando, come dicevamo, prevalentemente sulle ciglia.
capelli
Le acconciature sono valorizzate da tagli asimettrici in movimento e con volumi abbondanti. I tagli non sono composti, ma spettinati e consentono innumerevoli soluzioni creative sulla donna. Potranno essere lunghi con scalature estreme, lunghi e morbidi, carrè con geometrie scompigliate e ciuffi importanti. Per il capello lungo, invece, i tagli saranno lievemente scalati, favorendo un movimento fluido e morbido. I colori tenderanno al biondo in una vasta gamma di sfumature che vanno dal platino al cenere. Alle onde naturali e leggere del caspello sciolto, potremo alternare acconciature raccolte con texture variegate. Tornano di moda gli chignon con capelli decorati e lavorati quasi fossero materia. La moda, quindi, prevede come al solito, una vasta gamma di opportunità; dalla novità più sfrenata alla tradizione più rigorosa. pagina 29
sport
La necessità di risultati straordinari, di gloria e di un guadagno economico stellare, trasforma gli atleti in macchine efficientissime dove impegno, passione, lealtà e spirito sportivo vengono inghiottiti dalla celebrità… a ogni costo
lo sport che muore
pagina 30
di Alessandra Ballarò
L’
uso di sostanze o procedimenti destinati ad aumentare artificialmente il rendimento di un atleta in occasione di una gara sportiva si definisce doping. Ci sono varie tesi sull’etimologia della parola, ma tutte portano in conclusione al verbo inglese to dope ossia drogare. Agli inizi di questo secolo il doping consisteva in zollette di zucchero imbevute di etere. Seguirono varie miscele fai da te fino ad arrivare agli anni ’50 in cui fecero la loro comparsa le anfetamine ovvero i primi stimolanti. Oggi i composti chimici utilizzati illecitamente nello sport sono molti, con diversi meccanismi d’azione e diverso indice di pericolosità. In genere vengono usate quelle sostanze il cui uso viene finalizzato a ridurre la percezione della fatica, accrescere la forza, migliorare la prontezza dei riflessi, controllare la frequenza cardiaca e respiratoria, ridurre il peso corporeo, attenuare l’ansia e mascherare la presenza nelle urine delle sostanze vietate. Viene considerata pratica
dopante anche la trasfusione del sangue. La lotta al doping inizia in Italia nel 1954. E’ a Firenze che nel 1961 fu aperto il primo laboratorio europeo di analisi anti-doping e dal 1964 vengono effettuati sistematici controlli sugli atleti dopo le competizioni. Dal 1971 esiste in Italia una legge che punisce sia chi fa uso di sostanze proibite, sia chi le fornisce agli sportivi. Sempre nel 1971 il Comitato Olimpico Internazionale ha pubblicato una lista di sostanze proibite che viene periodicamente aggiornata anche perché queste spesso si trovano in comuni farmaci. Nella storia, il primo caso accertato di morte da doping risale al 1886, quando il ciclista gallese Arthur Linton morì a seguito dell’assunzione di trimetil nella gara Parigi – Bordeaux. Nel 1904, l’americano Thomas Hicks, dopo avere vinto la maratona olimpica di Atene, venne colto da un grave malore e morì per colpa del solfato di stricnina. La medesima sorte toccò a Dorando Petri nella maratona olimpica di Londra del 1908. E’ tristemente famosa la morte del ciclista Tommy Simpson, durante il Tour de France del 1967, nell’ascesa al Mont Ventoux. Ma ciò non deve far pensare che il fenomeno sia circoscritto al solo ambito agonistico. Piuttosto è facile comprendere che è lì che si eseguono con regolarità i controlli al fine di evitare la frode sportiva e salvaguardare la salute degli atleti. Ed è anche evidente che episodi letali riguardanti sportivi professionisti ha un’eco maggiore. Gli ultimi casi di positività alle sostanze dopanti, la dicono lunga sulla gravità del fenomeno. Ancora oggi campioni dello sport affermati pur di mantenere le proprie prestazioni al top delle possibilità fisiche, si giocano l’immagine e la carriera vanificando l’impegno e i sacrifici in molti anni di allenamento. Tra i casi più recenti il tennista francese Richard Gasquet risultato positivo a un controllo effettuato in marzo a Miami e Tom Boonen, ex campione del mondo di ciclismo, ancora una volta positivo alla cocaina a quasi un anno dal primo controllo. Per quanto riguarda, invece, il mondo sportivo amatoriale, scemati i miti hollywoodiani di Stallone e Schwarzenegger come modelli da emulare, si spera in una crescente attenzione verso la salute e la bellezza intesa come armonia del corpo dello spirito, ma anche in un ritrovato valore per la competizione leale e orgogliosa, frutto di allenamento e spirito di sacrificio.
