LE RIVOLUZIONI C
6 IL
Un manifesto che inneggia alla rivoluzione culturale cinese del 1966: i giovani sono armati di fucile e “libretto rosso” con le massime di Mao.
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he differenze ci sono tra la Rivoluzione francese e la rivolta del gladiatore Spartaco? Troppe per elencarle qui (compresa la “r” iniziale, maiuscola nella prima e minuscola nella seconda), ma due mi colpiscono particolarmente. Da una parte, come sappiamo, la Rivoluzione francese ha avuto successo, mentre la rivolta di Spartaco no. Dall’altra, come ci spiega lo storico Francesco Benigno nell’intervista a pagina 6, è stata proprio la Rivoluzione francese a segnare uno spartiacque. Da allora in poi, e quasi fino a oggi, la parola stessa “rivoluzione” è diventata sinonimo di progresso, di miglioramento della condizione umana. Il che non era prima della Bastiglia e non è probabilmente più da almeno mezzo secolo, argomenta lo stesso Benigno. Dunque: le rivoluzioni sono (anche) un mito nato alla fine del Settecento e vengono definite tali soltanto se hanno successo, cioè se a raccontarle sono gli stessi vincitori. Altrimenti, è il caso di Spartaco, vengono liquidate dai poteri costituiti come “colpi di mano”, “rivolte”, “ribellioni”. Sconfitte, in altre parole. Ma non meno affascinanti, e ve lo dimostriamo in questo numero di Focus Storia Collection. Jacopo Loredan direttore
MOTORE DELLA STORIA?
34 PAROLA
Sono sempre violente e spesso sfociano in guerre civili. Un “male” necessario? Fino a ieri sì. Ma oggi gli storici la pensano diversamente.
10 SPARTACO
IL RIBELLE
Il gladiatore che guidò una rivolta di schiavi e diede filo da torcere ai Romani.
16 RIVOLTA
pag. 10
38 OTTOBRE
D’ONORE
46 NEL
FECERO UN 48
52
DEL SUD
La guerra dei briganti cominciò subito dopo l’Unità d’Italia. Fu criminalità oppure resistenza filoborbonica?
NOME DI MAO
Il lungo braccio di ferro che vide nascere nel 1949 la Repubblica popolare cinese fu una vera guerra civile.
Dalla Sicilia a Milano, l’anno in cui l’Italia prese fuoco. La libertà sembrava a portata di mano, ma era solo un’illusione.
28 PARTIGIANI
ROSSO
La rivoluzione russa del 1917 segnò l’inizio di una nuova era. Come (e perché) i bolscevichi di Lenin presero il potere.
pag. 16
Scoppiarono nel 1282 e furono esaltati nell’800 come “guerra di liberazione”. Ma i Vespri siciliani furono tutt’altro.
22 E
DI MARX
Tutti lo citano. Ma che cosa disse veramente, quali erano le sue idee rivoluzionarie e dove aveva rivolto lo sguardo per elaborarle? Ecco il suo pensiero in pillole.
00 pag. 46
LA VITTORIA DEI BARBUDOS
Il 2 gennaio 1959 i guerriglieri del Che entravano all’Avana. Era l’ultimo atto di una strana rivoluzione: eccone i retroscena.
COPERTINA: IL MURALE DI SIQUEIROS “LA RIVOLUZIONE CONTRO LA DITTATURA DI PORFIRIO” (1952-54). FOTO: THE GRANGER COLLECTION/ALINARI
3
LE RIVOLUZIONI 60 E
LO CHIAMARONO LIBERTADOR
pag. 60
Per i sudamericani Simón BolÍvar è un eroe senza macchia. Eppure, il vero volto del generale che li ha liberati dagli spagnoli è tutto da svelare. 68 LE
76 PER
108 MAESTRO
HAITI LIBERA!
