KLIP_IL PROGETTO DELLA SEDIA PIEGHEVOLE IN LEGNO

Politecnico di Bari Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria e dell’architettura Corso di Laurea in Disegno industriale

KLIP IL PROGETTO DELLA SEDIA PIEGHEVOLE

Tesi di Laurea di Domenica Sassanelli Anno Accademico 2019/2020 Relatore: Rocco Mele Correlatore: Giuseppe Lovino

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La sedia è un oggetto molto difficile da progettare.

Chiunque abbia provato a disegnarne una lo sa.

Ci sono infinite possibilità e molti problemi. È quasi più facile costruire un grattacielo che una sedia.

Ludwig Mies van der Rohe

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Il laboratorio “Identità e territorio: l’arredo autoctono fra tradizione ed innovazione” si pone come obiettivo la ricerca di possibili matrici storiche direttamente o indirettamente riconducibili ad una produzione di arredi/complementi la cui origine identitaria sia evidentemente legata al territorio pugliese. È possibile individuare una tradizione autoctona di arredi legati nello specifico ad un artigianato del legno? Dall’arredo “despecializzato” della casa monocellulare contadina, al mobile tipologicamente definito della casa gentilizia, é uno dei possibili percorsi di ricerca del laboratorio. Lo screening sul “saper fare” artigianale pugliese sarà il punto di partenza per una indagine sullo stato dell’”innovazione” presente nelle aziende e sulla loro attitudine a riformare o potenziare i propri processi produttivi.

Il tema di progetto si svilupperà sulla base di tale ricerca attraverso la rilettura di quella dimensione identitaria ed espressiva che eredita da quei saperi tradizionali, tutti i codici per definire, in un linguaggio contemporaneo, nuovi repertori formali.

il laboratorio

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0 IL MOBILE ITALIANO DEI PRIMI ANNI DEL NOVECENTO

Alphonse Mucha, Fruit, 1897, 66.2 x 44.4 cm, litografia a colori

L’arredo autoctono pugliese: matrici, riferimenti ed esemplari

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ari, capoluogo della Puglia, è circondata da monumenti, chiese, teatri e palazzi che raccontano ed esprimono l’autenticità del territorio con i suoi colori e le sue forme. Nel 2019 le è stato attribuito il premio come “Miglior città liberty” ed è tra le città dell’Art Nouveau Week, la manifestazione organizzata in tutta Italia dall’associazione Italia Liberty, tenutasi dall’8 al 14 luglio 2019, periodo in cui si celebrano l’anniversario della nascita dell’architetto Giuseppe Sommaruga, personalità di spicco nell’ambito del Liberty italiano, e del pittore Gustav Klimt, tra i padri della Secessione Viennese.

Andrea Speziali, direttore dell’associazione Italia Liberty esperto d’arte Liberty e curatore dell’evento Novecento Rendez - Vous, ha affermato che la scelta di Bari è stata complessa in quanto era in finale con le città di Verona, Lucca, Busto Arsizio e Roma. Da parte della commissione c’è stato un grande lavoro di elaborazione dati, ricerca informazioni e tanto altro prima di nominare Bari come miglior città Liberty per l’anno 2019. Considerato i lavori di restauro di alcune palazzine Liberty, dove in una sono emersi affreschi di Cambellotti, e tutte le attività culturali in concomitanza ai lavori pubblici e privati volti al progresso della città, la scelta poteva cadere solo su Bari. Sono tanti i punti che si valutano prima di rilasciare una così alta onorificenza; Sarnico, ad esempio, ha esposto per la città anche i pannelli segnaletici in alluminio per indicare le diverse mete sul Liberty, da fruire nel piccolo borgo in provincia di Bergamo. Si spera che questo premio sia una vitamina che porti positività su tutto il territorio e incentivo nel produrre molto altro ancora.

Palazzo Mincuzzi, Bari Datazione: 1928 Architetto: Aldo Forcignanò

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la storia

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cavallo tra il 1890 e il primo decennio del 1900 si diffuse un fenomeno artistico che coinvolse le arti figurative, le arti decorative e l’architettura. Nato inizialmente in Belgio, grazie all’architetto Victor Horta, prese il nome di Art Nouveau (arte nuova).

Il nome deriva dall’insegna di un negozio parigino, «l’Art Nouveau Bing», aperto nel 1895 da Siegfrid Samuel Bing, che sfoggiava alcuni oggetti dal design innovativo, tra cui mobili, tinture, tappeti e vari oggetti d’arte. Intorno a questa curiosa figura di imprenditore, si radunarono artisti del calibro di Bonnard, Pissarro, Seurat, Toulouse-Lautrec.

Il movimento si diffuse presto in tutta Europa assumendo nomi differenti ma dal significato affine:

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• in Francia era noto come Style Guimard, Style 1900 o École de Nancy (per gli oggetti d’arte); • in Gran Bretagna era noto come Modern Style o Studio Style; • in Germania prese il nome di Jugendstil (Stile giovane); • in Austria Sezessionstil; • in Spagna Modernismo.

Questa corrente trae le sue origini dal socialismo utopistico di John Ruskin e si ispira all’ideologia propugnata dall’Arts and Crafts di William Morris, il quale aveva posto l’accento sulla libera creazione dell’artigiano, come unica alternativa alla meccanizzazione e alla produzione in serie di oggetti di dubbio valore estetico.

L’obiettivo del Liberty era infatti quello di provare ad abbellire e migliorare, attraverso la decorazione, gli oggetti che venivano prodotti in serie dalle industrie.

Considerato lo stile della “borghesia”, per la prima volta la borghesia nella storia ebbe un suo stile identitario, in Italia questa corrente coincise con quella fase storica che fu chiamata “età giolittiana”. In quegli anni Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio dal 1903 al 194, attuò una politica di riformismo democratico pronta a dare concretezza al decollo industriale per fare in modo che l’Italia pareggiasse con il resto d’Europa.

In questa nazione da poco unificata, questo movimento, volto a superare le ancora troppo presenti identità regionali, si fece interprete dell’aspirazione al raggiungimento di un linguaggio artistico nazionale comune e adeguato a rappresentare il progresso e la modernità.

Anche se giunto in ritardo rispetto agli altri paesi europei, venne denominato in diversi modi: Arte Nova, Stile Nuovo, Stile Moderno, Stile Floreale e in ultimo, più noto, Stile Liberty.

Questa denominazione deriva da un magazzino londinese fondato da Arthur Lasenby Li-

Negozio Liberty & Co. di Arthur Lasenby Liberty Londra, 1875

berty, figlio di un mercante di stoffe di Chesham, che lavorava per un importatore di scialli dall’India. Nel 1875 aprì un suo negozio, il Liberty & Co., specializzato nella compravendita di tessuti, ornamenti e oggetti d’arte importati dall’Estremo Oriente. Molti artisti e teorici si discostarono da questo termine, in quanto molti degli oggetti del magazzino londinese non rendevano giustizia ai principi dell’arte nuova, anzi andavano a volgarizzarla, ma, nonostante questo, il termine Liberty si diffuse rapidamente principalmente per la sua essenza. Liberty significa libertà, e l’artista moderno doveva essere un artista libero, creativo, doveva creare un’arte nuova, giovane, che credeva nel progresso e opporsi a quell’accademismo e quell’eclettismo degli stili che lo avevano preceduto. I principali centri del nuovo stile furono Torino, in cui forti sono state le influenze della Secessione viennese, Milano, Firenze, Bologna e Palermo. Il ritardo fu meno sensibile per quegli aspetti che offrivano maggiore libertà e possibilità di innovazione: l’illustrazione del libro e dei periodici, le arti applicate e la grafica pubblicitaria, in cui si espresse più liberamente e che diventò un potente mezzo di persuasione commerciale e potente mezzo di comunicazione. In questi campi già a partire dal 1895 l’attività degli italiani, disegnatori, grafici, mobilieri, ceramisti, si affiancò con dignità e spesso con originalità alla produzione straniera.

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La linea è una forza che agisce in modo simile alle forze naturali elementari. Essa trae forza dall’energia di chi l’ha tracciata.

Copertina primo periodico italiano “Emporium”, 1899 Disegno: Umberto Bottazzi

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Henri van de Velde

Il “nuovo stile” cercò le sue fonti di ispirazione direttamente dalla natura; ciò si espresse anche nella creazione di un affascinante e ricchissimo repertorio di immagini e motivi decorativi tratti dal mondo vegetale e animale. Come disse il grande architetto belga Henri van de Velde, la linea scattante e dinamica degli steli dei rampicanti, la linea avvolgente e sinuosa del guscio delle conchiglie diventava l’elemento generatore, la matrice strutturale, della progettazione.

Germinarono nella pittura, nella scultura, nelle arti applicate e in ogni oggetto della vita quotidiana, attraverso una stilizzazione degli stessi: motivi floreali, delicate nervature boschive, ambienti vegetali, viticci, linee curve e morbide, modanature e figure femminili protagoniste assolute dell’immagine Liberty. Gli artisti cercavano nella nudità femminile un perduto rapporto con la natura dove la sensualità si identificava con l’origine e con l’istinto primordiale.

Con la guerra il nudo femminile scomparirà quasi completamente.

Sono celebri i vasi di vetro ispirati al mondo floreale di Émile Gallé, le lampade dell’americano Louis C. Tiffany, i gioielli di René Lalique e le creazioni in ceramica della manifattura fiorentina di Galileo Chini.

Altro punto di forza della teoria del Liberty fu il concetto dell’unità progettuale: gli architetti modernisti affermarono nell’architettura la continuità tra interno ed esterno e nell’arredo la coerenza di ogni elemento

con il disegno dell’edificio. Questa corrente, come accennato in precedenza, credeva nell’ideale di portare la “bellezza” in ogni aspetto della vita quotidiana a livello di tutti gli strati sociali, servendosi dei nuovi materiali (in particolare vetro e ferro battuto) e delle nuove tecniche costruttive in architettura, e della produzione in serie per gli oggetti d’arredo.

L’alleanza arte-industria divenne una parola d’ordine e infatti si sviluppò rigoglioso in aree di industrializzazione avanzata. L’estetica della funzionalità consentì di creare prodotti di qualità che univano la praticità ad una rinnovata estetica, dando vita a figure professionali che è possibile considerare gli antesignani dei moderni designers.

Molto importante per la diffusione di quest’arte fu l’Esposizione universale del 1900, svoltasi a Parigi, nella quale il nuovo stile trionfò in ogni campo.

Ma il movimento si diffuse anche attraverso altri canali: la pubblicazione di nuove riviste, come «L’arts pour tous», e l’istituzione di scuole e laboratori artigianali. Lo stile raggiunse il suo apogeo con l‘Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902.

L’avvenimento presentò al pubblico italiano il meglio della produzione internazionale nel campo dell’architettura, dell’arredamento e delle arti applicate. L’esposizione del 1902 appare, tuttavia, il punto di arrivo di un processo scandito da alcuni episodi significativi: l’uscita di «Emporium» (1895), prima rivista italiana modellata sugli esempi inglesi e americani e la fondazione a Bologna della società di arti e mestieri «Aemilia Ars» (1898). A partire dall’Esposizione Internazionale delle arti decorative di Torino nel 1902, lo stile Liberty acquisì via via una particolare originalità nelle opere di artisti come Carlo Bugatti, Eugenio Quarti, Ernesto Basile, assieme anche alla ditta Ducrot, e Carlo Zen. I progetti esposti da artisti provenienti dai maggiori paesi europei, erano di vario genere: prodotti in serie, di altissimo artigianato, legati all’eclettismo degli stili del passato, e oggetti puristi, realizzati proprio in stile nuovo.

