Capitani d'Imprese - Ritratti 2013

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2a edizione




con il contributo di

si ringrazia

Provincia di Ravenna

Coordinamento: Benedetta Ceccarelli • Ufficio Comunicazione e Sviluppo Confimi Impresa Ravenna Interviste: Marianna Carnoli • Setteserequi, settimanale di informazione Concept e format: ABC Srl • Ravenna Editing, progettazione grafica e impaginazione: ABC Srl • Ravenna Foto: Giorgio Biserni • Ravenna (e, in alcuni casi, foto tratte dagli archivi delle aziende) Stampa: La Greca Arti Grafiche • Forlì (FC) Finito di stampare nel mese di dicembre 2013


2a edizione



Indice 7

Nota introduttiva a cura di Gianni Lusa, Presidente Confimi Impresa Ravenna

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Una vita su due ruote | Mauro Pascoli Srl

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Nota introduttiva a cura di Fabrizio Matteucci, Sindaco di Ravenna

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Una passione lunga oltre 50 anni | Elettromeccanica Pinza Srl

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Nota introduttiva a cura di Natalino Gigante, Presidente CCIAA di Ravenna

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La Ferrari delle spedizioni | Columbia Transport Srl

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Ritratti

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Liberi di volare lontano | Airone Ambiente Srl

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La meccanica: ragione e sentimento | O.M.A.R. di Saggi A. & C. Snc

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Il sapere in un chip| Autec Srl

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L’impresa del ragazzo di bottega | O.C.M. Srl

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Adeguarsi al cambiamento in un bit | Bitservice Srl

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Tenacia femminile in un progetto condiviso| Prosider SpA

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Plasmiamo la materia da tre generazioni | Siderurgica Ravennate Srl

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Il dinamismo di un’azienda green| Nordelettrica Impianti Srl

78

I geni dei processi di automazione | CNI Group

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Da trent’anni con le mani in pasta | Surgital SpA

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Esportiamo la dolce arte italiana | Nuova Gelart Srl

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Globetrotter per passione| Consorzio Romagna Alimentare

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La formula perfetta per un sodalizio vincente | BAM di Benazzi e Uttini Snc

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Passione da generazioni | Cesare Tavalazzi Srl

90

Un’eccellenza atipica | Tema Sinergie SpA

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Il successo di un’intuizione | Minipan Srl

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Ringraziamenti

46

Il rischio è il mio mestiere | Vianello Assicurazioni



Gianni Lusa Presidente Confimi Impresa Ravenna

E

comunque non finisce qui... di storie da raccontare ne abbiamo ancora tante! Queste le parole con le quali Renzo Righini, Presidente dell’Associazione fino allo scorso anno, concludeva la prefazione alla prima edizione di questa opera. A distanza di qualche mese raccolgo con orgoglio il testimone ripercorrendo con grande soddisfazione gli accadimenti di quest’ultimo anno, trascorso letteralmente in trincea per affrontare sfide importanti. Con la tenacia di sempre e la giusta dose di audacia abbiamo raggiunto traguardi significativi, primo fra tutti l’ingresso in una nuova Confederazione, CONFIMI IMPRESA, una vera e propria novità nel panorama italiano dell’associazionismo che si è proposta sin dagli inizi come soggetto snello, senza sovrastrutture macchinose e portatore di novità sostanziali sul piano della contrattualistica e delle relazioni sindacali. In questo contesto, e permeata da questa filosofia, non più di un anno fa è nata Confimi Impresa Ravenna che, grazie alla fiducia e al fortissimo senso di appartenenza dimostrato dalle sue imprese, mese dopo mese si è riaffermata autorevolmente a tutti i livelli di concertazione istituzionale. Penso in particolare ai due momenti cruciali che hanno segnato l’inizio di una nuova stagione: la sottoscrizione dell’Accordo interconfederale con Cigl, Cisl e Uil dello scorso agosto e la successiva firma del contratto collettivo di lavoro per le imprese

metalmeccaniche. Sono grandi passi quelli compiuti da CONFIMI in un arco temporale limitato, passi che ci hanno condotti rapidamente a perfezionare la conditio sine qua non del nostro stesso esistere, ossia il formale riconoscimento quali autorevoli interlocutori da parte delle Organizzazioni Sindacali a livello nazionale e locale. In questo atto di enorme importanza strategica leggo con orgoglio anche il riconoscimento unanime del valore, dell’essenza del nostro lavoro e di tutto ciò che portiamo avanti da oltre 40 anni con lo stesso entusiasmo. Sta per concludersi un altro anno davvero molto complicato, dove non ci siamo potuti permettere di mollare mai, nessuno escluso. E questo i nostri Capitani lo sanno, sono i primi a esserne consapevoli non avendo mai perso la voglia di continuare a crederci, come spesso si legge nelle pagine che scorrerete tra poco, ‘a crederci nonostante tutto’. Sì, perché di difficoltà e di momenti bui è pieno il mondo, le giornate sono scandite da questioni da risolvere e trovare la motivazione giorno dopo giorno non è facile. Ma proprio in questo atteggiamento, in questa attitudine innata sta la grandezza dei nostri imprenditori che hanno scelto di essere ‘capitani’ fino in fondo. Quindi, solo due parole: avanti tutta.

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Fabrizio Matteucci Sindaco di Ravenna

A

ccolgo con piacere l’invito di Confimi Impresa Ravenna a scrivere la prefazione alla seconda edizione del volume Capitani d’Imprese. Questo viaggio che l’Associazione ha deciso di intraprendere, a partire dall’anno scorso, fra le sue aziende associate, oltre a offrire uno spaccato della creatività e dell’intraprendenza imprenditoriale del nostro territorio, è uno strumento prezioso di riflessione, uno stimolo a guardare avanti, a pensare al futuro. L’Italia sta vivendo la crisi economica e sociale più pesante del dopoguerra. La globalità dell’economia mondiale rende i mercati azionari esposti alle intemperie che avvengono a milioni di chilometri di distanza. L’instabilità politica rende ancora più forte la sensazione di precarietà. C’è bisogno, insomma, di qualcosa di molto concreto che ridia fiducia e speranza nel futuro e che torni a ridare vigore all’economia. Io penso che nel nostro territorio ci siano tutti gli elementi per ripartire. Capitani d’Imprese sprigiona un messaggio positivo e di grande concretezza. Un messaggio che recita, sinteticamente: abbiamo le risorse per farcela. Anche nella seconda parte del suo viaggio, Capitani d’Imprese offre uno spaccato di quel tessuto di piccole e medie imprese che è una delle colonne portanti non solo dell’economia locale, ma anche il principale motore del benessere sociale della nostra comunità.

L’identikit dei vari imprenditori che viene disegnato nelle singole interviste, pur preservando le identità dei singoli, rivela un tratto comune: quella cultura del fare impresa tipica delle nostre terre. Una cultura che è un mix di talento, concretezza, spirito di sacrificio, capacità di reagire alle avversità e passione. I nostri Capitani d’Imprese sono persone con i piedi ben piantati per terra, che sanno rimboccarsi le maniche, che hanno un grande senso della comunità, ben consapevoli dell’importanza di condividere gli stessi obiettivi non solo dentro ma anche fuori dall’azienda. Hanno dimostrato negli anni di sapere affrontare il mare in tempesta e anche per questo motivo sono portatori di valori positivi che è importante ricordare e promuovere. Ciò che separa il talentuoso dalla persona di successo è il duro lavoro: la frase di uno scrittore di fama planetaria come Stephen King esprime bene quella “cultura del fare” propria di noi romagnoli. Tradotto nella pratica questo significa che non ci accontentiamo di puntare solo sul nostro talento, ma lavoriamo sodo per raggiungere i traguardi che ci siamo proposti. Mi complimento con Confimi Impresa Ravenna per avere voluto dare seguito a questa iniziativa bella e importante perché mette sotto i riflettori una parte significativa del mondo imprenditoriale ravennate. L’auspicio è che questo “viaggio” fra le imprese del nostro territorio continui. Anzi, ci conto.

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Natalino Gigante Presidente della Camera di Commercio di Ravenna

L

a pubblicazione edita da Confimi Impresa Ravenna presenta anche per il 2013 ritratti di coraggiosi capitani d’impresa della nostra provincia che, nonostante le difficoltà incontrate nel corso della navigazione in mari spesso tempestosi, proseguono la propria attività con determinazione, serietà, passione. Superando con successo ostacoli imponenti e affrontando innumerevoli sacrifici. Gli effetti della crisi continuano a penalizzare l’economia ravennate, nonostante, grazie all’export, le imprese locali siano cresciute sui mercati esteri. I segnali positivi provenienti dai mercati esteri indicano la strada da percorrere e la Camera di Commercio intende favorire l’affermarsi di una solida cultura dell’internazionalizzazione, assicurando continuità alle attività di sostegno alla proiezione internazionale delle imprese locali con interventi forti e mirati. Si tratta di consolidare e ampliare, anche attraverso l’azienda speciale camerale SIDI-Eurosportello, la rete di contatti con strutture ed enti dedicati all’internazionalizzazione e di incentivare efficienti modalità di aggregazione come le reti di impresa, che costituiscono una opportunità per superare, almeno in parte, i limiti competitivi propri di un tessuto produttivo formato prevalentemente da realtà aziendali di ridotte dimensioni. Al centro delle politiche strategiche camerali figura poi l’innovazione scientifica e tecnologica, poiché, in uno scenario competitivo globalizzato e profondamente modificato dall’avvento delle nuove tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni,

il successo di un’impresa è sempre più legato alla capacità di introdurre innovazione in ogni fase del processo produttivo. Una ricerca appena lanciata nell’ambito del progetto Web economy forum, patrocinato da Unioncamere Emilia-Romagna con la collaborazione delle Camere di Commercio di Forlì-Cesena e di Ravenna, permetterà alle imprese del territorio romagnolo di individuare strategie più efficaci e di utilizzare il web al meglio. Mentre proseguiranno l’attività di semplificazione degli obblighi amministrativi, l’impegno nel supporto all’azione dei Consorzi di garanzia fidi, le iniziative tese a incentivare la valorizzazione del capitale umano (prima ragione del successo di un’azienda) con percorsi formativi e di riqualificazione e con l’inserimento di figure professionali altamente specializzate. L’Ente camerale vuole essere accanto alle imprese del territorio con linee di indirizzo improntate a pragmatismo e a unità d’intenti, e vuole farlo attraverso un confronto costante con le associazioni di categoria, le istituzioni, le forze del mondo associativo.

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Ritratti


La meccanica: ragione e sentimento Da bambino frequenta controvoglia l’officina del padre. Poi si laurea in ingegneria, vive diverse esperienze e approda in O.M.A.R. 25 anni fa nell’ufficio tecnico. Sergio Saggi ama progettare, dare vita a qualcosa di innovativo a prescindere dal guadagno, ha fatto crescere l’azienda in cui lavora credendoci sempre e mettendosi in gioco in prima persona.

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La O.M.A.R. Snc è un’officina metalmeccanica specializzata nella costruzione di strutture metalliche in genere e, in particolare, di capannoni, serbatoi di stoccaggio e silos.

O.M.A.R. DI SAGGI A. & C. SNC

Via Romea, 150 - 48121 Ravenna Tel. 0544.61348 - www.officineomar.it

L’ingegner Sergio Saggi

In che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? È stata fondata nel 1962 da mio padre, Aldino Saggi, con altri tre soci: Angelo Pezzi, Arnaldo Morigi e Renzo Fiori. C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che rappresenta l’inizio del suo percorso in azienda? Io non sono mai venuto qui molto volentieri, tant’è che non è stato il mio primo lavoro. Quando ero bambino questo non era uno dei posti che preferivo. Quello che ricordo è l’odore del ferro, lo stesso che mio padre, operaio prima che imprenditore, portava a casa ogni sera impregnato nella tuta. Che cosa avrebbe voluto fare invece? Avrei voluto lavorare in ferrovia come macchinista, cosa che molto più avanti ho quasi fatto (ndr. lo testimonia l’immagine che Saggi tiene con grande orgoglio come sfondo nel suo PC e che lo ritrae a bordo di una locomotiva Henschel & Son del 1907 nel percorso tra Reggio Emilia e Ciano d’ Enza con tanto di berretto “vintage” comprato rigorosamente alla cappelleria Malaguti di Bologna). E com’è arrivato in azienda? Dopo la laurea in ingegneria meccanica, ottenuta con voto adeguato per potere accedere ai concorsi in ferrovia (purtroppo proposti con frequenza biennale), mi sono accontentato di riempire di domande di assunzione le Officine Casaralta di Bologna (costruttrici di materiale rotabile) dove, credo, l’Ufficio Personale tenesse un archivio solo per me. Successivamente ho lavorato prima all’Università, come laureato frequentatore, arrotondando lo stipendio (inesistente) con supplenze alle scuole superiori (con l’Università le mie collaborazioni - a titolo gratuito - sono continuate fino al 2000). Sono stato assunto quindi dalla Malanca Motori di Pontecchio Marconi, azienda costruttrice di motociclette, un posto logisticamente disagiato non avendo casa a Bologna. Acquistai la prima auto a 32 anni e il treno non arrivava fin là: ogni tanto qualche collega mi recuperava alla stazione delle autocorriere di Bologna, dormivo da amici (studenti e… gaudenti) poi la mattina andavo al lavoro. In ogni caso, se uno è disposto a qualche sacrificio, queste sono esperienze ben spendibili dal


punto di vista professionale. Poi feci altre due esperienze, alla DIEMME di Lugo e poi a Rimini alla SCM, infine entrai qui dove sono da oltre 25 anni. Si descriva come imprenditore, quali sono per lei le caratteristiche necessarie per fare impresa? Non sono un imprenditore, chiariamolo subito! Io faccio l’ingegnere e ho sempre lavorato solo negli uffici tecnici: mi è sempre piaciuto occuparmi di progettazione (prima meccanica, ora più strutturale). Ciò premesso, vorrei rispondere con quanto mi disse diversi anni or sono un collega imprenditore: “la cosa necessaria per fare impresa è avere bilanci in utile, ma non è sufficiente per costruire qualcosa”. È fondamentale non amare troppo il denaro per sé e non perseguire né “l’affare” né “il colpaccio” per i quali basta, forse, andare in “piazza” senza venire qui ogni mattina. Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda? E l’ultima prima di tornare a casa? Arrivo sul posto di lavoro assai presto, accendo la radio (sintonizzata su “Prima pagina” di Radio RAI 3) e inizio. Di solito, la sera, sono l’ultimo a uscire e, dopo un giretto in officina, chiudo porta e cancelli non senza avere prima controllato che tutti abbiano spento luci e computer. Libri, musica, tv, come si rilassa? Ho una biblioteca di quasi 5.000 volumi e sono un accanito lettore.

La foto mostra un parco serbatoi costruito dalla O.M.A.R. negli anni Sessanta. In basso i quattro soci fondatori: da sinistra Angelo Pezzi, Renzo Fiori, Aldino Saggi e Arnaldo Morigi.

Leggo almeno 3 libri alla volta, attualmente sto leggendo una biografia di Ivan Ilich uno dei più importanti pensatori del XX secolo e poi il romanzo Arrivederci amore ciao di Massimo Carlotto, mentre ho terminato da poco TAV il treno della discordia del giornalista RAI Loris Mazzetti. Leggo anche molti fumetti. Quando sono in ufficio mi collego via internet con il quinto canale della filodiffusione tenendo un sottofondo di musica classica per quasi tutta la giornata. In gioventù ho avuto grande passione per la musica jazz e ho seguito molti festival e concerti. A casa nostra, come in ufficio e in auto, qualcosa suona sempre, non sapremmo concepire una giornata senza musica. Invece con la tv sono molto selettivo, molta informazione, anche se alla fine mi irrita, e qualche film, quasi mai calcio. Qual è il suo pittore preferito? I surrealisti in generale, anche se mi ci è voluto un po’ di tempo e

tenacia

l’aiuto di mia moglie - laureata al DAMS - per capire che non si trattava di cose che avrei potuto fare anch’io… dopo cena. Ho capito poi che, quanto meno, occorreva saper disegnare. Ha qualche hobby? Se sì, quale? Naturalmente ho la passione per la ferrovia e per il ferromodellismo e poi il calcio. Il mio studio sembra la stanza di... un adolescente. Colleziono anche manifesti circensi raccolti in giro per l’Europa: bellissimi, che stacco proprio dai muri. Difficilissimo farlo senza romperli! Vede come perdo tempo? Cosa la fa ridere? Ho una propensione naturale per la risata. Rido quasi di tutto tanto che mia moglie ritiene che io sconfini nel cinismo. Vero o no, rimane che mi piace molto ridere.

e n o i s i c e pr

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Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro? Ho sempre fatto il progettista di cose che però raramente vedevo costruite perché nelle aziende più strutturate la fase realizzativa è di solito disgiunta dalla progettazione. Nella nostra azienda invece provo grande soddisfazione nel vedere un progetto prendere forma concreta. Le cose che nascono qui sono il frutto di un lavoro che si fa insieme perché il “prodotto non si inventa né si scopre” se non c’è qualcuno che ha intuito qualcosa prima e qualcun altro aggiunge e migliora dopo. Io sarei, infatti, per l’abolizione totale dei brevetti che trovo essere una cosa profondamente ingiusta perché limitativa della libertà e del beneficio di godimento collettivo dei frutti del genio umano. Inoltre, essendo molto vanitoso, non mi dispiace se qualcuno mi copia.

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Qual è il suo maestro di pensiero, se ne esiste uno? Visto i miei trascorsi giovanili, e non solo, la risposta sarebbe ovvia. Posso aggiungere che in famiglia abbiamo una “venerazione” per Giorgio Gaber che crediamo essere un personaggio di grande spessore culturale e non solo musicale o teatrale. Ah! ...dimenticavo Woody Allen e sicuramente cento altri maestri di pensiero che sono stati punti di riferimento... a seconda dei momenti. Qual è l’insegnamento più importante che le hanno dato i suoi genitori e che le è servito di più per fronteggiare quotidianamente la crisi? Non lo so. Sicuramente hanno influito su come sono ma, al 90%, la “colpa” è solo mia.