114 COSÌ
122 LA
REPUBBLICA D’INGHILTERRA
CHE PIEGÒ UN IMPERO
pag. 90 pag. 102
RIVOLUZIONE E RIVOLUZIONE
96 IL
BELLO E IL BRUTTO DEL POPULISMO
Dall’Atene del demagogico Pericle alla Napoli del capopopolo Masaniello, i tanti modi di governare “in nome del popolo”.
4
MONDO ALLA ROVESCIA
Quella francese, del 1789, è considerata la madre di tutte le rivoluzioni. Perché non ha cambiato solo la Francia.
136 1989:
UNA NUOVA EUROPA
Tra rivoluzioni di velluto e guerriglia urbana, l’effetto domino che portò alla fine dei regimi comunisti nei Paesi dell’Est.
pag. 122
VIVA MEXICO!
La ribellione guidata nel 1910 da Emiliano Zapata e Pancho Villa lasciò in eredità al Messico una costituzione. E tante leggende.
Nel ’600 la più antica monarchia d’Europa rischiò di scomparire. Ma dalla guerra civile nacque la dittatura di Cromwell. E così... 128 IL
88 C’È
90 QUE
NASCE UN FÜHRER
Fallito il colpo di Stato, Hitler decise di cambiare tattica: vincere le elezioni come salvatore della patria.
82 L’UOMO
“Il popolo affamato fa la rivoluzion” cantava Gian Burrasca. Ma la fame è solo uno dei motivi che scatenano le folle. Ecco le dinamiche che hanno mosso le rivoluzioni più importanti della Storia e la loro forza nel cambiare davvero le cose.
DI DITTATURA
Come un insegnante elementare divenne duce, conquistando l’Italia con un atto che lui stesso definì “indiscutibilmente rivoluzionario”.
pag. 76
La storia di Toussaint Louverture, ex schiavo eroico (e crudele) che combatté per la prima repubblica nera al mondo. E che morì in carcere in Francia.
A 67 anni dall’indipendenza dell’India, Gandhi raccontato dai suoi ultimi discepoli diretti.
DOLCINO, ERETICO O EROE?
Rifiutava l’obbedienza, predicava la povertà, negava la castità. Finì trucidato e arso sul rogo dopo una lunga resistenza.
OMBRE DI GEORGE W.
Nel 1789 Washington fu eletto primo presidente degli Stati Uniti. Perché proprio lui? Fu davvero un eroe della rivoluzione americana?
102 FRA
140 DALLO
SHAH ALLA SHARIA
Iran, 1979: crolla la monarchia repressiva di Reza Pahlavi. E comincia la dittatura di Khomeini.
pag. 136
144 LETTURE 146 LA
PRIMAVERA SENZA FIORI
Le rivolte che quattro anni fa hanno infiammato il Nord Africa e il Vicino Oriente hanno dato pochi frutti. Spesso amari.
INTERVISTA
Sono sempre VIOLENTE e spesso sfociano in guerre civili. Un “MALE”
Il
G
MOTORE
uerre, guerriglie, colpi di Stato, rivolte... La Storia, si sa, spesso procede in modo discontinuo (e cruento). A parte gli scontri tra eserciti organizzati, cioè le guerre vere e proprie, o quelli in cui una delle due parti in conflitto è troppo debole militarmente per uno scontro diretto e si limita ad azioni di resistenza e disturbo (guerriglia), ci sono movimenti più o meno spontanei per cui una società cambia, o tenta di cambiare, dal suo interno. A tale processo, che offre un interessante punto di vista sulla Storia e che si può sintetizzare nel termine “rivoluzione”, è dedicato questo numero di Focus Storia Collection. Il concetto stesso di rivoluzione, in realtà, è piuttosto moderno, e anche piuttosto vago: bisognerebbe distinguere per esempio tra rivolte, ribellioni, rivoluzioni vere e proprie come quella francese e americana. Per fare chiarezza sull’argomento abbiamo chiesto aiuto allo storico Francesco Benigno, che a questi temi ha dedicato il libro Specchi della rivoluzione. Conflitto e identità politica