In alto: vaso di Galileo Chini In basso: vaso in vetro, motivo a rilievo policromo con contorni dorati, Emile Gallé, 1890

carlo bugatti

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Nato a Milano, nel 1855, da una famiglia con una ricca tradizione in ambito artistico, ereditò l’interesse per l’architettura dal padre, architetto e scultore. Tuttavia dopo l’iscrizione all’Accademia di Brera si orientò esclusivamente verso le arti applictate, soprattutto verso la produzione di mobili. Quest’ultimi, estrosi e fantasiosi, venivano realizzati spesso su richiesta di una committenza esigente e amante del nuovo gusto di fine secolo, dall’aspetto curiosamente esotico e vistoso. La sua produzione era infatti interamente artigianale, e quindi estremamente costosa destinata, pertanto, ad una ristretta elitè.

I suoi pezzi si distinsero proprio per la loro incredibile originalità, Bugatti utilizzava una grande varietà di materiali come metalli, sete, velluti, madreperla, avorio, rame, bronzi, corde, nappe, pelli e legni esotici ed alcuni anche molto particolari come la pergamena. I riferimenti stilistici (con una particolare predilezione per il gusto moresco e giapponese) risultavano completamente trasformati in una sintesi del tutto personale. Nel 1902 Bugatti arrivò anche a rifiutare i complimenti della regina d’Italia Elena di Savoia per il suo stile “moresco” rispondendo che si trattava in realtà del suo stile personale.

Pur rifiutando di allinearsi ai principi di una produzione industriale, seppe costruire attorno ai suoi mobili un tipo di mercato e di progettazione che per molti aspetti anticipava il moderno concetto di design. Il vero e proprio riconoscimento arrivò con la partecipazione alle grandi esposizioni internazionali d’inizio Novecento, come quella di Torino per l’appunto, dove vinse il diploma d’onore e dove propose delle sale dal carattere visionario, come la “sala a chiocciola”, un intero ambiente costruito come un guscio di lumaca in cui le quattro sedie e il tavolo, pensati per essere posti al centro della stanza, sono dei veri e propri modelli di scultura nei quali la forza del disegno si coniuga alla raffinatezza della decorazione. Le giuria internazionale conferì il massimo riconoscimento a Bugatti che fu altresì riconosciuto come “il primo artista, in Italia, a progettare e non soltanto a sognare, un mobile moderno”.

Nonostante la grande fama, nel 1904, decise di cedere il suo laboratorio di Milano e si trasferì a Parigi, dove già dal 1890 aveva aperto un laboratorio. Nella capitale francese iniziò a dedicarsi alla pittura e si occupò di mobili ma anche di oreficeria e altri oggetti, anche se in seguito abbandonò le arti applicate e iniziò a compiere diverse ricerche sulla forma ideale, da lui individuata nella forma ovoidale. Sarà questa la forma di molte automobili della famosa casa automobilistica Bugatti, fondata dal figlio Ettore. L’affermazione professionale avvenne soprattutto negli anni Novanta dell’Ottocento durante i quali vantò tra i propri collaboratori anche l’ebanista Eugenio Quarti.

In alto a sinistra: camera a chiocciola presentata alla prima Esposizione internazionale di Torino, nel 1902.

In alto: Trono, legno ebanizzato, rame, pergamena verniciata, osso, peltro, corda, nappine di seta.

In basso: Tavolo appartenente ad una serie di mobili realizzati da Carlo Bugatti per Luisa Casati, l’erede più ricca d’Italia. Noce, palissandro, legno ebanizzato, lamiera di rame, intarsi in madreperla, gamba, stagno e ottone, pelle di capra, pergamena, pittura ad olio, 1900.

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eugenio quarti

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Eugenio Quarti, in seguito ad un apprendistato a Parigi in una bottega di ebanisteria, si trasferì a Milano dove lavorò per il maestro Bugatti. Nacque a Villa d’Almè, in provincia di Bergamo e proveniva da una famiglia di mobilieri, infatti fin da ragazzo ebbe occasione di praticare nella bottega del padre. All’Esposizione internazionale di Anversa (1894) e all’Esposizione operaia di Milano, i suoi mobili sfoggiarono decorazioni arabeggianti in linea con quelle di Bugatti. Realizzò anche una serie di arredi con quest’ultimo, tra cui i tavolini mostrati nella pagina seguente, in legno di noce ebanizzato.

Nonstante le “influenze” del maestro, già dal 1898 inziò ad approdare ad uno stile personale, un Liberty italiano prezioso e inconfondibile, tanto che Vittorio Pica gli dedicherà un articolo illustrato sulla rivista «Emporium» dell’ottobre 1899.

Quarti era un esperto ebanista che usava legni pregiati, curava i particolari bronzei e gli intarsi in madreperla: una peculiarità che gli valse il soprannome di “orafo dei mobilieri”.

Semplificò progressivamente forme e ornamentazione con suggestioni che già guardavano al Liberty ancor prima che divenisse popolare in italia. Nel giro di pochi anni Quarti definì in maniera precisa la propria identità artistica ricevendo numerosi apprezzamenti sia da parte della critica sia del pubblico. L’incredibile raffinatezza e qualità costruttiva dei mobili ne faceva prodotti di lusso destinati a una facoltosa committenza alto borghese, fino a quando nel 1904 affiancò alla sua produzione classica anche varianti più economiche. Con il passare del tempo le commissioni si allargarono sempre di più tanto che dovette spostare l’officina in uno spazio più ampio (nel periodo di maggior successo arrivò ad avere alle sue dipendenze cinquanta operai). La sua fama fu sicuramente accresciuta dai numerosi riconoscimenti in esposizioni nazionali ed internazionali, in particolar modo la medaglia d’oro all’Esposizione di Torino del 1898. Partecipò anche a quella del 1902; l’evento lo ispirò ad indirizzare la sua produzione a soluzioni di arredo completo in linea con le tendenze internazionali.

Lo stesso anno si imbarcò per un viaggio in Europa con l’intento di aggiornarsi sui metodi didattici in vigore nelle scuole d’arte straniere. Si impegnò anche con Giuseppe Sommaruga agli interni di palazzo Castiglioni. Una delle sue opere più significative furono gli arredi del “Caffè Camparino”, oggi conosciuto come “Bar Zucca” sito all’entrata della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano. Nel 1906 ebbe un ruolo di primo piano nell’allestimento dell’Esposizione del Sempione di Milano, per il quale ottenne il Gran Premio Reale. In questa fase la linearità delle creazioni venne accentuata dall’introduzione di decorazioni fortemente geometriche di ispirazione viennese.

Scrittoio e seduta con struttura in legno di noce. Intarsi in madreperla, ottone e argento. Piani in vetro. Eseguito per l’Esposizione universale di Parigi del 1900.

In alto: tavolini realizzati con Carlo Bugatti, 1890 A destra: mobile toilette con sgabello. Struttura in legno intagliato e passamaneria. Piano e specchio in vetro 1900

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carlo zen

Per quanto riguarda Carlo Zen, invece, la sua fama è legata anche per lui a Milano dove diresse una fabbrica di mobili a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento. Dopo inizi eclettici, con l’integrazione di elementi moreschi e orientaleggianti, si distinse all’Esposizione di Torino del 1898, dove presentò una stanza in stile floreale che anticipava i motivi tipici del Liberty.

La ditta conobbe una notevole fortuna presso pubblico e critica grazie alla buona qualità costruttiva dei mobili e a prezzi competitivi. I profili snelli e filiformi arricchiti da decorazioni floreali si ispiravano chiaramente alle contemporanee esperienze europee, riprendendone i dettagli estetici più appariscenti; l’innovativa ricerca stilistica non fu però accompagnata da significativi cambiamenti nella struttura e nella composizione tradizionali, limitandosi quindi ad assecondare la moda del Liberty solo nei suoi aspetti estetici. Nel 1905 trasferì la sua fabbrica in una nuova sede cambiando il nome in Fabbrica Italiana di Mobili. Con questo nuovo appellativo partecipò alla mostra del Sempione di Milano (1906) dove, sulla scia della secessione, si presentò con mobili dai caratteri più geometrici e dalla decorazione più sobria e contenuta.

Il primo edificio propriamente Liberty, e sicuramente uno dei maggiori esempi di Liberty italiano, è Palazzo Castiglioni, progettato da Giuseppe Sommaruga, a Milano, nel 1901. È Torino, però, la città dove maggiormente trovò espressione questo stile, tanto da farle prendere il nome di “capitale italiana del Liberty” e dove Pietro Fenoglio fu architetto attivissimo: sua la progettazione di un centinaio di edifici fra cui Casa Fenoglio-Lafleur, casa Macciotta, villa Scott e molte altre. Casa Fenoglio è un caso raro in Italia di intelligente adesione ai modelli dell’Art Nouveau franco-belga: posta all’angolo di due vie, la costruzione enfatizza l’elemento di raccordo angolare, una sorta di torre percorsa da uno scattante bow-window (corpo sporgente chiuso da finestre), che serve a imprimere dinamismo allo sviluppo dei due prospetti. Una linea sinuosa e scattante disegna le aperture dei finestroni, modella i profili dei balconi, anima i curiosi coronamenti plastici del tetto.

Fedele al principio della progettazione globale, Fenoglio disegnò ogni particolare, dalle inferriate dei balconi e delle scale alle vetrate, dalle splendide porte a vetri agli infissi in noce intagliato, fino alle maniglie in ottone delle porte. A Napoli, lo stile Liberty interessò soprattutto quei nuovi quartieri che si svilupparono verso le colline del Vomero e di Posillipo, dove sorsero un gran numero di ville e palazzetti che rappresentano oggi un importante patrimonio architettonico. Le caratteristiche del Liberty napoletano sono: un largo impiego di ferro battuto e vetro, l’inserimento di torri e pilastri, l’utilizzo diffuso di stucchi e motivi floreali a carattere decorativo e le forme curve del cemento.

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Scrittoio, 1902 A destra e in alto: divano e sedia appartenenti ad un salotto Liberty.

Struttura in legno ebanizzato intagliato a motivi curviformi a sfondo vegetale. Sedute e schienali imbottiti e ricoperti con tessuto floreale, 1900

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ernesto basile

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A Palermo invece, il massimo esponente del Liberty fu l’architetto Ernesto Basile le cui opere decorano ancora oggi la città. L’Art Nouveau giunse a Palermo in un momento di massimo splendore anche in campo economico: le migliori famiglie palermitane volevano dimostrare la propria prosperità anche attraverso la costruzione di ville e villini.