I treni, una delle passioni dell’ingegner Saggi, qui a bordo della locomotiva FS Gr 740.143 costruita da Ansaldo nel 1920.

innovazione

Che cosa ha imparato dai suoi dipendenti? E loro da lei? Nell’attuale congiuntura il rapporto è stretto. Mio padre incuteva soggezione oltre che rispetto, io sono diverso ma una cosa ci accomuna e deriva dalla nostra comune formazione ideale: per noi i diritti di chi lavora sono sacrosanti, l’eccessiva deregolamentazione dei rapporti di lavoro non giova a nessuno, men che meno alle piccole aziende. Avere dipendenti soddisfatti, nei limiti in cui questo è possibile, è molto importante. Nelle aziende piccole come la nostra ci si scontra anche caratterialmente perché i rapporti sono più diretti e personali di quanto non siano nelle grandi industrie. Quanto poi i nostri dipendenti abbiano imparato da me, da noi, proprio non saprei: spero qualcosa! Deve assumere un nuovo collaboratore: quale caratteristica le fa scegliere una persona piuttosto che un’altra? Siamo troppo piccoli per pensare a compartimenti stagni per cui è fondamentale essere capaci di lavorare insieme. Il prodotto che esce da qui deve essere il frutto di un lavoro collettivo. Nel caso specifico di un tecnico occorre conoscere i limiti della progettazione: quando qualcosa esce dall’ufficio tecnico non si può escludere che sia migliorabile. Ovvero occorre essere in grado di accettare con spirito costruttivo tutte le critiche senza considerarle un affronto personale. Essere permalosi credo sia un grosso difetto oltre che un evidente limite. Diffido degli inventori o meglio diffido di chi, avendo avuto un’intuizione molto innovativa, non si chiede se per caso qualcuno

non la avesse già avuta e, eventualmente, scartata a ragione. Vorrei che questo non fosse inteso come una limitazione della creatività e della fantasia essendo, invece, solo un tentativo di mitigare l’impatto dei... voli pindarici. Si dice sempre che per quanto un’esperienza possa essere dura ci sono insegnamenti o scoperte che non avremmo potuto fare nostre se non avessimo intrapreso questo percorso; ci sono degli insegnamenti che lei ha tratto da questa crisi? Questo periodo non è certamente il primo, ma sicuramente, per la mia esperienza, è quello più lungo e complesso. Ancora non si riesce a vederne la fine. L’insegnamento che se ne può trarre è che dalle crisi si esce, prima o poi, però sempre e comunque ripensando il modo di fare impresa. Credo infine che le limitate dimensioni delle nostre aziende e le difficoltà finanziarie ci impongano l’impegno di ricercare collaborazione e integrazione e non solo nei periodi di crisi. Qual è la misura di sostegno alla piccola e media impresa che vorrebbe fosse immediatamente attuata e che invece è ancora lontana dall’essere applicata? Credo che un intervento legislativo a favore della “certezza del credito”, nel senso della certezza di ricevere il compenso pattuito e adeguato al lavoro svolto, sia oramai indispensabile. Occorre attivare meccanismi di garanzia che tutelino le aziende verso le inadempienze dei clienti, pubblici o privati che siano. Vorrei esprimere un pensiero che ritengo piuttosto impopolare: il grande problema del nostro Paese è che le aziende sono troppo piccole ovvero temo che le nostre maggiori difficoltà, rispetto ad

Il reparto produzione.

volontà


altri Stati, nel governare la crisi dipendano proprio dall’eccessiva frammentazione del tessuto produttivo iniziato a partire dagli anni ’80 quando si è cominciato a demolire la grande industria. La grande industria spesso stimolava la crescita delle piccole attività, non solo sotto forma di indotto, ma anche e soprattutto distribuendo la competenza nel territorio in cui germogliavano vere e proprie “filiere” produttive. Tutti parlano di innovazione e ricerca. Io vorrei sapere come posso “pensare e innovare” se sono “incollato” qui, costretto a svolgere il lavoro di quattro persone in tempi sempre più stretti e sempre con maggiore affanno. Inoltre il sostegno economico all’innovazione è troppo frazionato e quindi poco incisivo anche a causa di un vizio tipicamente italico di cui gli imprenditori sono responsabili: ovunque, avendo avuto un’idea, un’intuizione, si procede a verificare se ci sono fondi a cui attingere per svilupparla; qui da noi si verifica se ci sono fondi e poi… ci si fa venire una idea per attingervi. Così facendo naturalmente i fondi per “le cose serie” mancheranno sempre. In questo periodo com’è cambiato il rapporto tra imprenditori? Prevale la competizione o si sta facendo strada il sostegno reciproco? Senza dubbio l’esigenza del reciproco sostegno, nel rispetto delle competenze e della autonomia di ciascuno, è sentita sempre di più e ciò dovrebbe ricondurre la competizione entro limiti di maggiore rispetto e maggiore legalità. Molti imprenditori, la maggioranza, hanno certo fatto propria questa esigenza ma, come in tutti i momenti di crisi, qualcuno approfitta e attinge a comportamenti spesso al limite della legalità danneggiando tutti gli altri. Nei primi anni ’90, altro periodo di crisi, riuscimmo a consorziare, con l’aiuto determinante della nostra Associazione, una decina di aziende attorno all’esigenza di mantenere nel territorio buona parte dei lavori riguardanti la riconversione della centrale ENEL di Porto Corsini. Dopo diversi incontri con la committenza ENEL, con le altre associazioni imprenditoriali, con le organizzazioni sindacali e con gli Enti Locali non riuscimmo a ottenere null’altro che un blando impegno da parte della Committente che poi, puntualmente, non venne rispettato.

à t i s o i r cu

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Sergio Saggi si racconta...

La delusione e la progressiva risoluzione della crisi ricacciarono ogni azienda nel proprio “particolare” e il Consorzio, di cui peraltro ero Presidente, cessò di esistere.

come terzino e... per due ore non penso ai problemi né di lavoro né di altro: l’unico problema che mi assilla, data l’età, è quello di non riuscire oramai più a raggiungere gli avversari.

Se dovesse utilizzare un colore per descrivere questi tempi, quale sceglierebbe? Sicuramente il bianco, colore che, secondo me, è sinonimo di confusa indeterminatezza. Ho idea che i tempi si possano descrivere come una “fangosa marmellata”. Se ha un giorno di libertà - anche dalle preoccupazioni - come decide di trascorrerlo? Quando esco di qui, fortunatamente, trasferisco pochi problemi a casa, ma non è sempre stato così. È così solo adesso che sto invecchiando. Il sabato pomeriggio gioco a pallone (Campionato Amatori UISP)

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

?

Non sempre nell’attività professionale si riescono a conciliare le aspettative e gli ideali con le esigenze lavorative. Come riesce a conciliare coerenza e mediazione?


L’impresa del ragazzo di bottega Negli anni ’50 Domenico Mariani è un ragazzo come tanti con un sogno: lavorare in un’officina. Da giovanissimo, con altri “ragazzi”, avvia l’azienda O.C.M. e, dopo la gavetta, inizia ad ampliarsi diversificando l’attività. Non più solo carpenteria, ma anche condizionamento e produzione propria di macchine per il settore ecologico. Con grande tenacia supera anche anni difficili e arriva a festeggiare, lo scorso anno, 50 anni di attività. Ancora sul mercato e pronto a raggiungere nuovi traguardi.

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La O.C.M. è stata fondata nel 1962 e opera nel settore metalmeccanico. Nel corso della sua storia O.C.M. si specializza in particolare nella lavorazione dell’acciaio inossidabile, rame, ottone e leghe di alluminio producendo vari manufatti per i settori enologico, farmaceutico, alimentare e packaging. Nel 1992 la ditta O.C.M. Srl avvia, con propria tecnologia e marchio, la produzione di macchine per il settore ecologico, in particolare macchine per la disidratazione meccanica del fango proveniente dalle acque reflue comunali e industriali; attualmente O.C.M. Srl può vantare numerose referenze in diversi Paesi dei cinque Continenti, e dal 28.11.2003 è certificata UNI EN ISO 9001.

O.C.M. Srl

Via S. Barbara 135, 48010 Fusignano (Ra) Tel. 0545 50230 • www.ocmsrl.com

In che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? O.C.M nasce nel 1962 grazie alla volontà dei 4 soci fondatori: Primo Gagliardi, Luigi Bassi, Filippo Zalambani e Domenico Mariani. Io e Zalambani siamo stati per alcuni anni i ‘ragazzi di bottega’: andavamo in azienda per arrotondare e ci facevamo le ossa non avendo il diploma tecnico! Dopo il servizio militare, Primo e Luigi ci proposero di formare una società che chiamammo OCM e accettammo volentieri. Il nostro primo cliente fu la ditta Marini di Alfonsine che dava parecchio lavoro agli artigiani della zona e ci commissionò un nuovo macchinario da realizzare rielaborando il triciclo Ercole di marca Guzzi. Al tempo avevamo un’attrezzatura ‘base’, quella tipica di un fabbro del dopoguerra: una saldatrice, un martello, un trapano e poco altro. Ma avevamo tantissima voglia di fare così ci rimboccammo le maniche! Il macchinario doveva servire per trasportare il bitume da spruzzare caldo e rattoppare, così, il manto stradale negli stradelli della provinciale. Era davvero accessoriato per l’epoca con uno scomparto per il ghiaino e badili e vanghe per spargerlo in terra. Ne realizzammo una ventina di esemplari. Dopo un anno, il primo laboratorio avviato da Primo e Luigi cominciò a essere inadeguato così ci trasferimmo in un locale in via Viola di circa 400 mq, con altezze diverse, ottimo per lavorare con i ponteggi, ma dopo un paio d’anni cominciò a essere piccolo anche questo. Continuavamo a ricevere commesse, il lavoro a quei tempi non ci mancava: lavoravamo non solo con la Marini, ma anche con Venieri, tutte ditte locali. Quando l’area dove adesso sorge l’azienda venne lottizzata cogliemmo la palla al balzo e ci trasferimmo nel ‘64. In quegli anni Bassi lasciò la società e noi altri continuammo. Quando anche Gagliardi, raggiunta l’età pensionabile, se ne andò, Zalambani e io iniziammo a guardarci attorno per diversificare il nostro lavoro. La nostra punta di diamante era sempre stata la carpenteria, avevamo diversi clienti che ci facevano lavorare tutto l’anno, ma pensammo che un unico settore non era sufficiente per garantire un’attività costante all’azienda. Così, su suggerimento di un fornitore milanese che aveva venduto diversi macchinari per mangimi in zona, decidemmo di diversificarci puntando sul condizionamento, riscaldamento e con


quest’attività arrivammo al 1992: Zalambani seguiva il comparto del trattamento aria mentre a me restò l’officina, carpenteria, lavorazione acciaio inossidabile e costruzione di macchine. Proprio in quell’anno separammo le due attività così io diventai amministratore unico di O.C.M. Srl e Zalambani si trasferì nella zona industriale e avviò una propria azienda. Negli anni ‘80 fummo una delle prime aziende che iniziò a lavorare l’acciaio inossidabile, fummo, penso, i pionieri per questa zona: aziende locali ci proposero molto lavoro così ne approfittammo per specializzarci lasciando in secondo piano il comparto carpenteria. Da piccolo cosa avrebbe voluto fare? La passione per la meccanica l’ho sempre coltivata e per me è stata una grande opportunità iniziare a lavorare con Luigi e Primo. Era un lavoro che davvero mi piaceva e lo facevo con entusiasmo. Qual è la soddisfazione più grande che ha avuto in questo lungo percorso durato 50 anni? La gioia di vedere crescere la nostra azienda, la soddisfazione che può dare il lavoro di trasformazione dell’acciaio inossidabile, che era un’attività nuova per quegli anni. Tutt’ora ne sono contento perché ancora abbiamo tanti clienti che

si rivolgono a noi venendo a conoscenza della qualità del nostro lavoro. E sono soddisfatto dei miei collaboratori che s’impegnano tanto in ciò che fanno. Quindi il lavoro di squadra è importante? Assolutamente sì, ma la squadra ottiene risultati solo se diretta e coordinata in maniera ponderata e responsabilizzata. Lasciata senza il giusto coordinamento la squadra si perde un po’: dare le dritte giuste e fare rispettare alcune regole precise nella lavorazione è fondamentale per ottenere un buon prodotto. Quali sono le caratteristiche che deve avere l’imprenditore romagnolo? Lei che imprenditore è? Di certo la passione, ma anche il senso di responsabilità verso i propri collaboratori. In questi anni difficili ho pensato sempre a loro - alcuni dei quali sono entrati in azienda come soci in questi anni - e mi sono sforzato di tener duro e andare avanti.

concretezza

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La “squadra” O.C.M. al completo: a sinistra il titolare Domenico Mariani.

C’è una frase che si è ripetuto spesso nei momenti difficili? Se mi trovo in difficoltà non mi lascio andare, anche se spesso mi capita di ripetermi ‘ma cosa sto a fare qui?’, ma sono davvero sfoghi momentanei perché il mio carattere è combattivo, la voglia di non mollare c’è ancora. E non manco di fare appello ai miei collaboratori, fondamentali per la mia azienda. Anche mia moglie è sempre stata solidale con me e mi ha sostenuto nelle scelte, è stata un grande punto di forza. Qual è la preoccupazione più grande che ha avuto in questi anni? Ho coinvolto alcuni liberi professionisti nella società per fare quello che pensavo essere un passo di qualità, ma la gestione non fu felice. Con volontà e impegno non solo miei, ma anche dei miei dipendenti, siamo riusciti ad andare avanti assolvendo i nostri impegni.

coraggio


Lei si sente più mediatore o combattente? Ogni scelta la discuto con i miei ragazzi, anche se la decisione finale spetta a me. I miei collaboratori si fidano del mio intuito. E con loro che rapporto ha? Il responsabile della produzione è qui da 37 anni, altri sono andati in pensione dopo aver lavorato qui una vita. I miei collaboratori in officina lavorano davvero bene, siamo una sorta di grande famiglia che si fa forza nei momenti di difficoltà. Come avete vissuto la crisi che sta devastando le aziende? Che aggiustamenti avete attuato? Fino allo scorso anno ci siamo barcamenati in maniera accettabile riuscendo a chiudere sempre con segno positivo. Il 2013 è partito peggio: nonostante ci aspettassimo un segnale di ripresa, il lavoro è stagnante. Il mercato si sta evolvendo rapidamente ed è difficile stare al passo con i tempi, la tecnologia ci dà un grande aiuto, ma dietro un qualunque investimento ci deve essere la speranza di una certa continuità di lavoro. E oggi garanzie non ce ne sono. Diversificare il prodotto credo sia la scelta giusta per restare a galla e in questi anni ho puntato sempre su questo: abbiamo iniziato

con la metalmeccanica, poi il montaggio macchine agricole, la lavorazione dell’acciaio inossidabile, la realizzazione di componenti per laboratori chimici e di analisi infine lavoriamo nel settore della depurazione con una serie di macchinari creati e commercializzati da noi. Tocchiamo diversi ambiti anche se la crisi ha dato un brusco colpo di rallentamento un po’ a tutti i settori. Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda e l’ultima prima di andare a casa? Ultimamente ho delegato parecchio visto che ho massima fiducia

in tutti i miei collaboratori. Questi “ragazzi” hanno creduto in me e dato fiducia all’azienda investendo in O.C.M. Srl pertanto è giusto che li faccia crescere e li responsabilizzi. Così, al mattino, quando arrivo faccio un giro in officina, mi confronto con il responsabile di produzione, per farmi un quadro della giornata poi torno nel mio ufficio. E alla sera, se tutto il lavoro è sotto controllo, torno a casa sereno perché so che i miei ragazzi non lasciano nulla al caso e lavorano con passione.

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professionalità

competenza


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Domenico Mariani in produzione.

Quali sono i suoi hobby? Da bravo romagnolo ho la passione per le moto. Negli anni ‘70 partecipavo ai motoraduni con la mia Honda 750 Four: partivamo da qui, da O.C.M. e su per il Muraglione, il passo della Sambuca... Una passione che ho ancora oggi restaurando moto. Per staccare completamente la spina me ne vado a un’esposizione di moto e faccio il pieno di energia. Ha un giorno di libertà anche dalle preoccupazioni, come lo trascorre? In giro o a casa, ma sempre con mia moglie. Qual è la cosa che la irrita di più? La prepotenza e l’arroganza, quelle proprio non le sopporto.

a z n e i r espe

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Da imprenditore a imprenditore

Non sempre nell’attività professionale si riescono a conciliare le aspettative e gli ideali con le esigenze lavorative. Come riesce a conciliare coerenza e mediazione?

Vengo da una famiglia di agricoltori, ma non mi piaceva il lavoro della terra. Sin da ragazzino ho intrapreso un’altra strada e l’ho fatto con passione e coerenza. A 14 anni partivo da Taglio Corelli e andavo a lavorare a Lugo, un sacrificio, visto che non c’erano i mezzi di trasporto di oggi. Ma era una grande soddisfazione lavorare in un’azienda metalmeccanica. Oggi ne sono l’amministratore unico e ho dato l’opportunità di lavorare ai miei collaboratori per 50 anni: posso davvero ritenermi soddisfatto.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

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Hai volontà di continuare a lottare in un mercato così difficile? Come hai affrontato la crisi?


Tenacia femminile in un progetto condiviso Prosider nasce nel 1977. Un’azienda familiare che passa, negli anni ’90, dal fondatore Romano Antoniacci ai figli Gianni Stefano e Maria Cristina. Un meccanismo perfettamente funzionante dove ogni ingranaggio è al suo posto e ognuno ha il proprio ruolo. Poi Stefano, pilastro dell’azienda, scompare prematuramente e gli equilibri vanno ricostruiti in fretta. Oggi la sorella Maria Cristina è alla guida di un’azienda ancora in crescita nonostante la crisi e, negli anni, ha consolidato il rapporto con la collega e cognata Roberta. Due donne determinate che non hanno mai mollato. È Maria Cristina che ci racconta di questa lunga avventura, affiancata da Roberta. 22

Prosider Ravenna commercializza profili, travi, lamiere, tubi e tubolari. Opera su una superficie di 10 mila metri quadrati e dispone di un magazzino a pronta consegna di circa 5 mila tonnellate di prodotti che variano dall’acciaio comune all’acciaio in varie qualità, alluminio e inox. Annovera oggi, tra gli oltre mille clienti, gruppi industriali operanti nella costruzione di grandi infrastrutture, impianti di estrazione gas e petrolio, opere ferroviarie, cantieristica navale, edilizia, agroalimentare, impianti industriali, fino alla piccola distribuzione e ai singoli acquirenti.