nell’Europa moderna (Donzelli) e numerosi articoli accademici. Che cosa si intende per “rivoluzione”? L’uso della parola, in realtà, nasce in campo astronomico per indicare il moto di un corpo celeste attorno a un determinato centro. Il termine deriva dal latino revolvere, cioè “rivoltarsi”, “ritornare”. La storiografia ha preso a metafora tale espressione per definire il ciclico avvicendarsi dei vari sistemi politici teorizzati già dai grandi autori greci: monarchia, oligarchia, aristocrazia e democrazia popolare. In breve, si è a lungo sostenuto che, come i corpi celesti mutano posizione in un’orbita per poi tornare al punto di partenza, i sistemi politici evolvono in forme diverse salvo ritornare ci6
clicamente a un determinato stato iniziale. Per molto tempo, quindi, la rivoluzione è stata vista come l’abbattimento di un certo ordinamento politico al fine di rinnovarlo introducendo una forma di governo “preesistente”. Dopo la Rivoluzione francese del 1789, il concetto di rivoluzione ha invece iniziato a rappresentare, semplicemente, uno scontro tra “vecchio” e “nuovo”. Dunque la Rivoluzione francese è stato uno spartiacque anche per quel che riguarda il significato che si dà alla parola “rivoluzione”. Sì. Tentando di spiegare quell’evento eccezionale, la storiografia ha iniziato a considerare le rivoluzioni come una sorta di “pietre miliari” della Storia, se non addirittura il motore di essa. Di più: lo stesso termine rivoluzione ha cominciato a estendersi a più ambiti, da quello religioso (si pensi alle riflessioni sulla “rivoluzione cristiana”, ossia l’avvento del cristianesimo) a quello scientifico (con riferimento alla “rivoluzione scientifica”, ma anche a quella industriale). Nondimeno, le rivoluzioni vere e proprie sono in genere di tipo “politico” e il più delle volte sono portate avanti facendo ampio ricorso alla violenza. Le rivoluzioni sono sempre violente? In realtà sono esistite anche personalità rivoluzionarie non violente, come Gandhi, ma questa è l’eccezione, non la regola. Lo stesso Marx era ben consapevole del ruolo della violenza nella Storia e nei processi rivoluzionari, ma per lui tale ruolo era accessorio, secondario. Egli paragonava infatti le esplosioni di violenza che accompagnano una rivoluzione alle doglie del parto: una sorta di spiacevole, quanto necessario, inconveniente. La verità, però, è che spesso la violenza non è affatto un aspetto secondario, ma il cuore stesso delle rivoluzioni.
della
necessario? Fino a IERI sì. Ma oggi gli storici la pensano diversamente
POTERE AL POPOLO
Lenin a San Pietroburgo parla ai lavoratori delle officine Putilov: siamo nel 1917, anno della rivoluzione.
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
STORIA?
Francesco Benigno. È docente di Storia moderna all’Università di Teramo, scrive su l’Unità e sul portale Treccani Piazza Enciclopedia Magazine. Al tema delle rivoluzioni ha dedicato vari articoli, il libro Specchi della rivoluzione (Donzelli) e un capitolo del volume Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia (Viella).
ITALIA
PUBLIFOTO/OLYCOM
La guerra dei BRIGANTI cominciò subito dopo l’Unità d’Italia.
CAPIBANDA
I fratelli Sacchitello (briganti a capo di una banda di oltre 160 uomini) e Luca Gentile immortalati dall’occhio di una delle prime macchine fotografiche.
Fu CRIMINALITÀ oppure RESISTENZA filoborbonica?
