Primavera 2017 � 7,90
COSTUMI E ABITUDINI DAL MEDIOEVO AL NOVECENTO
Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
La Vita Quotidiana bidet, vasca, sapone: quanto e come ci si lavava • essere contadini nell’anno mille • la scuola? Tutta “colpa” di carlo Magno • quando non c’era il divorzio • un giorno con ludovico il moro • moda, giochi, vacanze: grazie rinascimento • educati a frustate
LA VITA QUOTIDIANA
C
arlo Magno ha inventato la scuola. E il punto di domanda: sapevate che il simbolo dell’interrogativa non è altro che la stilizzazione grafica di “qo”, sigla della parola latina “quaestio”? I copisti dovevano metterla alla fine di ogni frase interrogativa; la q con il tempo venne posta sopra la o, e quest’ultima si ridusse a un puntino. La punteggiatura è stato uno degli escamotage adottati dagli studiosi per trovare una scrittura chiara e comune a tutti gli europei. A fini meno nobili, ma pur sempre utili, va fatta risalire l’invenzione del primo wc (water-closet), mentre dal solo Rinascimento italiano scaturirono le idee più brillanti in fatto di moda (lo stile “personale” nasce nelle corti più raffinate dell’epoca), giochi (calcio, biliardo), progettazioni urbanistiche (la città ideale!) e modelli culturali esportati poi in tutto il mondo. Piccole grandi rivoluzioni che cambiarono per sempre, se non i fatti della grande Storia, i piccoli riti della vita quotidiana. Quelli che riguardano davvero tutti da vicino. Studiare come vivevano i nostri antenati è anche un modo per trovare le risposte a domande che magari non ci si era mai posti. Ma non per questo sono meno interessanti. Buona lettura! Emanuela Cruciano, caporedattore
6 L’EREDITÀ
DEL RINASCIMENTO
Rappresentazione di un torneo della Civetta (1440). Un uomo tiene distanti i contendenti con le sue gambe, mentre i due si danno colpi mirati, cercando di schivarsi l’un altro.
pag. 10
Il tempo libero e l’ossessione per il look: anche questo ci hanno insegnato uomini e donne vissuti in Italia 500 anni fa. 10 LE
16
36 I pag. 22
42 UN
46 IL
POPOLO DELLE CAMPAGNE
TANTO AMATI
Come vivevano (e mangiavano) i contadini nel Medioevo.
Quando non c’erano gli “alimenti” e il divorzio era un tabù, ci si lasciava così.
52 L’ARMA
SEGRETA DEL MEDIOEVO
DEI CASTELLI
Gli antenati dei castelli medioevali erano le “motte”: borghi cintati e autosufficienti.
GIORNO IN COMUNE
Ventiquattro ore nella Perugia del Trecento. Tra botteghe, mercati e pubbliche esecuzioni.
Dalle bisacce alla 24ore, dalle valigie di cartone al trolley: così si è evoluto il bagaglio nei secoli.
28 PRIMA
PIACERI DELLA CARNE
L’Età di mezzo sotto le lenzuola.
BAULI, CAPPELLIERE E BEAUTY CASE
22 C’ERAVAMO
SCUOLA CON CARLO MAGNO
Ecco come si studiava 1.200 anni fa nella prima scuola pubblica, voluta dal re dei Franchi.
CIVILTÀ IN BAGNO
Luigi XIV di Francia ci teneva i cuscini, i Romani “la facevano” in gruppo...
30 A
pag. 36
La folgorante carriera dei formaggi: dal grana alle forme usate come moneta sonante.
COPERTINA ©LESSING/CONTRASTO
3
LA VITA QUOTIDIANA 56 A.D. 1500
pag. 58
Gli italiani al tempo di Leonardo.
58 CHI
PUÒ ESSER LIETO SIA
Il Rinascimento fu un’epoca di prosperità e spensieratezza? Solo per pochi...
66 IL
70 UNA
pag. 72
CASA A PALAZZO
112 LA
CORTE DEL MORO
pag. 92
Un’incursione nel cuore del Rinascimento lombardo, guidati da un poeta di corte.
122 IL
pag. 100
DAL VERO
DI LATTE E CAFFÈ DI CICORIA
IN CARROZZA
pag. 118
98
NELLA FILANDA DELL’OTTOCENTO
Come si lavorava secoli fa? Per scoprirlo, interpretiamo gli indizi disseminati dagli artisti nei loro quadri.
