CARCASSA DEL MANIFESTO ANTROPOFAGO Solo l’Antropofagia ci unisce. Socialmente. Economicamente. Filosoficamente. Sola legge del mondo. Espressione mascherata di tutti gli individualismi, di tutti i collettivismi. Di tutte le religioni. Di tutti i trattati di pace.
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Tupi o non tupi, questo è il problema. Contro tutte le catechesi. E contro la madre dei Gracchi. Figli del sole, madre dei viventi. Trovati e amati ferocemente, con tutta l’ipocrisia della nostalgia, dagli immigrati, dai trafficati e dai turisti. Nel paese del cobra grande. È perché non abbiamo mai avuto grammatiche né collezioni di vecchi vegetali. E non abbiamo mai saputo cosa fosse urbano, suburbano, di frontiera e continentale. Una coscienza partecipante, una ritmica religiosa. Contro tutti gli importatori di coscienza in scatola. L’esistenza palpabile della vita. Non siamo mai stati catechizzati. Abbiamo vissuto in un diritto sonnambulo. Ma non abbiamo mai ammesso la nascita della logica tra noi. Contro Padre Vieira. Vieira lasciò il denaro in Portogallo e ci portò le chiacchiere. Lo spirito si rifiuta di concepire lo spirito senza il corpo. L’antropomorfismo. Necessità del vaccino antropofagico. Per l’equilibrio contro le religioni di meridiano. E le inquisizioni esterne. Avevamo la giustizia, codificazione della vendetta. La scienza, codificazione della Magia. Antropofagia. La trasformazione permanente del Tabù in totem. Contro il mondo reversibile e le idee oggettivate. Cadaverizzate. Lo stop del pensiero che è dinamico. L’individuo vittima del sistema. Fonte delle ingiustizie classiche. Delle ingiustizie romantiche. E l’oblio delle conquiste interiori. Mappe. Mappe. Mappe. Mappe. Mappe. Mappe. Mappe. Morte e vita delle ipotesi. Dall’equazione io parte del Cosmo all’assioma Cosmo parte dell’io. Sussistenza. Conoscenza. Antropofagia. Contro le élite vegetali. Non siamo mai stati catechizzati. Quel che abbiamo fatto è il Carnevale. L’indio vestito da Senatore dell’Impero. Avevamo già il comunismo. Avevamo già la lingua surrealista. L’età dell’oro. Ho chiesto a un uomo cos’era il Diritto. Mi ha risposto che era la garanzia dell’esercizio della possibilità. Quest’uomo si chiamava Galli Matias. Me lo sono mangiato. La stabilizzazione del progresso per mezzo di cataloghi e televisori. Solo la macchina. E gli apparecchi per le trasfusioni. Ma non erano crociati quelli che vennero. Erano fuggiaschi di una civiltà che stiamo mangiando, perché siamo forti e vendicativi come Jabuti, il briccone. Non abbiamo avuto la speculazione. Ma avevamo la divinazione. Avevamo Politica, che è la scienza della distribuzione. E un sistema social-planetario. Le migrazioni. La fuga dagli stati noiosi. Contro le sclerosi urbane. Contro i Conservatori e il tedio speculativo. Bisogna partire da un profondo ateismo per giungere all’idea di Dio. L’allegria è la prova del nove. La lotta tra quello che si chiamerebbe Non-Creato e la Creatura – illustrata dalla contraddizione permanente tra l’uomo e il suo Tabù. L’amore quotidiano e il modus vivendi capitalista. Antropofagia. La bassa antropofagia agglomerata nei peccati del catechismo – l’invidia, l’usura, la calunnia, l’omicidio. Peste di cosiddetti popoli colti e cristianizzati, è contro di essa che stiamo agendo. Antropofagi. La nostra indipendenza non è ancora stata proclamata. OSWALD DE ANDRADE. A Piratininga. Anno 374 dalla deglutizione del Vescovo Sardinha.1 I
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MEMORIE DI UN DODICENNE CON LICENZA PIRETICA Era un pomeriggio caldo, forse di giugno, del 2002. Mio papà mi rompeva le balle per accompagnarlo a Milano a vedere una mostra. Avevo 12 anni, la testa tra nuvole bellissime, la mano sporca di colore, e un cazzo di voglia di andarci. Mio papà insisteva, e io non sapevo se erano peggio i tre quarti d’ora da passare nel treno di lamiera bollente oppure quelli da passare nel salone bianco lucente dove tutto sembra così finto come nei cataloghi di arredamento o nella sala di attesa del dentista, e bisogna stare zitti per fare finta di capire, e dei tipi in divisa ti controllano che non tocchi, non corri e non ti diverti. In effetti molto meglio il treno, pensavo, perché per andare a Milano dal finestrino si vedono un sacco di scritte sui muri, tutte diverse, e ogni tanto anche dei disegni. Anche vicino a casa mia ci sono, però poche: Shek, Sha e Sole sono le migliori, e tutte hanno la scritta piccolina CSD, mi sa che è la loro banda. Però il mio preferito è Sbafe, uno che fa delle facce tristi ma troppo belle, forse perché tutta la gente che ha intorno è così o viceversa, e... Va bene papà ci vengo, smettila cazzo. Dopotutto magari ci rimedio un panino di carne di gente di Amburgo e mentre sono in treno vedo le scritte fuori e mentre sono in stazione vedo le scritte sui treni, si può fare. E magari riesco a fare una scorra vicino a uno dei tipi in divisa della mostra. Nella prima sala del museo o come si chiama c’è il negozio che vende i libri con le foto delle mostre che a mio papà piacciono un casino e a me no. Mi piace solo quello che c’è a casa con le foto grigie di Picasso in mutande con la sua ragazza, un cane e una capra, che anche se è un vecchio fa sempre facce da scemo e dipinge come i bambini su tutte le cose che trova e poi le lascia in giro e non le mette mai a posto. Magari in certi musei mettono il negozio di libri all’inizio così la gente può guardare quello della mostra e decidere di non vederla, anche se poi entrano sempre tutti. Anche noi entriamo, all’inizio c’è un corridoietto nero che non si vede niente, poi usciamo da una porticina e si scopre che il corridoietto è il dentro di un furgone ribaltato, mezzo bruciato e tutto disegnato, sopra ci sono le scritte come quelle che avevo visto dal treno e sulle ruote ci sono degli omini di carta che girano. Mi guardo in giro, sono in un capannone grandissimo tutto colorato in mille modi diversi da cima a fondo, c’è un indiano gigante a testa in giù, tantissime altre facce e scritte, un po’ fatte bene un po’ fatte male, altre macchine ribaltate da esplorare, omini come quelli dei fumetti, alcune zone piene di quadretti tutti attaccati, altre piene di bottiglie dipinte, e poi una casa di legno appesa al soffitto dove ci si può arrampicare con una scaletta come quella del mio letto e dentro la casa è tutto pieno di fogli disegnati bellissimi attaccati dappertutto e sono impazzito, sono impazzito come un pazzo. 10 anni fa. Era la personale di Barry McGee presso Fondazione Prada, un’unica immensa installazione intitolata Today Pink. Quel giorno ho scoperto che non a tutti gli artisti piacciono le riviste di arredamento e che le scritte sui muri si chiamano graffiti, e per qualcuno sono importanti. Mentre tornavo a casa in treno, e mi rendevo lucidamente conto di essere impazzito, guardavo il volantino della mostra: sul retro c’erano foto dei graffiti di Barry McGee sui muri e sui treni di Milano, accompagnate da un’intervista. 2
IV
Da quel momento è iniziato il mio viaggio. Tra i libri e le rue, ho raccolto quello che più mi ha segnato: un insieme sregolato e anarchico di esperienze che, dai primi del ‘900 fino ai giorni nostri, hanno utilizzato la Strada come principale spazio espositivo per la propria arte. Per Strada intendo qualsiasi forma di spazio pubblico e urbano, in genere all’aperto, che possa essere indistintamente attraversato e fruito da chiunque. Strada facendo ho scoperto che tutte queste esperienze, con forme e tecniche diverse, si sono incentrate su intensi processi di cannibalismo, appropriazione, ibridazione e sovversione di linguaggi artistici e culturali precedenti o contemporanei ad esse. Infine, ho realizzato che non si trattava di esperienze singole, ma collettive: si sono sviluppate grazie a gruppi di persone unite da uno spirito di collaborazione, confronto, scambio, apertura e condivisione. L’unione di questi tre punti chiave ha consentito alle esperienze incontrate di avviare reali e concreti processi di democratizzazione dell’arte, che spazi chiusi e istituzionali come musei e gallerie non sono mai stati in grado di attuare. Con democratizzazione dell’arte non intendo che un operaio si trova di fronte un lavoro artistico inaspettato per strada e corre a comprarsi Arte del ‘900, intendo semplicemente che sorrida e si faccia un paio di mezzi interrogativi in più sul senso di ciò che lo circonda. Neneboy Tutto ciò mi ha permesso di decifrare e comprendere a fondo il mio percorso artistico, che seguendo cuore e stomaco si è sviluppato e ramificato molto prima che uno qualsiasi dei concetti sopracitati si formasse consapevolmente nel mio cervello, anche se per necessità qui dentro lo troverete costantemente affiancato a parole parole parole come Mina. Non è che ho decifrato proprio tutto, per esempio tuttora non so spiegarmi perché mi piacciono così tanto i soldatini di plastica. Ma so che non mi sarei incamminato senza dei fraterni compagni al mio fianco: 2BK, CWANYE MKOWERTO, F84. Para la vida! Ognuno viaggia come meglio crede; io ho gettato dalla rupe tutto quello che mi appesantiva perché la strada era lunga; ho cannibalizzato come un Tupi, mi sono appropriato di tutto ciò che mi interessava, l’ho tradotto, plasmato, rielaborato, ibridato e associato liberamente, come del resto ho sempre fatto nel mio lavoro. Sono passato dai boschi per evitare i rigidi controlli alle frontiere del copyright e dei diritti d’autore, non dire niente perché c’è la notte che parla, e solo quando ho copiato per filo e per segno spezzoni di libri, riviste e interviste l’ho scritto così per farlo capire. Ho deliberatamente perso per strada molte zavorre accademiche perché questo non è un saggio storico, è un quaderno di appunti, che lascia il verdetto della sua autenticità alla fiducia di chi lo legge: il Vero riconosce il Vero. La colonna (sonora) che ha sostenuto il mio viaggio è l’Hip-Hop, senza il quale niente sarebbe stato possibile. E’ il più diffuso movimento culturale multidisciplinare esistente, nato dal basso, dagli scarti, da uno dei più folli processi di ibridazione e cannibalismo che la storia abbia visto. E’ democratico ed accessibile a tutti, vive e si sviluppa esclusivamente in strada. Ma viene frainteso e stereotipato tutti i giorni. Per questo la ghost track del mio viaggio è una grande mappa-tributo che, a partire dalla deportazione forzata di intere popolazioni africane, sviscera l’immenso percorso di adattamento ed ibridazione da esse attuato, giungendo al parto dell’Hip-Hop. L’Hip-Hop è fratello dei graffiti e cugino della street art, con la quale si conclude il mio viaggio. “Mmm... street art? No, è meglio se la lasci stare, fai qualcos’altro” per anni mi hanno ripetuto eminenti professori storcendo il naso. Perché spesso non sanno di cosa si tratti, e preferiscono non capirlo. Come le persone che per anni mi hanno ripetuto “Mmm... Hip-Hop? No, è meglio se...” mentre immaginavano un nero palestrato coperto di gioielli, seduto su una Ferrari e circondato da topolone, perché tutto quello che sanno l’hanno visto su MTV. Che sia la scatola di un televisore o quella di un white cube poco importa, perché la Strada è fuori da ogni scatola. La Strada è la mia pazza scuola, e come Pablito je suis le cahier.
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LEOPOLDO MÉNDEZ Leopoldo Méndez è il mito, l’eroe, il capopattuglia, l’apripista, il pioniere, il rebelde, il santo, il chico loco del mio viaggio. La sua è un’arte por la calle, arte di strada attivata da processi profondamente collegati di sovversione, cannibalismo, collaborazione, gratuità ed accessibilità – tutti punti centrali del mio lavoro. Nonostante sia da molti considerato uno dei più importanti artisti messicani del ‘900, Méndez è stato sostanzialmente escluso dalla storiografia ufficiale dell’arte, fino ad ora relegato in un posticino secondario di artista-incisore folkloristico e politicizzato. Nel corso degli anni ‘40 l’arte politica messicana venne classificata come nazionalista e propagandistica, ed è stata ignorata e marginalizzata dalla critica mainstream internazionale, che si è limitata all’analisi di alcune figure principali e “comode” come Rivera, Siqueiros e Orozco; in realtà l’arte messicana durante il ventesimo secolo si è strutturata su un movimento anomalo molto più esteso rispetto alla portata del lavoro di questi pittori, che furono una piccola parte di un ampio e straordinario gruppo di muralisti, incisori, stampatori, fotografi, architetti, musicisti, ballerini, attori, scultori e scrittori che lavorarono di comune accordo per creare un ambiente artistico vivo, coinvolgente e socialmente incisivo. Con uno sguardo più approfondito, ci sono varie ragioni per cui il lavoro di Méndez non è stato ampiamente conosciuto ed apprezzato al di fuori del Messico come avrebbe meritato. Il suo approccio altamente collaborativo e il suo desiderio di rimanere dietro le quinte, incentrati sull’idea rivoluzionaria dell’artista-lavoratore anonimo, hanno contribuito a questa mancanza di riconoscimenti; egli lavorò in modo comunitario durante la maggior parte del suo percorso, perciò i suoi sforzi creativi furono sempre parte di un processo collettivo, legato ai gruppi nei quali fu un protagonista importante, uno su tutti il leggendario Taller de Grafica Popular. Inoltre Méndez, nonostante fosse un artista poliedrico, scelse il medium della stampa artigianale – incisioni, xilografie, litografie – per garantire ai propri lavori la massima diffusione ed efficacia senza rinunciare ad un approccio artistico manuale. Nella critica d’arte, regolata da raffinate leggi di mercato, questo medium non è generalmente inteso allo stesso livello di pittura e scultura a causa dei suoi relativamente bassi valori economici, ed è considerato una disciplina secondaria da parte di studiosi e collezionisti. La maggior parte dei più efficaci lavori di Méndez, in quanto immagini motivate politicamente, avevano un supporto effimero ed erano realizzati con i materiali più economici e reperibili; i suoi posters e volantini, affissi sui muri e distribuiti per strada, avevano uno scopo temporaneo e disinteressato ad una possibile preservazione, e le sue illustrazioni non erano concepite come prodotti artistici autonomi. Egli seppe inglobare nel suo lavoro una vastissima quantità di fonti storiche, di “alto” e “basso” livello senza distinzione, tra cui l’arte precolombiana, l’arte rinascimentale e barocca dell’Europa e del Messico, la pittura messicana del diciannovesimo secolo e il muralismo 1
contemporaneo. Méndez focalizzò la maggior parte del proprio lavoro sull’appropriazione dei linguaggi dell’arte popolare messicana, specialmente quello di José Guadalupe Posada, le cui stampe satiriche piene di scheletri ed elementi folkoristici fornirono un modello per le sue prime immagini politiche all’inizio degli anni ‘30 e vennero intensamente citate e fagocitate nel corso di tutta la sua vita. Sebbene Méndez si considerasse un realista, il suo lavoro fu altamente fantasioso e sfugge a possibili definizioni, categorie o tipologie estetiche, assorbendo influenze da cubismo, futurismo, costruttivismo, espressionismo e surrealismo. L’abilità di Méndez nell’incorporare le fonti più disparate all’interno del proprio lavoro si intensificò durante tutta la sua carriera, permettendogli di variare liberamente da stampe semplici, immediate e dirette ad immagini sofisticate, riccamente stratificate e tecnicamente elaborate; il suo interesse per i linguaggi più accessibili e vicini alla gente comune lo portò a distaccarsi dalla pittura su tela per esplorare i territori dell’illustrazione, della grafica, del teatro, del cinema e dell’educazione, annullando qualsiasi presunto confine gerarchico tra le differenti pratiche artistiche. Per comprendere la portata della marginalizzazione subita, basti dire che oggi non esiste una pagina di wikipedia su Leopoldo Méndez, né nella versione italiana, né in quella inglese, e si può trovare qualche riga abbozzata su di lui solo nella versione in spagnolo. Dal ‘69, anno della sua morte, fino ad ora in Messico sono stati pubblicati solamente sei libri su Méndez, nessuno dei quali è stato tradotto e distribuito all’estero; tra questi, cinque sono difficilmente reperibili, se non totalmente introvabili. Nel 1999 – a 40 anni dalla sua scomparsa - è stato pubblicato negli Stati Uniti il primo volume in lingua inglese su Méndez, intitolato Codex Méndez: prints by Leopoldo Méndez (1902-1969), catalogo-monografia realizzato da Jules Heller in congiunzione alla mostra Codex Méndez tenutasi presso l’Arizona State University Art Museum, l’unica grande esibizione del lavoro dell’artista messicano negli Stati Uniti dagli anni ‘40 fino ad oggi. Nel 2007 Deborah Caplow, insegnante di storia dell’arte presso la University of Washington, ha pubblicato Leopoldo Méndez: Revolutionary Art and the Mexican Print, il secondo volume in inglese uscito su Méndez, ad oggi la prima ed unica ricerca approfondita, dettagliata ed estremamente documentata realizzata a livello mondiale sul lavoro dell’artista. Questo libro mi ha permesso di studiare l’opera di Méndez, ed io mi sono permesso di tradurlo, riadattarlo, sintetizzarlo ed implementarlo con informazioni tratte da frammenti digitalizzati online di alcuni dei volumi sopracitati, da svariate fonti rintracciate nel web, e da parti del libro Art and Revolution in Latin America, 1910-1990 di David Craven. Il Vero riconosce il Vero. 2
MEXICO SKIT Nel 1920, al termine della Rivoluzione Messicana, gli artisti in Messico si trovarono di fronte ad un insieme unico di sfide e opportunità. Economicamente sottosviluppato, ma ricco di storia e tradizione, il Messico sperimentò un periodo di rinascimento culturale e artistico senza precedenti, generato da una comunità di artisti ed intellettuali creativi e socialmente impegnati che iniziarono a vedere se stessi come partecipanti attivi di una nuova società, convinti della responsabilità di comunicare i veri valori rivoluzionari alla gente messicana e sostenere la lotta delle masse oppresse per conquistare uguaglianza politica ed economica. Durante gli anni ‘20 e ‘30 tra gli artisti e gli intellettuali del Messico si sviluppò una potente unione di propositi e, nonostante le notevoli complessità politiche che spesso li divisero in fazioni ideologiche, un’atmosfera di collaborazione ed interesse reciproco prevalse a un livello straordinario. Lo scopo primario degli artisti della generazione post-rivoluzionaria fu quello di creare un’arte nazionale, fondata sui grandi drammi delle storia messicana: la conquista del Messico nel 1521, le guerre di Indipendenza dalla Spagna dal 1810 al 1821, la presidenza di Benito Juarez dal 1858 al 1872, l’invasione francese sotto Maximilian dal 1864 al 1867, la lunga e dispotica dittatura di Porfiro Diaz dal 1876 al 1911 e infine la Rivoluzione Messicana, una complessa e sanguinosa guerra civile che durò dal 1910 al 1920. La Rivoluzione Messicana fu l’evento formativo della maggior parte degli artisti che raggiunsero la maturità durante gli anni ‘20; fu un processo talmente drammatico e sconvolgente che i principali protagonisti del conflitto assunsero un statura mitica e ispirarono gli artisti messicani a creare una narrativa incessante nella quale la Rivoluzione e le sue promesse furono sempre presenti. Diverse figure storiche, eroi e criminali, spiccarono all’interno di questo processo di vittoria e sconfitta, e le loro storie divennero in seguito le basi per l’iconografia di un’intera generazione di artisti messicani. Il dramma della Rivoluzione Messicana si era dispiegato in un circolo di violenza. Il presidente Porfiro Diaz venne forzato ad abbandonare il Messico nel 1911, nella prima fase della Rivoluzione. Nel 1913 il liberale Francisco I. Madero, eletto nel 1911, fu brutalmente assassinato su ordine del generale Victoriano Huerta, sostenitore di Porfiro Diaz. A sua volta Huerta fu deposto dalle forze combinate del carismatico riformatore agrario Emiliano Zapata, del bandito-ribelle Pancho Villa e dell’aristocratico soldato-uomo di stato Venustiano Carranza. I tre generali successivamente si rivoltarono l’uno contro l’altro; Carranza emerse come vincitore e organizzò l’assassinio di Zapata nel 1919, ma l’anno successivo cadde vittima di un attentato. Il suo successore, Alfredo Obregon, entrò in carica nel 1920, instaurando un periodo di relativa pace in Messico. Oltre un milione di persone aveva perso la vita durante la Rivoluzione. Il nuovo governò avviò un programma di ricostruzione che incluse ampi progetti educativi, una riorganizzazione politica e la costruzione di un mito di unità nazionale. Inizialmente la popolazione messicana rispose con grande entusiasmo, ma nel tempo 3
realizzò amaramente che corruzione ed oppressione erano una condizione continua del proprio sistema politico. Fu in questa atmosfera intensamente drammatica che artisti come Méndez raggiunsero la maggiore età ed iniziarono a creare una nuova identità nazionale attraverso la propria arte. LA VIDA LOCA Leopoldo Méndez nacque il 30 giugno 1902 a Città del Messico in una famiglia della classe operaia. La madre era di origini indigene nahuatl e morì durante la sua infanzia; egli fu cresciuto dal padre (un calzolaio dalle idee radicali), insieme a sette fratelli e due zie, che lavoravano in una fabbrica di tabacco. Fin dalle origini Méndez si identificò con il proletariato e fece delle tematiche di classe un punto centrale del proprio lavoro durante tutta la sua esistenza. La Rivoluzione messicana ne segnò l’infanzia e l’adolescenza; quando si iscrisse all’accademia, all’età di 15 anni, il conflitto era ancora in atto. In quel periodo la famiglia soffrì più volte la fame poiché la guerra generava ripetute carenze di cibo. Una volta la sua famiglia finì le provviste, e Méndez andò con sua zia Manuela, munito di strumenti da cucina, a scarnificare e pulire la carcassa di un cavallo morto per potersene cibare; l’esperienza lo segnò a tal punto che, nel 1947, a 30 anni di distanza la rappresentò in una xilografia. Nel 1917 Méndez terminò la scuola primaria e, dopo aver mostrato una grande affinità per il disegno, si iscrisse all’Academia de San Carlos di Città del Messico, la più vecchia accademia dell’emisfero ovest, fondata nel 1785. Durante gli anni accademici avviò alcuni rapporti di amicizia che durarono per tutta la vita, come quello con il giovane scrittore Manuel Maples Arce; insieme agli amici e ai compagni più stretti spesso si scontrò con i canoni tradizionalisti dell’accademia, spinto dalla graduale conoscenza delle innovazioni attuate dalle avanguardie europee, diffuse principalmente dall’operato di Orozco e Siqueiros, che nel 1921 tornarono in Messico dopo lunghe esperienze in Europa e divennero due delle voci più influenti nel panorama artistico messicano, proclamando la necessità di una nuova direzione artistica nazionale. Dopo la laurea accademica conseguita nel 1919 Méndez continuò a studiare presso le nuove scuole di pittura sponsorizzate dal governo messicano: con il governo post-rivoluzionario di Obregon il ministro dell’educazione Josè Vasconcelos iniziò un’intensa politica di rinnovamento culturale, promuovendo programmi educativi di massa, finanziando la creazione di opere d’arte in spazi pubblici e costruendo biblioteche statali. Méndez si laureò in un momento significativo nel quale arte ed educazione in Messico stavano diventando intrinsecamente collegate. Egli frequentò la scuola all’aperto di Chimalistic, situata nelle periferie di Città del Messico, che lasciava gli studenti liberi di creare i propri lavori all’aria aperta in un ambiente collegiale e collaborativo, e forniva loro i materiali necessari, finanziati dal governo. In questa scuola il concetto di identità nazionale era molto marcato e Méndez, insieme agli altri studenti, iniziò ad approfondire la conoscenza della cultura precolombiana e dell’arte 4
popolare messicana, focalizzandosi sulle pitture murali tipiche dei bar popolari, sulle immagini sacre degli ex-voto e sul lavoro del noto vignettista e stampatore José Guadalupe Posada. Nel 1920 il giovane artista francese Louis Henri Jean Charlot, nato a Parigi nel 1898, si trasferì a Città del Messico ed iniziò a frequentare la scuola di Chimalistic, introducendo l’affiatato gruppo di studenti alle tecniche di incisione e di stampa del legno, mostrando loro le sue xilografie espressioniste realizzate a Parigi e aprendo nuovi orizzonti. Purtroppo non sono pervenuti i lavori realizzati da Méndez in quel periodo; egli dichiarò che dipingeva paesaggi tradizionali e realistici, e rispetto agli insegnamenti scolastici ebbe molti più stimoli dagli umili lavori che faceva per mantenersi, illustrando storie, poemi e articoli su richiesta degli amici, che venivano pubblicati in riviste e quotidiani locali. L’avvicinamento alle tecniche di stampa fu un passo fondamentale compiuto da Méndez. Il Messico aveva una lunga tradizione di stampa satirica sviluppatasi nel corso dell’Ottocento, dato che incisioni, litografie e xilografie venivano utilizzate per illustrare i giornali e le riviste. José Guadalupe Posada, storico illustratore di quotidiani, lavorò anonimamente e artigianalmente per una vita intera con grandi capacità tecniche ed una spiccata immaginazione, realizzando una mole straordinaria di lavoro: circa 15.000 immagini differenti tra incisioni, acqueforti e xilografie. Egli morì nel 1913 e divenne conosciuto grazie ai suoi calaveras, scheletri stilizzati mutuati dalla tradizione della danza macabra medievale e dalla simbologia precolombiana, che utilizzava per rappresentare ironicamente politici e personaggi pubblici; la sua iconografia influenzò intensamente gli artisti e gli incisori messicani del periodo post-rivoluzionario e nel corso del ‘900 divenne un punto di riferimento centrale. Durante gli anni ‘20 le pubblicazioni culturali «El Universal Ilustrado», «Zig-Zag» e «Revista de Revistas» presentarono i recenti sviluppi dell’arte e della letteratura europea e contribuirono a diffondere conoscenze riguardo a cubismo, futurismo, dadaismo ed espressionismo. Gli artisti messicani iniziarono a considerarsi lavoratori culturali più che intellettuali e parte di un élite privilegiata. Riflettendo il nuovo approccio collettivo, si identificarono con il sistema delle gilde medievali e rinascimentali ed ammiravano il Rinascimento per le qualità monumentali dei lavori, realizzati con un intento simile a quello che essi stavano sviluppando, ossia l’educazione politica delle masse e la valorizzazione della storia e della cultura nazionale. Probabilmente quest’affinità con i processi artistici delle ere precedenti si sviluppò in relazione all’architettura coloniale del Messico, poiché molte chiese e monasteri del ‘700 erano stati fatti affrescare da indigeni appositamente educati dagli artisti europei, ottenendo una stravagante commistione di stili nata dalla relazione forzata tra due poli culturali opposti. Nel corso degli anni ‘20, in un’atmosfera di sentito nazionalismo, molti artisti messicani iniziarono a dare meno importanza alle fonti puramente europee, rivolgendo la propria attenzione alla storia politica e culturale del Messico e rifiutando l’emulazione diretta di correnti stilistiche come impressionismo e cubismo, per riuscire a creare un’innovativa identità artistica messicana. La combinazione di questi elementi portò in secondo piano la pittura su tela, considerata una forma d’arte borghese, in favore dello sviluppo di una molteplicità di forme d’arte, generalmente considerate minori, come la pittura murale, l’illustrazione e la grafica, che adempivano a scopi socialmente utili. Questo anomalo rinascimento artistico messicano attirò l’attenzione degli artisti ed intellettuali più ricettivi dell’Europa e degli Stati Uniti, che nel corso degli anni ‘20 visitarono il Messico e ne rimasero affascinati, creando connessioni e preparando il terreno per le successive collaborazioni internazionali. 6
Gli artisti iniziarono a definire più concretamente le proprie posizioni estetiche e politiche: nel 1923 Siqueiros, Orozco, Rivera, Guerrero, Revuelta, Guadarrama, Cueto e Merida organizzarono il SOTPE (Sindacato degli Operatori Tecnici, Pittori e Scultori) e pubblicarono un relativo Manifesto, che sosteneva i diritti di indigeni, operai e contadini e promuoveva un programma politico-estetico nazionalista, indigenista ed anti-borghese; inoltre lanciarono una rivista radicale che prese il nome di «El Machete». Méndez non fece mai parte ufficialmente del Sindacato, nonostante intrattenesse rapporti collaborativi con molti dei suoi membri. Nel 1924, con l’elezione di Plutarco Elias Calles, il governo messicano si spostò politicamente verso destra e i muralisti del SOTPE assunsero posizioni radicali che, in seguito a una serie di travagliati confronti con il governo, portarono al ritiro dei fondi pubblici per le pitture murali e al conseguente smantellamento del Sindacato dopo un solo anno di esistenza. Nel frattempo le tecniche di stampa vennero adottate da molti artisti in quanto strumento funzionale per diffondere le idee rivoluzionarie in aggiunta al muralismo. Siqueiros evidenziò l’importanza della stampa in parallelo alla pittura muraria: Se ci negano le pareti statiche degli edifici pubblici, continueremo il nostro grande movimento muralista realizzando murales portatili nelle pagine di «El Machete». Nel 1922 Méndez terminò gli studi e, come molti altri pittori, iniziò a insegnare arte nelle scuole pubbliche del Messico; nello stesso anno il suo interesse per la grafica e le nuove forme di pittura lo portò ad unirsi all’emergente movimento stridentista. Nel dicembre 1921 l’intellettuale Maples Arce, amico di Méndez, scrisse il Manifesto dell’Avanguardia Stridentista, lo stampò in grande formato e, nel corso di una notte, lo affisse ovunque sui muri di Città del Messico, incitando con toni provocatori gli intellettuali e gli artisti messicani a riunirsi in un gruppo che potesse testimoniare la vertiginosa trasformazione del mondo con un adeguato approccio artistico. Egli raccolse gradualmente intorno a sé un gruppo aperto e diversificato di poeti, scrittori, musicisti ed artisti, e diede avvio ad un movimento che assorbì le idee e le innovazioni estetiche introdotte dalle avanguardie europee e seppe unirle in modo trasversale all’ideologia radicale post-rivoluzionaria che si stava affermando in Messico. Gli stridentisti crearono un miscuglio unico di stili visivi cibandosi dell’estetica delle avanguardie europee e mescolandola alla tradizione iconografica messicana; essi, a differenza del neonato movimento muralista, parteciparono attivamente a manifestazioni politiche e collaborarono con varie associazioni proletarie, ma non si allearono mai ufficialmente con il governo, rifiutando di adottare le serrate linee guida dettate da Vasconcelos. Gli stridentisti seppero riconoscere che le contraddizioni, la brutalità e la corruzione della Rivoluzione convivevano fianco a fianco con le convinzioni governative più idealiste ed utopiche, per questo rimasero indipendenti e denunciarono le ipocrisie del nuovo Stato, impegnandosi nella ricostruzione post-rivoluzionaria del Messico in modo critico ed anticonvenzionale. Dal Manifesto Stridentista: Le cose non hanno un possibile valore intrinseco, e la loro equivalenza poetica fiorisce nella relazione e nei coordinamenti tra loro. Maples Arce era in corrispondenza con molti intellettuali europei che lo tenevano aggiornato sugli sviluppi delle avanguardie artistiche e gli spedivano manifesti, pubblicazioni, riviste e pamphlet.