nelsiciliani mondo
S
pagina 32
embra ormai giunto alle battute finali l’iter della travagliata legge che ridisegnerà le possibilità e le modalità di voto delle comunità italiane all’estero. E’ un appuntamento basilare nella storia dell’emigrazione italiana e rimarca il diritto inalienabile che ai cittadini italiani, per nascita o per ‘ius sanguinis’, è espressamente garantito dall’articolo 48 della Costituzione sul suffragio universale. Dopo la Cina, l’Italia è il paese la cui popolazione è più emigrata nel mondo. I flussi migratori, come ricordato dall’ex presidente della Camera, Violante, rivolgendosi ai parlamentari di origine italiana riuniti per la prima volta a Montecitorio nel novembre 2000, hanno portato all’estero, dal 1870 in poi, circa 30 milioni di italiani. Oggi, ben 60 milioni di persone di origine italiana vivono al di fuori dell’Italia, e questo è probabilmente il motivo, mai esplicitato, che ha finora impedito di dare loro il riconoscimento di elettorato attivo, anche se in parte è grazie al loro lavoro e alle loro rimesse in valute pregiate che l’Italia ha potuto migliorare la propria economia e la propria immagine all’estero. E’ quindi innegabile la loro esistenza, anche se i dati dell’Aire (anagrafe italiani residenti all’estero) e dell’anagrafe consolare – inutile duplicazione con spreco di risorse economiche – quantificano soltanto in 3 milioni i cittadini italiani residenti all’estero. Quest’ultimo valore è chiaramente relativo solo all’emigrazione più recente, riferibile a: ricercatori e tecnici qualificati che popolano Londra, Boston o la California; imprenditori che hanno aperto nei mercati dell’Est europeo; operatori gastronomici e artigiani che a migliaia hanno colonizzato, negli ultimi 30 anni, tutti i paesi Cee e paesi lontanissimi qauali Australia, Canadà, Sud America; funzionari e professionisti impegnati nei vari organismi internazionali e della Comunità europea. Qui, naturalmente, sono da aggiungere le migliaia di italiani addetti alle ambasciate e ai consolati. L’avvento dell’era mediatica rende ormai disponibili in tempo reale, attraverso giornali, tv satellitare e Internet, un’infinita mole di informazioni dettagliate che raggiungono in maniera capillare anche gli angoli più reconditi della terra e sono quindi fruibili ovunque, anche nei paesi più poveri del terzo mondo, consentendo agli italiani all’estero di tenere il passo con gli avvenimenti e la situazione
voto all’estero
Ormai vicina al varo la riforma delle norme costituzionali e della legge elettorale per gli emigrati italiani all’estero di Stefania Vella
politica della madrepatria. E la facile mobilità garantisce, inoltre, spostamenti rapidi anche su lunghe distanze. Sono quindi da considerare pretestuose le affermazioni di quanti oggi vorrebbero frenare sul diritto di voto, accampando ancora la scarsa conoscenza della situazione politica del nostro paese da parte dei residenti all’estero. Le modalità di voto devono certamente rispecchiare la personalità e la segretezza, e ciò dovrebbe fare propendere per l’espressione dello stesso ‘in loco’ (ad esempio nelle ambasciate e nelle sedi consolari), preferendo per il voto per corrispondenza o per quello telematico soltanto in caso di condizioni particolarmente disagiate sul piano logistico. Gli emigrati e i residenti all’estero chiedono da tempo una propria, specifica rappresentanza parlamentare, liberamente espressa, vogliono dimostrare la loro maturità e sostenere l’opera di chi ha realmente condiviso il loro destino e conosce sulla propria pelle i problemi e le temati-
che dello spaesarsi, del partire, dell’essere o del vivere lontano. Moltissimi di loro ormai manifestano il desiderio di eliminare il tramite specioso delle associazioni e delle sigle (Comites, comitato degli italiani all’estero; Cgie, consiglio generale degli italiani all’estero) che, a vario titolo, a volte con atteggiamenti prevaricatori di strumentalizzazione da parte di qualche partito, hanno finora guidato, e sostanzialmente imposto, un indirizzo di voto. Gli emigrati, in particolare modo, lamentano che per troppi decenni i parlamentari eletti in Italia hanno negato o trascurato i loro diritti culturali (scuole e istituti di cultura italiani all’estero, borse di studio presso le università italiane) i loro diritti previdenziali (gli accordi bilaterali con altri paesi in materia sono pochi), economici, (doppie tassazioni), il loro diritto a rientrare in Italia in condizioni lavorative e d’alloggio possibilmente non peggiori di quando emigrarono. Dal numero 74 – giugno 2002
nelsiciliani mondo
TAMTAM
sos
Palestina Donne che partoriscono bambini malformati e dal sesso indefinibile, senza arti e con strane malformazioni al viso. Il 40 per cento dei
bambini palestinesi soffre di anemia e di malformazioni causate dai gas tossici di Fateh Hamdan
I
pagina 34
gas tossici e le bombe a raggi usati dall’esercito di occupazione israeliana contro i palestinesi cominciano ad avere conseguenze sui nascituri. Il dottor Abed El Jabar Attaibi, direttore generale della medicina primaria del Ministero della Sanità ha dichiarato che la difficile situazione in cui vive la popolazione palestinese a causa, soprattutto, delle applicazioni del coprifuoco da parte dell’esercito israeliano, della proibizione della circolazione e dello spostamento dei cittadini e, non ultima, dell’elevata percentuale di disoccupazione, ha fatto sì che le condizioni di salute dei bambini al di sotto dei cinque anni e della donna in gravidanza si è molto aggravata. Il dottor Attaibi ha dichiarato, inoltre, che il 45 per cento dei bambini al di sotto dei cinque anni e delle donne gravide soffre di anemia.; inoltre è in aumento il numero dei bambini che nascono sotto peso e comunque più piccoli rispetto alla media (13 per cento). In una dichiarazione medica dell’ospedale di Ashfa nella città di Gaza, è documentato che una donna palestinese ha partorito un bambino considerato un caso stranissimo e unico in quell’ospedale e in tutta la Palestina: il bambino è indefinibile come sesso, è privo di arti e ha delle malformazioni al viso. Lo stato di salute del bambino è grave,
pesa meno di un chilogrammo ed è lungo meno di 27 centimetri. Dopo l’intifada hanno cominciato a verificarsi altri casi meno gravi di malformazioni, provocate dalla malnutrizione e dalla respirazione da parte delle madri dei gas tossici e delle bombe a raggi usate dall’esercito israeliano. Il dottor Mohammed Alshirafi aggiunge ancora che ci sono stati negli ultimi anni notevoli aumenti di casi di aborto provocati dalla paura e da altre cause psicologiche a causa dei bombardamenti sui centri abitati e dei posti di blocco sparsi ovunque che impediscono lo spostamento degli abitanti e delle macchine di soccorso. Tutto ciò viene confermato anche dalle statistiche ufficiakli pubblicati dai centri di ricerca internazionali cxon la collaborazione dell’Università araba di Gerusalemme, che avvertono sull’aggravarsi della situazione dei bambini e delle loro madri nei territori palestinesi dove c’è più del 30 per cento dei bambini fino a cinque anni che soffre per la malnutrizione e per la mancanza della medicina primaria impedita a causa del blocco militare israeliano e della chiusura economica che subiscono le città, i villaggi e i campi profughi. Si aggiunge ancora che il 20 per cento delle madri soffre di malnutrizione
TAMTAM
il testo in arabo
laparola all’esperto Numero 74 – giugno 2002