4
La necessità aguzza l’ingegno: guerre, crisi economiche e sanzioni dietro all’invenzione dei surrogati. 130 QUANDO
NON C’ERA IL WEEK-END
DEL LAVORO
La realtà disumana delle fabbriche, dove si sfruttavano persino i bambini, e dei quartieri proletari dell’Ottocento che fece indignare Marx (e non solo).
TEMPO DEI GELONI
126 LANA
Se all’improvviso veniste trascinati sulle strade del XVIII secolo, sapreste cavarvela? Sì, grazie a queste istruzioni per l’uso...
92 SCHIAVI
NONNI E NIPOTI
Le condizioni sanitarie dei nostri nonni, tormentati dal freddo e minacciati da tisi, malaria e sifilide.
Nei teatri di Londra, quattrocento anni fa, succedeva un po’ di tutto: dalle lotte tra animali agli spuntini alle ostriche.
90 SPOSTARSI
CITTÀ DI DICKENS
Da patriarchi a compagni di giochi: come è cambiata la figura familiare più amata.
DEL NUOVO MONDO
82 SHAKESPEARE
PERDUTA
Come si viveva in una grande città come la Londra dell’età vittoriana? Dickens racconta nei suoi libri tutte le contraddizioni dell’Inghilterra dell’Ottocento.
118 TRA
76 L’OMBELICO
La vita a Cusco, capitale del Perù nel Cinquecento. Quando gli indios furono cristianizzati e ridotti in schiavitù.
Fino all’800 valsero i princìpi della “pedagogia nera”: i bambini disubbidienti erano puniti a suon di botte e frustate. Essere un bambino nell’Inghilterra vittoriana dell’800 era una disgrazia: la scuola (a suon di bacchettate) era per i ricchi, tutti gli altri a lavorare.
Il Palazzo ducale di Urbino, vera cittadella dentro la città, è un capolavoro del Rinascimento.
72 ALLA
CATTIVI MAESTRI
106 INFANZIA
SECOLO DEI GIOCHI
Ecco come ci si divertiva tra il Quattrocento e il Cinquecento.
100
pag. 136
Sono passati poco più di settant’anni, ma i nostri nonni passavano il (poco) tempo libero in modo diverso da noi. Ecco come... 136 NEGLI
ANNI DEL BOOM
Fu una rivoluzione: chi si trasferiva in città, chi scopriva il tempo libero... Per anni l’Italia rimase sospesa tra passato e modernità.
146 LETTURE
IGIENE
LE CIVILTÀ IN LUIGI XIV di Francia teneva dei cuscini nella VASCA, ma i suoi sudditi si LAVAVANO POCO. I Romani “la facevano” in GRUPPO e gli inglesi inventarono lo SCIACQUONE
C
ome si spiega che il bagno, dopo il gran lavarsi del mondo antico, sia stato relegato a una penitenza monastica nel Medioevo, a poco più di una bizzarria nel Seicento (Luigi XIV teneva dei cuscini nella vasca!), e nel secolo dei Lumi sia stato completamente dimenticato? In realtà, la storia della “civiltà in bagno” non segue la logica di un progresso graduale dalla sporcizia all’igiene, come si potrebbe pensare. Ha, piuttosto, un percorso pieno di contraddizioni, stranezze e pregiudizi. Naturali. L’uomo primitivo viveva per necessità quanto più vicino all’acqua e a un certo punto scoprì che il fiume, oltre a dissetare, poteva spazzare via gli escrementi e rinfrescare il corpo. Andò anche oltre: a Skara Brae, il più importante villaggio neolitico ritrovato in Europa, nelle isole a nord della Scozia, all’interno delle capanne in pietra sono stati scoperti scarichi rudimentali che partono da nicchie nelle pareti e confluiscono in un torrente (che oggi non c’è più). Gli Assiri che, come i Babilonesi, vivevano anche loro vicino a grandi fiumi, si lavavano solo nelle grandi occasioni. Ma facevano uso di cosmetici e profumi. Altrettanto raffinati, ma più puliti, gli Egizi: il faraone si bagnava ogni giorno nel Nilo e sembra che i suoi sudditi lo imitassero versandosi l’acqua addosso, con un vaso. Le vasche erano un’eccezione: straordinaria dunque quella della regina di Creta che risale a 3.600 anni fa, nel Palazzo di Cnosso: non una bagnarola rudimentale, ma una splendida vasca di terracotta 10
LA VASCA, QUESTA SCONOSCIUTA
La visione romantica del bagno del pittore belga Alfred Stevens (18231906). Fino agli inizi del Novecento la vasca era una rarità: per riempirla ci voleva troppa acqua.