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Il gruppo stridentista era composto da scrittori (List Arzubide, Salvador Gallardo, Salvador Novo, Arqueles Vela e Luis Quintanilla), pittori (Jean Charlot, Alva de la Canal, Revueltas, Méndez), scultori (German Cueto), fotografi (Tina Modotti) e compositori (Silvestre Revueltas, Manuel Ponce). Anche Rivera e Siqueiros si avvicinarono al movimento e collaborarono con gli stridentisti realizzando illustrazioni per la loro rivista, ma non ne presero mai parte attivamente. Nel 1923 apparve il primo numero di «Irradiador: revista de Vanguardia» e Méndez contribuì al giornale con alcune illustrazioni. Il disegno a inchiostro La Costutera (La Sarta) è una delle prime immagini di Méndez che ci sono pervenute, con riferimenti a Rivera e al futurismo; è significativo che raffiguri una sarta nel suo ambiente domestico, mansione umile riservata alle donne del popolo. Nell’aprile del 1924 gli stridentisti organizzarono una serata con musica, lettura di poesie ed esposizione di quadri e sculture presso il Cafè Europa, collocato nel quartiere Colonia Roma di Città del Messico, loro abituale punto di ritrovo. Nel 1925 circa Méndez dipinse uno dei pochissimi quadri ad olio che ci sono pervenuti, un ritratto dell’amico Maples Arce, lavoro che risulta particolare in quanto costruito su due livelli grafici opposti e comunicanti: la figura in prima piano, eseguita in stile realista, e lo sfondo, composto invece da forme, linee e campiture astratte tipiche del movimento stridentista, che ricordano lo stile costruttivista russo. Il dipinto venne usato nel 1927 come copertina per la raccolta Poemas Interdictas di Maples Arce. Tra il 1921 e il 1928 gli stridentisti gestirono una casa editrice, Ediciones Estridentistas, che oltre ai giornali «Irradiador» e «Horizonte» produsse svariati libri di poesia, romanzi e saggi. Gli scrittori e gli artisti visivi lavoravano a stretto contatto per creare lavori omogenei che esprimessero le idee e l’estetica del movimento; questo approccio collaborativo, importante aspetto della pratica artistica e letteraria stridentista, rimase il metodo basilare di lavoro per Méndez durante tutta la vita. Gli stridentisti pubblicarono racconti e poesie di pari passo a riflessioni politiche e pamphlet rivoluzionari; spesso i due filoni paralleli si intersecavano ed influenzavano l’un l’altro, come nel caso di Urbe, poema del giovane Arce contenente quattro xilografie di Jean Charlot, nel quale la descrizione di lotte rivoluzionarie messicane si mescolò alle emozioni più intime ed introspettive del poeta, alternando cronache di manifestazioni proletarie a rime d’amore. Gli altri membri del gruppo seguirono l’esempio di Maples Arce, sperimentando liberamente; il loro atteggiamento iconoclasta non era una posa, rifletteva la convinzione che avrebbero potuto cambiare la società inventando nuove forme di espressione. Deborah Caplow
Méndez, proveniente dalla classe operaia con la quale si identificava fermamente, insieme a List Arzubide era il più radicale del gruppo, e l’esperienza stridentista contribuì a sviluppare e rafforzare il suo impegno politico. Nel 1925 Maples Arce conseguì una laurea in legge e trovò impiego a Jalapa, nei pressi di Veracruz, inizialmente come giudice statale e in seguito come segretario ufficiale del General Heriberto Jara, governatore dello Stato di Veracruz. Jara era un rivoluzionario di sinistra dalle idee radicali e dalle ampie vedute, e diede ad Arce la possibilità di continuare a Jalapa le attività stridentiste; il gruppo si trasferì così nella cittadina, ribattezzandola ironicamente Estridentopolis, senza tuttavia cessare completamente le attività a Città del Messico. Dal 1925 al 1927 il gruppo visse in una casa comune a Jalapa, ricevendo fondi governativi per la propria casa editrice; quest’esperienza intensa e radicale fu fondamentale per le successive scelte di Méndez. 9
Vivevamo tutti in una piccola casa nel modo più bohémien, alcuni di noi dormendo sul pavimento, i più sfortunati, e altri su alcune panchine che qualcuno aveva costruito per una stanza inesistente. Non abbiamo mai avuto un centesimo e nessuno ci dava credito. Ma la cosa importante era che lavoravamo duramente insieme in un’atmosfera cooperativa. Leopoldo Méndez
Il tipo di vita e lavoro comune che il giovane Méndez sperimentò a Jalapa divennero un modello che rimase tale nel resto della sua esistenza. A Jalapa gli stridentisti pubblicarono dieci numeri della rivista «Horizonte» ed una serie di libri, tra i quali Zapata Exaltaciòn. Méndez e Alva de la Canal erano gli editori di «Horizonte», che svilupparono con il duplice ruolo di giornale stridentista e pubblicazione regionale finanziata dal governo di Veracruz. La rivista perciò conteneva sia poesie e racconti narrativi che articoli sulla cultura e sulla politica messicana, focalizzati sugli avvenimenti dello Stato di Veracruz, ed era illustrata con riproduzioni di dipinti, stampe xilografiche e fotografie. Dato che si trattava di una pubblicazione ufficiale, «Horizonte» era ampiamente distribuito nell’esteso territorio di Veracruz e veniva letto da un pubblico estremamente variegato che includeva maestri, studenti, intellettuali, ufficiali governativi, lavoratori e contadini, che avevano la possibilità di leggere poesie e ricercati racconti artistici a fianco di notizie di cronaca ed informazione. Nel novembre 1926 Méndez contribuì ad un articolo di «Horizonte» sul muralismo messicano. Qui, per la prima volta su carta stampata, presentò la sua visione dell’arte e della cultura messicana, focalizzandosi sul tema dell’identità nazionale post-rivoluzionaria. Egli spiegò come l’eredità meticcia del Messico avesse ottenuto la precedenza rispetto alla cultura filo-europea dell’era di Porfirio ed annotò che la popolazione messicana iniziava finalmente ad apprezzare gli aspetti positivi della propria cultura indigena. Dopo aver brevemente descritto il lavoro dei muralisti, che picchiano sulle teste dure della borghesia, Méndez concluse l’articolo con una dichiarazione che definì la sua filosofia artistica e rimase nel tempo il nocciolo del suo sistema di pensiero. L’urgenza di esprimere i sentimenti di un popolo libero, di mettere le sue aspirazioni spirituali al servizio della Rivoluzione, ha portato i pittori ad abbandonare il concetto di arte per l’arte stessa (il quale richiede che un lavoro artistico sia rifinito fino ad essere senza difetti) in cambio di un lavoro più temporaneo, realizzato senza schemi accurati. Infine questi artisti hanno creato una nuova estetica, un’estetica di protesta, piena di brame popolari, forte e magnifica, che vive nell’intera moltitudine della ribellione e cattura l’emozione della battaglia – questa è la vita. Leopoldo Méndez
Qui Méndez espresse la convinzione che l’arte debba rispondere a circostanze immediate, al servizio dei bisogni delle masse, con valori estetici adatti alla situazione dinamica contemporanea del Messico. Méndez enfatizzò un’arte “momentanea”, che voleva catturare l’eccitazione e l’emozione della Rivoluzione. L’enfasi stridentista sulla spontaneità e l’immediatezza rifletteva l’influenza futurista, ma fu anche un risultato di questo “spirito del momento”, come Arzubide lo definì. Questo senso dell’immediato, nato dalla Rivoluzione e dal suo esito, prevalse inoltre nel lavoro dei muralisti, che stavano rappresentando la storia messicana in enormi dipinti parietali. Da questo momento Méndez si dedicò principalmente ad un’arte politicamente motivata focalizzata su eventi immediati, in costante sviluppo tramite incessanti esplorazioni stilistiche, sempre inserita nel contesto di una serie di sforzi artistici di gruppo. 11
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A Jalapa Méndez, oltre al legno, iniziò ad utilizzare il linoleum come materiale da incisione, dopo averne ricevuto gratuitamente un blocco avanzato dal restauro del palazzo governativo. La stampa da linoleum divenne una tecnica standard di Méndez e dei suoi compagni poiché era un materiale facile da incidere e tagliare, economico e molto reperibile. Con questo nuovo medium Méndez iniziò a modellare le convenzioni stilistiche degli stridentisti (irregolarità geometriche e composizioni eccentriche) per adattarle al proprio messaggio, creando lavori socialmente critici e raffigurando eventi della Rivoluzione e lotte di classe, lavorando in maniera estremamente personale sulle stesse tematiche che i muralisti stavano sviluppando parallelamente. Nel 1926 Méndez realizzò una serie di xilografie per illustrare il pamphlet Zapata Exaltaciòn, scritto da List Arzubide; queste furono le prime immagini strettamente politiche di Méndez a noi pervenute. Dal 1911 al 1919 Emiliano Zapata aveva combattuto per una riforma agraria più giusta che consegnasse allo Stato la proprietà e il controllo delle terre, scontrandosi con le grandi aziende e corporazioni locali che sfruttavano i contadini a livelli di semi-schiavitù; molte delle sue richieste erano state sviluppate in seguito alla riforma agraria attuata da Obregon e Zapata stava diventando in quel periodo uno dei miti nazionali della Rivoluzione. Tra gli stridentisti Méndez fu l’unico a sviluppare un approccio narrativo con soggetti legati a tematiche rivoluzionarie attraverso il medium della stampa; egli fu certamente influenzato dalle immense scene narrative che Orozco e Rivera stavano rappresentando in complessi cicli murali realizzati sulle pareti di importanti edifici messicani, e seppe sfruttare e riformulare con abilità questo approccio creativo e compositivo, adattandolo allo stile semplice e alle dimensioni ridotte delle stampe xilografiche, sviluppando un linguaggio visivo composto da elementi semplici ma carichi di significati metaforici. In una fotografia realizzata da Tina Modotti nel 1928 si può notare una stampa xilografica di Méndez (proveniente dal libro su Zapata) presente nella pagina frontale di «El Machete», tra le mani di contadini che lo leggono interessati. E’ l’unica prova di una collaborazione tra Méndez ed «El Machete». Nel 1927 Jara venne deposto dai suoi nemici politici e gli stridentisti furono obbligati a lasciare Jalapa in maniera tempestiva; il giorno successivo alla deposizione di Jara i soldati fecero irruzione nella sede di «Horizonte», distruggendo e bruciando ogni cosa; oltre ai numeri del giornale, molti libri non ancora pubblicati e svariate opere d’arte andarono perdute. La partenza obbligata degli stridentisti da Jalapa fu la fine ufficiale del movimento: i vari membri del gruppo presero strade diverse, ma rimasero in contatto e continuarono a collaborare nel corso degli anni. List Arzubide, che morì nel 1998 all’età di cento anni, fu l’unico che continuò ad identificarsi come stridentista e, quando il governo messicano decise di onorare la sua attività artistica con un monumento a Città del Messico, egli insistette fermamente affinché il monumento includesse tutti i nomi del gruppo stridentista, in coerenza con lo spirito collaborativo del movimento. Da Jalapa Méndez si trasferì nella città di Veracruz, dove visse per circa un anno e mezzo. L’amico Ignacio Millan, vicino al movimento stridentista, gli procurò un lavoro presso il dipartimento sanitario del porto di Veracruz. Egli doveva sezionare i ratti per controllare se portassero la peste, dopodiché li gettava in un secchio destinato agli squali della baia; Méndez dichiarò che fu il peggior lavoro della sua vita. 14
In questo periodo Mendez collaborò alla rivista «Norte», pubblicata durante il 1928 da Millan, breve tentativo di continuare il percorso artistico e letterario degli stridentisti. Nel 1928 Tina Modotti pubblicò su «Norte» una fotografia da lei definita “fotopoema”, nella quale aveva disposto un martello e un falcetto sul tavolo, uniti a lettere a stencil che formavano la parola arts, chiaro messaggio dell’unione tra arte e rivoluzione. Nello stesso anno Méndez riprese questa immagine e la reinterpretò in una piccola xilografia per la copertina del libro Un fragmento de la Rivoluciòn di Praxedis Guerrero ed Enrique Barreiro; la xilo sul retro del libro dimostra in maniera molto efficace il processo di sintesi, composizione e fusione tra testo ed immagine che Méndez stava gradualmente attuando. Tra gli anni ‘20 e ‘30 Méndez, nel corso del suo percorso artistico dinamico, sviluppò una serie di strategie visive studiando e fagocitando le stampe di critica sociale di Francisco Goya, Honoré Daumier, Kathe Kollowitz e George Grosz; nel 1931 presso il Salon de Arte di Città del Messico venne organizzata una grossa mostra di stampe contemporanee, grazie alla quale Méndez potè ammirare le opere originali di autori come Grosz e John Heartfield. Nel 1929 Méndez si iscrisse all’allora fuorilegge Partito Comunista Messicano, spinto dalle sue profonde convinzioni riguardo l’ingiustizia sociale più che da teorie politiche definite. L’amico Alberto Beltran ricorda che un giorno Méndez gli raccontò come divenne comunista: Leopoldo era più coerente politicamente di molti altri artisti perché i suoi primi anni di vita erano collegati ai livelli più bassi della società, con problemi che egli visse concretamente, perciò prendere iniziative a favore del popolo non era una teoria per lui, ma una realtà. Mi ricordo che una volta gli chiesi come divenne comunista, e lui mi rispose “grazie a una preghiera” il Magnificat che vendevano fuori dalle chiese, che lesse da piccolo e diceva che un giorno la giustizia sarebbe venuta per i poveri e i ricchi sarebbero morti. Egli mi raccontò che fu grazie a questo che divenne comunista, e non leggendo Marx o altre cose... Perciò era un marxismo molto insolito, direi più romantico... Due eventi spinsero Méndez a iscriversi al Partito Comunista. Uno fu il supporto che il partito diede alla lotta rivoluzionaria del Nicaragua, capeggiata da Augusto Sandino, contro la dittatura repressiva di Emiliano Chamorro e Adolfo Diaz, sostenuta segretamente dal governo degli Stati Uniti. Nel 1929 le forze sandiniste trovarono una bandiera americana dopo una battaglia a Chipote, prova simbolica che gli Stati Uniti erano coinvolti nel conflitto, violando le leggi internazionali; un delegato di Sandino consegnò la bandiera a Rivera, a Veracruz, che la mostrò presso il senato messicano, provocando un’indignata reazione del governo americano che pretese la restituzione del vessillo. La bandiera fu poi consegnata a List Arzubide, stretto amico di Méndez, che si recò a Francoforte, in Germania, e la mostrò presso il Congresso Mondiale Anti-Imperialista, denunciando l’operato degli USA; in seguito, non potendo rientrare in patria, Arzubide venne invitato dai rappresentanti dell’URSS a fermarsi in Russia, dove si trattenne per un anno. Il secondo evento fu l’assassinio di Julio Antonio Mella, compagno di Tina Modotti, ad opera di emissari delle forze reazionarie cubane nel gennaio 1929; questi due eventi spinsero inoltre Méndez a focalizzarsi maggiormente sulle situazioni politiche internazionali. In quell’anno Méndez ritornò a Città del Messico, iniziando un nuovo periodo di collaborazione con artisti e scrittori, facendosi coinvolgere in svariati gruppi artistici e politici. 16
Egli si unì all’organizzazione Agorismo (termine che indicava un libero scambio di idee), un gruppo di intellettuali ed artisti filocomunisti che comprendeva gli scrittori Maria del Mar e Gilberto Bosques. Gli agoristi pubblicarono una breve dichiarazione d’intenti: Il nostro è un gruppo d’azione. Intellettualità espansiva diretta verso le masse. Agorismo non è una nuova teoria artistica, ma piuttosto una definita, virile posizione di attività artistica che affronta la vita. Noi pensiamo che l’arte debba avere solo scopi profondamente umani. La missione dell’artista è quella di interprete della realtà quotidiana. Mentre ci sono problemi collettivi, che siano emozionali, ideologici o economici, un’attitudine passiva è indegna. Avendo definito questa posizione, consideriamo secondarie le questioni di tecnica ed estetica: la cosa importante è rispondere categoricamente al ritmo del nostro tempo. Agorismo: arte in movimento velocità creativa, la socializzazione dell’arte
Queste parole si accordavano con la dedizione di Méndez per l’applicazione sociale dell’arte e al suo relativo disinteresse per preoccupazioni strettamente formali; le idee agoriste erano vicine a quelle stridentiste, anche se più esplicitamente connesse alle lotte proletarie. Nel 1929 i membri dell’agorismo organizzarono un’esposizione presso una tenda circense, quella del Carpa Amaro Circus nel centro di Città del Messico, nella quale esposero copie dei loro poemi. Mendez realizzò la copertina del catalogo, una xilografia intitolata La Revolución que hace arte (la Rivoluzione che fa arte) raffigurante un soldato zapatista intento a suonare un’armonica, immagine carica di significati simbolici. Nello stesso periodo Méndez collaborò al giornale «Crisol» pubblicato dal BOI, Blocco di Lavoratori Intellettuali, che includeva Arce, Arzubide, Revuletas (compagni dello stridentismo), Rivera, Dr.Atl e altri intellettuali; Méndez si associò inoltre al gruppo 30-30, un movimento che dal 1928 al 1930 si oppose alle tendenze conservatrici accademiche. Nel 1930 Méndez intraprese il suo primo viaggio internazionale, recandosi in California a bordo di una Ford insieme a Carlos Merida, List Arzubide e a un altro compagno di cui non è pervenuto il nome. I quattro si spacciarono per i delegati di un raduno del California Automobile Club e lungo la strada vennero accolti ed ospitati dai funzionari del governo in svariate città del Messico. Le strade messicane erano molto dissestate e la loro macchina si ruppe diverse volte; una di queste furono obbligati a passare la notte in macchina, immersi nell’oscurità totale del deserto. Durante la notte sentirono un odore intenso e nauseante: 18
“Il vento ci portò il miasma di un vicino cadavere. Andammo a cercarlo con una lanterna e fui sbalordito dallo spettacolo di un cane morto in stato di decomposizione, coperto di farfalle dalle ali d’argento, farfalle carnivore che lo stavano divorando. Che orrore! Devo aver fatto un disegno con la fresca impressione di quella visione. Fu come un sogno.”
A Los Angeles Méndez e Merida organizzarono una piccola mostra presso la galleria-libreria di Jake Zeitlin, un intellettuale che diede la possibilità a molti artisti di sinistra di esporre nel suo negozio. Inoltre Méndez incontrò Juan Crespo de la Serna, uno scrittore e critico messicano che insegnava all’università della California ed aveva coordinato la commissione per il murale di Orozco presso il Pomona College. Sulla via di ritorno Méndez e Arzubide finirono i soldi e si dovettero fermare a Guadalayara, dove si arrangiarono e riuscirono a recuperare qualche soldo per una pensione e un biglietto del treno; Azurbide tornò così a Città del Messico, impegnandosi a cercare dei soldi da mandare a Méndez, che passò qualche giorno senza mangiare e riuscì a cavarsela grazie all’incontro casuale di un conoscente che lo invitò più volte a pasteggiare a casa sua. Egli non poteva immaginare quanto stimai la sua considerazione. Pensò di certo che dato che ero di ritorno dagli Stati Uniti le mie tasche fossero piene di soldi. Leopoldo Méndez
Nel 1930 Méndez realizzò alcune stampe dal contenuto non strettamente politico, illustrando il libro Gods in exile (Gli dei in esilio) di Heinrich Heine, probabilmente su richiesta di Zeitlin. Queste illustrazioni furono gli unici lavori in cui Méndez si appropriò dell’estetica della mitologia classica, realizzando immagini definite ed immediate ma al contempo valorizzate da un alto livello tecnico; le xilografie create per questo progetto, ognuna diversificata dall’altra per tratto e composizione, dimostrano la versatilità di Méndez e la maestria da esso raggiunta nel medium dell’incisione su legno. Lo stesso anno Méndez creò cinque xilografie per il libro artigianale La corola invertida (La corolla invertita), un testo poetico sperimentale dell’agorista Maria del Mar. Le sue immagini si svilupparono seguendo le sonorità poetiche e l’andamento lirico del testo, che denunciava la corruzione e gli orrori perpetrati da molti generali rivoluzionari al termine del conflitto, e la partecipazione di Méndez ne dimostrò lo spirito critico e la tendenza a non accettare in modo incondizionato nessun tipo di ideologia. Dal 1929 al 1933 Méndez lavorò per il Ministero dell’Educazione (SEP) con diverse funzioni. Nel ‘29 trascorse nove mesi all’Ufficio delle Missioni Culturali del SEP, negli stati di Jalisco e Zacatecas. Le Missioni Culturali erano un progetto realizzato con lo scopo di educare i maestri scolastici delle aree rurali, che spesso avevano un’istruzione molto rudimentale; dal 1926 al 1947 vennero mandati in queste zone gruppi di educatori che comprendevano professori, infermiere, insegnanti, tecnici industriali ed agricoli, artisti, maestri di musica e teatro, per organizzare laboratori destinati ai maestri rurali ed avviare progetti scolastici. Vari artisti parteciparono a questo progetto, tra cui Pablo O’Higgins, Alfredo Zalce e Méndez. Tornato dalle campagne Méndez avviò una permanente, anche se intermittente, attività di maestro d’arte nelle scuole del SEP. Nel corso degli anni ‘20 e ‘30, grazie al ministro Vasconcelos, il governo federale avviò un’intensa riforma educativa, facendo costruire centinaia di scuola pubbliche e conferendo alle arti un aspetto centrale all’interno del sistema didattico nazionale, generando in questo modo un’alta richiesta di maestri d’arte. Nei primi anni ‘30 Méndez lavorò ai giornali del SEP «El Sombrador» (Il seminatore) e «El Maestro Rural» (Il maestro rurale), diretti ai maestri rurali, a quelli urbani e ai contadini. 22
Il neo-ministro dell’educazione Ezequiel Padilla affidò a Méndez la realizzazione della copertina del primo numero di «El Sombrador», richiedendogli di disegnare un uomo intento a seminare stelle; Méndez, dall’approccio realistico, considerò il concetto ridicolo e preferì illustrare un contadino intento a seminare il mais, escludendosi la possibilità di entrare nelle grazie del ministro. Nel corso del tempo Méndez realizzò svariate illustrazioni per questo giornale. Un momento importante per Méndez fu quando lavorò per la rivista «El Sombrador», pubblicata dal Ministero dell’Educazione e destinata ai contadini, per i quali le immagini chiarivano i testi, spesso misteriosi. Il formato della rivista cambiò in breve tempo ed assunse l’aspetto di un manifesto illustrato. Questa pubblicazione era distribuita nelle compagne, dove veniva attesa avidamente, principalmente grazie alle stampe di Méndez, Diaz de Leon ed Ezequiel Negrete, le cui illustrazioni ai testi erano davvero magnifiche. Le parole del maestro rurale completavano e spiegavano le tematiche. Ma indubbiamente l’attenzione di quel pubblico semplice era diretta alle stampe, che lo emozionavano. Manuel Maples Arce
Nel 1929 Méndez iniziò un rapporto di amicizia e collaborazione con O’Higgins, che durò tutta la vita. Paul - poi ribattezzato Pablo - O’Higgins era un americano venuto in Messico nel 1924 per assistere Rivera ai suoi murales presso la Scuola Nazionale di Agricoltura di Champingo. In seguito si stabilì in Messico, diventando un importante membro della comunità artistica. O’Higgins realizzò un’ampia serie di murales, xilografie e litografie politiche, che esprimevano la sua radicale solidarietà per la classe lavoratrice, e fu un importante collegamento artistico tra il Messico e gli Stati Uniti, introducendo molti americani nella scena messicana e organizzando una serie di esposizioni d’arte messicana negli Stati Uniti. Nel 1931 Méndez lavorò inoltre in varie scuole d’arte per lavoratori, come il Centro Popular Saturnino Herràn, situato a Nonoalco, una sezione per la classe operaia di Città del Messico. Lo stesso anno Méndez, O’Higgins, Siqueiros, Luis Arenal e Juan de la Cablada, tutti membri del Partito Comunista, fondarono il gruppo LIP, Lucha Intelectual Proletaria (Lotta Intellettuale Proletaria). Il gruppo fu una delle prime organizzazioni di artisti apertamente di opposizione a comparire a Città del Messico negli anni ‘30, e la partecipazione di Méndez alla fondazione del gruppo segnò un passo fondamentale nel suo percorso; da allora non fu più semplicemente un membro di associazioni preesistenti a cui si legava, ma assunse il ruolo di cofondatore di nuovi collettivi. La durata del gruppo fu breve e produsse unicamente un giornale-manifesto murale di grande formato,«Llamada» (Pianto), per il quale Mendez realizzò la xilografia Arte Puro, utilizzando i tratti stilistici tipici di Grosz per delineare la faccia mostruosa e grottesca di un capitalista. La stampa di Méndez riflette la sua crescente opposizione durante il periodo reazionario del Maximato, che iniziò con l’elezione del Generale Plutarco Elìas Calles nel 1924 e durò finché il Generale Làzaro Càrdenas venne eletto presidente nel 1934. Nel 1930 Calles mise al bando il Partito Comunista, ruppe i rapporti con l’Unione Sovietica, sospese la riforma agraria, smantellò i sindacati e incentivò gli investimenti stranieri in Messico. Gli artisti messicani si opposero al nuovo governo messicano, spesso lavorando contro di esso dall’interno, principalmente nel SEP. Nel 1932 Méndez venne nominato direttore della Sezione di Disegno e Arti Plastiche del SEP, posizione che mantenne per circa un anno; egli fondò uno studio-laboratorio di stampa nel
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seminterrato del palazzo del SEP a Città del Messico e tentò di attuare una serie di miglioramenti nella struttura delle scuole d’arte pubbliche, basati su una maggiore preparazione tecnica e teoretica dei maestri di disegno e su un programma di studi più sistematico. Méndez si sforzò di incorporare le arti manuali e teatrali nell’educazione della scuola pubblica, in particolare focalizzandosi sul teatro di marionette, convinto che potesse coinvolgere i bambini in modo completo, unendo tutte le pratiche della progettazione, del disegno, della scrittura e della produzione. Méndez era famigliare alla lunga tradizione tetrale di pupazzi e marionette del Messico, a cui si era interessato fin dal periodo stridentista, quando gli amici German e Lola Cueto avevano avviato un teatro sperimentale presso la terrazza della loro casa situata a Mixcalco Street, nel cuore di Città del Messico. Cueto era un abile e versatile scultore che costruiva le marionette e le scenografie, decorandole con l’aiuto della moglie pittrice.
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Nel 1932 Méndez fondò il Teatro Guinol del Departimento de Bellas Artes de la SEP insieme alla coppia Cueto, al fratello Teodoro, Alva de la Canal, l’artista Angelina Belof, la scrittrice Graciela Amador, e altri amici. Di nuovo Méndez stava lavorando in un gruppo variegato di artisti e scrittori, questa volta realizzando produzioni teatrali popolari basate su “marionette d’artista”; egli le progettava e le realizzava a mano insieme agli altri membri del gruppo, e l’amico di vecchia data List Arzubide scriveva le storie destinate ai bambini. Il gruppo organizzò uno spettacolo a casa dei Cueto ed invitò il ministro dell’educazione Narciso Bassols e il compositore Carlos Chàvez, direttore del Dipartimento di Belle Arti, che rimasero sufficientemente impressionati da aiutarli a recuperare fondi per il progetto. Il compositore Silvestre Revuletas, che realizzò le musiche per uno di questi spettacoli, descrisse così il particolare teatro di marionette: Parla ai bambini nel loro linguaggio, riguardo cose che conoscono, e allo stesso tempo offre loro qualcosa di nuovo attraverso la sua rappresentazione ed i suoi propositi. I bambini acquisiscono, inavvertitamente e in maniera piacevole e divertente, un senso di giustizia e di dovere che non ricaverebbero mai da centinaia di lezioni noiose e da ancor più noiosi consigli. Gli spettacoli, scritti da Arzubide, furono rappresentati ovunque a Città del Messico e vennero inoltre trasmessi alla radio, rivelandosi una geniale strategia per comunicare valori socialisti in un periodo di governo reazionario; Méndez voleva includere la progettazione di questi spettacoli all’interno del programma di studi nelle scuole pubbliche, ma si scontrò con forti opposizioni e di conseguenza lasciò la sua posizione di direttore del dipartimento. Volevo un teatro di marionette che gli studenti potessero gestire; avrebbero realizzato ogni cosa, pupazzi, decorazioni, ecc., perché il teatro ha sempre avuto un senso plastico e in esso i bambini possono infondere le proprie impressioni, la propria emozione. Penso che di fatto le persone facciano teatro da quando sono piccole. Ma no, al Consiglio non piacque la mia idea, ed essi mi fecero andar via. Leopoldo Méndez
Nonostante non venissero inclusi nei piani di studio, i teatri di marionette continuarono a ricevere fondi e si moltiplicarono durante gli anni ‘30 e ‘40. Nel 1934, per aumentare il proprio raggio di azione. Il gruppo iniziale si divise tra il Teatro Rin-Rin, diretto da Germàn Cueto, e il Teatro de Tìteres Comino, diretto da Méndez; entrambi viaggiarono per le scuole rurali del 25
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Distretto Federale, inscenando rappresentazioni per bambini e contadini. Il teatro di marionette fu uno dei molti progetti che coinvolsero Méndez e riguardarono l’educazione e l’intrattenimento di estesi gruppi di persone, parte fondamentale della sua continua e trasversale attività politica fondata sull’unione di immagini, testi ed azioni performative. Nel 1932 Méndez era ormai un artista maturo e la sua fama iniziò a diffondersi in Messico; organizzò un’esibizione all’Istituto d’Arte del Wisconsin insieme a Carlos Merida e tenne una mostra personale presso la Galerìa Posada di Città del Messico, nella quale esibì 17 stampe.
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In questo periodo Méndez realizzò una delle sue stampe più efficaci e significative, Concierto de locos (Concerto di matti), anche intitolata Dios padre y lo cuatro evangelistas (Dio padre e i quattro evangelisti). Si tratta di un lavoro cruciale, che rivela la forte posizione di Méndez nell’ambiente culturale messicano tramite un’acuta e pungente cronaca della situazione contemporanea. Sovvertendo le stampe religiose tipiche del Messico, il lavoro ritrae ironicamente una figura biblica circondata da quattro insoliti evangelisti, le più note figure culturali del momento in Messico: Rivera, Siqueiros, Dr. Atl e Moisés Sàenz, direttore delle Missioni Culturali. L’inconsueta rappresentazione di Dio contiene elementi tipici del cattolicesimo e impugna un occhio triangolare, simbolo della trinità divina ma anche della Massoneria, alludendo ad una società segreta. Il Dr.Atl (Gerardo Murillo), nazionalista noto per le sue opinioni radicali e la sua influenza sui muralisti, era diventato politicamente reazionario e nel 1932 aveva espresso il suo sostegno ad Hitler; Rivera, nonostante si dichiarasse marxista, frequentava i più alti livelli della società messicana, lavorava direttamente per il governo reazionario messicano e per i Ford e i Rockfellers negli Stati Uniti; Siqueiros, il più vicino a Méndez dei personaggi rappresentati, era stato espulso dal Partito Comunista probabilmente in quanto acceso sostenitore di Stalin; Sàenz gestiva la maggior parte dei fondi governativi destinati all’arte e rappresentava la complicata burocrazia culturale messicana. In quel periodo tra i quattro personaggi era in corso un acceso ed aspro dibattito sulla cultura messicana e sulla direzione che avrebbe dovuto seguire; invece di cercare un accordo i quattro si attaccavano a vicenda, ognuno pretendendo di possedere la visione veritiera della situazione. In particolar modo Siqueiros e Rivera si stavano attaccando pubblicamente e drasticamente, in disaccordo sull’idea di arte rivoluzionaria. Méndez inserì quest’immagine in un falso volantino che pubblicizzava in maniera dettagliata e verosimile un inesistente concerto radiofonico di beneficenza tenuto dai dementi del noto ospitale psichiatrico La Castaneda, e lo diffuse in maniera virale per le strade di Città del Messico. In quest’opera geniale Méndez espresse la sua visione critica della situazione artistica messicana, nella quale artisti ed intellettuali, invece di mettere in primo piano la collaborazione e il lavoro concreto per realizzare cambiamenti sociali, si focalizzavano su protratte ed inutili dispute ideologiche; Concierto de locos denuncia questi dibattiti pubblici descrivendoli come un’assurda ed insensata cacofonia. Nel 1933, dopo molte discussioni, Méndez, Siqueiros, O’Higgins, de la Cablada e Arenal, tutti precedenti membri del LIP, organizzarono la Liga de Escritores y Artistas Revolucionarios (LEAR) con lo scopo di sostenere gli interessi della classe operaia e combattere la crescente minaccia del fascismo in Messico e all’estero. Méndez dedicò i successivi quattro anni a lavorare per quest’organizzazione, vedendola evolversi da gruppo proletario e provocatore ad organizzazione strutturata inclusa nel Fronte Popolare. 26
Egli produsse grafiche politiche, dipinse murales con gli altri membri del gruppo, redasse il giornale del LEAR, partecipò a esposizioni, conferenze ed incontri, organizzò e diresse il TEAP, Taller-Escuela des Artes Plàsticas (Scuola-Laboratorio delle Arti Plastiche), l’ala educativa del LEAR. Inizialmente le origini dell’organizzazione furono molto umili, ed essa si mantenne unicamente attraverso gli sforzi dei propri membri, molti dei quali vivevano poveramente e non possedevano nemmeno un domicilio fisso. Angelina Beloff ricorda: La sede del LEAR in Calle San Géronimo era collocata in un vecchio edificio; per arrivarci dovevo passare attraverso vari vestiboli e piccoli sporchi cortili interni dove giocavano altrettanto sporchi e logori bambini, che mi facevano un forte effetto... una tale miseria. Nel corso del tempo il LEAR avviò confronti e collaborazioni con molti gruppi di altri paesi, come i Jhon Reed Clubs negli Stati Uniti, l’Associazione Internazionale di Scrittori e Artisti Rivoluzionari di Cracovia, l’Unione degli Scrittori Rivoluzionari dell’Unione Sovietica, l’Associazione di Artisti e Scrittori Rivoluzionari in Francia. Il primo numero del giornale «Frente a Frente» (Testa a Testa) uscì nel novembre 1934, Méndez, Siqueiros e de la Cablada erano gli editori; il giornale era diretto sia agli intellettuali che ai lavoratori messicani, e vennero fatti molti sforzi per distribuirlo a livello internazionale, sopratutto nelle aree con un alto tasso di emigrati latinoamericani. Inoltre gli artisti del LEAR attaccavano i propri lavori grafici sulle pareti di Città del Messico e li distribuivano gratuitamente ai lavoratori durante incontri e manifestazioni. Il primo numero di «Frente a Frente» presentò un sommario contenente la dichiarazione dei principi del LEAR, riporto qui alcuni punti focali: L’unica qualifica necessaria per essere un membro attivo del LEAR è l’identificazione nella lotta di classe e la determinazione a portare la lotta allo scoperto attraverso la più vasta e vigorosa campagna intellettuale a favore delle grandi masse di lavoratori e contadini. Una delle nostri funzioni principali è unire le forze intellettuali davvero rivoluzionarie per opporsi alle istituzioni corrotte e alle tendenze delle arti e delle scienze borghesi. Uno dei nostri più importanti ed urgenti compiti è identificare la posizione degli artisti e degli scrittori reazionari che sono apertamente al servizio della Chiesa e della classe dominante, e denunciare e smascherare quelli che segretamente tentano di penetrare o sono già penetrati nei ranghi del proletariato in modo da tradirlo mentre pretendono di difenderlo. Attraverso letteratura, pittura, musica, teatro ed altre espressioni del lavoro intellettuale, dobbiamo dimostrare continuamente la sostanza che supporta la dominazione capitalista, insita nella cosiddetta cultura che la borghesia istituisce in ognuno dei suoi settori, dall’arcivescovo, dai seggi universitari alle scuole governative, ai partiti politici pseudo-rivoluzionari. Méndez supportò queste posizioni con una stampa satirica che criticava le relazioni del governo reazionario con il mondo dell’arte e la collaborazione di Rivera con l’amministrazione corrente; la xilografia, dal titolo Calaveras del Mausoleo Nacional, reinterpretava i celebri scheletri di Posada ed apparve sulla copertina del primo numero di «Frente a Frente». L’immagine rappresenta la serata di gala altamente elitaria tenutasi per l’inaugurazione dell’enorme, stravagante Palacio de Bellas Artes, in costruzione dal 1904, sponsorizzato dal governo. I membri del LEAR si erano opposti all’ostentato lusso dell’edificio e alla natura elitaria dell’evento; nella stampa, come sempre carica di particolari e dettagli altamente simbolici, Rivera e il neo-presidente del Partido Nacional Revolucionario applaudono l’orchestra mentre, alle loro spalle, un poliziotto scaccia una coppia proletaria.
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Rispetto al volantino Concierto de Locos, in quest’opera Méndez, coerente con le proprie scelte comunitarie, non agì da osservatore indipendente, ma rappresentò un punto di vista collettivo, quello del LEAR; inoltre con questa xilografia Méndez fu il primo artista messicano ad emulare direttamente e liberamente lo stile di Posada, sia stilisticamente che iconograficamente. Egli seppe abilmente e coscientemente incorporare ed alterare lo stile e l’iconografia di Posada sfruttandola per scopi direttamente politici e contemporanei. Queste innovazioni influenzarono intensamente la direzione della stampa politica messicana e vennero in seguito adottate da molti artisti del TGP come Arenal, O’Higgins e Zalce; la valorizzazione di Posada tramite le stampe di Méndez contribuì allo sviluppo della sua reputazione di progenitore dell’arte messicana del ‘900. Nel 1934 venne eletto presidente il Generale Làzaro Càrdenas; nonostante fosse un membro dell’ambiguo PNE prima delle elezioni, Càrdenas si rivelò il primo presidente messicano postrivoluzionario che non si lasciò deviare dalla corruzione, e si guadagnò un’alta reputazione per la sua onestà. Egli si confermò come un leader notevole, avviando una serie di riforme agrarie di ampia portata e viaggiando per il Messico per incontrare di persona lavoratori e contadini. L’ex presidente Calles e Càrdenas iniziarono a scontrarsi pubblicamente subito dopo le elezioni, finché l’anno successivo Càrdenas riuscì a mandare Calles in esilio in California, dove rimase fino alla sua morte nel 1945. All’inizio del 1935 il LEAR iniziò a produrre grandi poster che pubblicizzavano le controversie politiche messicane, appendendoli sui muri della città e distribuendoli alle manifestazioni; Méndez realizzò le xilografie per illustrare i manifesti. Il LEAR denunciò la presenza delle Camisas Doradas, gruppi armati dell’organizzazione di estrema destra ARM (Alleanza Rivoluzionaria Messicana), che attaccavano i gruppi di sinistra e i manifestanti indifesi; la situazione di violenza si aggravò a tal punto che il LEAR dovette posizionare delle guardie armate fuori dalla propria sede; durante quel periodo in Messico stava sorgendo un forte movimento antifascista in opposizione all’estesa alleanza composta da ricchi reazionari, la fazione conservatrice della Chiesa Cattolica e politici filo-fascisti che supportavano Francisco Franco, Benito Mussolini e Hitler. Questa tematica divenne centrale nelle stampe di Méndez di quel periodo. I membri del LEAR, incluso Méndez, inizialmente erano convinti che Càrdenas si sarebbe rivelato l’equivalente di Calles a causa delle sue precedenti affiliazioni politiche, ma nel mezzo del 1935, quando il presidente dimostrò la sincera intenzione di attuare riforme radicali, si ricredettero ed iniziarono ad appoggiarlo. Nel corso di quell’anno i comunisti di tutto il mondo iniziarono a promuovere l’idea di un unico Fronte Popolare mondiale, che includesse tutti i gruppi antifascisti, e il LEAR assunse posizioni più aperte per raggiungere questo scopo primario, accogliendo membri da una gamma più ampia di alleanze politiche ed incorporando alcune organizzazioni di sinistra accomunate dagli stessi scopi. Nonostante continuassero a produrre stampe politiche per le attività del LEAR, Méndez e Arenal dal 1935 smisero di occuparsi del lato editoriale di «Frente a Frente» ed iniziarono a lavorare nel TEAP, il laboratorio di arti plastiche del LEAR fondato nello stesso anno da Siqueiros. Essi organizzarono il TEAP in seguito all’esito di una serie di accese discussioni tra Rivera e Siqueiros avvenute tra il 1934 e il 1935; nel settembre 1935, di fronte ad un grande pubblico presso la sede del LEAR, Rivera e Siqueiros stipularono un accordo composto da diciannove punti fondamentali che stabilirono una nuova direzione per l’arte messicana. 32
Essi dichiararono che il movimento muralista doveva auto-analizzarsi criticamente poiché era stato solo uno stadio embrionale sulla strada di un’arte realmente politica diretta alle masse, avendo servito gli interessi demagogici del governo piuttosto che quelli reali di contadini e lavoratori. Inoltre riconobbero l’errore di aver eseguito pitture murali unicamente sulle pareti - quasi sempre interne - degli edifici di grandi enti pubblici, recludendone la visione alle masse, scegliendo ingenuamente luoghi interessanti architettonicamente piuttosto che posti strategici nel cuore delle città. Va sottolineato il punto 7 della dichiarazione: Gli artisti si sono concentrati troppo sulla pittura murale, cadendo nel grave errore di non organizzarsi in laboratori cooperativi pianificati per eseguire varie tipologie di arti plastiche, flessibili e adattabili, con lo scopo di penetrare nei più bassi livelli delle masse di contadini e lavoratori poveri grazie a queste forme, contenuti e prezzi bassi. Ci riferiamo a stampe, riproduzioni di disegni, riproduzioni tramite mezzi meccanici, ecc. Questi principi, estremamente coerenti con le tecniche che Méndez aveva adottato da tempo, scaturiti da una lunga serie di discussioni tra i membri del LEAR, dimostrarono l’enorme influenza che le idee e l’operato di Méndez avevano assunto nel panorama artistico messicano. Seguendo questa nuova strategia venne istituito il TEAP, che avviò una scuola d’arte serale per i lavoratori ed iniziò a dipingere un murale nell’Abelardo Rodrìguez Market, un edificio per il mercato pubblico appena costruito in un quartiere operaio vicino al centro di Città del Messico. Méndez non collaborò a questo progetto, ma nei primi mesi del 1936 si recò a Morelia insieme a un gruppo di pittori del LEAR, tra i quali O’Higgins e Zalce, per una “spedizione culturale”. Essi allestirono un’esposizione di dipinti, disegni e stampe presso l’università Saint Nicolas di Michoacàn, organizzarono dibattiti e proiezioni di film e dipinsero una serie di murales ai quali Méndez partecipò attivamente, presso la biblioteca pubblica della Confederaciòn Mexicana du Trabajo. Méndez, nonostante fosse divenuto un rinomato incisore, si considerava un pittore ed era frustrato per la mancanza di opportunità di realizzare murales durante la sua carriera; con il gruppo del TEAP ebbe la possibilità di realizzarne alcuni, ma purtroppo nessuna delle sue pitture murali è sopravvissuta fino ai giorni nostri dato che vennero tutti ricoperti o distrutti nel corso degli anni. La copertina di «Frente a Frente» del luglio 1936, contenente un fotomontaggio di Heartfield, dimostra che gli artisti del LEAR erano in contatto con le loro controparti europee e ricevevano la rivista tedesca «AIZ» (Giornale Illustrato dei Lavoratori) pubblicata dal sovversivo artista tedesco. Nel luglio di quell’anno il LEAR organizzò una mostra di arti grafiche presso la Biblioteca Nacional, esponendo le opere di 60 membri dell’organizzazione tra cui Siqueiros, Orozco, Tamajo, Charlot, O’Higgins, Zalce e Méndez; tutti i futuri fondatori del TGP esposero i propri lavori in quell’occasione. Inoltre nel 1936 il LEAR, in quanto membro del Fronte Popolare, partecipò al primo Congresso degli Artisti Americani Contro Guerra e Fascismo a New York, inviando una delegazione che ebbe una forte influenza su tutti i partecipanti alla manifestazione. Durante il congresso il pittore Gilbert Brown Wilson, in seguito all’esperienza di una visita in Messico, elogiò i muralisti messicani. Qui c’era arte come non l’avevo mai sperimentata; ma da quel momento in poi so che era ciò che io volevo che l’arte fosse – una reale, vitale, significante espressione, piena di propositi ed intenzioni, con influenza e relazione alla vita quotidiana della gente – parte della vita. Qui c’era la prima arte moderna che abbia mai visto. 33
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Il Congresso organizzò una mostra di incisori panamericani che girò per gli Stati Uniti e pubblicò la raccolta America Today: A Book of One Hundred Prints, contenente un passaggio molto significativo riguardante il nuovo ruolo assunto dagli artisti grafici e politici, scritto da Ralph Peterson: L’artista cessa di essere un ornamento da tè rosato, un compagno farfallone del mecenate dilettante, un eroe remoto con un nome famoso. Egli diventa, invece, un lavoratore tra i lavoratori. Durante il congresso Siqueiros spiegò le nuove direzioni per l’arte messicana proposte dal LEAR:
La Liga ha adottato il principio che l’arte rivoluzionaria non è solo un problema di contenuto ed argomenti – ma un problema di forma. Ha adottato l’idea che l’arte rivoluzionaria è inseparabile da forme d’arte che possono giungere al maggior numero di persone. Nel gennaio 1937 il LEAR organizzò un evento del Fronte Popolare a Città del Messico, il Congreso Nacional de Escritores y Artistas, che coinvolse membri del governo Càrdenas ed inviati dagli altri paesi panamericani. Il congresso si concluse con impegni definiti tra il Fronte Popolare e il governo messicano, ed il Ministero dell’Educazione diede immediatamente supporto finanziario al LEAR e uno spazio radiofonico per promuovere i suoi progetti. Durante il 1937 il LEAR crebbe notevolmente arrivando a circa cinquecento iscritti, inclusi quasi tutti gli intellettuali e gli artisti degni di nota di Città del Messico. Nonostante questi aspetti positivi, l’arrivo di finanziamenti esterni e l’aumento di dimensioni portarono grandi dissensi all’interno del LEAR, incrementati dal fatto che molti nuovi membri si erano iscritti per opportunismo. Nell’aprile 1937 il poeta cileno Pablo Neruda invitò il LEAR ad inviare una delegazione al Congresso degli Scrittori a Valencia, in Spagna; spinti dalle allarmanti notizie riguardo la grave situazione della causa repubblicana spagnola, la maggior parte dei membri più attivi e rappresentativi del LEAR (eccetto Méndez e pochi altri) decise di recarsi personalmente al congresso, privando il collettivo del suo nucleo fondamentale L’assenza di queste figure centrali, la crescita lampo del gruppo e il ritiro di alcuni dei membri fondatori portarono alla graduale dissoluzione del LEAR tra il 1937 e il 1938. Alla fine del 1937 Méndez si rese conto che il progetto del LEAR non era più perseguibile e, non volendo dissipare le energie e gli sforzi degli artisti più coinvolti, propose loro di continuare l’opera del LEAR con una nuova forma, fondando un laboratorio di grafica che prese il nome di Taller de Grafica Popular, TGP. Egli invitò O’Higgins, Arenal, Angruiano e Bracho a creare la nuova organizzazione, ed essi accettarono entusiasti. Verso la fine del 1937 il gruppo utilizzò le attrezzature dello studio del TEAP per produrre il primo lavoro ufficiale del Taller, una serie di 12 litografie per il calendario del 1939 dell’Università dei Lavoratori, una scuola fondata dal leader marxista Vicente Lombardo Toledano; il calendario fu l’unico progetto che venne attribuito sia al LEAR che al TGP, testimonianza del momento di transizione che era in atto. I principi di unione, azione collettiva, autocritica, ampia diffusione dell’arte nelle strade, produzione di lavori grafici per promuovere idee rivoluzionarie, precedentemente formulati dal LEAR, formarono il nocciolo delle attività del TGP e rimasero il fulcro del lavoro di Méndez negli anni a venire.
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Nonostante molti dei suoi membri fossero iscritti al Partito Comunista, il TGP non fu mai un’organizzazione dogmatica basata su un’ideologia politica chiusa e definitiva, ed accolse membri di diverse fazioni politiche a condizione che condividessero l’antifascismo e gli obiettivi comuni del gruppo. Nel 1937 il TGP si trasferì in un laboratorio presso Calle Cuauhtémoc a Città del Messico, che apparteneva a Jesùs Arteaga, un vecchio maestro litografo che tra le altre cose aveva stampato i lavori grafici di Orozco e Siqueiros. Egli permise al gruppo di utilizzare le sue attrezzature e lo aiutò nello sviluppo delle tecniche litografiche. Agli inizi del 1938 Zalce, Guerrero, Chàvez Morado e Fernando Castro Pacheco si unirono al collettivo e Méndez iniziò ad assemblare una strumentazione propria del TGP chiedendo all’Universidad Obrera (Università dei Lavoratori) e alla Secreteria de Hacienda (Ufficio delle Entrate) donazioni di apparecchiature e materiali usati, tra cui una pressa litografica, un torchio manuale e alcune pietre litografiche. Arteaga ottenne la prima pressa tipografica del TGP, che i membri iniziali del gruppo ricordarono sempre con profondo affetto dato che - in seguito alla targhetta di produzione forgiata nel metallo “Paris 1871” - venne soprannominata “la Comune”. Nel marzo 1938 i membri fondatori formularono il loro programma in una semplice dichiarazione: Questo laboratorio è costituito con lo scopo di stimolare la produzione grafica per il beneficio degli interessi della gente del Messico, e per raggiungere questo obiettivo si è proposto di mettere insieme il più gran numero di artisti per lavorare costantemente, principalmente attraverso il metodo della produzione collettiva. Tutta la produzione dei membri del Taller, sia individuale che collettiva, deve essere realizzata in modo tale da non favorire fascismo o tendenze reazionarie di qualsiasi tipo.