PROSIDER SPA

Via Valle Bartina 14, 48124 Fornace Zarattini (Ra) Tel. 0544 462616 • www.prosider.ra.it

Quando è nata l’azienda e chi l’ha fondata? Prosider nasce nel 1977, dodici anni dopo Siderurgica Ravennate ditta che seguiva ogni fase della lavorazione del ferro fondata da mio padre Romano e mio zio Giulio. I due fratelli, lungimiranti nonostante fossero appena gli anni ‘70, decisero di dar vita a due realtà distinte affiancando a Siderurgica anche Prosider che si occupava del commercio del ferro. Per anni restarono soci al 50% in entrambe le aziende poi subentrarono le nuove generazioni con mio cugino Alder e mio fratello Stefano, appena maggiorenni, che iniziarono a gestire la parte commerciale, chi in una ditta chi nell’altra. Io arrivai tre anni dopo mio fratello, anch’io a 19 anni come impiegata di Prosider. Per noi era scontato, dopo gli studi, entrare nell’azienda familiare. C’è un’immagine che conserva nella mente e che ne rappresenta l’inizio? Ricordo che come impiegata in azienda facevo tutto manualmente, le fatture, le buste paga, le bolle di accompagnamento, tutto. I computer o, meglio, i primi elaboratori elettronici, erano enormi e anche solo per inserire le schede contabili era necessario attivare una complessa procedura che, pensando agli attuali ritmi lavorativi, faceva perdere molto tempo. Comunque acquistavamo subito le nuove attrezzature che uscivano sul mercato e grazie a ciò eravamo già visti come azienda all’avanguardia. Se ci ripenso ora, non posso che sorridere per le dimensioni che aveva quell’aggeggio e per il rumore che faceva! Quali sono state le sue figure di riferimento? Sicuramente mio padre, ma anche mio fratello con il quale mi confrontavo spesso nonostante gestissimo due ambiti molto diversi: io l’amministrativo e lui il commerciale. Siamo stati responsabilizzati fin dall’inizio: ricordo che io e Stefano eravamo appena maggiorenni quando già gestivamo l’azienda in autonomia. Eravamo liberi di agire e per le decisioni importanti o straordinarie, ci si riuniva assieme al “babbo”, ci si confrontava e si decideva insieme. Qual è l’insegnamento più importante che arriva dai suoi genitori? Il senso del lavoro e del dovere, senza perdere tempo in


sciocchezze. Sono stata educata a compiere il mio dovere senza lagnarmi, essere sempre la stessa in ogni circostanza e adottare uno stile di vita semplice. Mio padre mi ha voluta in azienda giovanissima e mi ha dato la possibilità di essere autonoma nelle mie decisioni, di gestire qualunque cosa a modo mio. Credo sia il metodo migliore per responsabilizzare un figlio. Poi di tirate di orecchie ne abbiamo avute tante Stefano e io, ma ci hanno fatto imparare un mestiere. Mio padre mi ripeteva che potevo stare in ufficio quanto volevo, due ore, venti ore, ma dovevo andarmene solo una volta ultimate le cose. Nel 1991 è nato il mio primo figlio, poi il primo figlio di mio fratello successivamente le famiglie si sono ampliate; entrambe abbiamo tre figli. In ufficio c’eravamo io e Roberta, mia cognata, e mio padre, mi ricordo ci esortò ad assumere un’impiegata per avere più tempo per gestire le nostre famiglie. Lui era così in azienda: organizzato, pratico e vitale. Io non avrei mai preso un aiuto, sentivo di potercela fare, ma ripensandoci oggi, ha avuto ragione lui perché in quel modo sono stata in grado di gestire al meglio l’azienda e di seguire i miei figli. Una delle grandi doti di mio padre è la lungimiranza, come ho detto con mio zio creò due aziende perché due erano le famiglie. Era in grado di guardare avanti anche di tantissimi anni, cosa che gli invidio. Oggi non interviene praticamente più nella gestione, ma il suo esempio è stato altamente formativo per me. Imprenditrice e madre di tre figli. Come riesce a conciliare tutto? Mi organizzo! Non ho mai percepito disparità tra una donna imprenditrice e un uomo imprenditore, non mi sono mai sentita da meno perché donna. Certo una donna ha anche la casa da gestire, per noi è più complesso. Spesso alle 17 chiedo a mia cognata: “cosa pensi di cucinare per cena?” e lei mi guarda perplessa rispondendomi “ci penserò!” ma entrambe abbiamo tre figli da mettere a tavola, dobbiamo fare la spesa, siamo il punto di riferimento dei nostri ragazzi. Per un uomo imprenditore che rientra la sera e trova tutto pronto è certamente più facile. Qual è il sacrificio personale più grande che ha fatto per lavoro? Di certo, dopo la prematura scomparsa di mio fratello Stefano 5 anni fa, ho dovuto prendere in mano le redini dell’azienda in un momento drammatico pertanto so, e lo dico con grande

coraggio

Il “team” di Prosider insieme a Maria Cristina Antoniacci (la prima a sinistra) e la cognata Roberta (la terza da destra).

rammarico, di avere trascurato per un certo periodo la mia famiglia in generale, ma era una situazione delicatissima e andava affrontata con forza e tanta energia. “Mai piangersi addosso, anche se in preda a un intenso dolore, affrontare le difficoltà una volta che si presentano”, questo è un altro insegnamento di mio padre. Vivere la vita in modo semplice ma attivo, accettando quello che ci riserva il destino in quanto non può essere modificato, ma scegliere il modo in cui procedere: se cioè camminare a testa alta o lasciarsi trascinare piagnucolando. Stefano gestiva la parte commerciale: acquisti, vendite, rapporti con fornitori e clienti in assoluta libertà mentre io seguivo la parte amministrativa. I nostri due caratteri si completavano: lui era attivo, estroverso, esuberante; io più pratica, metodica, riservata. Lui era la Prosider, vero punto di riferimento per tutta l’azienda, il nostro volto. Ha dato tantissimo all’azienda e se oggi è quello che è, certamente è anche grazie a lui che non si risparmiava mai. A volte lo accusavo di essere pieno di sé, ma mi accorgo che il

suo pensare in grande era per il bene dell’azienda e per la sua crescita. Con la sua improvvisa e prematura scomparsa, è stato come perdere l’anima gestionale e operativa di Prosider senza che ci fosse nessuno pronto a sostituirla, questo ci ha costretti a ridefinire i ruoli e a prendere una difficile decisione: chiudiamo o andiamo avanti? Era fine ottobre, dunque fine mese e prima di andare alla camera mortuaria confesso che andai in ufficio per pagare, come di consueto, tutti i fornitori. Non ci sarebbe stato alcun problema se avessi posticipato di qualche giorno visto il grave lutto che ci aveva colpiti, lo sapevo, ma per me quella scelta ha significato una vera e propria presa di coscienza, la consapevolezza di voler andare avanti. In quel momento ho capito che Prosider non avrebbe chiuso. Com’è cambiato il rapporto con sua cognata, oggi la sua più stretta collaboratrice?

forza

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Dopo la scomparsa di mio fratello ci siamo avvicinate tanto. Prima eravamo colleghe di lavoro, parenti sì, ma il rapporto era diverso. Oggi siamo complici, quasi sorelle e ci spalleggiamo, un sodalizio vincente perché spesso ci sproniamo a vicenda. Forse prima ci davamo un po’ per scontate poi, nel bisogno, abbiamo reinventato il nostro rapporto che si è consolidato. (ndr Si inserisce Roberta) Stimo molto Cristina anche se forse non gliel’ho mai detto direttamente. Ammiro il suo coraggio e la sua forza. Io non so se sarei stata in grado di fare ciò che ha fatto lei.

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Dopo la perdita di mio fratello sono tornata subito in ufficio e l’ho fatto anche per Roberta: pensavo che trovarsi sola al lavoro l’avrebbe distrutta. Entrambe soffrivamo, ma ci siamo fatte tanta forza. Abbiamo cercato qualcuno che potesse sostituire Stefano nel reparto commerciale, ma non è stato semplice, così all’improvviso. Inoltre introdurre ‘un estraneo’ in un’azienda fino a quel momento gestita da una famiglia e metterlo a capo di un reparto così importante è stato impegnativo vista la situazione alquanto delicata. In più la crisi economica si faceva avanti e, se fino a quel

momento sapevo che tutto era sotto controllo grazie a Stefano, il 3 novembre quando tornai in ufficio, mi resi conto che tutto era drasticamente cambiato. È stato un periodo davvero duro dal punto di vista emotivo e anche lavorativo. Cosa si è ripetuta mentalmente per spronarsi ad andare avanti? (Roberta) Non c’è una frase in particolare. Abbiamo deciso di tenere aperto anche per Stefano e per i suoi genitori colpiti duramente dalla prematura scomparsa del figlio. Io ho voluto tener duro per i miei ragazzi, per non far vedere loro che mollavo.

La crisi economica, come l’ha affrontata, quali misure precauzionali ha adottato? L’ho affrontata un po’ alla volta, con la riduzione dei costi, come tutti immagino e con la riorganizzazione interna. Insieme abbiamo valutato cosa modificare per migliorare e velocizzare la gestione e soprattutto ho cercato di valorizzare e motivare al meglio le risorse umane interne all’azienda. In maniera razionale giorno per giorno mi sono confrontata anche con i dipendenti, la base della Prosider: senza di loro non saremmo potuti andare avanti. Mio fratello aveva uno scambio continuo con loro, era spesso in magazzino e, dopo la sua scomparsa non è stato facile per loro in primis, capire il cambio di gestione, seguire le indicazioni di una persona con un carattere completamente diverso. In più non avevano percepito la portata della crisi economica, forse perché non sono stati chiesti loro sacrifici particolari, sono stati e continuano a essere ben gratificati e questo lo sottolineo con orgoglio. Il perdurare della difficile situazione economica italiana ha reso la consapevolezza del problema. Pian piano l’equilibrio si è ristabilito e oggi siamo tutti complici. Spesso mi sono confrontata con amici, non necessariamente imprenditori, per capire se riscontravano un calo del fatturato nelle attività in cui lavoravano e, eventualmente, come si comportavano i loro titolari: questo scambio mi ha sempre arricchito e aiutato. Poi rifletto spesso su questo mio motto: “spero nel meglio, ma mi preparo al peggio”. Qual è la prima cosa che fa quando arriva in ufficio e l’ultima prima di andare a casa? Controllo la posta e i movimenti bancari mentre prima di andare via verifico che sia tutto a posto e pianifico mentalmente la giornata successiva. Quali hobby avete? D’inverno la palestra e d’estate, adorando entrambe il mare, ci piace trascorrervi il tempo libero con le famiglie dedicandoci alla lettura e... al sole!! Ha un giorno di libertà, anche dalle preoccupazioni, come lo trascorre? (Cristina) In estate nessuno mi può spostare dalla spiaggia. Una

intraprendenza

volontà


volta sistemate le cose in ufficio ‘fuggo’ in spiaggia poi magari rientro nel pomeriggio se ho degli appuntamenti. Ci alterniamo così che una di noi sia sempre presente in azienda. D’inverno, la domenica, quando i figli e il marito sono allo stadio, ozio sul divano, mi rilasso completamente. (Roberta) E non dimentichiamoci dei viaggi! Mi piace molto organizzare, quando è possibile, delle vacanze o week-end con i figli o gli amici. (Cristina) Spesso è Roberta che mi stimola a partire perché mi preoccupo molto di lasciare soli i miei genitori. Se so che lei è a casa sono tranquilla, ma se andiamo via insieme sono più agitata, anche se non dovrei. Cosa non riesce proprio ad accettare? Il fatto che in Italia tutto sia contestabile ci ha tolto di fatto la libertà. Mi spiego, anche se ci si attiene alle indicazioni date dalle normative di legge non si è certi di aver fatto bene perché, a parere d’altri, non è sempre così: tutto è interpretabile. Le Istituzioni sono inadeguate, manca il senso morale, c’è poca collaborazione e comprensione tra il Fisco e il cittadino e si spreca tanto tempo per la burocrazia.

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Roberta e Maria Cristina.

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Da imprenditore a imprenditore

Hai volontà di continuare a lottare in un mercato così difficile? Come hai affrontato la crisi?

La voglia di continuare ad andare avanti non è mai venuta meno nonostante i momenti difficili. La crisi l’abbiamo gestita giorno per giorno, razionalizzando i costi cercando di mantenere l’efficienza del servizio per la fidelizzazione del cliente e confrontandoci sempre con i nostri dipendenti, la nostra base.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

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Il problema della sicurezza è diventato sempre più preoccupante soprattutto nelle zone industriali: alla luce dei recenti furti presso numerose imprese provinciali, come vivete questa situazione, avete preso dei provvedimenti?

ef rmezza

determinazione


Il dinamismo di un’azienda green Nordelettrica nasce nel 1985 per volere di un gruppo di tecnici di provata esperienza nel campo elettrotecnico. L’azienda si amplia negli anni affiancando alla cantieristica anche la realizzazione di impianti che sfruttano le energie alternative. Mirko Farneti illustra i passaggi che hanno portato l’azienda al successo negli ultimi anni. Veniero Versari, direttore di produzione e socio storico ne spiega le origini insieme a Mauro Mignozzi, responsabile dell’area commerciale.

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Nata nel 1985 dall’idea di un gruppo di tecnici di provata esperienza nel campo elettrotecnico, Nordelettrica progetta e realizza impianti elettrici di media e bassa tensione e di supervisione e controllo, impianti di trasformazione e distribuzione di media/bassa tensione, sistemi di strumentazione per il controllo del processo e, in generale, impianti tecnologici. Nell’attrezzata sede è concentrata la produzione della quadristica elettrica costituita da: quadri di distribuzione in bassa tensione, power center, motor control center, quadri inverter, quadri per bordo macchina e quadri di automazione e controllo.

NORDELETTRICA IMPIANTI SRL

Via Santa Barbara 146/E, 48010 Fusignano (Ra) Tel. 0545 51130 • www.neimpianti.it

In che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? (Versari) L’azienda nasce nel 1985 con il suo fondatore, Corrado Spedaluzzi. Inizialmente era composta da un gruppo di tecnici specializzati, usciti da un’affermata azienda ravennate del settore dell’impiantistica elettrica industriale, che aveva voluto mettersi in proprio in una piccola impresa artigiana, Soie Snc, che poi divenne l’attuale Nordelettrica Impianti Srl. Oggi i soci sono sei e i front men del gruppo sono Mirko Farneti e Mauro Mignozzi alla direzione generale e all’area commerciale e Veniero Versari, direttore di produzione. Da quando siete in questa sede? (Versari) Da un paio d’anni. Quando sono arrivato a fine anni Ottanta eravamo in un piccolo locale in via Vittorio Veneto sempre qui a Fusignano. Nel tempo ci siamo spostati altre tre volte prima di venire nella sede attuale. Sempre perché l’azienda cresceva e gli spazi non erano più sufficienti. Siamo nati a Fusignano perché il primo gruppo di Soie era di queste parti. Solo il presidente veniva da Ravenna quindi si preferì fare spostare una persona sola. E visto che un ufficio con un magazzino lo trovi ovunque, ma la risorsa umana valida no, abbiamo sempre cercato di rendere pendolari il minor numero di persone. C’è un’immagine che conserva nella sua mente e che ne rappresenta l’inizio? (Versari) Io sono arrivato nel 1986, eravamo pochi, con tanto entusiasmo e lavoravamo alacremente. La sede era grande come una stanza ma, nonostante gli esigui spazi, abbiamo sempre realizzato progetti importanti. Qual è stato il percorso che l’ha portata qui? (Versari) Dopo il diploma ho iniziato a lavorare come manovale in cantiere poi sono diventato capocantiere, infine ho iniziato a gestire i contratti e i rapporti con i committenti. Quando Soie mi chiamò accettai la sfida anche se con tutti i timori del caso: lasciavo una realtà consolidata per Soie, azienda appena nata. Ma conoscevo e stimavo i tecnici che vi lavoravano, dunque...


Qual era la vostra attività principale nei primissimi anni? (Farneti) All’inizio si curava esclusivamente la parte che riguardava la potenza e la costruzione degli impianti senza automazione: si faceva solo cantieristica poi, in un secondo momento è nata l’officina elettrica, poi l’ufficio tecnico e infine l’area ingegneristica. L’azienda si è evoluta molto negli anni. Grazie al fatto però di avere radici in una realtà molto importante e lavorando sin da subito con clienti che avevano, nei propri stabilimenti, impianti per la produzione di energia elettrica come zuccherifici e distillerie, il nostro indirizzo era sì l’impiantistica elettrico-industriale, ma comunque mirata a quel settore. Per gli zuccherifici, che sono stati i nostri primi e grossi clienti, abbiamo realizzato le prime centrali termoelettriche, una solida base che ci ha permesso, scoppiato nel 2007 il boom delle energie rinnovabili, di essere già professionisti del settore. L’impiantistica e l’automazione di una centrale termoelettrica sono decisamente più complesse rispetto a quelle necessarie a un impianto fotovoltaico o una centrale idroelettrica, quindi siamo stati subito in grado di cavalcare l’onda della ‘novità’ delle rinnovabili. Negli anni poi ci siamo specializzati nel terziario avanzato, nell’alimentare e nel petrolchimico. L’impiantistica elettrica e l’automazione sono elementi trasversali a tutti i settori, ognuno con una propria peculiarità, e così, progetto dopo progetto, abbiamo maturato un importante know-how. Il gruppo dirigente è al maschile. Com’è il lavoro di squadra? (Farneti) Anni fa la metà della compagine sociale era rosa poi, negli ultimi anni, ci sono state alcune modifiche a livello societario. I soci sono sempre stati, in media, cinque/sei, e ciò che ci ha permesso di non scontrarci mai è stato il fatto che ognuno di loro ha sempre avuto un proprio ruolo ben definito ed è sempre stato responsabile del proprio settore. I confronti sono stati tanti, ma costruttivi e volti alla risoluzione di un problema o al miglioramento dell’azienda. (Versari) Siamo riusciti, in questi anni, a fare squadra, sempre, mettendo insieme le eccellenze di ognuno. Ci siamo sempre compensati in base alle esperienze personali. Quali devono essere le caratteristiche di un imprenditore? (Farneti) La voglia di rimettersi continuamente in gioco.

fiducia

Da sinistra: Mauro Mignozzi, Veniero Versari (uno dei soci fondatori) e Mirko Farneti.

Da quando sono entrato in azienda è profondamente cambiato il modo di rapportarsi al cliente, il mercato è variato e senza la flessibilità non saremmo arrivati da nessuna parte. Per formulare un’offerta si faceva un sopralluogo dettagliato dal cliente, prendevamo il tempo necessario per valutare accuratamente il preventivo, infine si arrivava alle trattative vere e proprie. Oggi il cliente chiama e chiede il lavoro in tempi record, anche per la settimana successiva e noi dobbiamo realizzare un preventivo molto più velocemente, accelerando i tempi e le fasi del nostro lavoro. In tutti i settori dell’azienda, nei miei 14 anni di esperienza qui, si è modificato più volte il modo di rapportarsi con il cliente, l’attività e i lavori. Penso, quindi, che la flessibilità sia una caratteristica importante proprio come lo sono l’onestà e l’integrità nei confronti dei clienti, ma anche dei collaboratori e dei fornitori, questi ultimi sono una risorsa importante per la nostra azienda.

Come vi interfacciate con i dipendenti? Hanno imparato da voi come fare squadra? (Farneti) Siamo un’unica grande squadra forse perché l’attuale gruppo dirigente è formato da persone che non sono nate con questo ruolo nel proprio Dna, ma che hanno fatto la “gavetta” in azienda; persone che sono state prima di tutto dipendenti a partire dal cantiere, io stesso sono entrato con un contratto di formazione lavoro. Nessuno di noi proveniva da una famiglia di imprenditori pertanto abbiamo costruito tutto passo dopo passo con umiltà. Con i nostri dipendenti, al di là del lavoro, c’è un rapporto di amicizia. (Versari) La squadra affiatata si vede anche dal fatto che se un nuovo dipendente inizia a prendere, diciamo così, delle cattive abitudini, viene immediatamente emarginato dai colleghi. Come in una squadra di calcio devi lavorare in sinergia con gli altri diversamente vieni lasciato solo. Questo affiatamento ci ha aiutati anche in questi anni difficili.

fermezza

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(Mignozzi) Trovo che il modo più rilassante per staccare completamente sia quello di viaggiare anche solo per una breve gita fuori porta. Quando invece riesco a ritagliarmi qualche giorno in più punto a luoghi caldi. Relax per me è sinonimo di mare.