LESSING/CONTRASTO
BAGNO
11
SOCIETÀ
C’ERAVAMO TANTO
AMATI
Quando non c’erano gli “alimenti” e il DIVORZIO era un tabù, ci si LASCIAVA così
CONTRATTO STRACCIATO
Lo scioglimento del contratto matrimoniale in un dipinto settecentesco di Etienne Jeaurat: grazie alla Rivoluzione francese il divorzio divenne legge.
FOTOTECA GILARDI (2)
PRO O CONTRO?
Sopra, due locandine pro e contro l’abrogazione della legge sul divorzio (del 1970) in occasione del referendum del 1974 promosso dalla Democrazia cristiana.
Q
BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
“
uando si trova un coniuge ammazzato, la prima persona inquisita è l’altro coniuge: questo la dice lunga su quel che la gente pensa della famiglia”, affermava lo scrittore inglese George Orwell (19031950). Eppure per secoli il mantra è stato: giù le mani da questa istituzione. Esaltata, svilita, banalizzata, ma sempre in piedi. Pilastro esclusivo della società. Con i suoi equilibri indiscussi, sbilanciati a favore dell’uomo. E i suoi rituali arcaici, figli di culture patriarcali prima, borghesi poi. Difesa anche al prezzo di mascherare ipocrisie oppure oltraggiata a volte solo per pregiudizi ideologici, fino a diventare nel secondo Novecento terreno di scontro: è stato quando la legge sul divorzio (1970) ha diviso gli italiani che nel maggio di quattro anni dopo sono andati in massa a votare il referendum per dire se volevano o no la sua abrogazione. Vinsero i “no”, i cattolici incassarono il colpo e il divorzio rimase legale. Una rivoluzione copernicana per il Paese, soprattutto per il cosiddetto sesso debole che vide riconosciuto il diritto di scegliere come e con chi vivere. Ma prima, come ci si separava? E la donna, dopo la separazione, come campava? “Gran dote, gran baldanza”. La possibilità di separarsi c’è sempre stata, fin dai tempi degli Egizi per intenderci. Nell’antichità, però, a far da padrona era la dote. Una donna passava dalle mani del padre a quelle del marito con parte dei suoi beni: terreni, case, in alcuni casi anche schiavi. Più ricco era il premio in palio, più alte erano le possibilità di contrarre un buon matrimonio. Come diceva un proverbio, “le belle senza dote trovano più amanti che mariti”. Se anticamente divorziare, nei casi previsti dalla 23
A SCUOLA CON CARLO MAGNO Ecco come si studiava 1.200 ANNI FA nella prima scuola pubblica. Quella voluta dal re dei Franchi in una RIFORMA senza precedenti
M
“
BUON MAESTRO
Carlo Magno guida la mano di uno scolaro in un’illustrazione ottocentesca (in realtà il re non sapeva scrivere). In alto a sinistra, il suo testamento (814) nella scrittura minuscola carolina, da lui introdotta. A destra, il suo monogramma: KaRoLuS.