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O’Higgins, in un’intervista del 1939, sintetizzò in modo significativo la filosofia del TGP: La forza del TGP si basa sul lavoro collettivo. Il nostro interesse principale è creare contatti con la gente e con le organizzazioni popolari. Non potremmo riuscire in questo senza il lavoro collettivo che include discussione, critica e autocritica.
Il Taller si auto-strutturò richiedendo agli artisti partecipanti di presenziare a incontri settimanali, di accettare le critiche reciproche e di contribuire ai fondi del TGP con il 20% dei ricavati dalla vendita dei propri lavori individuali; dato che il Taller era un ente totalmente autonomo ed autogestito i suoi membri decisero di istituire una tariffa di iscrizione per sovvenzionare i materiali e le varie spese, la quale - nonostante fosse decisamente bassa venne gestita in modo elastico e frequentemente, su insistenza di Méndez, era condonata agli aspiranti membri più giovani e poveri. Il concetto di arte come puramente estetica ed individuale può esistere solo quando la cultura viene distaccata dai suoi interessi pratici e collettivi ed è supportata da individui singoli. Meyer Schapiro
Le immagini di Méndez, caratterizzate da composizioni intricate e immaginarie, distorsioni di scala, inclusione del testo come elemento decorativo e simbolico, costituiscono una sorta di realismo magico. Deborah Caplow
Non abbiamo mai lavorato specificamente per esibizioni, come fanno molte organizzazioni di artisti; abbiamo sempre lavorato in risposta a problemi sociali. Leopoldo Méndez
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Il TGP era un’organizzazione indipendente dalla stampa ufficiale, possedeva e controllava direttamente i mezzi di produzione e distribuzione del proprio lavoro e doveva interamente auto-sostenersi e finanziarsi, di conseguenza per certi aspetti fu meno radicale ma più consapevole rispetto al precedente LEAR. Il TGP valicò in modo coerente la distinzione canonica tra arte popolare-artigianale ed arte “raffinata”, realizzando stampe non numerate su carte economiche destinate alle masse messicane, distribuendole gratuitamente per conseguire i propri obiettivi primari, e ristampando le stesse immagini su carte di qualità in tirature limitate calcolate in modo da guadagnare il necessario per sostenersi, vendendole a collezionisti, gallerie e musei. Grazie a questa strategia la maggior parte delle stampe del TGP sono state ben conservate e sono giunte fino ai giorni nostri, al contrario di molte di quelle prodotte dai gruppi artistici rivoluzionari precedenti, andate perse. Principalmente il TGP realizzava brochure, volantini, manifesti, striscioni e sfondi per eventi come manifestazioni politiche e raduni sindacali, e lavorava sempre in modo rapido ed altamente collaborativo, dovendo spesso eseguire lavori nell’arco di una sola giornata per distribuirli il giorno successivo, seguendo in modo sincronico il ritmo degli avvenimenti socio-politici messicani ed internazionali. Inoltre i membri del gruppo svilupparono intensivamente l’usanza sovversiva di attaccare i propri manifesti sui muri di tutta la città, con l’intento di renderli visibili al maggior numero possibile di persone, come documenta una fotografia scattata in un angolo del centro storico di Città del Messico nell’inverno del 1942; la xilografia autoreferenziale TGP realizzata da Méndez negli anni ‘40 dimostra la consapevolezza dell’importanza di questa strategia, che trasformava le stampe fatte a mano del TGP in vera e propria arte pubblica sui muri e nelle strade. Nel marzo 1938 il TGP tenne la sua prima esposizione presso l’Unione degli Artisti a Chicago, che segnò l’inizio di una lunga collaborazione con artisti ed attivisti americani e fu ben accolta, procurando le commissioni per altre cinque mostre allestite a New York tra il ‘38 e il ‘40. Nel 1940 il gruppo ricevette entusiasticamente la richiesta di organizzare una mostra nell’Unione Sovietica, e mandò una raccolta di 101 stampe realizzate da 15 artisti. Per Méndez era la prima occasione di mostrare i propri lavori nell’ammirata Russia comunista, ma inaspettatamente l’esposizione non fu ben accolta e il gruppo ricevette dure critiche; in Russia il controllo statale aveva imposto agli artisti linee estetiche molto demarcate, incentrate su un neo-accademismo idealizzante che doveva glorificare acriticamente gli obiettivi statali, perciò le stampe messicane vennero giudicate tecnicamente mal realizzate, grezze, imperfette, grottesche e non realistiche. La critica russa scrisse: Non c’è un singolo lavoro nel quale all’operaio o al contadino vengano conferiti aspetti di bellezza fisica e morale.
Nel luglio 1938 il TGP affittò uno studio collocato in un vecchio edificio presso Calle Belisario Domìnguez nel centro di Città del Messico. Lo scrittore americano McKinley Helm lo visitò e nel 1941 lo descrisse così: Era una una di quelle desolate case popolari – ne trovi spesso nel cuore di Città del Messico – dove un bagno all’aria aperta nel cortile serviva incivilmente circa due centinaia di inquilini. In tre piccole stanze fuori dal patio operano dodici artisti contemporaneamente in un laboratorio che oggi produce, in linea di massima, le più affascinanti stampe che si possano trovare nell’Emisfero Ovest. 40
Nel ‘38 Méndez, che potè sentire i racconti diretti dell’amico Zalce, realizzò una serie di xilografie legate alla drammatica rivolta dei cristeros, un gruppo di contadini e fanatici cattolici che, supportati dalle forze conservatrici della Chiesa Cattolica, nel corso degli anni ‘30 uccisero centinaia di maestri rurali accusandoli di insegnare ai bambini ideali atei e sessualmente immorali. Egli realizzò svariati volantini per sensibilizzare la popolazione rurale, denunciando le crudeli violenze dei cristeros e difendendo l’operato dei maestri; in uno di questi offriva ai maestri rurali la possibilità di avviare una sorta di abbonamento mensile per ricevere altri volantini da diffondere, suggerendo vari modi per distribuire il materiale: Si infila facilmente sotto le porte... E’ adatto per essere collocato sui muri o nella posta, sugli alberi e sulle rocce... E’ facile da distribuire agli incontri... Puoi attaccarlo sulle carrozze del treno. La propaganda rivoluzionaria deve piovere su tutto il paese. Il nostro volantino è un’arma. Méndez realizzò inoltre una serie di 12 litografie, ognuna accompagnata dal nome di un maestro assassinato e dalla descrizione delle circostanze in cui era stato ucciso; queste stampe, come sempre, vennero distribuite gratuitamente alla gente e furono incluse nella campagna del Ministro dell’Educazione contro i cristeros; Méndez intitolò la serie En nombre de Cristo, sfruttando in modo tagliente il linguaggio religioso per comunicare con una popolazione profondamente devota, colpendo direttamente al fulcro della questione. Lo stesso anno il TGP collaborò con due artisti americani, Robert Mallary e Jim Egelson, creando una serie di 18 poster litografici che pubblicizzavano conferenze antinaziste presso il Palazzo di Belle Arti di Città del Messico, organizzate dalla Liga Pro-Cultura Alemana, un gruppo di rifugiati politici tedeschi. Le litografie vennero stampate in serie di 200 copie l’una e furono affisse nelle strade, creando un’efficace pubblicità per le conferenze. Sono significativi i manifesti realizzati da Méndez e O’Higgins, nei quali il primo, creando un individuo mezzo umano e mezzo macchina completamente fuori scala, si impossessò delle innovazioni stilistiche dei surrealisti, mentre il secondo reinterpretò una celebre immagine di Heartfield; questi lavori evidenziano la libertà creativa e stilistica del TGP, che incorporava e reinterpretava le più svariate fonti visive rimodellandole verso i propri fini. Nel 1939 la Guerra Civile spagnola terminò con la vittoria delle forze franchiste, suscitando la gioia delle forze politiche reazionarie messicane ed infliggendo un duro colpo alle speranze della Sinistra internazionale; Mèndez, Arenal, Anguaiano e Guerrero realizzarono una serie di quindici litografie intitolata La Espana de Franco, con lo scopo di ironizzare la vittoria franchista e sminuirne l’impatto psicologico; le stampe vennero distribuite per le strade di Città del Messico. Un’eccezione all’ironia generale della serie è rappresentata dall’inquietante stampa di Méndez La amenaza del fascismo, con Hitler e Mussolini che sovrastano una povera famiglia di contadini messicani, immagine che assunse una funzione profetica riguardo la piega che presero gli eventi internazionali nei mesi seguenti, e dimostrò la profonda capacità di Méndez di comprendere la situazione politica mondiale e la sua relazione con quella più specificamente messicana. Méndez e gli altri membri del TGP lavorarono ininterrottamente a progetti antifascisti dal 1937 fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Basando la loro pratica su cooperazione e collaborazione, gli artisti del TGP si scambiavano idee compositive e spesso lavoravano insieme sulla stessa stampa; ne risultarono immagini straordinariamente efficaci, caratterizzate da un’ampia gamma di varietà stilistiche e concettuali. 41
Méndez stesso fu tremendamente versatile e creò immagini con caratteristiche stilistiche e tecniche molto diverse l’una dall’altra. Nel 1939 la fama di Méndez come artista antifascista era tale che gli venne conferito un premio dal Guggenheim Museum per viaggiare negli Stati Uniti. Henry Allan Moe, il segretario della Guggenheim Foundation, consigliò l’itinerario di viaggio a Méndez e gli diede una serie di lettere di presentazione per artisti e professori che avrebbe potuto incontrare lungo la strada, tra i quali l’antropologo Franz Bolm. Méndez partì nel marzo del 1939 e si diresse a New York attraversando gli stati meridionali degli USA e rimanendo impressionato dalla visione dei prigionieri di colore che lavoravano nei campi del Texas. In un’intervista racconta di aver fermato la macchina per osservare la scena: Questi prigionieri neri cantavano insieme mentre lavoravano. Rimasi lì a fare schizzi finché le guardie a cavallo si insospettirono e vennero a dirmi di andarmene il più in fretta possibile. C’erano, penso, più di trecento prigionieri neri lì. Il Sud!
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Méndez aveva previsto di rimanere un anno negli Stati Uniti, ma dovette tornare in Messico dopo soli 7 mesi. Si era recentemente sposato e sua moglie, Andrea Hernàndez, lo seguì in tutto o in parte del viaggio; a causa delle sue instabili condizioni fisiche, poiché era incinta, Méndez decise di tornare a Città del Messico. In seguito Méndez ricevette la proposta di realizzare una serie di dipinti murali presso la Scuola Nazionale di Preparazione Maestri; i direttori gli dissero che purtroppo non c’erano fondi per il progetto e avrebbero potuto pagargli solo parte dei materiali. Perciò Méndez chiese ad Allan Moe di poter comunque ricevere i fondi destinati agli ultimi cinque mesi che avrebbe dovuto passare negli Stati Uniti per realizzare quei murales, ma la richiesta gli venne negata. E’ incredibile come Méndez, nonostante fosse un artista noto ed affermato, avesse scelto di vivere poveramente, investendo i suoi pochi guadagni nel TGP, e fosse disposto entusiasticamente a realizzare una serie di imponenti pitture murali in maniera totalmente gratuita, profondamente coerente con i propri ideali socialisti. Egli, fino agli anni ‘60, non poté permettersi un’automobile o uno studio personale. Ecco un passaggio chiave della lettera di Méndez diretta al segretario del Guggenheim: La scuola non ha soldi per pagarmi e potrebbe solamente provvedere ai materiali grezzi, perciò non sarebbe un lavoro ma piuttosto una grande esperienza personale e un considerevole passo avanti nel mio percorso. Dopo il suo ritorno in Messico nel 1940, il TGP affrontò un periodo di agitazione e conflitti interni. Il più significativo di questi colpì Méndez profondamente, rompendo la sua lunga, collegiale relazione con Siqueiros. Il 24 maggio Siqueiros e un gruppo di artisti e minatori tentarono di assassinare Leon Trotsky, esiliato a Coyoacàn, un sobborgo di Città del Messico. Due dei partecipanti, Luis Arenal e Antonio Pujol, erano membri del TGP, e Siqueiros frequentava occasionalmente il laboratorio; essi, senza il permesso di Méndez e degli altri membri del Taller, utilizzarono la sede del TGP come campo base per organizzarsi ed indossare divise paramilitari nella notte in cui attuarono l’attentato, che si rivelò un fallimento. Il giorno seguente la polizia interrogò tutti i membri del TGP quando arrivarono al laboratorio ed arrestò ingiustamente Méndez e Sànchez, imprigionandoli per qualche settimana; non è stato registrato il periodo esatto, probabilmente la detenzione durò poco meno di un mese, ma segnò Méndez nel profondo, facendolo sentire tradito da alcuni stretti collaboratori e impedendogli di assistere alla nascita del suo primo figlio, che vide per la prima volta da dietro le sbarre. 44
Dopo l’episodio Méndez smise di sostenere attivamente il Partito Comunista, che aveva commissionato il tentato omicidio; Siqueiros, in risposta all’aspra reazione di Méndez nei confronti dell’affare Trotsky, quando tornò in Messico dopo il suo esilio iniziò una lunga campagna di detrazione contro il TGP, attaccando le sue tecniche manuali ed antiquate ed accusandolo di non voler acquistare una stampante offset per modernizzarsi e potenziarsi. Per me [acquistare una stampante offset] è sempre stata e continua ad essere un’idea nobile, ma non si adatta alla realtà del Taller. Una macchina di questo tipo stampa 4.000 copie all’ora. In una giornata di lavoro si può eseguire una grande quantità di disegni, dato che cinque, sei, sette disegni possono essere stampati su una lastra. Vale a dire che in un’ora - se uno fa quattro stampe in un’unica lastra - 16.000 copie di un’immagine possono essere stampate. Ciò richiede un apparato molto efficiente di distribuzione e significa appartenere ad un grande business, e noi non siamo mai stati grandi uomini d’affari! Inoltre, una macchina non può essere inattiva, ma è necessario farla funzionare costantemente per giustificare la sua esistenza e per mantenerla. Né sono gli artisti che devono attivarla. Sarebbe assurdo chiedere agli artisti di gestirla da soli. Per questo motivo io sono contro la meccanizzazione del Taller oggi come oggi. Leopoldo Méndez
Questo insieme di avvenimenti portò una serie di tensioni all’interno del Taller e, in seguito ad accanite discussioni sul sistema di vendita dei lavori prodotti, Morado, Anguiano, Dosamantes, Escobedo e Ramìrez lasciarono il gruppo; rimasero Méndez, O’Higgins, Zalce, Bracho, Aguirre e Mora. Nel 1939 lo scoppiò della Seconda Guerra Mondiale influenzò intensamente i membri del TGP, che moltiplicarono i propri sforzi per produrre immagini antifasciste; nel 1942 Hannes Meyer, architetto svizzero che era stato direttore del Bauhaus a Dressau, si trasferì in Messico e divenne il “manager” finanziario e contabile del TGP, i cui membri, impegnati con fervore a creare e diffondere stampe politiche, faticavano a gestire i conti economici del laboratorio. In questo periodo Méndez realizzò alcune xilografie incentrate sul dolore delle donne, madri e mogli, durante la guerra, ispirandosi alle incisioni drammatiche della Kollowitz, che apparvero sul giornale «Freies Detuschland», realizzato dagli esuli tedeschi in Messico. Nel 1942 Méndez collaborò inoltre al Libro Negro del Terror Nazi en Europa, un imponente volume progettato da Meyer, composto da 298 pagine di testi, fotografie, disegni e stampe riguardanti gli effetti del nazismo in Europa; all’opera contribuirono 56 scrittori e 24 artisti visivi provenienti da tutto il mondo, tra i quali Tolstoj, Heartfield e la Kollowitz. Il libro conteneva 32 lavori realizzati dai membri del TGP. Oltre a un ritratto di Gramsci, tra i lavori di Méndez realizzati per il volume spicca la sensazionale xilografia Deportaciòn a la muerte, nella quale, con l’utilizzo di un doppio registro grafico già sperimentato in precedenza, raffigurò la deportazione nazista dei prigionieri ebrei verso i campi di concentramento. In quel periodo si stavano diffondendo le prime notizie dettagliate riguardanti lo sterminio ebraico, e la stampa di Méndez è - se non la prima - una delle prime immagini artistiche note sull’Olocausto realizzate da un artista al di fuori dei campi di concentramento; la stampa è inoltre una delle prime immagini in assoluto dello sterminio ad essere stata ampiamente distribuita e disseminata; ancora una volta Méndez dimostrò la sua straordinaria sensibilità nell’intuire la portata degli eventi politici internazionali. Nel 1942 Méndez realizzò la xilografia Corrido de Stalingrado, appropriandosi nuovamente dello stile di Posada; l’immagine, nonostante celebrasse la vittoria sovietica nella battaglia di Stalingrado, possiede uno statuto ambiguo che dimostra lo spirito critico e la tendenza a 45
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rifiutare rigide teorie propagandistiche caratteristica dell’arte politica e poliedrica di Méndez. L’aspetto lugubre del generale sovietico è tutt’altro che eroico e ricorda la figura negativa del cavaliere dell’Apocalisse; l’immagine ha il potere di confondere lo spettatore ed annullare la possibilità di una lettura univoca, esprimendo la lotta di Méndez contro tutti gli orrori della guerra e l’impossibilità di diffondere una visione integralmente positiva di una violenta e sanguinosa vittoria militare. Lo stesso anno, su consiglio di Meyer, il TGP fondò la propria casa editrice, che prese il nome di La Estampa Mexicana, e per prima cosa pubblicò un album di stampe di Posada, rendendo omaggio al proprio maestro. Grazie ai primi incassi della casa editrice ed ai fondi ricevuti per El Libro Negro, il Taller riuscì ad assestarsi economicamente e nel 1943 si trasferì in un laboratorio migliore presso Calle Regina. Nel 1944 Méndez realizzò uno dei suoi pochi – e straordinari – lavori non direttamente ed espressamente politici, creando le illustrazioni per il libro Incidentes Melodicos del Mundo Irracional di Juan de la Cablada, pubblicato da La Estampa Mexicana. Il libro fu un grande successo finanziario e vinse il premio come miglior libro illustrato presso la IV Fiera del Libro di Città del Messico. Il testo di de la Cablada era una fantasiosa reinterpretazione di alcune canzoni folkloristiche dello Yucatàn, scritte in quiché (un dialetto maya) ed affiancate alle traduzioni in spagnolo, arricchite dalle rispettive note per suonarle; Méndez creò 42 xilografie ispirandosi liberamente all’immaginario precolombiano ed unendolo allo stile delle sue stampe politiche, generando un ibrido unico ed evocativo; elementi stilistici dell’arte maya, utilizzati per rappresentare gli animali “buoni” del racconto, sono infatti affiancati agli elementi politici simbolici ricorrenti nei lavori di Méndez, utilizzati per rappresentare l’avvoltoio antagonista, vestito da imperialista reazionario con tuba e frac. Nella seconda metà degli anni ‘40 il TGP cominciò a raccogliere i frutti dei propri sforzi strategici ed attraversò un periodo solido e dinamico, consolidandosi come importante centro di lavoro collettivo ed attraendo nuovi membri ed artisti ospiti dal Messico e dall’estero; l’aumento degli introiti derivati dalla casa editrice e dalla vendita di stampe a gallerie e musei permise di incrementare la produzione di lavori gratuiti destinati a sindacati ed organizzazioni di sinistra. Alcuni artisti si trasferirono in Messico appositamente per unirsi al TGP, mentre altri, dopo aver frequentato il laboratorio per periodi variabili di tempo, fecero ritorno nei propri paesi per avviare laboratori collettivi di stampa politica su modello del Taller; tra gli altri, Gloria Heller e Arnold Mesches fondarono il Laboratorio di Arti Grafiche a Los Angeles nel 1947 e Leonard Baskin, Antonio Frasconi e Stan Kaplan fondarono il Laboratorio Grafico di New York nel 1949. Nel frattempo nacque la seconda figlia di Méndez, a cui venne dato lo stesso nome della moglie, Andrea; l’amore di Méndez per i propri figli emerge da un manifesto realizzato per il 1° maggio del 1947, contenente un ritratto di Pablo ed Andrea. Nelle dichiarazioni rilasciate, i suoi figli ricordano Méndez come un padre aperto ed affettuoso, che si trovava a proprio agio sia tra i poveri contadini messicani che tra gli artisti e gli intellettuali più noti. Mariana Yampolsky, una giovanissima artista americana che si era unita al TGP nel 1944, lo descrisse così: Leopoldo era un leader, una fonte di forza, interessato a tutti, e dava la stessa attenzione ai principianti come a chiunque altro, senza la minima idea che egli fosse superiore.
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Nel 1949 l’intero gruppo del Taller, insieme a una serie di artisti ospiti, realizzò una cartella di 85 stampe sul tema della rivoluzione messicana. La descrizione della procedura lavorativa del TGP effettuata da Jules Heller racconta che vennero invitati presso il laboratorio storici e scrittori a parlare della storia politica messicana, dopodiché venne raccolto ed appeso ai muri un ampio numero di fotografie della rivoluzione e degli anni successivi ad essa. In questa stimolante atmosfera ogni artista selezionò le immagini più interessanti scrivendovi sopra le proprie iniziali; poi ognuno fece una serie di schizzi, che vennero disposti sul pavimento ed esposti alle critiche del gruppo. Infine gli artisti iniziarono a realizzare le stampe, spesso lavorando a coppie sulla stessa immagine, che uno disegnava e l’altro incideva, implementandosi a vicenda. Méndez e Zalce realizzarono una xilografia sulla deportazione del generale reazionario Calles, che Zalce disegnò e Méndez incise, generando una singolare commistione tra i due stili differenti. La serie 89 Estampas de la Revolucion Mexicana venne realizzata collettivamente da 16 artisti in circa due anni, per un totale di 550 cartelle e 46.750 stampe, due terzi delle quali vennero vendute in un anno. Il 10% dei consistenti guadagni fu donato ad associazioni culturali progressiste di tutto il mondo: Città del Capo, Mosca, Montreal, New York, Lisbona, Berlino, Genova. Tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50 Méndez realizzò una serie di xilografie ironiche con calaveras, caratterizzate da un’arguzia tagliente unita a composizioni ingegnose. Una di queste, Calaveras Televisiosas del 1949, indica l’interesse di Méndez per i nuovi mezzi di comunicazione di massa e sottolinea ancora una volta il suo sguardo profondo e profetico. L’immagine rappresenta un gruppo di scheletri che osserva un televisore acceso nella vetrina di un negozio, e svela senza mezzi termini le oscure potenzialità del nuovo medium, che iniziava a diffondersi in quegli anni. Un gruppo di persone del popolo - un operaio, una madre col bambino, due ragazzini - osserva attonito il televisore, la cui luce irradiante contiene uno scenario opposto: un gruppo di uomini ricchi, elegantemente vestiti, seduti a una tavola imbandita, che brindano ricambiando lo sguardo con un sorriso beffardo ed inquietante; l’immagine, critica al consumismo opulente promosso e promesso dalla televisione, esprime una consapevolezza incredibilmente prematura riguardo al potere del nuovo medium. Il titolo, Calaveras Televisiosas, è un intelligente neologismo tra la parola “viciosa”, che significa vizioso, e la parola “television”; oltre al titolo, il volantino che venne distribuito nelle strade conteneva le seguenti scritte: Tutto per un buchino. Ora anche se non ho tortillas, però... c’è la televisione! Le riflessioni di Méndez sul medium del video trovarono un’altra applicazione poiché esplose il periodo d’oro del cinema messicano, e nel paese si iniziò a produrre centinaia di pellicole di grande qualità, che spesso ottennero riconoscimenti internazionali; su richiesta dell’amico cineoperatore Gabriel Figueroa, Méndez realizzò una serie immagini per gli sfondi dei titoli iniziali e finali di sette film di Emilio Fernàndez e tre film di Roberto Gavaldòn. Méndez fu estremamente coinvolto ed interessato da questa possibilità, che gli permetteva di ingrandire le sue xilografie nella dimensione dello schermo e trasformarle in una sorta di murale in movimento per il pubblico di massa delle sale cinematografiche, raggiungendo ed impressionando molte più persone rispetto ai tradizionali murales dipinti sulle pareti di edifici pubblici.
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Il pubblico le poteva ammirare nella dimensione dello schermo. Era una possibilità totalmente nuova vedere una stampa ingrandita in quella dimensione, era un vero murale. Gabriel Figueroa
Nello stesso periodo Méndez iniziò a sperimentare altre tecniche di ingrandimento, realizzando xilografie di grosso formato e mettendo a punto due tecniche innovative: l’ingrandimento fotografico delle proprie stampe per installazioni temporanee e le incisioni su fogli di plastica di enormi dimensioni. Egli realizzò uno sfondo per una conferenza Unesco nel 1947, un ingrandimento sul tema di Posada nel 1956, e una stampa fotograficamente ingrandita per un fondale sulla vita di Garibaldi, esposto nel 1957 al Palazzo di Belle Arti di Città del Messico. Intorno al 1946 Méndez venne espulso dal Partito Comunista per motivi ignoti, probabilmente legati alla sua reazione indignata all’affare Trotsky. Nel 1947 Lombardo Toledano organizzò la Tavola Rotonda dei Marxisti Messicani, che portò alla formazione del Partido Popular (PP), un partito indipendente, democratico, anti-imperialista e orientato verso un forte sindacalismo a favore dei lavoratori; Méndez, O’Higgins e altri membri del TGP, tra cui Bracho e Beltràn, si iscrissero al partito. Il Taller realizzò lo sfondo per la prima assemblea del PP nel novembre 1947, dipingendo quattro immensi ritratti di altrettanti personaggi fondamentali della storia messicana: Hidalgo, Morelos, Juàrez e Madero; gli schizzi eseguiti da 16 membri del TGP vennero auto-analizzati, auto-criticati ed infine fusi insieme in un bozzetto finale. Nel 1949, per il suo dodicesimo anniversario, il TGP pubblicò una raccolta bilingue dei suoi precedenti lavori, intitolata TGP México: doce anos de obra artistica colectiva/ TGP Mexico: a record of twelve years of collective work. Ecco alcuni passaggi interessanti del prologo: In quest’edizione troverai il TGP per quello che è. Non ci sono trucchi o ritocchi. Non ci sono riflettori per illuminare ogni dettaglio che sembra positivo o per oscurare un errore. Soprattutto potrà servire da esempio agli artisti plastici che sono interessati a riunirsi per lavorare intensamente e costantemente. Un altro scopo di questo album è mostrare alla classe operaia che l’arte e gli artisti non sono stranieri ad essa; che alcuni artisti combattono fedelmente in mezzo a loro, fedeli anche alle tradizioni del realismo plastico messicano, tentando sempre di mettere la propria capacità creativa al servizio della gente. In questo modo i lavoratori possono capire che l’arte è un lavoro ed un’attività sociale utile, non l’ozioso passatempo che i filosofi borghesi pretendono che sia. Gli artisti e i lavoratori capiranno che l’artista può essere un utile collaboratore del lavoratore ed entrambi potranno avviare un solido, efficace rapporto. Leopoldo Méndez
Che uso può fare l’imperialismo mondiale di un’arte che indaga i mali esportati da Wall Street – odio razziale e antisemitismo, ignoranza e bigottismo, bellicismo e bomba atomica? La quantità di oro e pittura surrealista che è comparsa nell’elegante 42 Street di New York, dislocata dalla guerra, è certamente significante. Acclamate come la somma e la finalità dell’arte, le forme mistiche ed astratte sono state usate per camuffare l’ingiustizia sociale e l’esistenzialismo è stato creato per fornire una nebbia artificiale. Ciononostante il TGP ha guardato attraverso di esse ed ha disegnato quello che vede. Hannes Meyer
Durante la Guerra Fredda la svolta radicale verso destra degli Stati Uniti e l’ascesa del maccartismo, con il suo forte anticomunismo, danneggiarono il libero scambio artistico avvenuto tra gli artisti messicani e quelli nordamericani, diminuendo l’afflusso di artisti ospiti presso il Taller; nel 1951 il Dipartimento di Stato nordamericano etichettò il TGP come organizzazione del fronte comunista e proibì ai suoi membri l’ingresso negli Stati Uniti. 52
Verso la fine degli anni ‘40 i membri del Taller iniziarono a focalizzarsi sul tema della pace mondiale, e nel 1949 realizzarono una filmina - ossia una pellicola contenente una serie di fotogrammi che vengono proiettati come diapositive - intitolata Quiénes quieren la guerra – quiénes quieren la paz? Who wants war – who wants peace?, con testi in spagnolo e inglese. La pellicola criticava il conflitto della Guerra Fredda e lo sfruttamento capitalista dei paesi del Terzo Mondo, e richiedeva la liberazione delle popolazioni colonizzate; Méndez contribuì al lavoro con quattro stampe xilografiche. Dato che i rapporti con gli Stati Uniti divennero limitati, il TGP rafforzò i propri legami con America Latina, Cina ed Europa durante l’inizio degli anni ‘50; nel corso di questo decennio il TGP tenne una serie di esposizioni del proprio lavoro in Unione Sovietica che furono meglio accolte rispetto alla prima, nonostante avessero ricevuto critiche molto simili. Nel 1947 Méndez viaggiò per l’Europa orientale come delegato messicano al Congresso degli Intellettuali per la Pace di Wroclaw, in Polonia, dove conobbe Pablo Picasso; Méndez continuò poi il suo viaggio in Cecoslovacchia, Germania, Francia e Italia. Fu un’esperienza molto toccante poiché vide le città europee devastate dalla guerra che iniziavano ad essere ricostruite, e conobbe molti artisti ed intellettuali europei con i quali avviò corrispondenze e collaborazioni. La seconda metà degli anni ‘40 fu un periodo estremamente positivo per il TGP, che accolse un gran numero di artisti ospiti provenienti da vari paesi ed instaurò un atmosfera internazionale di cooperazione e produttività. Al contrario, anche se il TGP rimase altamente prolifico e produttivo, creando centinaia di immagini pacifiste, gli anni ‘50 furono un periodo di agitazioni interne al gruppo; le differenze politiche causarono disaccordi dannosi tra i membri del collettivo, specialmente a causa di molti dei componenti più giovani, iscrittisi da poco, che appartenevano al Partito Comunista, in antagonismo con il Partito Popolare, e pretendevano che il TGP si affiliasse ufficialmente al proprio partito. Nel 1952 Méndez vinse il Premio Internazionale per la Pace del Consiglio Mondiale per la Pace grazie al suo lavoro artistico anti-bellico; egli ricevette una medaglia e un premio equivalente a 6.000 pesos presso il Congresso Mondiale per la Pace di Vienna. Nonostante il premio sia stato ufficialmente consegnato a Méndez, egli richiese che venisse aggiunto il nome del TGP. Il premio era un importante riconoscimento personale ma Méndez, per preservare l’armonia del gruppo, decise di dividere la somma tra tutti i membri del TGP. Nel dicembre del 1952 Méndez si recò ad Aguascalientes per iniziare un murale riguardante il lavoro e la vita di Posada, che con grande delusione non poté terminare perché il governatore statale che aveva commissionato il progettò morì e il suo successore decise di non finanziarlo. Nel 1953 l’artista afroamericana Elizabeth Catlett, moglie di Francisco Mora (componente del TGP) informò i membri del gruppo delle condizioni razziali negli Stati Uniti, ed essi realizzarono entusiasticamente una serie di ritratti di eroi ed eroine afroamericani che vennero pubblicate sulla rivista americana «Freedom», di Paul Robenson, celebre cantante pacifista afroamericano il cui ritratto venne realizzato da Méndez. Catlett raccontò che le venne quest’idea quando vide una suggestiva fotografia scattata nella classe di una scuola rurale ad Oaxaca, le cui pareti erano interamente ricoperte dalle illustrazioni realizzate dal TGP per la rivista «El Maestro Mexicano», ampiamente distribuita nelle zone rurali del Messico. Gli anni ‘50 furono un periodo molto duro per Méndez: partecipò ad una campagna politica 53
fallimentare del Partito Popolare, ed in seguito venne espulso dal partito perché non approvava l’influenza esercitata dall’Unione Sovietica su di esso, si separò dalla moglie e osservò il TGP disgregarsi lentamente, eroso dalle tensioni interne generate dai membri più giovani. Sebbene producesse meno stampe rispetto alla straordinaria quantità generata nei periodi precedenti, Méndez realizzò alcuni dei suoi lavori più elaborati e tecnicamente elevati nel corso di questi anni. The Making of Tortillas è una grande ed estremamente raffinata xilografia di 35 x 121 cm del 1954, nella quale la preparazione delle tortillas a livello industriale venne messa a confronto con quella popolare tradizionale, senza esprimere un giudizio netto a riguardo; la stampa fu creata come bozzetto per una pittura murale mai realizzata. Nel 1953 realizzò una grande xilografia in omaggio a Posada, ritraendo l’incisore all’opera nel proprio studio. Gli anni ‘50 terminarono con la disgregazione del TGP a causa dei sempre più numerosi conflitti interni e politici che resero impossibile ai membri del collettivo lavorare insieme come un gruppo unito; Méndez rimase profondamente deluso dal processo che portò al termine del TGP, e questo momento segnò la fine del lavoro collettivo di Méndez nelle arti grafiche. In realtà, sebbene si fosse conclusa l’esperienza del TGP come gruppo unito ed affiatato, basato su un’attività produttiva quotidiana ed iper-prolifica, di fatto il gruppo non si sciolse mai completamente e definitivamente; il Taller venne portato avanti da un ridotto nucleo di membri storici, affiancato da nuovi partecipanti, seppur con intensità, costanza ed efficacia estremamente ridotte rispetto al periodo precedente. E’ praticamente impossibile recuperare notizie certe e dettagliate riguardo all’operato del TGP dagli anni ‘60 in poi: secondo le fonti più accreditate il Taller chiuse, si ricompose, riaprì e si trasferì svariate volte nel corso degli anni, finché nel 2007 riuscì ad ottenere una sede-laboratorio stabile presso Calle Manuel Villada n°46 a Città del Messico, dove un gruppo di incisori è ancora attivo e realizza laboratori artistici di incisione e stampa per bambini e ragazzi. Verso la fine degli anni ‘50, considerando terminata l’esperienza del TGP, nello stesso modo in cui era stato ispirato dalla fine del LEAR per creare il Taller, Méndez decise di fondare una casa editrice, sforzandosi ancora una volta di riempire un vuoto nel panorama culturale del Messico; egli infatti, anziché impegnarsi nell’affermazione della propria gloria e fama come artista singolo, si impegnò a creare dei volumi che potessero documentare, preservare e diffondere gli aspetti dell’arte messicana da lui più amati. Nel 1959 ebbe l’idea di creare un volume sul muralismo messicano per celebrare il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione; Méndez presentò questa proposta al governo messicano, riuscendo a farla arrivare fino al presidente Lopez Mateos, ed ottenne i fondi per realizzare il volume e creare una casa editrice che lo pubblicasse, che prese il nome di Fondo Editorial de la Plàstica Mexicana. Méndez seguì ogni dettaglio della pubblicazione e raccolse un vasto gruppo di collaboratori, composto da poeti, scrittori, artisti, storici e fotografi, per la realizzazione di un progetto completo. Il risultato fu La pintura mural de la revoluciòn mexicana, che nella prima edizione venne stampato in 10.000 copie, 5.000 in spagnolo e 5.000 in inglese, ed è tutt’oggi il volume illustrato più completo ed esaustivo sui murales messicani ad essere stato pubblicato. Nel 1963 Méndez produsse un importante volume su Posada, José Guadalupe Posada: ilustrador de la vida mexicana, contenente un vasto numero di riproduzioni di alta qualità, rimasto la 54
più autorevole collezione del lavoro di Posada fino ad oggi; infine Méndez produsse un terzo lavoro, Lo efìmero y eterno del arte popular mexicano, un libro composto da due volumi che documenta tutti gli aspetti dell’arte folkloristica messicana nel modo più vasto e completo possibile. Il tomo venne stampato nel 1971, dopo la morte di Méndez e, come le altre due pubblicazioni, rimane ad oggi la più esaustiva ricerca illustrata su questo soggetto. Nel 1960, mentre lavorava a tempo pieno per queste pubblicazioni, Méndez poté permettersi uno studio personale per la prima volta nella vita, collocato nella sede della nuova casa editrice. Nonostante ciò Méndez visse ancora più poveramente degli anni precedenti, poiché dopo la separazione dalla moglie lasciò gran parte dei suoi effetti personali e dei suoi guadagni nella casa precedente, a disposizione della famiglia, e visse con Micaela Medel - sua compagna dai primi anni ‘50 fino alla morte – in tre case successive di legno e di cartone auto-fabbricate, le cui pareti si riempivano rapidamente di stampe e schizzi. In questo periodo dipinse ad olio, a tempera e con gli acquarelli, dato che aveva sempre voluto dipingere molto più di quanto riusciva a fare, e riempì quaderni con schizzi per stampe e murales. Nel 1968 venne nominato membro fondativo dell’Academia de las Artes en México, un’associazione onoraria parte dell’Instituto de Bellas Artes nazionale; Méndez celebrò l’occasione con un banchetto al ristorante insieme ai suoi amici storici dai tempi del movimento stridentista: Maples Arce, List Arzubide, Arqueles Vela, Germàn Cueto e Salvador Gallardo. Tre mesi dopo gli venne diagnosticato un cancro in fase terminale e morì in ospedale l’8 febbraio 1969, all’età di 67 anni. I tre libri pubblicati furono, sotto certi punti di vista, un contributo fondamentale alla cultura messicana tanto quanto le stampe e l’attività artistica di Méndez che, in modo estremamente coerente con i valori che perseguì tutta la vita, negli ultimi anni decise di mettere da parte la propria carriera artistica nel desiderio di documentare e preservare i più singolari aspetti dell’arte messicana e consegnarli alle generazioni future. Oggi i lavori di Méndez continuano a comparire in pubblicazioni, volantini e manifesti di attivisti messicani, spesso senza l’attribuzione e la firma, in linea con i suoi metodi e ideali. L’appropriazione incessante delle immagini di Méndez per cause politiche attuali dimostra la loro capacità di penetrare il fulcro delle questioni socio-politiche messicane in modo continuo e duraturo, riuscendo a radicarsi profondamente nell’immaginario visivo della popolazione del Messico: il sogno di Leopoldo.
Recentemente, al TGP è stata data nuova vita. A Oaxaca - non molto tempo fa il posto preferito da turisti di buon gusto, ora una città in subbuglio – è sorto un gruppo di giovani artisti che potrebbero essere chiamati i nuovi figli del TGP. Non più linoleum o neolite, ora ci sono spray e stencil. La qualità del loro lavoro è sorprendente, anche se inevitabilmente irregolare, dato che devono lavorare in fretta per evitare di essere catturati e imprigionati. E’ questo l’inizio di una nuova era nella storia del TGP, in cui una nuova generazione attingerà dal meglio che essi avevano da offrire, lasciando indietro quegli aspetti che sono datati e profondamente problematici? Carmen Bollousa 1 55
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BIBLIOGRAFIA SKIT Ho tentato di realizzare un elenco di tutti i volumi pubblicati su Méndez e, più generalmente, sul lavoro del TGP, evidenziando quelli in lingua inglese. I testi pubblicati prima del 1995 sono estremamente difficili da recuperare, e molti di essi sono oggetti da collezione.