L’industrializzazione della Sicilia nella seconda metà dell’Ottocento e i primi Novecento era legata alla famiglia Florio. In particolare Ignazio Florio jr. e sua moglie Franca Jacona Notarbartolo di San Giuliano, furano una delle coppie più famose della società mondana della stagione Liberty. Il sogno di Ignazio Florio era quello di modernizzare la Sicilia. Fu lui a volere l’Esposizione nazionale di Palermo del 1891 per dimostrare a tutti un’immagine della Sicilia moderna e laboriosa. In quegli anni Palermo fu veramente una capitale europea: nel giro di pochissimi anni si arricchì di un grandissimo numero di ville e palazzi Liberty, fiorirono le arti e anche la musica trovò il suo tempio nel monumentale Teatro Massimo, opera di Ernesto Basile che subentrò nel 1891 alla morte del padre Giovan Battista, il quale aveva dato avvio alla stagione Liberty nel 1889 con il progetto di Villa Favaloro in piazza Virgilio. Giovan Battista fu in precedenza impegnato in studi di botanica che posero alla base il gusto detto Floreale, una variante appunto italiana dell’Art Nouveau internazionale.

Proprio nel Villino Florio sono presenti le caratteristiche essenziali dell’architettura di Ernesto Basile. In questo edificio Basile mostra il suo amore per la cultura gotica e rinascimentale ma anche un sincero adeguamento alla corrente internazionale modernista.

Gli interni, purtroppo distrutti durante un incendio nel 1962, avevano parati, mobili, lampade e scaloni disegnati da Basile e realizzati dalla ditta Golia-Ducrot, uno dei connubi più proficui delle arti applicate tanto da rappresentare quanto di meglio potesse esprimere l’Italia all’Esposizione di Torino del 1902. Negli ultimi anni dell’Ottocento, la ditt Ducrot era sinonimo di raffinatezza, buon gusto e novità nell’arredamento e nelle arti applicate.

La ditta derivava da una precedente fabbrica di mobili, la Golia. La Ducrot, piccolo laboratorio di tappezzeria e di specchi artistici inziò secondo una linea eclettica evocante il passato, fatta d’intagli e dorature; spesso non tralasciava di sottoporre i suoi mobili alla contaminazione del folklore siciliano come carrelli da tè, tavolini, chaiselongue. Solo sul finire degli anni Venti la linea della ditta prese un carattere moderno, vicino al Déco francese. Era dotata delle più moderne macchine meccaniche per una produzione di qualità ed aveva reparti di disegnatori altamente specializzati. Nacque a questo punto il vero e proprio design in Sicilia.

La specializzazione della Ducrot fu l’arredamento per i grandi committenti: mobili di sfarzo e grandiosi arredi di case private destinati ad alberghi di lusso, ambasciate, teatri e, soprattutto, navi; ma dopo l’Esposizione di Milano nel 1906 la ditta aprì laboratori per tutte le lavorazioni

ed estese il suo campo produttivo anche all’arredamento economico.

All’Esposizione di Torino i mobili sicilinai ottennero il gran diploma d’onore e ben presto i prodotti della ditta cominciarono a essere conosciuti non solo in Italia ma anche in Francia e in Inghilterra. Ernesto Basile, divenutone nel 1902 Direttore Artistico, ne curò il marchio, le carte intestate, la pubblicità, creò gli arredi più rappresentativi, e soprattutto mise a punto dei modelli definiti tipi (per es. intaglio papaveri, carretto siciliano, Faraglia) finalizzati alla produzione in serie di mobili di grande qualità. Le più importanti riviste di arredamento dell’epoca recensirono la produzione Basile-Ducrot come esempio di grande design, dove estetica e funzionalità si integravano armoniosamente. Basile lavorò tutta la vita nella sua città ma realizzò diverse commissioni in altre località. Mantenne rapporti anche con Roma dove costruì l’ala nuova di Montecitorio con l’aula della Camera dei deputati (1902-1918) e il Transatlantico, un‘importante aula ad emiciclo in cui si riunisce ancora oggi il Parlamento.

Dalle committenze palermitane dei Florio agli arredi per la Biennale del 1903, al caffè Faraglia di Roma, ai disegni per tappeti, lampade e stoffe, ceramiche, ferri battuti, vetrate e paramenti, Basile conserva uno stile autonomo e inconfondibile, continuamente aggiornato pur nella consapevole aderenza alla cultura siciliana.

Nel 1914, purtroppo, l’Impero industriale della ditta Ducrot iniziò a decadere. Infine negli anni Trenta, Vittorio Ducrot, fu costretto a chiedere finanziamenti per far fronte a una diminuzione della domanda e per reggere le dimensioni di una struttura con migliaia di operai.

Nel 1939 Ducrot fu costretto a cedere il mobilificio all’amministrazione di un gruppo finanziario di Genova. Oggi gli stabilimenti ospitano all’interno degli antichi capannoni restaurati, mostre di arte contemporanea, spettacoli di danza e teatro, convegni e manifestazioni culturali. La fine della Ducrot segnò la crisi dell’industrial design in Sicilia.

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Non di solo barocco è fatta Palermo. C’è anche una citta modernista che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento scelse l’Art Nouveau per realizzare i teatri, le ville e i palazzi di una borghesia che voleva sentirsi all’altezza della vecchia aristocrazia cittadina. Per sensazioni ed immagini lontane, di quando ci sono venuto per la prima volta verso il 1930, spesso riesco ad estrarre dal bellissimo caos che è Palermo una città essenzialmente Liberty, quasi una piccola capitale dell’Art Nouveau.

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Leonardo Sciascia

Interni Villino Florio Datazione: 1899-1902 Architetto: Ernesto Basile

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duilio cambellotti

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A Bari il Liberty arrivò tra il 1910 e il 1911 in un momento di crescita della città che assorbiva un numero notevole di immigrati dall’entroterra e che si rinnovava innestandosi sulla fisionomia urbana del murattiano. Questa nuova architettura decorata in superficie con motivi desunti dalla contemporanea architettura europea, si avvalse della collaborazione di botteghe artigiane che realizzavano gli inserti decorativi.

Uno dei luoghi scelti dell’itinerario Liberty del 2019 è la sala consiliare di Palazzo di Città.

Il 2 dicembre 1943 un grave bombardamento da parte dei tedeschi, colpì il porto di Bari: quel giorno persero la vita un migliaio di civili e altrettanti militari, e da una delle navi ancorate si sprigionarono tonnellate di iprite, una sostanza tossica che contaminò le acque fino alla costa del nord barese. Quel giorno, le violente esplosioni danneggiarono molti edifici della città, tra i quali proprio Palazzo di Città e la sua sala consiliare: questa sala è stata decorata da Mario Prayer negli anni ‘30, e si presenta suddivisa in tre grandi scomparti con rosoni centrali di stucco, un grande fregio lunettato con figurazioni simboliche delle Arti e delle Scienze, alternate a pannelli in chiaroscuro.

I fratelli Guido e Mario Prayer, che realizzarono affreschi, tele e decorazioni per chiese, edifici pubblici e abitazioni private, si occuparono anche delle decorazioni e gli arredi del salone degli affreschi dell’Università Aldo Moro ma anche quelli nel teatro Kursaal Santalucia, nella sala Giuseppina, in quello che era il vecchio cinema Oriente.

Ma sono molti i palazzi, gli edifici storici privati e pubblici in cui trionfa il Liberty, con le loro austere facciate intrise di elementi decorativi, e gli interni eleganti, come: la Camera di Commercio, la Biblioteca Nazionale Sagarriga Visconti Volpi, Palazzo Dioguardi, la Banca d’Italia, la Chiesa di San Ferdinando, il Teatro Margherita di Savoia, Palazzo Atti, Palazzo Mincuzzi ed anche l’Acquedotto Pugliese che assieme ad un palazzo privato in Via Dalmazia, nel quartier Madonnella, sono stati decorati da Duilio Cambellotti, un artista capace di spaziare dalla pittura, alla ceramica, all’illustrazione e al design di mobili.

Fu anche scenografo e costumista per il teatro e lavorò per quarant’anni tra il Teatro Stabile e l’Opera di Roma, il teatro all’aperto di Ostia antica e il Teatro Greco di Siracusa. Inizialmente collaborò come illustratore per giornali e riviste. Nella sua produzione di mobili, ceramiche, vetrate, medaglie o gioielli, l’ornamento è ridotto al minimo e si coniuga con la funzionalità dell’oggetto. Era il 1930 quando gli venne commissionata la decorazione del Palazzo dell’Acquedotto Pugliese di Bari, un lavoro che lo occuperà per cinque anni. Cambellotti curò il disegno architettonico di alcune sale, i pavimenti, gli arredi, completati dagli apparecchi di iluminazione, i tappeti e le maniglie per gli ambienti più rappresentativi del primo piano e dell’appartamento del Presidente dell’ente al secondo. Allo stesso Cambellotti fu affidata

la supervisione di tutte le altre stanze dell’edificio, affinché non contrastassero con quelle da lui direttamente decorate. Il riferimento stilistico al romanico pugliese adottato dall’ingegner Brunetti per il palazzo, anziché vincolare l’artista lo spinse a guardarsi intorno. Le architetture della Puglia, i dettagli, i paesaggi, i colori divennero fonte di ispirazione.

L’attenzione ai dettagli è estrema, piccole maniglie a forma di rondine stilizzata oppure intarsi in madreperla. Il tema che percorre tutta la decorazione è infatti l’acqua, non solo come elemento naturale, ma anche come celebrazione della costruzione dell’acquedotto in Puglia.

Cambellotti utilizza alcuni temi a lui cari come i cavalli, le fontane, il lavoro femminile e li adatta perfettamente al luogo. Per i due studi e i due salottini del primo piano, Cambellotti inventò originali decorazioni per pavimenti, realizzati con tarsie di marmi sapientemente scelti per le loro particolari tonalità di colore e per il disegno delle venature combinati talvolta con inserti di figure in bronzo. Per i numerosi mobili Cambellotti produsse una mole notevole di disegni progettuali e decorativi. Anche ai mobili l’artista affida il compito di trasmettere l’idea portante intorno alla quale si muove tutto l’apparato decorativo del palazzo, l’acqua. Le arcate presenti sul corpo di scrivanie, armadi, poltrone, dagli schemi semplicissimi o dal disegno più complesso, si fondono e si alternano alle anfore e alle portatrici d’acqua, rappresentate nei minuti intarsi, secondo uno schema che utilizza più punti di vista. Le raffigurazioni delle città, descritte nei preziosi intarsi, così come le schematiche immagini di ponti e canali nei quali scorre l’acqua, animate nei riflessi della madreperla, che sgorgando dalle fontane, riempiendo anfore e vasi, arriva nel cuore dei borghi e delle città, sembrano provenire dalle pagine miniate di antichi codici bizantini e medievali. Il legno usato è il rovere oppure l’acero, il noce, la radica. Come per gli ornamenti degli ambienti architettonici, anche nelle innumerevoli invenzioni strutturali e decorative che connotano i mobili, è possibile trovare puntali corrispondenze nella pietra viva dei monumenti romanici pugliesi. Le evoluzioni della linea a zig zag o a onda si leggono sulle facciate delle chiese e in particolare su quella di Santa Maria del Casale, un vero e proprio catalogo di segni utilizzati da Cambellotti, che guardò anche ai mosaici bizantini e alle miniature islamiche, referenti a lui certamente noti e dei quali si servì anche per l’ideazione dei tappeti disegnati per l’Acquedotto. Negli arredi progettati per l’appartamento privato del presidente, Cambellotti assume un tono più intimo, familiare. La struttura semplice e massiccia dei mobili per la camera nuziale, realizzati dalla ditta Liporesi di Bologna, è ingentilita dalla presenza delle maniglie di bronzo a forma di rondini che, inclinate sul corpo del cassettone, sembrano disporsi in un movimentato volo. Anche la nitida superficie dell’armadio a cuspide, priva di qualsiasi decorazione, trova nelle due rondini il suo punto di riferimento visivo che ne rompe l’uniformità. Le rondini, così come le chiocciole, appartengono al