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La crisi vi ha portati a cambiare modo di lavorare o di rapportarvi ai clienti? (Farneti) Anche in questo caso la flessibilità è stata ed è importante. Bisogna reinventarsi continuamente per stare a galla, non puoi utilizzare lo stesso metodo di approccio alla clientela, ai lavori, ai fornitori, alla preventivazione sempre uguale. Bisogna cogliere tempestivamente le nuove esigenze del cliente ed essere in grado di suggerire i giusti accorgimenti finalizzati a un miglioramento dell’attività produttiva nella sua globalità perché un imprenditore non può essere aggiornato su tutto e il nostro sforzo è proprio quello di individuare quei settori d’intervento nei quali proporre cambiamenti. Il feeling che abbiamo con alcuni imprenditori, nostri clienti storici, ci ha portato a essere non solo loro fornitori per l’impiantistica, ma anche loro consulenti per un business nuovo. E questo ci ha gratificati molto perché diversi clienti hanno realizzato impianti che sfruttano le energie rinnovabili di cui avevano solo sentito parlare per il solo fatto che a proporli fossimo stati noi, fidandosi quindi totalmente della nostra professionalità ed esperienza. Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro? (Versari) Il fatto che negli anni generazioni diverse siano state in grado di supportarsi lavorando gomito a gomito e confrontandosi in maniera costruttiva. Diverbi a livello di idee e impostazioni ce ne sono stati, ma sempre con l’obiettivo di arrivare a una soluzione per il bene dell’azienda. (Mignozzi) La mia soddisfazione più grande è stata entrare a far parte di questa squadra e trovare ideali di lealtà che condivido; ne sono tutt’ora molto orgoglioso.

affiatamento

(Farneti) Sapere che le persone che lavorano con noi, dai dipendenti ai clienti, sono soddisfatti del nostro lavoro e ci stimano. Oggi, puntiamo maggiormente sul marketing per cercare nuove fette di mercato, ci siamo resi conto che i nuovi clienti che arrivano a noi, al 90% lo fanno grazie al passaparola. Abbiamo vinto quattro commesse importanti a Roma perché, evidentemente, si è diffusa la voce sul nostro modo di lavorare e questo ci inorgoglisce molto. Con i dipendenti, come già detto, facciamo squadra: sanno che se c’è da tirare lo facciamo tutti indiscriminatamente. Il nostro è un mestiere, ci devi mettere del tuo, la macchina non può sostituire l’uomo e la passione è fondamentale per andare avanti. Avete affrontato momenti seriamente preoccupanti e complessi anche prima di questa crisi? (Versari) Nei primi anni Novanta, nel giro di un anno e mezzo, abbiamo avuto tre grandi insoluti causati dal fallimento di aziende nostre clienti. In quell’occasione ci siamo dovuti rimboccare le maniche, non è stato facile, ma la passione ha superato l’interesse. Siamo riusciti a non mancare, nemmeno in quell’occasione, un pagamento.

(Versari) Fino a qualche anno fa lavoravo regolarmente anche al sabato, ma mi sono accorto che la domenica non era sufficiente per staccare. Poi, le esigenze di vita cambiano e ho cercato di ritagliare più tempo per me stesso e la mia famiglia compresi i miei tre adorati cani. In ferie vado solo se sono certo e tranquillo di non lasciare problemi ad altri, ma mi sto impegnando a farle ogni anno per ricaricarmi. Cosa vi irrita in assoluto di più? (Farneti) Essere presi in giro. La malafede e la disonestà. Noi siamo trasparenti e portati a fidarci delle persone, ad aiutarle per cercare di risolvere il loro problema, ma quando ti accorgi che dall’altra parte c’è disonestà allora la delusione è davvero forte. (Mignozzi) La disonestà è la cosa più infima. Noi abbiamo impostato il nostro lavoro sulla chiarezza e vorremmo ricevere la stessa onestà, ma non è facile. (Versari) Anche per me di certo la malafede.

Avete una giornata di libertà - anche dalle preoccupazioni - come la trascorrete? (Farneti) Negli ultimi anni abbiamo cercato di ritagliarci almeno i fine settimana. Mi dedico alla famiglia e stacco completamente perché mi sono reso conto che così torno in azienda più lucido. Essere sempre sotto pressione non ti fa essere produttivo, è fondamentale organizzarsi bene, lavorare a testa bassa quando c’è da fare, ma lo stacco settimanale è indispensabile, così come le ferie.

coraggio


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Qual è la prima cosa che fate quando arrivate in ufficio e l’ultima prima di andare a casa? (Mignozzi) Scaricare la posta elettronica anche se ormai l’abbiamo tutti sul telefonino e ogni messaggio ti raggiunge in tempo reale. La fine della giornata la dedico a completare quelle attività che richiedono un po’ di tranquillità e concentrazione senza che il telefono squilli. (Versari) All’arrivo in ufficio faccio il piano, a grandi linee, della giornata poi intervengo sulle eventuali problematiche e rispondo alle e-mail dei clienti e dei fornitori. Al termine della giornata invece faccio un giro in officina e in magazzino fra gli operai che rientrano dai vari cantieri per cogliere eventuali problematiche, perché il confronto è fondamentale. Prima di andare via cerco di pianificare la giornata successiva sapendo già che non riuscirò a rispettare il programma perché verrà qualcuno che avrà bisogno, suonerà il telefono o dovrò gestire le urgenze.

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Da imprenditore a imprenditore

Il problema della sicurezza è diventato sempre più preoccupante soprattutto nelle zone industriali: alla luce dei recenti furti presso numerose imprese provinciali, come vivete questa situazione, avete preso dei provvedimenti?

cerchiamo, per quanto possibile e senza arrecare danno alla produzione, di dosare il materiale portandolo in cantiere esclusivamente quando serve.

(Versari) Fortunatamente, grazie a un buon sistema di allarme, non abbiamo mai subito grandi furti se non qualche spezzone di cavo lasciato incustodito, ma nulla di rilevante. (Mignozzi) Abbiamo ben presente quanto accaduto nei mesi scorsi nella zona delle Bassette a Ravenna; per fortuna questa non è un’area particolarmente isolata, un po’ di giro c’è sempre, ci sono abitazioni intervallate ai capannoni. E poi abbiamo telecamere e un servizio di vigilanza, deterrenti che ci hanno sicuramente aiutato. In cantiere invece qualche furto lo abbiamo subito, sempre di poco conto fortunatamente, perché è difficilissimo tutelare le zone all’aperto. Come contromisura,

o m s a i s entu

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In tempo di crisi è giusto fare squadra tra aziende o è meglio aprirsi all’estero?


Da trent’anni con le mani in pasta Edoardo e Romana scommettono sulla pasta fresca surgelata nel 1980 quando aprono un piccolo laboratorio. Trent’anni dopo, insieme ai tre figli, Elena, Enrica e Massimiliano, sono alla guida di Surgital, una realtà che realizza 135 tonnellate di pasta fresca ogni giorno per 26 mila metri quadri di superficie produttiva. Con un solo imperativo: la qualità, dalle materie prime che provengono il più delle volte dai luoghi originari di produzione, alle tecnologie utilizzate anche per sviluppare nuovi prodotti e perfezionare quelli esistenti.

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Prima azienda in Italia di produzione di pasta fresca surgelata, sughi per la ristorazione di qualità e piatti pronti per i bar, Surgital è una realtà italiana nella cui cultura un ruolo fondamentale è giocato dallo scambio di conoscenza e dal valore delle competenze di un team di grandi professionisti. Fondata da Romana Tamburini e Edoardo Bacchini, discendente da tre generazioni di pastai, ha sempre perseguito l’obiettivo di offrire un prodotto di altissima qualità. Grazie all’automatizzazione delle linee, Surgital ha una capacità produttiva giornaliera di 1350 quintali di pasta fresca surgelata e 80 mila piatti pronti e lavora con 56 Paesi in tutto il mondo.

SURGITAL SPA

Via Bastia 16/1, 48017 Lavezzola (Ra) Tel. 0545 80328 • www.surgital.it

In che anno è nata l’azienda e chi l’ha fondata? (Edoardo) Nel 1980 mia moglie e io abbiamo dato vita al Laboratorio Artigianale Tortellini in uno spazio di soli 45 metri quadri. Io vengo da una famiglia di pastai e in quegli anni lavoravo con mio cugino poi, dopo la crisi del ’77, decisi di mettermi in proprio con Romana. Il lavoro non mancava, in soli tre mesi registrammo un fatturato di un milione e seicento mila lire e decidemmo di puntare sulla pasta fresca ripiena surgelata visto che mia nonna era solita mettere in freezer i tortellini che preparava e avevo avuto modo di testarne la bontà, una volta scongelati e cucinati. A metà degli anni ’80, visto l’aumento della richiesta dei nostri prodotti, brevettai la prima macchina per i garganelli e nel 1990 nacque il Laboratorio Artigianale Srl su una superficie produttiva di mille metri quadri. Nel 1996 diventammo Surgital (ndr SURGelati ITALiani) e cinque anni dopo passammo da 8 mila a 20 mila metri quadri di produzione. C’è un’immagine che conserva nella mente di quei primi anni? (Edoardo) Andavo a vendere i tortellini nella provincia di Ravenna e Bologna e, un giorno, arrivato in un ristorante a Castel San Pietro, mi presentai in cucina dove sei donne li stavano facendo a mano. La titolare mi venne incontro e le spiegai che vendevo pasta ripiena surgelata. Ricordo che mi fulminò con lo sguardo commentando “lei è ancora giovane, cambi mestiere che ha sbagliato tutto!”. Quando aprimmo l’attività, caricai in macchina da Milano la prima attrezzatura per fare i tortellini e la portai in laboratorio dove lavoravano mia moglie e un ex dipendente del pastificio: produceva un tortellino alla volta, ma era velocissima per noi, faceva il lavoro di sei donne. Eravamo animati da una grande passione - che non ci ha mai lasciati - volevamo lavorare bene e fare crescere la nostra azienda. Ci credevamo tanto, fummo i primi in Italia a vendere pasta fresca surgelata. Qual è stato il percorso che l’ha portata qui? (Edoardo) È venuto tutto naturalmente essendo cresciuto in una famiglia di pastai: questo l’ho sempre sentito come il mio lavoro. Oltre che produrre, mi piaceva riparare le macchine usate per la produzione della pasta, dove trascorrevo gran parte della giornata. Vendendo pasta fresca surgelata, dunque priva di conservanti, ci parve subito importante puntare sulla qualità degli ingredienti

professionalità


e, ancor oggi, questo è il nostro tratto distintivo: selezioniamo tutte le materie prime acquistandole integre nei luoghi originari di produzione e lavorandole in azienda. Penso al Parmigiano, alla ricotta di bufala DOP, alla burrata DOP, al radicchio di Treviso DOP, agli astici che facciamo venire dal Canada. I nostri ripieni sono realizzati solo con prodotti naturali. Nel 2000 abbiamo realizzato il Centro Ricerca&Sviluppo diviso in tre settori - laboratorio analisi chimiche e batteriologiche, sala prova e area degustazione, dove un’equipe di biologi controlla che le materie prime siano all’altezza degli standard indicati dal fornitore e lo stesso controllo lo effettua poi sul prodotto finito. Qual è stata la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro? (Edoardo) Avere dato vita, insieme a mia moglie, ai miei figli e a validi collaboratori, a qualcosa di nuovo in cui credevamo fortemente. Tutti vendevano tortellini in atmosfera modificata, noi pensavamo e pensiamo ancora oggi che la surgelazione sia l’unico sistema di conservazione che permette di mantenere intatte le qualità nutrizionali e organolettiche di un prodotto. Tra le fasi della produzione e della surgelazione intercorre al massimo un’ora così il cibo surgelato è, per caratteristiche qualitative, il più vicino al prodotto fresco di giornata. (Romana) Seguire la crescita costante dell’azienda. Dieci anni fa c’è stato un vero e proprio boom, i nostri figli sono entrati in azienda, ci siamo trasferiti in questi spazi adeguati alla mole di lavoro che abbiamo e oggi contiamo 26 mila metri quadri di produzione e 22 mila metri cubi di celle frigorifere, con la prospettiva di ampliarci ulteriormente. Siamo leader nel nostro settore e abbiamo all’attivo 9 marchi dedicati alla ristorazione, al catering e al canale bar. La Romagna è conosciuta come la terra della pasta fresca e noi abbiamo voluto raccogliere e tramandare, con i nostri prodotti, una tradizione che, molto probabilmente, sarebbe andata persa. Come mai molti sono ancora restii ad acquistare prodotti surgelati? (Edoardo) Penso sia un infondato pregiudizio che arriva da lontano. Quando si iniziò a congelare il pesce molti lamentavano che una volta scongelato avesse sentore di ammoniaca. E visto

serietà

La famiglia Bacchini al completo: Edoardo e Romana (seduti) e i figli Enrica, Massimiliano e Elena.

che i frigoriferi funzionano con quest’ultima si pensava che ‘impregnassero’ il pesce e ogni altro prodotto congelato. Quando, in realtà, è il pesce stesso che, poco prima di andare a male, rilascia l’odore di ammoniaca dalle branchie. Ripeto, ‘accuse’ assolutamente infondate quelle relative alla sottovalutazione di un prodotto surgelato. Su quali caratteristiche deve puntare l’imprenditore romagnolo? (Edoardo) Per quanto riguarda il nostro lavoro di certo la qualità delle materie prime perché queste danno la garanzia di un ottimo prodotto finale. Ma anche la serietà di un’azienda e delle persone che vi lavorano garantisce un prodotto di qualità e affidabile. Qual è il segreto di una squadra vincente? (Romana) Ognuno deve fare al meglio il proprio lavoro. Ogni membro della nostra famiglia gestisce un comparto: io sono presidente e direttore di stabilimento, Edoardo è l’amministratore

delegato e direttore amministrativo, Enrica è il direttore della ricerca e sviluppo, Elena del marketing e Massimiliano del commerciale. Io seguo l’insieme dei lavori, ma se ognuno non seguisse con coscienza il proprio comparto non potremmo essere qui. Io sono più impulsiva, Edoardo invece è un mediatore. Lavoriamo con grande passione ogni giorno, l’azienda non chiude mai. E una volta al mese ci troviamo con i nostri direttori marketing, commerciale e ricerca e sviluppo per fare il punto della situazione. C’è un sacrificio personale che ha dovuto fare per il lavoro? (Romana) Ho sacrificato tutto, ma lo rifarei. Bisogna essere chiari con sé stessi e scegliere: o si fa l’imprenditore o la madre di famiglia. E io sono fiera dei miei figli che mi sono sempre portata in azienda, che hanno studiato, e hanno scelto di entrarne a far parte. Non li ho mai costretti anzi pensavo che Enrica sarebbe potuta diventare direttore marketing ed Elena responsabile della

dedizione

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ricerca e sviluppo per le inclinazioni che avevano. In azienda non sono i miei figli, ma i miei tre direttori responsabili, sono tre professionisti validi il cui lavoro è considerato unanimemente positivo. Questo mi fa un enorme piacere. Ma non puoi sperare che i tuoi figli ricoprano ruoli importanti in azienda se non vivono da vicino questa realtà o se vengono lasciati senza una guida a perdere tempo prezioso senza una direzione o un obiettivo. La strada se la sono scelta loro, hanno studiato e negli anni, in azienda, sono maturati molto fino ad arrivare a ricoprire i ruoli attuali.

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Ci sono degli insegnamenti che ha tratto da questa crisi? (Romana) Nei momenti difficili bisogna lavorare più duramente, essere molto attenti e cercare nuovi mercati. Oggi lavoriamo con 56 Paesi, seguiamo una ventina di fiere l’anno e organizziamo circa 180 degustazioni. Se fossimo rimasti solo in Italia di certo avremmo sentito maggiormente la crisi invece così riusciamo a cavalcarla bene. Tredici anni fa abbiamo iniziato a vendere i nostri prodotti in Francia cui hanno fatto seguito Germania, Spagna, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, Australia, Emirati Arabi e ci stiamo inserendo anche in Asia. Un’azienda non può mai considerarsi ‘arrivata’, sarebbe la sua fine. Bisogna cercare di entrare in nuovi mercati, proporre nuovi prodotti. Le idee di certo non ci mancano e nemmeno la voglia di darci da fare. Nel dicembre 2012 abbiamo inaugurato a Bologna ‘Cà Pelletti’, il primo di tanti ristoranti che vorremmo aprire entro il 2016 nelle principali città italiane. Siamo su una quarantina di riviste di settore, ma non investiamo in pubblicità televisiva perché i nostri prodotti sono il nostro biglietto da visita e le degustazioni ci servono per farli conoscere. In fondo un’azienda che si occupa di ristorazione

come può convincere un potenziale acquirente della qualità della propria pasta se non facendola assaggiare? Surgital non vende solo i propri prodotti, ma organizza anche corsi nell’ ‘Ateneo della Pasta’... (Romana) Da 17 anni organizziamo corsi e degustazioni, ma lo spazio era diventato insufficiente quindi, nel 2009, abbiamo inaugurato De Gusto - L’ateneo della pasta - su una superficie di 260 metri quadri. Qui continuiamo a organizzare corsi e degustazioni per la nostra che è una clientela medio alta in un cucina composta da due postazioni indipendenti. Questa sala è il cuore della Ricerca e Sviluppo, luogo d’incontro fra giovani chef e grandi nomi della ristorazione: per tre anni abbiamo collaborato con Gianfranco Vissani testando insieme a lui nuovi prodotti. E ora continuiamo a organizzare corsi, fare degustazioni, scuola di cucina, abbiamo organizzato concorsi per i ragazzi delle scuole alberghiere e il vincitore ci ha accompagnato in Fiera a Parigi. Che rapporto avete con i vostri collaboratori? (Romana) Siamo una famiglia allargata, ci confrontiamo sempre con i nostri dipendenti, li coinvolgiamo nelle nostre decisioni perché crediamo, in questo modo, di fidelizzarli ancora di più. Sono ragazzi giovani che hanno, in media, 37 anni e non ne abbiamo mai dovuto licenziare nessuno. Alcuni se ne sono andati perché hanno intrapreso altri percorsi e altre strade, ma molti sono venuti a chiederci di tornare. E in alcune, rare, eccezioni li abbiamo ripresi. Perché per lavorare qui devi avere l’umiltà di imparare. Questo è un luogo di lavoro, ma è anche una scuola che insegna una professione. Oggi, facendo i conti con una sorta di menefreghismo diffuso e imperante è necessario coinvolgere i propri dipendenti in un progetto nuovo o, più semplicemente, quando ci sono idee nuove bisogna discuterne con la produzione, condividerle. Tutti i prodotti nuovi vengono testati prima di essere messi sul mercato, raccogliamo i pareri con le schede di valutazione. E questo metodo è efficace al punto che possiamo contare su oltre 800 codici di prodotto, con lanci di novità ogni semestre. Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda e l’ultima prima di andare a casa? (Romana) Quando arrivo vengo immediatamente ‘aggredita’ dai

innovazione

collaboratori appena varco la soglia della reception. Macino km a piedi o in motorino ogni giorno spostandomi nei vari reparti della produzione. Impossibile pianificare una giornata: ogni tanto ci provo se aspetto dei collaboratori, ma è pressoché impossibile perché subentra sempre qualcosa di imprevisto! Si fa quello che è più urgente. Ovviamente delego perché nessuno riesce a far tutto, ho sei responsabili che seguono i loro comparti e sono davvero bene organizzati, ma la supervisione è mia. Qual è il suo piatto preferito? (Romana) Sono una buongustaia, mangio di tutto. E sono curiosa: quando partecipo alle fiere in giro per il mondo assaggio di tutto. Non si sa mai da dove può arrivare un’idea per un nuovo abbinamento... (Edoardo) Da vero romagnolo le tagliatelle al ragù. Ma anche i garganelli e i tortellini: sono un tradizionalista. Quanto investite in tecnologia? (Edoardo) Praticamente tutto ciò che guadagniamo. Le macchine che riproducono il più fedelmente possibile la lavorazione manuale sono fondamentali per garantirci un prodotto perfetto e una consegna puntuale. Di solito, dopo aver investito, stiamo fermi un paio d’anni, consolidiamo poi reinvestiamo. Qualche anno fa abbiamo dato vita a un sistema integrato costituito da un impianto fotovoltaico che produce più di un milione di kw annui e da una centrale di trigenerazione alimentata a metano che produce 6 mila Kw/h. Di questi, una parte soddisfa i bisogni dello stabilimento e il rimanente viene reimmesso nella rete locale nazionale.

qualità


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Il pluristellato chef Gianfranco Vissani in una delle sue collaborazioni a “De Gusto - l’Ateneo della Pasta”, inaugurato dall’azienda nel 2009.

