Focus Storia speciale Wars volume 3

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VOL. III 1940-1990 DAL NAZISMO A SADDAM

LE PIÙ GRANDI BATTAGLIE DELLA STORIA


1940-1990 III DAL NAZISMO A SADDAM LE PIÙ GRANDI BATTAGLIE DELLA STORIA D

al trionfo dei panzer tedeschi in Francia agli sviluppi della guerra aerea fino ai missili intercontinentali e all’opzione nucleare. A partire dalla Seconda guerra mondiale l’arte bellica si è rivoluzionata e la tecnologia militare ha assunto un ruolo centrale, trasformando profondamente strategie e tattiche consolidate in migliaia di anni.

1940 TARANTO

6

1941 NORDAFRICA

12

1941 GIARABUB

18

1941 BISMARCK

22

1942 TOKYO

26

1942 BARCE

30

1942 EL ALAMEIN

34

1942 MIDWAY

38

1943-1944 BIRMANIA

42

1943 KURSK

46

1944 KAMIKAZE

50

1944 NORMANDIA

56

1944 ANZIO

62

66

1944 RIMINI

1944 BASTOGNE

70

1944 MONTECASSINO

72

1944 DEBRECEN

76

1945 IWO JIMA

82

1939-1945 UNIFORMI

84

1944-1975 INDOCINA

90

1948 LATRUN

94

98

1950-1953 COREA 1954 DIEN BIEN PHU

104

1967 GUERRA DEI SEI GIORNI 108

COPERTINA: I ARCANGEL - IV C. GIANNOPOULOS

1973 YOM KIPPUR

114

1990 DESERT STORM

118 3


GLI SPECIALI DI FOCUS STORIA WARS N. 13

NON VENDIBILE SEPARATAMENTE DAL NUMERO DI FOCUS STORIA IN EDICOLA * PREZZO RIVISTA ESCLUSA

1940-1990 DAL NAZISMO A SADDAM

III


1940 TARANTO REGNO UNITO-ITALIA

LA PEARL HARBOR

ITALIANA

AP/ANSA

IWM VIA GETTY IMAGES

Nel novembre del 1940 l’attacco inglese al porto di Taranto diede un colpo mortale alla Regia Marina impegnata nella Seconda guerra mondiale

6


ALAMY

L’

attacco contro una flotta nemica in porto non rappresenta una novità per la Royal Navy inglese. Nel 1587 Francis Drake aveva compiuto un’audace incursione a Cadice, colpendo le capacità logistiche dell’Invincibile Armada di Filippo II di Spagna. Due secoli più tardi l’ammiraglio Horatio Nelson non aveva esitato a colpire prima la flotta francese ad Abukir (1798), poi quella danese a Copenaghen nel 1801, mentre entrambe erano all’ancora. Già durante la Prima guerra mondiale, la nascente arma aerea aveva fornito un nuovo strumento per attaccare le flotte nemiche al sicuro nei loro porti. Nel settembre 1914 i giapponesi avevano lanciato alcuni idrovolanti da una nave appoggio per colpire una base navale tedesca in Cina; e due anni più tardi l’allora colonnello Giulio Douhet, tra i “profeti” del nascente “potere aereo”, ricordava al generale Cadorna che “un nuovo mezzo di guerra si affaccia sul mondo: l’aeroplano potente […] capace di lanciare a 500 km dalla propria base 500 kg di esplosivo, oltrepassando qualsiasi ostacolo […]. Mille aeroplani potenti possono lasciar cadere […] nel porto di Pola una quantità di esplosi-

I PROTAGONISTI

La flotta della Regia Marina in esercitazione nel porto di Taranto (1936). A sinistra, pattuglia di Swordfish (1940). Sopra, il Daily Mirror dà notizia del raid.


1941 NORDAFRICA REGNO UNITO-GERMANIA

ROMMEL IN CRISI SULLE DUNE

AP/ANSA

Nell’Operazione Crusader, che precedette di pochi mesi El Alamein, il generale tedesco affrontò la più grande battaglia di carri mai combattuta sul suolo africano. Perdendola

LA VOLPE

A destra, il generale Rommel con alcuni ufficiali della 15a divisione Panzer nella zona fra Tobruk e Sidi Omar. Sullo sfondo, carri armati inglesi Crusader della 7a divisione corazzata avanzano verso Tobruk.