27

linguaggio di Cambellotti fin dalle prime esperienze legate all’oreficeria, alla ceramica, alle vetrate e alla decorazione degli edifici. I mobili per gli uffici tecnici, affidati alla ditta Bega di Bologna completano gli arredi progettati da Cambellotti. Le poltrone girevoli, le scrivanie con sportelli e i piani sagomati o allungabili per consultare agevolmente i lunghi rotoli delle carte dell’Acquedotto, i mobili archivio e i piccoli sgabelli porta telefono, mantengono una ricercata eleganza nella funzionalità delle forme. Cambellotti attinge liberamente alla storia e all’arte antica e moderna; i testi sulle antiche civiltà artistiche della sua biblioteca e la conoscenza dell’opera Pietro Toesca, grande rivelatore del mondo artistico medievale, insieme alla diretta osservazione delle sculture popolari e della natura, gli consentono di giungere ad un’autonoma forma espressiva, sintetica ma comprensibile, che, sfuggendo al pericolo di banali citazioni, si concretizza in un linguaggio dal respiro universale.

Assieme a quest’ultimo un altro nome da ricordare è anche quello di Raffaele Armenise, autore dell’affresco sulla volta del Petruzzelli.

Il nome Liberty venne utilizzato anche per uno dei quartieri più popolosi: il quartier Libertà, costruito agli inizi del Novecento per far fronte alla crescita demografica. Il nome fu scelto proprio in quanto i primi palazzi costruiti presentavano caratteristiche in stile Liberty. Oggi è il più popoloso quartiere comunale, si estende attualmente fra via Brigata Regina (ovest), via Quintino Sella (est), corso Italia (sud) e il Lungomare Vittorio Veneto (nord). I nuovi borghesi iniziarono ad erigere palazzi ricchi di cornucopie, foglie di acanto, conchiglie, simbolo di prosperità e di buon auspicio (oltre ad ostentare un certo status sociale) ma anche mascheroni apotropaici non più orripilanti ma che richiamavano la natura e il mito, con funzione decorativa e scaramantica. Quest’ultimi lasceranno il posto a teste femminili dalle chiome fluenti come onde del mare, adorne di gioielli, collane ed orecchini. Tutto il quartiere è caratterizzato da palazzine multicolore dove, tra l’apparente degrado, appaiono decorazioni impresse sul litocemento, rose e fiori sugli architravi, colonne , grappoli d’uva tra austeri zoccoli a bugnato alternati a fasce alterne lisce e ruvide in finta pietra . Non manca il richiamo all’architettura greco-romana.

28

Arredi e decorazioni situati all’interno dell’Acquedotto

1.2

il rilievo a carbonara

Partendo dal centro di Bari lungo una strada che, casa dopo casa, lega ed unisce il centro alla periferia, si giunge a Carbonara di Bari, un comune che fino a pochi anni fa era un centro agricolo, con 6000 abitanti in gran parte braccianti e coltivatori diretti.

Ed è proprio qui che ha inizio la ricerca dell’arredo autoctono in Puglia, il punto di partenza per la realizzazione del presente lavoro.

Il termine autoctono deriva dal greco autòs stesso, e chthòn suolo/terra ed indica l’appartenenza di qualcosa o qualcuno ad un luogo.

La Puglia, un concentrato di storia, culture e bellezze paesaggistiche, custodisce nel territorio tante materie prime che nelle mani dell’uomo si trasformano in oggetti di uso domestico e in vere e proprie opere d’arte. L’artigianato è un’importante risorsa economica che nel tempo si è rafforzato coniugando la tutela degli antichi mestieri con l’innovazione e l’internazionalizzazione. Quella del mobile è un’arte antichissima. Fin dai primordi della civilizzazione umana, l’uomo ha sentito il bisogno di soddisfare alcune esigenze più immediate della vita quotidiana con qualcosa che fosse utile e, allo stesso tempo, comodo, solido ed esteticamente invitante.

Con queste premesse era nato, in quel lento progredire della società umana, l’uso incondizionato del mobile. Un oggetto ligneo, da subito non banale nelle proprie linee e nella propria forma tanto da rendere difficile fin dall’inizio quell’arte “tormentata ed insieme appassionante” dedicata al suo disegno e alla sua progettazione.

Che il mobile sia stato una parte importante nell’ambito della casa, lo confermano documenti che risalgono ai secoli più remoti della storia dell’umanità. Spesso ci appaiono in parte bronzei ed in parte lignei realizzati da falegnami ed ebanisti abilissimi, spesso in legno di cedro, arricchiti con fregi ed intarsi. Sono diverse le testimonianze che sono state affidate di padre in figlio, grazie alle quali è possibile osservare e studiare come nel tempo sia cambiato lo stile “dell’arredo”. Gli ebanisti del tempo spesso si rifacevano allo stile dell’epoca che si stava diffondendo oppure le loro opere erano frutto dell’ingegno e dell’esperienza.

La ricerca condotta ha portato alla luce tre tipologie di arredo, alcuni dei quali riprendono motivi e caratteristiche dello stile Liberty, ritrovati in abitazioni private: l’armadio, la sedia e il tavolo.

31

armadio

32

L’armadio subì una tra le più interessanti evoluzioni formali; la parola armadio deriva dal latino armarium. Inizialmente aveva portato a credere, a torto, che si trattasse di un mobile esclusivamente usato come contenitore di armi. Ma analizzando la parola latina arma, che indicava non solo un arnese da guerra ma anche un utensile o uno strumento di qualsiasi arte o professione, si capì come in realtà questo mobile fosse destinato a custodire i più disparati oggetti d’uso, dai libri agli utensili ma anche gli indumenti.

In dialetto carbonarese veniva chiamato “Stepòne”, ed era il grosso armadio posto nella camera da letto. Un armadio a muro, più piccolo veniva chiamato “stìpo”. La parola deriva evidentemente da “stipare”, che significa ammassare cose e persone in uno spazio molto ristretto. Circa l’età di questo armadio non si hanno notizie certe, potrebbe risalire all’incirca agli anni ‘10 o ‘20 del Novecento. Alto 2,01 mt, presenta nella parte frontale, in alto al centro, un intaglio raffigurante il profilo di un volto femminile, decorato lateralmente da motivi floreali. In genere tali motivi, molto comuni, erano “di buon auspicio” per la famiglia a cui venivano realizzati. È caratterizzato da un’unica anta nel quale è fissato un grande specchio.

Nella parte inferiore è situato un cassettone che veniva utilizzato per la conservazione degli indumenti.

Le serrature e le maniglie, che conferisco una certa eleganza, sono realizzate in ottone e decorate anch’esse con motivi che richiamano elementi naturali. È stato restaurato alla fine del 1994 senza apportare però modifiche alla struttura.

33

34

A'

A

Pianta a +75

59,5

106,8 95,8

59,1

5,5

2,5 3

21,95

4,2

21,95

2 2,51

206,87

201

201

128,5

142,5

110

11,2

12,5

5,5

1,31,3

4

6,3

15

12,7

4 0,5

2,87 4

5,5

9,4

9,4

9,4

2,5

2,5

18,3

23,1

18,11

2,3

2,5 2,3

5,5

12,5

10,2

15

1,52

+75

Prospetto frontale

Prospetto laterale

Sezione A-A'

107,2 5,2

96,8

A'

5,2

0 A

Vista dall'alto

10

25

50

cm

35

tavolo

36

Nel corso del Rinascimento il tavolo subì una notevole quantità di varianti strutturali e decorative; partendo dai trespoli, ad esempio, nacque l’idea delle quattro gambe, non più realizzate in forme primitive (conficcate nelle assi del piano), ma solidamente “mortese” ai quattro angoli del piano, con una fascia lignea perimetrale ad esse connesse.

Tavoli che poi, con l’accresciuta influenza dell’architettura, furono soggetti sempre più spesso a variazioni formali e decorative, assumendo le più funzionali forme quadrate o poligonali.

Denominato la” bbuffètte”, questo tavolo quadrangolare era un arredo essenziale nelle case dei contadini dove si poteva mangiare ma anche stirare. La particolarità era la possibilità di poter aggiungere dei posti “aprendo” e ruotando in senso orario il ripiano superiore, attraverso un sistema di cerniere poste nella parte posteriore.

Anche in questo caso circa l’età non si sa molto ma, dato che apparteneva alla stessa famiglia dell’armadio sopra citato, si potrebbe dedurre che sia stato realizzato negli stessi anni. È caratterizzato dalla presenza di linee curve semplici e morbide che si ripetono anche nelle quattro gambe. I due cassetti venivano utilizzati per riporre utensili da cucina e biancheria da tavola. Le maniglie e le serrature sono realizzate in ottone.

Anche il tavolo è stato restaurato verso la fine del 1994 senza apportare modifiche alla struttura.

37

38

55

B'

B

Vista dall'alto 56,5

114,5 6

46,7

2,5

46,7

6

2 3

3,3

3,3

55

59,5

82

4,5

13

+73

Prospetto frontale 42,7

2 2,5 2

B'

Prospetto laterale 42,7

Sezione B-B'

2 1,5 4,5

3,8 2,7

55

37,2

5,3

3

3

4,5 1,5 2

B

Pianta a + 73

0

10

25

50

cm

39

armadio

40

Con un’altezza di 2,20 mt, questo armadio, realizzato in noce, presenta frontalmente due ante con una decorazione che si ripete, con motivi differenti, anche in alto ed in basso. Nella parte inferiore due cassetti venivano utilizzati per riporre gli indumenti.

Una particolarità è presente all’interno; difatti per chiudere l’anta situata a sinistra vi è un gancio posto vicino alle mensole interne. Le serrature e le maniglie sono realizzate in ottone.

Frontalmente, i piedi del mobile sono caratterizzati da una leggera curvatura che diventa anch’essa parte della decorazione che caratterizza questo arredo.

41

42

A'

Pianta a + 75 43,3 6,5

A

54,91

5,5

53

5,75

43,3

5,75

5,5

53

6,5

48,5

2,7 2,8 46,8

34,5

2,7

16,35

10

143

67,5

2

220,44

40,8

6,5

143

2

40

67,5

2

28,16

4,5

6

4,5 2

2

7,56

2,44

8,44

4,5

10,54

3

5,5 2 4 17

14,44

26,44

16

7,5

21,5

17

4

4

2

2

5,5

5,5

46,6

+75

59,25 9

45,25

44,5

2 45,25

38

1,2 1,2

9

Prospetto frontale

Prospetto laterale

Sezione A-A'

54,5

A'

0 2

142,5

A

10

25

50

cm

2

Vista dall'alto

43

sedia

44

Denominata la “seggia ‘mpajata” risale probabilmente agli anni ’50 del Novecento e rappresenta la classica sedia in legno di abete, con seduta impagliata. Sia le gambe posteriori che quelle anteriori presentano un profilo curvilineo, ma, a differenza delle gambe anteriori che tendono frontalmente verso l’esterno, le gambe posteriori tendono verso l’interno presentando quindi anche una distanza tra loro differente.