Entro il 2014 sarà realizzato un magazzino automatizzato con una capienza di 14.000 posti pallet e un’altra area produzione. Voi due staccate mai? Vi concedete una giornata di libertà? (Romana) Per fare cosa? Starei a casa a pensare a eventuali nodi da districare in azienda, il telefono suonerebbe all’impazzata, no, non è il caso. Ieri ero in Sardegna per lavoro, sono passata dalla nostra casa e ho pensato ‘è bella, ma non ho tempo di venirci’. La prossima settimana sarò in fiera. Non si può dire che non viaggi, ma non vedo nulla dei Paesi che visito. I miei sono viaggi di lavoro, al massimo stacco completamente tre o quattro giorni d’estate. Sto in azienda dalla mattina alla sera perché l’ho voluto e perché solo lavorando sodo i risultati arrivano. Sento tanti imprenditori che si lamentano della crisi e se mi azzardo a dire qualcosa mi fermano subito dicendo che la Surgital non ha problemi. È vero che la crisi la sentiamo poco, tanti pastifici hanno chiuso, ma noi no. Continuiamo a lavorare con passione

e impegno, non lasciamo scappare nessun ‘treno’ e investiamo nella nostra azienda autofinanziando i nostri nuovi progetti. Tutto questo paga. In termini economici e di soddisfazione personale per i risultati raggiunti.

tenacia

?

Da imprenditore a imprenditore

In tempo di crisi è giusto fare squadra tra aziende o è meglio aprirsi all’estero?

(Romana) Se fossimo rimasti solo in Italia avremmo risentito molto della crisi che non ci ha toccati visto che lavoriamo con 56 Paesi nel mondo. E penso sia difficile fare squadra con altre aziende all’interno dello stesso settore merceologico perché c’è sempre una giusta e sana concorrenza. I nostri prodotti sono il nostro biglietto da visita, investiamo in tecnologia e crediamo che il grande impegno paghi sempre.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

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Il rischio che si incorre in periodi di forte crisi è, in alcuni casi, di piangersi addosso. Hai preso ogni treno che ti si è presentato o ne hai lasciato passare qualcuno? (Edoardo) Una riflessione finale: mai piangersi addosso anche in momenti di crisi e cercare di prendere più treni possibili.

impegno


Globetrotter per passione A tre anni ripeteva alla madre che avrebbe studiato lingue straniere e girato il mondo. Da più di trent’anni è la responsabile di una realtà complessa quale il Consorzio Romagna Alimentare che raggruppa diverse aziende del nostro territorio e le porta alle più significative e importanti fiere internazionali. Grazia Ghinassi non si è mai risparmiata e ha fatto del suo lavoro la sua vita portando, con passione ed entusiasmo, il Consorzio a essere una realtà affermata e conosciuta in tutto il mondo.

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II Consorzio Romagna Alimentare nasce nel 1980 con la collaborazione delle Camere di Commercio di Ravenna e di Forlì sulla base della legge 83/89 del Ministero del Commercio Estero. Si profila immediatamente come una struttura in grado di raggruppare piccole medie imprese del comparto agroalimentare tradizionale che opera per valorizzare e fare conoscere all’estero i prodotti tipici. Per promuovere le varie produzioni e i marchi aziendali, il Consorzio si avvale di alcuni strumenti promozionali quali fiere specializzate, incontri con buyers, missioni mirate e progetti sinergici in collaborazione con la Regione Emilia Romagna.

CONSORZIO ROMAGNA ALIMENTARE

V.le Farini 14, 48121 Ravenna Tel. 0544 37097 • www.consorzioromagna.it

Quando nasce il Consorzio e chi l’ha fondato? Il Consorzio Romagna Alimentare nasce alla fine degli anni ’80 dall’idea della Camera di Commercio di Ravenna di unire le imprese che con una certa frequenza partecipavano a fiere straniere. Le prime sono state Self, Italfrutta, Pucci. Anche la Camera di Forlì condivise questa volontà fino a quando, negli anni ’80, entrò in vigore la legge Minnocci, antesignana della normativa che oggi eroga i contributi alle aziende per l’internazionalizzazione, e l’allora Presidente camerale di Ravenna, Avvocato Masotti si accordò con la Camera di Forlì per costituire un consorzio che raggruppasse le aziende che si promuovevano all’estero. Io sono qui dal gennaio 1981. Pare una storia datata visto che si va indietro nel tempo. Ero una studentessa alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere a Ca’ Foscari a Venezia e in estate lavoravo facendo la stagione negli alberghi per esercitare le lingue studiate. A quel tempo non avevo i mezzi per andare all’estero quindi il modo migliore per fare pratica era andare sulla Riviera e stare a contatto con gli stranieri. Ero al secondo anno di università quando iniziai a inviare alcune domande di lavoro contro il volere dei miei che non desideravano che interrompessi gli studi. Otto giorni dopo mi contattò la Casa di Spedizioni Fiore che trovò interessante il mio curriculum e doveva sostituire una dipendente che andava in maternità. La ditta mi assunse. Per non deludere mio padre lavoravo di giorno e studiavo di notte, ma amavo il mio lavoro che era tanto dinamico quanto impegnativo soprattutto al momento dell’arrivo delle navi in porto. Il responsabile, Gianfranco Fiore, era un membro della commissione economica della Camera di Commercio e, tornando da una riunione, mi parlò dell’idea che avevano di dar vita ad un consorzio. “So che parlo contro il mio interesse perché ti perderò - mi disse Fiore - ma penso che dovresti andare a fare un colloquio perché quello è il tuo lavoro, seguire le aziende che si promuovono all’estero. Le aziende alimentari saranno molte e so che adori cucinare quindi questo sarebbe davvero il tuo mondo ideale”. Così parlai con la Camera di Commercio e, di lì a poco, l’appena costituito Consorzio mi assunse. Mio padre era molto più soddisfatto: nonostante lo stipendio fosse inferiore, avevo un tempo tutto mio per gestire il lavoro, dunque sarei stata in grado di terminare gli studi con reciproca soddisfazione.


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Grazia Ghinassi (la seconda da destra) con un gruppo di espositori associati presso lo stand del Consorzio Romagna Alimentare al CIBUS di Parma.

Quando eri piccola pensavi a un lavoro simile? Qual è il percorso che ti ha portata qui? Mia madre mi ricorda spesso che, all’età di 3 anni, dicevo a tutti che volevo studiare lingue e frequentare l’Università di Venezia... Penso che la vita vada vissuta nel mondo e se non riesci a comunicare non puoi far nulla. Grazie all’opportunità che mi offrì la Camera di Commercio mi laureai nei tempi giusti e i miei genitori furono fieri di me. Sono qui da una vita, 33 anni, manca un anno e mezzo alla pensione, ma sono davvero contenta e orgogliosa di tutto quello che ho fatto e continuo a fare ogni giorno. C’è un’immagine che ricordi di quei primi anni? Appena mi insediai mi chiamò il Presidente Masotti e mi chiese di accompagnarlo a Londra all’IFE, International Food Exhibition. Ero entusiasta di raggiungere una città che amavo e pensai alla mia docente, la Prof.ssa Egle Parra, colonna portante per

intuizione

l’insegnamento della lingua inglese a Ravenna, che me ne aveva sempre decantato le qualità. Ho un ricordo vivido della Fiera, la luce del padiglione illuminato dall’alto con oblò, un’immagine che mi emoziona sempre. Sei un’imprenditrice ‘atipica’ a capo di una struttura economica che però non è un’azienda come le altre contenute in questo libro. Qual è il tuo ruolo? Coordino le esigenze di aziende, a volte neanche definibili ‘piccole’ perché ‘micro’, con quelle di grandi realtà consolidate. Pertanto sono un collante che le tiene insieme. Tutte hanno bisogno del nostro supporto grazie al quale possono risparmiare tempo ed energie in quanto il disbrigo di tutti gli adempimenti burocratici è a carico del Consorzio. La soddisfazione più grande di tutta la tua storia lavorativa? Quando arriva il momento di smontare lo stand al termine di una

fiera. Mediamente seguiamo sette o otto fiere l’anno e sono tutte impegnative, richiedono un dispendio di forze non indifferente. Quando smontiamo lo stand tiro un respiro di sollievo, faccio un bilancio mentale delle conoscenze fatte, sono soddisfatta di poter dire ‘noi c’eravamo’. Spesso sento quasi un filo di commozione perché magari la partecipazione a quella fiera mi ha impegnata con 20 mesi di preparazione e quando sento il rumore dello scotch che sigilla i cartoni poco prima di tornare a casa sono soddisfatta per aver fatto un buon lavoro unita a una vena quasi di tristezza. In 32 anni abbiamo fatto workshop in 60 Paesi che spaziano dall’Arabia, al Nord America, al Messico. Confesso, però, di sentirmi maggiormente a mio agio nei mondi più vicini a noi: in Austria, in Germania e nei Paesi Nordici, in particolare la Svezia a cui sono molto legata. Se mi chiedessero di trasferirmi lì lo farei su due piedi: mi piace la loro cultura e come si vive in quei luoghi.

entusiasmo


A Malmo, lo scorso anno, abbiamo fatto scouting in una fiera del settore biologico e, approfittando di un pomeriggio di libertà, insieme al Vice-presidente siamo stati in giro per supermercati e per le strade della città. Vedere le persone che ti si avvicinano e ti chiedono se hai bisogno perché stai guardando una piantina o incrociare qualcuno per strada che ti dice ‘buongiorno’ è qualcosa che in Italia raramente accade, ma ti fa davvero sentire a casa. Che tipo di ‘imprenditore’ sei? Sono tendenzialmente una persona che media, che non si arrabbia mai troppo sul serio, che cerca quegli equilibri utili in un lavoro simile: devi essere imparziale, sono rigida più con me stessa che con gli altri. Però ci sono momenti in cui le situazioni vanno tenute in pugno, si è in tanti, c’è chi non rispetta le scadenze, chi conferma la presenza in fiera poi disdice all’ultimo dunque, in quei momenti, il carattere deve venire fuori. Nonostante non sia nella mia natura perché i miei associati mi conoscono come una sorta di giullare, nell’accezione più aulica del termine, quindi quando mi vedono seria e taciturna capiscono che qualcosa non va, e quasi s’impressionano. 36

C’è una figura di riferimento personale o professionale a cui il tuo pensiero va spesso? Come dicevo prima, la mia insegnante di inglese: al di là della formazione mi ha insegnato l’educazione civica, l’istruzione, il rispetto per gli altri. Ho finito il liceo nel 1975, ma la mia classe ancora oggi si ritrova tre o quattro volte l’anno al mare o a casa di qualcuno. Abbiamo un bellissimo rapporto, una coesione che ci ha trasmesso proprio lei che è stata l’educatrice perfetta, insegnandoci prima a vivere e poi a studiare, a stare bene tra noi e a cercarci. Tanti hanno lavori impegnativi, molti sono medici, professionisti, ma non perdiamo occasione di vederci. I tuoi genitori che insegnamento ti hanno dato? Il loro pensiero mi accompagna sempre, nei momenti di difficoltà penso a loro. Mio padre è morto più di 20 anni fa e mia madre ha diversi problemi, ma è la mia radice. Nonostante non parli tanto comunica con lo sguardo. La mia famiglia è stata fondamentale per la mia crescita. Quando sono in difficoltà ricordo situazioni simili, momenti d’empasse superati pensando a ciò che mi

avrebbero detto mio padre o mia madre che si sono dati anima e corpo per la famiglia. Infine ho sempre avuto vicino a me, all’interno del Consorzio, collaboratori validi con cui ho condiviso momenti di difficoltà e questo mi ha aiutato molto. Come sono ripartiti i ruoli all’interno del Consorzio? Ho sempre immaginato che il Consorzio sia una grande famiglia dove tutti collaborano, ciascuno ci mette del proprio, forza, idee. Il tutto parte dai soci che fanno proposte per eventi e manifestazioni; assieme ai Consiglieri elaboriamo poi la programmazione, il Consiglio Direttivo è, per il Consorzio, l’organo amministrativo per eccellenza, decisionalmente parlando è l’Assemblea a essere sovrana. Credo che la chiave del nostro successo sia stata proprio quella di ascoltare sempre, e con molta attenzione, la voce dei soci: con loro si cresce reciprocamente, si affrontano le problematiche e perché no, si gioisce insieme di ogni gradino fatto per arrivare ai nostri successi. C’è stato un sacrificio personale importante che hai dovuto fare per lavoro? Ho rinunciato ai figli, non so come sarebbe stato il mio percorso professionale con dei bambini da accudire e da seguire. Ho dato davvero tutto al mio lavoro, io oggi non ho quella famiglia che sognavo quando mi sono sposata e mi dispiace tantissimo perché in fondo mi sentivo vocata alla maternità, ma ho il Consorzio - lo sento come una mia creatura. Con i soci instauro da subito un rapporto vivace e fraterno, solo così posso lavorare felice di farlo e con quella giusta spensieratezza che permette di affrontare qualsiasi problematica. Inoltre ho rinunciato a una carriera musicale, studiavo pianoforte e adoravo quel mondo. Almeno sono contenta di aver aiutato Matteo Salerno, direttore artistico a costituire l’Orchestra Città di Ravenna.

dopo che il babbo era morto in luglio, presi con coraggio in mano un paio di cesoie e cercai di fare del mio meglio per non abbandonare quel patrimonio affettivo. Ancora oggi quella vigna c’è, la curo e la coltivo io con l’aiuto di mio marito, facciamo il vino e per ogni bottiglia che con grande orgoglio porto in tavola è come avere il babbo lì sempre con noi. La musica, invece, è sempre il sottofondo di quello che faccio in casa: quando cucino, stiro o faccio i lavori ho sempre un cd di musica classica che mi accompagna. Infine per scaricare la tensione scrivo: ho pubblicato due pamphlets con numerose “poesie”, piccoli racconti brevi e favole. Rispetto alla crisi qual è stato il tuo ruolo in Consorzio? Che accorgimenti hai dovuto adottare? Ho cercato di supportare gli associati anche se, nel bene o nel male, il nostro ambito è leggermente meno penalizzato degli altri. Si rinuncia a un genere più voluttuario, ma la spesa va fatta nonostante la crisi. Le aziende ne risentono indistintamente, sia le piccole che le più grandi, ma quello che ripeto a tutte è che il bicchiere va sempre visto mezzo pieno: è un brutto momento che opera una sorta di selezione naturale, ma se condividiamo l’idea di avere tenacia e voglia di lavorare la crisi non ci deve fare paura. Quando percepisco l’abbattimento cerco di confortare le aziende

Quando devi staccare completamente cosa fai? Hai un hobby, come ti rilassi? Mi piace tanto cucinare, a casa mia c’è un passaggio continuo di amici. La cosa che mi rilassa di più in assoluto è stare all’aria aperta, a contatto con la natura – d’estate o d’inverno, indipendentemente dal clima. Mio padre mi ha lasciato una casa in collina con orto e vigna, quest’ultima l’avevamo piantata insieme; non potrò mai dimenticare quando nel 1992, alla prima potatura Grazia Ghinassi alla fiera di Anuga in Germania.

idee

sinergie


rassicurandole che è un momento, difficile, ma transitorio. A riprova di ciò, venti giorni fa siamo andati a Tuttofood a Milano nonostante molti dicessero che non era il caso visto il periodo ma io ho insistito con il Consiglio Direttivo perché anche solo con 10 metri il Consorzio fosse presente. È stato un bene perché abbiamo raccolto consensi, quindi ancora una volta ‘mai mollare’. La prima cosa che fai quando arrivi in ufficio e l’ultima prima di andare a casa? Accendo il PC e leggo la posta. A casa non sono collegata al lavoro, non ho computer, ho solo il telefonino che mi tiene un po’ legata alle eventuali urgenze. L’ultima, prima di lasciare l’ufficio, è preparare già una scaletta per il giorno dopo, considerare da cosa partire l’indomani per rendere fluido e scorrevole il lavoro. Del resto devo sempre fare i conti con il fatto di essere una sola unità che si deve occupare un po’ di tutto. Parliamo di sassolini nella scarpa, cosa non sopporti proprio? L’arroganza, la maleducazione e le persone che non ringraziano. Se con qualche associato c’è stato uno scambio di favori, un invito a cena, non riesco a non venire in ufficio e non mandare una riga dicendo che sono stata bene, ma tantissimi non lo fanno e costerebbe così poco, sono mancanze che mi rammaricano molto.

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Grazia Ghinassi in veste di “sfoglina”.

Quale colore ti piace e ti descrive meglio? Di certo i colori caldi, ma anche il verde della natura dove vado a cercare il relax.

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Da imprenditore a imprenditore

Il rischio che si incorre in periodi di forte crisi è, in alcuni casi, di piangersi addosso. Hai preso ogni treno che ti si è presentato o ne hai lasciato passare qualcuno?

Il Consorzio è sempre stato aiutato dai contributi regionali, che ora sono prossimi allo zero, e di certo non è possibile chiedere continui aiuti alle aziende, molto spesso già in difficoltà. Il problema è a casa di tutti, ma il mettere a sistema, la forma associazionistica, lo stare accanto alle aziende sono tutti elementi importanti. Progettualità significa aguzzare il cervello in maniera più sublime rispetto ad altri momenti, ottimizzare quello che si ha e mostrare che i nostri prodotti hanno un grande valore. Sono reduce da tre giorni di video-ricette che ho registrato per una nostra associata in uno studio televisivo a Imola. L’obiettivo era mostrare cosa si potesse realizzare con poco, con quanto si aveva in casa.

orgoglio

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Se doveste descrivervi con una frase che vi rappresenta o che vi riguarda cosa scrivereste?

capacità


Passione da generazioni Nata nel 1956, la Cesare Tavalazzi passa da azienda artigiana a impresa che commercia con il mondo con l’arrivo, negli anni ’90, di Filippo, figlio del titolare che oggi la guida. Con 9 operai e 5 impiegati, Tavalazzi ha arricchito la gamma dei prodotti grazie a un continuo sviluppo della progettazione rivolta a una clientela sempre più esigente non solo in Italia, ma anche in Africa, in Russia, in America Latina e in Oriente. Un’azienda che crede anche nell’importanza del rispetto dell’ambiente e che ha realizzato un impianto su 400 mq che copre il fabbisogno energetico annuo. L’intervista è stata realizzata con Filippo Tavalazzi e con la sorella Beatrice. 38

La Cesare Tavalazzi nasce nel 1956 a Massa Lombarda, nel cuore della coltivazione delle pesche nettarine e inizia la sua esperienza nel campo della produzione artigianale delle prime denocciolatici rotative per pesche e ciliegie e macchine per la lavorazione della frutta mediterranea. Scopo dell’azienda la trasformazione della frutta, con la realizzazione macchine e impianti su misura, personalizzate sulle esigenze della clientela. Una realtà specializzata nelle fasi che vanno dal ricevimento fino alla realizzazione della polpa/purea di tutti i tipi di frutta, con e senza nocciolo, mediterranea e tropicale, frutti di bosco e molti altri. Dall’inizio degli anni ’80 costruisce anche tunnel e armadi di surgelazione a gas criogenici. Attualmente l’azienda opera in un capannone di circa 2500 mq con attrezzature di prim’ordine, su un’area operativa totale di 6000 mq.