Giardino in terrazza Abitiamo all’ultimo piano di un edificio che dispone di un’ampia terrazza. Vorremmo trasformare quest’ultima, dandole l’immagine di un giardino, possibilmente anche con un mini prato per i giochi dei nostri bambini Enzo Del Duca
Sarà bene dara la massima profondità alla visuale, disponendo abbondantemente le piante sui bordi della terrazza e lasciando sgombra la zona centrale. In questo modo, avremmo ladi una maggiore ampiezza della stessa terrazza. Inoltre, questa ipotesi ci consentirebbe di realizzare uno spazio per il gioco dei bambini. Inoltre, questa ipotesi ci consentirebbe di realizzare uno spazio per il gioco dei bambini. Al centro potremmo realizzare un ampio prato di forma ovale, delimitato da una fascia di lastre in pietra e chiusa da una fioriera che ne delimiti il perimetro. Sul fondo del prato potrebbe trovare posto un piccolo gazebo dall’aspetto romantico, magari ricoperto di rose. Accanto al gazebo vedrei bene una bella panca di legno, molto utile in caso di ospiti numerosi. Per quanto riguarda la scelta delle piante, sarebbe opportuno optare per piante di piccole dimensioni, evitando, così, di offrire troppa presa al vento. L’architetto Caterina Cannici
Autostimiamoci un po’ di più Quando sono al lavoro o incontro persone nuove, mi stresso e provo un senso di disagio. Il problema aumenta se mi trovo in particolari contesti sociali. Cosa posso fare
pagina 36
I nostri esperti risponderanno alle vostre domande. Scrivete a: linchiestasicilia@libero.it
Saldi e rimborsi Ho versato alla mia banca parecchi soldi per interessi sul saldo passivo del mio conto corrente. E’ possibile ottenere il rimborso? Luciana Baldini
L’articolo 1283 del Codice Civile stabilisce che, in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi (cosiddetto anatocismo) solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza. In pratica, la norma pone dei limiti a tale capitalizzazione. Nonostante ciò, le banche inserivano, comunque, nei contratti con la propria clientela, clausole che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di di conto corrente passivo per il cliente. Recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno invece dichiarato nulle tali clausole, ritenendole in contrasto con la predetta norma. Le potrà, quindi, chiedere alla banca di ricalcolare tutte le competenze dall’inizio del rapporto (con il limite comunque degli ultimi dieci anni), eliminando il costo derivante dalla capitalizzazione trimestrale degli interessi. Se la sua richiesta avrà un esito negativo, potrà agire in giudizio contro l’istituto bancario per ottenere la restituzione di tale costo. Il consulente Carmelo Macaluso
Inquilini e diritti di prelazione Ho sentito parlare di diritto di prelazione, in caso di vendita, in favore dell’inquilino che conduce un immobile per uso locativo. Quando può essere esercitato?
Giovanni Vita
Antonio Di Chiara
La sintomatologia che descrive rientra nel fenomeno più ampio dell’ansia sociale, facilmente superabile attraverso un ciclo di terapia all’interno ‘dei gruppi di assertività’. Si tratta di una specie di palestra per rafforzare l’autostima e la capacità di comunicazione con delle simulate che rappresentano, in situazioni protette, condizioni di difficoltà specifiche. Una volta superate, possono essere esperite all’esterno. Oggi, questo particolare lavoro di gruppo si svolge nell’ambito dei servizi pubblici di psicologia o presso strutture private. Alcune aziende lo utilizzano per migliorare la comunicazione del personale e incentivare le strategie di vendita delle simulate che rappresentano, in situazioni protette, condizioni di difficoltà specifiche. Una volta superate, possono essere esperite all’esterno. Oggi, questo particolare lavoro di gruppo si svolge nell’ambito dei servizi pubblici di psicologia o presso strutture private.
Il diritto di prelazione in questione è stato introdotto dalla legge 431/98. Tale diritto spetta soltanto in caso di locazioni stipulate o rinnovate dopo l’entrata in vigore di tale legge (30/12/98) quando il proprietario, volendo disdettare il contratto alla prima scadenza, invochi, quale causa giustificativa, l’intenzione di vendere l’immobile. l’entrata in vigore di tale legge (30/12/98) quando il proprietario, volendo disdettare il contratto alla prima scadenza, invochi, quale causa giustificativa, l’intenzione di vendere l’immobile. In tal caso, quest’ultimo dovrà comunicare all’inquilino il prezzo e le condizioni di vendita con l’invito ad esercitare il diritto. In sostanza, l’inquilino viene tutelato, attraverso l’istituto della prelazione, soltanto alla prima scadenza, ma non durante il corso della locazione né per le scdenze successive alla prima.
Psicologo Cristina Lanzarone
L’avvocato Francesco Pinelli
p
la terza agina
Ernst Junger
f i g l i o d e l sole f i g l i o d e l l a sicilia La passione per la simbologia storica dell’Isola, per la sua tradizione letteraria e per la bellezza dei paesaggi, nelle opere di uno dei più grandi scrittori del secolo scorso
di Alberto Samonà
E
pagina 38
nst Junger è forse uno dei più grandi scrittori del Novecento; nei suoi scritti minoranze e ‘avanguardie esistenziali’ hanno trovato una chiave per opporsi in modo integrale alle pseudocertezze di ogni epoca. Junger il teorico della ribellione totale al mondo di oggi. Junger l’anarca mistico di un tempo universale. Junger il ‘nazista’ che osò guardare hitler con gli occhi di chi non ha paura di non applaudirlo. Ernst il poeta. Il profondo conoscitore di ogni specie di insetto esistente al mondo. Ernst l’ambientalista asserragliato nella propria foresta fisica e spirituale. Ernst Junger il figlio del sole, che da figlio fu ossequioso verso quella terra che del sole si nutre e che dall’astro bollente si fa bruciare: la Sicilia, tappa di un viaggio fisico, ma anche spirituale. Santuario di un pellegrinaggio silenzioso e non celebrativo. La sicilia e il poeta: un binomio poco conosciuto, ma che caratterizzò la vita (e parte della produzione letteraria) di quest’uomo del secolo scorso. Pochi sanno dell’esistenza di questo intimo rapporto che iniziò
nel periodo della gioventù e mai si interruppe, nonostante quella ‘solitudine’ che ha connotato la ricerca di tutta una vita. Il poeta, come amava definirlo la sua inseparabile segretaria Inge Dahm, venne in Sicilia per ben tra volte: la prima nel 1929; la seconda nel 1977 e la terza nel 1986. La terza volta restò nel capoluogo siciliano tre giorni e fu questa l’ultima volta che il poeta
e la terrra di Sicilia si rincontrarono, quasi a volersi salutare prima che l’anima dell’uomo intraprendesse quell’ultimo viaggio verso il supermercato della linea del meridiano zero, in direzione della libertà assoluta, questa volta non più soltanto dalla propria fisicità, dai condizionamenti o banalmente dal divenire di ogni giorno. Libertà della vita stessa. Per la Sicilia e per Palermo, Junger ebbe sempre una considerazione che andava ben oltre un semplice gradimento: in lui c’era quel rispetto ingenerato dalla contemplazione della forte simbologia che la Sicilia stessa ha sempre evocato con la sua storia, con il mito di Federico II e con l’immagine simbolica incarnata da quest’isola del Mediterraneo, come centro ed espressione di un confronto magistrale di molteplici tradizioni e identità: la cultura indoeuropea e quella araba, espressa in quella che, in occasione di una sua visita nella borgata marinara di Mondello nel 1929, Junger stesso definì ‘la magica sfera d’azione della grande potenza solare’.