agno” non è un epiteto da tutti. Se il re dei Franchi Pipino il Breve doveva il suo nomignolo alla bassa statura, il figlio Carlo divenne per tutti “il Grande” per le sue numerose qualità. E non solo perché fu un valoroso condottiero, che sconfisse Àvari, Longobardi e Sassoni fino a fondare il Sacro romano impero, e nemmeno soltanto perché fu magnanimo con i nemici e aperto verso le culture diverse dalla sua. Uno dei suoi meriti fu anche quello di aver risvegliato l’Europa dal letargo culturale in cui era piombata dopo la caduta dell’Impero romano. E di avere istituito, con una riforma senza precedenti, la prima scuola pubblica. Cominciare dalle basi. Carlo Magno si trovò ad affrontare il difficile compito di governare una realtà politica inedita, non più circoscritta al Regno dei Franchi, ma neppure somigliante al precedente Impero romano. Si trattava di un vasto territorio costituito da gruppi etnici e culturali molto diversi, anche nella lingua: francesi, germanici, italiani. Per mettere ordine nel suo regno disponeva di due strumenti formidabili: la lingua latina e la religione. La prima, però, non era più l’idioma di tutti i giorni ed era conosciuta male anche dagli ecclesiastici. Nemmeno la fede cristiana era la stessa per tutti: l’interpretazione delle Scritture cambiava da regione a regione e qua e là persistevano riti pagani, soprattutto nelle zone rurali. Per dare unità alle sue terre, insomma, bisognava iniziare dalle fondamenta. Cioè dalla scuola, che a quel tempo significava dai monasteri, roccaforti del sapere. Ma ai tempi di Carlo il livello culturale del clero, purtroppo, era molto vicino all’analfabetismo: nel 780 il sovrano fece divulgare una lettera agli eccle-
siastici del regno, alla quale seguirono diversi “capitolari” (cioè ordinanze) che fissarono, svilupparono e uniformarono la questione fondamentale dell’istruzione. Era il primo passo di quella che verrà poi definita renovatio o “rinascita carolingia”. La squadra. Per il suo progetto il sovrano chiamò a corte intellettuali di grande talento. Come l’inglese Alcuino di York, insegnante di grande fama e con una vocazione per la pedagogia, o come l’italiano Pietro da Pisa, il primo studioso a entrare nella corte come maestro di grammatica per i giovani nobili (e per lo stesso Carlo, semianalfabeta). C’erano poi Eginardo, esperto di grammatica latina e abile architetto (fu lui a progettare il palazzo di Aquisgrana), e Teodolfo d’Orléans, vescovo ma soprattutto poeta. Il re convocò anche lo storico, naturalista e studioso di greco Paolo Diacono, membro di una famiglia longobarda non assoggettata dai Franchi, a testimonianza della grande apertura mentale del sovrano. Se da un lato Carlo voleva centralizzare il governo del regno, infatti, dall’altro sapeva valorizzare le differenze. W la schola! L’idea di creare un sistema d’istruzione comune in tutto il territorio fu accolta con entusiasmo da vescovi, abati e prelati. Quanto fosse spontaneo non si sa, visto che era stato un decreto del 797 a imporre loro di fondare scuole di vario grado in cattedrali, abbazie e villaggi. Ma chi poteva frequentare quelle scuole? Tutti, considerati gli standard dell’epoca, ovvero anche giovani di media o bassa estrazione sociale. Il modello era la Schola palatina di Aquisgrana, capitale del regno. Inaugurata già dai sovrani merovingi e restaurata dal padre di Carlo, aveva inizialmente lo scopo di formare la classe di scrivani e contabili di palazzo sotto la guida di Alcuino. 31
SEMBRA che lo stesso Carlo Magno partecipasse ad appassionanti sfide di logica con ALCUINO DI YORK e i membri della sua corte Una sorta di scuola di alta amministrazione ante litteram. Di cui il re voleva estendere i benefici a tutto il regno. Il maestro. Dotato di un talento naturale per l’insegnamento (lui stesso era solito paragonare il suo zelo educativo all’azione di colpire una pietra focaia per produrre la scintilla), Alcuino importò nella scuola carolingia i metodi già sperimentati in Inghilterra. La struttura di questa università primordiale era basata sulle sette arti liberali: il trivium (grammatica, retorica e logica) e il quadrivium (geometria, aritmetica, astronomia e musica). Come pedagogo Alcuino era all’avanguardia: era convinto che la trasmissione del sapere non doves32
se avvenire mediante l’apprendimento mnemonico e le punizioni, bensì lavorando sulle innate capacità dell’alunno. Proprio per stimolare la vivacità di pensiero dei suoi alunni, ogni giorno proponeva loro problemi matematici e logici. Il famoso problema del contadino che deve traghettare una capra, un lupo e un cavolo sulla riva opposta di un fiume (v. il secondo riquadro nella pagina a fianco) nacque proprio tra le mura del palazzo di Aquisgrana. Caccia all’errore. Un potente alleato della riforma carolingia fu l’ordine benedettino. Lo scriptorium (il luogo dove si copiavano i manoscritti) di ogni monastero e abbazia divenne di fatto il primo
BIBLIOFILO
Carlo Magno riceve Alcuino di York che gli presenta alcuni manoscritti dei suoi monaci, in un dipinto ottocentesco.