45

46

2,5 5,6 7,4 3,5 1,5

10

3

6,5

37

13

85

12

2

23

2

3

16

22

° 93

28,7 3

35,5 41,5

Sezione A-A'

37,8

A

3

A'

0

5

12,5

25

cm

30,5

47

0

IL PERCORSO PROGETTUALE

48

La sedia pieghevole

L’analisi condotta sugli arredi autoctoni ha posto le basi di questo progetto.

La curiosità nei confronti di un arredo apparentemente considerato semplice, quale la sedia, è nata già nel secondo anno di studi, in cui ci è stato chiesto di concentrarci nella progettazione di una seduta.

A questo ha anche contribuito il rilievo della sedia impagliata, una sedia semplicissima in legno, che riprende la tradizione contadina. Partendo da questi studi è scaturita l’idea di concentrarmi sulla tipologia di sedia pieghevole, molto pratica soprattutto in luoghi ove le metrature non sono ampie e pertanto organizzare al meglio lo spazio diventa indispensabile, e ciò è possibile grazie proprio a questa sua caratteristica che permette, dopo l’utilizzo, di riporla in altri luoghi.

Pertanto, riprendendo un materiale semplice quale il legno, presente negli arredi analizzati ma anche rappresentativo di un “ritorno alle origini”, Klip nasce dalla volontà di rivisitare in chiave moderna la tradizionale sedia pieghevole in legno, in cui è facile imbattersi anche sull’uscio di tante case popolari del sud Italia, ma aggiungendo quell’eleganza e quella comodità che permette di adattarla dal tavolo da pranzo ad una sala conferenze.

49

“

Un tavolo, una sedia, un cesto di frutta e un violino; di cos’altro necessita un uomo per essere felice?

2.1

la storia

Albert Einstein

Come dargli torto.

Difatti, eccetto in alcune culture, in tutte le case è presente la sedia e probabilmente assieme al tavolo, costituiscono i primi mobili che ne entrano a far parte.

In particolar modo la sedia, è un “posto” cercato e adatto a chi desideri riposarsi, stare comodo per leggere, lavorare, pensare ed unita ad un tavolo può rappresentare la famiglia ma anche il lavoro, addirittura, fino a meno di un secolo fa, la sedia faceva parte anche di una serie di oggetti che servivano a testimoniare, anche in via simbolica, la presunta superiorità dell’Occidente sulle colonie, divenne una “prova di civiltà” per legittimare il predominio e lo sfruttamento dell’Occidente sull’Africa.

Esiste un’immagine risalente al periodo fascista, dal titolo “Banchetto in Etiopia”, che ritrae due soldati italiani in una spedizione nella giungla del Paese africano. I soldati indossano abiti lunghi e bianchi, sono seduti a un tavolo con delle sedie, e sono intenti a mangiare. Il tutto con un uomo etiope che sta di fronte a loro in piedi e quasi nudo. È una scena surreale ma con uno scopo ben preciso. L’abito bianco e lungo si contrappone alla nudità e al colore nero della pelle dell’etiope. Il tavolo e le sedie, invece, sono un simbolo di civiltà sfoggiato agli abitanti della giungla che mangiano per terra o in piedi.

La foto è entrata a far parte dell’apparato propagandistico che serviva a giustificare la colonizzazione italiana dell’Etiopia. Al pubblico doveva arrivare l’idea che fosse giusto civilizzare i Paesi africani, perché privi delle abitudini necessarie per essere considerati civili.

Insomma, questo oggetto “semplice” è in realtà uno tra gli arredi domestici più complessi, perché più di altri coinvolgono questioni tecnico-strutturali ed ergonomiche, in quanto è destinato a sorreggere il corpo di un individuo che comunque non sta fermo mai, anzi: si stira, si appoggia, si alza, si dondola. La struttura della sedia è, di conseguenza sottoposta a sforzi incredibili. Dalla sedia in legno sino a giungere a quelle realizzate in fibra di carbonio si potrebbe tracciare una storia che attraversa la sua evoluzione nell’arco del tempo.

Banchetto in Etiopia Scatto avvenuto durante una spedizione nel paese, durante il periodo fascista.

Ricerca della comodità in una poltrona scomoda Foto: Bruno Munari Datazione: 1944 Riflessione sul “sacrificio” della comodità in favore di un design unico e modaiolo in fase di progettazione di un oggetto e più nello specifico di una seduta che, invece di offrire comfort e riposo a fine giornata, finisce per costringerci a esplorare nuove posizioni, non sempre così rilassanti.

51

La rudimentale madre della sedia era un unico asse di legno lungo e stretto poggiato su due piloni: la panca, sviluppatasi in Europa e Asia. Era adatta ad accogliere più persone ma era scomoda ed altamente rigida, pertanto durante il Rinascimento toscano debuttò la “Panca a dossale” dotata di spalliera; in Francia tale tipo di panca prese il nome di “Banc”, molto robusta, la cui collocazione fissa la vedeva vicino al camino, da dove non veniva mai spostata nemmeno per i pasti.

I primi esempi di quelle che potremmo definire le antenate della sedia moderna, destinata ad ospitare una sola persona, risalgono all’antico Egitto: più che una vera e propria sedia, oggi la paragoneremmo ad un trono. Era l’unico oggetto rialzato pensato per far sedere qualcuno.

Tuttavia, era ben lontana dall’essere intesa come mobilio d’arredo per l’abitazione e, certamente, non era pensata per tutti. Solo il faraone, o comunque una figura che si trovava molto in alto nella piramide sociale, aveva il beneficio di utilizzarla. I materiali erano ovviamente

A destra: sella plicatilis A sinistra: uno sgabello con struttura a X in legno dorato Luigi XV francese.

Antico sgabello richiudibile egizio

pregiati, avorio oppure ebano e decorati ai piedi con raffigurazioni di animali o schiavi.

La sedia pieghevole, invece, fece già la sua comparsa nell’antica Roma dove prese il nome di sella curulis, una sedia a forma di “X” pieghevole con decorazioni spesso in avorio, ed anche questa era usata unicamente dai re e dai magistrati, da qui il nome curulis, cioè “della curia”. Il simbolo di potere rappresentato dalla sedia curule affonda le sue radici nell’antica Etruria; infatti già gli Etruschi consideravano lo scranno pieghevole a forma di sella una prerogativa di chi poteva esercitare il potere (giudiziario ed esecutivo) sul popolo. I magistrati solevano portare con sé la sella curulis assieme agli altri simboli del loro potere (fasci, verghe e scuri) e ovunque disponessero questi simboli, lì era stabilita la sede del loro tribunale.

53

Questo tipo di sedia ha fissato le basi per lo sviluppo della sedia contemporanea.

Nel 1100 si diffuse il faldistorio, il cui nome deriva dal latino medioevale faldistorium, che a sua volta dipende dal tedesco Faltstuhl, ovvero “sedia piegata”. Discende dalla sella plicatilis longobarda, la quale veniva realizzata in ferro ageminato, in oro e argento. Il faldistorio, realizzato anch’esso in ferro, poggiava su due coppie di supporti mobili incrociati, uniti nell’estremità superiore da una o più strisce in pelle che sorreggevano l’imbottitura, ma sempre senza schienale. I faldistori in legno intagliato e scolpito, molto rari, presentavano una leggera inflessione a forma di “S” dalla doppia forbice, molto famoso è quello conservato nel Monastero di Nonnberg a Salisburgo, il quale fu consacrato il 2 giugno del 1242 quale seggio delle Badesse di Nonnberg. È realizzato in legno tinteggiato di rosso con tracce d’oro, decorato con altorilievi in avorio a figure e ornati, incassati nei montanti e nelle traverse, ed alternati con pittura a tempera.

Si è lentamente evoluta durante il Medioevo, anche se ha continuato ad essere un’esclusiva del clero e dei ceti nobiliari, conservando i caratteri sfarzosi. Ma la prima vera e propria sedia comparve in Europa agli inizi del Quattrocento; erano denominate a stecche o a forbice e sono nate probabilmente dalla fusione della sella curulis romana con la sedia da campo di origine araba. Queste sedie erano costruite dall’incrocio di una serie di listelli a forbice, montati su perni, e la semplice naturale eleganza che ne deriva, fecero di questo modello, che si diffuse in tutta l’Europa continentale, l’elemento base del seggiolame del XV secolo e della metà del XVI secolo. In Toscana questi esemplari, che si conservarono con alcune varianti per tutto il 1500, sono chiamati con il termine popolare a iccasse, cioè a X. Un classico esempio di questo tipo di sedia appartenne al mobilio delle stanze di Girolamo Savonarola, nel convento fiorentino di San Marco, dove è ancora conservata e da cui prende il nome. È realizzata con 8-12 stecche di legno incurvate a serpentina e incrociate a forbice che s’innestano in basso in un piede a corrente e in alto in due braccioli diritti. Il dorsale è formato da una tavoletta sagomata infissa all’estremità dei braccioli e decorata da semplici intagli.

A partire dal Rinascimento, la sedia subì una rapida evoluzione, divenne presto un mobile di largo uso anche nelle fasce meno abbienti della popolazione e con il passare del tempo si arricchì di ammiccamenti e significati anche per la sua forma allusiva al corpo umano, da cui ne derivano anche i nomi delle sue componenti: braccia / braccioli, schiena / schienale, e poi gambe e piedi.

In epoca moderna la sedia si è trasformata in un oggetto di design di interesse comune sia per i designer ma anche per architetti, fotografi e artisti.

54

In alto: sedia Savonarola In basso: uno dei più antichi faldistori acquistati dall’abbazia benedettina di Admont Datazione: XIII secolo

55

scenario di interesse

2.2

snodi multipli

Per lo sviluppo del suddetto lavoro è stato necessario analizzare lo scenario di interesse partendo proprio dal rilievo della classica sedia pieghevole in legno sino a giungere all’analisi dei diversi meccanismi di chiusura, e delle loro posizioni, nelle diverse sedie pieghevoli, ordinate in base alla similirità degli snodi presenti, seguendo, secondo quest’ultimo, un ordine cronologico.

Per snodi multipli si intendono tutte quelle sedute in cui sono presenti snodi posizionati in diversi punti della struttura.

Tripolina - 1877 Creata nel 1855 dall’inventore inglese Joseph B. Fenby sotto il nome di Fenby Folding Chair, la sedia ed il suo originale meccanismo vennero brevettati solo ventidue anni dopo, nel 1877.