Partigiani del
SUD FOTOTECA STORICA NAZIONALE ANDO GILARDI / FOTOTECA GILARDI
L
e prime rivolte esplosero in Abruzzo già nel novembre del 1860, quando a Gaeta c’era ancora il re Francesco II di Borbone con la moglie Maria Sofia assediati dalle truppe piemontesi. Quel Sud, da poco diventato italiano, fu subito una brutta gatta da pelare per il governo di Torino. La ribellione contadina non era stata prevista e così le bande in armi divennero la principale spina nel fianco dell’affrettata unificazione. Il primo governo italiano, presieduto da Cavour, si rese conto ben presto di avere sottovalutato le difficoltà della realtà meridionale. C’era stato troppo ottimismo sulla possibilità di “normalizzare” quelle terre, confidando nell’atteggiamento benevolo delle masse contadine che invece si sentivano estranee a un’unità calata dall’alto. Pilotati. Le sommosse abruzzesi furono definite subito “episodi di brigantaggio”, in realtà erano azioni militari di corpi irregolari di soldati borbonici che avevano ricevuto il via libera da Francesco II per compiere azioni di disturbo alle spalle delle truppe piemontesi impegnate sotto Gaeta. Erano guidate dal colonnello Klitsche de la Grange, dal conte alsaziano Emile de Christen, da Francesco Luvarà. In molti casi, quegli uomini prevalsero negli scontri con i garibaldini e la Gazzetta di Gaeta, il giornale stampato e letto nella fortezza assediata, ne esaltò l’attività. La composizione di quei gruppi era flessibile: non solo ex soldati dell’esercito borbonico, ma anche civili e contadini. A gestire le prime repressioni, già nel dicembre del 1860, fu il generale piemontese Enrico Morozzo della Rocca, diventato comandante dell’esercito nel Mezzogiorno. Ricordò nelle sue memorie: “La reazione alzava la testa, le bande armate che infestavano le campagne s’ingrossavano di tutti i malcontenti e dei disoccupati che, condotti da qualche ufficiale borbonico, o da qualche altro poco accetto nell’esercito garibaldino, scorrazzavano sulle frontiere e anche nelle province napoletane”. E si era solo agli inizi. Solo criminali? Quando i Borbone si arresero a Gaeta nel febbraio del 1861, lasciando il regno per l’esilio romano, la situazione precipitò. Fu ribellione violenta. Il cocktail di uomini, e a volte anche di
STRATEGIA DI RICONQUISTA
Il generale spagnolo José Borjes, assoldato da Francesco II di Borbone per riconquistare il Regno delle Due Sicilie dopo l’Unità, contando sull’appoggio delle bande di briganti.
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DALLO ZAR AI SOVIET
Ottobre
ROSSO
GETTY IMAGES (2)
ARRINGA
Lenin (pseudonimo di Vladimir Ilič Uljanov) nel 1918, durante le celebrazioni del primo anniversario della Rivoluzione d’ottobre. A destra, manifestanti repubblicani e socialisti davanti al Palazzo d’inverno, residenza dello zar a Pietrogrado, nel 1917.
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La rivoluzione RUSSA del 1917 segnò l’inizio di una nuova era. Come (e perché) i BOLSCEVICHI di Lenin presero il potere
I
l fischio d’inizio furono due colpi di cannone sparati dopo il tramonto. L’epilogo arrivò già la mattinata successiva, annunciato via telegrafo: “Viva la rivoluzione degli operai, dei soldati e dei contadini!”. Ma la notte più “rivoluzionaria” del ’900 fu solo la scena madre dei “dieci giorni che sconvolsero il mondo”, come li chiamerà (anche se furono di più) il giornalista statunitense John Reed, testimone oculare dei fatti.
Impero inquieto. La scena di quell’ultimo atto era Pietrogrado (oggi San Pietroburgo), allora capitale dell’Impero russo. Il giorno era il 25 ottobre 1917 (secondo il calendario usato in Russia all’epoca, corrispondente al nostro 7 novembre). Ma il prologo era iniziato molto tempo prima, intorno alla metà dell’Ottocento. La Russia era governata dallo zar, un imperatore “autocrate”, ossia con tutto il potere concentrato nelle sue mani.