RINASCIMENTO
Guidati da un POETA DI CORTE, ecco un’incursione nel cuore del Rinascimento LOMBARDO. Prima che la morte di Beatrice d’Este segnasse il declino del Moro e del DUCATO di Milano
ALLA CORTE DEL
SCALA (2)
MORO
ALINARI
ARTI E INGEGNO AL CASTELLO
La corte di Ludovico il Moro in un dipinto di Giuseppe Diotti. Il duca era un grande mecenate.
LUDOVICO E BEATRICE
A sinistra, la sposa del Moro morì di parto a 21 anni, il 2 gennaio 1497. Era stata promessa al duca già a cinque anni di età.
S
ono tempi calamitosi. Le guerre si succedono fuori dal Ducato e la situazione non è tranquilla neppure dentro Milano. La pace di Lodi del 1454 è ormai un lontano ricordo: le alleanze tra gli Stati italiani e quelle con gli Stati stranieri sono fragili. Non ci si può fidare di nessuno. Tanto meno del mio duca, signore di Milano, Ludovico Sforza detto “il Moro”, un campione delle alleanze di comodo e dei ripensamenti in corsa. I suoi sudditi non lo amano: lo incolpano di aver avvelenato nel 1494 suo nipote Gian Galeazzo, figlio venticinquenne del duca Galeazzo Maria, assassinato nel 1476. Si dice che Ludovico avesse cominciato a estromettere dal potere il ragazzo fin dal 1480, quando, fatto uccidere il vecchio e fidato segretario Cicco Simonetta e spedita la madre nel castello di Abbiate, ne era diventato il tutore. Poi, con l’avallo dell’imperatore d’Asburgo Massimiliano, aveva usurpato “legittimamente” il trono del nipote. Due mesi dopo Gian Galeazzo era morto. Voci dicono che ci fosse anche lo zampino del re di Francia, Carlo VIII, accolto a Milano con tutti gli onori dal mio duca. Vita a corte. Eppure, qui alla corte di Ludovico Sforza sembra che la vita non sia mai andata meglio. E in effetti così pare anche a me, che sono un semplice poeta, scrivo testi in lingua volgare per compiacere il mio Signore e aiuto a mettere in scena gli spettacoli tanto amati dalla mia Signora, Beatrice d’Este. Ricordo ancora quando arrivò a Milano per il suo matrimonio: il 22 gennaio 1491 ogni bottega sulla via percorsa dal corteo era in festa.
Sventolavano tessuti, ricami in oro e argento, gioielli preziosi e, sulla via degli armaioli, le facevano ala “due schiere di guerrieri immobili, chiusi nell’arme, montanti su cavalli di battaglia coperti di squame di ferro: vuote armature atteggiate con nobile artificio”. L’anno dopo, anche alcuni ambasciatori veneziani rimasero colpiti dalla quantità e dall’alacrità degli artigiani milanesi: “Tanti mestieri, tante botteghe vi sono de ogni sorte: quivi si trova de tutte le cose alcuna che non si lavori qui, et de ogni cosa se trova. Tutte le strade sono solleggiate et a per tutto sono botteghe et continuo lavorano in esse molti lavoranti”. Al servizio del duca. Dicevo: va tutto bene, insomma. O così sembra. Ma mentre la corte si diverte tra cacce, balli, tornei e spettacoli, e le dame sfoggiano sontuosi abiti di seta o di velluto, scollature procaci e gioielli tra i capelli, il popolo non è contento: il Moro ha ereditato uno Stato in pessime condizioni economiche e chi ne fa le spese, nel vero senso della parola, sono i cittadini, poveri e ricchi, laici e religiosi. Nuove imposte o prestiti forzosi: qualunque mezzo è lecito, purché il prestigio del duca e del Ducato restino intatti. E a questo serviamo noi, uomini di lettere: a sostenere il nostro Signore scrivendo opere che ne esaltino le gesta. Per farlo non usiamo il latino dei dotti umanisti, ma una lingua volgare raffinata, ripulita rispetto al dialetto di Milano e per certi versi simile al fiorentino. Così tutti possono leggere le lodi dedicate a Ludovico. Lo stesso effetto hanno la scultura, la pittura, l’architettura e l’arte in genere, che esalta e abbellisce la città per gli occhi di tutti, signori e villani. Non per caso il grande Leonardo da Vinci ha 73
INFANZIA
Fino all’800 valsero i princìpi della “PEDAGOGIA NERA”: i bambini DISUBBIDIENTI erano puniti a suon di BOTTE e frustate
CATTIVI
MAESTRI L
“