1963 - Elena Poniatowska, Los 60 años de Leopoldo Méndez, Città del Messico, Artes de México
1970 - Manuel Maples Arce, Leopoldo Méndez, Città del Messico, Fondo de Cultura Económica
1981 - Leopoldo Méndez: artista de un pueblo en lucha, Città del Messico, Centro de Estudios Económicos y Sociales del Tercer Mundo
1984 - Rafael Carrillo Azpeitia, Leopoldo Méndez: Dibujos, grabados, pinturas, Città del Messico,Fondo Editorial de la Plástica Mexicana
1992 - Helga Prignitz-Poda, El Taller de Gráfica Popular en México, 1937-1977, Città del Messico, Instituto Nacional de Bellas Artes
1994 - Francisco Reyez Palma, Leopoldo Méndez: oficio de grabar, Città del Messico, Consejo Nacional para la Cultura y las Artes
1999 - Jules Heller, Codex Méndez: prints by Leopoldo Méndez (1902-1969), Tempe, Arizona State University Art Museum
2000 - Carlos Monsiváis, Leopoldo Méndez y su tiempo: colleción Carlos Monsiváis: el privilegio del dibujo, Città del Messico, Editorial RM
2007 - Humberto Musacchio, El Taller de Gráfica Popular, Città del Messico, Fondo de Cultura Económica
2007 - Deborah Caplow, Leopoldo Méndez: revolutionary art and the Mexican print, Austin, University of Texas Press
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Tutto cominciò al Modigliani nel 2005 quando mi trovai a scaldare i banchi in fondo all’aula con Azz The One alias Wes alias Mano alias Caccionero alias Ah-Lé-Buoi e Siriela alias Zenop alias Mc Nuto alias Sir-Yo alias Cawinocellino. Un giorno ci apparve la Canaglia Marcia, e da allora non fummo più gli stessi. Cominciammo ad idolatrarla ed alimentarla con tutti i mezzi a nostra disposizione: oscenità, riti, sacrifici morali, skateboarding, fingerskate (sono ancora il meglio), punk, rap, fristail, fumetti e soprattutto pittura. La Canaglia ci appare nelle notti scure, è multiforme e multinome: Cane Morto, Canae Mauerto, Cannemorce, Caperro Muerto, Canna Morta, Ciemme, Cwanye Mwortce, Cane Roncio, Bizkanaia, e via dicendo. Non è possibile rappresentarla individualmente: noi fedeli possiamo cercarla solamente dipingendo senza tregua uno sull’altro, cancellando e sistemando costantemente le parti dipinte dagli altri che si allontanano dal Volto della Canaglia; quando percepiamo che lo stile di uno dei tre arriva vicino alla rappresentazione della vera faccia della Canaglia, gli altri due lo imitano il più possibile per onesta invidia e necessità viscerale: grazie a questo ce ne usciamo con gli stili più fuori, anche se lo realizzeranno a posteriori. Sacra Canaglia quanto sei Bella, Sacra Canaglia quanto sei loca.
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A Cuba, in contrapposizione alla Russia, non è stato fatto il tentativo di creare un’arte che possa essere capita dalla gente, il tentativo è di educare la gente al punto che possa capire l’arte. Ernesto Cardenal 1
Il 25 novembre 1956 ottantadue ribelli si imbarcarono sulla nave Granma e salparono dalle coste del Messico alla volta di Cuba, capeggiati da Fidel Castro. Furono attaccati appena sbarcati e solo in dodici sopravvissero; tra di essi Fidel, il fratello Raul Castro ed Ernesto Guevara de la Serna. Mentre in Messico l’esperienza del TGP si andava gradualmente disgregando, questo ridotto gruppo di ribelli seppe accendere una rivoluzione contro il dittatore repressivo e reazionario Batista che divampò in tutta l’isola e si protrasse per due anni, concludendosi con la fuga di Batista e la conquista dell’Avana da parte delle truppe rivoluzionarie l’8 gennaio 1959 – lo stesso anno in cui Méndez, disilluso, abbandonò il TGP. Oltre a stanziare forti investimenti per sviluppare l’educazione nazionale e lanciare un’imponente campagna di alfabetizzazione di massa, uno dei primi obiettivi del governo rivoluzionario fu quello di avviare un processo di decolonizzazione visiva, mirato a porre le basi di un’auto-rappresentazione nazionale che affermasse le proprie originali radici espressive. Il neonato governo, fin dall’inizio, adottò in maniera intensiva l’uso del manifesto, lo riformulò e lo sfruttò come strumento artistico comunicativo di straordinaria efficacia; fra le molteplici attività nazionali venne usato per promuovere mobilitazioni popolari, ricorrenze storiche, campagne sanitarie ed educative, eventi culturali e sportivi. Cuba è un paese sufficientemente piccolo da permettere ai manifesti di essere un medium efficace, utilizzabile per raggiungere un’utenza molto ampia; la maggior parte dei poster prodotti vennero sparsi come semi per tutta l’isola - e in seguito nel resto del mondo affissi per strada, sui muri e nelle apposite bacheche, nelle scuole e negli edifici pubblici; principalmente vennero adottati tre formati standard: 35 x 50 cm, 50 x 70 cm e 70 x 100 cm. Senza dubbio un riferimento lampante fu quello del TGP, che era all’apice della sua notorietà nella prima metà degli anni ‘50, quando il gruppo di esuli cubani e rivoluzionari internazionali pianificò la rivoluzione cubana in territorio messicano. L’esplosione dell’emergente industria cinematografica cubana negli anni ‘40, e il bisogno di pubblicizzare i film prodotti, aveva già portato ad un primordiale sviluppo di un originale approccio nazionale alla grafica pubblicitaria. Il governo rivoluzionario istituì apposite agenzie statali addette alla progettazione e realizzazione dei manifesti, assumendo giovani disegnatori provenienti dal settore grafico-pubblicitario e dalle accademie d’arte, affiancandoli a tecnici di stampa e ad affermati pittori nazionali. Dalla “scoperta” delle Americhe l’Avana è stata un nesso storico tra Vecchio e Nuovo Mondo, e Cuba possiede un patrimonio culturale miscellaneo – composto da elementi africani ed europei – che questi gruppi misti di illustratori, grafici, designer, fotografi e pittori seppero sfruttare abilmente. Essi lavorarono fianco a fianco in un’atmosfera collegiale e collaborativa caratterizzata da ampia libertà espressiva, e furono incoraggiati a valorizzare i propri peculiari stili individuali per creare un’estetica nazionale innovativa e indipendente, che si distaccasse sia dal realismo propagandistico dell’era di Batista che da quello dell’Unione Sovietica.
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Questa unione di creativi provenienti da ambiti differenti portò ad una ricca commistione di riferimenti storici e contemporanei, tra i quali i manifesti grafici polacchi, giapponesi, svizzeri e cecoslovacchi, i cartelli pubblicitari nordamericani, i movimenti d’avanguardia dell’arte plastica del ‘900, l’iconografia sacra, l’arte psichedelica e l’estetica pop. Tutti questi riferimenti vennero assunti tuttavia in modo critico, sovvertendo i loro significati, col fine di esprimere e divulgare concetti socio-politici rivoluzionari tramite un lessico graficoestetico contemporaneo, avvincente, chiaro e diretto. Dai primi anni ‘60 i disegnatori dovettero affrontare varie difficoltà d’ordine esecutivo dovute in parte alla non sviluppata industria poligrafica dell’isola e, soprattutto, alle pesanti restrizioni d’ordine economico legate alla difficile situazione finanziaria cubana, che spesso determinavano un razionamento dei colori e dei materiali necessari per l’impressione; a volte l’area inchiostrata non doveva superare il 40 o 50% della superficie totale del manifesto. Questo portò gli artisti ad inventarsi audaci strategie visive, stimolate dalla possibilità di partecipare alla ricostruzione rivoluzionaria del paese creando un’arte direttamente rivolta alla popolazione, valorizzata da un’alta considerazione sociale; tutto ciò spinse costantemente i disegnatori a sviluppare grande agilità intellettuale, efficace capacità di sintesi e destrezza tecnica e contemporaneamente contribuì a sviluppare la sensibilità e la percezione delle masse. In questo modo il manifesto divenne un medium artistico popolare in tutta la nazione e generò una cultura grafica nazionale di elevato livello, unica nel suo genere. Se al manifesto politico e sociale spetta sostanzialmente una funzione d’arma ideologica, quello culturale poteva viceversa giovarsi di una maggiore sperimentazione artistica. Tuttavia, come inevitabilmente accade in un contesto dove originali sincretismi e processi di meticciato e di creolizzazione costituiscono l’essenza stessa della cultura, le due tendenze riservate al cartel finirono col mescolarsi e l’amalgamarsi, dando origine davvero a una tercera via stilistica, nella quale il manifesto poteva essere utilizzato, allo stesso modo, per incitare il popolo a partecipare a comizi, per annunciare un film o promuovere una maggiore coscienza nel lavoro agricolo, così come per chiamare alle armi di fronte a un pericolo d’invasione. E’ un incitare all’azione, un trabocchetto visivo, uno stimolo alla partecipazione o allo sviluppo della coscienza. Elena Scantanburlo 2
La maggior parte dei poster cubani vennero prodotti sotto gli auspici di tre agenzie: l’Istituto dell’Arte e Industria Cinematografica (ICAIC), Editoria Politica (EP) e l’Organizzazione di Solidarietà con i Popoli dell’Africa, Asia e America Latina (OSPAAAL). Nonostante queste agenzie svilupparono ognuna la propria area di specializzazione, spesso molti artisti lavorarono trasversalmente e contemporaneamente per tutte e tre. Uno dei primi emendamenti ufficiali del governo rivoluzionario (24 marzo 1959) fu la fondazione dell’ICAIC, Instituto Cubano del Arte y la Industria Cinematograficas, la prima agenzia che diede una spinta fondamentale allo sviluppo dell’arte dei manifesti cubani. La cultura cinematografica è sempre stata enormemente popolare a Cuba, e questo ente aveva un laboratorio serigrafico responsabile della realizzazione di poster per tutti i film prodotti a livello nazionale e, in maniera assolutamente anomala, anche per tutti i film stranieri distribuiti nell’isola, i cui manifesti internazionali ufficiali - estremamente diffusi nel periodo prerivoluzionario - venivano rifiutati. Perciò, sotto la guida del direttore Alfredo Guevara e del responsabile artistico Saul Yelin, i primi sforzi dell’ICAIC furono indirizzati a un progressivo allontanamento dagli stereotipi 71
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d’esotismo e d’erotismo inventati ed esportati dal cinema americano, reinventando i manifesti dei più celebri film mondiali, filtrati e modificati dallo sguardo cubano, che interpretava il tema del film con un approccio liberamente artistico piuttosto che limitarsi a promuovere un determinato attore o regista, creando poster radicalmente diversi rispetto a quelli pubblicitari convenzionali prodotti in stile Hollywood. Quest’agenzia fu l’unica che, coerentemente ai propri obiettivi, utilizzò i manifesti come prodotti commerciali, mantenendo un piccolo negozio a l’Avana e vendendoli nel mercato locale e internazionale; dal ‘59 ad oggi l’ICAIC ha realizzato poster per circa 2.500 titoli cinematografici. Editoria Politica (EP), il dipartimento editoriale ufficiale del Partito Comunista cubano, inizialmente nacque con il nome di Commissione per l’Orientamento Rivoluzionario (COR 1962-1974), poi mutò in Dipartimento per l’Orientamento Rivoluzionario (DOR 1974-1984) ed infine si trasformò in Editoria Politica nel 1985. Quest’agenzia fu responsabile della vastissima gamma di informazioni pubbliche diramate a livello nazionale e le sue risorse erano a disposizione di svariate agenzie governative minori, come la Federazione delle Donne Cubane, la Confederazione Nazionale dei Lavoratori e l’Associazione degli Studenti Caraibici; risulta molto difficile quantificare precisamente la produzione complessiva dell’EP, che indicativamente si aggira intorno a 7.000 differenti poster. Per quanto riguarda l’ultima delle tre agenzie principali, a mio avviso la più significativa, la sua storia è più particolare ed è collegata al sostegno dato da Cuba ai movimenti di tutto il mondo in lotta per ottenere cambiamenti politici fondamentali contro governi repressivi e reazionari. Dal 3 al 15 gennaio 1966 all’Avana si tenne la Prima Conferenza dei Popoli dell’Africa, Asia e America Latina; prendendo in considerazione l’ampiezza assunta dal movimento rivoluzionario in questi continenti e trovandosi di fronte all’urgenza di coordinare e intensificare la solidarietà per rafforzare la lotta contro l’imperialismo, il colonialismo e il neocolonialismo, venne deciso di creare, come misura immediata, una struttura permanente che prese il nome di Organizzazione di Solidarietà con i Popoli dell’Africa, Asia e America Latina, OSPAAAL. Quest’organizzazione non governativa fu strutturata sotto la direzione di una Segreteria Esecutiva Permanente, composta da un Segretario Generale e da dodici segretari (quattro per ogni continente), con sede all’Avana. Nell’aprile dello stesso anno l’organizzazione cominciò a stampare il Bollettino Tricontinentale e nell’agosto del 1967 pubblicò il primo numero della propria rivista, chiamata «Tricontinental», allegando un manifesto di piccolo formato, ripiegato nella sua cucitura centrale; questa pubblicazione mensile si sviluppò esponenzialmente con una distribuzione che nel 1989, l’anno precedente alla chiusura, raggiunse le 30.000 copie diffuse in 87 paesi del mondo. La rivista era pubblicata in quattro lingue (inglese, francese, spagnolo, arabo) e quasi sempre nelle pagine centrali includeva uno dei poster realizzati dall’OSPAAAL per supportare le lotte di liberazione e le organizzazioni rivoluzionarie degli anni ‘70-’80. Questo semplice atto di violare la convenzionale purezza formale di un manifesto, piegandolo per la spedizione, fu la chiave di quello che divenne il più efficace sistema di distribuzione mondiale di poster della storia. Alcuni manifesti vennero addirittura progettati per sfruttare i vantaggi di questo processo, presentando immagini disposte in modo da “mutare” seguendo il processo di apertura del manifesto piegato. Lincoln Cushing 3 73
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Fin dall’inizio, i nuovi disegnatori dell’OSPAAAL scelgono il cammino della negazione critica mediante l’appropriazione, con carattere di materia prima riciclabile, degli annunci e della psicologia pubblicitaria, della simbologia e dei miti capitalisti, insieme alle opere di scultura e pittura, patrimoni dell’umanità sviluppati fin dall’antichità remota, compreso il classicismo e i valori apportati dai movimenti dell’arte plastica contemporanea. Insiemi iconografici divulgati dai mezzi di informazione occidentali vengono manipolati al contrario, ricreando nuove e impattanti realtà con significati comprensibili e distruttori dei convenzionalismi. A complemento delle immagini appaiono testi brevi in spagnolo, inglese, francese e arabo, strutturati insieme in modo armonico ed omogeneo per ottenere efficaci risultati comunicativi. Il manifesto dell’OSPAAAL spinge il suo sviluppo a partire dall’integrazione di effigi anche con elementi contemporanei ed ideologie contraddittorie tra loro e, in un grafico gioco di prestigio, violenta canoni e dipendenze di spazio e tempo; giustappone o mette in rilievo passato e presente; crea, in un apparente assurdo, metafore visive portatrici di messe a fuoco e proiezioni dirette alla coscienza dei destinatari per stimolare vissuti interni, pretese legittime e virtù umane. A volte in modo successivo, a volte in modo simultaneo, questo movimento dei manifesti riflette stili, lessici, grafiche, tecniche, procedimenti e concezioni dissimili nel corso del suo tragitto. Adotta il simbolo, la sintesi, la fotografia contrastata o sovraesposta con immagini della gente anonima di varie etnie; disegna con realismo volti di eroi, patrioti, martiri o personalità importanti; manipola mappe e insegne nazionali. Con proiezioni rinnovatrici e sperimentali assume anche risorse o codici provenienti dall’illustrazione, dal collage, dalla serigrafia e dall’immagine testuale con tipografia contemporanea. Incorpora inoltre il plastico artigianale tridimensionale, giocattoli e artefatti industriali codificati dall’oggettistica del meccanismo consumista della moderna civiltà di massa. Mediante un’incessante appropriazione creativa ed articolante, questa manifestazione delle arti visive cancella non solo le frontiere tra pittura, grafica e fotografia, ma sfrutta anche in modo sovversivo tutti i mezzi che considera utili per la trasmissione di messaggi che generano impegno sociale e stimolano speranze per un’esistenza più dignitosa. [...] Risulta impressionante la diversità dei popoli ai quali ha diretto il suo messaggio, la varietà tematica affrontata, la molteplicità delle influenze assunte criticamente, l’utilizzo della simbologia culturale dell’Occidente con carattere di appartenenza e la metabolizzazione dei suoi significati liberati dalle loro condizionanti primogeniture. L’emissione comunicativa carente di ingenuità ne ha permesso la ricezione e il giudizio sia di intellettuali che di analfabeti di nazionalità e culture diverse dei cinque continenti. Eladio Rivadulla Pérez 4
Gli elementi pop, i colori psichedelici, l’uso di fotografie polarizzate e di negativi fotografici, mutuati dal nemico americano, vennero impiegati per non appiattire la grafica cubana sul modello del realismo socialista sovietico... E’ comunque evidente che lo stile nordamericano veniva profondamente risemantizzato dai cubani: ciò che poteva sembrare in apparenza un’appropriazione di tendenze di gusto controrivoluzionario era trasformato, in realtà, dall’interno del suo stesso codice significante. Elena Scantanburlo 5
Nel corso di uno straordinario trentennio, invece di creare prodotti vendibili, gli artisti cubani hanno avuto la possibilità di utilizzare collettivamente le proprie abilità per promuovere servizi e costruire una comunità, sfidando la demarcazione tra arte raffinata ed arti minori. Questa massa di poster non commerciali fu il frutto diretto della Rivoluzione - che nella sua prima fase tentò di puntare tutto sul capitale umano a discapito di quello monetario - e rappresenta tuttora una cosciente applicazione dell’arte al servizio di miglioramenti sociali. 76
Più che affiche, più che manifesto, più che annuncio, è una sempre rinnovata mostra di arti suggerenti [...] Gli artisti cubani del manifesto, del poster, liberi dall’idea fissa di incitare al consumo, tentavano di portare l’arte nella calle. Alejo Carpentier 6
Tengo a sottolineare che non ho la minima intenzione di glorificare l’operato generale del governo post-rivoluzionario cubano, la mia vuole semplicemente essere una breve analisi di uno straordinario fenomeno artistico e culturale favorito da esso; il proseguo della storia rivoluzionaria è noto - spesso i progetti nati con le migliori intenzioni finiscono con i peggiori esiti - anche se a Cuba sono stati raggiunti importanti risultati dal punto di vista sanitario e da quello dell’alfabetizzazione, passata dal 43% al 98%. Dal collasso del Blocco Sovietico nei primi anni ‘90, Cuba sta attraversando un duro periodo di crisi economica nel quale ha perso favorevoli accordi commerciali e vari sussidi per la produzione di olio e zucchero; questo processo ha portato a un forte calo di investimenti nel settore culturale, tutte le agenzie di manifesti hanno cessato di essere sovvenzionate dallo stato ed ora, quelle sopravvissute, dipendono da lavori pubblicitari su commissione e hanno quasi del tutto perso i propri valori originari. Per quanto riguarda la bibliografia internazionale relativa all’argomento la quantità di volumi comparsi fino ad oggi è estremamente ridotta rispetto alla portata storica del fenomeno, considerando inoltre che i libri in merito usciti negli anni ‘70-‘80 sono difficilmente rintracciabili ed hanno prezzi esorbitanti. Nel 1970 McGrew-Hill ha pubblicato The Art Of Revolution, con scritti di Susan Sontag e Dugald Stermer e riproduzioni a colori dei poster cubani; da allora – fino al 2003 – è apparso solo un altro breve volume dedicato all’argomento, Cuban poster art: a retrospective, 19611982, pubblicato nel 1983 dalla Westbeth Gallery di New York come catalogo di una mostra omonima tenutasi presso gli spazi della galleria. Nel 1997 l’OSPAAAL ha pubblicato un libro-catalogo per documentare i poster prodotti, intitolato OSPAAAL’s Poster: Art of Solidarity, con testi in inglese, italiano e spagnolo. Solo nel 2003 è stato pubblicato un volume più completo sull’arte dei manifesti cubani, in lingua inglese, intitolato Revolución!: Cuban poster art, scritto da Lincoln Cushing ed edito da Chronicle Books. Per quanto riguarda l’Italia l’unica pubblicazione in merito è Buena Vista: mezzo secolo di grafica cubana, con scritti di Andrea Bosco ed Elena Scantamburlo, pubblicato da Mazzotti nel 2006 come catalogo di una mostra tenutasi al Palazzo delle Stelline di Milano tra gennaio e febbraio dello stesso anno. Infine nel 2010 è stato pubblicato Soy Cuba: Cuban Cinema Posters From After the Revolution, di Carole Goodman e Claudio Sotolongo, edito da Trilce Ediciones, dedicato specificatamente ai manifesti del cinema cubano, con testi in inglese e spagnolo.
Se dovessimo indicarne i principi generativi essenziali, li dovremmo rintracciare nel rifiuto della dicotomia tra arti maggiori e minori e nell’esigenza di assumere l’arte non semplicemente all’interno di un codice estetico, quanto piuttosto nel tentativo di servirsene per democratizzare la cultura, diffondendola da prima in “todos los rincones de la isla”, e poi, con la fondazione dell’OSPAAAL, anche in Asia, Africa e nel resto del continente latinoamericano. Elena Scantanburlo 7 77
Durante gli anni al liceo artistico il professore di Discipline Plastiche mi forzava a modellare sculture secondo schemi formali muffi, con un borioso equilibrio tra piani concavi e convessi, curve e linee; in quinta mi sono vendicato tirando una martellata al naso della sua scultura di San Giuseppe, che ci aveva obbligato a realizzare per il presepe di Giussano. Negli anni seguenti battaglioni di piccole sculture popolari hanno attaccato, combattuto e distrutto le mie opere liceali. Un giorno una di queste opere ha preso vita e si è munita di ruote per riuscire a diffondere la sua presunta bellezza di piani plastici boccioniani; io mi sono limitato a documentarne le avventure, ed è nata la video-saga della Scultura Idiota. Ovviamente ha fatto una brutta fine.
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Ho sempre speso una gran quantità di attenzione per quello che succede sui muri. Quando ero giovane, spesso copiavo i graffiti. Pablo Picasso 1
Ci sono. Tocca alla street art, ma voglio prenderla da lontano, parecchio lontano. Oggi chiunque ne parla, dal portinaio al direttore del museo, spesso con una superficialità che mi spaventa; si mescolano indistintamente writing e street art, due movimenti connessi ma profondamente differenti, si identificano come street artists personaggi che ora lavorano esclusivamente nelle gallerie, si analizzano i movimenti in base a luoghi comuni lontani dai reali punti focali, si costruiscono evoluzioni storiche incomplete, generiche e revisioniste.
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Per comprendere la street art bisogna partire dal writing, la cui storia può essere capita ed analizzata solo in relazione alla cultura hip-hop, approfondita nella GHOST TRACK. Nonostante a partire dai primi anni ‘80 abbia subito pesanti strattoni da parte della cultura istituzionale - mirati a trasformare un movimento di controcultura in un’estetica giovanile commercializzata e stereotipata - il writing ha continuato autonomamente ad evolversi, codificarsi e diffondersi su scala mondiale, protetto dalla sua autoreferenzialità; infatti il writing è nato e si è sviluppato essenzialmente come fenomeno sotterraneo e chiuso in se stesso, in cui i protagonisti mirano a guadagnarsi una fama anonima e interna al movimento, che si consegue diffondendo il proprio pseudonimo a livello sia quantitativo che qualitativo. Per quantità si intende il numero di scritte realizzate, valorizzato dalla scelta di posti rischiosi, altamente visibili e difficilmente accessibili, mentre per qualità si intende l’elaborazione estetica delle scritte, basata su uno studio calligrafico delle lettere mirato a demarcare un forte stile personale, valorizzato da originalità, scelta cromatica e destrezza tecnica nell’uso dello strumento – esclusivamente bombolette spray. Nel writing l’interesse per la reazione del mondo esterno è marginale, quello che conta è la sfida tra i partecipanti: si afferma chi, seguendo i codici e i regolamenti interni, riesce a oltrepassare i limiti imposti dal precedente king, a livello cittadino, provinciale, regionale, nazionale e mondiale. Nonostante le imprese più imponenti rimangano incise nella memoria del writing, questa sorta di “vittoria” - che il linguaggio hip-hop ha definito street fame (fama di strada) - è sempre relativa e momentanea, poiché in breve tempo qualcuno aggiunge qualcosa in più. Inoltre i writers non agiscono quasi mai da soli, ma si riuniscono in crew (lett. equipaggi), gruppi a volte ristretti a volte molto estesi che collaborano, si aiutano e si supportano durante le imprese notturne, troppo rischiose da realizzare in modo solitario; perciò i writers, oltre a diffondere il proprio nome, diffondono contemporaneamente quello delle proprie crew. Questa sfida costruttiva rigenera e rinnova continuamente il movimento, impedendogli di sedimentarsi e fossilizzarsi. Sebbene per certi aspetti possa avvicinarsi a una sorta di sportgioco estremo, questo movimento non si è mai istituzionalizzato e, a partire dagli anni ‘80, dopo essersi diffuso a livello mondiale, è prevalso un aspetto di collaborazione intensa tra i propri membri, basato su una serie di video, fanzine e riviste auto-prodotte che hanno contribuito a creare una fitta rete di contatti internazionali, favorendo uno scambio incessante a tutti i livelli. 86
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I writers, per diffondere il proprio nome nel più vasto raggio possibile, viaggiano intensamente, favoriti dal forte senso di appartenenza del movimento; è consuetudine che un writer in una città straniera contatti dei writer locali – esperti di luoghi, tempistiche, e tecniche per agire al meglio nella propria città – per dipingere insieme a loro. L’autoreferenzialità, oltre ad aver protetto il movimento dagli attacchi esterni, è stato anche l’elemento chiave che ha favorito la nascita e l’evoluzione della street art. Infatti nei primi anni ‘90 molti protagonisti del writing hanno iniziato a focalizzarsi sulla relazione del proprio lavoro con il mondo esterno, sforzandosi di superare i limiti autoreferenziali. Quest’attitudine, nata in seno a un movimento già radicato ed esteso a livello globale, si è diffusa velocemente, intensamente e simultaneamente in un periodo di tempo ristrettissimo, e risulta veramente difficile individuarne i pionieri in modo preciso. In varie zone del mondo, principalmente Stati Uniti ed Europa (in metropoli come New York, Los Angeles, Londra e Parigi) molti writers hanno gradualmente sovvertito l’uso della bomboletta spray ed abbandonato l’obbiettivo primario di diffondere il proprio nome, sviluppando opere più complesse, in grado di creare relazioni profonde con il contesto urbano nel quale vengono poste e con il pubblico ampio e diversificato che le vede involontariamente. Un drappello di street artists visivamente consapevoli a New York, Los Angeles, San Francisco, Parigi e Londra ha iniziato a vedere la città come una reale insegnante, che provvede un manuale quotidiano di istruzioni per i codici visivi e i sistemi semiotici nei quali viviamo e conduciamo le nostre esistenze. Venne lanciato un richiamo per colpire i codici visivamente predatori della pubblicità, le regole dell’economia dell’attenzione, e il controllo della visibilità stessa. Una nuova generazione di artisti educati nelle scuole d’arte udì la chiamata e si unì alle schiere di quelli già al fronte; essi combinarono le attitudini punk e hip-hop con le abilità e le conoscenze acquisite dai recenti movimenti artistici. Nel 2000, gli street artists avevano formato una rete urbana globale di pratiche e conoscenze disseminate dal proliferare di siti, pubblicazioni e progetti nomadi collettivi. Martin Irvine 2
Per conseguire questi obiettivi sono state man mano sfruttate tecniche innumerevoli, fagocitando i più svariati medium - come disegno, pittura, collage, scultura, riproduzione seriale sotto forma di adesivi, stencil e poster, fotografia, video, installazioni multimediali - e sovvertendo linguaggi affermati come quelli della grafica pubblicitaria e dell’arte contemporanea; questo sdoganamento ha preso il nome di street art e si è gradualmente costituito in un movimento aperto, che ha permesso a persone creative non provenienti dal writing di avvicinarvisi e prendervi parte sfruttando e valorizzando le proprie capacità e i propri interessi personali. L’avvento di internet a metà anni ‘90 ha contribuito radicalmente all’esplosione del movimento, dando la possibilità agli street artists di esporre, condividere e far circolare la documentazione dei propri lavori – spesso effimeri e temporanei – a livello globale. Internet è stato sfruttato allo stesso modo dal writing e, nonostante il nocciolo più duro e purista dei writers abbia spesso avversato e criticato la street art, i due movimenti si sono evoluti parallelamente, ispirandosi e contaminandosi a vicenda nel corso degli anni, condividendo la strategia focale di realizzare interventi artistici non autorizzati in luoghi pubblici. Un’opera street può essere un intervento, una collaborazione, un commento, una critica dialogica, un manifesto individuale o collettivo, un’asserzione di esistenza, una terapia estetica per l’antiestetica della visibilità urbana controllata e commercializzata, un inno whitmaniano con l’energia cruda dei desideri democratici repressi di espressione ed autoaffermazione.
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Qualsiasi siano i medium e i motivi del lavoro, la città è l’interlocutore assunto, struttura, e requisito essenziale per far funzionare l’opera. Martin Irvine 2
L’uso di pseudonimi, dettato dalla necessità di mantenere l’anonimato per non essere rintracciabili e perseguibili legalmente, è rimasto tale nella street art, ma rispetto al writing ha assunto la funzione di firma del lavoro piuttosto che di opera stessa. Intorno al 2000, dopo un decennio di crescita costante ed esponenziale, la street art si è configurata definitivamente come un movimento autocosciente, consapevole della propria portata e profondamente connesso a livello globale; le proporzioni raggiunte e le imprese straordinarie attuate dai suoi protagonisti hanno cominciato ad attrarre massicciamente l’attenzione dei media, degli intellettuali (antropologi, storici, critici...) e della popolazione, accendendo un ampio dibattito culturale tuttora in atto. La portata sovversiva e rivoluzionaria del suo metodo e dei suoi intenti, unita all’ampiezza della sua diffusione e al numero incalcolabile di lavori costantemente effettuati, fanno della street art il più significativo movimento artistico del secolo, incentrato su un processo globale di democratizzazione artistica mai visto prima nella storia dell’umanità. Non è un caso che la street art sia nata da un profondo e intricato processo di ibridazione, sovversione e cannibalismo culturale avviato dall’hip-hop, generato e sviluppatosi dal basso – ossia giovani di tutto il mondo di qualsiasi estrazione sociale - distante da qualsiasi istituzione e slegato da ottiche di profitto economico. Lo scontro-incontro con la società dei consumi è stato sin dall’inizio cruento, sfaccettato e contraddittorio: l’impero delle corporations mondiali ha tentato in ogni modo di trasformare le opere della street art in prodotti commerciali, sfruttandone l’estetica per rinnovare grafica, design, moda e pubblicità, impegnandosi a sradicare dalle strade i più importanti street artist per inserirli nel sistema dell’arte contemporanea. Anche se spesso sottile e intricata, si è demarcata una linea che distingue i veri dai falsi, visibile solo con uno sguardo attento ed approfondito. Gli street artists dall’attitudine meno consapevole e politica hanno integralmente accettato le lusinghe dell’establishment e si sono arricchiti esponendo i propri lavori nelle gallerie e creando marchi d’abbigliamento e merchandising, smettendo quasi completamente di intervenire illegalmente negli spazi pubblici. Al contrario, gli street artists più consapevoli hanno saputo sfruttare il sistema per finanziare ed implementare i propri interventi non autorizzati in strada, con una tattica simile a quella del TGP, inserendosi marginalmente nel mercato dell’arte e in quello editoriale, ma rifiutando quello della grafica pubblicitaria, coscienti che – per definizione – la street art inserita in una galleria cessa di essere tale e diventa semplicemente merce artistica con un’estetica street. In alcuni casi i più abili street artists sono riusciti a lavorare negli spazi canonici dell’arte in modo trasversale, realizzando interventi che fanno da ponte tra i due mondi opposti, trasformando gallerie in strade e strade in gallerie. Uno dei più controversi esempi di fake (falso) è senza dubbio Shepard Fairey, considerato da molti uno dei più importanti street artist mondiali. Nel 1989 iniziò ad attaccare nelle strade adesivi auto-prodotti, contenenti l’immagine del wrestler André The Giant.
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In seguito sintetizzò quest’immagine, adottò lo pseudonimo di Obey (obbedire) ed iniziò a disseminare nelle strade questo logo personale sotto forma di enormi manifesti seriali. Questa intensa forma di propaganda gli fece guadagnare un posto di rilievo nel nascente movimento della street art e Fairey la incrementò appropriandosi gradualmente di immagini iconiche prelevate dalle più note forme di arte politica propagandistica mondiale. A fine anni ‘90, dopo essersi inserito nel mondo dell’arte contemporanea, svelò il suo anonimato e aprì uno studio di grafica pubblicitaria specializzato nelle tecniche di guerrilla marketing. Nel 2001 fondò inoltre il proprio marchio di abbigliamento, Obey Clothing. Nonostante egli si sia direttamente e liberamente appropriato dell’estetica di varie fotografie ed opere d’arte, spesso con modifiche minimali (subendo in alcuni casi conseguenze legali) tutte le sue immagini sono fermamente protette da copyright e diritti d’autore riservati; per contrappasso, negli ultimi anni centinaia di street artist si sono appropriati del suo lavoro e ne hanno fatto ironiche parodie. La street art è un paradigma di ibridazione nella moderna cultura visuale, un genere postpostmoderno che sta venendo definito più da una pratica in tempo reale che da qualsiasi senso di una teoria unificata, movimento o messaggio. Molti artisti associati con il “movimento di arte urbana” non si ritengono street o graffiti artists, ma artisti che considerano la città il proprio ambiente lavorativo necessario. E’ una forma al tempo stesso locale e globale, post-fotografica, postinternet e post-medium, intenzionalmente effimera ma ora documentata quasi ossessivamente con la fotografia digitale per il web, agguantando e remixando immagini, stili e tecniche da tutte le fonti possibili. E’ una comunità di pratica, con i suoi codici acquisiti, regole, gerarchie di prestigio, e mezzi di comunicazione. [Le comunità di pratica sono gruppi di persone che condividono un interesse o una passione per qualcosa che fanno, e imparano come farla meglio mentre interagiscono regolarmente]
Lo scontro di forze incrociate che circonda la street art espone questioni spesso soppresse riguardo i regimi di visibilità e lo spazio pubblico, i luoghi e gli spazi costitutivi dell’arte, il ruolo delle comunità di pratica e delle istituzioni culturali, gli argomenti concorrenti la natura dell’arte e la sua relazione a un pubblico, e la logica generativa di appropriazione e remix culturale (giusto per nominarne alcune). La street art continua a svilupparsi con una resistenza a categorie riduttive: i lavori più notevoli rappresentano sorprendenti forme ibride prodotte con una logica generativa di remix e ibridazione, permettendo agli street artists di essere diversi passi avanti rispetto al presidio culturale proveniente da qualsiasi istituzione. La ricezione della street art nel mondo istituzionale dell’arte rimane problematica e intrappolata in uno spostamento generazionale: il movimento della street art incarna molti degli argomenti antiistituzionali elaborati nel mondo dell’arte durante gli ultimi cinquant’anni, ma non è stato adottato come categoria per presentare una replica nell’arte istituzionale, l’obbiettivo primario della professione artistica. Le istituzioni del mondo dell’arte preferiscono che i loro argomenti d’avanguardia e le critiche istituzionali siano condotte intramuralmente con pratiche disciplinari affermate. Anche se nessuno studente d’arte oggi sperimenta l’arte e la cultura visuale senza una conoscenza della street art, la maggior parte dei programmi delle scuole d’arte continua una linea accademica mirata a mettere in atto alcune possibilità rimanenti in un mix postmoderno di arte performativa, arte concettuale, arte appropriativa, critica istituzionale e direzioni concettuali di fotografia, film e media digitali. Critici, curatori e teorici accademici ora discutono regolarmente di forme d’arte che sono “postmedium”, “post-studio” e “post-istituzionali”, esattamente il punto di partenza della street art.
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Il collocamento di un lavoro è spesso una chiamata a marchiare luoghi con consapevolezza, di fronte alla proliferazione di “non-luoghi” urbani di transito e commercio anonimo – il centro commerciale, l’aeroporto, Starbucks, i grandi magazzini – come descritti da Marc Augé. In quanto performance effimera e contingente, l’azione è il messaggio: i marchi e le immagini appaiono come tracce, segni, registrazioni dell’azione, e sono immediatamente persuasivi poiché sono riconoscibili. Questa falange di artisti lavora intuitivamente in una comunità di pratica, non attraverso teorie formalizzate.
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Gli street artists sono anche spesso interpretati come gli eredi di movimenti artistici anteriori, specialmente le idee emerse con dada e situazionismo: visualizzare l’arte come atto, evento, performance e intervento, un détournement – dirottamento, reindirizzamento, dislocamento e appropriazione indebita di una cultura ricevuta da altre mani. Gli street artists espandono la logica di appropriazione, remix e ibridazione in ogni direzione: argomenti, idee, azioni, performances, interventi, inversioni e sovversioni vengono sempre estese in nuovi spazi, remixate con forme e contenuti mai anticipati in precedenti ragionamenti postmoderni. La street art assume anche un dialogismo fondamentale in cui ogni nuovo atto di realizzare un lavoro e inserirlo in un contesto stradale è una risposta, una replica, un impegno con i lavori precedenti e con il dibattito in corso riguardo la superficie pubblica visiva di una città. Il mondo dell’arte aveva il sogno di forme d’arte che sovvertissero le strutture e i confini ricevuti, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbero stati degli outsiders a farlo effettivamente. Dada non aveva rovesciato l’idea intramurale di arte; l’aveva richiesto e presupposto.
Dada era la teoria; la street art è la pratica.
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Non sono solo le superfici materiali di muri ed edifici ad essere riscritte, ma la street art presuppone che il remix globale e la riappropriazione di immagini e idee siano trasferiti o creati in forma digitale e distribuiti su internet. La cultura remix esamina l’enciclopedia culturale ricevuta in cerca di ciò che può essere reinterpretato, riscritto e reimmaginato ora. La street art contesta i due principali regimi di visibilità – giuridico e governativo da un lato, e del mondo dell’arte o estetica sociale dall’altro – che creano le condizioni nel cui ambito si deve competere per la visibilità. [...] Perciò la street art appare all’intersezione dei due regimi, due modi di distribuire la visibilità – il regime governativo (politiche, leggi, proprietà) e il regime estetico (il mondo dell’arte e il mantenimento della demarcazione tra arte e non-arte). [...] Entrambi i regimi della visibilità vengono disturbati, un disturbo che rende le loro operazioni falsamente trasparenti quello che sono in realtà, costruzioni sociali e politiche. Utilizza la politica del dono, in diretta opposizione alla maggior parte dei messaggi legali su muri cittadini e spazi verticali. Rendendo visibile il riutilizzo di materiali già in circolazione, molta street art ha affinità con le culture musicali ibride e globali costantemente in evoluzione, che hanno sviluppato le prime pratiche compositive DJ, dub, di campionamento e di remix elettronico/digitale.
Gli artisti che producono opere in tutti i media e il pubblico che le riceve vivono oggi in una cultura con un regime giuridico-economico che richiede una risincronizzazione con la realtà che sarà tanto sconvolgente quanto la rivoluzione copernicana. Martin Irvine 2 94
Il futuro dell’arte non è artistico, ma urbano. Henry Lefebvre 3
Non basta, la voglio prendere ancora più larga. Ho fatto una breve sintesi delle esperienze artistiche – singole e collettive – in Europa e negli Stati Uniti che, nello stesso squarcio di tempo delle vicende sudamericane narrate in precedenza (1920-1990), hanno elaborato strategie appropriative per creare opere da spargere nelle strade, toccando nelle maniere più disparate molti dei punti chiave che sono poi stati sviluppati dalla street art. Galvanizzati dalla radicalizzazione della vita pubblica sotto Cárdenas, gli artisti del TGP divennero uno dei più formidabili gruppi di artisti antifascisti della storia mondiale. Solo John Heartfield, che influenzò alcune delle immagini stesse del Taller, realizzò un lavoro che fu tanto tempestivo ed avvincente quanto quello del TGP.