CESARE TAVALAZZI SRL

Via Bagnarolo 12/E, 48024 Massa Lombarda (Ra) Tel. 0545 81473 • www.tavalazzi.com

Quando è nata l’azienda e chi l’ha fondata? L’azienda è nata nel 1956 ed è stata fondata da mio padre Cesare, allora 21enne, che aveva già maturato esperienza lavorando per diverse aziende meccaniche del territorio. Lui iniziò facendo manutenzione e poi producendo macchine agricole di trasformazione, le denocciolatrici, anche oggi traino dell’azienda, in una zona dove si stava affermando l’industria conserviera. Io sono entrato nel 1990 a vent’anni, fresco di studi, ma qui avevo già passato la mia infanzia osservando mio padre lavorare. Qual è stato il percorso che l’ha portata qui? Come ho detto, conoscevo già bene il lavoro e, dopo gli studi, mi venne naturale entrare in azienda: ero in quinta elementare quando venimmo ad abitare qui e mi ricordo che passavo i pomeriggi in officina con mio padre. L’ingresso in ditta non è stato semplice perché Tavalazzi era un’azienda artigiana senza ufficio tecnico, poco organizzata, tra le poche, però, che faceva e fa ancora tutto, dalla materia prima alla macchina finita, mentre la maggior parte delle aziende produttrici di macchine industriali oggi commissiona i vari pezzi all’esterno per assemblarli in un secondo tempo. La riorganizzazione non è stata semplice, avevo tanti dubbi, ma anche una grande passione per questo lavoro ed essendo un tecnico mi piaceva stare in officina; così, nonostante una certa perplessità iniziale, decisi di andare avanti. Cambiai il parco macchine di un’azienda datata, costruii l’ufficio tecnico, potenziai l’officina. Nel 1995 iniziai a gestire in prima persona l’azienda per la gioia di mio padre che sperava, infatti, che vi entrassi. Mio padre Cesare è un artigiano, nonostante sia anziano viene ancora spesso in azienda perché è la sua seconda casa. Nel 1999 se ne andò l’impiegata amministrativa e chiesi a mia sorella Beatrice, che lavorava come ragioneria in un’altra azienda, di sostituirla anche per dividerci un po’ le responsabilità. Eravamo già conosciuti per i nostri prodotti, però bisognava potenziare e sviluppare ancora di più l’azienda. Ha un ricordo di quei primissimi anni? (Filippo) L’ultimo viaggio spensierato in Spagna e poi a Milano Marittima con i miei amici prima di entrare in azienda senza alcun pensiero visto che non avevo ancora la responsabilità e l’impegno di un lavoro né di una famiglia. Chi lavora in proprio difficilmente riesce a staccare completamente: anche in ferie ho sempre il


pensiero qui, suona spesso il telefono. Sono contento perché siamo controcorrente e lavoriamo molto, ma a volte ripenso con nostalgia a quell’ultimo viaggio da ragazzo e a tutta la leggerezza di quel momento. (Beatrice) Sono stata contenta della mia scelta, di avere lasciato il mio posto di lavoro per entrare nell’azienda familiare, il mio posto è qui. Quali pensate debbano essere le caratteristiche di un imprenditore? La serietà e il farsi pochi scrupoli, cosa, quest’ultima, che onestamente non mi appartiene anche se penso che bisognerebbe essere un po’ più duri, forse. A fine 2012 abbiamo assunto un commerciale perché personalmente non riuscivo a seguire tutto; avevamo già agenti all’estero e rivenditori in Italia, ma questa figura ci mancava. La percezione che si ha della

nostra azienda è che sia costituita e guidata da persone serie, e immagino che il fatto che continuiamo a lavorare tanto sia legato a proprio a questo aspetto: in fondo il mondo è pieno di aziende che costruiscono macchinari. Inoltre, se la credibilità viene da fuori penso valga doppio. Qual è la soddisfazione più grande che avete tratto dal vostro lavoro? Quando ci fanno i complimenti per il nostro lavoro. È ovviamente gratificante chiudere in positivo un bilancio, ma se mi telefonano perché un impianto che abbiamo realizzato funziona bene sono anche più contento. Lavorate molto con l’estero? Siamo attivi in America Latina, Africa, Oriente e Russia, ma indirettamente tramite rivenditori più grandi non avendo agenti diretti esteri. Mio padre lavorava molto con il sud Italia ma, dopo

competenza

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Il fondatore Cesare Tavalazzi in compagnia dei figli Filippo e Beatrice.

la riorganizzazione, ci siamo aperti ad altri mercati. Questo ci ha aiutati molto in questi anni difficili di crisi che sarebbero stati davvero preoccupanti se fossimo rimasti a lavorare solo per il mercato interno. Siamo specializzati in macchinari che lavorano la frutta mediterranea e tropicale, dal ricevimento alla polpa, e chi prende queste commesse acquista parti di linee da noi. Un 20% di fatturato annuo lo realizziamo andando all’estero con il nostro nome e il rimanente 80% tramite rivenditori. Qual è la vostra figura di riferimento? Mio padre che è sempre stato un inventore. Il nostro lavoro consiste nel soddisfare le richieste più disparate, non abbiamo nulla di standard, ma realizziamo i macchinari in base alle necessità e specificità che ci esprimono i clienti. E lui sapeva ascoltarli e inventare per loro una macchina ad hoc. E anche oggi questo è il nostro modo di lavorare.

serietà


Ci sono stati scontri o confronti con vostro padre? Cosa avete portato voi con la vostra voglia di mettervi alla prova e cosa vi ha dato vostro padre? Quello che so di meccanica l’ho imparato guardando lui, mi ha insegnato tanto. L’unico rimpianto è che quando ha deciso di andarsene dall’azienda mi ha lasciato letteralmente alla guida di tutto, quando io non avevo conoscenze dirigenziali perciò ho dovuto formarmi autonomamente, imparando giorno per giorno sul campo, non è stato semplice. Nei primi tempi ci confrontavamo ma poi mi ha lasciato carta bianca, cosa che ho molto apprezzato perché, per carattere, se devo prendere una decisione ho bisogno di farlo in totale autonomia. Ma non è stato semplice.

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Avete dovuto fare sacrifici personali negli anni per il lavoro? Sacrificarsi per la propria azienda è normale: mio padre faceva così e io altrettanto. Oggi tutti i comparti sono in crisi, la gente è demotivata e spesso si lamenta. Ovviamente anche a me capitano momenti in cui vorrei vendere e andarmene poi però mi rimbocco le maniche e vado avanti perché ancora ci credo. Il nostro è un lavoro difficile, siamo una piccola azienda, con pochi dipendenti, consegniamo macchinari finiti, non è semplice. Quando sono entrato c’era mio padre che stava in officina e un’impiegata, facevamo la metà del volume di impianti e macchine costruite e i dipendenti erano una quindicina. Oggi oltre a me e mia sorella ci sono 9 operai e 5 impiegati; per consegnare una macchina hai un’infinità di burocrazia cui far fronte, devi passare molti controlli, certificazioni, il mercato è cambiato tanto e non fa di certo nulla per agevolare il mondo dell’impresa.

andarsene: arrivo alle 8.30, e faccio più tardi degli altri alla sera. Arrivo con un fogliettino sul quale ho segnato le cinque o sei cose che devo fare in giornata, anche se raramente riesco a rispettare quanto ho pianificato. (Beatrice) Anch’io arrivo e scarico la posta e prima di andarmene faccio un planning per il giorno successivo per cercare di avere sempre tutto sotto controllo.

Che rapporto avete con i dipendenti? Buonissimo, siamo una sorta di famiglia allargata, i ruoli sono diversi, ma siamo tutti insieme, si cerca di andare sempre incontro ai dipendenti che hanno notato il cambio di gestione rispetto a quando c’era mio padre. Io cerco di dare il massimo: mi piace lavorare bene con macchinari nuovi, in un ambiente confortevole, siamo flessibili negli orari e se qualcuno ha bisogno gli si va incontro. Ci sono accorgimenti che avete preso in questi anni difficili? Siamo riusciti a evitare la cassa integrazione facendo anche molte ferie e con un grande impegno economico: abbiamo tanto magazzino che è molto costoso e rischioso non avendo macchine standard poi, stranamente, lo scorso anno abbiamo lavorato molto ad agosto e i dipendenti hanno scaglionato le ferie in altri periodi. Per questo dico che siamo una squadra: da parte mia e di mia sorella la disponibilità è tanta.

Cosa non riuscite ad accettare? L’ignoranza, l’arroganza e la maleducazione proprio non le sopporto. E purtroppo oggi se ne incontra tanta. Chi è il combattente e chi, invece, media e negozia? Abbiamo ruoli diversi, Beatrice segue l’amministrazione e i solleciti, se lo facessi io perderei i clienti, non ho il giusto carattere! Lei è la negoziatrice mentre la parte tecnica la seguo io. Se potesse avere una giornata di libertà cosa farebbe? (Filippo) Verrei in ufficio comunque perché il pensiero va sempre all’azienda. Per i miei quarant’anni mi ero ripromesso di regalarmi un pomeriggio al mare tranquillo con il mio cane, ma ovviamente non sono riuscito nell’intento perché, non ricordo per quale motivo, c’era bisogno di me qui. E la stessa cosa è successa per i quarant’anni di mia moglie che non ho portato dove desiderava perché sono venuto a lavorare. Sono molto appassionato di enologia, amo il buon vino e spesso seguo il Vinitaly, amo il Barbaresco e il Francia Corta, e appena possibile mi concedo volentieri un paio di giorni per dare sfogo a questa mia passione.

Investite in tecnologia? A fine 2008 abbiamo ampliato il capannone autofinanziandoci aggiungendo 1000 metri quadri (oggi la superficie è di 2500 metri quadri), due anni fa abbiamo sistemato il tetto approfittandone per realizzare un impianto fotovoltaico. Abbiamo cambiato macchine obsolete anche per la sicurezza cui tengo molto. Qual è la prima cosa che fate quando arrivate in azienda e l’ultima prima di andare a casa? (Filippo) Guardo al volo le notizie on-line e scarico la posta elettronica. Non sono il primo ad arrivare ma l’ultimo ad

professionalità

impegno


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Il gruppo di lavoro della Cesare Tavalazzi al completo. In basso a destra, Filippo Tavalazzi nel reparto produzione.

Di ferie invece... poche anche perché, a onor del vero, non amo particolarmente viaggiare. Per fortuna nei periodi di chiusura estiva ad agosto e a Natale riesco a godermi di più anche la famiglia. (Beatrice) Io faccio più ferie rispetto a mio fratello e, per il mio compleanno mi regalerò un paio di giorni a Parigi per riossigenarmi e rilassarmi.

?

Da imprenditore a imprenditore

Se doveste descrivervi con una frase che vi rappresenta o che vi riguarda cosa scrivereste?

(Filippo) Io non ho una frase particolare che mi descriva. Sono un foglio bianco, una storia ancora da scrivere. (Beatrice) La mia caratteristica è la pazienza, quando mi accorgo di averla finita significa che devo davvero prendermi qualche giorno di ferie...

e n o i z i intu

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

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A volte vorrei lasciare tutto e andare a vivere alle Seychelles. Tu lo faresti?


Il successo di un’intuizione Bruno Fusari entra in Minipan come tecnico commerciale nel ’91 e pochi anni dopo, quando l’azienda è a rischio di chiusura, si attiva per mantenerla in vita dando le proprie quote in pegno alla Federazione delle Cooperative di Ravenna. Nel ’99 le riscatta e inizia l’avventura che è, sulle prime, una scommessa che poi si rivela vincente. La lungimiranza di Fusari porta Minipan a realizzare macchinari gluten free quando ancora la celiachia era poco conosciuta e l’azienda si apre, così, a nuove fette di mercato. Oggi Minipan esporta per l’85% e ha recentemente venduto un macchinario che realizza 3 mila kg di pane artigianale all’ora a un’attività di New York. Una realtà che non ha mai smesso di crescere. 42

Da oltre 50 anni Minipan si occupa della costruzione di macchine speciali personalizzate a elevata automazione rivolte al settore bakery. I macchinari sono adatti a laboratori industriali e artigianali e la gamma di prodotti che è possibile creare varia dai biscotti, prodotti da pasticceria, agli snack da forno (grissini, taralli, schiacciatine), pane speciale, prodotti tipici fino ad arrivare ai prodotti senza glutine e dietetici.

MINIPAN SRL

Via Trebeghino 47, 48024 Massa Lombarda (Ra) Tel. 0545 971593 • www.minipan.com

In che anno è nata l’azienda? È stata fondata dai conselicesi Giulio e Dante Folli nel 1957. Giulio veniva dalla G.D. di Bologna che realizzava macchine per produrre sigarette, tutt’ora leader mondiale del settore. Rientrato a Conselice fondò la Folli Giulio & Dante Snc che divenne ‘La Minipan’ nei primi anni ‘80 alla morte di uno dei due soci e andò in liquidazione nell’85; poi venne acquisita dalla Federazione Cooperative di Ravenna che la chiamò ‘Nuova Minipan’ nel 1986. Quando arrivai io, all’inizio del ’91, l’azienda era già passata nelle mani della Cooperativa Sacadi di Imola assorbita nel ’94 da Cefla. Minipan, nata nel 1997, richiama l’idea di ‘pane piccolo’ e deriva dal nome della prima macchina realizzata per fare i cornettini ferraresi cui seguirono le macchine per i grissini e, comunque, sempre pani di dimensioni ridotte. C’è un’immagine che conserva di quei primi anni in Minipan? La lontananza della proprietà: l’azienda era gestita da una persona molto distante da noi, dall’operatività tipica del luogo di lavoro e, inoltre, distante da noi anche fisicamente dirigendo l’attività da Ravenna. Qual è il percorso che l’ha portata qui? Io sono entrato in azienda come tecnico commerciale con un contratto di agenzia per non pesare sulle disastrate finanze della società, poi la Sacadi nel maggio ’94 venne assorbita da Cefla che necessitava dei nostri capannoni per posizionare un impianto di piegatura di lamiera per scaffali da collegare all’impianto di verniciatura. Cefla non credeva in Minipan, voleva metterla in liquidazione al 40%, si provò anche a creare una cooperativa con i dipendenti del tempo, ma non si raggiunse il numero minimo. Fu allora che mi proposi dichiarando il mio interesse per l’azienda e diedi le quote in pegno alla Federazione delle Cooperative di Ravenna che aveva un prestito in Minipan. Evitai il fallimento e la chiusura dell’azienda non fermando fornitori e banche. Conoscevo le persone che c’erano, molte delle quali sono ancora qui: il capo officina e la responsabile amministrativa, ad esempio, sono quelli della ‘fondazione’, eravamo 9 e oggi siamo 35, lo zoccolo duro è rimasto. Quando riscattai le quote ne diedi una parte a mio fratello Franco che ancora studiava perché non volevo dar vita a una società unipersonale, volevo un’azienda familiare. Poi lui entrò a fine ’99 per mia grande gioia perché iniziammo a


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Bruno Fusari (il secondo da destra), titolare di Minipan con il fratello Franco, insieme a tutti i suoi “ragazzi”.

dividerci le responsabilità. Franco a quel tempo gestiva il primo negozio di abbigliamento e accessori per snowboard a Bologna, ma nonostante fosse ben avviato, decise di cambiare rotta completamente ed entrare in Minipan dopo essersi laureato in scienze politiche. Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro? Sono davvero tante, riduttivo citarne solo una. L’ultima è di pochi giorni fa grazie a una commessa arrivata dagli Stati Uniti e poi i tanti interessanti brevetti depositati. Infine tre anni fa, in piena crisi, abbiamo riscattato la nostra sede dal leasing. Quali pensa debbano essere le caratteristiche di un imprenditore? La flessibilità verso i clienti e i dipendenti, lungimiranza, intuizione e seguire le esigenze del mercato. Negli anni ’90 abbiamo iniziato a interessarci ai prodotti biologici da forno e a realizzare macchinari

forza

ad hoc, poi ai prodotti per i celiaci quando ancora la celiachia era poco conosciuta. Oggi quasi tutti i grandi produttori di ‘senza glutine’ nel mondo sono nostri clienti. Siamo sempre stati curiosi e non ci siamo mai tirati indietro di fronte alle novità inoltre, negli anni ’90, eravamo in espansione grazie al boom industriale, ma se i nostri concorrenti puntavano sulla grande produzione in serie noi ci siamo aperti a nuove fette di mercato.

nel suo lavoro. Ogni commessa richiede ore di progettazione e montaggio pertanto il confronto continuo è fondamentale. C’è un sacrificio personale che ha fatto per il lavoro? Purtroppo è normale che ci si sacrifichi, non si può occupare

Investite molto in tecnologie? È indispensabile. Mio fratello e io non abbiamo mai preso un dividendo perché abbiamo sempre reinvestito nell’azienda. Com’è il vostro rapporto con i collaboratori? Si lavora, da sempre, fianco a fianco, le informazioni sono orizzontali: costi, commesse sono noti a tutti. L’unico modo per andare avanti è essere chiari: se un dipendente conosce i motivi di una scelta della direzione penso possa essere più motivato

coraggio


Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda e l’ultima prima di andare a casa? Faccio il punto della giornata, sono spesso in riunione e, prima di andare a casa, scarico la posta per l’ultima volta. Cosa guarda in tv? Le puntate registrate del Boss delle torte (ride). No, scherzo, un po’ di tutto. Parliamo proprio del Boss delle torte, com’è nata la sinergia con Buddy Valastro (ndr Protagonista del reality americano The Cake Boss) che ha recentemente acquistato il vostro Comby3? Ci siamo incontrati in fiera a Monaco lo scorso anno e lamentava di avere problemi con il macchinario della pasticceria acquistato da un nostro concorrente inglese. Così gli abbiamo mostrato il nostro prodotto, a marzo di quest’anno l’abbiamo portato nel suo laboratorio di Hoboken del New Jersey, l’abbiamo testato e collaudato insieme. È bello lavorare con gli americani perché sono semplici e pragmatici, guardano al risultato. 44

Buddy Valastro, protagonista del reality show “The Cake Boss”, posa accanto alla macchina per biscotti Comby3 che utilizza nel suo laboratorio dolciario in New Jersey. In basso a destra il team dei progettisti.

di tutto. Esportando l’85% dei nostri macchinari bisogna progettarli, collocarli in sede, collaudarli, serve tanto tempo che, necessariamente, togli ad altro. Spesso, purtroppo, alla famiglia. Attualmente abbiamo personale a Manchester, in Siberia, in Egitto, in Sud America per verificare il funzionamento dei macchinari venduti.

lungimiranza

In tempo di crisi avete preso accorgimenti particolari? Ci eravamo attrezzati ancor prima del 2008. L’azienda realizzava macchinari solamente per attività artigiane poi, nel 1994, iniziammo a sviluppare la parte industriale partecipando a fiere e aprendoci al mercato estero. L’export, allora, rappresentava il 10% - contro il 90% di vendite realizzate in Italia - inoltre lavoravamo solo in Emilia Romagna, basso Veneto e bassa Lombardia con macchinari che facevano il pane ferrarese. Oggi siamo all’85% di export (Stati Uniti, Europa, Australia) e, nella crisi, abbiamo ribaltato le percentuali, ma di certo il lavoro per farci conoscere all’estero è stato lungo: nel 2008 registravamo il 50% di export e un anno dopo l’85%. Abbiamo recentemente realizzato un impianto per fare ciabatte artigianali da 3 mila kg/ora a New York che ama il nostro modo di fare pane al punto che il cliente acquirente dell’impianto è stato 6 mesi in Italia per conoscere e studiare i lieviti naturali. La crisi quindi ci ha toccati, ma in modo sopportabile tutto sommato.