di Roberta Li Chiavi
Un amore incerto, fuggevole e contraddittorio genera rimpianto, struggimento, inquitudine, ma anche serenità e felicità. I mille volti di questo sentimento in una splendida raccolta di preziosi versi di Davide Romano
amore magica alchimia Davide Romano L’amore maldestro Pagine 31, Euro 1,50 Edizioni La Zisa
P
reziosa, commovente, spontanea, la raccolta di Davide Romano entra in una busta come la lettera più sentita di chi sa amare e nulla chiede se non spazio per la sua voce. I temi affrontati sono l’amore tra uomo e donna, tra padre e figlio, tra il fanciullo e il vecchio, tra esseri umani che, sin troppo consapevoli della caducità delle loro esistenze, si affannano per vivere nel modo più vero loro concesso. Promettente e stimato giornalista, Romano si dimostra ora sensibile e attento conoscitore dell’animo umano. Venti fiori di inchiostro, raccolti tra lacrime di perle e sorrisi di petali di rosa, offerti dall’autore alla sua ‘S’ e ai suoi lettori, col sottofondo di una visione lirica velata e discreta che si fa musica di carta.
Amore del ritorno, della nostalgia, del rimpianto, della gioia per la consapevolezza e del dolore per la perdita. Storie di un sentimento che non sa, che non riesce, che non può essere amore come vorrebbe, cui non è dato vivere appieno, svilito dalle prigioni dell’abitudine, se non in precario equilibrio sull’orizzonte dei pensieri. ‘Maldestro’ suo malgrado e delicato per natura, insofferente per la non perfezione dell’uomo, il sentimento che ispira la poesia di Romano raccoglie e ingerpreta ciò che, più di ogni altra emozione, porta luce al cuore. Un amore dolce come il miele e puro come il latte, fatto di sospiri, pensieri e mani calde per un abbraccio nella visione del per sempre. Una magica alchimia che, fatti i conti col destino, può far fiorire il cuore o tramutarlo in pietra aridissima o
l
ibri
regalare un’insperata gemma tra i deserti. L’omaggio alla città turca di Afrodisia tradisce la formazione classica e l’intima convinzione dell’arte sola opportunità eternatrice di un amore immutabile e sempre autentico. Tuttavia, l’autore, pur scegliendo uno stadio di ‘pietre levigate’ a simbolo dell’amore ideale, evita di dipingere personaggi, preferendo rappresentare se stesso e il suo io. Sono testi sofferti, spesso violentemente iconoclasti, irridenti, perché Romano scrive il bianco e il nero e sa che la vita merita di essere cantata anche nei momenti bui, forse quelli in cui, più che in altri, emerge l’animo e la forza di un uomo. Poesie in versi liberi, belle poesie, da gustare pagina per pagina, in una lettura dolce amara come i ricordi e dal colore incerto e sfocato del futuro.
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Mauris at gravida sem. Donec egestas aliquet nunc sit amet faucibus. Mauris vulputate congue ante, ac dignissim velit varius at. Nulla facilisi. Donec eu tortor vel urna malesuada
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Mauris at gravida sem. Donec egestas aliquet nunc sit amet faucibus. Mauris vulputate congue ante, ac dignissim velit varius at. Nulla facilisi. Donec eu tortor vel urna malesuada
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Mauris at gravida sem. Donec egestas aliquet nunc sit amet faucibus. Mauris vulputate congue ante, ac dignissim velit varius at. Nulla facilisi. Donec eu tortor vel urna malesuada
di Tizio Caio Agota Kristof Trilogia della città di K. Einaudi euro 12,50
di Tizio Caio Agota Kristof Trilogia della città di K. Einaudi euro 12,50
di Tizio Caio Agota Kristof Trilogia della città di K. Einaudi euro 12,50
pagina 39
s
pettacolo
dietro le quinte del
teatro privato
di Annalisa Cardella
pagina 40
Non sempre la passione e la devozione sono sufficienti a perseguire i propri obiettivi. Purtroppo occorre anche il denaro. Che non sempre c’è. E quello che accade a chi svolge l’attività teatrale in privato. Pochi soldi e tanta fatica
U
na vita per il palcoscenico. E’ intorno a questo principio che ruota l’intera attività del teatro privato. Non c’è altro. Al di là dell’amore e della passione non ci sono altri elementi che contribuiscano a esaudirne tutti gli aspetti. Non sempre, però, la completa dedizione è sufficiente a mandare avanti un’attività così complessa. E per molti teatri è la fine. Una fine inesorabile alla quale si assiste talvolta con indifferenza. Per alimentare il teatro occorre tanto denaro e quello che un piccolo impresario teatrale riesce a racimolare soltanto con la propria attività, non sempre è sufficiente. Dal mondo istituzionale arrivano soltanto segnali saltuari e occasionali. I contributi pubblici destinati al privato privato sono legati all’andamento politico, nonché ai cambi di guardia presso il Governo regionale.