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David Craven 4
Helmut Herzfeld (1881 – 1968) è stato il più importante artista tedesco che combatté Hitler e il nazismo tramite il proprio lavoro, utilizzando riviste popolari, volantini e manifesti come canali di diffusione massiccia per le sue immagini taglienti e sovversive. Egli anglicizzò il proprio nome in John Heartfield intorno al 1917 in segno di protesta contro le politiche del governo tedesco. In questo periodo Heartfield fondò il movimento dadaista berlinese con Richard Huelsenbeck, Raoul Hausmann, Hannah Hoch e George Grosz; tutti i membri del gruppo erano accomunati da ideali anarchico-comunisti e, nella Berlino del primo dopoguerra, il dada assunse un tono fortemente politico e aggressivo. Heartfield mise a punto una tecnica straordinariamente innovativa ed efficace, nata da un riarrangiamento dei metodi del collage e del fotomontaggio, che sfruttò in modo sistematico per le sue immagini di critica e denuncia sociale, realizzate principalmente tra gli anni ‘20 e ‘50. Esse comparvero su «Die neue jugend» (Nuova gioventù), rivista d’arte pacifista fondata insieme al fratello, sulle pubblicazioni e i manifesti del KPD (Partito Comunista tedesco) e su «AIZ» (Arbeiter Illustrierte Zeitung - Giornale Illustrato dei Lavoratori), rivista d’opposizione che conobbe un successo e una diffusione straordinaria in Germania, per la quale Heartfield realizzò molti dei suoi lavori antinazisti più famosi. Egli riutilizzava immagini provenienti da giornali e riviste, che ritagliava, modificava e assemblava per creare immagini surreali e sovversive. Per sfuggire alla repressione nazista dovette scappare prima a Praga, nel 1933, e poi a Londra, nel 1938, e poté ritornare in Germania solo nel 1950, a Lipsia e successivamente a Berlino, dove ricevette dure critiche per essere poco allineato con i principi del realismo socialista; morì nel ‘68 all’età di 76 anni. Raymond Edward Johnson (1927-1995), più semplicemente noto come Ray Johnson, nacque a Detroit il 16 ottobre 1927; dopo aver studiato in un istituto superiore di grafica pubblicitaria, frequentò il radicale e leggendario Black Mountain College nel North Carolina dal 1945 al 1948, dove, tra gli altri, conobbe John Cage e Willem de Kooning. Nel ‘49 si trasferì a New York e, dopo un periodo di pittura astratta, intorno al 1953 iniziò a lavorare con la tecnica del collage, appropriandosi in modo pionieristico di immagini provenienti dalla cultura popolare e dalla grafica pubblicitaria, come quelle di Elvis Presley e del logo Lucky Strike, che ritagliava da riviste e confezioni di prodotti. 98
Nell’estate del 1955 coniò il termine moticos per descrivere questi collage realizzati su piccoli cartoncini; Johnson girava per New York portandosi dietro scatole piene di moticos, che mostrava ai passanti – chiedendo un parere e registrandolo - e disponeva sui marciapiedi, nelle stazioni o in altri luoghi pubblici creando piccole esposizioni temporanee. Nello stesso periodo Johnson iniziò a spedire via posta i suoi moticos ad amici, conoscenti, personaggi famosi e sconosciuti, scelti casualmente dall’elenco telefonico, aggiungendo pensieri, aforismi, messaggi criptici, giochi di parole, richieste all’apparenza assurde, inviti a incontri reali o fittizi e istruzioni per modificarli ed inviarli ad altri. Egli sviluppò inoltre un personaggio-logo-firma onnipresente nei suoi lavori, una sorta di testa di coniglietto stilizzata con uno stile mutuato dai fumetti, che ricorda incredibilmente l’estetica eleborata da Haring circa vent’anni dopo. I contatti postali assunsero un’importanza sempre maggiore per l’artista, ramificandosi in una vasta rete con centinaia di corrispondenti abituali, battezzata nei primi anni ’60 (pare dall’artista fluxus Ed M. Plunkett) con il nome ironico di New York Correspondence School; questo approccio sistematico venne inquadrato in un movimento che successivamente prese il nome di mail art. Durante gli anni ‘60 la fama di Johnson crebbe considerevolmente, procurandogli esposizioni in svariate gallerie, ma egli, estremamente restio a vendere i propri lavori, si ritirò in una casa a Long Island e si isolò gradualmente, riducendo al minimo i contatti umani e continuando a sviluppare intensivamente quelli per corrispondenza, nella quale cercava costantemente appunto - corrispondenze tra parole, immagini e persone. Il 13 gennaio 1995, all’età di 67 anni, Ray si suicidò gettandosi dal ponte di Sag Harbor e lasciandosi affogare. Bill: c’è quel momento nel dare. Non ha niente a che fare con cosa o come, a chi e perché. [...] Dato che non esiste, scappa, e non viene visto. Noi lo conteniamo con discrezione, azioni, realizzazione. Ray Johnson 5
Emory Douglas, nato a Grand Rapids (Michigan) nel 1943, è un artista afroamericano che ha realizzato i più importanti lavori grafici a sostegno del movimento di rivendicazione dei diritti dei neri negli Stati Uniti (vedi GHOST TRACK). Egli trascorse la sua infanzia tra esperienze di povertà nei ghetti di San Francisco e periodi di reclusione in istituti per minori; nel 1964 frequentò dei corsi di grafica presso il San Francisco State College ed entrò a far parte della Black Student Union attratto dal clima di contestazione che attraversava la seconda metà degli anni ‘60. Nel gennaio del 1967 Douglas conobbe Huey Newton e Bobby Seale, che un anno prima avevano fondato le Black Panther ad Oakland, e si aggregò all’organizzazione; i due leaders radicali rimasero impressionati dalle sue doti grafiche e lo nominarono Ministro della Cultura, affidandogli l’idealizzazione e l’elaborazione della propaganda visiva delle Black Panther. Il giornale era sostenuto soprattutto da tutti quei compagni che erano i primi a diffonderlo e venderlo nella comunità. Avevamo acquistato una stampante e con quella realizzavamo il giornale e un gran numero di miei disegni in forma di poster. I compagni addetti alla vendita tappezzavano tutto il quartiere con i miei manifesti. Oltre a loro, c’erano anche i commercianti; la maggior parte vendeva il nostro giornale e tutti avevano i nostri poster esposti in vetrina. Per tutta la Fillmore c’erano poster del BPP, la comunità stessa era diventata una galleria della nostra arte. Emory Douglas 6
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Fino allo scioglimento delle Black Panther, negli anni ‘80, Douglas diresse il giornale dell’organizzazione, per il quale realizzò tutte le copertine, e produsse centinaia di manifesti che vennero diffusi liberamente ed appiccicati sui muri delle città americane. Egli aveva a disposizione mezzi poverissimi e molto limitati, e doveva sfruttare i materiali più economici e recuperabili, ma seppe elaborare abilmente un linguaggio grafico straordinario che fece fronte a queste necessità e sfruttò ogni elemento a propria disposizione per creare immagini semplici ed efficaci, frutto di un’ibridazione personale tra disegno, pittura, collage, tipografia e grafica. Oggi Emory Douglas, all’età di 68 anni, è ancora un artista attivo e realizza laboratori grafici presso centri educativi di tutto il mondo. Con mezzi tecnici che lasciavano a desiderare, con tempi sempre strettissimi, grazie, però, ad una creatività strabiliante e visionaria e a trucchi grafici dettati da necessità, Douglas creò un’estetica della liberazione capace di operare come messaggio di propaganda iperbolico, destinato a infiammare il desiderio di rivalsa dei neri in America. www.hiphopreader.it 7
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Il 16 maggio 1968, durante l’esplosione delle contestazioni operaie e studentesche a Parigi, gli studenti d’arte occuparono l’Ecole des Beaux Arts; alcuni di essi si riunirono liberamente nel laboratorio grafico e fondarono l’Atelier Populaire (Laboratorio Popolare), producendo il primo poster destinato a sostenere le lotte popolari in corso. Da quel momento l’Atelier Populaire fu un collettivo aperto e informale che produsse centinaia di manifesti serigrafici anonimi distribuiti gratuitamente, usati come cartelli nelle manifestazioni, disposti sulle barricate e attaccati negli edifici occupati e sui muri parigini; anche in questo caso lo stile dei manifesti si sviluppò appropriandosi di svariati linguaggi, influenzato dal situazionismo, creando immagini semplici ed efficaci disposte principalmente su sfondi bianchi per risparmiare i colori e realizzare velocemente numeri consistenti di stampe. L’esperienza dell’Atelier Populaire svanì insieme ai movimenti di contestazione, ma lasciò un segno profondo nella storia e nell’immaginario collettivo; nel 1970 Pierre Bernard e Paris-Clavel, due artisti protagonisti dell’AP, fondarono l’Equipe Grapus, uno studio di grafica intenzionato a proseguirne lo stile e le idee per produrre lavori incentrati sulla formazione di una coscienza sociale. Le contestazioni del maggio ‘68 furono supportate dai situazionisti, un gruppo internazionale di artisti ed intellettuali anarchici e rivoluzionari - tra cui Guy Debord, Asger Jorn e Giuseppe Pinot-Gallizio - che svilupparono concetti sovversivi come la psicogeografia (studio degli effetti dell’ambiente geografico sul comportamento affettivo degli individui), il détournemont (tecnica dada basata su sovversione, integrazione e riutilizzo di produzioni artistiche preesistenti) e il rifiuto del diritto d’autore. John Fekner, nato a New York il 6 ottobre 1940, è stato un diretto anticipatore della street art; nonostante ciò, le informazioni biografiche disponibili su di lui sono estremamente limitate. Dopo aver sperimentato qualche poesia scritta a mano sui muri cittadini a fine anni ‘60, nel 1976 iniziò a realizzare scritte a stencil sugli edifici abbandonati di New York, che denunciavano tematiche sociali ed ambientali con semplici parole. Dopo aver colpito le strade industriali del Queens e i ponti di East River, nel febbraio 1980 Fenker, con l’aiuto di 102
un altro artista di nome Don Leicht, realizzò una serie di stencil sugli edifici devastati del Bronx (vedi GHOST TRACK) scrivendo a caratteri cubitali parole taglienti come Decay, Broken Promises, Falsas Promesas, Last Hope, Broken Treaties, che convogliavano l’attenzione sul bisogno di un profondo rinnovamento del quartiere: per Fekner i propri lavori potevano considerarsi completi e terminati solo quando l’edificio su cui erano realizzati sarebbe stato abbattuto o ristrutturato, eliminando il suo intervento. Grazie a queste operazioni Fekner si guadagnò una certa notorietà e in seguito preferì dedicarsi ad altri tipi di lavori, soprattutto in ambito video e musicale, mantenendo al centro del proprio interesse l’interazione con la città di New York; John Fekner è tuttora un attivo artista multidisciplinare. Richard Hambleton nacque a Vancouver, Canada, nel giugno 1954; ottenne il diploma in belle arti presso l’Emily Carr School of Art di Vancouver nel 1975, e lo stesso anno fu uno dei cofondatori del Pumps Centre for Alternative Art, uno spazio espositivo alternativo che si occupava principalmente di video e performance. Dal 1976 al 1979 Hambleton mise in atto il suo primo progetto pubblico intitolato Image Mass Murder, realizzando più di 600 false scene del crimine in una quindicina di metropoli americane; Hambleton disegnava anonimamente e illegalmente sagome di gesso di vittime inesistenti, alle quali aggiungeva schizzi di vernice rossa che emulavano macchie di sangue. Spesso sceglieva appositamente quartieri benestanti caratterizzati da bassi livelli di criminalità, provocando sgomento e turbamenti tra i passanti. I suoi sforzi gli conferirono la definizione mediatica di “terrorista psichico” comparsa sulla prima pagina del «San Francisco Examiner». Il suo intervento successivo, uno dei meno noti, consistette nell’incollare sui muri circa 800 poster con uno stravagante autoritratto fotografico a grandezza naturale, sparsi in una decina di città americane. Nei primi anni ‘80 realizzò il suo lavoro più famoso, Shadowmen, una serie di ombre-silhouette a grandezza naturale di personaggi inquietanti e misteriosi, dipinte direttamente sui muri con pennellate rapide ed istintive, spesso collocate in vicoli bui e angoli in penombra di zone degradate; solo a New York Hambleton ne realizzò circa 450, conquistandosi una significativa fama come anonimo artista di strada. Egli collaborò direttamente con Alex Vallauri, che incorporò agli uomini-ombra alcuni dei suoi stencil, e con Jean-Michel Basquiat, che disegnò sul volto delle sagome alcuni dei suoi elementi tipici come teschi e corone. Queste furono le prime collaborazioni fondamentali tra artisti diversi accomunati dall’intento di intervenire graficamente in strada, documentate da alcune fotografie – principalmente di Frank Palaia – scattate negli anni ‘80. Nel corso degli anni ‘80 Hambleton realizzò questi interventi in 24 diverse città, e fu uno dei primi street artists del Nord America a sconfinare in Europa per colpire i muri di Roma, Parigi e Berlino, dove, nel 1984, dipinse 17 sagome sul lato Est del celebre muro divisorio. Nel 1985, nonostante avesse conquistato una notevole fama internazionale, Hambleton sparì dalla scena per motivi personali tuttora ignoti, isolandosi a dipingere nel suo appartamento situato nel Lower East Side di New York. Nel 2007 il gallerista John Woodward, titolare della Woodward Gallery di New York, riuscì a convincere Hambleton ad uscire dal proprio isolamento e organizzò The Beautiful Paintings, la prima significativa esposizione personale dell’artista; all’età di 53 anni la sua carriera artistica venne rilanciata e da allora Hambleton ha esposto lavori su tela in svariate gallerie del globo. 104
Non è una ricostruzione storica che tenta di dimostrare come la street art sia un naturale processo storico-evolutivo i cui sintomi sono stati covati nel corso del ‘900; è un’accozzaglia di esperienze artistiche europee ed americane, più o meno note, che nel corso del ‘900 hanno avviato processi sovversivi e indipendenti di democratizzazione dell’arte, con i metodi, le tecniche e gli intenti più disparati. I primi veri cenni dell’avvento della street art – intesa come ampio movimento diramatosi dai graffiti – possono essere ricercati solo dopo la diffusione del writing a New York nella prima metà degli anni ‘70; dal 1975 alcune personalità ricettive percepirono la portata dei graffiti e, in modo più o meno consapevole, si appropriarono della strategia sovversiva di intervenire artisticamente, illegalmente e anonimamente nello spazio pubblico urbano, rimodellandola in nuove forme secondo i propri metodi e i propri fini. Richard Hambleton e John Fekner furono due pionieri-apripista, con i primi interventi nel 1976, seguiti da Jean-Michel Basquiat e Al Diaz, che realizzarono le celebri scritte SAMO tra il ‘77 e il ‘78, Keith Haring, con i suoi primordiali interventi a gessetto nel 1978, e Dan Witz, con il progetto Birds attuato a New York nel 1979. Ad eccezione del visionario Hambleton queste esperienze furono esclusivamente newyorkesi; dal 1980 i primi semi di ciò che sarebbe diventato la street art vennero sparsi dal vento dei graffiti in giro per il mondo, depositandosi più o meno casualmente e germogliando nei terreni più fertili. Ho deciso di approfondire tre esperienze chiave d’avanguardia - oggi quasi del tutto sconosciute avvenute nei primi anni ‘80, una americana, una europea e una africana-sudamericana: Avant, Blek Le Rat, Alex Vallauri.
Se Picasso ha detto: l’arte è una bugia che ci fa capire la verità, io dico che l’arte è la verità emozionale che ci fa capire chi mente. M.K. Asante Jr. 8
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AVANT A New York nel 1980 vide la luce Avant, una delle più significative – e sconosciute – esperienze anticipatrici della street art; i membri del gruppo furono tra i primi in assoluto ad attaccare sistematicamente sui muri poster-dipinti originali fatti a mano. Crescendo a NYC, tutti i giovani teppisti scrivevano graffiti, principalmente nella metropolitana. Iniziò come una cosa etnica, ma coinvolse velocemente tutti i ragazzi bianchi insoddisfatti della classe media. Il mio amico di scuola superiore (Musica e Arte, ora congiunta con le Arti Performative = Laguardia) Marc Thorne adottò il nome graffitaro Avant; la sua banda immaginaria: T.A.G. - The Avant Gard (L’Avanguardia). Era una doppia parodia: una tag indicava per un nome buttato giù a pennarello o bomboletta, non un capolavoro interamente realizzato con la pittura spray; nel linguaggio “taggare” significava scrivere (sui muri). C’erano molte gang di graffitisti: i M.O.B. erano i Master of Broadway., N.O.G.A. era la Nation of Graffiti Artists, S.A. erano i Soul Artists, 3YB, i 3Yard Boys. C’erano gli Ex-Vandals e molti altri. Per cui la T.A.G. di Marc era un gruppo ironico di giovani duri inesistenti. Jean-Michelle, Al Diaz e Shannon Dawson stavano raccogliendo applausi per i loro ingegnosi graffiti SAMO, che erano un allontanamento dai soprannomi autodeterminati delle tag standard. SAMO (Same Old Shit – Solita Vecchia Merda) scriveva commenti incisivi ovunque lo ritenesse opportuno. Come chiunque altro ero un entusiasta. Ma pensavo: “non fa per me, io sono un artista visivo”. Fissando sconsolatamente la mia pila di lavori su carta da poster accatastati dal condizionatore fino alle mie ginocchia, alle 11 di mattina, mentre lo stomaco mi brontolava famelicamente dopo aver spazzato il pavimento tutta notte, un pensiero mi colpì. “Incollerò queste dannate robe per tutta la città. In particolare sulle pareti esterne delle gallerie, che mi trattano come uno sporcaccione. Si fottano, non hanno intenzione di farmi esporre in ogni caso!”. Chiamai Marc al telefono e gli chiesi se potevo unirmi alla sua gang inesistente. Disposi il mio piano per uno stile uniforme firmato Avant, dipinto da chiunque conoscessimo e fosse disponibile. […] I membri principali eravamo io, Marc Thorne, David Fried, Peter Epstein e Jed Tulman. Altri partecipanti furono Brant Kingman, Caleb Crawford e numerosi altri che forse preferirebbero rimanere anonimi, avendo dipinto solo uno o due manifesti Avant in un dato giorno. Dato che stavamo commettendo piccoli crimini coniai termini come “art militia” e “guerrilla art”. Trovai divertente che pochi anni dopo il gruppo femminista Guerrilla Girls attirò l’attenzione. Cristopher H. Chambers 9
Per quattro anni – fino al 1984 – questo gruppo aperto dipinse con gli acrilici centinaia di poster fatti a mano, con uno stile libero e selvaggio, innovativo e primitivo, che vennero appiccicati su muri e porte, nei parcheggi, sulle pareti esterne di locali e gallerie, appesi ai pali delle luce e nelle fermate degli autobus; i membri di Avant furono i primi a sovvertire le pubblicità illuminate delle pensiline, aprendo le bacheche ed inserendovi i propri dipinti, che potevano essere visti chiaramente anche di notte. Il gruppo aveva un approccio pittorico istintivo, rapido ed iper-produttivo, e lavorando collettivamente riusciva a realizzare un’enorme quantità di lavori alla settimana; in breve tempo si fece notare nella scena artistica underground di New York che, grazie alla spinta dei graffiti, stava vivendo un periodo di ascesa straordinaria. Erano gli anni in cui i galleristi iniziarono a sfruttare selvaggiamente i giovani writers, rivoluzionando il mercato internazionale dell’arte. Il gruppo Avant, dopo aver organizzato una quarantina di esposizioni anticonvenzionali presso locali, night club e gallerie alternative, riuscì a guadagnarsi un’esposizione autogestita presso la Gabrielle Bryers Gallery di Soho, intitolata ironicamente Drive-In Show. 107
Il collettivo organizzò una mostra ibrida, parte in strada e parte in galleria: i dipinti inseriti nello spazio espositivo iniziavano dal n° 13, dato che i primi 12 erano stati affissi sull’enorme parete di un parcheggio del quartiere. Nel 1984 il gruppo si disgregò per ragioni ignote, probabilmente legate all’arrivo delle prime entrate economiche, e alcuni dei suoi membri intrapresero carriere più convenzionali come singoli artisti. Nonostante nei primi anni ‘80 a New York siano usciti decine di articoli e recensioni su Avant, non esistono fino ad ora pubblicazioni che documentino il lavoro di questo gruppo – brevemente citato in alcuni libri sulla street art – ed il materiale presente in rete è estremamente ridotto. Nel 2009 i membri fondatori del gruppo hanno creato un sito internet, avant-streetart.com, contenente un archivio di articoli ed immagini storiche recuperate e digitalizzate, ad oggi la primaria fonte di documentazione del lavoro pionieristico svolto dal collettivo.
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L’idea di formare un gruppo anonimo di giovani artisti guerriglieri che fosse in grado di attuare tattiche di distribuzione di massa al pari delle agenzie pubblicitarie commerciali fu un’intuizione radicale che mirava ad uno spostamento collettivo nell’accessibilità, consapevolezza e coinvolgimento pubblico dell’arte visiva. La tradizione della strada-come-galleria era nata. Dopo Avant, questo luogo è diventato un’istituzione mondiale in evoluzione dato che innumerevoli artisti e persone creative hanno accertato che l’avanguardia non è ristretta alle istituzioni elitarie dell’arte. Avant è morto, lunga vita all’avanguardia. David Fried 10
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Ho scritto una mail all’indirizzo presente sul sito avant-streetart. com e mi ha contattato Cristopher H. Chambers, che si è dimostrato disponibile a rispondere personalmente a 10 domande che gli ho spedito via mail; mi ha inoltre fornito l’indirizzo mail di David Freid, un altro protagonista del gruppo, anch’esso disponibile a rispondere alle stesse domande. Ecco la doppia intervista. Can you tell me something more about the birth and the evolution of the group? Working place, working method, posting techniques and strategies...? CC - Growing up in New York City you get to know a lot of other kids. We painted the posters on newspapers or whatever individually and met up two or three times a week at around midnight. We split up into groups heading for different neighborhoods and pasted them up until we ran out of paintings or dawn came and it wasn’t safe. We were all school dropouts so hours meant nothing to us. Nobody I even knew had a job. We lived hand to mouth. New York is a very different place now. DF - We were young, gifted and broke prolific painters who respected and recognized each other’s art, though none of us had any recognition in the established art world. Christopher Chambers was the one with the “eureka” moment: the idea was to get into the galleries and secure a living with art by getting their attention using public venues. At the same time, we would be enriching the otherwise commercial and banal street environment with individuality via art. The strategy was simple enough- a guerrilla art-force under the moniker AVANT would bombard the streets and the gallery facades un-relentlessly for several months. This would generate a “buzz” and the question would be- who is doing this? The media and galleries would come to us. It worked, yet we continued to carry on plastering our works around town for 3 years. Christopher brought Marc Thorne and me in on the idea originally. We recruited several others as time went by. Some for artworks, others for posting, photographing, etc. Chiefly we made 1000’s of acrylic paintings on newsprint, some translucent rice-paper works in bus-stop shelter light-boxes and 3-D metal sculptures bolted to signposts. Besides the gallery shows and good press, we did a lot of club performances and shows, which were not only intense socially, but strategically 111
necessary to compliment our anonymous street-art. There was some art performances outdoors -outside the club scene- as well. Near the beginning, we lived in the same loft on W.20th Street... Chelsea was affordable then. Later we worked in our own live-in studios. My large canvasses had a sense of action in style, so for me, the newsprint paintings were executed as warm-ups before working on major canvasses. Every week there were dozens of works produced by each of us. Some paintings were really too good to post, but often, even the best ones were sacrificed for the streets. We wanted to keep the quality of work on the street as high as by any gallery exhibition. What kind of meaning did you give to the act of sticking handmade paintings on the street walls? CC - A lot of people never go to galleries or museums, so we took it to them. There is also the element of straight out self promotion, advertising. But, really, any artist in any medium wants to communicate with an audience. We were denied that by the art hierarchy. You get tired of asking snotty rich people to look at your work. It makes you feel like a beggar. I don’t respect their opinions anyway. We went straight over their heads and created our own market so the galleries wanted us because we had a built in audience. This had never been done before. I don’t think any of these street artists nowadays even know who started the whole thing. It was important that they were original works, not prints. DF - By way of my motivation, I think I am a bit more didactic and altruistic than Christopher. I would place the idea of spreading my art in the streets, inserting my human story in the vanguard of society, was my biggest motivation – simple and pure. The public domain in NYC and most cities around the globe were and remain predatory grounds for manipulative advertising of utter crap – things we would otherwise not desire or need to feel human and connected to community. Our own manipulative working strategy of inserting ourselves into the beast itself was the means to that end. 112
Moreover, unlike today’s printout, sticker and stencil street-art, we sacrificed purely unique works that while not done directly on-site, could have been saved and marketed.This was my way of saying that I will never run out of ammo, inspiration and ideas. A sense of immortality if you will! Primarily the whole action appealed to me by making a thoughtful and caring contribution without the need for recompense, and it was secondary that I may be picked-up by a good gallery. Did you ever paint directly on the walls during those years? CC - Yes. Sort of Franz Kline spontaneous calligraphy. Sorry no photos exist that I know of. DF - No, we never did direct work. Our work sprang from the idea that our art was made as “stand alone”, and then juxtaposed into the real world, something like crashing a party as an elegant yet “unwelcome” guest. In the avant website I saw some pictures of street walls with your posters next to works by Richard Hambleton, another street art pioneer. It’s just a case or did you know him? CC - Yes. I know him. DF - I knew the Graff guys well. Knew Jean-Michel personally, and Keith just occasionally. It should be mentioned that Jean and Jim Diaz worked together as SAMOand really, while it wasn’t graffiti, it really wasn’t art like paintingjust texts, and except for Keith’s crawling baby tag, he wasn’t up on the street much... He pioneered the subway poster-boards. In the very beginning, it was Richard Hambleton with his Xerox lifesize cutout figures of himself and shadow-figures that ruled the streets, beside Avant and the Graffiti writers. We met Richard at a 150-artist show in Williamsburg back in 1981. One of my best private collectors to date in Australia also has a huge collection of Hambletons. It is amazing that he hasn’t died years ago due to...? Recently, Giorgio Armani quoted him as being the “god father of street art” before he auctioned off two small works for 900,000. (I have many stories about Richard….)
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Alex Vallauri is another less-known early street artist, born in Ethiopia and grow up in Brazil, who lived in New York during the first half of the 80s and was a stencil pioneer. Did you ever meet him or his works? CC - Never heard of him. But, maybe I would recognize the images. DF - Nope. Though we had seen some evidence of stencil works around, for us these were tattoos and not art on the streets. I think that with the “Drive-In Show” you were the first artists in the history to create a concrete link between the gallery space and the street space, “inside” and “outside”. How did you develop this idea? CC - Because that was the irony of the whole art establisment and the idea of the valuable commodity which is created to profit the art pimps and pirates who suck the blood out of creative people. We wanted to throw the hypocricy in their faces. Here it is for free. Here it is for thousands of dollars if you want to take it home all for yourself. In a gallery the artist depends on who the dealer is friends with and who they can get to come into a room within the time the exhibition is up. If the artist can sell from his studio he doesn’t need a gallery. But we needed galleries to front for us because what we were doing was illegal. “Build your own boat and sail it.” Really, it is all about fame, not art. Same with movies, music, anything. It’s all brand names. A lot of the art establishment was very angry that we did not play their game. It was an insult to them that we became famous without their support. But we were young and it all exploded and fell apart after a few years. DF - Well, that was completely my idea, as was the idea of posting the pictures in sub-zero weather on the wall with corresponding numbers with a title and price list on the car park’s attendant booth leading into the exhibition up the street at a noteworthy SoHo gallery. We probably would have all been arrested for it, but as the cops came, I used misdirection and saved all our asses. You have to remember that street-art by white people was new- and it was not graffiti per say- so there was some wiggle room, even at 3 am with cops and guns at your head.
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During 1983 you had your first international exhibition in the Galleria Lo Zibetto, Milan. Did your whole group come to Italy for that event? How kind of experience it was? Did you stick some posters to the walls of Milan? CC - No, we did not go. Actually we forgot about it until someone showed us the reviews. There was one in Flash Art which I would love to get my hands on. Things are very different now. We didn’t have computers, diigital cameras, etc. Most documentation is gone or never was. DF - We were not personally invited for the touring exhibition. In fact, I have to this date; I have no idea what they actually showed. It was legend- and even witnessed that as we put our works up in the 2nd and 3rd year, unknown individuals would follow behind us, pulling down freshly “collected” still-wet pasted paintings. We will never know ultimately what happened to our works on the street. It is the same as the with the internet today...public domain. Can you tell me something about how ended the Avant experience? All of you began individual artistic careers? CC - Egos got out of control. Nobody wanted to do street art anymore. Only paint for money. People got picky about which galleries to show with. Some got into drugs and were impossible to deal with. We were very young and made bad mistakes. We did not realize what we had accomplished until it was too late. DF - I became more prolific as the demand for my work rose, and I was the first to pull out of Avant. During Avant’s almost four-year reign, if you met me at an event, you knew who I was and were quite familiar with the street work. But that “branding” needed to go, as far as my broader artistic endeavors were concerned. Today branding is the norm in all forms of business. Today it is even hard to brand myself as an artist. I explore myself, and the world around me with a questioning eye, and express that in ways that are as authentic and original as possible.
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How did you live the explosion of the street art movement during the 90s? CC By It It It To
- It is weird that it exploded like that ten years later. then the members of Avant were not all in New York anymore. wouldn’t have been right to start it up again. would be fake without the original group. is a strange feeling to compete with yourself, you know what I mean? prove something or compete with imitators.
DF - When I left Avant, my participation in street-art became that of a spectator, but I have not failed to follow it since. I think we created a venue that caught on in a viral way, and regardless of any judgment of quality, the explosion of small or ambitious streetart today is something we cannot imagine living without. In which ways the Avant experience influenced your following – and current – artistic work? CC - I have always been interested in public art. DF - The success we had then was a good lesson in taking things into your own hands and forcing the establishment to open their eyes, or roll over and become history. In addition, I do not mean using simple shock value in the work itself to that end- like what is often used by calculated artist-business types to make press and lure trendy idiot collectors into acknowledgment that there exists worlds beyond their spheres of dogma or acceptable perspectives. That is too obvious and simple. To evolve a venue or approach liberates many artists -and is what can shock a whole system back to new life. As with most of my work, I often feel ahead of its time. I strive to go where there is not a label for it yet. Infinite thanks for the helpfulness, the collaboration and the patience! CC - You are welcome. DF - Any clarifications, elaborations, or other questions are welcome.
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BLEK LE RAT Blek le Rat, all’anagrafe Xavier Prou, nato a Boulogne-Billancourt (Parigi) nel 1951, è stato uno dei primi street artists francesi ed europei ed è considerato un pioniere della tecnica stencil. Tutto è iniziato nell’estate del 1971 durante un viaggio a New York. Fui invitato dal mio amico Larry Wolhandler, studente della “Ecole des Beaux Arts” di Parigi. L’ho conosciuto a scuola, siamo diventati molto amici e lui mi ha suggerito di andare a fargli visita, per passare l’estate nella sua città. Fu la prima volta che entrai in contatto con l’arte dei graffiti. Mi ricordo le firme nella metropolitana e alcuni pezzi nel Greenwich Village. Ricordo di aver chiesto a Larry: “perché la gente sta facendo questo? Che cosa significa?”. E, di fatto, Larry non conosceva il significato di questi graffiti. Sono tornato in Francia con molte domande nella mente e mi ci sono voluti alcuni anni per capire che qualcosa di veramente importante era successo a New York [...] La capitale ci apparteneva, e abbiamo [con l’amico Gerard Dumas] solo dovuto agire. Nel mese di ottobre 1981 a Parigi, Rue des Termopili, abbiamo dipinto per la prima volta in una vecchia casa fatiscente, tentando di riprodurre un pezzo americano. Fu un fiasco! Così ho suggerito di fare stencil, una vecchia tecnica antenata della serigrafia e in seguito utilizzata dai fascisti italiani per la loro propaganda. Mi ricordavo di aver visto una piccola effigie del Duce (Mussolini) con un timone, una reliquia della Seconda Guerra Mondiale, a Padova (Italia), mentre mi trovavo lì con i miei genitori nei primi anni ‘70. Una volta che la tecnica e il materiale erano stati trovati, di nuovo abbiamo solo dovuto agire. A Parigi c’era abbastanza spazio e realizzare graffiti era così sconosciuto che i poliziotti di ronda difficilmente ci disturbavano, a meno che volessero sapere cosa stavamo facendo e se avessimo uno scopo politico. Noi rispondevamo: “no, questa è arte”, e il gioco era vinto. Avevamo assunto il nome BLEK in riferimento al fumetto italiano Blek le Roc (Il Grande Blek) che leggevamo nella nostra infanzia. Lo pseudonimo era stato scelto per ottenere l’attenzione di tutte le persone del quartiere: “chi sono gli autori di questi piccoli ratti, le banane, gli uomini in corsa, e di tutti gli altri piccoli stencil prodotti di giorno e spruzzati di notte nel 14° e 18° Arrondissements (distretti) di Parigi?”. Le nostre uscite notturne divennero sempre più frequenti. Il 31 dicembre 1981 abbiamo deciso di dipingere intorno al Tempio consacrato all’Arte Moderna, il Centre Georges Pompidou, cosiddetto Beaubourg. In una notte molto fredda tra il 31 dicembre e il 1 gennaio, abbiamo spruzzato una gran quantità di ratti, carri armati e piccoli personaggi in questo luogo di culto. Le guardie del museo uscirono a chiederci cosa stavamo facendo, e ancora una volta rispondemmo: “arte”, provocando un fugace sorriso sulle labbra delle guardie del tempio. Alla fine dell’inverno la coppia Blek si separò. Gérard aveva altre cose da fare, io rimasi da solo e presi il nome di BLEK LE RAT.
Ho avuto il potere di dipingere e di evitare tutti i mediatori che avrebbero giudicato il mio lavoro con i loro valori. Libertà, se volete. Blek Le Rat 11
Agli inizi Xavier realizzò principalmente stencil di ratti, che in una recente intervista ha descritto come “l’unico animale libero della città, che porta la pestilenza ovunque, proprio come la street art”; dopo aver migliorato la propria tecnica, nel 1983 Blek le Rat ebbe l’idea di realizzare stencil di persone a grandezza naturale, ispirato da Richard Hambleton, che aveva dipinto alcuni dei suoi Shadowmen a Parigi. 117
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L’identità di Blek venne scoperta dalle autorità francesi nel 1991 quando fu arrestato mentre realizzava una reinterpretazione stencil della Madonna con Bambino di Caravaggio. Dal quel momento in poi Blek ha lavorato principalmente con stencil pre-realizzati su poster, più veloci da applicare e meno pericolosi per quanto riguarda le conseguenze legali. Solo negli ultimi 10 anni Blek è riuscito a riscuotere qualche meritato riconoscimento – favorito dall’esplosione della notorietà di Banksy, il suo più noto “discepolo” - e nel 2006 ha inaugurato la prima esibizione personale presso la Leonard Street Gallery di Londra; nonostante ciò, a 60 anni, sposato e padre di famiglia, Blek è ancora uno street artist attivo e prolifico che sparge i suoi poster sui muri di tutte le città che attraversa. Credo davvero che i graffiti e il movimento della street art siano il più importante movimento artistico di sempre. Non c’è una città al mondo senza graffiti ora. Non era mai successo in questo modo, con una tale quantità di gente mai vista in precedenza. Blek Le Rat 12
Ogni volta che credo di aver dipinto qualcosa di vagamente originale, scopro che Blek Le Rat l’ha già fatto, solo vent’anni prima. Banksy 13
Oltre al suo sito personale bleklerat.free.fr, nel web esiste una breve pagina nella versione inglese di wikipedia su di lui; nel 2008 la casa editrice inglese Themes & Hudson ha pubblicato il primo ed unico libro esistente dedicato all’artista, intitolato Blek le Rat: Getting Through the Walls. ALEX VALLAURI Alex Vallauri nacque il 27 marzo 1949 ad Asmara, in Etiopia, da genitori di origini italiane. Intorno al 1964-1965 si trasferì in Brasile con la famiglia, nella città portuale di Santos, dove studiò arte, approfondendo in particolar modo le tecniche seriali di stampa ed incisione. Nei primi anni ‘70 si spostò a São Paulo e frequentò la Fundãçao Armando Alvares Penteado, laureandosi in Comunicazione Visiva; dal 1975 al 1977 frequentò un corso di specializzazione in Arti Grafiche presso il Litho Art Center di Stoccolma, in Svezia. Ritornato in Brasile nel ‘77, Vallauri documentò i dipinti artigianali realizzati negli anni ‘50 sulle pareti dei ristoranti popolari di São Paulo, componendo un vasto archivio fotografico che trasformò in un video intitolato Arte para Todos, presentato lo stesso anno alla Bienal Internacional de São Paulo. Nel 1978, Vallauri unì il suo interesse per l’oggettistica e l’iconografia popolare, in particolar modo quella kitsch, alla sua conoscenza delle tecniche artistiche di riproduzione seriale e iniziò a realizzare per tutta la città stencil raffiguranti uno stivale fetish nero, probabilmente ispirandosi alla tecnica usata nella serigrafia; partì utilizzando la grafite nera, ma in breve tempo si convertì alle più efficaci vernici spray. Questa anonima campagna iconografica fu estremamente intensa e prolifica, e Vallauri la implementò realizzando magliette serigrafate con il logo dello stivale e avviando un processo di mail art, nel quale stampava il logo su cartoline con paesaggi cittadini e le inviava ad amici ed artisti, scrivendo sul retro un resoconto romanzato dei “vagabondaggi” dello stivale. Dall’anno successivo Vallauri iniziò a realizzare nelle strade anche altri tipi di stencil, utilizzando una vasta gamma di immagini-icone semplici e profondamente radicate nell’immaginario popolare: guanti, cravatte, telefoni, ballerini, angeli e diavoli. All’inizio degli anni ‘80 aggiunse agli stencil elementi fatti a mano, dipinti con bombolette e 119
pennelli, trasformandoli in pitture murali che coprivano superfici più estese; Vallauri inserì nel proprio lavoro elementi tratti dai fumetti e dai cartoni animati, fagocitando il linguaggio della pop art per creare un’arte che fosse popolare nel concreto e non solo negli intenti. Grazie alle centinaia di stencil disseminati a São Paulo Vallauri si guadagnò l’interesse della stampa e una grande notorietà popolare, che gli procurarono le prime commissioni ufficiali per dipinti parietali; nel 1981 allestì presso la Pinacoteca del Estado di São Paulo una retrospettiva del suo lavoro in strada, contenente la documentazione fotografica degli stencil realizzati sui muri cittadini nel corso di tre anni. Sebbene avesse reso pubblica la sua identità Vallauri non subì nessuna conseguenza legale da parte delle autorità governative locali, favorito dal fatto che il movimento dei graffiti non si era ancora esteso significativamente in Brasile, e sugli edifici della città esistevano pochissime forme strutturate di interventi artistici non autorizzati. Dal 1982 al 1985 visse a New York, dove frequentò il Pratt Institute, diffondendo i suoi stencil sui muri della città e decorando automobili, locali e night club, tra i quali il celeberrimo Studio 54, inserendosi nel pieno dell’esplosione del movimento dei graffiti e delle sue primordiali diramazioni; in questo periodo conobbe Keith Haring e Richard Hambleton, organizzò laboratori d’arte per bambini e realizzò due murales commissionati dall’amministrazione cittadina, uno a Tompkins Square Park e uno presso la State Courthouse. Alex Vallauri non riuscì a sfuggire alla sorte che toccò a molti protagonisti del fermento artistico newyorkese di quegli anni e, dopo essere tornato in Brasile, morì di AIDS il 27 marzo 1987, giorno del suo 37° compleanno. Il 28 aprile 1988 l’amministrazione cittadina di São Paulo dedicò una via ad Alex Vallauri nel quartiere di Itaim Bibi, ed istituì il 27 marzo come Giorno Nazionale dei Graffiti in Brasile. Alex Vallauri fu uno straordinario pioniere della street art e, in particolar modo, della tecnica degli stencil figurativi, anticipando di qualche anno i più noti pionieri americani ed europei; in Brasile Vallauri aprì la strada non solo alla diffusione dei graffiti, ma anche a tutte le altre forme di interventi pittorici urbani non autorizzati che si moltiplicarono nel giro di pochi anni. I beatniks degli anni ‘80. Un misto di Kerouac e Pollock nei tropici, banditi trasformatisi in eroi alla fine degli ‘80. Non più una prigione ma un museo d’avanguardia. Guidati dal Santo Alex Vallauri, Re Artù in persona, con i suoi cavalieri in cerca del Santo Spray-Graal. José Roberto Aguilla 14
Purtroppo è stata pubblicata solo una breve biografia in portoghese scritta dall’amica Beatriz Rota-Rossi, intitolata Alex Vallauri – Da gravura ao grafite, pubblicata da Editora Unisanta nel 2007 e scarsamente distribuita. Per quanto riguarda la rete, esiste soltanto una scarna pagina su di lui nella versione portoghese di wikipedia, ed una ricerca più approfondita può condurre a qualche articolo su Vallauri in portoghese, spagnolo ed inglese. Oggi, a livello internazionale, Alex Vallauri è quasi completamente sconosciuto.