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la in campo bianco (scelto proprio in base all’Operazione Crusader, cioè “crociato”, nome legato al debutto operativo dei nuovi carri armati Crusader). Churchill vorrebbe attaccare subito a fine estate, ma Auchinleck lo convince ad attendere per dargli modo di preparare al meglio una grande offensiva. Auchinleck non è un esperto di guerra corazzata, né lo è il generale che sceglie come comandante dell’8a armata, Alan Cunningham. Entrambi vogliono impratichirsi con la guerra nel deserto prima di affrontare un abile nemico come Erwin Rommel, che di quel terreno è la “volpe”. Inoltre le truppe appena arrivate devono acclimatarsi nel teatro operativo nordafricano, non si può gettarle subito in battaglia. Ci vuole tempo per imparare a vivere e combattere in quel clima: caldo di giorno e freddo di notte, con nugoli di insetti, scarsità d’acqua (quella poca che c’è deve servire anche per l’igiene personale) e una dieta piuttosto povera. Così come non è facile imparare a muoversi su un terreno che non ti dà punti di riferimento precisi: occorre saper leggere le mappe, le stelle, la posizione del sole e avere anche una certa memoria fotografica. Adattarsi all’ambiente e usare le sue caratteristiche per nascondersi al nemico è la discriminante tra la vita e la morte in una battaglia nel deserto. Come dicevano i veterani inglesi: “Ci vuole del tempo per passare da un white knees a un desertworthy” (cioè da un “ginocchia bianche”, ovvero uno appena arrivato al caldo, a un soldato “da deserto”).

EVERETT/CONTRASTO

A

gli inizi dell’autunno del 1941 i due schieramenti contrapposti in Nordafrica hanno un problema similare: arrivare a Tobruk. Le forze dell’Asse l’assediano dai primi di aprile perché hanno assoluta necessità di entrare in possesso del suo porto, strategico scalo logistico senza il quale è molto difficile riuscire a invadere l’Egitto. Gli Alleati invece devono liberare la grossa guarnigione rimasta intrappolata a Tobruk dalla prima grande offensiva di Rommel nella primavera del 1941. Ci hanno già provato con l’Operazione Brevity a metà maggio, rimediando una sonora sconfitta, e poi ancora e con molti più mezzi e uomini con l’Operazione Battleaxe a metà giugno, ma nuovamente con zero risultati e molte perdite, ora davvero non possono più fallire. Il nuovo governo laburista australiano minaccia di ritirare tutte le sue truppe dal fronte africano se non si farà in modo di raggiungere la 9a divisione di fanteria che è l’autentica spina dorsale della guarnigione di Tobruk assediata. Situazione eslosiva. Winston Churchill decide che è ora di cambiare tutto: esautora, rinomina, sposta e invia uomini e unità. Le forze britanniche hanno un nuovo comandante in capo delle forze in Medio Oriente, sir Claude Auchinleck, una nuova unità operativa, l’8a armata inglese, in sostituzione della gloriosa Western Desert Force (che era solo un corpo d’armata), nuovi rinforzi, rimpiazzi e armi, e un nuovo simbolo, una croce gial-


1941 SUL MARE INGLESI-TEDESCHI

AFFONDATE LA BISMARCK!

Questo fu l’ordine di Churchill dopo che la corazzata tedesca aveva centrato l’incrociatore britannico Hood. L’epica caccia alla più potente nave da battaglia del mondo fu uno sforzo immane. E vittorioso

La corazzata tedesca Bismarck, distrutta dagli Alleati il 27 maggio 1941. Con la gemella Tirpitz, fu la più potente nave da battaglia costruita dalla Marina di Hitler, la Kriegsmarine, dopo le 3 corazzate “tascabili” destinate alla guerra corsara, e le 2 corazzate veloci classe Scharnorst. Le due potenti unità, da oltre 50.000 tonnellate, violavano i limiti imposti dai trattati navali del 1922 e 1936 sulla regolamentazione del riarmo tedesco.