Il grosso della popolazione era composto da servi della gleba, e il sistema industriale era arretrato. A migliorare la situazione ci provò nel 1861 lo zar Alessandro II, che abolì la servitù e varò timide riforme: troppo poco per placare il malcontento diffuso, che iniziò a trasferirsi anche nell’animata vita politica russa. Nel 1898 venne fondato il Partito socialdemocratico del lavoro che, in linea con il pensiero di Karl Marx, sognava
VERSO L’INDIPENDENZA
Nel 1789 Washington fu eletto PRIMO presidente degli Stati Uniti.
Le ombre di
GEORGE
W.
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P PROFILI
Silhouette di George Washington. Sotto, una scena del film Revolution (1985), sulla guerra combattuta nel 1775-81 dalle colonie contro gli inglesi, e la firma di Washington.
roprietario di schiavi, giocatore d’azzardo, stratega mediocre, speculatore fondiario. Di scarsa avvenenza e di cultura modesta. Eppure il mito di George Washington, mostro sacro della civiltà statunitense, è inviolabile. Comandante in capo dei ribelli durante la Guerra d’indipendenza delle 13 colonie britanniche dell’America del Nord contro la madrepatria inglese (1775-1783), riuscì a conseguire una popolarità sorprendente. Tanto che, a conflitto concluso, il timore che l’America potesse collassare sotto la sua guida in una dittatura militare divenne palpabile, soprattutto in Europa. Possidente. Ma chi fu, davvero, George Washington? Nato nel 1732 in una fattoria del Westmoreland, in Virginia (Stato che darà i natali a 8 presidenti Usa), nipote di coloni inglesi e figlio di una famiglia di proprietari terrieri, George rimase orfano di padre all’età di 12 anni. Ereditati i poderi di famiglia, dopo aver lavorato come geometra in Pennsylvania, allacciò le giuste relazioni e divenne uno dei notabili più in vista della colonia. Verso i vent’anni decise di intraprendere la carriera militare, con l’obiettivo di espandere i propri possedimenti. Combatté contro gli indiani e partecipò, come comandante delle truppe della
Virginia, agli scontri anglofrancesi per il controllo dell’America Settentrionale che precedettero la guerra dei Sette anni. Il conflitto, concluso nel 1763 con la disfatta della Francia, impose i britannici come la maggiore potenza coloniale e marittima del mondo. Ma per il giovane Washington le cose non erano andate altrettanto bene: messo più volte con le spalle al muro e costretto alla resa nel 1754, chiese il congedo e rincasò. Invito a nozze. Nel 1759, il matrimonio con Martha Dandridge cambiò la sua vita. Martha era la vedova di Daniel Parke Custis, figlio di una delle famiglie di coloni più ricche e influenti dell’impero. È probabile che Washington non amasse Martha e, come testimonia il suo carteggio con Sally Fairfax (di cui era invece innamorato), fu più volte sul punto di lasciarla: ma proprio Sally lo avrebbe convinto a desistere. Martha, il cui patrimonio era spropositato, sarebbe stata il trampolino di lancio di Washington, e Sally lo sapeva. Amministrando i possedimenti della moglie, George si rese conto di quanto fossero gravose le limitazioni imposte dalla Gran Bretagna all’economia coloniale, inasprite ulteriormente dopo il conflitto con i francesi. E come tanti altri coloni cominciò a sentirsi sempre più americano e sempre
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ULLSTEIN/ALINARI, OLYCOM, THE ART ARCHIVE
Perché proprio lui? Fu davvero un EROE della rivoluzione americana?