Non avevo capito che Alex fosse considerato importante nella trasformazione del vandalismo di strada in una più alta forma d’arte, e che il suo lavoro fosse valutato dai critici d’arte. Fu circa 15 anni dopo la sua morte che durante una conversazione via internet con uno studente d’arte di São Paulo chiesi: “Hai mai sentito di un artista chiamato Alex Vallauri?” Egli rispose: “Stai scherzando, vero? Sarebbe come chiedermi se ho mai sentito parlare di Andy Warhol!” Brian Halphman [amico newyorkese di Alex Vallauri] 15 122
Nel 2010 ero a Rotterdam e vivevo con Paccini, che aveva una maschera da toro bellissima. Un giorno la Canaglia mi ha spinto a indossarla e sono andato al mercato, dove ho regalato disegni d’amore taurino ai passanti. Poi sono entrato in accademia e ho disegnato su tutti gli scarti e i ritagli di carta che ho trovato, storie di tori, meta-fori e metafore. Qualche tempo dopo avevo appena finito di dipingere una serie di piccole icone-illustrazioni di fratel Gigi, la Testa di Toro mi è apparsa e, di nuovo, ho dovuto agire. Nel cuore della notte ho seguito una via crucis taurina e ho abbandonato i tabernacoli lungo le tappe. Paccini, con fare da antropologo, ha documentato ogni cosa.
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STORIELLA Nel giugno del 2007 Damien Hirst – uno degli artisti più quotati al mondo – ha presentato un lavoro intitolato For the love of God, un teschio umano interamente ricoperto di diamanti, divenuta l’opera d’arte con il più alto costo di realizzazione della storia. Costata 20 milioni di sterline, è stata venduta al prezzo di 50 milioni di sterline, circa 75 milioni di euro. Si calcola che Hirst abbia guadagnato più di 200 milioni di sterline durante la sua carriera, ed è probabilmente il più ricco artista vivente del globo. Nel 2008 Cartrain, uno street artist inglese diciassettenne, precoce emulatore di Banksy, realizzò una serie di collage ironici contenenti l’immagine sovvertita del celebre teschio di Hirst, e li mise in vendita nel web al prezzo di 65 sterline l’uno. Nel dicembre del 2008 Damien Hirst, infuriato, denunciò il giovane artista per violazione dei diritti di copyright, fece ritirare tutti i suoi collage e si fece “restituire” le 200 sterline guadagnate da Cartrain con la vendita dei lavori. Cartrain voleva vendetta. Nel 2009 si recò alla Tate Britain per visitare l’installazione Pharmacy di Damien Hirst; durante la visita rubò dall’installazione una confezione di penne Faber Castell 1990 Mongol 482 series, senza avere la minima idea del valore che potessero avere. Dopodiché sparse per Londra una serie di ironici volantini ricattatori diretti a Hirst, che annunciavano il furto della confezione di penne e affermavano che le avrebbe restituite solamente in cambio dei propri collage, requisiti l’anno precedente; anche in questo caso tutti i media britannici riportarono l’avvenimento e Hirst si infuriò. Poche settimane dopo Cartrain venne rintracciato ed arrestato dalla squadra arte e antichità della polizia di Scotland Yard: aveva commesso il più grosso furto d’arte della storia britannica, dato che il valore della scatoletta di penne di Hirst si aggirava intorno alle 500,000 sterline. Al minorenne, in attesa della sentenza processuale, è stato vietato l’ingresso a qualsiasi museo o galleria contenente opere di Hirst. Bella storiella, ma tutto vero. 1
Scrivere graffiti è all’incirca il modo più onesto con cui puoi essere un artista. Non servono soldi per farli, non hai bisogno di un’educazione per comprenderli e non c’è nessun biglietto d’ingresso. Banksy 2
Dopo la sviolinata sulle origini della street art vorrei gettare uno sguardo sul lavoro degli artisti street che, nella mia classifica personale, hanno inciso di più negli ultimi due decenni, dalla vera e propria nascita del movimento. Nella maggior parte dei casi, trattandosi di esperienze recentissime - tuttora in sviluppo - e spesso protette dall’anonimato, è veramente difficile riuscire a reperire informazioni biografiche e cronologiche decenti. Alcuni, come Banksy, Blu, Slinkachu, Other & Labrona, hanno fatto dell’anonimato il proprio vessillo – con la doppia valenza di protezione legale e scelta politica – mentre altri, come Barry McGee, Adam Neate e Marc Jenkins, hanno scelto di rendere note le proprie identità, assumendosi consapevolmente i rischi di conseguenze legali. OTHER & LABRONA Other è un cavaliere senza macchia e senza paura che per me rappresenta l’essenza stessa della street art, capo del nuovo realismo magico. Le poche notizie biografiche rintracciabili su di lui riferiscono che sia nato a Scarborough, in Canada, intorno agli anni ‘70; nel 1988, ispirato dai primi graffiti comparsi a Toronto, si approcciò al writing ma, incapace di realizzare scritte precise e definite, se ne discostò velocemente, sviluppando uno stile più figurativo e scegliendo lo pseudonimo Other (altro). Probabilmente intorno ai primi anni ‘90 si trasferì a Montreal, dove iniziò a dipingere sugli enormi treni merci destinati a viaggiare per migliaia di chilometri attraverso gli Stati Uniti; nelle stazioni ferroviarie e nei depositi egli venne a contatto con la centenaria cultura hobo, vagabondi che viaggiano illegalmente sui treni merci americani, lasciando nei vagoni il proprio moniker (pseudonimo) generalmente con gessetti o pastelli ad olio. Other ne rimase profondamente impressionato ed elaborò una personale fusione della cultura hobo con quella dei graffiti, iniziando a dipingere i propri personaggi con pastelli ad olio direttamente sui treni merci, tuttora il suo supporto preferito. Nel corso degli anni Other ha concretamente incarnato lo stile di vita hobo, viaggiando per tutto il mondo in maniera estremamente povera – a piedi, in bici, in autostop, in treno – dormendo per strada o facendosi ospitare da sconosciuti e street artists incontrati durante il viaggio; in ogni città attraversata Other ha lasciato – e lascia – i segni del proprio passaggio, dipingendo i treni e i muri con pastelli ad olio per gli interventi di dimensioni ridotte, bombolette spray per quelli in grande scala e manifesti artigianali per le azioni più rapide. Grazie alla sua produzione estremamente prolifica ed ai suoi incessanti spostamenti, l’artista canadese si è guadagnato una notevole fama nel mondo della street art e da qualche anno ha cominciato a esporre alcuni lavori – principalmente realizzati su oggetti abbandonati – nelle gallerie, per finanziare i suoi viaggi e le sue incursioni notturne. Nonostante abbia esposto il proprio lavoro in gallerie di tutto il globo ( Taipei, Tokyo, Parigi, Dublino, San Francisco, Los Angeles, Austin, Detroit, Montreal, Toronto, Barcelona, Lima) Other non ha cambiato minimamente il proprio approccio e, quando si trova a corto di soldi, lancia un appello in rete e mette in vendita alcuni lavori originali (dipinti, disegni, xilografie) a prezzi estremamente bassi (da 20 a 300 dollari) per raggiungere l’ammontare necessario per proseguire il viaggio. 133
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Other, oltre ad aver influenzato Labrona, con cui spesso dipinge e collabora, ha involontariamente avviato una sorta di vera e propria “scuola canadese” di ragazzi che dipingono sui treni merci con i pastelli a olio. Recentemente la casa editrice canadese Anteism ha pubblicato Other – The Artwork of Troy Lovegates, il primo ed unico volume esistente su Other, contenente una stampa originale dell’artista, acquistabile su anteism.com al prezzo “hobo” di 13 dollari. Tramite il lavoro all’esterno ho scoperto l’arte. Molte volte trovo il lavoro all’interno un po’ pretenzioso e limitato a un pubblico già interessato all’arte nascosta dietro qualche muro fuori portata. Quando ero più giovane mi sentivo molto timido e nervoso a camminare in una galleria. Era come un luogo silenzioso e prezioso che parlava un linguaggio che non potevo capire, relativo all’arte o qualcosa del genere: quella sorta di discorso-spazzatura intellettuale sull’arte che spiega ogni cosa in modo che non abbia senso per chiunque non possieda una laurea in teoria dell’arte. Il mio lavoro all’interno è una pratica per il lavoro reale all’esterno.
Mi finanzia per devastare robe là fuori.
Other 3
Ho una laurea in belle arti. Ho cominciato a dipingere i treni con il mio amico Other nello stesso momento in cui ho iniziato la scuola. Perciò ho ottenuto due educazioni alla volta, una in aula e una nel deposito treni. Senza dubbio ho imparato di più dipingendo con Other, è un artista incredibile.
Labrona 4
Labrona è nato a Ottawa e, anche nel suo caso, non è nota l’esatta data di nascita, probabilmente avvenuta negli anni ‘70. Negli anni ‘90 si trasferì a Montreal, dove frequentò un’accademia d’arte e conobbe Other, che lo introdusse alla pittura sui treni merci intorno al 1998. Da allora Labrona ha seguito un percorso molto simile a quello dell’amico, spesso dipingendo e viaggiando insieme a lui, ed avviando un continuo scambio-dialogo tra i due stili differenti.
Fuori, sono libero. Dipingo in fretta e non ho tempo di ripensare. Entro in una sorta di stato meditativo nel quale dipingo esclusivamente più veloce che posso. Voglio finire in fretta e andarmene. Al chiuso, è l’opposto.
Labrona 5
Anche Labrona usa principalmente pastelli ad olio, raramente vernici e bombolette spray, e da qualche anno si è inserito marginalmente nel circuito delle gallerie d’arte – sempre grazie ai suggerimenti di Other – per potersi autofinanziare. Appassionato skateboarder, da tempo realizza grafiche per le tavole della label canadese HomeGrown, costruite a mano e stampate artigianalmente con serigrafie e xilografie. Fino ad oggi non sono stati pubblicati libri sul lavoro di Labrona. La street art è nelle strade, appena si trova in una galleria è un dipinto sul muro. Non puoi comprarla, penso che quando sia fatta per essere venduta diventi solo un dipinto, può essere un dipinto fatto in stile graffiti/street art, ma appena abbandona la strada è solo arte. Detto questo sono felice per l’attenzione che la street art ha ricevuto, mi permette di vivere facendo arte. Non posso davvero lamentarmi di questo... Labrona 6
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ADAM NEATE Adam Neate è, forse, l’artista che ha spinto più lontano la poetica-politica del dono, dell’opera come regalo gratuito, caratteristica della street art. E’ nato nel 1977 a Colchester, in Inghilterra, e cresciuto a Ipswich. A metà degli anni ‘80, grazie a un cugino, si appassionò ai graffiti e alla cultura hip-hop, che divennero parte fondamentale del suo background; attratto dalle qualità cromatiche delle scritte sui treni di New York, viste in foto nei primissimi libri comparsi sui graffiti come Subway Art di Martha Cooper, decise di provare ad emularli, avviando il proprio percorso artistico; tra le sue influenze Neate cita Daze, storico writer newyorkese, e Picasso. Neate si laureò in design al Suffolk College, poi si trasferì a Londra dove trovò lavoro come graphic designer presso un’agenzia di grafica pubblicitaria. In questo periodo, oltre a realizzare interventi pittorici sui muri con un particolare stile figurativo, Neate iniziò a dipingere su pezzi di cartone trovati per strada, il medium più economico possibile; in breve tempo la sua produzione divenne talmente prolifica che, oltre a regalare i dipinti agli amici, decise di lasciarli in forma di dono anonimo di fronte ai charity shop (negozi di beneficenza). Dopo essersi accorto che, generalmente, questi negozi gettavano i dipinti nella spazzatura, Neate tracciò il collegamento tra la strategia dei graffiti e la sua produzione pittorica, e decise di abbandonare il suoi dipinti per le strade di Londra, restituendo alla città i pezzi di cartone sotto nuove vesti.
Ho imparato a spogliare l’arte fino al bambino interiore, all’uomo delle caverne, all’animale ubriaco, al brutto, al crudo. Per arrivare più vicino possibile alla purezza dentro l’arte.
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Nel 2002 Adam iniziò a disseminare per le strade i suoi dipinti, realizzati con un mix di spray, vernici e pennarelli, appoggiandoli ai cassonetti, alle panchine o alle serrande dei negozi e appendendoli su muri, porte, lampioni e recinzioni, abbandonandoli al proprio destino; invece di firmare i dipinti con uno pseudonimo, l’artista si limitava a marchiarli con un piccolo simbolo personale. Grazie al suo stile rapido e istintivo Neate era in grado di realizzare circa 20 dipinti a notte, collocandoli nelle strade il giorno successivo, per un totale di circa 1.000 dipinti abbandonati all’anno. Dipingo semplicemente per l’amore e il piacere che mi arrivano dalla sensazione di creare qualcosa, che sia uno scarabocchio su un pezzo di cartone o un muro alto 6 piedi. Dopo il processo di creazione perdo interesse per il prodotto finale. Non voglio più vederlo. L’egoista trae profitto dal completamento di un quadro accettabile. Egli resterà per ore a guardare il suo successo personale. L’egoista definirà se stesso un “artista”... Io mi limito a dipingere sulle robe. I muri di casa mia sono vuoti. Per me l’arte non serve per appendere, ma piuttosto per sperimentare se stessi. Adam Neate 8
In 5 anni di attività incessante, con migliaia di dipinti abbanonati, Neate si guadagnò gradualmente una posizione di rilievo nel movimento della street art e divenne un personaggio-artista anonimo noto in tutta Londra; nel 2007 venne contattato dalla gallerista londinese Elms Lester, e accettò di organizzare la sua prima esposizione personale nella galleria omonima, inaugurata lo stesso anno ed intitolata Painting Pots and Prints. Adam sfruttò l’occasione per approfondire ed intensificare la propria ricerca pittorica, e la mostra si rivelò un successo straordinario ed inaspettato, sold out a poche ore dall’inaugurazione, attirando l’attenzione di tutti i media londinesi. 137
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Mmmm... L’attuale arte contemporanea in un certo senso è come una macchina del tempo piena di babbei invisibili... è già stata utilizzata in passato e puzza di scorre.
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In brevissimo tempo le quotazioni economiche dei suoi lavori salirono enormemente: nel dicembre 2007 la sua opera Suicide Bomber venne venduta a 78.500 sterline presso la casa d’aste Sotheby’s. Neate decise di proseguire la sua attività nelle strade e l’anno successivo organizzò The London Show, disseminando 1.000 lavori originali per tutti i 33 quartieri di Londra, con l’aiuto di un team di collaboratori, nella notte del 14 novembre 2008. Ho sempre sognato di essere in grado di colpire un’intera città in un giorno, e poter lavorare in una galleria e vendere dipinti mi ha aiutato a finanziare il progetto che volevo fare. Adam Neate 10
L’evento è stato documentato dal catalogo Adam Neate: The London Show, pubblicato nel 2009 da Elms Lester in un’edizione limitata di 1.000 copie. Da allora Neate ha intensamente esplorato le possibilità del proprio lavoro indoor, sviluppando dipinti tridimensionali con cartone e altri materiali plastici, organizzando due nuove mostre – una nel 2009 e una nel 2010 – presso la Elms Lester. Oggi il suo lavoro nelle strade è drasticamente diminuito. Ultimamente per la grande attenzione agli “street artists”, sento che i musicisti di strada vengono trascurati. Chi è il tuo street musicians preferito? Adam Neate 11
SLINKACHU Slinkachu è uno street artist inglese, nato a Devon nel 1979. Dal 2002 si è trasferito a Londra, dove ha cominciato a lavorare come graphic designer. Mi sembra estremamente significativo che, nonostante i suoi interventi siano talmente microscopici da essere difficilmente perseguili a livello legale, Slinkachu abbia deciso di mantenere l’anonimato. Dal 2006 acquista miniature di persone in scala 1:87, destinate ai plastici del modellismo ferroviario, le modifica con piccoli interventi, le dipinge accuratamente a mano, ed infine le incolla per strada, contestualizzandole nell’ambiente circostante. Grazie al numero straordinario di interventi realizzati – già difficilmente calcolabile – e ad una costante documentazione fotografica di essi pubblicata sul proprio blog, Slinkachu si è gradualmente conquistato una fama mondiale, dimostrando che la street art non è una questione di estetica, ma di attitudine. Personalmente ritengo che il grande successo riscontrato da Slinkachu in così breve tempo non sia dovuto semplicemente a “un’idea carina” - come direbbe mia mamma - ma al fatto che i suoi scenari minuscoli hanno il potere filosofico di visualizzare e rendere palpabile l’enormità del dramma umano e, allo stesso tempo, la possibilità di viverlo con uno sguardo ironico e umoristico. Boom, sgancio perle. Oltre a questo corpo principale di lavori, chiamato Little People Project - tuttora in evoluzione – Slinkachu si è dedicato a un altro progetto, Inner City Snail, dipingendo mini graffiti sui gusci delle lumache londinesi.
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Nel 2008 Slinkachu ha realizzato la sua prima mostra personale presso la Andipa Gallery di Londra, esponendo la documentazione fotografica delle sue micro-sculture; l’anno successivo ha organizzato la sua seconda personale nelle stessa galleria, intitolata Whatever Happened to the Men of Tomorrow, per la quale ha ideato un mini Superman invecchiato, fallito e rifiutato, documentando le sue malinconiche gesta negli angoli più reconditi di Londra. Grazie al bottino ricavato dalla vendita delle stampe fotografiche, Slinkachu ha viaggiato in Germania, Svizzera, Italia, Olanda, Norvegia e Stati Uniti, disseminando le proprie opere in ogni paese attraversato. Nel 2008 la casa editrice Boxtree ha pubblicato Little People: the street art of Slinkachu, il primo volume dedicato al suo lavoro. La gente ha iniziato a chiamarmi artista molto prima che io mi considerassi veramente tale. Slinkachu 12
DAN WITZ + MARK JENKINS Dan Witz è nato a Chicago nel 1957; nel 1981 si è laureato presso la Cooper Union di New York. Oggi vive e lavora a Brooklyn, dove continua a sviluppare attivamente il suo lavoro nelle strade. Il suo primo intervento, precedentemente accennato, ha preso forma nel 1979, quando ha dipinto 40 colibrì in stile iperrealistico sui muri di New York, impiegando circa due ore per ognuno di essi. Quei primi vagoni della metropolitana bombardati mi hanno davvero stravolto, e mi hanno fatto riflettere. Vero, nel 1978 i graffiti erano già diventati un movimento artistico: c’erano star, regole e gerarchie, ma erano ancora strabilianti e illegali, e li ho amati. Questi artisti sicuramente mi hanno spinto a lavorare all’aperto e ad essere in faccia alla gente. Stilisticamente, però, sono sempre stato un realista, la mia attrazione è sempre stata rivolta alla pittura figurativa. Ho chiamato i miei piccoli, anonimi, iperrealistici colibrì “anti-tag”. Dan Witz 13
Dan è uno dei pochissimi pionieri della street art che, pur avendo avviato una carriera nel circuito delle gallerie d’arte, non ha mai cessato di intervenire costantemente e prolificamente nelle strade, sviluppando nel tempo uno straordinario gruppo di lavori mirati a creare un corto circuito nello spazio urbano grazie a trucchi ottici; dal ‘79 ad oggi ha realizzato centinaia di dipinti ed adesivi trompe l’oeil, piccole sculture iperrealistiche e alterazioni di cartelli stradali, diffondendoli in ogni città attraversata (Londra, Parigi ed Amsterdam, oltre alle principali metropoli statunitensi) spesso con il “pretesto” di un’esposizione in una galleria. Nel 2008 la casa editrice Ginko Press ha pubblicato la prima importante monografia sul lavoro dell’artista, intitolata Dan Witz: 30 Years of Artworks Illegal and Otherwise.
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Fare street art mi è sembrato un buon modo per assicurarmi che non sarei finito a trascorrere la vita producendo solamente oggetti per gente ricca, con cui decorare le loro case. Voglio dire, chi non vorrebbe essere amato e convalidato da tutti quegli hipsters del mondo dell’arte con le loro interessanti montature? Ma se non sto attento, il successo in quel mondo ristretto può diventare la mia motivazione principale per fare arte. È per questo che continuo a tornare alla street art. Dal momento che non è in vendita, e nessuno può possederla, il mondo dell’arte non sa bene cosa fare con essa, e con me, e ci lascia abbastanza in pace. Non fraintendetemi, ci provano, sono sicuri che in essa ci debbano essere dei soldi da qualche parte, ma nel mio caso questo è stato sostanzialmente un esercizio di futilità. 142
A mio parere, la sola idea di una forma d’arte che non sia dipendente da alcun potere dall’alto - da qualsiasi filtro curatoriale o commerciale per la sua esistenza - è una grande novità: si tratta di un cambiamento paradigmatico paragonabile a quelli più grandi avvenuti nella storia dell’arte. E non mi dispiace il mondo dell’arte, nella maggior parte ha buone intenzioni, ma siamo onesti: è un business e, per definizione, questo significa tutta una serie di “linee di fondo” restrittive che sono ostili alla libertà necessaria per distaccarsi e realizzare qualsiasi tipo di gioco che possa cambiare l’arte. Dan Witz 14
Mark Jenkins è nato ad Alexandria, Stati Uniti, nel 1970; le uniche informazioni rintracciabili riguardo la sua educazione riportano che si è laureato in Geologia presso la Virginia Tech. Oggi vive e lavora a Washington DC ed è uno dei più importanti street artists che utilizzano il medium della scultura, nonostante non abbia seguito un’educazione artistica accademica e si sia avvicinato alla street art solamente all’età di 33 anni. Il suo percorso in questo campo è iniziato a Rio de Janeiro nel 2003, quando sparse per la città sculture semi-trasparenti realizzate con il nastro adesivo. Per tre anni Jenkins ha sviluppato questo progetto in maniera prolifica, guadagnandosi gradualmente notorietà grazie a bambini, uomini, animali ed oggetti di scotch abbandonati in svariate città; nel 2006 ha iniziato a vestire i suoi manichini artigianali con abiti reali, sviluppando una serie di sculture a grandezza naturale estremamente realistiche, collocate in posizioni e situazioni assurde all’interno dello spazio urbano: spuntano da cestini, tombini e cassonetti, stanno appoggiati ai muri con la testa incastrata dentro di essi, sono in bilico sul bordo di edifici e cartelloni stradali, dormono per strada e chiedono l’elemosina, generando le reazioni più inaspettate delle persone che si trovano di fronte. Da qualche anno Jenkins lavora con la Carmichael Gallery di Los Angeles e con la Lazarides Gallery di Londra, ed è riuscito a portare il suo lavoro in città come Mosca, Belgrado, Seoul, Tokyo, Vienna, Bordeaux e Dublino. Egli è inoltre attivo sul fronte didattico - spesso organizza corsi e workshops nelle città che attraversa - ed ha creato un sito web che spiega nei minimi dettagli il processo per costruire efficacemente sculture con il nastro adesivo.
C’è resistenza, e rischio, ma penso che questo dimostra che la street art è una sorta di frontiera dove il bordo d’ingresso deve essere valicato scavando attraverso il ghiaccio. Ed è un bene per le persone ricordare che lo spazio pubblico è un campo di battaglia, con il governo, i pubblicitari e gli artisti che si mescolano e si calpestano a vicenda, ed ora una strana impollinazione incrociata ha preso piede dato che alcuni street artists diventano brands, dei marchi camuffati da street art che creano complessi ibridi o imitazioni. Penso che comprendendo la stranezza di questo terreno competitivo potrete realizzare che rappresentare gli street artists, i writers, come i cattivi è una visione superficiale. Mark Jenkins 15
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BANKSY Ti stanno prendendo per il culo tutti i giorni. Si intromettono nella tua vita, ti tirano un colpo basso e poi scompaiono. Ti sbirciano da edifici alti e ti fanno sentire piccolo. Fanno commenti impertinenti dagli autobus che insinuano che non sei abbastanza sexy e che tutto il divertimento sta accadendo da qualche altra parte. Sono in TV, facendo sentire inadeguata la tua ragazza. Hanno accesso alla più sofisticata tecnologia che il mondo abbia mai visto e ti intimidiscono con essa. Sono I Pubblicitari, e stanno ridendo di te. A te, tuttavia, è proibito toccarli. Marchi registrati, diritti di proprietà intellettuale e leggi di copyright significano che i pubblicitari possono dire quello che vogliono ovunque vogliono con la totale impunità. Che cazzo. Ogni pubblicità in uno spazio pubblico, che non ti dà scelta se vederla o meno, è tua. E’ tua da prendere, riarrangiare e riutilizzare. Chiedere il permesso è come chiedere di poter tenere un sasso a qualcuno che te l’ha appena tirato in faccia. Non devi niente alle aziende. Meno di niente, specialmente non gli devi nessuna cortesia. La devono a te. Hanno riarrangiato il mondo per mettersi davanti a te. Non hanno mai chiesto il tuo permesso, non cominciare mai a chiedere il loro. Banksy 16
Banksy è senza ombra di dubbio il più famoso – e quotato – street artist del mondo.
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Nonostante orde di puristi, fondamentalisti, detrattori, critici e giornalisti l’abbiano etichettato come venduto, diventato parte del sistema che criticava, chi conosce realmente la street art sa che Banksy è ancora il capopattuglia indiscusso del movimento, colui che l’ha costantemente spinto oltre i propri limiti, e che continua a farlo. Questo grazie alla lealtà dimostrata verso i punti focali della street art: anonimato-illegalità, rapporto subordinato tra outdoor e indoor, cannibalismo-rifiuto del copyright. Considerando la sua enorme popolarità, la quantità immensa di lavori realizzati nel corso di un decennio, l’elevato grado di difficoltà tecniche ed organizzative di alcuni di essi, e la necessità di instaurare occasionalmente contatti con le istituzioni per conseguire obiettivi predefiniti, risulta incredibile che Banksy sia riuscito a mantenere intatto il proprio anonimato. Certamente ciò è stato possibile attuando una ferrea strategia da spionaggio militare, pianificando le proprie operazioni in ogni minimo dettaglio e, soprattutto, avvalendosi di un team di collaboratori strettamente fidati, che fino ad oggi non lo ha mai tradito; questo ha portato in molti a considerare l’ipotesi – a mio avviso poco verosimile - che in realtà dietro lo pseudonimo Banksy si celi un collettivo, e non una singola persona. Un altro punto chiave riguarda la gestione delle sue risorse economiche: la strategia operativa che Banksy ha attuato e sviluppato nel corso degli anni si è rivelata geniale, coerente, ed estremamente efficace, permettendogli di realizzare operazioni colossali senza ricorrere a finanziamenti esterni. Non voglio vendere merdate a Charles Saatchi. Se vendo 55.000 libri e altrettante serigrafie, non necessito di un uomo che mi dica che sono un artista. E’ enormemente differente se la gente compra tutto ciò, piuttosto che lo faccia un singolo fottuto agente Tory [conservatore].
Banksy 17
Nei suoi primi due anni di attività si è infatti finanziato con la vendita di serigrafie e stampe a basso costo, con la pubblicazione di un libretto di fotografie dei suoi stencil, e con le vendite
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ricavate da una piccola mostra allestita a Los Angeles; fin da questi esordi Banksy ha seguito una linea precisa, rifiutandosi fermamente di farsi rappresentare da qualsiasi galleria, gestendo direttamente la vendita dei propri lavori e declinando ogni tipo di offerta per la realizzazione di grafica pubblicitaria o per la produzione di merchandising. L’esplosione della sua popolarità ha portato alla crescita esponenziale del prezzo dei suoi lavori originali, permettendogli di guadagnare cifre altissime che, fino ad ora, ha costantemente investito nella realizzazione di progetti sempre più imponenti, dimostrando che la vendita di opere ai ceti ricchi sia finalizzata principalmente a finanziare il suo vero lavoro nelle strade, democratico ed accessibile. Infine Banksy rifiuta il copyright e nel suo sito, nei suoi libri e nei suoi video invita chiunque ad appropriarsi delle sue immagini per qualsiasi tipo di utilizzo, condannando moralmente chi tenta di spacciare riproduzioni o merchandising per prodotti originali o ufficiali; tutto ciò ha permesso al lavoro di Banksy di diffondersi liberamente ed anarchicamente in qualsiasi forma, generando una quantità immensa di merchandising, pubblicazioni, frodi e false esposizioni personali da cui lo street artist non ha ricavato nessun profitto economico. Nonostante quello che dicono, i graffiti non sono la più bassa forma d’arte. Sebbene tu debba strisciare nella notte e mentire a tua madre, sono una della più oneste forme d’arte in circolazione. Non c’è elitarismo né pubblicità, si esibiscono sui migliori muri che una città ha da offrire e nessuno è tagliato fuori dal prezzo d’ingresso. Un muro è sempre stato il posto migliore per pubblicare il tuo lavoro. La gente che percorre le nostre città non comprende i graffiti perché pensa che niente abbia il diritto di esistere a meno che sia fatto per trarne profitto. Banksy 18
I pochi e incerti dettagli biografici di dominio pubblico riportano che Banksy è nato nel
1974 nei pressi di Bristol, in Inghilterra, e secondo le fonti più accreditate il suo nome reale potrebbe essere Robin Banks, Robert Banks o Robin Gunningham; scoop, quello legato al suo vero nome, che negli ultimi anni hanno tentato di aggiudicarsi i principali tabloid inglesi e mondiali, senza però arrivare a risultati certi, documentati e verificabili. Secondo varie interviste rilasciate, Banksy si è interessato ai graffiti durante il boom della spray art di Bristol alla fine degli anni ’80, intraprendendo l’attività di writer intorno al 19921994 e riuscendo a inserirsi rapidamente nell’ampia scena underground locale grazie alle sue spiccate abilità grafico-pittoriche; già dagli esordi usava stencil di piccole dimensioni come elemento decorativo per le sue scritte, probabilmente influenzato dall’estetica punk rock inglese dei primi anni ‘80. Nel 1998 Banksy, componente della DryBreadZ Crew insieme a Kato e Tes, si guadagnò un posto di rilievo nel panorama sotterraneo del writing britannico e organizzò una grande graffiti jam chiamata Walls On Fire, evento dalla durata di un fine settimana che radunò writers da tutto il Regno Unito e dal resto dell’Europa per dipingere un muro lungo centinaia di metri. Una svolta fondamentale per Banksy arrivò intorno al 2000, quando decise di passare dalla tecnica dei graffiti alla realizzazione di stencil di grandi dimensioni, influenzato da Blek Le Rat; la sua precisione e lentezza nella realizzazione dei graffiti gli aveva già causato diversi inconvenienti con le forze dell’ordine, e Banksy aveva maturato l’esigenza di diffondere nelle strade immagini efficaci ed immediate, riproducibili serialmente con un rapido tempo di esecuzione, che potessero oltrepassare incisivamente i limiti autoreferenziali del writing.
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Gli stencil di Banksy, ottenuti rielaborando e mescolando in maniera geniale fotografie, loghi e icone della storia, della politica, dello spettacolo e dell’arte, creano immagini surreali di fortissimo impatto, che compongono un mondo alternativo e disincantato caratterizzato da una tagliente ironia; immagini che si prendono gioco del quotidiano vivere umano a tal punto da farlo apparire ridicolo e inutile, o che esprimono un forte significato simbolico, impegnato, di critica all’establishment, alla società dei consumi, ai paradossi dell’occidente, al militarismo, ricordando per molti aspetti la potenza dei sovversivi collage fotografici antinazisti di Heartfield, il cui lavoro non è di certo sconosciuto a Banksy. In meno di due anni gli stencil dell’artista inglese, piccoli ed effimeri simboli, o interventi molto incisivi relazionati allo spazio architettonico circostante, si sono diffusi prolificamente seguendo gli spostamenti di Banksy a Londra, in tutto il Regno Unito e nel resto del mondo. Alcuni di questi stencil sono diventati delle vere e proprie icone di controcultura famose a livello globale, come il manifestante Nica Leon che scaglia un mazzo di fiori, i due poliziotti che si baciano teneramente, la Mona Lisa col bazooka, la bambina vietnamita colpita dal napalm tenuta per mano da Mickey Mouse e Ronald McDonald. Nel 2001, per autofinanziarsi, Banksy pubblicò una prima raccolta dei suoi lavori composta da 54 pagine in bianco e nero, intitolata Banging Your Head Against A Brick Wall, tramite la piccola casa editrice inglese Weapons of Mass Distraction. 2002 Nel 2002 il rapidissimo e incessante moltiplicarsi degli stencil di Banksy nelle città inglesi cominciò ad attirare su di lui l’attenzione dei media nazionali, scatenando un dibattito tra chi lo definiva artista, e voleva tutelare le sue opere, e chi lo vedeva unicamente come un vandalo, e insisteva sulla necessità di ripulire i suoi lavori e perseguirlo legalmente. C’erano tutti gli ingredienti per una perfetta tempesta mediatica, che l’irriverenza di Banksy non mancò di far esplodere dipingendo la Regina Elisabetta con il volto da scimpanzé durante il Golden Jubilee (50° anniversario dell’incoronazione della regina) e scrivendo a spray una serie di slogan provocatori su sette autovetture della polizia al Glastonbury Festival, portando così il suo nome su tutti i principali quotidiani inglesi ed affermando la propria popolarità. Il 2002 è anche l’anno nel quale Banksy iniziò ad infiltrarsi nel mondo ufficiale dell’arte (anche se ne resterà sempre ai margini) e il 19 luglio venne aperta la sua prima esposizione di stencil e stampe, dal nome Existencilism, presso il piccolo spazio espositivo 33 1/3 Gallery di Los Angeles, curato da Frank Sosa; all’esposizione seguì la pubblicazione di Existencilism, il secondo libro di Banksy – questa volta a colori – pubblicato dalla medesima casa editrice del primo. 2003 Nel 2003 Banksy invase Londra e altre metropoli del mondo con centinaia di stencil di ratti che interagiscono con l’ambiente urbano, fanno ciò che i cartelli vietano di fare, scrivono slogan provocatori, protestano per la loro emarginazione e condizione sociale, esprimono umili pensieri. Questi ratti sono diventati un altro logotipo di Banksy, tuttora utilizzati dall’artista; in molti hanno notato che in inglese anagrammando la parola “rat” si ottiene curiosamente la parola “art”. Esattamente come nel caso di Méndez con i calaveras di Posada, Banksy ha saputo appropriarsi dell’iconografia di Blek le Rat, rielaborandola e attualizzandola nel proprio lavoro. 149
Loro esistono senza permesso. Sono odiati, cacciati e perseguitati. Vivono in quieta disperazione in mezzo al sudiciume. Eppure sono capaci di mettere in ginocchio intere civiltà. Se sei sporco, insignificante e non ti senti amato allora i ratti sono il miglior modello di vita. Banksy 19
Da questo momento Banksy cominciò ad agire anche con linguaggi alternativi ai canonici stencil che l’avevano reso famoso, realizzando una serie di performances ironiche e provocatorie incentrate sull’etica della relazione uomo-animali, infiltrandosi negli zoo di Bristol e di Londra, spruzzando nella gabbia dei pinguini la scritta “Il pesce ci ha stancato” e scrivendo sulla parete interna del recinto di un elefante “Voglio uscire. Questo posto è troppo piccolo e freddo. Noia. Noia. Noia”. In seguito l’artista ripeté azioni simili negli zoo di altre città, come Melbourne e Barcellona. Nel 2003 Banksy accettò di creare uno stencil per la copertina del nuovo album Think Tank dei Blur e disegnò gratuitamente un poster per Greenpeace, ma rifiutò moltissime offerte per realizzare campagne pubblicitarie di grandi multinazionali, tra le quali la Nike. Nello stesso anno l’artista concesse la sua prima e unica intervista dal vivo a Simon Hattenston, giornalista del «Guardian», che descrisse Banksy come un ventottenne bianco con jeans, t-shirt, catenella e orecchino d’argento, somigliante a un incrocio tra Jimmy Nail (cantante e attore britannico) e il rapper Mike Skinner dei The Streets; egli ovviamente rifiutò di farsi fotografare e si presentò al pub prestabilito accompagnato dall’amico Steve Lazarides. Lazarides è stato per circa dieci anni una sorta di agente di Banksy, incaricato di gestire qualsiasi forma di contatto tra lo street artist e il mondo istituzionale; egli è titolare del suo sito web, ha fotografato molti interventi londinesi di Banksy il mattino dopo la realizzazione ed ha gestito la vendita diretta dei suoi lavori in un piccolo spazio espositivo situato a Greek Street, Londra. Nel 2010 ha dichiarato di aver cessato qualsiasi forma di rapporto con Banksy ed ha aperto una grossa galleria nei pressi di Oxford Cyrcus che espone il lavoro di noti street artists. Il 15 luglio 2003 Banksy inaugurò Turf War, la sua prima esposizione europea, interamente autofinanziata ed auto-prodotta, collocata in un vecchio magazzino nella periferia di Londra e durata solo 5 giorni; all’inaugurazione erano presenti diverse celebrità inglesi ma Banksy, fedele alle sue abitudini, non si fece vedere. La mostra comprendeva ovviamente una grande quantità di stencil e slogan provocatori, ma anche automobili distrutte e decorate, celebri dipinti a olio della storia dell’arte rivisitati con l’inserimento di elementi decontestualizzanti, e alcuni animali vivi, come maiali dipinti coi colori della polizia, una pecora colorata con le strisce dei campi di concentramento e una mucca coperta da immagini della faccia di Andy Warhol. Nonostante si trattasse di animali da esposizione provenienti da un allevamento del Somerset, abituati a essere mostrati in pubblico e dipinti con un’apposita vernice non tossica - le cui condizioni erano state approvate e autorizzate - un’animalista si incatenò per protesta alla recinzione della mucca. 2004 Un significativo passo successivo nel percorso artistico di Banksy avvenne nel 2004, quando decise di appendere abusivamente alcuni dei suoi dissacranti quadri ad olio - presentati in Turf War - nei principali musei del mondo, con tanto di false didascalie descrittive: azioni geniali di critica al sistema elitario dell’arte, diventate famosissime grazie ai video inseriti nel suo sito. 152
I suoi falsi dipinti sono stati appesi nella Tate National Gallery di Londra, nel Louvre di Parigi e nei più importanti musei di New York (Museum of Modern Art, Metropolitan Museum of Modern Art, Brooklyn Museum), dove sono rimasti a volte poche ore e a volte diversi giorni prima di essere scoperti e rimossi. Partito da questo spunto, nei mesi successivi Banksy posizionò una bacheca con un ratto imbalsamato vestito da writer al Natural History Museum di Londra, una teca con un finto insetto munito di lancia-missili presso l’American Museum of Natural History e un pezzo di roccia contenente un falso graffito preistorico - raffigurante un uomo con un carrello della spesa - al British Museum, che decise di includere l’opera nella sua collezione permanente. Nel 2004 Banksy stampò inoltre un’impressionante serie di false banconote inglesi sostituendo il volto di Lady Diana a quello della Regina e la scritta “Banksy of England” a “Bank of England”, le diffuse per tutto il Regno Unito e le incollò intorno a vari sportelli bancomat come se fossero appena state espulse da essi. Nello stesso anno l’artista accettò a suo modo l’invito della Biennale di Liverpool e dipinse senza preavviso un immenso ratto sulla parete di un vecchio pub della città. E’ datata 2004 anche la sua performance dal titolo McDonalds is stealing our children, avvenuta a Piccadilly Circus (Londra) dove, travestito da Ronald McDonald, gonfiò e fece volare un grande pallone rosso con il logo McDonald, al quale era appeso il manichino di un bambino. Nel 2004 Weapons of Mass Distraction pubblicò Cut it Out, terza raccolta documentativa degli interventi di Banksy. 2005
Nel 2005 oltre agli innumerevoli stencil “tradizionali” (che non ha mai smesso di produrre) Banksy realizzò una serie di lavori centrati su una riflessione dedicata allo spazio urbano e al legame che si crea tra questo e le opere in esso posizionate. Disseminò per le città falsi cartelli stradali, false pubblicità e false affissioni comunali contenenti messaggi ludici, ironici, provocatori e pacifisti; fra i tanti, spiccano le insegne “Zona Graffiti Autorizzati” riprodotte su grandi muri immacolati di Londra, Bristol e San Francisco, che in breve tempo si riempirono da cima a fondo di graffiti, creando confusione e generando un’interazione con un pubblico più o meno consapevole della trovata. Dello stesso tipo, ma ancora più invasive, sono le sculture-installazioni che da quest’anno Banksy cominciò a collocare nelle strade di diverse città: coni dei cantieri stradali messi a mo’ di cappello sulla testa delle sculture storiche, oppure tagliati, uniti a creare la colonna vertebrale di un immaginario mostro sommerso, o ancora incollati uno all’altro a forma di stella per comporre una mazza chiodata; finti corvi pirata che sabotano le telecamere di Londra (la città più controllata al mondo); infine la famosissima falsa cabina telefonica rossa distrutta da una picconata, posizionata a Soho Square. Nell’agosto 2005 Banksy realizzò uno dei suoi lavori più estremi e significativi spostandosi al di fuori del mondo occidentale - dove aveva operato principalmente fino ad allora - in Palestina, nei pressi di Betlemme, per dipingere senza autorizzazioni sul triste e immenso muro divisorio promosso dal governo israeliano. Le nove opere realizzate dall’artista raffigurano bambini che evadono tramite scale o palloncini, bambini che vanno a giocare oltre il confine attraverso impossibili varchi, falsi squarci nel muro che lasciano intravedere paesaggi da cartolina. 154
Dal 1967 la Palestina è occupata dall’esercito israeliano. Nel 2002 il governo israeliano ha cominciato a costruire un muro che separa i territori occupati da Israele, illegale e non autorizzato dalle leggi internazionali. E’ controllato da una serie di checkpoints e torri d’osservazione, è alto tre volte il muro di Berlino e il progetto prevede che sarà lungo oltre 700 km – la distanza di Londra da Zurigo. La Palestina è attualmente la più grande prigione a cielo aperto del mondo e la destinazione ultima per l’attività di un graffiti artist. Banksy 20
Nel 2005 uscì Wall and Piece, il primo ed unico libro ideato da Banksy pubblicato da una grossa casa editrice, la Random House, contenente un’ampia documentazione dei primi cinque anni di interventi nelle strade, unita ad una serie di frasi, aforismi e considerazioni dell’autore. 2006
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Nel 2006 uno stencil di Banksy nel quale è ritratto un uomo nudo appeso al davanzale di una finestra, realizzato su un edificio della città natale Bristol, creò un’accesa polemica legata alla sua eventuale rimozione, come era già avvenuto per molti altri suoi stencil in tutto il Regno Unito: l’amministrazione comunale decise di affidare la scelta ai cittadini, ma dopo un sondaggio via internet conclusosi con il 97% di pareri contrari alla rimozione dell’opera, scelse comunque di far rimuovere lo stencil dalla parete. Nello stesso anno Banksy mise a segno altre due azioni-performances non autorizzate. Ad agosto diffuse in 48 diversi negozi musicali inglesi centinaia di copie falsate dell’album di debutto di Paris Hilton: inserì in copertina l’immagine di una testa di cane al posto di quella dell’ereditiera, aggiunse domande provocatorie all’interno del libretto (“Perché sono famosa?”, “Che cosa ho fatto?”, “Perché sono qui?”) e sostituì le traccie dell’album con remix ironici appositamente realizzati dal DJ e produttore Danger Mouse. La mattina del 16 settembre – qualche ora prima dell’inaugurazione di Barely Legal - incatenò invece un manichino vestito da prigioniero di Guantanamo alla cancellata del Big Thunder Mountain Railroad, una delle attrazioni principali del parco Disneyland di Anaheim, in California. La sera del 16 settembre vide infatti la luce una nuova esposizione di Banksy, Barely Legal, annunciata all’ultimo momento come le precedenti e situata in un magazzino di un quartiere periferico di Los Angeles, durata solo tre giorni; la mostra comprendeva, tra le altre opere, un elefante vivo, dipinto con gli stessi motivi floreali oro e rosa della carta da parati della stanza, nella quale si mimetizzava. 2007 Mentre i suoi stencil e quelli dei suoi numerosissimi imitatori continuarono a diffondersi nelle principali metropoli mondiali, la fama di Banksy esplose definitivamente su scala mondiale e le sue opere iniziarono ad essere rintracciate, staccate dalle pareti mattone per mattone e vendute a prezzi stratosferici senza l’autorizzazione dell’artista. Banksy tornò a far parlare di sè e a creare scalpore e confusione nel giugno 2007, quando - presso il Glastonbury Festival - una sua installazione composta da toilets-cabine di plastica disposte come le pietre di Stonehenge venne devastata da fanatici che ritenevano offensiva la sua presenza sullo stesso terreno del “sacro cerchio”, finendo così per essere rimossa.