Non esiste una legge che garantisca un contributio annuo fisso, per assicurare un margine di sicurezza e la possibilità di una basate sulle produzioni; Un contributo molto esiguo che si aggira tra gli otto e i dieci mila Euro. Un teatro con le proprie produzioni riesce appena a sopravvivere. Le spese di gestione sono enormi. L’enturage che ruota attorno al teatro è enorme. La forza del teatro privato è l’amore. Se il teatro pubblico non ha soldi, i dipdendenti scioperano e le rappresentazioni saltano. Se il teatro privato non ha soldi, si va avanti klo stesso, ma a costo di sacrifici. Molti gestori privati hanno persino venduto i propri beni per di mantenere in vista il proprio teatro. Non certo per arricchirsi, ma semplicemente per mantenere un minomo standard: Perché il teatro plubbilo viene finanziato. I veri
incentivi, infatti, sono destinati soltanto a quello pubblico. Dobbiamo renderci conto che il teatro privato non è una vendita al dettaglio. Basta niente per determinare una crisi. Una stagione particolarmente rigida manda in tilt un cartellone. Oltretutto, il teatro rappresenta un bene di genere voluttuario, pertanto, diventa la prima cosa alla quale, in caso di ristrettezza economica, si rinuncia. Ed è così che negli anni, numerpsi teatri hanno abbassato il sipario definitivamente Eppure, il teatro pubblico, nonostante i contributi e le migliaia di abbonamenti annui, entra in crisi con estrema facilità. E’ opportuno che venga fatta una legge che tuteli il teatro privato. Fino a ora, il teatro privato ha retto su una vecchia legge regionale che prevede ancora contributi annui Per mantenere una piccoloa-media impresa teatrale
fai l’arte e mettila da parte
m
usica
La cultura musicale a Palermo? C’è o ci fa? Sembrerebbe il famoso bicchiere mezzo vuoto e mezzzo pieno! E anche l’osservatore distratto può cogliere alcuni paradossi… di Matthew Furline
A
Palermo ci sono due importanti orchestre di rilevanza nazionale – il Teatro Massimo e l’Orchestra Sinfonica Siciliana, che godono di investimenti importanti da parte delle pubbliche istituzioni, per la loro sopravvivenza. E’ importante rilevare che queste due istituzioni sono oggi Fondazioni di diritto privato, e il socio di maggioranza, cioè di maggiore peso politicofinanziario, continua a essere la Regione Siciliana e, indirettamente, i siciliani. Grazie a queste due prestigiose orchestre, chi sta a Palermo può apprezzare dal vivo alcuni tra i migliori direttori e solisti del mondo: Ashkenazy, Abbado, Oistrach, Buchbinder, Kremer e tanti altri miti viventi che sono passati di qua solo negli ultimi sei mesi. Pare che tutto sommato queste due istituzioni siano in buona salute, perché fanno sostanzialmente buon uso dei propri mezzi, perché la classe politica è culturalmente e musicalmente impegnata, perché la Sicilia intera, attraverso il suo governo, dà altissimo valore alla musica, e forse perché senza queste due istituzioni la città di Palermo sarebbe realmente più povera. Tuttavia, la presenza dei grandi direttori e solisti sui nostri palchi non sembra avere creato molto ‘indotto’ per i musicisti locali. Quanti di quei
musicisti di fama mondiale sono ingaggiati anche a fare dei ‘master class’ al Conservatorio o per conto di altre associazioni del settore? Quanti hanno rapporti con la vita musicale palermitana oltre al loro impegno per un concerto o due? Quanti neodiplomati al Conservatorio Bellini di Palermo trovano lavoro più facilmente grazie alla permanenza in una città con due orchestre? E’ vero che qui si ferma il grande treno della cultura europea, ma purtroppo è una brevissima sosta (e talvolta i posti sono già tutti prenotati). Ma lasciamo stare il settore della musica classica, che comunque gode di benefici rispetto ad altri generi musicali meno radicati in Italia. Molti giovani con la passione per la musica preferiscono il
rock, il jazz, il fusion, lo ska, il raggae. Non ce ne sono, né qui a Palermo né altrove, posti stipendiati per batteristi ska. Come risponde la città d’arte che è Palermo a chi per passione cerca di fare il musicista fuori delle istituzioni? Si può tirare a campare? Va detto che quindici anni fa, si andava a guadagnare 50 mila lire, compenso standard. Oggi, dopo quindici anni, il cachè è aumentato a 70 mila lire (di Euro manco a parlarne). Alla faccia dell’Istat. Però si deve andare a suonare in due. I gruppi con più persone hanno delle difficoltà. Molti locali in città non vogliono gruppi con più di due elementi. Per risparmiare? Boh, forse. Comunque sento parlare del Decreto Regio del 18 giugno 1931. Dicono che se fanno suonare più di due persone insieme, la Polizia può creare un problema di ordine pubblico, di sicurezza e fanno riferimento proprio a questa legge: una legge del
1931. E quindi, lavorano soprattutto i duo – tipo piano bar con il pianoforte campionato che ti fa anche la batteria in stile rumba o bossa nova o rock preconfezionato. Certo ci sono locali più impegnati per dare spazio alla musica e ai gruppi locali. C’è il Birimbao, il mitico Malaluna, la Carlotta, il Bloom Art, il Blow Up, anche il Malox e tanti altri. Ma si può campare suonando con un gruppo proprio a Palermo? Direi che è impossibile. Magari suoni un po’ dappertutto, ma alla fine del mese non si ha mai quella cifra che ti consente di dire “bene, ce la faccio”. C’è qualcosa che manca. Molta gente ascolta la musica nei locali come se ci fosse una radio accesa. Bisognerebbe coltivare un pubblico di consumatori, gente che impazzisce per la musica dal vivo. Però, se ci fossero dei concerti seri a fare o da lavorare per gli studi di registrazione… Che so, fare una colonna sonora, registrare delle musiche per la pubblicità, là sì che ci sarebbe da guadagnare. Insomma, un’economia meno depressa, una Palermo più metropoli e meno cittadella di Provincia. Numero 74 – giugno 2002 pagina 41
rintanati in casa a
rte
pagina 42
di Salvo Ferlito
Un preoccupante paradigma di quei processi intrapsichici di rifiuto della realtà circostante ormai in fase di inarrestabile espansione in tutti quei paesi più avanzati ove i ritmi della vita quotidiana (cosiddetta “produttiva”) vanno acquisendo cadenze sempre più incalzanti. Un viaggio tra gli Hikikomori (coloro che vivono rintanati a casa), attraverso la mostra di Om Bosser