22

RUE DES ARCHIVES / AGF

UN GIGANTE NELL’ATLANTICO


relativo alla difficoltà di manovrare con le sole eliche in caso di avaria al timone, era destinato ad avere un impatto letale. Nel marzo 1941 la corazzata era operativa e si trasferì dal Baltico a Kiel, dove fu approntata per un’eventuale missione in Atlantico. I raid delle grandi navi tedesche si erano rivelati fino ad allora pieni di luci e ombre: da un lato, con le sue poche unità l’ammiraglio Erich Raeder obbligava la Royal Navy (dal giugno 1940 impegnata anche in Mediterraneo contro l’Italia) a fare i salti mortali per scortare adeguatamente i convogli senza indebolire la squadra da battaglia. Dall’altro, in quanto a tonnellaggio affondato, i più economici U-boote erano imbattibili. Raeder però era deciso a insistere con la sua “strategia della dispersione”, soprattutto dopo il successo ottenuto dall’ammiraglio Günther Lütjens all’inizio del 1941, quando con due corazzate veloci aveva affondato in Atlantico 22 mercantili, beffando l’Ammiragliato britannico e scompaginandone i preziosi convogli. Con l’Operazione Rheinübung egli intendeva impiegare la Bismarck, scortata dal potente incrociatore Prinz Eugen, in un’azione ancora più devastante, affidandone il comando nuova-

IN AZIONE

La squadra da battaglia inglese in azione, con l’incrociatore britannico Hood che spara con le artiglierie principali (1940).

POPPERFOTO/GETTY IMAGES

A

mburgo, 14 febbraio 1939. È il giorno di San Valentino e nella grande città marittima tedesca Adolf Hitler ha appuntamento con una donna. Ma non è un incontro galante quello che attende il Führer della Germania nazista. Dorothea von Loewenfeld è un’austera signora di mezza età, ben diversa dalle bionde e atletiche giovani che solleticano il dittatore: in effetti, è la nipote di Otto von Bismarck, il grande cancelliere del XIX secolo. Perché in quel giorno d’inverno, ad Amburgo, si sta per varare una nave da battaglia che porta il nome del fondatore del Secondo Reich, e incarna le ambizioni di potenza del Terzo. L’Operazione Rheinübung. La Seconda guerra mondiale sorprese impreparata la Kriegsmarine. Allo scoppio del conflitto, la Bismarck aveva appena iniziato l’allestimento. La nave fu consegnata il 24 agosto del 1940, quando sembrava prossima l’invasione della Gran Bretagna. Tuttavia, occorsero mesi perché fosse messa a punto e l’equipaggio addestrato, senza contare che i collaudi misero in luce alcuni difetti; problemi normali per realizzazioni così complesse, ma uno di questi difetti,


1942 TOKYO USA-GIAPPONE

OBIETTIVO SOL LEVANTE

I giapponesi erano invincibili, così sembrava. Ma una formazione americana minò la loro fama di imbattibilità attaccandoli in casa

IL RAID DI DOOLITTLE

A pianificare il raid e guidare gli aerei in missione su Tokyo fu il tenente colonnello Jimmy Doolittle, nella foto.


D

opo la vittoria di Pearl Harbor del dicembre 1941, i giapponesi erano convinti che nessuno li avrebbe più fermati nelle loro conquiste nel Sud-est asiatico e nel Pacifico settentrionale. Il loro intento era quello di creare un perimetro difensivo dalle isole Aleutine, al largo dell’Alaska, fino alla Birmania (l’odierna Myanmar). E il piano, almeno a breve termine, ebbe un certo successo. Gli Stati Uniti erano moralmente a terra, la loro potenza navale aveva subito un duro colpo, l’opinione pubblica era allarmata. Serpeggiava anche uno stato di paura, tanto che negli Usa si erano creati addirittura dei comitati di cittadini per raccogliere denaro da destinare alla ricostituzione della flotta per sconfiggere una volta per tutte i giapponesi. Insomma, era necessario da parte delle istituzioni civili e militari escogitare qualcosa per dimostrare alla popolazione che le forze armate americane erano ancora in grado di vincere. Tutti sostenevano la necessità di una forte azione dimostrativa: lo stesso presidente Roosevelt ne era convinto. Già a dicembre, infatti, aveva proposto ai capi di Stato Maggiore di bombardare direttamente la capitale nipponica.