a storia dell’infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo incominciato a svegliarci”, ha scritto negli Anni ’70 il sociologo americano Lloyd deMause. In effetti più si va indietro nel tempo, più frequenti sono le storie di maltrattamenti. I resoconti storici dimostrano che per molti secoli si è ricorso soprattutto alla “pedagogia nera”, cioè a un’educazione che si basava sulla violenza fisica e sul castigo. È vero che Quintiliano (I secolo d.C.) riferisce che i pedagoghi romani si affidavano alla classica tirata d’orecchie, ma sappiamo anche che fin dall’antichità uno dei mezzi più utilizzati fu quello della fustigazione. “Persino nella progredita Grecia di 2.500 anni fa gli insegnanti usavano la verga come strumento di correzione”, come scriveva lo storico George Ryley Scott, studioso delle pene corporali. Sferzanti. Ma l’epoca più dura per l’infanzia fu il Medioevo. Gli ecclesiastici, cui era delegata l’educazione, ricorrevano alla fustigazione per instillare nei bambini e nei ragazzi i precetti religiosi. Nel 1087 frate Ulderico di Cluny (in Borgogna, nella Francia Centrale) così descrisse le usanze dell’abbazia: “Se durante la messa i bambini cantano male o si addormentano, il priore o il maestro toglierà loro la camicia e li frusterà con vimini o altro”. Tutta la disciplina monastica era improntata a un quadro di estrema durezza e autoritarismo. Nell’XI secolo Eccardo, cronachista del monastero svizzero di San Gallo, raccontava che nel 937 gli scolari dell’abbazia, esasperati dalle punizioni, avevano dato fuoco alla chiesa con i fasci delle verghe usate dai monaci per fustigarli. 100
Piccoli demoni. «La punizione non era però solo una forma di sadismo o uno sfogo di rabbia», dice Antonella Cagnolati, docente di Storia della pedagogia all’Università di Foggia. «Era legata alla visione religiosa del tempo, per la quale il bambino era un essere impuro perché figlio del rapporto sessuale». Ovvero un piccolo demone la cui volontà doveva essere piegata attraverso le punizioni, che per questo erano particolarmente dure e crudeli. «Oggi l’infanzia viene interpretata come una delle fasi più felici della vita, ma nel Medioevo era considerata un periodo da cancellare», conferma Angela Giallongo, docente di Storia della pedagogia presso l’Università di Urbino. «I bambini venivano basto-
AKG/MONDADORI PORTFOLIO
E ORA TOCCA A VOI!
Un maestro di scuola con la frusta in mano in una litografia del 1845. I metodi educativi prevedevano allora le pene corporali.
nati, presi a sberle, soprattutto fustigati: le botte erano la conseguenza delle azioni sbagliate e dovevano forgiare il carattere e “ammaestrare” i piccoli. A guidare genitori, insegnanti, vicini di casa e ministri di Dio era la severa legge biblica». La credenza nella colpevolezza morale del bambino affondava le sue radici nei testi sacri. Nel libro dei Proverbi si legge: “Non risparmiare al giovane la correzione, anche se tu lo batti con la verga, non morirà”. La tradizione giudaico-cristiana giunse al monachesimo attraverso il filtro di sant’Agostino, per il quale ogni bambino era macchiato dal peccato originale. La sua visione dell’infanzia era talmente pessimistica che nel suo trattato La città di Dio affermò
che in paradiso non ci sono bambini, mentre nelle Confessioni scrisse: “L’innocenza dei bambini risiede nella fragilità delle membra, non dell’anima. Io ho visto e considerato a lungo un piccino in preda alla gelosia: non parlava ancora e già guardava livido, torvo, il suo compagno di latte”. Probabilmente sant’Agostino non ebbe un’infanzia felice (ammise di ricordare quel periodo della sua vita “con riluttanza”) ma non tutti i bambini venivano puniti nello stesso modo: la quantità e le forme di punizioni variavano soprattutto in relazione alla classe sociale. Principini e oblatini. Durante il Medioevo, tra i contadini, non ci si poneva certo il problema di ricorrere troppo spesso alle punizioni: la vita era 101
FOTOTECA GILARDI (2)
SALUTE
Le condizioni SANITARIE dei nostri NONNI, tormentati dal FREDDO e minacciati da tisi, MALARIA e sifilide
IL TEMPO DEI
GELONI
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FARABOLA
AUSILIO PER DISABILI
Un invalido a spasso per le vie del centro di Roma su un calessino trainato da un cane, nel 1928.