Questa sedia nasce come sedia da campo, utilizzata dalle truppe inglesi. La versione originale della Tripolina presenta una seduta in pelle o in tela, aggrappata per mezzo di grosse tasche all’intelaiatura in legno, costituita da quattro gambe rese mobili da perni metallici. I materiali resistenti e l’ingegnoso meccanismo, che permette la chiusura della sedia, la rendono particolarmente adatta agli ambienti esterni. Da allora, molti designer e aziende ne hanno offerto la propria interpretazione, cambiando materiali e nome ma restando nelle categorie del pieghevole, leggero, mobile: Vico Magistretti con “Africa” per Campeggi nel 2000 ma anche “Paragon” venduta da Harrods dal 1895 e la celebre BKF nota anche come “Butterfly” del 1940, di Bonet–Kurchan–Ferrari (allievi di Le Corbusier).

April - 1964 Realizzata nel 1964, la sedia April di Gae Aulenti, ricorda nella forma e nel sistema di piegatura l’iconica sedia “da regista”, da campo ma anche i mobili del Bauhaus e della serie LC. Insomma, la Aulenti aggiunge la cinetica al tondino di metallo, fino a ora stressato solo per flessione e lo fa con metafora corporea: le ossa sono il tondino d’acciaio, la cartilagine gli snodi in alluminio. È realizzata con una struttura in acciaio inox 18/8, solida ed indistruttibile, è dotata di snodi in lega di alluminio, un materiale leggero capace di resistere anche alla corrosione, e di un rivestimento sfilabile in cuoio color nero.

Tripolina Datazione: 1877 Design: Joseph B. Fenby

April Datazione: 1964 Design: Gae Aulenti

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A destra: Mirto Indoor Datazione: 2014 Design: Antonio Citterio A sinistra: Stitch Chair Datazione: 2008 Design: Adam Goodrum

Flipp Chair Datazione: 2016 Design: Mhd Al Sidawi

Stitch Chair - 2008 Innovativa nel concept, la Stitch Chair di Adam Goodrum si basa sull’idea di flessibilità d’uso. Grazie alle sue cerniere si piega su sé stessa riducendo così notevolmente le proprie dimensioni per occupare il minimo spazio. Tipologia di prodotto nuova per Cappellini, una volta aperta conserva l’identità di una sedia tradizionale. Realizzata in sottili elementi ricavati da una lastra di alluminio di spessore 3mm si discosta notevolmente dalle precedenti soluzioni tecniche sul tema: le cerniere sono collocate in posizione centrale e simmetrica su sedile e schienale e in corrispondenza delle gambe per consentire un appiattimento totale degli elementi.

Mirto Indoor - 2014 Realizzata nel 2014 da Antonio Citterio, questa sedia è una raffinata rielaborazione contemporanea della nota tipologia da regista progettata ponendo attenzione ai dettagli, alla ricerca delle proporzioni, all’andamento delle linee e alla grana del cuoio che disegna seduta e schienale.

Flipp Chair - 2016 La sedia Flipp è stata realizzata nel 2016 da Mhd Al Sidawi. È costituita da un’unica struttura a tre gambe, una base rettangolare e un sedile che scorre lungo un binario e si alza e abbassa molto facilmente. I movimenti delle tre gambe avvengono attraverso la rotazione su dei perni in acciaio. È progettata con una struttura in legno massiccio.

Per snodi incrociati si intendono quegli snodi posizionati più in basso rispetto alla seduta, che ne permettono la chiusura incrociando le gambe anteriori e posteriori.

snodi incrociati

Folding Chair D4 - 1927 Precedentemente conosciuta come B4, questa chaise longue pieghevole in acciaio tubolare con cinghie è stata creata nel 1926/27 da Marcel Breuer e pubblicizzata nel primo catalogo in acciaio tubolare Breuer come “particolarmente adatta” per navi e campi sportivi, ma anche per cortili, case estive, giardini e caffè in giardino. I braccioli sono costituiti da cinghie facili da piegare, mentre il sedile è possibile bloccarlo e sbloccarlo attraverso due ganci posti posteriormente. Il tutto richiudibile attraverso viti a testa ribattuta poste lateralmente, che ne conferiscono il classico profilo a X.

59

Folding Chair D4 Datazione: 1927 Design: Marcel Breuer

Folding Chair - 1928 Questa sedia pieghevole è stata progettata da Alfred Arndt che visse principalmente nella città di Probstzella in Turingia. Qui, fu incaricato da Franz Itting di supervisionare la costruzione della Haus des Volkes (casa del popolo). Progettato da Arndt e altri membri del Bauhaus, alcuni degli arredi interni dell’edificio furono successivamente prodotti nelle officine di Dessau.

La sedia pieghevole e leggera apparteneva all’inventario del Roter Saal (sala rossa), dove si tenevano serate danzanti, riunioni, spettacoli teatrali e presentazioni di film.

Folding Chair - 1954 Questa sedia pieghevole realizzata da Franco Albini nel 1954, è prodotta da Poggi ed è realizzata in mogano e compensato di mogano.

Celestina - 1978 Nel 1978 Zanotta propose a Marco Zanuso di occuparsi del ridisegno di una “familiare” sedia pieghevole per esterni il cui modello era stato trovato in un negozio di mobili usati. Interpretando al meglio il concetto del re-design Zanuso introdusse col suo progetto delle migliorie per esaltare le caratteristiche funzionali e il comfort della seduta. Per quest’ultima propose una soluzione molto raffinata rivestendo le doghe, originariamente in lamiera, con un materiale nobile e pregiato come il cuoio.

60

A sinistra: Folding Chair Datazione: 1928 Design: Alfred Arndt A destra: Celestina Datazione: 1978 Design: Marco Zanuso

Sparta - 1993 Progettata da Börge Lindau.

Pli - 2011 Rispetto alle sedie precedentemnete nominate la sedia Pli, realizzata da Florian Hausiìwirth in legno di faggio, presenta un binario posto sul sedile.

Per snodo in tre punti si intendono i classici snodi posizionati in tre punti della struttura, presenti nella stragrande maggioranza di sedie pieghevoli.

snodo in tre punti

SE 18 - 1952 Progettata dal famoso architetto Egon Eiermann la SE 18 è realizzata in faggio massiccio e impiallacciatura di faggio multistrato. Colpisce per il suo mix di materiali di alta qualità e la sua funzionalità. Le gambe della sedia sono di forma conica, il che le conferisce un tocco moderno e aggiuntivo.

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A destra: Pli Datazione: 2011 Design: Florian Hausiìwirth A sinistra: Sparta Datazione: 1993 Design: Börge Lindau

A destra: Tric Datazione: 1965 Design: F.lli Castiglioni A sinistra: SE 18 Datazione: 1952 Design: Egon Eiermann

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Tric - 1965 La sedia Tric, inizialmente fu prodotta da Bernini, poi dal 1975 da BBB Bonacina. II disegno riprende un modello Thonet degli anni ’30 uscita di produzione, costruito a suo tempo in innumerevoli esemplari, modificandolo nelle dimensioni e nelle finiture, per adattarlo alle esigenze specifiche di una seduta per tavolo da pranzo e scrittoio.

Tric ha una struttura in legno di faggio curvato, mentre schienale e sedile sono in compensato stampato. Particolarmente curata è la soluzione di aggancio del sedile e delle gambe posteriori all’elemento schienale, gambe anteriori: ripiegata, la sedia ha infatti uno spessore di soli 4 cm. Per offrire maggiore comodità, è proposta anche in una variante con schienale più alto e le parti in compensato ricoperte di spesso feltro colorato. Alla versione originale in legno è seguita nel 2007 una nuova edizione in policarbonato con una variante trasparente che mette in vista i dettagli della costruzione.

Ispirata a questa sedia, nel 1979, Achille Castiglioni realizzerà la sedia Ginevra, alla quale aggiungerà, rispetto alla sedia Tric, dei braccioli reclinabili.

Aviva - 1979 Realizzata da Marc Berthier in legno di faggio, è prodotta da Magis che, nel 2010, ha iniziato la produzione del design aggiornato.

Dolly - 1998 La sedia pieghevole Dolly è stata progettata da Antonio Citterio ed è prodotta dalla Kartell. È realizzata interamente in polipropilene.

Paso Doble - 2001 Questa splendida sedia è stata progettata dall’architetto Enrico Davide Bona e presentata al Salone del Mobile di Milano del 2001. Ha un profilo originalissimo che evoca passi fugaci di danza, movimento, ritmo, leggerezza, scatto. Un semplice e raffinato incastro ne permette la chiusura. È realizzata in multistrati di faggio ed è prodotta da BBB. Folding air chair - 2003 La sedia Folding air chair è stata progettata da Jasper Morrison ed è prodotta da Magis.

Si tratta di una sedia pieghevole di forma abbastanza tradizionale, che in un certo senso imita le classiche sedie pieghevoli in listelli di legno. Il materiale però è altamente innovativo, si tratta infatti di un materiale plastico molto resistente, mescolato con fibra di vetro, in modo da

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A destra: Ginevra Datazione: 1979 Design: Achille Castiglioni A sinistra: Aviva Datazione: 1979 Design: Marc Berthier In basso: Folding air chair Datazione: 2003 Design: Jasper Morrison

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Dolly Datazione: 1998 Design: Antonio Citterio

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Yuko Datazione: 2006 Design: Pierluigi Cerri In basso: Honeycomb Datazione: 2008 Design: Alberto Meda

rendere durevole e resistente la sedia, anche nel corso degli anni, senza doverla eccessivamente appesantire. È presente in due versioni: con e senza braccioli.

Yuko - 2006 Progettata da Pierluigi Cerri nel 2006, questa sedia è costruita interamente in alluminio secondo lavorazioni d’avanguardia. Yuko è leggerissima, stilisticamente innovativa. Le gambe sono in estruso di alluminio, lo schienale in pressofusione, la seduta in lamiera di alluminio stampata.

Honeycomb - 2008 La Honeycomb è una sedia pieghevole realizzata in policarbonato con struttura in alluminio.

La seduta e lo schienale hanno una lavorazione a nido d’ape che non solo le conferiscono un aspetto estetico tridimensionale, ma le donano anche leggerezza.È stata progettata da Alberto Meda e prodotta dalla Kartell.

Step Mini - 2009 Step Mini è una seduta progettata da Karl Malmvall. La struttura è realizzata in legno di quercia accuratamente lavorato e verniciato.

Line - 2010 L’architetto giapponese Yoshiyuki Hibino presentò questa sedia pieghevole a Tokyo. Fa parte della sua serie “Line”.

Patan - 2011 Progettata da Tomoko Azumi e prodotta da Zilio A&C, la sedia Patan è realizzata in legno di faggio. Lo schienale ricurvo termina con dei piccoli braccioli.

Hiroshima folding Chair - 2013 La sedia pieghevole Hiroshima della ditta giapponese Maruni è stata progettata da Naoto Fukasawa e si distingue per la sua struttura semplice e sottile, realizzata in legno naturale, sia rovere che faggio.

Narin - 2016 Realizzato con una struttura in legno massello, questo design elegante e robusto presenta una

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transizione graduale dalle gambe allo schienale sagomato, che funge anche da attacco per il perno da cui ruota la gamba posteriore. Il sedile e lo schienale sono realizzati in multistrato di betulla con impiallacciatura di rovere laccato chiaro e fissaggi in acciaio inossidabile.