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La gente dice che i graffiti sono brutti, irresponsabili e infantili... Ma questo è vero solo se sono fatti come si deve.
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In seguito all’acquisto di una tela con la Regina Vittoria feticista per 25.000 sterline da parte di Christina Aguilera, la casa d’aste londinese Sotheby’s vendette delle stampe di Kate MossMarylin Monroe per 57.000 sterline e in breve registrò il record del più alto prezzo pagato per un’opera di Banksy, 102.000 sterline per lo stencil Bombing Middle England. Banksy ha postato sul suo sito web un commento profondo in merito. Non posso credere che voi cretini comperiate realmente questa merda.
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2008 A inizio 2008 Banksy affittò per qualche mese un sottopassaggio ferroviario in disuso a Leake Street, presso la stazione londinese di Waterloo, e organizzò segretamente un evento che chiamò The Cans Festival. Egli contattò personalmente una quarantina dei principali street artists mondiali dediti alla tecnica dello stencil (tra cui C215, Blek Le Rat, Dolk, Vhils, Lucamaleonte, Orticanoodles) e li invitò a partecipare all’operazione, pagando a ciascuno un biglietto aereo di andata e ritorno per Londra; in pochi giorni tutti gli artisti partecipanti dipinsero in segreto le pareti del tunnel, dopodiché – all’ultimo momento, come sempre – l’evento fu annunciato e nei i giorni 3, 4 e 5 maggio il sottopassaggio venne aperto al pubblico, che fu invitato ad aggiungere liberamente nuovi interventi oltre a quelli già presenti; The Cans Festival fu un successo e raccolse migliaia di visitatori e partecipanti. Nell’agosto 2008 Banksy tornò negli Stati Uniti per ricordare il terzo anniversario dell’uragano Katrina e denunciare la pessima assistenza ricevuta dalle vittime; dipinse una serie di suggestivi stencil solitari sugli edifici di New Orleans abbandonati e distrutti dal disastro. Il 5 ottobre dello stesso anno aprì silenziosamente la prima esposizione ufficiale di Banksy a New York, dal titolo The Village Pet Store And Charcoal Grill. Inizialmente la mancanza di intestazioni, titoli e descrizioni impedì di attribuire a Banksy la paternità della mostra - collocata in un piccolo negozio di animali e visibile anche di notte attraverso le vetrine illuminate - soprattutto perché non vi erano esposti stencil o stampe ma solo ed esclusivamente animatronics, ossia piccoli oggetti quotidiani trasformati in animali mossi da dispositivi elettronici, posizionati nelle teche, nelle gabbiette e negli acquari del negozio. Una gallina osserva i pulcini-chicken mc nuggets mangiare nella vaschetta della salsa barbecue, dei bastoncini findus nuotano in un acquario, un coniglio Trudy si trucca allo specchio... In questa straordinaria esposizione Banksy si discostò dalle sue mostre precedenti e raggiunse un nuovo livello espressivo e poetico, lasciando trasudare dalla luce soffusa delle gabbie una triste e malinconica visione del rapporto uomo-animali, riflessione emblematica che fin dagli inizi rappresenta un punto fisso nel suo lavoro. I newyorkesi non si interessano di arte, si interessano dei loro animali domestici. Così ho deciso di esibirli. Volevo fare arte che si interrogasse sul nostro rapporto con gli animali e sull’etica e la sostenibilità dei prodotti da essi derivati, ma è finita con dei chicken nuggets che cantano. Ho utilizzato tutti i soldi guadagnati sfruttando un animale nella mia ultima mostra per realizzare una nuova mostra sullo sfruttamento degli animali. Se è arte e puoi vederla dalla strada, penso che possa essere considerata street art. Banksy 23
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2009 Nel 2009 Banksy, affiancato da Steve Lazarides, lanciò Pest Control, un indirizzo mail dedicato al riconoscimento dell’autenticità dei propri lavori per ridurre le truffe subite da centinaia di persone che acquistavano falsi e riproduzioni attribuite all’artista. L’indirizzo mail divenne inoltre l’unico punto di riferimento per la vendita dei suoi nuovi lavori; infatti Banksy non è mai stato rappresentato da nessuna galleria, nonostante negli ultimi anni le principali gallerie mondiali rigirino i suoi lavori (principalmente quelli che venivano venduti a prezzi bassissimi nel piccolo spazio di Lazarides) attribuendosi inesistenti contatti diretti con l’artista e organizzando esposizioni personali di Banksy senza la sua volontà ed autorizzazione. Lo stesso anno Banksy ricevette la proposta dal Bristol Museum - la principale istituzione artistica del suo paese d’origine – di realizzare una mostra personale all’interno della struttura; egli diede la sua disponibilità esclusivamente a determinate condizioni: ingresso completamente gratuito per tutta la durata dell’evento e totale autonomia, isolamento e segretezza durante l’allestimento. Il Bristol Museum accettò e vide così la luce Banksy vs Bristol Museum; il centro espositivo, dopo essere rimasto completamente chiuso per un mese, aprì le porte il 13 maggio e, nel corso di 12 settimane, 300.000 persone visitarono l’irriverente esposizione, comprendente un centinaio di opere di Banksy, disposte a formare una sorta di unica immensa installazione, tra stencil, interventi parietali, dipinti ritoccati, sculture, animali, robots e manichini. Questa è la prima volta che i soldi dei contribuenti sono utilizzati non per togliere le mie opere dai muri, ma per appendercele. Banksy 24
2010 – EXIT THROUGH THE GIFT SHOP Nel 2010 Banksy mise a segno un colpo di dimensioni epiche, a cui probabilmente lavorava da tre o quattro anni. Il 24 gennaio venne presentato al Sundance Film Festival il film Exit Through The Gift Shop (Uscita Attraverso Il Negozio Di Souvenir) diretto da Banksy. Il titolo, tipica frase che troviamo alla fine di qualsiasi percorso espositivo museale, è estremamente significativo. Exit Through The Gift Shop, presentato con l’etichetta di documentario, ha acceso un enorme dibatto riguardo la veridicità della storia raccontata, tuttora in corso e privo della possibilità di una soluzione. Il film è allo stesso tempo uno stimolo a prendere coscienza dell’inattendibilità del linguaggio video, una documentazione (dall’interno) sul movimento della street art, una riflessione autocritica sul suo rapporto con il sistema dell’arte, una critica alle strutture del mondo dell’arte contemporanea, una denuncia più estesa ai meccanismi dominanti della società consumista e una dimostrazione della possibilità di raggirare i meccanismi del sistema artistico per creare un enorme corto circuito. Il contenuto del film è una forma talmente ibrida ed intersecata di tutti questi aspetti che tentare di analizzarli separatamente risulterebbe forzato. La storia narra la vicenda di Thierry Guetta, un francese emigrato a Los Angeles dove apre e gestisce un negozio di abbigliamento vintage che gli conferisce consistenti guadagni.
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Guetta, sposato e con figli, in seguito a un trauma infantile sviluppa l’ossessione per la videocamera, portandola sempre con sé e filmando in maniera compulsiva qualsiasi cosa intorno a lui, giorno e notte. Durante una vacanza in Francia scopre che suo cugino è Invader, noto street artist internazionale. Invader gli presenta altri celebri street artists parigini e Guetta inizia a seguirli nelle loro imprese notturne, documentando tutto con la sua videocamera. Da quel momento si innamora della street art, abbandona la sua attività commerciale e, tramite i contatti di Invader, inizia a riprendere le imprese dei più celebri street artists mondiali, seguendoli ovunque, guadagnandosi la loro fiducia e acquisendo all’interno del movimento la fama di personaggio-documentatore folle, coraggioso, disponibile e fidato. Per un anno Guetta segue questa passione, interessato unicamente all’atto di registrare, limitandosi ad ammucchiare le centinaia di nastri realizzati in una stanza di casa sua, senza la minima idea di che farne. Egli riesce ad arrivare fino a Obey, che accompagna spesso durante i suoi interventi, ma diventa ossessionato da Banksy, il più anonimo, sfuggente e irrintracciabile di tutti gli street artists, e si deprime poiché non trova il metodo per contattarlo. Caso vuole che Banksy decida di recarsi a Los Angeles e contatta Obey, che a sua volta contatta l’entusiasta Guetta per fare da guida allo street artist inglese. I due si conoscono, diventano amici e Banksy invita Guetta nel suo studio a Londra, permettendogli di filmarlo esclusivamente di spalle. In seguito Banksy ritorna a Los Angeles per la sua esposizione Turf War e, preoccupato dall’attenzione esasperata attratta dalla street art, ricontatta Guetta e lo sprona a produrre un documentario su di essa grazie a tutte le riprese in suo possesso. Guetta si mette all’opera e qualche mese dopo invia a Banksy il risultato, intitolato Life Remote Control; Banksy giudica il film una sorta di videoclip inguardabile e decide di occuparsi in prima persona della realizzazione del documentario, consigliando a Guetta di lanciarsi nel mondo della street art per tenerlo occupato. Guetta segue i suoi consigli e adotta lo pseudonimo di Mr. Brainwash, incollando i suoi poster nelle strade e - incapace di affrontare le cose gradualmente - decidendo di allestire un’enorme mostra personale presso un magazzino di Los Angeles appositamente affittato. Guetta investe tutti i suoi risparmi nello show, intitolato Life is Beautiful, assume un team di collaboratori e avvia un’intensa campagna pubblicitaria. Egli diventa esclusivamente un ideatore, lasciando che siano i collaboratori ad eseguire materialmente i suoi lavori (creati rielaborando icone ed opere già esistenti) e focalizzandosi sull’aspetto del marketing, richiedendo a Obey e a Banksy degli interventi per promuovere la mostra. A poche ore dall’inaugurazione gran parte della mostra non è ancora allestita e, dato che Mr. Brainwash è occupato a rilasciare interviste, il suo team decide autonomamente come allestire i lavori. L’esposizione si rivela un successo straordinario, Mr. Brainwash incassa più di un milione di dollari dalle vendite e viene immediatamente proiettato nel mercato internazionale dell’arte. La vicenda si conclude con Guetta che afferma che sarà il tempo a parlare, dimostrando se egli sia un vero artista o meno.
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b.a. 186
Il film, della durata di ‘87 minuti, è uscito il 5 marzo 2010 nel Regno Unito e il 16 aprile 2010 negli Stati Uniti, ed è stato successivamente distribuito in tutto il mondo; la versione integrale è facilmente rintracciabile nel web. La mia personale interpretazione è che il film sia un mockumentary, ossia un falso documentario nel quale degli eventi fittizi appositamente creati per la trama sono presentati come reali. 164
Ritengo che la prima parte della storia, per quanto romanzata, sia vera; Guetta ha realmente ripreso gli street artists durante la realizzazione di interventi urbani, documentati e pubblicati sul web negli anni scorsi; penso che Banksy, quando ha conosciuto Guetta, abbia avuto l’intuizione geniale di pilotare e pianificare il resto della storia, con il consenso del filmaker francese e la complicità di Obey e degli altri street artists coinvolti. Egli ha saputo gestire l’operazione colossale nei minimi particolari, avvalendosi di un gruppo di collaboratori estremamente fidato, resa possibile dal capitale enorme accumulato dalla vendita dei propri lavori. Banksy ha perciò ideato Mr. Brainwash (il nome è esemplificativo) a tavolino, organizzando la sua esposizione e pubblicizzandola, dimostrando concretamente ed abilmente il funzionamento del sistema dell’arte, nel quale basta avere grandi quantità di denaro e seguire la giusta strategia di marketing e promozione per diventare artisti affermati, prendendosene gioco. Di certo un’attenta visione di Exit Through The Gift Shop, unita ad una conoscenza approfondita del lavoro di Banksy, può evidenziare una grande quantità di particolari inseriti abilmente nella vicenda che lasciano trapelare la grande truffa, dall’aspetto estetico dei lavori di Mr. Brainwash alla dichiarazione di Banksy rilasciata per promuovere la sua mostra: Mr. Brainwash è una forza della natura, è un fenomeno. E non intendo in senso positivo.
Puoi attaccare tutta la mia merda alla Tate Modern e fare un’inaugurazione con Tony Blair e Kate Moss sui pattini che distribuisce vol-au-vents, e non sarebbe tanto eccitante quanto lo è quando vai fuori e dipingi qualcosa di grosso dove non dovresti farlo. Banksy 25
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BLU
Se Banksy è il cervello del movimento, e Other ne incarna lo spirito, Blu rappresenta senza dubbio il cuore stesso della street art. Le informazioni biografiche su di lui sono molto scarse: è nato a Senigallia e ha frequentato una scuola d’arte a Bologna, dove tuttora vive. Blu è un nome che scelse in età giovanile quando iniziò dipingere per strada come qualsiasi ragazzo appartenente alla sottocultura spaghetti hip-hop.
Stefano Questioli 26
La sua identità è fermamente protetta dal semplice pseudonimo che, come nel caso di Other, contribuisce ad “anonimizzarlo” ulteriormente e a confondere le ricerche sul web. Dopo un percorso “canonico” da writer, intorno al 2000 Blu decise di abbandonare l’uso delle lettere e delle bombolette spray, iniziando a dipingere personaggi figurativi con vernici, rulli e pennelli. Il percorso che ho fatto nel dipingere è stato un camminare a ritroso: ho abbandonato le lettere, poi la tag, poi gli spray e con essi anche le sfumature, le luci ecc… Ho cercato di fare una sintesi di ciò che mi interessava veramente ed ora è rimasto solo il personaggio, contorni neri e due colori. Blu 27
Ispiratosi al linguaggio dei fumetti, Blu sviluppò uno stile semplice, immediato, accessibile e riconoscibile, espandendo gradualmente la dimensione dei propri interventi pittorici ed iniziando a relazionarli in maniera dialogica alle strutture architettoniche di sfondo, generalmente grandi muri grigi cittadini, recinzioni industriali in cemento e pilastri dei cavalcavia per le rapide incursioni notturne, centri sociali ed edifici abbandonati per gli interventi più elaborati. Altro aspetto fondamentale che ha caratterizzato i suoi esordi è la prassi dell’azione pittorica condivisa. Artisti quali Dem, Sweza, Run, ma soprattutto Ericailcane, erano i compagni privilegiati di incursioni notturne a più mani, in cui l’autografia era sacrificata in nome di una anonima partecipazione creativa. wikipedia.it 28
Tra i centri sociali dipinti da Blu in Italia spiccano XM24, TPO, Livello 57 e Crash a Bologna, Collatino e Forte Prenestino a Roma, Cox18 e Leoncavallo a Milano, Cantiere San Bernardo a Pisa. 168
In questo periodo Blu avviò le sue prime sperimentazioni nel campo delle animazioni video, realizzando brevi clip interattivi come supporto visivo alle performance musicali del collettivo OK NO. Dal 2003 si rafforzò intensamente il suo sodalizio con l’amico Ericailcane, che portò a una lunga serie – tuttora in evoluzione – di immensi murales realizzati a quattro mani, nella quale gli stili differenti dei due artisti si complementano a vicenda dando vita a un vibrante dialogo pittorico. Su muro ci fondiamo bene creando uno stile unico ma in realtà abbiamo due segni molto diversi che vengono fuori nei disegni su carta (vedi il libretto che abbiamo pubblicato “25 disegni” [questo è un messaggio pubblicitario]) di solito lui disegna le bestiole ed io le persone. Oppure io i corpi e lui le teste e via così… Blu 29
Nel 2004 la sua fama di street artist si era saldamente affermata nel territorio italiano e le gallerie d’arte iniziarono a contattarlo per mostre personali e collettive; Blu si inserì nel circuito dell’arte contemporanea in maniera estremamente marginale, sfruttando l’occasione per finanziare i propri viaggi e i propri progetti al di fuori di esso e utilizzando lo spazio espositivo principalmente come luogo di documentazione della propria pratica artistica in strada. Nell’anno seguente il nomadismo pittorico di Blu aumentò intensamente, portandolo a trascorrere gran parte del suo tempo in vagabondaggi per seguire i principali festival mondiali di street art (nei quali è tuttora frequentemente invitato) - pratica estremamente diffusa tra i protagonisti del movimento. Nel corso degli ultimi sette anni Blu ha dipinto in centinaia di metropoli del globo; tra i suoi bersagli principali: Italia, Spagna, Germania, Inghilterra, Europa dell’Est e tutto il Centro-Sud America, che ha girato in lungo e in largo, innamorandosene e tornandovi ripetutamente. Le sue opere non sono mai svincolate dal contesto in cui si inseriscono poiché la pittura di Blu è pittura nel paesaggio, urbano o industriale che sia, e cerca sempre di dialogare con la società che vi abita alla ricerca della specificità di ogni luogo. wikipedia.it 30
Nel 2005 venne invitato al festival Murales de Octobre, nel quale ebbe l’occasione di dipingere in un luogo simbolico del muralismo sudamericano, l’Avenida Bolivar di Managua, capitale del Nicaragua, nella quale era stata celebrata pittoricamente la vittoria della rivoluzione sandinista verso la fine degli anni ‘70. Qui dipinse insieme ad Ericailcane uno dei suoi murales più celebri, a sostegno della lotta per i diritti dei raccoglitori di banane. 169
Nel 2006, durante un viaggio in Germania, Blu realizzò una delle sue prime animazioni su muro, nella quale sperimentò la tecnica stop-motion “murale” dipingendo fotogramma per fotogramma direttamente sulle pareti, e auto-produsse una piccola fanzine di disegni in bianco e nero che distribuì gratuitamente per strada. 2008 - MEGUNICA Nel 2006 Lorenzo Fonda, un videomaker di Verona, tramite amicizie in comune, contattò Blu, gli comunicò di aver recuperato dei fondi per girare un film e gli propose di intraprendere un viaggio insieme per trarne un film-documentario sulla sua attività di street artist. Blu accettò e scelse il Sud America; a fine 2006 la coppia si mise in viaggio, accompagnata dagli amici Silvia Siberini e Ivan Merlo. In ogni paese attraversato – Messico, Guatemala, Nicaragua, Costa Rica, Argentina – Blu si impegnò a dipingere più muri possibile senza permessi burocratici e istituzionali: contattò writers locali per accompagnarlo nelle zone adeguate, chiese alla gente del posto di poter dipingere le pareti esterne delle loro abitazioni, decorò pollai, baracche ed edifici abbandonati. Eravamo interessati a ricercare l’arte pubblica, specialmente la pittura di strada, in quei paesi che hanno una forte tradizione di pittura murale. Specialmente nell’America centrale, dipingere muri è ancora un lavoro comune, usato principalmente per la pubblicità perché è tuttora più economico che stampare cartelloni, in Europa questa cosa è scomparsa nel secolo passato. Eravamo sicuri di trovare un luogo perfetto per dipingere, ed è effettivamente quello che abbiamo trovato. Blu 31
Inoltre contattò associazioni culturali locali, dedite a offrire attività ricreative ai ragazzi delle favelas, e organizzò piccoli corsi e workshop di pittura murale insieme ai ragazzi, dipingendo al loro fianco; nel corso del viaggio Blu, assistito da Lorenzo Fonda, realizzò piccole animazioni con svariate tecniche (stop-motion con disegni, carta, sabbia, oggetti, pittura su muro...) inserite successivamente nel montaggio del viaggio-documentario, nel quale Blu rimase completamente anonimo, comparendo sempre di spalle o con il volto coperto. Il lavoro finale è Megunica, un documentario di 82 minuti intriso di realismo magico, uscito nel 2008 e presentato a molti festival mondiali, premiato a Sheffield, Amsterdam e Taiwan. Ciò nonostante Megunica è stato scarsamente distribuito, e non è mai stato prodotto in DVD; nel giugno 2011 è stato pubblicato gratuitamente sul sito web tv.wired.it a disposizione di chiunque voglia vederlo. 171
Sul sito web megunica.org, oltre ad una grande quantità di informazioni interessanti, è possibile visualizzare le foto di tutte le pitture murali realizzate da Blu durante il viaggio. Nel 2007 Blu si recò in Palestina per partecipare agli annuali interventi pittorici promossi dal collettivo Santa’s Ghetto a sostegno della causa palestinese; insieme ad altri street artists, come Banksy e Mark Jenkins, dipinse nei pressi di Betlemme sull’immenso muro divisorio costruito dal governo israeliano. Lo stesso anno inoltre tornò in Sud America, a São Paulo, invitato a partecipare al festival A conquista do espaço, dove dipinse il celebre Cristo del Corcovado di Rio de Janeiro sommerso da una montagna di armi da fuoco. A fine 2007 trascorse qualche mese a Buenos Aires dedicandosi alla realizzazione di un video in stop-motion, nel quale sviluppò la tecnica precedentemente sperimentata, dipingendo fotogramma per fotogramma sulle pareti di una serie di edifici dismessi; Lorenzo Fonda lo raggiunse per assisterlo ed aggiungere al documentario le riprese di questo lavoro.Il video straordinario che ne risultò, intitolato Muto (7 min.), fu pubblicato su youtube e divenne uno dei video più visti in assoluto nel web, registrando circa sei milioni di visualizzazioni. Muto contribuì indubbiamente a diffondere ed affermare la fama di Blu a livello mondiale. Oggi il percorso di Blu continua senza sosta tra nuovi video, interventi illegali, murales commissionati da comuni, associazioni, festival e musei, viaggi e collaborazioni. Oltre alla pagina di wikipedia ben fatta e al suo sito web blublu.org, è veramente difficile reperire in rete informazioni dettagliate sull’attività di Blu: sono rintracciabili esclusivamente due interviste online, una in italiano datata 2005 su wildstylerz.com e una in inglese sul sito iraniano kolhastudio.com, risalente al 2007. Nel 2005 la piccola casa editrice Zooo Print & Press ha pubblicato 25 Disegni: Blu/Ericailcane, un libro in bianco e nero contenente 25 disegni a testa dei due street artists; nel 2006 la stessa casa editrice ha stampato Nulla, una raccolta di 50 disegni a colori di Blu. Nel 2008 è stata pubblicata da Studio Cromie la prima (e fino ad ora unica) documentazione importante del lavoro di Blu, intitolata Blu 2004-2007, contenente 80 pagine di disegni e 80 pagine di foto dei suoi murales. Nel 2010 Artsh ha prodotto Blu, un DVD con tutte le animazioni realizzate da Blu nel corso degli anni, unite alla documentazione video della realizzazione di molti suoi interventi. Al momento posso vivere con il mio lavoro. Vendo qualche disegno e guadagno i soldi che mi servono per portare avanti i miei progetti. Tento di evitare altri tipi di lavori come commissioni da aziende e pubblicità, sono qualcosa che non mi piace per niente. Non sono economicamente ricco, ma sono bilionario in felicità. Blu 32
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Nel 2010 il centro culturale autogestito Mondo delle Uova ci ha proposto di organizzare la prima esposizione ufficiale della Canaglia in uno spazio chiuso; il dubbio era forte: la Canaglia vive e scorrazza all’aperto, mentre soffoca incorniciata in forma rettangolare, appesa sui muri bianchi. Abbiamo cercato la peggior stanza della casa e abbiamo trovato la soffitta sudicia e umida, rifugio dei tossici colmo di vecchi tesori. Alla Canaglia è piaciuta. Dopo aver ripulito tutto abbiamo costruito la casa della Canaglia frugando, selezionando vecchio ciarpame e incollando pannelli muffi, e l’abbiamo riempita con le sacre rappresentazioni create nei primi 5 anni di adorazione della Canaglia. Alla Canaglia è piaciuta, e in tele ha voluto il suo programma preferito, il reality Non siamo riusciti a entrare nell’Art World system. Dopo tre settimane la Canaglia ha lasciato la casa, che è stata immediatamente occupata dai giovinetti del Mondo delle Uova. Nel corso di un anno ragazzi e pittori in erba, o pittori e ragazzi con l’erba, hanno evoluto, dipinto e trasformato il rifugio da noi costruito. La Canaglia è generosa. Qualche mese dopo mi trovavo a Rotterdam in compagnia di Giannedda e Dirk Van Lieshout e abbiamo formato la banda Happy Highway, artisti-pirati dell’autostrada. A ottobre abbiamo inaugurato la nostra mostra personale abusiva presso il bagno maschile della stazione di servizio Rotterdam Noord dell’autostrada A20; sebbene ci fosse un prezzo d’ingresso di 50 cent., l’esposizione Toilet Art si è rivelata un grande successo di pubblico e critica, favorita dalla possibilità di una pisciata gratuita in aggiunta a champagne e cioccolatini.
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Non ho programmato il mio percorso, ho parlato con la Strada che mi ha guidato per mano, mi ha sussurrato nell’orecchio davanti ad ogni bivio e mi ha strattonato lungo le tappe. E’ naturale che il viaggio si concluda giungendo al punto di partenza: il Continente Vivo, la Maiuscola America. Il Brasile è grande come un continente, e questo continente pulsante è composto da uno dei più immensi miscugli etnici e culturali della storia; è formato dalla stratificazione e dall’incrocio di discendenti della popolazione indigena, dei coloni portoghesi e degli schiavi africani – ha ricevuto più prigionieri africani di qualsiasi altra colonia mondiale e possiede la seconda più grande popolazione nera al mondo – e dalle successive ondate di immigrati spagnoli, italiani, tedeschi, russi e del resto del globo. Dagli anni ‘80 possiede inoltre la più grande concentrazione di giapponesi al di fuori del Giappone. Circondato da paesi di lingua spagnola, è l’unica nazione sudamericana ad avere il portoghese come prima lingua, e nonostante sia uno dei più importanti sistemi economici del mondo, possiede una delle più inique distribuzioni di redditi a livello mondiale, con un divario enorme tra i ceti poveri e quelli benestanti. L’immagine da cartolina di paradiso tropicale contrasta drammaticamente con la povertà, la violenza e il sottosviluppo. Circa due milioni di brasiliani (ossia l’1,5% della popolazione) pratica il candomblé, una religione politeista sviluppata nel 16° secolo dagli schiavi africani che, obbligati a convertirsi alla religione cristiana, miscelarono parte dei suoi elementi e della sua simbologia con i culti ancestrali della propria terra madre; nel corso del tempo diedero vita a una multiforme ibridazione religiosa, nella quale ogni orixas - divinità africana di origine totemica - è associata a un santo di origine cattolica. Il candomblé è diventato parte fondamentale del folklore brasiliano, e persone devote ad altre confessioni religiose partecipano attivamente a rituali e festività di questa religione. Il writing e la street art brasiliana si sono sviluppati in questa estrema connivenza di culture, seguendo un percorso unico ed anomalo rispetto al resto del mondo. Nel 1928 il poeta brasiliano Oswald de Andrade pubblicò il Manifesto Antropòfago, nel quale sostenne che la capacità brasiliana di cannibalizzare le altre culture, appropriandosene e sovvertendole, fosse il più valido e potente strumento per combattere il dominio culturale europeo post-coloniale. Questo concetto venne recuperato dal tropicalismo, un movimento musicale ed artistico che si sviluppò negli anni ‘60, spaziando dalla poesia alla musica, dal teatro alle arti visive. In particolare la musica sviluppata dai tropicalisti, una miscela di musica sperimentale, folkloristica e rock’n’roll, ebbe enorme successo e diffusione popolare, e venne utilizzata come strumento di attivismo politico contro il regime militare; due degli autori principali,
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Caetano Veloso e Gilberto Gil, vennero imprigionati ed in seguito esiliati fino al ‘74, mentre altri tropicalisti subirono torture e violenze, e furono forzatamente rinchiusi in centri di detenzione psichiatrica. Tutto ciò ebbe una grande influenza sulla cultura popolare, e la musica costituì una sorta di spazio pubblico che dava una voce al popolo soffocato; le liriche di alcune canzoni divennero slogan per le scritte di protesta che dagli anni ‘40-‘50 si diffondevano nelle strade, spesso in risposta agli slogan politici dipinti dai partiti. Il Brasile, grazie a questo intricato contesto, è forse l’unico paese al mondo in cui la street art si è sviluppata prima del writing, in maniera assolutamente anomala. Alex Vallauri, a fine anni ‘60, ne fu il pioniere indiscusso, rapidamente seguito da altri artisti come Maurìcio Villaca, Jorge Tavares e Celso Gitahy, che dai primi anni ‘70 iniziarono a dipingere per strada con un approccio estremamente libero e anarchico; grazie alla totale assenza di graffiti questi artisti potevano permettersi di dipingere per strada alla luce del sole, nell’indifferenza generale. Un altro importante pioniere della pittura di strada brasiliana fu John Howard, un artista americano che da San Francisco si era trasferito a São Paulo, la principale fucina creativa dei nuovi interventi urbani. Verso la fine degli anni ‘70 egli dipinse più di 600 pali telefonici per tutta São Paulo con le sue immagini colorate. Gente che raramente frequentava gallerie e musei apprezzò la vitalità e l’immediatezza del suo lavoro sulla propria soglia di casa. Tristan Manco
Anni più tardi venne offerto ad Howard un lavoro come insegnante di pittura murale ai bambini di strada. Egli scoprì che, nonostante molti di essi fossero precoci pichadores in cerca di fama, trovavano l’idea di dipingere immagini figurative altrettanto stimolante.
A São Paulo avevi sempre la sensazione che non ci fosse un centro, non ci fosse una storia... Un paesaggio cittadino con pochi alberi, niente parchi e miglia di muri simili a fortezze. C’erano milioni di bambini che non avevano accesso a biblioteche o musei, niente. Ma la street art ha introdotto una possibilità. I bambini realizzavano: “Hey, so fare qualcosa”. La città divenne loro. John Howard
Verso la fine degli anni ‘70 arrivò in Brasile una nuova forza prorompente: la cultura hiphop e, con essa, il writing, che si miscelò immediatamente alle precedenti sperimentazioni artistiche. L’hip-hop fiorì naturalmente e rapidamente in Brasile, favorito dalle radici africane del paese, e fornì alla gente nuovi linguaggi accessibili da miscelare alle forme popolari tradizionali di musica e ballo.
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Ma, a differenza dei paesi occidentali, libri come Subway Art erano estremamente difficili da recuperare, tanto quanto bombolette spray e tappini. In Europa, così come in Giappone e in Australia, i giovani avevano le risorse per importare la cultura hip-hop con poche - se ce n’erano, - modifiche rispetto a ciò che avevano visto in film come Style Wars e Wild Style. I ragazzi brasiliani invece sfruttarono l’adattabilità e l’attitudine fai-da-te tipica della propria cultura e, favoriti dall’assenza di informazioni dettagliate, furono portati ad adattare più che adottare, seguendo in maniera personale le idee di de Andrade - se vedi qualcosa che ti stimola, mangia quello che ti piace e lascia la carcassa - probabilmente senza sapere nemmeno chi fosse. La giovane popolazione brasiliana ha raccolto una cultura esplosa a New York e se ne è appropriata, modificandola e trasformandola . Tristan Manco
In questo modo alcuni aspetti dei graffiti vennero immediatamente inghiottiti, mentre altri furono toccati a fatica; la maggior parte dei primi writers ignorò i treni e si concentrò sullo sviluppo di una forma ibrida di graffiti, dipingendo il proprio nome con pennelli, rulli e vernici, molto più abbordabili rispetto alle proibitive bombolette spray. Il fatto di non avere informazioni sui graffiti agli inizi ci ha aiutato molto. Non avevamo mai visto nessun altro dipingere. Le uniche cose che avevamo erano qualche foto e un pezzo di film che mostrava graffiti. Così abbiamo provato a scoprire come venivano fatte queste cose. Riteniamo che, di conseguenza, siamo finiti a scoprire altre cose. Os Gemeos
Nei primi anni ‘80, contemporaneamente alla street art e ai graffiti di scuola newyorkese, a São Paulo si sviluppò una terza tipologia di interventi grafici non autorizzati, tuttora un fenomeno anomalo, indipendente ed esclusivamente limitato al Brasile. Queste movimento si originò a partire dai messaggi politici che la gente scriveva per strada, che negli anni ‘60 i media avevano battezzato pichação (piche in portoghese significa catrame, materiale con cui venivano realizzate le prime scritte). Una ventina di anni più tardi un gruppo di ragazzi provenienti dai quartieri più poveri e degradati sostituì gli slogan politici con i propri soprannomi e con quelli delle proprie bande, scrivendoli con rulli e vernici; come nel caso di New York con Taki 183, nei primi anni ‘80 comparve un articolo sui quotidiani di São Paulo dedicato a un giovane sconosciuto che scriveva il nomignolo Juneca su tutti i muri cittadini; ogni ragazzo che lo lesse si procurò un rullo ed uscì in cerca di fama. A differenza del writing, i pichadores hanno mantenuto i propri media estremamente semplici e, anche se oggi molti usano gli spray, il metodo più diffuso per realizzare le scritte - rimaste nel tempo mono-linea e monocromatiche - è tuttora un rullo da 2-3 cm con una latta di vernice industriale diluita. E’ una tecnica selvaggia e a costo zero, 187
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e quando la vernice è introvabile, non è inusuale che si usi fango, catrame stradale e altri miscugli artigianali. Come nel writing, l’obiettivo è la fama di strada, ma in questo fenomeno la bilancia tra qualità estetica e quantità di scritte prodotte è violentemente spostata verso la quantità. Le scritte tentano di spaziare il più possibile senza usare troppa vernice e, dato che la superficie disponibile diminuisce costantemente, è comune arrampicarsi molto in alto ed affacciarsi dalla cima degli edifici per scrivere sulle loro facciate. L’unico elemento estetico che il pichação ha evoluto nel tempo è la calligrafia, un assurdo miscuglio tra lettering goticheggiante degli album rock anni ‘70-‘80 e Old English, carattere tradizionalmente usato dalle gang latino-americane, trasformato secondo un’estetica deformante, stretta e alta, insita nel movimento; quest’evoluzione, in molti casi, ha reso le scritte dei pichadores praticamente indecifrabili alle persone esterne al movimento. La competizione ha portato le bande a creare scale umane di oltre quattro persone e, necessariamente, è il più piccolo e leggero che si arrampica sugli altri e realizza la scritta, per cui i più anziani della crew si preoccupano di insegnargli a effettuarla il meglio possibile; i più piccoli pichadores possono avere 10 o 11 anni. Nel tempo il pichação si è trasformato in una questione molto seria, e Tchentcho, uno dei pionieri, è riuscito a scrivere il proprio nome sul punto più elevato della facciata dell’Edificio Italia (il grattacielo più alto di São Paulo grazie ai suoi 42 piani) sospeso a testa in giù a centinaia di metri di altezza dal suolo, con i piedi e la vita nella mani di un amico, consacrato il giorno successivo dagli articoli sui giornali. I pichadores non hanno scrupoli e non risparmiano nemmeno monumenti e statue, come il Museo de Arte di São Paulo e lo storico Teatro Municipal; l’ultima frontiera di questa folle sfida è stata valicata dagli Os Diferentes, i quali hanno scritto sulla testa del Cristo Redentor di Rio de Janeiro. Secondo Tristan Manco, il pichação è decollato per una semplice ragione: São Paulo è indubbiamente una delle più orribili città del mondo. Dal 1970 la sua popolazione è aumentata di oltre 15 milioni di persone; oggi la crescita continua, e ogni orizzonte della città è oscurato da innumerevoli e altissimi blocchi di appartamenti. Il pichação ha le sue prime e più forti radici in questa metropoli - dove attualmente quasi ogni edificio della città è interamente ricoperto di scritte fino a 4 metri di altezza – ed è presente in tutte le maggiori città brasiliane, con stili diversi da regione a regione. In trent’anni questa sottocultura si è evoluta principalmente dal punto di vista della diffusione, limitandosi a generare qualche marchio d’abbigliamento unito a poche semplici fanzine e alcuni video, senza avviare nessun tipo di rapporto istituzionale o di compromesso con le autorità; è infatti contemporaneamente una sorta di sport estremo e una forma di protesta sociale, vandalica e radicale, esclusivamente nelle mani dei ceti più poveri ed emarginati, che hanno devastato l’immagine di tutte le metropoli do Brasil. 188
Il pichação è uno stile di vita distruttivo e sono pochi quelli che continuano a farlo oltre i 25 anni, a causa del rischio di subire la violenza della polizia o degli abitanti del quartiere e della possibilità di cadere da altezze elevate.
Pichação è un veicolo per la gioventù della città con cui rivendicare la propria esistenza ed autostima, facendolo rumorosamente. In quanto protesta sociale pichação è brutale, efficace e senza mezzi termini. Non c’è nessun paese sulla terra con una peggior distribuzione delle ricchezze rispetto al Brasile. Per i ricchi ci sono bei palazzi. Per i poveri ci sono le baraccopoli. Pichação esiste sulla superficie stessa della ricchezza contestata e promette di continuare a punire i fortunati fino a che essi non produrranno un mondo, tanto per cominciare, un po’ meno pesante. Tristan Manco
Nel corso degli anni ‘80 i graffiti brasiliani si sono evoluti parallelamente a quelli mondiali, emulando l’estetica e le caratteristiche del writing newyorkese, ma utilizzando le vernici al posto delle bombolette e privilegiando i muri cittadini rispetto ai treni. All’inizio degli anni ‘90 il movimento hip-hop si era ormai radicato definitivamente, divenendo forte e molto diffuso; vennero organizzati i primi grossi eventi nelle città che unirono i b-boys brasiliani, si cominciò a rappare in portoghese e la qualità del writing crebbe notevolmente.