U
n’accurata disamina dell’alienazione umana posta in essere attraverso l’occhio “clinico” delle arti visuali. Una vera e propria “casistica”, quella elencata da Om Bosser (che non per niente è medico e per di più studioso di psicoanalisi), in grado di offrire una puntuale panoramica su quelle dinamiche di distacco e decontestualizzazione dall’ambito collettivo che paiono ricorrere con sempre maggior frequenza nella nostra società. E’ questo l’obiettivo perseguito dall’artista torinese con Hikikomori (coloro che vivono rintanati in casa), la mostra di dipinti ospitata alla galleria Studio 71 nel maggio scorso, non a caso tutta incentrata su quell’allarmante (e patologico) fenomeno di auto-confinamento entro le mura domestiche che va diffondendosi, a mo’ di incontrollabile infezione, nello spersonalizzante tessuto
urbanistico e sociale delle metropoli nipponiche. Frutto di un crescente sentimento di inadeguatezza alle difficoltà della vita relazionale, spesso alimentato da forme di insensato bullismo o di esasperata competizione, lo Hikikomori, pur essendo connotato da un radicalismo e da un estremismo tipicamente giapponesi, è tuttavia un preoccupante paradigma di quei processi intrapsichici di rifiuto della realtà circostante ormai in fase di inarrestabile espansione in tutti quei paesi più avanzati ove i ritmi della vita quotidiana (cosiddetta “produttiva”) vanno acquisendo cadenze sempre più incalzanti. Isolati in uno stato di afasica incomunicabilità, lo sguardo fisso verso gli osservatori o perso in direzione d’un altrove non meglio definito, talora abbandonati in un sonno indifeso o in una nudità incurantemente ostentata, i
personaggi effigiati “fotograficamente” da Om Bosser (con un procedimento basato sulla trasposizione su tela, tramite computer, di piccoli e dettagliati disegni o di vere e proprie fotografie) si ergono dunque a “casi” conclamati d’un disagio e d’un malessere dal difficile (e forse impossibile) trattamento terapeutico. A metà strada fra la denuncia civile e la rassegnata presa d’atto, questa serie di opere realizzate da Bosser costituisce comunque la compiuta espressione della capacità (e in fondo anche della necessità), per ogni artista degno di tal appellativo, di calarsi nel flusso dell’attualità, senza eluderne gli aspetti più controversi, inquietanti ed anche sgradevoli. Un documento, questo elaborato dall’artista torinese, in grado di rappresentare fedelmente lo spirito del tempo o più rassegnatamente null’altro che il miserevole stato delle cose.
c
inema
cinema isolano
cinema isolato Negli ultimi tempi abbiamo assistito a ben tre esempi di ‘cinema isolano’, realizzati in rinomate e ambite località vacanziere, attraverso la mentalità e le abitudini dei loro abitanti
N
umerosi sono gli esempi di cinema ambientato in Sicilia e Sardegna. Se dei film sulla prima, anche per una questione di radici, sappiamo di più, sfruttata com’è da un punto di vista commerciale, la seconda è stata al centro di diverse pellicole uscite nell’ultimo biennio: Sos laribiancos – I dimenticati di Piero Livi, Arcipelaghi di Giovanni Columbu, Pesi leggeri di Enrico Pau, fino al recentissimo La destinazione del carabiniere di Piero Sanna. Esempi di cinema minimale, se non eclatanti quantomeno dignitosi, tutti con il denominatore comune dell’orgoglio di alcuni personaggi, radicato e caparbio, di appartenere a una cultura diversa, tipica di chi è lontano dalla terra ferma. Tornando alla nostra Trinacria, in quattordici mesi circa, abbiamo assistito a ben tre esempi, assai diversi, eppure accomunati da una ruvidezza non fastidiosa del passaggio come della
narrazione di ‘cinema isolano’, realizzati in rinomate e ambite località vacanziere, proposte, però, nella loro quotidianità e attraverso la mentalità e le abitudini dei loro abitanti, nonché tramite gli scrutamenti fanciulleschi dei loro irriducibili protagonisti. Il primo a essere distribuito è stato Iris (2002), insolita incursione nell’universo infantile (e per una volta innocente) da parte di Aurelio Grimaldi, abituato a soggetti ben più turpi. Istruendo e pedinando la sua vera figlioletta Arancia Cecilia di soli quattro anni, il regista, prendendo dichiaratamente spunto da Il palloncino bianco dell’iraniano Jafar Panahi, ci mostra la candida
determinazione di Maria, decisa a portare dei fiori alla madre che fa il compleanno per non essere da meno dei fratellini. I tanti incontri e le reazioni spontanee della bambina, oltre a intenerire, riportano a una condizione pura e pragmatica, forse comune, in modo diverso, persino gli adulti che vivono sulla stessa isola; che è Ustica. A Lampedusa è invece ambientato Respiro, uscito poco dopo con discreto successo, soprattutto per il suo autore Emanuele Crialese, nel quale la bella e svanita Grazia (un’ottima Valeria Golino) fa parlare di sé i conterranei per il suo comportamento disinibito e naturale. Tanto che il marito medita seriamente di farla ricoverare a Milano. I figli le vogliono molto bene, ma quello che sembra capirla di più è Pasquale (Francesco Casisa) che l’aiuta a nascondersi. Crialese prova che è possibile filmare con stile pure i panorami aridi, rifuggendo dalle cartoline e applicando con sapienza un
di Massimo Arciresi
crescendo drammatico che approda al suggestivamente simbolico finale. E’ giunto da poco sugli schermi L’isola, che la palermitana Costanza Quatriglio, che si è fatta le ossa con il cortometraggio e il documentario, ha girato quasi interamente a Favignana (c’è una surreale puntata a Trapani, vista come la ‘grande città’). E’ la vicenda della vitale Teresa (Veronica Guarrasi, gelosa del fratello maggiore Turi (Ignazio Ernandes). Quest’ultimo è ‘condannato’ a fare il pescatore: ma per lui essere un marinaio sarebbe già un traguardo, costituirebbe la possibilità di sottrarsi a un’eredità che non gli interessa. Il padre, però, (il sempre apprezzabile Marcello Mozzarella), sembra non lasciargli scampo. Ripresa con taglio verista, la piccola opera riscatta la sua naiveté, talvolta impreziosita dai piccoli gesti dei personaggi, talaltra leggermente esibita, con la sincerità dello sguardo. numero 86 di luglio 2003 pagina 43