RIVOLUZIONI NERE
Fallito il COLPO DI STATO, Hitler decise di cambiare
COSÌ NASCE 114
Colonia (Germania), 1929: Adolf Hitler, già sostenuto da molti tedeschi, sfila con le camicie brune nell’anno del crollo di Wall Street, che avviò la Grande depressione.
tattica: VINCERE le elezioni come SALVATORE della patria
UN FUHRER
INTERFOTO/ALINARI
CAVALCANDO LA GRANDE CRISI
ISLAM
Le RIVOLTE che quattro anni fa hanno infiammato Nord Africa e VICINO ORIENTE hanno dato pochi frutti. Spesso amari
Una PRIMAVERA senza fiori
S
ono molto pochi i momenti nelle nostre vite in cui abbiamo il privilegio di assistere al compiersi della Storia. Questo è uno di quei momenti...”. Con tali parole, nel febbraio 2011, il presidente statunitense Barack Obama commentò quanto stava accadendo in Egitto nell’ambito della “primavera araba”, fortunata espressione giornalistica nata per indicare una serie di rivolte che tra il 2010 e il 2011 ha scosso il mondo arabo-musulmano dal Nord Africa al Vicino Oriente. Tra gli Stati maggiormente coinvolti, oltre all’Egitto, si contano Libia, Tunisia e Siria, ma le proteste hanno toccato anche altri Paesi tra cui Algeria, Marocco, Giordania, Iran, Iraq e Yemen (trascurando invece la Turchia, Paese islamico ma non arabo, e, naturalmente, Israele). A caratterizzare le rivolte, condite da cortei, scioperi e – nei casi più estremi – suicidi pubblici, è stato il massiccio uso dei social network, sfruttati per organizzare le sommosse e diffondere le istanze dei ribelli. I perché della rivolta. Pur con delle differenze da Stato a Stato, a far nascere le proteste hanno contribuito generalmente i seguenti fattori: corruzione dilagante, ripetute violazioni dei diritti umani e della libertà di stampa, gestione oligarchica o dispotica del potere, povertà diffusa. Fautori principali della protesta, gli studenti universitari e, più in generale, le classi medie dei Paesi coinvolti, spesso con il supporto degli Usa. Il proposito americano era infatti quello di vedere instaurati governi di natura democratica propensi al dialogo con l’Occidente. Quanto alla scintilla che ha fatto deflagrare le rivolte, è scaturita dal 146
AFP/GETTY IMAGES
“
Proteste antigovernative a Tunisi il 20 gennaio 2011. I manifestanti infilavano fiori nelle canne dei fucili e nei carri armati dei militari.
gesto di un venditore ambulante tunisino di nome Mohamed Bouazizi, che il 17 dicembre 2010 si è dato fuoco a seguito delle ripetute violenze subite dalla polizia. Con un effetto domino, la ribellione si è poi estesa al resto del mondo arabo attirando l’attenzione dei media internazionali, pronti giustappunto a parlare di una storica “primavera” per i popoli musulmani. Tra progresso e regresso. In Tunisia la rivolta ha portato alle dimissioni e all’esilio di Ben Ali, presidente dal lontano 1987, mentre in Egitto si è registrata un’esplosione di rabbia contro il governo di Hosni Mubarak, in carica dal 1981 e anche lui costretto a dimettersi. In Libia a fare le spese dei moti di protesta è stato invece il dittatore Mu’ammar Gheddafi (leader del Paese dal 1969), ucciso nell’ottobre 2011. Nel
Vicino Oriente la nazione più coinvolta è stata la Siria del presidente Bashar alAssad, che con pochi scrupoli ha affogato nel sangue le ribellioni dando il via a una guerra civile tuttora in corso. Altrove si sono invece registrati innocui rimpasti governativi (Giordania, Yemen), lievi riforme democratiche (Marocco) o non è mutato nulla (Algeria, Iran, Iraq), con buona pace dei sogni delle migliaia di manifestanti morti complessivamente durante gli scontri. Un po’ ovunque, inoltre, si è registrata una recrudescenza delle tensioni cavalcata dai gruppi di fondamentalisti islamici. Non bastasse, dopo le rivolte, le economie di alcuni dei Paesi coinvolti hanno subìto un brusco declino, e così, almeno per ora, la primavera pare essersi tramutata in un lungo e rigido inverno. • Matteo Liberti