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Un capitolo importante nella storia dei graffiti brasiliani fu il passaggio di Barry McGee (Twist), un artista americano che nel corso degli anni ‘90 svolse un ruolo chiave nell’evoluzione del writing in street art, lavorando intensamente sul rapporto tra i due mondi differenti e rafforzando nel tempo il collegamento saldo e coerente tra di essi. Egli si laureò in un’accademia d’arte di San Francisco nel 1991 e, dopo essersi fatto un nome come hardcore writer, si spostò verso uno stile più figurativo, dipingendo a spray una serie di personaggi che lo resero famoso in tutta la città. Nel 1993 Barry McGee venne finanziato per una residenza d’artista a São Paulo, con l’opportunità di viaggiare a nord verso Bahia. La sua esperienza in una piccola città chiamata São Cristovão ebbe una profonda influenza sul proprio lavoro: mentre visitava una chiesa locale, rimase folgorato dalla quantità di offerte votive depositate da generazioni di pellegrini. Centinaia di piccoli intagli nel legno, noti come ex-votos o milagres, riempivano la chiesa a fianco di ammassi di immagini incorniciate, tutte rappresentanti una vita o una storia individuale. McGee inglobò quest’estetica nel suo lavoro indoor, affollando intere pareti con un caos di dipinti, schizzi, fotografie e altri frammenti dei suoi interventi in strada inseriti in piccole cornici. Durante la permanenza a São Paulo, McGee continuò a dipingere illegalmente le sue figure nelle strade e, come ogni buon writer, conobbe molti artisti di strada locali con i quali collaborò attivamente, mostrando loro un prezioso archivio di foto, libri e riviste di graffiti americani. In particolare avviò un intenso rapporto di amicizia e scambio artistico con una coppia di fratelli gemelli diciannovenni, noti come Os Gemeos, che realizzavano graffiti insieme come se fossero una persona sola. Egli lasciò un retaggio importante, che incoraggiò gli artisti a prendere ispirazione dalle proprie esperienze piuttosto che seguire stili prescritti, spingendoli a sentire la libertà di esplorare intensamente la propria cultura brasiliana. 192
Molti street artists brasiliani oggi citano il lavoro di McGee come un riferimento fondamentale. Nelle baraccopoli di São Paulo e Rio de Janeiro i graffiti sono diventati piccola parte di una cultura de rua ibrida ed aperta, nella quale le sonorità hip-hop si sono fuse con la samba, il b-boying si è miscelato alla capoeira e il writing si è amalgamato alla pittura di strada. Ancora oggi la maggior parte dei graffiti vengono riempiti con vernici industriali e scontornati con bombolette spray per risparmiare il più possibile; spesso sono interamente realizzati a vernice, e ciò conferisce loro un aspetto più manuale, impreciso e vivace rispetto alla perfezione grafica rincorsa dai writers nel resto del mondo. A differenza di molti paesi occidentali, in Brasile c’è sempre stata un’attenzione straordinaria nel non coprire i lavori degli altri, di qualsiasi tipologia, stile o forma essi siano, e questo ha portato ad un innovativo e straordinariamente creativo utilizzo dello spazio urbano. La scala è diventata un’utensile fondamentale per gli street artists brasiliani, che sia di metallo, legno, auto-fabbricata o improvvisata montando sulle spalle di un amico. Sui muri particolarmente grandi ha preso forma un altro fenomeno tipicamente brasiliano, chiamato sopa de letrinhas, letteralmente “zuppa di lettere”: ha inizio quando un gruppo di writers “svergina” una parete immacolata dipingendo una serie di scritte al livello del suolo, collegandole una all’altra, dopodiché i writers che successivamente dipingono quel muro si collegano a loro volta alle scritte precedenti e così via, creando nel tempo un’unica massa crescente e stratificata di graffiti connessi, che molte volte arriva a coprire l’intera altezza della parete. Spesso le sopa de letrinhas più estese si evolvono per anni e coinvolgono dozzine di writers differenti, che collaborano istintivamente senza considerare se si conoscano o meno l’un l’altro. Nell’ultimo decennio in Brasile si è anche sviluppata una considerevole scuola di graffiti astratti, originata da un gruppo variegato di writers che ha portato all’estremo la rielaborazione e l’astrazione delle proprie scritte, fino a trasformarle in articolati elementi decorativi anonimi; Kboco, Boleta, Ciro, Zezao, Dalata e Higraff sono alcuni di questi artisti. Come nel resto del mondo, la diffusione dei graffiti brasiliani venne facilitata dall’avvento di internet e, a fine anni ‘90, Barry McGee parlò entusiasticamente della scena brasiliana ad
Allen Benedikt (Raven), editore della celebre rivista di graffiti «12 Oz Prophet», che visitò São Paulo con il writer Sonik, incontrando Os Geomos e documentando gli straordinari fenomeni artistici locali. Il risultante numero della rivista introdusse a livello internazionale l’anomalo stile brasiliano. Oggi il processo di cannibalismo e ibridazione è ancora in costante espansione e uno dei suoi ultimi frutti è la nascita del grapixo, una fusione tra lo stile stretto, spigoloso ed allungato della calligrafia del pichação e lo stile multicolore dei graffiti hip-hop, che rende tridimensionali e colorate le scritte dei pichadores. Per quanto riguarda la street art brasiliana, a partire dalla profonda impronta lasciata dai suoi pionieri, nel corso di 40 anni si è diffusa e sviluppata enormemente, rimanendo intensamente legata ad un approccio pittorico-figurativo e all’utilizzo di materiali poveri. La tecnica dell’affissione di manifesti è estremamente diffusa; gli street artists brasiliani non hanno i fondi per elaborare immagini in digitale e stamparle serialmente con le tecniche di produzione di massa, come accade nei paesi occidentali, perciò realizzano i propri poster con tecniche manuali ed artigianali, riciclando e sfruttando qualsiasi tipo di materiale di scarto per il supporto, come fogli di vecchi giornali, fumetti e guide telefoniche. La maggior parte dei manifesti degli artisti di strada brasiliani sono dipinti a mano, oppure stampati con le tecniche più accessibili della xilografia e della serigrafia, e questo conferisce loro un fascino manuale e una qualità estetica che generalmente mancano a quelli stampati meccanicamente. Onesto, Vitché, Herbert Baglione, Nunca, Os Gemeos e il collettivo Upgrade do Macaco sono alcuni degli street artists brasiliani più attivi al momento. Spesso sono stati tracciati paralleli tra l’energia odierna di São Paulo e quella di New York negli anni ‘70. Per 30 anni New York è stata vista come capitale mondiale del writing e della street art, ma negli ultimi dieci anni São Paulo è diventata il nuovo santuario di questi movimenti, fonte di ispirazione e destinazione ultima per writers e street artists di tutto il globo.
Sono andato per la prima volta in Brasile nel marzo 2001 per collaborare con Os Gemeos a un murales per un progetto cinematografico. Conoscevo vagamente la scena di São Paulo. Quello che sapevo proveniva principalmente da riviste e immagini su internet, e ciò che avevo visto era stato abbastanza per suscitare la mia curiosità. Niente, comunque, poteva prepararmi all’impatto assoluto che ho sperimentato al mio arrivo a São Paulo. Rimasi immediatamente impressionato, non solo dalle dimensioni, dalla scala e dalla densità della città, ma anche dalla varietà di stili di graffiti dentro questa disordinata metropoli, che mi lasciarono in venerazione davanti alla loro determinazione e al loro puro desiderio di dipingere. L’intera cultura hip-hop, graffiti inclusi, era alimentata da un’attitudine fai-da-te. Non c’erano soldi dietro a niente di ciò che stava avvenendo, ma c’era un’ incredibile innovazione ad ogni livello del gioco. In quanto subway writer dell’era di New York, ho connesso ciò con quello che i writers brasiliani stavano facendo. Invece di aspettare l’arrivo di opportunità, riconoscimento e supporto, stavano stringendo la faccenda nelle proprie mani, producendo alcuni dei migliori lavori della scena graffiti mondiale. Daze [pioniere del writing newyorkese] 194
Dal vandalismo aggressivo ed antiestetico dei pichadores alla straordinaria qualità grafica e cromatica dei dipinti murali, in Brasile i tre movimenti differenti che producono illegalmente interventi visivi nelle strade – pichação, writing e street art – dialogano e convivono fianco a fianco, mescolandosi ed ibridandosi gradualmente, accomunati da un forte rispetto reciproco ed una grande attenzione nel non coprirsi a vicenda. Il pichação è un movimento talmente diffuso, aggressivo e devastante da far sembrare i graffiti e la street art un crimine gentile, quasi un generoso servizio comunitario in confronto, generando una sorta di tolleranza per questo tipo di movimenti. Questa semi-tolleranza ha indubbiamente favorito lo sviluppo, l’espansione e la crescita delle varie forme di interventi pittorici più elaborati. Generalmente prima di un’elezione politica ogni metropoli brasiliana viene imbiancata per impressionare l’elettorato e per fornire spazio ai murales pubblicitari dei politici candidati. Questo dà la possibilità a pichadores, writers e street artists di ricominciare da capo l’intero processo. Nel 2005 la casa editrice Thames & Hudson ha pubblicato Graffiti Brasil, un libro di Tristan Manco, Caleb Neelon e Lost Art che documenta in maniera approfondita l’eccezionale scenario dell’arte di strada brasiliana. Nel 2011 Maximiliano Ruiz ha realizzato Nuevo Mundo: Latin American Street Art, un’approfondita documentazione sulla street art sudamericana, edita da Die Gestalten Verlag.
In Brasile c’è meno demarcazione tra gli stili pittorici della gente, e meno gerarchia su chi dipinge con chi. I graffiti sono un’attività sociale tanto quanto qualsiasi altra cosa, perciò mischiare gli stili fa parte del divertimento. Tristan Manco
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Nel 2009 ho fatto la mia prima esperienza educativa presso la scuola media statale di Guanzate, supportato dalla Canaglia. Ho organizzato un laboratorio di street art con i ragazzi scartati dalle classi terze, i più casinari, ignoranti e inadeguati alle lezioni canoniche, dannazione delle professoresse col tailleur. Ho chiarito di essere dalla loro parte della barricata e ho insegnato loro a produrre stencil e poster a partire da materiali di riciclo, spingendoli a unire tutte le loro creazioni in un unico pannello collettivo che è stato collocato nell’atrio della scuola. L’anno successivo sono tornato a Guanzate, organizzando un laboratorio simile per produrre la scenografia dello spettacolo scolastico, sempre con i cazzari di turno. I ragazzi hanno progettato un fondale mobile, composto da scatoloni di cartone che durante lo spettacolo venivano girati e ribaltati per creare nuove composizioni. Nel 2011 sono stato contattato dalla stessa scuola e Alessio, un ragazzino ipovedente, mi ha proposto di aiutarlo a realizzare un film horror, per il quale aveva già scritto il soggetto. Il risultato è La Morte dei Satanacci, un cortometraggio di 16 minuti che è stato proiettato nella sua scuola. Lo stesso anno con la F84 famiglia abbiamo partecipato a un workshop di rivalutazione del territorio di Bovisa, promosso da Connecting Cultures; durante un fine settimana abbiamo installato un gazebo nel quartiere, invitando i passanti a contribuire liberamente alla progettazione di un murale collettivo che avremmo dovuto dipingere successivamente. In seguito l’associazione CC, nonostante avesse approvato e seguito il progetto, si è rifiutata di finanziarci i materiali per la pittura murale e di procurarci un muro comunale, come era negli accordi. Com’è misera la vita negli abusi di potere. Ora ci stiamo muovendo autonomamente, e il murale verrà realizzato nella primavera del 2012. Ce ne sarebbero da raccontare.
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DEPILOGO
Il 14 aprile 2011 il MOCA (Museum of Contemporary Art) di Los Angeles ha inaugurato Art in the Streets, la più imponente ed importante esposizione dedicata al writing ed alla street art della storia, curata da Jeffrey Deicht, incentrata sul tentativo di inserire questi movimenti nel loro contesto storico-sociologico contemporaneo. La mostra si sviluppa su una linea cronologica dagli anni ‘60 fino ad oggi, ricca di documentazioni dettagliate, ed oltre a molti dei principali protagonisti attuali come Banksy, Blu, Os Gemeos, Zevs e Barry McGee, ha coinvolto importantissimi pionieri del writing - tra cui Cornbread, Taki 183 e Rammelzee - e della street art, come John Fekner e Blek le Rat, molti dei quali oggi sono stati sostanzialmente dimenticati e marginalizzati. Tutte le pareti esterne del MOCA, più altre sparse per la città, sono state fatte dipingere dagli artisti coinvolti, e all’inaugurazione sono stati invitati a suonare alcuni pionieri dell’hip-hop, come i Coldcrush Brothers, Busy Bee e Grandmaster Caz.
Banksy, che per la prima volta in assoluto ha accettato di partecipare ad un’esposizione istituzionale con ingresso a pagamento, ha pagato personalmente il MOCA per istituire l’ingresso gratuito ogni lunedì per tutta la durata dell’esposizione. 1
Blu, invitato da Jeffrey Deitch per intervenire su una delle pareti esterne del MOCA, ha realizzato un imponente dipinto murale riempiendo l’immensa superficie di bare, su ognuna delle quali, invece della bandiera americana, è distesa la banconota da un dollaro. Prima che Blu potesse finire gli ultimi dettagli, Jeffrey Deitch ha fatto cancellare l’intero murale. 2
La differenza tra cercare contratti e stringere mani oppure spingere compatti per stringere contatti umani Coez 3
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00 – INTRO 1 - E. Finazzi-Agrò e M. Pincherle, La cultura cannibale – Oswald de Andrade: da Pao-Brasil al manifesto antropofago, Roma, Meltemi editrice, 1999 2 - G. Celant, Barry McGee. Fondazione Prada. 11.04 – 09.06.02, Milano, Fondazione Prada, 2002 01 – EL LEOPOLDINO HEROICO 1 - C.Bollousa, “The Struggle is on the Walls: Antecedents and Inheritors of the TGP”, Words Without Borders, 2007 (7.10), http://wordswithoutborders.org/article/their-boots-were-made-forwalking-el-taller-de-la-grafica-popular/ Eccetto la citazione 1, tutte le altre citazioni contenute in questo capitolo sono state tradotte da: D. Caplow, Leopoldo Méndez: revolutionary art and the Mexican print, Austin, University of Texas Press, 2007 02 – EN LA CALLE DE CUBA 1 - D. Craven, Art and Revolution in Latin America – 1910-1990, New Haven, Yale University Press, 2006, p.75 2 - A. Bosco e E. Scantamburlo, Buena Vista: mezzo secolo di grafica cubana, Milano, Mazzotta, 2006, p.14 3 - L. Cushing, Revolución!: Cuban poster art, San Francisco, Chronicle Books, 2006, p.10 4 - Testo dalla traduzione opinabile ma dal contenuto rilevante tratto da: Il manifesto dell’OSPAAAL. Arte della Solidarietà, Enna, TRIcontinental – il Papiro, 1997, pp.VII-VIII 5 - A. Bosco e E. Scantamburlo, Buena Vista: mezzo secolo di grafica cubana, Milano, Mazzotta, 2006, p.13 6 - Ivi, p.12 215
7 - Ivi, p.13 03 - ONE HUNDRED STYLES 1 - Brassaï, Conversazioni con Picasso – 53 fotografie dell’autore, Torino, Umberto Allemandi & C., 1996 2 - M. Irvine, “The Work on the Street: Street Art and Visual Culture” in I. Heywood e B. Sandywell, The Handbook of Visual Culture, Londra, Berg / Palgrave Macmillan, 2011 3 - H. Lefebvre, Writing on Cities, Hoboken, Wiley-Blackwell,1996 4 - D. Craven, Art and Revolution in Latin America – 1910-1990, New Haven, Yale University Press, 2006, p.67 5 - R. Johnson, Lettera a Bill Wilson, 1958 (21.1) 6 - “Emory Douglas: Arte come strumento di Liberazione”, Hip Hop Reader, 2006 (26.7), http://www.hiphopreader.it/?p=78 7 - Ibidem 8 - M.K.Asante Jr., Post-Hip-Hop. Un nuovo linguaggio. Con ogni media necessario. Conquistando l’uguaglianza, Roma, Arcana Edizioni, 2009, p. 215 9 - C. Chambers, “Origins of the street-as-gallery movement”, Avant-Streetart, 2009 (13.7), http://avant-streetart.com/avant_street_art_history_nyc_80s.htm 10 - D. Fried, “Avant”, Avant-Streetart, 2009, http://avant-streetart.com/avant_street_art_history_ nyc_80s.htm 11 - B. le Rat, “ The Manifesto of Stencilism”, Blek My Vibe, 2011, http://blekmyvibe.free.fr/blekhistoryeng.html 12 - Ibidem 13 - L. Coan, “Breaking the Banksy: The first interview with the world’s most elusive artists”, Daily Mail, 2008 (13.6), http://www.dailymail.co.uk/home/moslive/article-1024130/Breaking-BanksyThe-interview-worlds-elusive-artist.html 14 - J.J. Spinelli, Stencil Art, São Paulo, UNICID, 2001 15 - “Alex Vallauri e o inicio do graffiti no Brasil”, Subsolo Art, 2009 (30.6), http://subsoloart.com/blog/tag/alex-vallauri/ 04 - FUORI SONO LIBERO 1 - A. Akbar, “Damien Hirst in vicious feud with teenage artist over a box of pencils”, The Independent, 2009 (4.9), http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/art/news/damienhirst-in-vicious-feud-with-teenage-artist-over-a-box-of-pencils-1781463.html 2 - Banksy, Wall and Piece, New York, Random House, 2005 3 - “Interview - Troy Lovegates “Other””, Subaquatica, 2008 (10.5), http://www.subaquatica.com/en/index.php/2008/05/10/troy-lovegates-other/ 4 - “Interview with Labrona”, Art Asty, 2009, http://www.artasty.com/interviews.php?entry=61&type=interviews 5 - “Interviews: Labrona”, Arrested Motion, 2010 (11.2), http://arrestedmotion.com/2010/02labrona/ 216
6 - Y. Levin, “Labrona Interview”, Bombing Science, 2009 (28.4), http://www.bombingscience.com/index.php/blog/viewThread/1771 7 - “Interviews: A. Neate – “A New Understanding” @ Elms Lesters”, Arrested Motion, 2009 (7.10), http://arrestedmotion.com/2009/10/adam-neate-interview-a-new-understanding-elms-lester/ 8 - S. Chappel, “Adam Neate: Giving His Art Away”, Session, 2009 (11.8), http://www.sessions.edu/notes-on-design/people/interviews/adam-neate-street-artist/ 9 - M. & S. Schiller, ““Five on Five” with CUE and Adam Neate”, Wooster Collective, 2004 (11.3), http://www.woostercollective.com/post/five-on-five-with-cue-and-adam-neate 10 - R. Haugh, “Adam Neate: Art for the People”, BBC, 2008 (14.11), http://www.bbc.co.uk/suffolk/content/articles/2008/11/13/adam_neate_feature.shtml 11 - M. & S. Schiller, ““Five on Five” with CUE and Adam Neate”, Wooster Collective, 2004 (11.3), http://www.woostercollective.com/post/five-on-five-with-cue-and-adam-neate 12 - K. Reshad, “Interview with Slinkachu”, Kolah Studio, 2010 (17.4), http://www.kolahstudio.com/underground/?p=772 13 - A. Gitlow, “INTERVIEW: Dan Witz”, Just Seeds, 2009 (26.10), http://www.justseeds.org/blog/2009/10/interview_dan_witz.html 14 - “Dan Witz Interview”, Beat Street Magazine, 2011 (30.4), http://beatstreetsmagazine.blogspot.com/2011/04/dan-witz-interview.html 15 - “Urban Street Art - Where The Streets Have No Name (10 installations)”, My Modern Met, 2009 (24.8), http://www.mymodernmet.com/profiles/blogs/urban-street-art-where-the 16 - Banksy, Cut it Out, London, Weapons Of Mass Distraction, 2004 17 - S. Hattenstone, “Something to spray”, The Guardian, 2003 (17.7), http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2003/jul/17/art.artsfeatures 18 - Banksy, Wall and Piece, New York, Random House, 2005 19 - Ibidem 20 - Ibidem 21 - Ibidem 22 - http://www.banksy.co.uk 23 - M & S. Schiller, “Banksy Talks About The Village Pet Store and Charcoal Grill”, Wooster Collective, 2008 (9.10),http://www.woostercollective.com/post/banksy-talks-about-thevillage-pet-store-and-charcoal-grill 24 - “Banksy vs Bristol Museum”, Art of the State, 2009, http://www.artofthestate.co.uk/banksy/banksy-vs-bristol-museum.htm
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25 - S. Wright, “Home Sweet Home”, The Guardian, 2003, http://en.wikiquote.org/wiki/Banksy 26 - G. Tognelli, “Raids notturni (arte abusiva parte 2) – Intervista a Stefano Questioli”, Undo, 2008 (2.7), http://www.undo.net/it/argomenti/1215013003 27 - “Blu Interview”, Wildstylers, 2005 (18.3), http://www.wildstylers.com/?p=44#more-44 28 - “Blu (artista)”, Wikipedia, 2010 (28.1), http://it.wikipedia.org/wiki/Blu_%28artista%29 29 - “Blu Interview”, Wildstylers, 2005 (18.3), http://www.wildstylers.com/?p=44#more-44 30 - “Blu (artista)”, Wikipedia, 2010 (28.1), http://it.wikipedia.org/wiki/Blu_%28artista%29 31 - K. Rashad, “Interview with Blu”, Kolah Studio, 2007 (19.9), http://www.kolahstudio.com/underground/?p=599 32 - Ibidem 05 – CANIBAIS BRASILEIROS Tutte le citazioni contenute in questo capitolo sono state tradotte da: T. Manco, Graffiti Brasil, Londra, Thames & Hudson, 2005 06 – OUTRO (DEPILOGO) 1 - “Free Mondays at Art in The Streets - Courtesy of Banksy”, MOCA, 2011 (6.9), http://www.moca.org/audio/blog/?p=1991 2 - Sten & Lex, “Il caso Blu”, L’Unità, 2010 (29.12), http://streetart.blog.unita.it/il-caso-blu-1.263223 3 – Brokenspeakers, “La Cosa Nostra”, Brokenspeakers – L’Album, Torino, La Suite Records, 2009 07 - GHOST TRACK (HIP-HOP) Tutte le informazioni riportate in questa mappa provengono indistintamente dalla versione inglese di wikipedia confrontata con innumerevoli fonti aggiuntive rintracciate nel web, unita a elementi estrapolati da tre volumi fondamentali riguardo la storia dell’hip-hop: J. Chang, Can’t Stop Won’t Stop – L’incredibile storia sociale dell’hip-hop, Milano, Shake Edizioni, 2009 P. Ferrari, Hip-Hop, Milano, Giunti, 2006 M.K.Asante Jr., Post-Hip-Hop. Un nuovo linguaggio. Con ogni media necessario. Conquistando l’uguaglianza, Roma, Arcana Edizioni, 2009
INDICE DELLE IMMAGINI Di seguito riporto l’elenco completo degli autori delle immagini comparse in questo volume. Nelle pagine con più immagini l’elenco inizia dall’angolo in alto a sinistra e prosegue in maniera lineare verso destra; in queste pagine, quando compaiono più immagini dello stesso autore una a fianco dell’altra, il numero tra parentesi indica la quantità delle immagini in questione. Gli intrusi, ossia i miei lavori personali, sono segnalati in corsivo. Sfuggono a questo elenco le immagini con le vicende di Cannibale Arracci, collage digitali creati appositamente per questo volume, e le pagine megamix alla fine di ogni capitolo, anarchici puzzle di tutte le immagini scartate e avanzate nel mio archivio. INTRO Le tre immagini che compaiono a tutta pagina sono rispettivamente: particolare de Il sogno di Coke La Rock, articoli della Provincia di Como sulla Caprata, Edward Quinn (Pablo Picasso nel suo studio) p. IV - Shek, Sbafe (x2), Barry McGee(x6), graffiti 2005 (x4) 218
EL LEOPOLDINO HEROICO p.0 (copertina) - Leopoldo Méndez pp. 1, 2, 3, 4 - Enrique Breccia p. 5 - Leopoldo Méndez, cover per il disco Democritico del gruppo ITQQ e l’Annina, grafiche varie e magliette autoprodotte tra il 2005 e il 2010 p. 7 - Manuel Maples Arce, German Cueto, Leopoldo Méndez, disegno della serie Colpisco a casaccio perchè non ho più memoria (Rotterdam 2010) p. 10 - Il Russo (libro serigrafico prodotto in collaborazione con Sebastiano Paccini), Jean Charlot, Leopoldo Méndez, German Cueto, anonimo (copertina di Irradiador), Ramon Alva de la Canal, Barry McGee, Jean Charlot p. 12 - Leopoldo Méndez, Pistolero p. 13 - Angelo (serigrafia), Tina Modotti p. 15 - Leopoldo Méndez (x3), Tina Modotti p. 17 - Leopoldo Méndez, Circus, anonimo (copertine di 30-30), Leopoldo Méndez (x2), still dal video Scultura Idiota (x3)[vedi p. 79] pp. 18-19 - Particolare di un murale realizzato nel Parco dei Vivai di Mariano Comense [vedi p. 63] p. 21 - Leopoldo Méndez (x2), anonimo (teatro di marionette del SEP a Città del Messico), Leopoldo Méndez, Laboratorio di scenografia presso la scuola media statale di Guanzate [vedi p. 198], Area 51 Sound in diretta da Radio Cantù con Michel e Maxi B, George Grosz, Laboratorio di scenografia - spettacolo finale p. 23 - Leopoldo Méndez (x3), cover dell’album “Edutainment” di KRS-One e Boogie Down Production, particolare di un murale realizzato a Seregno, still dal video Non siamo riusciti a entrare nell’Art World System (x2), Leopoldo Méndez, still dal video Non siamo riusciti a entrare nell’Art World System pp. 25-26 - Enric Siò p. 27 - Leopoldo Méndez p. 28 - Bozzetto per Operaio, John Heartfield, Operaio, anonimo (copertina di Frente a Frente), Leopoldo Méndez, Poster a Meda (foto di El Pacino), Leopoldo Méndez (x2) p. 34 - Leopoldo Méndez, Senza titolo (2009), anonimo (TGP), Leopoldo Méndez (x5) p. 35 - Leopoldo Méndez p. 37 - anonimo (poster del TGP affissi sui muri di Città del Messico nel 1949 ca.), Leopoldo Méndez, anonimo (foto di gruppo dei membri del TGP: Leopoldo Méndez, Ignacio Aguirre, Raul Anguiano, Alberto Beltran, Angel Bracho e Fernando Castro Pacheco), Blek le Rat, Pablo O’Higgins, anonimo (TGP), John Heartfield, Pablo O’Higgins, Leopoldo Méndez, anonimo (TGP) (x2) p. 39 - Leopoldo Méndez (x4), particolare di un murale della Canaglia presso il Mondo delle Uova di Arosio [vedi p. 178], Leopoldo Méndez (x5), Linqen (street art Messico), Leopoldo Méndez, Pablo O’Higgins p. 42 - Leopoldo Méndez p. 43 - Calaveras del TGP p. 46 - Leopoldo Méndez (x4), disegno della serie Colpisco a casaccio perchè non ho più memoria (Rotterdam 2010), anonimo (copertina del Libro Negro del Terror Nazi), Kathe Kollowitz, Leopoldo Méndez, Kathe Kollowitz, Leopoldo Méndez 219
p. 47 - Leopoldo Méndez (x2), illustrazione per il libro Libera Mente pubblicato da Esedra nel 2009, Leopoldo Méndez (x4), anonimo (manifesto del Graphic Workshop of New York), Leopoldo Méndez (x2), Ferenc Pintér p. 50 - anonimo (revisione dei lavori presso il TGP), Leopoldo Méndez e Alfredo Zalce, revisione collettiva dei bozzetti durante il corso intensivo Pittura di Storia tenuto da Emanuele Mocarelli e Marco Bongiorni presso la NABA di Milano nel 2009, still dal video Il segreto del gusto unico Big Mac, La casa del pazzo fottuto [vedi p. 178], still dal video Il segreto del gusto unico Big Mac, Leopoldo Méndez p. 51 - Leopoldo Méndez (x5), anonimo (street art Messico), Leopoldo Méndez, Gyorgy Konecsni, due metri di schizzi, still dal video Razzolo male ma non predico, Leopoldo Méndez, José Guadalupe Posada, trittico xilografico della Canaglia pp. 53-54 - Enric Siò p. 56 - Spaccato del leggendario Berweg 164B di Rotterdam, manifesti messicani con immagini di Leopoldo Méndez (x5), Leopoldo Méndez, anonimo (Leopoldo Méndez e famiglia), anonimo (street art Oaxaca), anonimo (Leopoldo Mèndez al lavoro), Jules Heller (Leopoldo Méndez, Jesus Arteaga, Pablo O’Higgins), anonimo (poster del TGP affissi sui muri di Città del Messico), anonimo (il Taller de Grafica Popular oggi), Albe Steiner (Leopoldo Méndez e Pablo O’Higgins al lavoro), Leopoldo Méndez, copertine dei tre volumi pubblicati da Leopoldo Méndez: “La pintura mural”, “José Guadalupe Posada”, “Lo efimero y eterno” (vedi pp. 54-55) p. 58 - anonimo (street art Oaxaca), Stinkfish (street art Messico), Linqen (street art Messico), anonimo (street art Messico)(x3), Reynaldo Olivares (TGP), anonimo (street art Oaxaca)(x2), disegno della serie No pollo no pollo no, ASARO Collective (street art Messico), anonimo (street art Oaxaca), Linqen (street art Messico), anonimo (street art Messico)(x3) p. 66 - Murale della Canaglia presso La caprata [vedi p.202] p. 67 - Senza titolo (serigrafia) EN LA CALLE DE CUBA p. 68 - Victor Manuel Navarrete p. 69 - Non sei nessuno, Elena Serrano, Alfredo Rostgaard, Leopoldo Méndez, Canae Muerto p. 72 - autori vari (poster cubani)(x20) p. 74 - Luis Balaguer p. 75 - Alfredo Rostgaard, anonimo (street art Cuba), Rafael Morante, Troppe bugie mi sanguina l’orecchio, Coni, Alfredo Rostgaard, serie di 50 poster Wanted Monsters realizzati dalla Canaglia insieme a Sbafe e Fope per il comune di Mariano Comense, René Mederos, John Heartfield, Senza titolo (serigrafia), Eduardo Munoz Bachs, anonimo (poster affissi sui muri di L’Avana), poster Wanted Monsters nelle bacheche comunali di Mariano Comense p. 78 - autori vari (poster cubani), Immigrants Party (con El Pacino), autori vari (poster cubani) p. 82 - sculture disperse alla Caprata [vedi p.202] p. 83 - senza titolo (serigrafia) ONE HUNDRED STYLES P. 84 - Martha Cooper p. 85 - Edward Quinn 220
p. 87 - Articolo su Taki 183 comparso nel New York Times (1971), Phase2, anonimo (writers a New York), Jon Naar (x2), Fab 5 Freddy, Jon Naar, Blade (x3), Martha Cooper (Dondi al lavoro), anonimo (volantino della mostra U.G.A.), anonimo (volantino di una mostra di writers - New York 1975 ca.), Martha Cooper (Dondi al lavoro), graffiti 2005-2007 (x3) p. 89 - Orticanoodles (street art Italia), anonimo (street art Valencia), murale della Canaglia in collaborazione con Cripsta, Gitan (street art USA), El arte es basura (street art Barcellona), anonimo (writing Russia), Isaac Cordal (x2), anonimo (street art)(x3), Bullshit (writing Berlino), Obey, Obeyma, Dalva (street art USA) p. 92 - anonimo (street art Oaxaca)(x5), Linqen (street art Messico), anonimo (street art Oaxaca) (x3), Blek le Rat, anonimo (street art Oaxaca), ROA (street art Messico)(x2), anonimo (street art Messico), anonimo (TGP), John Heartfield, anonimo (street art Oaxaca) p. 93 - Joey (Rotterdam) p. 95 - Brassaï (x16) p. 97 - anonimo (poster di John Heartfield affissi sui muri di Berlino), John Heartfield, Vincere, John Heartfield (x4), anonimo (Ray Johnson al lavoro), serie di libretti Arte gratis per tutti spediti a persone casuali (parte del progetto Regali doppiogioco - F84), Ray Johnson (x4), anonimo (street art USA), anonimo (foto dei moticos di Ray Johnson disposti su un muro di New York) p. 100 - Emory Douglas (x4), io e Francillotto a Rotterdam davanti a un poster di Emory Douglas, anonimo (Emory Douglas nel suo studio), Emory Douglas, copertina di “Night of the living baseheads” dei Public Enemy, anonimo (poster dell’Atelier Populaire affissi sui muri di Parigi - 1968 ca.), Aterlier Populaire, anonimo (stampa dell’Atelier Populaire rielaborata per una manifestazione contemporanea), Atelier Populair, particolare del murale Ecce Bombo Bombo Ecce realizzato con F84, Atelier Populaire, senza titolo (serigrafia), Atelier Populaire, anonimo (foto del laboratorio di stampa dell’Atelier Populaire)(x2) p. 103 - John Fekner (x8), Richard Hambleton e Jean-Michel Basquiat, Richard Hambleton, Richard Hambleton e Alex Vallauri, Richard Hambleton (x3), Richard Hamlbeton e Alex Vallauri, Richard Hambleton, Blek le Rat, Richard Hambleton p. 105 - Other, anonimo (street art)(x2), anonimo (writing), particolare di un disegno della serie Colpisco a casaccio perchè non ho più memoria (Rotterdam 2010), anonimo (street art Italia), Kasso, anonimo (street art)(x2) p. 106 - Nick Bertozzi p. 108 - Avant (x2), SAMO (Jean-Michel Basquiat), Avant (x3), poster a Meda (foto di El Pacino), Avant (x4), anonimo (volantino di una serata con Dj Afrika Islam, Richard Hambleton e Avant - New York 1982 ca.), Avant e Richard Hambleton p. 109 - Avant (x2), anonimo (Banksy al lavoro), Banksy p. 110 - foto di gruppo Avant pubblicata su East Village (novembre 1983 ca.) p. 118 - EsseGesse (Giovanni Sinchetto, Dario Gusson, Pietro Sartoris) p. 120 - Blek le Rat, anonimo (Blek le Rat al lavoro)(x2), Blek le Rat (x2), Banksy, anonimo (Blek le Rat al lavoro (x3), Blek le Rat (x2), anonimo (Blek le Rat al lavoro), Blek le Rat p. 121 - anonimo (Alex Vallauri al lavoro), Alex Vallauri (x4), anonimo (Alex Vallauri al lavoro), Alex Vallauri, anonimo (Alex Vallauri al lavoro), Alex Vallauri, anonimo (Alex Vallauri a una festa - New York 1981 ca.), anonimo (street art Brasile)(x2), stencil 2005-2006, anonimo (Alex Vallauri nel suo studio - New York 1981 ca.) p. 128 - scultura presso La Caprata [vedi p. 202] 221
p. 129 - senza titolo (serigrafia) FUORI SONO LIBERO p. 130 - Banksy p. 131 - senza titolo (disegno) p. 132 - Damien Hirst, Cartrain (x3) p. 134 - Other, Labrona, Other e Labrona, Other, Other e Labrona (x2), anonimo (hobo lascia il suo moniker su un treno merci canadese), Other e Labrona (x2), Labrona (x2), Other e Labrona, Labrona, Other (x2), Rotterdam Hardcore (foto di El Pacino), Other e Labrona p. 135 - lavori messi in vendita da Other su http://www.Illicitexhibitions.com, Other, Labrona, Other, Labrona, Other e Labrona p. 138 - Adam Neate (quadri affissi nelle strade di Londra)(x76), Adam Neate (x4), graffiti 2009-2011, Adam Neate (x19) p. 140 - Memento mori(x2), Slinkachu (x11) p. 141 - Dan Witz (x8), Mark Jenkins (x9) p. 146 - Emory Douglas, Alfredo Rostgaard, John Heartfield, Troppe bugie mi sanguina l’orecchio, El arte es basura (street art Barcellona), Zevs (street art Parigi), Avant, Troppe bugie mi sanguina l’orecchio, Zevs (street art Parigi), Banksy (x3) p. 147 - Banksy (x13), anonimo (street art Messico), El arte es basura (street art Barcellona) p. 150 - Banksy (x9), Asger Jorn, anonimo (Banksy in azione), Banksy (x11) p. 152 - anonimo (manifesto cubano del film Elpidio Valdes di Juan Padron) p. 153 - Come rovinare Mocarelli (intervento su una tela di Emanuele Mocarelli - parte del progetto Regali doppiogioco di F84), Asger Jorn, Banksy (x11) p. 155 - Banksy (x4), anonimo (foto della mostra “Barely Legal” a cura di Banksy), Banksy (x5), anonimo (foto dell’evento “The Cans Festival” organizzato da Banksy) (x2), John Heartfield p. 158 - anonimo (foto dell’esterno della mostra “The Village Pet Store” a cura di Banksy), Banksy (x2), anonimo (foto dell’esterno della mostra “The Village Pet Store” a cura di Banksy), Banksy (x4), anonimo (foto della mostra “Banksy vs Bristol Museum”)(x2), Banksy pp. 159-160 - anonimo (Lex e Sten al lavoro presso “The Cans Festival”) p. 161 - particolare de La casa del pazzo fottuto [vedi p.178], Banksy p. 162 - Banksy (locandina del film “Exit Through The Gift Shop”) p. 165 - Nick Bertozzi p. 167 - Blu con Dem e Ericailcane, Blu, Blu e JR, Blu e Ericailcane, murale della Canaglia presso il Teatro Sociale di Como, Blu e Erica il cane, Blu pp. 168-169 - Blu p. 170 - anonimo (Blu al lavoro), Blu, Blu (locandina del film “Megunica”), Blu, Banksy, Blu (x3) pp. 171-172 - Blu 222
pp. 173-174 - Blu, Blu e Ericailcane, Blu p. 177 - still dal video Happy Highway realizzato con Dirk Van Lieshout e Gianluca Craca (x21) [vedi p.178] p. 180 - disegni presso La Caprata [vedi p.202] p. 181 - senza titolo (serigrafia) CANIBAIS BRASILEIROS P. 182 - Os Gemeos e Ise p. 183 - Os Deferentes, anonimo (street art Brasile), Nunca, Lelo, Stinkfish, anonimo (street art Brasile), Vitchè, anonimo (il collettivo Upgrade do Macaco all’opera), anonimo (pichação), Os Gemeos, Nunca, Fefe, particolare di un murale a Lecco p. 184 - artisti vari (sopa de letrinhas), Lelo, Os Gemeos, anonimo (street art Brasile), Olinda, anonimo (matrice xilografica realizzata da Cimples), Dilla, Treco, Zezao, Bastardilla, Vitchè, John Heartfield, Highraff, anonimo (pichadores al lavoro), Vitchè pp. 185-186-187-188 - Medim, Odirlei, Regazo, Emol, Cena7, B47 p. 190 - anonimo (pichadores al lavoro) p. 191 - Os Gemeos, anonimo (foto al duo Os Gemeos), Os Gemeos, particolare de Il sogno di Coke la Rock (esposto alla mostra Wanted Monsters presso il Circolo di Mariano Comense), Barry McGee (x3), anonimo (milagres brasiliani), Barry McGee p. 193 - Naf, anonimo (street art Brasile) p. 195 - anonimo (soldatino di plastica) p. 196 - Vitchè pp. 199-200 - quadro presso La Caprata (vedi p. 202) p. 201 - volantino della Caprata p. 202 - Fotoricordo Canemorto pp. 203-204-205-206 - cronostoria visiva della Caprata pp. 207-208 -installazione presso la Caprata p. 209 - senza titolo (serigrafia) OUTRO
skillz nelle mani
p. 211 - Blu p. 212 - anonimo (cancellazione del murale di Blu presso il MOCA di Los Angeles) p. 215 - Libretto delle superiori con Lord Casco Nero p. 217 - José Guadalupe Posada, Banksy; p.220 - anonimo (TGP)
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o.l. 4
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