Cosa non riesce ad accettare e la irrita molto? Il conservatorismo del nostro Paese, la stagnazione in cui viviamo da 20 anni, l’immobilismo con cui aspettiamo che altri risolvano le cose, la paura di cambiare gli schemi. Abbiamo distrutto la manifattura in Italia, abbiamo tarpato le ali a quanti hanno avuto iniziative, abbiamo ingessato di burocrazia qualunque cosa. Noi vendiamo in Germania, in Inghilterra, in America: quando toccano con mano il nostro sistema burocratico rimangono basiti.

scommessa


Un’azienda di Boston, nostra cliente e con il nostro stesso fatturato, ha una sola impiegata in amministrazione mentre noi ne abbiamo tre e facciamo fatica a seguire tutto. In America è tutto più semplice, le loro dichiarazioni dei redditi sono composte di due fogli al massimo. Se presenti alla banca un progetto dettagliato (l’ultimo era di 12 milioni di dollari!), è quasi impossibile che non ti finanzino. È riduttivo affermare che da noi gli istituti di credito non sostengono le imprese: penso, invece, che ridistribuiscano male i finanziamenti. Ha una giornata di libertà, anche dalle preoccupazioni, come la trascorre? Nonostante la mole di lavoro penso sia importante trovarsi degli spazi di libertà. Spesso vengo al lavoro in bicicletta che è una mia grande passione. La settimana di ferragosto siamo chiusi e siamo tutti a casa così mi ritaglio qualche giorno qua e là magari unendo anche qualche visita di lavoro: ho portato la mia famiglia in Russia diverse volte anche in crociera sul Volga, tutto sommato non è poi così male.

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Da imprenditore a imprenditore

A volte vorrei lasciare tutto e andare a vivere alle Seychelles. Tu lo faresti?

Assolutamente no. La voglia e la passione per andare avanti ci sono ancora. Più volte al giorno ti chiedi se abbia senso farlo, poi arriva la telefonata di un cliente dall’altra parte del mondo che sta utilizzando la tua macchina e ti vuole ringraziare. E questo ti apre nuove prospettive. Ti innamori di nuovo del progetto, dell’impianto, vuoi vederlo realizzato e montato.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

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Ha ancora qualche speranza che cambi qualcosa in Italia, che si possa lavorare meglio?

investimento

intuizione


Il rischio è il mio mestiere Veneziano di nascita e romagnolo d’adozione, Roberto Vianello approda a Ravenna negli anni ’70 alla ricerca di un lavoro. Ma il ruolo di commerciale per INA Assicurazioni gli va stretto e decide di mettersi in proprio. Da allora, grazie ad “un mix di fortuna e abilità”, come lui stesso ama ricordare, è alla guida di un’azienda di assicurazioni solida e conosciuta. Da più di 10 anni è affiancato dalle figlie Alessandra, in amministrazione, e Natalia nell’area commerciale e non ha mai perso la voglia di raggiungere nuovi traguardi. Roberto Vianello illustra in questa intervista, realizzata insieme alla figlia Alessandra, gli step che hanno portato la sua azienda ad affermarsi sul mercato. 46

Quando è nata l’azienda e chi l’ha fondata? L’ho fondata io nel 1975. Qual è il percorso che l’ha portata a intraprendere questa attività? Sono diventato assicuratore per caso: da Venezia, nei primi anni ’70, venni a Ravenna in cerca di un lavoro perché innamorato di una romagnola e trovai un annuncio delle assicurazioni INA che cercavano personale. Iniziai con loro, ma non ero pienamente soddisfatto e, rientrato dai militari, mi vennero offerte due possibilità: un posto alla Banca del Monte o acquisire l’Universo Assicurazioni che era del presidente della Banca del Monte. Non mi sono mai immaginato nelle vesti di impiegato di banca così scelsi di mettermi in proprio nelle assicurazioni e aprii la prima agenzia in via Diaz sopra quella che un tempo era l’Upim, oggi Coin. Poi nel 1980 ci siamo trasferiti sopra il Caffè delle Arti, successivamente in via Circonvallazione Piazza d’Armi fino ad arrivare all’attuale nostra sede di viale della Lirica. L’azienda intanto si ampliava e, dall’unico dipendente degli inizi, oggi siamo in 15, un numero di tutto rispetto per un’azienda di servizi. Mi ritengo fortunato: ero al posto giusto al momento giusto; penso, infatti che il successo sia un mix di fortuna e abilità. Ha un ricordo di quei primi anni? Ero uno studentello senza esperienza e, entrato in INA, mi mandarono a vendere polizze nelle zone di San Bartolo e Santo Stefano (ndr nel forese ravennate) in motorino. Chi mi apriva la porta, e non è detto che accadesse sempre, mi guardava torvo e nella migliore delle ipotesi esordiva con un ‘Chi sit? Sa vut?’... non so come ho fatto ad andare avanti! Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro? Non ho ancora finito, mi aspetto di raggiungere altri traguardi nei prossimi anni.

L’agenzia Vianello Assicurazioni è formata da un pool di broker e consulenti, professionali e competenti, a disposizione del cliente per consulenze in ogni ramo assicurativo: vita, RC auto, incendi, infortuni, furti, calamità naturali, infortunistica, sanitaria, cauzioni, rami tecnologici e quant’altro necessario alle aziende.

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Ha avuto una figura di riferimento? Quello che sono riuscito a fare l’ho ottenuto grazie all’educazione che mi è stata data dai miei genitori: rigida certo, ma mi è stata davvero utile. Mio padre era un artista, faceva lo scultore e pensava che il mio non fosse nemmeno un lavoro visto che non ‘creavo’ nulla! Mia figlia Alessandra ha ereditato sicuramente il dna artistico del nonno.


Quali pensa debbano essere le caratteristiche di un imprenditore? La lungimiranza. Mio padre mi diceva che bisognava sempre essere avanti 6 mesi rispetto al mercato. E ancora avere tanta costanza e tenacia. Le attitudini e le caratteristiche di un imprenditore veneto e uno romagnolo sono simili? Il veneziano nasce commerciante, è più accorto, più ‘in malizia’ perché è innato in lui il senso degli affari, c’è un’origine storica di questa sua attitudine che rimanda alla Venezia degli antichi commerci; il romagnolo è sicuramente più diretto, sanguigno, più sincero e genuino. Avete risentito della crisi? Quali accorgimenti avete preso? In un momento di crisi un’assicurazione lavora di più. Siamo indipendenti, utilizziamo l’assicurazione che riteniamo migliore per le esigenze del cliente in quel momento e questo aiuta inoltre, in un periodo di crisi, si rischia meno e le aziende si assicurano di più. La crisi ci ha toccati marginalmente: il lavoro per noi è cresciuto in questi anni, ma è calato in termini assoluti perché s’è ridotto il fatturato delle aziende. Ha una frase che si ripete nei momenti di crisi? Da bravo veneziano mi ripeto ‘Duri ai banchi!’ ossia ‘tieni duro’. Il termine deriva naturalmente dall’epoca in cui la Serenissima era in mare con le proprie navi, per difesa o per conquista e, nel momento di massima azione o di speronamento, ai rematori veniva intimato ‘Duri ai banchi!’ per avvertirli di tenersi saldamente ancorati alle panche in vista dell’attacco.

serietà

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Alessandra Vianello in compagnia del padre Roberto.

Che rapporto ha con i suoi dipendenti? Dipende. Caratterialmente sono molto estroverso, ma in periodi di particolare stress divento intrattabile, è cosa risaputa... È comunque vero che coloro che se ne sono andati mi hanno chiesto, poi, di tornare quindi così male, forse, non si sta nella nostra squadra.

La presenza simultanea delle due generazioni porta, di solito, scontri forti. A livello di forza, rapporti, competenze ed energie, qual è stato e qual è l’interscambio con le sue due figlie in azienda? Come genitore pretendo più da loro che dagli altri e sono consapevole, essendo una persona perfezionista, di quanto non sia facile accontentarmi, me ne rendo conto perfettamente. Le mie figlie hanno dato una bella spinta all’agenzia, hanno portato una ventata di entusiasmo ed è stato come ricominciare dopo tanti anni.

C’è un sacrificio personale che ha fatto per il lavoro? Sono nonno e mi rendo conto di avere un atteggiamento diverso nei confronti delle mie due nipoti rispetto a quello che ho verso le mie figlie. Il mio unico rimpianto è di non avere tanti ricordi della loro infanzia perché ero troppo preso dal lavoro.

(Alessandra) Da mio padre ho imparato un mestiere. Seguo l’amministrazione e sono qui da 14 anni, ci siamo confrontati tante volte, ma sempre in maniera costruttiva. Lui non ci ha mai imposto nulla, nemmeno l’ingresso nell’azienda familiare che, sia a me che a mia sorella Natalia, è venuto naturale. Sono arrivata nel 1999 e ho fatto la gavetta fino ad arrivare a gestire

Perché si continua nonostante tutto? Ce lo chiediamo spesso. L’ambizione spinge ad andare avanti, la voglia di raggiungere nuovi traguardi non ci lascia mai.

lungimiranza


buona idea appunto subito tutto. Ma non è assolutamente un peso per me, amo ciò che faccio.

l’amministrazione con mio padre mentre Natalia è arrivata nel 2000 dopo essersi laureata. Cosa fa quando arriva in ufficio la mattina e prima di andare a casa la sera? Io in realtà non smetto mai di lavorare. Arrivo prima delle 8, ma ho già la giornata pianificata: spesso, a casa, la sera, prendo qualche appunto su un foglio che la mattina seguente porto in ufficio. Sul comodino ho blocco e penna perché se mi sveglio con una

Ha una giornata di libertà anche dalle preoccupazioni, come la trascorre? Ma come si fa a essere liberi oggi con i telefonini che squillano ovunque tu sia? Scherzi a parte non ho alcuna necessità di scappare e staccare perché mi piace ciò che faccio. D’estate mi godo l’orto nella mia casa in campagna e d’inverno sono nei palazzetti a seguire il basket. Quello che mi disturba è la litigiosità della gente: oggi sono tutti arrabbiati, sempre a lamentarsi per qualsiasi cosa. Io sono un inguaribile ottimista e cerco sempre di infondere questa mia capacità di vedere il bicchiere mezzo pieno a quanti mi contattano. Qual è una cosa che la irrita molto? La stupidità, capisco e posso giustificare e scusare l’ignorante nel senso letterale del termine, ma la stupidità e la superficialità proprio non le tollero nonostante veda che oggi siano imperanti.

Dove è nata la sua grande passione per la pallacanestro? A Venezia che con Milano, Bologna e Varese è la patria di questo sport. A Venezia è nata la storica società Reyer e con mio zio, negli anni ’60, andavo sempre a vedere le partite. Questa fede me la sono portata anche a Ravenna. Oggi sono alla seconda esperienza come presidente della società ‘Basket Ravenna’, la prima fu 25 anni fa con Piero Manetti, a fine anni ’80, con cui abbiamo vinto quattro campionati consecutivi. Poi ho lasciato ma, cinque anni fa, mi hanno proposto di rientrare.

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Alessandra e Roberto Vianello. In alto a destra: il settore giovanile dell’Acmar Ravenna.

intraprendenza

ottimismo


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Da imprenditore a imprenditore

Quest’anno abbiamo raggiunto il top in ogni senso: è scoppiata la basket mania in città, palazzetti pieni, tifo clamoroso e abbiamo raggiunto la serie A.

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(Alessandra) Anch’io e mia sorella siamo appassionate: fin da ragazzine con mia madre siamo state assidue frequentatrici nei palazzetti, fa parte della nostra vita.

Essendo ottimista la speranza è sempre presente, ma ne serve davvero tanta. Bisognerebbe radicalmente cambiare chi ci governa. Per certi versi temo il futuro perché quando le famiglie non avranno più di che nutrire i propri figli penso che il vaso di Pandora si scoperchierà e la gente scenderà in piazza.

Quanto tempo della sua giornata occupa questa sua passione? A luglio e agosto ci si prepara per il campionato ed è un periodo davvero pieno. Però ho avuto la fortuna di trovare un direttore, Giorgio Bottaro, che è stato direttore generale del Parma calcio in A1, Macerata in A1 di pallavolo, ha fatto quattro anni alla Virtus Roma, dunque ho potuto dedicare meno tempo al basket, pur non perdendomi nemmeno una partita, raggiungendo soddisfazioni importanti.

idee

Ha ancora qualche speranza che cambi qualcosa in Italia, che si possa lavorare meglio?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato Qual è il rischio più alto che ha corso in questi anni?

Acmar Ravenna: promossi in LEGA DUE.

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sincerità


Una vita su due ruote La passione di una vita che diventa lavoro: Mauro Pascoli ha 15 anni quando inizia a lavorare come subagente per la Vespa e iscrive la sua azienda alla Camera di Commercio, appena maggiorenne, dando il via all’avventura dei ricambi d’epoca. Dai 25 metri quadri del primo negozio passa agli attuali 2.000 mosso da un entusiasmo che, negli anni, lo ha premiato. Oggi vanta 40.000 clienti nel mondo, il museo della Vespa, “la Bella in mostra” registra un migliaio di visitatori ogni anno e non si contano i servizi andati in onda su diverse emittenti televisive.

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Mauro Pascoli Srl vende ricambi e accessori per ogni tipo di Scooter Vespa. Cinque anni fa ha inaugurato, al Centro Mir di Ravenna, l’esposizione permanente ‘La Bella in mostra’ a ingresso libero, solo con articoli originali Vespa.

MAURO PASCOLI SRL

Via Faentina 175/A c/o Centro Mir, 48124 Fornace Zarattini (Ra) Tel. 0544 502078 • www.mauropascoli.it

Quando è nata l’azienda e chi l’ha fondata? La storia è curiosa. I miei avevano un distributore di benzina a Marina Romea con due meccanici e in estate lavoravano molto con i turisti per le riparazioni di automobili. Avevo 12 anni quando iniziai a dare una mano anch’io nella riparazione di biciclette, insieme a un amico, spinto dalla grande passione di sempre per le moto. A 15 anni andai da Giovannini, noto rivenditore della città, e gli chiesi di diventare subagente per la Vespa, mi presentai da solo, senza mio padre e suscitai il suo stupore! Non essendo ancora maggiorenne, nel 1975 l’azienda nacque proprio a nome di mio padre, Giacomo Pascoli, che dovette chiedere alcune autorizzazioni aggiuntive per costruttore di biciclette e ciclomotori, ma già nel ’78 presi, a mio nome, la licenza per vendita ambulante, al dettaglio e all’ingrosso e finalmente iscrissi in Camera di Commercio la ‘Mauro Pascoli’. Studiai e diedi l’esame per diventare agente Piaggio e la mia avventura ebbe inizio. Qual è il suo ricordo dei primissimi anni di lavoro? Con un amico venivo in bicicletta a Ravenna da Marina Romea per andare da Minardi in Piazza Kennedy ad acquistare i pezzi per fare le riparazioni delle biciclette. Poi iniziai a rifornirmi da Turchetti e Giovannini per rivendere gli articoli come subagente. Qual è il percorso che l’ha portata fin qui? Ho avuto la grande fortuna di riuscire a trasformare in un lavoro la mia passione. Nel ’76 i miei chiusero il distributore a Marina Romea e avviai lì il mio primo negozio su una superficie di soli 25 metri quadri che venne poi ampliata a 50 metri fino a che, nel ’77 aprimmo un’officina di 150 metri con annesso un negozio da 50 metri. Nel 1979 ho acquistato la mia prima Vespa 200, color sabbia, splendida e ho iniziato l’avventura dei ricambi d’epoca. Negli anni avevo già iniziato a collezionarli acquistando interi stock da concessionari e officine che chiudevano, poi andai al Cramer (ndr Club Romagnolo auto e moto d’epoca), alla mostra mercato dell’autodromo di Imola, e mi resi conto di quanto materiale avessi, guardando quello altrui in esposizione. Nel 1999, un anno prima di trasferirmi nell’attuale sede al Mir nella zona industriale di Fornace Zarattini, diedi disdetta a tutte le ditte per le quali facevo vendita e assistenza. Allora gestivo circa 200 mezzi tra Compagnia Portuale, Sapir, Cabot, Enichem, Acmar, gli


autoveicoli del mercato del pesce di Porto Garibaldi e, visto che terminavo la vendita del nuovo, mantenni il contratto di assistenza fino al termine della garanzia dei veicoli venduti, tenendo aperta l’officina ancora per un anno, e iniziai a frequentare i mercatini dei ricambi al sabato e alla domenica grazie al prezioso aiuto di mio padre e mio fratello. Nel 1990 acquistai lo stock dei ricambi della Piaggio di Pontedera, messo all’asta a un prezzo d’occasione, ma dovetti prendere in affitto uno spazio del cinema di Marina Romea perché non avevo più modo in officina di tenere tutti i pezzi: se i cinefili avessero saputo che sotto al palco e nella biglietteria erano stipati tutti i miei ricambi Piaggio…! Fino al trasferimento a Ravenna acquistai diversi magazzini per contenere una mole di pezzi davvero importante poi nel ’99, grazie alla fiducia che mi diede un istituto di credito, ci trasferimmo al Mir in un locale che al tempo ci pareva enorme ma, nel 2007, dovetti prendere un secondo capannone. All’inaugurazione del marzo del 2000 invitai moltissime riviste e televisioni del settore che, con mio grande piacere, pubblicarono una cinquantina di redazionali. Fu una buona pubblicità. Dai 25 metri quadri del primo negozio ai circa 2 mila di quello attuale: qual è il segreto del successo? L’entusiasmo e una grande passione. Che difficilmente riesci a trasmettere. Da 9 anni lavora qui anche mio figlio Raffaele, siamo in 7 contando anche i dipendenti, tutte persone in gamba che stimo, ma questo è il mio sogno, non il loro. Una simile attività ha successo solo se supportata da una enorme dose di passione.

Mauro Pascoli (il primo a destra) con la moglie Loretta e il figlio Raffaele nei locali del Museo della Vespa.

Qual è la soddisfazione più grande che ha avuto in questi anni? Essere arrivato ad avere 40 mila clienti in tutto il mondo, grazie al passaparola alle fiere e al nostro sito web dove facciamo e-commerce da 13 anni. Ho clienti storici lapponi che mi sono venuti a trovare a Marina Romea nel 1996 per il cinquantesimo anniversario della Vespa. Ha avuto una figura di riferimento? La mia famiglia è stata fondamentale: mi ha sostenuto sempre pur pensandola diversamente da me in tante occasioni e mia moglie Loretta è diventata socia nel 1999 con la costituzione della Mauro Pascoli Srl. Come avete affrontato la crisi globale che ancora affligge i mercati? Fino al 2010 il nostro fatturato è rimasto invariato nonostante da due anni già si parlasse di crisi. Nel 2011 e nel 2012 è sceso

passione

leggermente e anche quest’anno abbiamo registrato una piccola flessione. Niente di insormontabile, tanto che, lo scorso anno, abbiamo acquistato un camion di 19 metri per 6 che utilizziamo per le fiere cui partecipiamo ogni anno, una vetrina mobile esclusiva per il nostro settore.

intuizione

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lavoro di quello trascorso a casa. Mia moglie Loretta, grazie a Dio, è stata davvero comprensiva, mi ha sempre seguito e sostenuto al punto che l’anno scorso ha portato qui all’interno della società la sua passione dell’infanzia. Le nostre due passioni, la Vespa e l’arte, sono diventate i nostri lavori: dopo aver seguito per cinque anni una scuola di bigiotteria, ha imparato varie lavorazioni e tecniche di tessitura fino ad aprire un sito ‘Pure-art’ che commercializza le sue creazioni, esposte anche nella nostra sede.

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Di investimenti ne facciamo sempre: abbiamo aperto il ristorante InVespa Lounge Bar a Marina Romea e recentemente abbiamo rinnovato il sito web. A volte, però, penso che se tornassimo ai numeri di un tempo, se razionalizzassimo le risorse, se puntassimo solo sul dettaglio lasciando l’ingrosso, la nostra attività ne gioverebbe.