Roosevelt sosteneva che per rialzare il morale americano e minare quello del nemico si doveva colpire direttamente sul suolo del Giappone, su quella terra alla quale i nipponici erano attaccati più di ogni altra cosa. E allora cosa c’era di meglio che bombardare proprio la capitale, considerata dai suoi abitanti e da tutti i giapponesi città inviolabile? Ostacoli. Facile a dirsi, ma come organizzare il raid? Gli Stati Uniti non disponevano di bombardieri a lungo raggio in grado di raggiungere le isole giapponesi, le basi del Pacifico da cui avrebbero potuto tentare erano in mano nemica e sia la Cina sia l’Urss non accettavano di creare avamposti Usa sul loro territorio. Tra le navi che ancora rimanevano agli americani, però, vi erano le portaerei, che durante l’attacco a Pearl Harbor erano state risparmiate perché erano al largo in esercitazione. Queste potevano sicuramente avvicinarsi, seppur con grande pericolo, alle coste del Giappone, ma non esistevano aerei imbarcati che avrebbero potuto spingersi fino a Tokyo e poi tornare indisturbati sulle navi di partenza. Questa strategia dunque non era praticabile: ci si doveva affidare per forza di cose ai

TAKE OFF!

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CORBIS (2)

In questo montaggio di foto d’epoca, un bombardiere B-25B pronto a decollare dalla portaerei Hornet e poi in volo sul Pacifico. Destinazione, gli obiettivi militari presenti a Tokyo, Yokohama, Kobe, Osaka e Nagoya.


1942 BARCE INGLESI-TEDESCHI

MOSQUITO ARMY Nelle aree desolate del Nordafrica scorridori come Long Range Desert Group e Special Air Service combattevano le forze dell’Asse con le tattiche della guerriglia

S

i trattava prima di tutto di conquistare Tobruk per attestarsi sulla linea Sollum-Halfaya e poi concentrare tutti gli sforzi militari alla conquista di Malta, l’isola fortificata sede di un’importante base aeronavale da cui decollavano gli aerei inglesi che attaccavano i convogli dell’Asse durante il tragitto Italia-Libia. Questo avevano deciso di comune accordo Hitler e Mussolini il 30 aprile 1942. E avevano dato mandato all’ACIT, l’armata corazzata italo-tedesca al comando del generale Ettore Bastico, ma in effetti comandata da Erwin Rommel, di portare a termine il più presto possibile la missione. È la notte del 13 settembre 1942 quando gli equipaggi di due carri leggeri L3 italiani sistemati a controllo della strada che scende dal gebel (altopiano) cirenaico verso la costa vicino a Barce (80 chilometri a nord-est di Bengasi) notano una colonna di autocarri che procede verso di loro; nonostante l’invito alla massima allerta, i carristi pensano si tratti di un convoglio amico. Appena il convoglio si avvicina, dagli automezzi parte un intenso fuoco che li coglie alla sprovvista. I piccoli L3, cingolati con corazzatura leggerissima e armati solo di mitragliatrici, adatti più a compiti esplorativi che da battaglia, sono investiti dai colpi che feriscono due uomini, mentre i carri armati nemici li superano dirigendosi verso la cittadina libica. Poco dopo il convoglio si divide: da una parte la pattuglia neozelandese T1 che si muove verso l’obiettivo principale, il campo di aviazione della Regia Aeronautica a nord di Barce; dall’altra la pattuglia G1, che si dirige verso Campo Maddalena, sede degli accampamenti di truppe, circa 3 chilometri a sud-est. Dopo aver incontrato un’unità italiana motorizzata che li scambia anch’essa per amici, i neozelandesi, montati sulle loro veloci camionette da deserto, raggiungono il campo d’aviazione. Non aspettandosi un attacco, gli italiani se ne stanno tranquilli al loro posto; così gli autocarri penetrano nel campo. I kiwis, cioè le truppe neozelandesi, lanciano bombe a mano e investono baracche, depositi di carburante, autocarri e aerei col fuoco delle mitragliatrici montate sui loro mezzi. Gli italiani reagiscono anche 30

PRONTI AL VIA

Uomini del SAS, lo Special Air Service inglese. Costituito nel 1941, questo corpo militare era destinato ad effettuare raid di paracadutisti e di commando contro gli aeroporti e le basi italo-tedesche. Il motto del reparto era “chi osa vince”.