l
pagina 44
dai ettori
Afa
E va bene, ma sentivo caldo. Mi viene come un attacco di panico, ispettore. Ero stata a casa tutto il giorno, ho preso la valeriana, ho chiuso tutte le finestre e mi sono immersa nella vasca da bagno. Sentivo il panico in agguato. Ero sola. Non potrebbe comprare un condizionatore? – - Sì, ma abito in qwuesta casa da poco tempo, volevo vedere come ci si sta d’estate e poi non amo il freddo da condizionatore, vorrei un clima possibile, normale. Il clima è cambiato, ispoettore. Nel 2003 la superficie terrestre sarà più calda di ben tre gradi e mezzo… Sì, va bene, ma andiamo avanti, e poi? – E poi gli scenziati hanno trovato un lago al Polo Nord, un lago… Sì, ma torniamo a noi, signorina -. - Non ce l’ho fatta più, ispettore. Mi sono affacciata alla finestra soerando che l’afa fosse terminata e sono stata investita da un’ondata di inferno e follia e così non ho capito più niente, ho messo il primo vestito che ho trovato… La prima camicia da notte, vuole dire Io le uso per uscire… quelle antiche, voglio dire, hanno un’aria così fuori dal tempo che sembrano costumi teatrali, ma sono così semplici e così fresche… Sì, appunto, signorina, è questo particolare che ha terrorizzato le persone al cimitero stamattina e ha provocato una morte per infarto… Ma facciamo ordine… vorrei capire meglio… Ma che c’era da capire ancora? Ada era frastornata. L’aveva spiegato cento volte ai guardiani, alle signore vestite di nero, ai curiosi per strada, ai poliziotti che l’avevano portata in questura ed ora doveva ripetere tutto all’ispettore. Ada abitava vicino al cimitero da due mesi, di ritorno dalle vacanze aveva trovato un’afa spaventosa fuori e dentro casa perché abitava sotto i tetti e si sa che le case sotto tetto sono le più calde in estate e le più fredde in inverno e giorno 31 agosto non ce l’aveva fatta più, perché si da il caso che Ada soffra di claustrofobia da caldo e di conseguenza tutto ciò scatena in lei veri e propri attacchi di panico. Quando si era affacciata alla finestra sperando che il cklima fosse cambiato, la crisi aveva ragguinto il suo acme. A nulla erano valse le sue preghiere affinché piovesse, la terra era stretta da un’afa opaca e grigia e lei pensava di non respirare più bene; insomma, era la sua testa che le procurava tali miraggi, era per così dire la paura di non respirare più che non la faceva respirare. Ma improvvisamente – Il cimitero! – aveva urlato. Di fronte
casa sua c’era il cimitero ed era così pieno di alberi, c’era sempre un fresco meraviglioso e così, indossata la camicia da notte bianca dei primi del ‘900 che usava come vestito, ingurgitato un sonnifero, visto che la valeriana non era riuscita a contenere il suo panicodaclustrofobiadacaldo, era scappata in strada, e correndo era entrata al cimitero in un momento di distrazione dei guardiani. Il 31 agosto chi vuoi che ci sia al cimitero, aveva pensato. Poi, aveva cercato il posto più fresco che ci fosse, eccolo, la tomba antica di pietra ingiallita di tale Rodrigo Ramonez nato nel 1920 e morto nel 1940 e su quella si era coricata. Era quasi il tramonto, ora in cui chiudono i cimiteri: Ada si era distesa supina, e incrociate le mani sul petto si era addormentata. Ora, se l’indomani una signora in visita alla tomba della figlia morta un anno prima aveva avuto un infarto, perché vedendola svegliare pensò di trovarsi di fronte il fantasma della figlia, era colpa sua? La si poteva condannare per questo? Ada, dal canto suo, si era svegliata beata e aveva inaugurato il primo settembre con un clima fresco, un venticello piacevole fra le foglie degli alberi. In un cimitero piacevole – aveva obiettato l’ispettore, Ma era in quel momento l’unico luogo possibile, era già tanto che mi fosse venuta quell’idea durante un attacco di panico. E’ stata la signora a spaventare me. S’è messa a urlare come un’ossessa, lanciando i fiori per aria, rovesciando l’acqua dei vasi, e correndo verso l’uscita stava lì a gridare: un fantasma, la mia Nina, la mia Nina, Nina mia, ahhhh. E così la zia di Nina e il fratello, il cognate e poi altre donne, furono tutti presi da visioni, tormenti, lacrime e lamenti fin quando la signora Ranucci, questo il cognome della mamma della defunta Nina, si era accasciata per terra proprio davanti al cancello del cimitero, e fra rantoli soffocati il cuore le era venuto meno ed era andata a raggiungere la sua adorata figlia. I curiosi, i fiorai di fronte al cimitero avevano fatto capannello, mentre qualcuno chiamava la polizia e un’ambulanza, e Ada era rimasta insonnacchiata e intimorita in mezzo a tutta la baraonda dei parenti che nel frattempo arrivavano e imprecavano e si scagliavano contro di lei – Assassina! Fare scherzi simili… Disgraziata… Ada per l’appunto aveva cominciato a spiegare, ma nulla da fare, il piccolo drappello era ormai inferocito. Per fortuna il garzone di un macellaio che si trovava lì di passaggio accorse in suo aiuto e la caricò sulla bici e pedalare a più non posso cercò di schivare colpi e scarpate lanciati contro di lei –
Ha pure un complice, prendeteli… prendeteli -. In quel momento arrivò la Polizia che con pistole e mitra spianati fermò i fuggiaschi e li portò in questura. Il garzone fu rilasciato ben presto, piangeva come un vitello sgozzato, poverino. Ada era riuscita a convincere l’ispettore che il ragazzo l’aveva salvata dal linciaggio, che il suo era stato un nobile gesto e nient’altro. Dopo gli accertamenti di rito, il ragazzo fu rilasciato. Non solo a lei, invece, toccò restare finché tutti non furono interrogati, ma dovette persino passare la notte in questura. Quella notte fece un sogno: era in bicicletta dentro un cimitero sul mare, il vento fresco le baciava le guance. Le cingeva la vita un principe anch’esso vestito di bianco, con le mani grondanti sangue, e nel frattempo pedalava e lei rideva e rideva, mentre disteso sulle tombe stava il gruppo di famiglia incontrato al cimitero, e un commissario in un angolo indossava una lunga camicia da notte e una cuffietta di trine. L’indomani, quando si svegliò, i poliziotti la liberarono, l’ispettore le