PUBLIFOTO/OLYCOM
I IL SOLE IN UNA STANZA
Bambini sottoposti a elioterapia artificiale, che con le lampade riproduceva l’esposizione ai raggi solari. Si pensava che il sole curasse molte malattie, infatti all’epoca nacquero le colonie estive per prevenire il rachitismo infantile. In alto a destra, la pubblicità di un ricostituente per signore a base di ferro. In alto a sinistra, un angelo soccorre una malata di malaria, nella pubblicità di un farmaco.
l wc in casa era un miraggio, figurarsi la vasca da bagno! Si mangiava poco, e si soffriva il freddo. La malaria uccideva nelle campagne, la sifilide in città e le malattie infettive ovunque. A dispetto di chi, anni dopo, avrebbe continuato a dire che “si stava meglio quando si stava peggio”, nel periodo fra le due guerre mondiali gli italiani non stavano poi così bene di salute. Poche cose erano democratiche, ma fra queste vanno di sicuro annoverati i geloni. Favoriti dalle carenze vitaminiche, e scatenati dal freddo patito anche nelle case più agiate, i geloni colpivano le signore borghesi così come le serve, gli operai quanto i contadini. Si annunciavano con un po’ di prurito sull’orlo superiore dell’orecchio e poi dilagavano su mani, piedi, ginocchia. Contro di loro c’era ben poco da fare, tanto che al medico il problema veniva sottoposto raramente. Facevano insomma parte della vita, proprio come la nascita, la morte, il duce e... la mancanza del bagno. Quest’ultima, per la verità, era già meno democratica. Un censimento del 1931 rivela che erano dotati di bagno 12 appartamenti su 100: si trattava delle case dei benestanti. Per tutti gli altri, di notte c’era il pitale e di giorno lo stanzino comune ricavato sul ballatoio, con la turca. Chi voleva si portava la carta, spesso riciclando quella dei giornali o del macellaio, robusta e assorbente. Il bagno fu una conquista post bellica: quando si ricostruirono le case distrutte dai bombardamenti, i nuovi appartamenti vennero dotati di una stanza apposita. Sci e mutandoni. Eppure Mussolini l’aveva capito: per guadagnare consensi e rendere il popolo più produttivo, le malattie andavano debellate. Per questo il regime avviò diverse campagne per incentiva-
re l’igiene (per esempio promosse la costruzione di bagni pubblici). E in tempi di ristrettezze economiche fece in modo che gli italiani si adattassero a fare di necessità virtù. I veri fascisti dovevano andare incontro al freddo col sorriso sulle labbra, sci ai piedi e mutandoni sotto i pantaloni. E se il pane non bastava, dovevano rallegrarsene, perché i medici consigliavano di seguire una dieta ipocalorica. Se poi, nelle case più borghesi, si eccedeva con il cibo, si poteva sempre ricorrere a un cucchiaino di “Magnesia Bisurata - Prodotto di fabbricazione italiana”. Mentre per le “affezioni intestinali da fermentazioni anormali” c’era l’Enterosil, per via orale. Le medicine, per la verità, erano inadeguate. Quando Mussolini salì al potere l’Aspirina aveva poco più di vent’anni. «Le malattie del cuore si curavano con la canfora, la digitalina e lo strofanto, estratti da piante», spiega Giorgio Cosmacini, storico della medicina e docente all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Alla fine degli anni Venti arrivò l’insulina per curare i diabetici e gli estratti di fegato per le anemie». Contro le malattie infettive c’era invece poco da fare, perché i sulfamidici giunsero solo nel 1939 e gli antibiotici dopo la guerra. Medico e confessore. Per chi si ammalava la figura di riferimento era il medico condotto, pagato dal Comune. A lui, come a un confessore, non bisognava nascondere nulla. Mussolini sottolineava: “Il medico è come il sacerdote; accompagna l’uomo dal principio alla fine. Il sacerdote tutela la nostra anima e il medico ci protegge la salute e il corpo”. «Il rapporto, stretto e confidenziale, era anche il risultato della mancanza di quegli strumenti ed esami che oggi sono usati per fare le diagnosi», riprende 123