GETTY IMAGES


KAMIKAZE AL MICROSCOPIO

L’ATTACCO

Due erano le strategie di attacco dei kamikaze. La prima: avvicinamento ad alta quota (6-7mila metri), discesa in vista dell’obiettivo a mille metri e “tuffo” finale sul bersaglio, con angolo di impatto compreso tra 45° e 55°. La seconda (la più diffusa) prevedeva un volo radente sul mare a 15 metri di altezza, seguito da una salita fino a 500 metri e da una picchiata “a candela” con schianto finale.

IN CIFRE

Attacchi tentati Attacchi andati a segno Navi affondate

Gli attacchi kamikaze furono in totale circa 3mila (2.800 secondo gli americani, 3.900 secondo i giapponesi). Soltanto nel 14% dei casi gli aerei riuscirono a violare le difese nemiche e a raggiungere l’obiettivo. Di questi, appena l’8,5% provocò l’affondamento di navi o portaerei alleate. Un dato su cui convergono le fonti è il numero dei morti causati dai kamikaze fra le truppe anglo-americane: oltre 5mila.

S. RODRIGUES

UN EFFETTO TRIPLO

Per massimizzare l’effetto distruttivo, i kamikaze sganciavano una bomba pochi istanti prima dello schianto.

Seguiva l’impatto del velivolo, di solito contro l’ascensore che trasportava gli aerei dall’hangar al ponte della portaerei.

Il terzo danno era dovuto all’esplosione dei serbatoi, che spargeva grandi quantità di carburante incendiato sulla nave.


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1 MITSUBISHI A6M 2 YOKOSUKA D4Y “SUISEI” 3 NAKAJIMA KI-49 4 NAKAJIMA KI-115 “REISEN” (“ZERO”) Un bombardiere “DONRYU” “TSURUGI” Uno degli aerei-simbolo da picchiata non Nato come bombardiere Uno dei primi progettati dei kamikaze. Prima di brillantissimo. Adottati dai medio, risultò abbastanza per i kamikaze. Una volta essere usati nelle missioni kamikaze, alcuni Suisei vulnerabile. Fu usato partito sganciava il suicide, erano impiegati affondarono la portaerei anche per il trasporto di carrello: sarebbe servito nelle normali operazioni Uss Princeton nel Mare truppe e, a “fine carriera”, per il decollo dell’aereo belliche come caccia. delle Filippine. nelle missioni kamikaze. successivo.

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5 YOKOSUKA MXY7 “OHKA” Più che di un aereo si trattava di una bomba pilotabile: era un siluro in legno con ala cortissima, e portava una tonnellata di esplosivo nel muso.

LA DIFESA

Per intercettare in anticipo gli aerei kamikaze la Us Navy iniziò a schierare le proprie flotte in un modo inedito, con i cacciatorpediniere disposti a 80 km dalle portaerei in modo da garantire un’allerta precoce. Inoltre l’artiglieria di bordo adottò la tecnica di sparare contro la superficie del mare, sollevando così una barriera d’acqua che ostacolava gli aerei nemici.

A

LA CONTRAEREA

L’artiglieria tradizionale non era efficace per fronteggiare i kamikaze: i sistemi “a percussione” (A) funzionavano solo se si colpiva l’obiettivo, con quelli “a tempo” (B)

B

C

bisognava fare un calcolo (non facile) della velocità del bersaglio, mentre con quelli dotati di altimetro (C) occorreva conoscere la quota di volo del nemico. La soluzione

D

arrivò con i sistemi “di prossimità” (D) che, sfruttando le onde radio, innescavano l’esplosione proprio quando il proiettile era vicino al bersaglio.

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