Degli snodi in tre punti fa parte anche un’altra categoria di sedute che presentano sempre tre snodi ma uno tra questi è situato al vertice di un triangolo immaginario che, collegando le gambe, ne permette la chiusura.

Bridge - 1951 Questa poltrona da giardino realizzata da Marco Zanuso per la Arflex, dove vi collaborava sin dalla fondazione, presenta una struttura in legno. I braccioli sono realizzati con delle cinghie mentre le gambe anteriori e posteriori sono unite dallo snodo in questione.

Hille Chair - 1974 Questa sedia prodotta dall’azienda Hille International fondata a Londra e realizzata da Frederick Scott, ha una forma e un design molto eleganti. La sedia ha una struttura in tubolare di acciaio cromato con seduta e schienale in plastica. Le gambe posteriori ed anteriori sono unite da due perni adiacenti che ne consentono la chiusura ai quali è collegato lo schienale che, grazie ad essi, è possibile ruotare verticalmente.

Donald - 2000 Disegnata da Pierluigi Cerri per Poltrona Frau, è caratterizzata da un profilo che richiama l’occhio e il becco del celebre papero. La struttura, che si presenta come un arco di compasso, è in alluminio pressofuso mentre lo schienale è realizzato in materiale termoplastico così come il sedile.

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A destra: Line Datazione: 2010 Design: Yoshiyuki Hibino A sinistra: Step Mini Datazione: 2009 Design: Karl Malmvall In basso a destra: Patan Datazione: 2011 Design: Tomoko Azumi In basso a sinistra: Hiroshima folding chair Datazione: 2013 Design: Naoto Fukasawa

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Ciak - 2010 Progettata da Giorgio Morelato e prodotta dalla Morelato, Ciak è una sedia pieghevole in legno di ciliegio, con seduta rivestita in pelle, tessuto o alcantara.

Skip - 2016 Skip è la sedia pieghevole che si distingue per il suo design lineare, risultato dell’uniona tra una parte anteriore in legno massello di faggio ed una parte posteriore in alluminio.

A sinistra: Narin Datazione: 2016 Design: David Irwin A destra: Paso Doble Datazione: 2001 Design: E. D. Bona

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In basso a sinistra: Ciak Datazione: 2010 Design: Giorgio Morelato In basso a destra: Hille Chair Datazione: 1974 Design: Frederick Scott

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Bridge Datazione: 1951 Design: Marco Zanuso In basso a sinistra: Donald Datazione: 2000 Design: Pierluigi Cerri In basso a destra: Skip Datazione: 2016

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snodo singolo

In ultimo, la categoria snodo singolo comprende tutte quelle sedute caratterizzate da un unico snodo che collega le gambe e il sedile, grazie al quale avviene la chiusura.

Plia - 1967 Con la seduta Plia il designer Giancarlo Piretti ha rivoluzionato il concetto di sedia pieghevole ed il suo studio sul “perno a 3 dischi” viene considerato un colpo di genio, poiché, come visto in precedenza, fino a questo periodo le sedie pieghevoli presentavano ben tre snodi posizionati in diversi punti. Prodotta da Castelli, è composta da un telaio in alluminio lucido, una seduta trasparente in perspex sagomato e uno schienale facilmente ripiegabile grazie all’efficiente meccanismo di chiusura. Il cardine a tre dischi è realizzato in metallo e collega la schiena, le gambe, e il sedile in modo da poter essere ripiegato in una forma piatta compatta appena cinque centimetri.

Yes - 2005 Progettata da Sergio Giobbi e prodotta dalla Bontempi, la sedia Yes è caratterizata da una struttura in alluminio pressofuso mentre sedile e spalliera sono in A.B.S. di vari colori.

Profile folding chair - 2012 I designer Knauf & Brown di Vancouver hanno realizzato questa sedia con larice massiccio e una struttura in metallo verniciato a polvere.

Piana - 2016 Disegnata da David Chipperfield, è una sedia pieghevole e facilmente accatastabile in diversi colori. È realizzata con struttura in polipropilene e fibra di vetro.

In alto a destra: Yes Datazione: 2005 Design: Sergio Giobbi In alto a sinistra: Plia Datazione: 1967 Design: Giancarlo Piretti In basso a destra: Piana Datazione: 2016 Design: David Chipperfield In basso a sinistra: Profile folding chair Datazione: 2012 Design: Knauf & Brown

2.3

progetto

A conclusione dello studio effettuato ho cercato di trarre da ciascuna le peculiarità che più mi colpivano e ciò che, invece, avrei preferito modificare; innamorata e particolarmente colpita dalla sedia Paso Doble di Enrico Davide Bona, decisi che il mio obiettivo sarebbe stato quello di realizzare una sedia pieghevole con braccioli che, attraverso semplici meccanismi, non sembrasse una sedia pieghevole!

Ed così che da un pezzo di faggio è nata Klip. Questo nome, di derivazione inglese, è dovuto alla sua forma che rimanda alla chiusura e all’apertura di un paio di forbici. Quest’ultime vengono anche denominate “clipper” abbreviato da me in “Klip”.

Perché il faggio?

Probabilmente non c’è materiale che con le sue caratteristiche sia tanto straordinario quanto lo è il legno. Fin dall’antichità, gli uomini avevano capito che il legno era un materiale perfetto per la costruzione; basti pensare alle abitazioni costruite su palafitte le cui strutture sono ancora in piedi dopo quasi 4mila anni. Nel corso dei secoli gli individui non hanno mai abbandonato l’utilizzo di questo materiale per costruire le proprie abitazioni.

La scelta è dovuta al fatto che risulta un materiale resistente ed economico. Viene impiegato ampiamente nella costruzione di mobili ed arredi interni; non essendo impermeabile non risulta indicato per gli ambienti esterni.

Il legno chiaro, quasi bianco, assume il noto colore rosato attraverso la vaporizzazione e l’essiccamento, che con l’azione della luce, vira fino al giallo pallido.

I raggi midollari sono ben visibili in tutte le sezioni di taglio e caratterizzano il disegno del legno soprattutto in sezione tangenziale, dove appaiono sotto forma di fusi sottili alti alcuni millimetri. Grazie alla sua grana fine, corta ed omogenea è considerato il soggetto ideale per la tornitura. Il legno è ricavato dagli alberi attraverso lavorazioni e trattamenti che lo rendono adatto a vari utilizzi e costituisce la materia prima per innumerevoli impieghi artigianali e industriali. Il fusto delle piante, cioè la parte della pianta più adatta alle applicazioni in edilizia, si genera per successiva formazione di strati concentrici. Se si taglia un albero trasversalmente, si può infatti osservare sulla superficie di taglio una serie di strati concentrici.

Questi strati detti anelli annuali, sono assai evidenti nelle piante che crescono in climi temperati o freddi, dando luogo a strati di colorazione diversa in autunno e primavera. Il contrasto di colore degli anelli di accrescimento annuale sulle sezioni trasversali e longitudinali dei tronchi determina la caratteristica venatura, o fibratura, diversa a seconda delle specie, molto marcata nelle conifere e meno evidente nelle latifoglie, di cui fa parte il faggio. Nella pratica commerciale, si opera una distinzione tra legni dolci e legni forti. I primi comprendono abeti, pini, pioppi, ontani; i secondi comprendono larici, querce, faggi, robinie, frassini.

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Mediante l’impiego di macchine e tecniche diverse è possibile ottenere svariati tipi di finitura del legno, che mettono in risalto eventuali venature e conferiscono particolari caratteristiche di aspetto. La scelta della finitura varia a seconda della specie legnosa, del tipo di verniciatura da applicare, oltreché, naturalmente, dall’impiego previsto.

I principali tipi di finiture superficiali, ottenute attraverso diverse lavorazioni del legno sono: • segata grezza, ottenuta mediante taglio con sega a nastro, una macchina per segare il legname dotata di un nastro di acciaio dentato; • piallata, ricavata da quella segata grezza mediante successiva lavorazione alla pialla, un utensile del falegname usato per spianare e lisciare una superficie di legno; • levigata, sottoposta a carteggiatura, che la rende liscia e idonea per essere verniciata; • piallata e sabbiata, trattata con getto di sabbia che asporta le parti morbide, facendo risaltare le venature; • fiammata e spazzolata, a seguito del trattamento, la superficie perde le parti morbide bruciate e acquista una marezzatura (striatura ondulata e irregolare con venature che spiccano sulla superficie perché leggermente incavate e di colore diverso) molto evidente.

Il punto di partenza del progetto è stato il posizionamento della cerniera attraverso la quale doveva avvenire la chiusura.

A seguito di diverse elaborazioni la decisione è ricaduta sul posizionamento di quest’ultima al vertice di un triangolo immaginario, che prende forma grazie alle gambe posteriori e anteriori, grazie al quale schienale e braccioli sembrano formarsi da una curva di legno continuo.

Con lo scopo di evidenziare il profilo caratterizzato da una linea essenziale, asciutta e spigolosa, la soluzione ottimale è stata quella di utilizzare una cerniera a libro, incastrata all’interno delle gambe. Quest’ultime presentano una sezione triangolare variabile, a quelle anteriori sono incastrati i braccioli tramite una giunzione a spina di legno di forma cilindrica e rigata inserita in un foro cieco, mentre a quelle posteriori è fissato lo schienale sempre attraverso una giunzione a spina di legno.

Il sedile, leggermente inclinato, è stato fissato utilizzando dei tondini in metallo nella parte posteriore mentre anteriormente, poggia su un traverso, incastrandosi in due spine di legno che fungono da blocco.

Per chiuderla è semplicissimo: è necessario sbloccare anteriormente il sedile, ruotarlo verso il basso e avvicinare la gamba anteriore a quella posteriore.

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Cerniera

Cerniere a libro.

Metallo.

Schienale

Incastro con le gambe posteriori: spina di legno.

Multiflex con impiallacciatura di faggio.

Braccioli

Incastro con le gambe anteriori: spina di legno.

Faggio.

Seduta

Tondini in acciaio posti posteriormente che ne permettono il movimento.

Legno listellare con impiallacciatura in faggio.

Gambe

Sezione triangolare variabile.

Faggio.

77

36

3,5 81

29,4

2

5 41,5

A'

5

5

6 0,2

A'

57°

20

41

57°

57°

57° 3,5

40

3,5

A

79

5

7,4

1,2

2

73 °

27°

C-C'

C

C'

5

4,7

6,2 79

3

81

1,5

°

29,4

1

4,1

B'

5

B

1,5

R443,98

3,5

°

72

B-B'

6,1

36

A-A'

5

3,5

°

77

77

°

6

0,2

A

A' 35,7

80

39

38

41,5

0,5

1

2,5

°

39

38

32,2

65,4

77,7

3

1,5

°

72

77

3

7,4

1,2

81

1

2,5

32,2

65,4

70

77,7

3

La caratteristica principale delle sedie pieghevoli è quella di poterle eventualmente riporle dopo l’utilizzo. Pertanto ho pensato ad una possibile soluzione per poter riporre la sedia pieghevole Klip. Caratterizzata da linee curve e spigolose proprio come la seduta, questa struttura permette di poter tiporre 4 sedie pieghevoli con un ingombro di circa 1 m x 41,5 cm.