consigliò ancora una volta di comprare un condizionatore, di cambiare abito, di non dormire più in un cimitero e così Ada potè tornarsene nella sua casa, che nel frattempo era diventata più vivibile a causa dell’ennesimo cambiamento repantino di clima. Davanti al portone, con la bici piena di pacchi di plastica addossata contro il muro, trovò il garzone della macelleria. – Ciao le disse timidamente, io passavo di qua e… Ciao, passavi di qua? Ma come fai a sapere dove abito, scusa Ho sentito quando lo dicevi ai poliziotti. Ah, sì. Volevo sapere come stai. Bene, bene, insomma… Ah, volevo ringraziarti. Se non fosse stato per te, adesso sarei in ospedale. Subito ci fu silenzio. I due cominciarono a guardarsiu e Ada si accorse di lui. Alto, capelli biondi, occhi verdi, la carnagione bruna e uno sguardo di fuoco sublimato da un fare timido e gentile. Improvvisamente ricordò il suo sogno. Pensò alle mani insanguinate. Ritornò sulla terra e vide che lui le guardava la camicia da notte, ormai lacera e sporca, trasparente sulla pelle abbronzata. Vuoi salire su? Ti va di fare colazione con me? Il ragazzo accettò, portandosi dietro i pacchi di carne da consegnare. Si chiamava Rosario e Ada non era mai stata guardata così da nessuno che avesse quasi
vent’anni meno di lei. E così soffri il caldo, è solo per questo che ti è successa tutta auesta storia? Diciamo che è una specie di malattia per me, una fissazione, una forma di stress, ma quando avevo la tua età non ero così, amavo lo scirocco, lo respiravo a pieni polmoni e uscivo la notte in motocicletta per sentirlo ancora di più sulla pelle. Stettero a parlare ancora un po’. Ada, passata la canicola, era bravissima a prendersi in giro sulle sue reazioni personali a 40 gradi. Si conosceva e si accettava, e Rosario sorrideva e candidamente le spiegava di non capire, il caldo è caldo, oggi c’è e domani no, io continuo a fare le cose normalmente, diceva. Mentre parlava Rosario si guardava attorno e gli piaceva quella casa con terrazza, piena di stampe antiche e di piante. E soprattutto gli piaceva lei. Lo incantava, così diversa da tutte le ragazze della sua età. C’era qualcosa in lei di buffo e di bizzarro che lo attirava e contemporaneamente gli incuteva rispetto e ammirazione, forse per via dell’età, eppure sembrava piccolissima a tratti. E ripensò al suo sguardo impaurito e stranito quando le aveva proposto di scappare con lui in bici davanti il cimitero. Pensò che quella faccenda del caldo avesse a che fare con la solitudine, ma non riusciva a spiegarsene il collegamento, era una cosa che sentiva così, a pelle. E si sentiva anche lui grande, grandissimo, eppure era piccolo. Si salutarono dopo un po’. Rosario aveva i suoi pacchi da consegnare, e non si videro più. Quando, dopo circa due settimane, un pomeriggio di settembre, dopo un periodo di tregua fresca e ventilata che già faceva presagire l’inverno, improvvisamente scoppiò di nuovo lo scirocco e la temperatura sfiorò i 41 gradi. Ada era rientrata in casa giusto in tempo prima della catastrofe ed era particolarmente giù in quel momento. In più non aveva né valeriana, né sonniferi ed era agitata per problemi sul lavoro. Insomma, quel caldo non era certo quello che ci voleva. Era disperata, cominciò a respirare forte, andò in bagno per riempirsi la vasca, ma si accorse con angoscia che i rubinetti quel giorno erano a secco. Andò in cucina e cercò del ghiaccio. Non c’era neanche quello. Oddio, si disse, non ci posso credere, è un incubo. Allora aprì il frigorifero, si sedette lì davanti e respirò con il diaframma. Si calmò un po’. Fu allora che suonarono il citofono. Numero 74-giugno 2002
l
dai ettori
pagina 45
s
cuola
scuola in frantumi La Sicilia è la terza regione d’Italia con il maggior numero di strutture scolastiche a rischio. E’ quanto emerge da un Decreto ministeriale dopo il quale, secondo le associazioni dei consumatori, Stato e Regione non hanno fatto nulla
O
pagina 46
A cura della II B del Liceo Classico Umberto I di Ragusa
ltre mille edifici scolastici a rischio. Secondo dati Istat, la Sicilia è la terza regione d’Italia, dopo la Calabria e la Basilicata, con il maggior numero di strutture in condizioni fortemente critiche. Il quadro è allarmante. Basti pensare che il 40 per cento, circa, di questi edifici necessita di manutenzioni urgenti, mentre è stata fatta manutenzione straordinaria soltanto sul 25 per cento delle strutture complessive più a rischio. In Sicilia manca una efficace politica volta a migliorare le condizioni degli edifici scolastici. La maggior parte non possiede neppure i certificati di sicurezza più importanti. Solo il 35 per cento è fornito di certificato di agibilità statica e poco più del 25
per cento possiede quello di agibilità igienico-sanitaria. Più della metà non possiede il certificato di prevenzione incendi e non è dotata di scale di sicurezza. Il 12 per cento delle strutture è, addirittura, ancora composto da elementi in amianto. Il 60 per cento è privo di strutture sportive. Insomma, siamo distanti anni luce dagli standard nazionali ed europei. L’inadeguatezza è legata anche alla vetustà. La maggior parte è datata negli anni e non ha seguito un percorso di adeguamento strutturale. Soltanto il 12 per cento riporta date più recenti, risalendo all’ultimo ventennio. Tra l’altro, molti di questi edifici non sono stati costruiti per uso scolastico, ma come civile abitazione. Come reagiscono il Governo
nazionale e regionale di fronte a questa situazione? Partiamo dalla premessa che questi dati, in parte, sono emersi da un documento redatto dal ministero dell’Istruzione che, attraverso un monitoraggio disposto dall’Intesa Stato-Regioni, ha dato vita a un decreto interministeriale che ha individuato lo stato di ‘grave criticità’ in cui versano le scuole siciliane. Questo basta a far capire quanto Stato e Regione siano a conoscenza della situazione e quanto siano consapevoli del potenziale rischio per la salute e l’incolumità della popolazione scolastica. Secondo notizie fornite da varie associazioni dei consumatori, non risulta che, dopo l’emissione del decreto, le scuole siano state sottoposte a risanamento strutturale e organizzativo
pagina 47