La larghezza è inferiore rispetto a quella totale della sedia, in quanto il mio scopo era quello di non nasconderle, lasciando esposti la parte superiore e le gambe.

porta sedie pieghevoli

la realizzazione

La realizzazione è avvenuta nella “bottega” di un falegname situato nelle vicinanze del mio paese. È stato un processo piuttosto complesso, in quanto attualmente le macchine moderne permettono di tagliare i vari pezzi, anche i più elaborati, senza l’intervento dell’uomo.

Realizzarla quasi del tutto artigianalmente è stata una vera e propria sfida.

2.4

La prima fase è stata la realizzazione delle gambe.

Dopo aver preso le rispettive misure delle due sezioni, di dimensioni minori e maggiori, il legno è stato tagliato con misure approssimate attraverso la sega a nastro e in seguito fatto scorrere nella pialla a filo spessore, utilizzata per ridurre progressivamente lo spessore di un listello di legno ma anche levigarlo e correggerne le imperfezioni.

Successivamente, grazie sempre all’aiuto della sega a nastro, le gambe sono state definite e tagliate. La variazione di sezione è stata ottenuta in seguito, inclinando dapprima il disco della squadratrice e poi tagliando seguendo la misura prestabilita, partendo dalla sezione di dimensioni maggiori, pertanto potremmo dire, dalla parte superiore della gamba. A conclusione di tutto sono state levigate sulla levigatrice a nastro.

La seconda fase è stata la realizzazione dei braccioli.

Il modello è stato disegnato sul legno e tagliato. Successivamente è stato levigato utilizzando sempre una levigatrice a nastro ma anche la carta vetrata, per ottenere la giusta curvatura posta nella parte inferiore.

Dopodiché, come già accennato in precedenza, il bracciolo è stato innestato nella gamba grazie a una giunzione a spine di legno.

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88

La terza fase è stata la realizzazione dello schienale.

Inizialmente, è stata realizzata una sagoma dello schienale su un pezzo di truciolato; grazie a quest’ultima è stato possibile curvare ed incollare i pannelli di multiflex.

Difatti lo schienale è caratterizzato da strati di pannelli di multiflex, uno speciale pannello compensato dotato, grazie alla sua particolare composizione, di un’elevata flessibilità. In seguito questi strati sono stati incollati tra loro e posti ad asciugare per tre giorni.

Non è stato realizzato utilizzando un unico pezzo in quanto avremmo ottenuto un taglio trasversale che con il tempo ne avrebbe causato la rottura.

Successivamente, a causa della complessità, l’unica soluzione possibile è stata quella di realizzarlo grazie ad un centro di lavoro, una macchina utensile dotata di controllo numerico in grado di eseguire più operazioni meccaniche, cioè l’asportazione di materiale da un pezzo grezzo (ad esempio la fresatura, foratura, tornitura ecc), con un solo set-up su più superfici dello stesso pezzo di lavoro.

L’operazione conclusiva è stata quella dell’impiallacciatura. Questa operazione consiste nel ricoprire un legno non pregiato o un pannello, con un sottilissimo tranciato di legno detto piallaccio, cioè dei fogli sottilissimi di legno pregiato. Perché il piallaccio aderisca bene al legno sottostante si rende scabra la superficie da rivestire; si effettua poi il distendimento della colla, in questo caso è stata utilizzata la colla di pesce, a mano o a macchina, e si riscaldano la tavola e il piallaccio, che viene fatto aderire al legno premendolo con un opportuno martello a penna larga (martello per impiallacciare).

A conclusione di tutto lo schienale è stato incastrato nelle gambe posteriori utilizzando dei giunti a spina di legno.

89

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92

93

Durante la quarta fase è stato effettuato il taglio per le gambe con lo scopo di ottenere la giusta inclinazione e in seguito sono state unite sistemando le due cerniere.

Successivamente sono stati realizzati i traversi e il sedile.

I traversi sono stati creati utilizzando sia la sega a nastro che la levigatrice a nastro e successivamente incastrati grazie sempre a dei giunti a spina di legno.

Il sedile è stato realizzato dapprima con un pezzo di legno listellare da 3 cm e poi impiallacciato in faggio.

Quest’ultimo è leggermente inclinito; nella parte posteriore è reso mobile grazie ad un tondino in acciaio, mentre nella parte anteriore poggia, incastrandosi, sul traverso.

Per un’ulteriore sicurezza e stabilità del sedile è stato posizionato, al di sotto, un fermo.

In ultimo, per rendere il colore omogeneo, la sedia è stata tinta. La tintura a differenza della verniciatura, permette di conferire al legno la colorazione desiderata senza avere l’effetto coprente proprio della verniciatura.

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99

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INDICE Il laboratorio 7

CAPITOLO 01

Il mobile italiano dei primi anni del Novecento

10

1.1 La storia 12 1.2 Il rilievo a Carbonara 30

CAPITOLO 02

Il percorso progettuale 48 2.1 La storia 50 2.2 Scenario di interesse 56 2.3 Il progetto 74 2.4 La realizzazione 84

Bibliografia e sitografia De Fusco R., Rusciano R.R., Design e Mezzogiorno tra storia e metafora, Bari, Progedit, 2015 De Guttry I, Maino M.P., Raimondi G., Duilio Cambellotti, arredi e decorazioni, Laterza, 2000 Martini A., Legno e disegno dalle prime botteghe alla Mostra del Mobilio di Cascina, ETS, 2012 http://www.raiscuola.rai.it/articoli/il-liberty-storia-ed-evoluzione-in-italia-lezioni-di-design/6435/default.aspx lezione di stefania capraro, storica dell’arte (https://www.youtube.com/watch?v=aMG9zu3E8Cc) http://www.arteliberty.it/storia.html http://www.roberto-crosio.net/1_citta/liberty.htm https://www.italialiberty.it/liberty-bari/ http://www.apulianews.it/2018/11/15/bari-e-il-liberty-di-liberta/ http://www.pugliaeccellente.info/bari-la-migliore-citta-liberty/ http://ripassofacile.blogspot.com/2013/04/riassunto-il-liberty-italiano.html http://www.roberto-crosio.net/1_citta/liberty.htm http://www.rocaille.it/palazzo-dellacquedotto-pugliese-di-duilio-cambellotti/ https://www.italialiberty.it/carlobugatti/ https://thesubmarine.it/2017/04/06/storia-sedia/ https://www.italiandesigncontract.com/it/blog/la-storia-della-sedia/id:1313/ https://www.artimondo.it/magazine/storia-della-sedia/ https://sbandiu.com/2018/12/04/la-sedia-tric-di-achille-e-pier-giacomo-castiglioni/ http://www.riflesso.info/design-meno-recenti/item/1537-dalla-sua-invenzione-a-meta-800-la-sedia-cambia-veste-numerose-volte-passando-da-un-uso-outdoor-a-quello-militare-per-trasformarsi-oggi-in-un-oggetto-di-lusso https://www.tecta.de/en/produkt/d4/ https://sbandiu.com/2017/07/31/la-sedia-plia-di-giancarlo-piretti/ https://www.midcenturyclassicdesign.com/seating https://www.giovannettimobili.it/tesori-in-soffitta-sedie-pieghevoli-plia-castelli-by-piretti/ https://www.bauhaus100.com/the-bauhaus/works/joinery/folding-chair/ https://artsandculture.google.com/asset/faltstuhl-faldistorium-aus-dem-stift-admont/WAF7Qn6obAlLow?hl=de https://www.alessi.com/it_it/sedia-piana-aspn9017.html

Ringraziamenti Finalmente il giorno è arrivato! A conclusione di questo percorso ci terrei a ringraziare tutti coloro che mi hanno sostenuto in questi anni e in questi mesi.

Scrivere queste frasi di ringraziamento è il tocco finale della mia tesi.

Ci terrei a ringraziare, innanzitutto, il mio relatore, il prof. Rocco Mele, per i preziosi consigli e la sua infinita disponibilità, in ogni step della realizzazione dell’elaborato.

Ringrazio anche il mio correlatore, il prof. Giuseppe Lovino, per avermi suggerito le giuste modifiche da apportare ai progetti.

Vi ringrazio per le conoscenze che mi avete donato e per l’aiuto fornitomi in tutti questi anni.

Grazie anche al mio falegname Pasquale Latorre, detto “Lino”, per i suoi consigli e la pazienza dedicatami in questi mesi. Nonostante i tempi e le innumerevoli difficoltà incontrate durante il percorso, senza di lui questo progetto non avrebbe mai preso vita.

Un grande ringraziamento ai miei genitori, che mi sostengono in qualsiasi momento e che mi hanno permesso di arrivare fin qui, sopportando tutti i miei scleri e dedicandomi la maggior parte del loro tempo. Vi voglio bene!

E come non ringraziare tutti i miei amici. Da quelli che porto nel mio cuore dall’infanzia a quelli che ho incontrato nel mio cammino e che hanno deciso di camminare al mio fianco e di portarmi fino a qui. A tutti voi, così diversi ma così importanti, ognuno per ragioni uniche e speciali, voglio esprimere la mia più assoluta gratitudine. Senza di voi non sarei mai sopravvissuta alle ansie e alla paranoie di questi anni.

In particolar modo vorrei ringraziare le mie vittime di audio infiniti: Nunziarita, ormai amiche, quasi sorelle, da ben 18 anni. Con le tue piccole lezioni di vita e gli inifiniti audio da 10 minuti ciascuno, ricambiati dalla sottoscritta, mi hai sempre incoraggiata, anche nei miei momenti di sconforto e in particolar modo in quest’ultimo periodo, in cui hai condiviso con me tutte le problematiche.

Veronica, la mia tour operator preferita. Anche con te ho condiviso gioie e dolori di questa esperienza, pronta sempre a sostenermi con i tuoi consigli. Ti ho fatto attendere fino a questo giorno per mostrarti il frutto del mio lavoro.

Giuseppe, il mio compagno di avventure, dispensatore personale di consigli ed idee (alle volte anche improbabili). Se dovessi contare tutto il tempo perso in altre attività, che tutto erano tranne che studio, non basterebbero dieci mani. Ti ringrazio per tutto lo studio che non abbiamo fatto, per tutti questi anni di confronti e consigli e per esserci sempre stato quando ne avevo bisogno.

Roberta e Alessandra, chi l’avrebbe mai detto che ci saremmo ritrovate a condividere anche questa esperienza? Tra risate, battibecchi e tanto altro, supportandoci a vicenda, siamo arrivate anche qui insieme.

Ringrazio anche gli altri miei compagni di corso, le facce con cui ho condiviso ore e ore in facoltà, a lezione, al bar, le attese agli appelli, le ansie pre-esami.

Senza voi tutti, arrivare alla laurea, sarebbe stato molto più noioso e meno divertente!

Vorrei ringraziare anche le mie piccole polpette pelose: Diego, Frida, Leo, Alvin e Kumba, che nonostante i vostri cinguettii, mi avete distratto e consolato con un affetto tutto vostro.

E il mio ultimo ringraziamento va alla Musica, che dolcemente mi ha accompagnato in tutti questi anni e che sicuramente sarà sempre al mio fianco.

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