Quali sono le caratteristiche di un buon imprenditore? Di certo la serietà perché ne va del mio nome e poi la flessibilità con il cliente. Io programmo sempre la mia attività, non sono mai stato chiamato da un istituto di credito perché avevo dimenticato un versamento e penso che la mia serietà sia stata premiata tutte le volte che ho avuto bisogno di un prestito per un investimento.

Quando e com’è nata l’idea del museo della Vespa? Il mio commercialista mi ha suggerito di suddividere il capannone in tre aree: l’area mostra data in concessione gratuita

Ha un giorno di libertà - anche dalle preoccupazioni - come lo trascorre? Sto a casa e visto che amo il mio giardino, ci ‘perdo’ pomeriggi interi. Ma sono sempre tanto impegnato, è difficile che stia fermo. Qual è il sacrificio più grande che ha fatto per il lavoro? Ho sacrificato la famiglia, ma quando si ha una grande passione che si vuole coltivare è difficile non impegnarsi a fondo, sono scelte di vita. Quando eravamo a Marina Romea, con officina al piano terra e abitazione al primo piano, era più il tempo che passavo al

volontà

Il motorhome di Mauro Pascoli, un vero e proprio centro ricambi Vespa itinerante.

impegno


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Una parte dell’immensa collezione di Vespe della Mauro Pascoli. In basso l’interno dell’InVespa Lounge Bar di Marina Romea (RA).

all’associazione ‘La Bella in mostra’ (ndr e con Bella s’intende, ovviamente, la Vespa) nel 2000, che è passata da 50 a 500 metri quadri, l’area commerciale e l’amministrazione. Nel 2007 mi è stato proposto di entrare nel circuito ‘Terra di Motori’ e ho accettato con entusiasmo poi, dal 2008, hanno iniziato a venire diverse televisioni, da Canale 5 e RAI, alla BBC inglese, una

televisione brasiliana e tantissimi redattori di riviste specializzate. Ogni anno qualche migliaio di persone viene in visita al museo ed è un’enorme soddisfazione per me, che nell’animo sono e resterò sempre un collezionista, vedere tanta gente rapita e ammirata da questa mia passione. Qual è la prima cosa che fa quando arriva in azienda e l’ultima prima di andare a casa? Sono il jolly e il punto di riferimento di tutti. Quando arrivo rispondo ai quesiti dei miei dipendenti poi pianifico la giornata. Prima di andare a casa controllo che tutto sia a posto e, in linea di massima, mi annoto le cose da fare la giornata successiva. Qual è la cosa che più di tutte la irrita? Essere preso in giro, ecco proprio non lo sopporto.

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Da imprenditore a imprenditore

Qual è il rischio più alto che ha corso in questi anni?

Avere contratto, tra il ’99 e il 2000, un debito davvero importante per la mia azienda... che però estinguerò a dicembre di quest’anno.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato La sua attività è nata per caso o per passione?

costanza

affidabilità

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Una passione lunga oltre 50 anni Entra in azienda per affiancare il padre nel 1982 e da lui impara un mestiere e la dedizione per il proprio lavoro. Riccardo Pinza cresce insieme alla sua azienda superando brillantemente anche momenti difficili e ne taglia il traguardo dei 50 anni festeggiando con l’inossidabile socio, Ziniano Sintoni. All’intervista partecipano entrambi desiderosi di far conoscere la loro realtà: un’azienda di dimensioni ridotte che ha collezionato, negli anni, clienti sempre più importanti.

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Presente sul mercato da più di 50 anni, e attiva a 360° nel settore, Elettromeccanica Pinza realizza e installa impianti elettrici per il settore industriale e navale. È attiva, inoltre, nella riparazione di motori elettrici, gruppi elettrogeni, gruppi di continuità, dinamo e convertitori. Infine da Elettromeccanica Pinza è possibile acquistare gruppi elettrogeni e motori elettrici, pompe, quadri da cantiere certificati ASC, cavi speciali per uso navale, e altro materiale del ramo; inoltre si noleggiano gruppi elettrogeni e motosaldatrici.

ELETTROMECCANICA PINZA SRL

Via B. Buozzi 15, 48123 Ravenna Tel. 0544 453589 • www.elettromeccanicapinza.it

Quando è nata l’azienda e chi l’ha fondata? L’ha fondata mio padre Adriano nel 1957 insieme a un socio, Giorgio Morelli. Entrambi lavoravano nelle Officine Artigiane a Forlì e decisero di mettersi in proprio aprendo in via Mangagnina a Ravenna. Nel 1962 fondarono anche l’Oema con sede a Forlì. Purtroppo il suo socio scomparve nel 1968 e mio padre iniziò a dividersi tra Ravenna e Forlì per seguire entrambe le aziende. Nel ’70 divennero suoi soci tre dipendenti che lavoravano con lui già da una decina d’anni: Antonio Falcione, Pierina Bissi e Ziniano Sintoni. Oggi, operativi in azienda, siamo in tre: Sintoni, mia moglie Tiziana e io con mia madre e mio fratello come soci. Nel 1975 costruimmo un primo capannone alle Bassette e nel 1982 un secondo. Proprio alla fine di quel 1982 entrai in azienda. Qual è stato il percorso che l’ha portata qui? (Pinza) Mi sono diplomato come perito industriale e dopo un paio di anni alla facoltà di ingegneria ho iniziato a lavorare qui. L’attività mi piaceva dunque ho intrapreso gli studi che mi consentissero di acquisire competenze, ma non finalizzati necessariamente all’inserimento aziendale. Sinceramente non pensavo che avrei iniziato a lavorare con mio padre: la mia era una passione personale. La ‘stagione estiva’, però, la facevo in azienda ancora quando studiavo all’Iti: mio padre mi assumeva e, dopo tre mesi mi licenziava consentendomi una vera e propria formazione sul campo. La gavetta, ammetto, è stata dura: le ore erano tante e tornavo sempre a casa sfinito. Entrato qui in pianta stabile ho iniziato a lavorare sulle navi dove per tredici anni sono stato tecnico di garanzia, nell’87 mi sono iscritto al Collegio dei Periti e nel ’93 sono rientrato in azienda come tecnico. (Sintoni) Riccardo non pensava minimamente di venire a lavorare qui, forse sarebbe diventato un impiegato seguendo i suoi amici. Suo padre lo spronava e spesso cercava lo scontro verbale per avere l’occasione di parlare il più apertamente possibile e confrontarsi con lui su tutto. Condivideva con il figlio preoccupazioni e soddisfazioni poi, nel momento in cui si è reso conto che Riccardo era davvero ben inserito all’interno del gruppo aziendale, lo ha voluto a pieno titolo nella compagine sociale responsabilizzandolo definitivamente.


Cosa ricorda di quei primi anni? Ziniano seguiva l’automazione, mio padre l’officina e la parte impiantistica e io lo aiutavo per quest’ultima. Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con lui: era esigente e pretendeva molto da me, penso si aspettasse che, sul lavoro, fossimo uguali invece i nostri caratteri erano assai diversi. Da mio padre e da Ziniano ho imparato un mestiere: mi hanno insegnato l’onestà, la dedizione al lavoro, ma non è stato semplice lavorare fianco a fianco con lui che era un leader, un decisionista a differenza mia, ma i nostri ‘scontri’ sono stati sempre costruttivi. Con gli altri dipendenti sono sempre andato d’accordo: non sono mai stato percepito come il figlio del capo visto che facevo qualunque cosa e non venivo privilegiato in alcun modo. Questo mi ha consentito di costruire un rapporto schietto anche con i miei colleghi con i quali non ho mai avuto problemi. Lavorare per aziende che realizzano grosse commesse all’estero vi ha aiutati in questi anni di crisi? (Sintoni) Di certo si hanno un po’ meno preoccupazioni, ma la tranquillità totale non c’è, a meno che l’azienda non sia vocata al 100% all’export. Riccardo Pinza, figlio del fondatore Adriano (a sinistra), con il socio storico Ziniano Sintoni.

Dunque avete preso accorgimenti particolari per la crisi? (Sintoni) Oggi siamo in 12 e siamo riusciti a limitare i danni grazie a qualche ora di cassa integrazione, ma solo per un dipendente. Abbiamo razionalizzato i costi e quotidianamente facciamo sacrifici per cercare di stare a galla, non potremmo pensare di lasciare a casa qualcuno. I margini, però, sono diventati minimi. Di crisi ne ho viste tante in tutti questi anni di attività, ma mai di così lunghe e complesse.

Le imprese del nostro territorio esportano mediamente per il 60% mentre sul restante 40% hanno subito una forte battuta d’arresto: oggi si acquista solo ciò di cui si ha realmente bisogno, si fanno davvero pochi investimenti, un tempo si rifaceva periodicamente l’impianto elettrico mentre oggi si interviene solo se si rompe qualcosa.

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Che rapporto avete con i dipendenti? (Pinza) Buono. Forse anche troppo. Non abbiamo mai licenziato nessuno, purtroppo molti si sono formati qui poi sono passati ad altre aziende più grandi. Alcuni sono ritornati, forse perché speravano di trovarsi meglio di quanto non sia avvenuto in realtà e noi li abbiamo ripresi. Mio padre sarebbe stato più inflessibile.

Ma ciò che dispiace maggiormente è che in periodi come questi, in cui i sacrifici per restare aperti sono tanti, non ci sia la percezione di quello che realmente sta accadendo e degli sforzi che tutti, nessuno escluso, devono fare per continuare a remare nella stessa direzione. (Sintoni) Quando le cose andavano meglio c’era l’auto aziendale, la mensa, la quattordicesima, poi, con l’arrivo di questa grossa crisi, quando è divenuto inevitabile, abbiamo dovuto fare dei tagli che non sono stati assolutamente compresi. Forse avere un buon rapporto, troppo aperto, a volte non paga: Adriano ci fece soci perché eravamo legati all’azienda, lavoravamo per lo stipendio, ma soprattutto perché eravamo animati da una grande passione. Oggi non è più così, la fidelizzazione è scomparsa, siamo tutti amici tra colleghi, organizziamo cene aziendali, ma si percepisce una sorta di disinteresse di fondo.

volontà

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C’è un sacrificio particolare, una scelta difficile che avete dovuto prendere in questi anni? (Sintoni) Tanti. Soprattutto accollarci mestieri che non erano nostri. Quando nel 2009 è venuto a mancare Adriano era necessario trovare una soluzione per sostituirlo, sia in officina che come amministratore. Nessuno se ne era mai occupato e ci siamo dovuti improvvisare con un carico di tanti dubbi e responsabilità, confrontandoci con situazioni mai affrontate prima. Cosa dovrebbe fare un’azienda oggi per restare a galla? (Pinza) Il 90% delle aziende in Italia sono piccole realtà come la nostra per le quali il ricambio generazionale non sempre è positivo perché spesso arrivano giovani poco appassionati al lavoro che restano per brevi periodi e poi migrano verso altre destinazioni. Forse il Governo dovrebbe cercare di renderci più agevole il lavoro e capire che di sacrifici ne facciamo tanti. Non dico che i corsi di aggiornamento o le norme per la sicurezza non servano,

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tutt’altro! Ma bisognerebbe avere una prospettiva più ampia e capire che se rimandiamo di un anno un corso perché non possiamo permetterci di perdere una risorsa per tre mesi in un cantiere, non lo facciamo per superficialità, ma per mancanza di alternative concrete e sostenibili. (Sintoni) Oggi è davvero complicato assumere, si sono perse tante quote di mercato. Ma come può pensare il Governo che, con le tante difficoltà quotidiane a carico di un’impresa, si riesca ad assumere nuovo personale nonostante la consapevolezza di quanto riuscirebbe ad apportare in termini di nuove idee, energia ed entusiasmo? Noi abbiamo poco lavoro per lo staff attuale figuriamoci per una persona in più. Perché, allora, si va avanti? (Pinza) Per il senso civico, più nei confronti degli altri che di noi stessi. Si va avanti perché ci si crede e perché non ci pare

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possibile chiudere, lasciare a casa personale che è con noi da trent’anni. Quasi tutti i giorni ci chiediamo chi ce lo fa fare, ma poi andiamo avanti. Ziniano è in pensione, il suo percorso lavorativo l’ha fatto, ma questa è casa sua: non saprebbe stare con le mani in mano. A me mancano cinque anni per la pensione, ma non posso pensare di non lavorare. Qual è la più grande soddisfazione che avete avuto in questi anni? (Pinza) Festeggiare i 50 anni di attività che, per un’azienda piccola come la nostra, è un grande traguardo. Siamo cresciuti piano piano collezionando clienti sempre più importanti: lavoriamo per Rosetti, Saipem, Sica, Metalsider, Riccoboni, Colabeton, aziende con cui non resti fornitore per più di 50 anni se non sei un professionista serio. Cosa vi irrita di più? (Pinza) La disaffezione e la poca consapevolezza di ciò che sta accadendo. Il sabato noi due siamo sempre qui ma il nostro sacrificio o, meglio, la nostra dedizione, viene percepita poco o per nulla: si tende a credere che, se restiamo aperti nonostante i bilanci in rosso, un buon margine di guadagno ci sia ancora. Purtroppo, invece, sono i sacrifici finanziari che facciamo in prima persona che ci consentono di andare avanti. Se poteste ritagliarvi una giornata di libertà cosa fareste? (Sintoni) Consideri che sono in pensione da 10 anni e sono

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ancora qui, ci sono andato dopo 42 anni di lavoro, più tardi rispetto al previsto dunque non mi pesa minimamente lavorare. La domenica, però, sto a casa e faccio il nonno. Ma se dovessi restare a casa per periodi più lunghi o quando l’azienda è aperta non starei tranquillo.

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Da imprenditore a imprenditore

La sua attività è nata per caso o per passione?

(Sintoni) Assolutamente per una grande passione, ho avuto la fortuna di trasformare anch’io un hobby in lavoro.

(Pinza) Anche il mio impegno è grande e riesco a stare a casa solo la domenica, ma non mi pesa. Spesso, poi, mi telefonano anche in quell’unico giorno di riposo dunque è praticamente impossibile staccare.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato Perché si continua nonostante tutto?

esperienza

oc mpetenza

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La Ferrari delle spedizioni Nata nel 1982, Columbia Transport è probabilmente una delle più note casa di spedizioni in Regione e vi lavorano solo donne. Fondata da Rosanna Bacchilega ed Emilio Ciliento, organizza migliaia di spedizioni ogni anno in Grecia, Israele, Cipro, Turchia, Cina, Armenia e ogni parte del mondo, con grande professionalità. Columbia è la storia di una donna tutta d’un pezzo, Rosanna, che la dirige e la amministra fin dalla fondazione, e che qui racconta l’evolversi di un successo mai dato per scontato.

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Columbia Transport Srl è una casa di spedizione internazionale con sede a Ravenna, fondata da Rosanna Bacchilega ed Emilio Ciliento nel 1982. Organizza tutti i tipi di trasporti verso qualunque destinazione e, in particolare, è specializzata nelle esportazioni via mare per full containers e groupage dai porti italiani dell’Adriatico verso il Mediterraneo Orientale, offrendo anche il servizio door to door. La società offre servizi di spedizioni marittime in Israele, Grecia, Cipro, Turchia e Cina, Armenia e mantiene buoni rapporti con i clienti di questi Paesi. Nel 1985 i due soci hanno fondato la società Centro Spedizioni Ravenna Srl, specializzata nell’espletamento di pratiche doganali e sdoganamento merci, di cui la Columbia Transport beneficia per tutta la gamma di servizi doganali. La società è gestita e diretta da Emilio Ciliento, doganalista di elevata esperienza.

COLUMBIA TRANSPORT SRL

Via G. Matteotti 31, 48121 Ravenna Tel. 0544 34555 • www.columbiatransport.net

Quando è nata Columbia Transport e chi l’ha fondata? La Casa di Spedizioni è nata nel 1982 e l’abbiamo fondata dopo 25 anni di attività dipendente presso importanti operatori portuali. Io sono nata a Riolo Terme, e mio padre (calzolaio) per mantenere la nostra numerosa famiglia, d’estate lavorava in portineria alle Terme. Lì conobbe il Sig. Santini (dirigente dell’agenzia marittima Andrea Cagnoni) che, a gennaio del 1960, mi assunse quando tutta la mia famiglia si trasferì a Ravenna per l’ingresso di mio padre all’Anic. Non avevo mai visto una nave, avevo fatto la terza avviamento professionale e un corso di stenodattilografa che mi è servito moltissimo. Ho quindi imparato tutto sul campo, ascoltando, studiando e leggendo tutto quanto era legato a questa nuova e bellissima professione. Essendo quasi sempre sola in ufficio (i colleghi erano spesso fuori) e dovendo destreggiarmi con le telefonate e le pratiche amministrative con la Capitaneria di Porto, iniziai a leggere sempre più riviste del settore, a seguire corsi specialistici presso la Camera di Commercio, a studiare l’inglese e imparare tutti i termini tecnici necessari per svolgere al meglio la mia nuova professione. Ho iniziato a 16 anni come agente marittimo, figura che rappresenta l’armatore e dà assistenza a navi ed equipaggio, per arrivare all’ attività di spedizioniere internazionale che invece carica sulle navi dell’armatore. Tutto questo è successo all’età di 40 anni, quando a mio marito Emilio si presentò l’occasione per metterci in proprio e così, dopo 25 anni di lavoro dipendente, decidemmo di costituire la società Columbia Transport (il cui nome deriva dal varo del primo shuttle spaziale americano simbolo di progresso e spinta all’innovazione avvenuto nel 1982) e diventare così imprenditori. Lei è un’imprenditrice di grande professionalità, una donna che da cinquant’anni lavora in un ambiente caratterizzato soprattutto da uomini. Si è mai sentita in difficoltà? Mai. A 20 anni stavo in porto anche 8 otto ore in mezzo ai portuali, e in mia presenza, non ho mai sentito una parola volgare. A ogni riunione, ogni assemblea cui partecipavo nessuno mi ha mai mancato di rispetto o messa in difficoltà. Stiamo parlando di 50 anni fa, erano altri tempi, si era più rispettosi nei confronti delle donne, comunque le mie opinioni venivano ascoltate e tenute sempre in considerazione. Per carattere parlo solo se sono assolutamente certa di ciò che affermo, bisogna sempre


tendere alla conoscenza e verificare con cura ciò che si sostiene. Leggo ancora tantissimo essendo anche molto curiosa di tutto ciò che è innovazione: le finanziarie, le leggi e decreti ministeriali, gli aggiornamenti sulle tante regole della mia attività. Qualche tempo fa ero a cena con il direttore generale di MSC (ndr con cui abbiamo un contratto da 17 anni) e parlavamo dei rapporti di lavoro tra l’Armatore e i vari spedizionieri di tutto il mondo. Mi ha molto gratificata l’essere considerata come una di famiglia. Credo che il porsi in una certa maniera con le persone, essere considerati professionali e seri, oltre che disponibili a qualsiasi cambiamento, paghi sempre, indipendentemente dal sesso. L’attività di Columbia Transport è complementare con quella di C.S.R. guidata dal suo partner Emilio Ciliento. Com’è lavorare con lui? Il nostro è un rapporto consolidato che dura da 40 anni dove il rispetto della persona e la totale fiducia sono alla base di tutto. Ci fidiamo in modo assoluto di ciò che facciamo reciprocamente nelle nostre varie attività. Emilio dirige il reparto doganale con la società Centro Spedizioni Ravenna (consociata di Columbia) e io seguo l’attività di spedizioni. Spesso mi accusa di essere troppo disponibile con tutti, ma fa parte del mio modo di concepire il lavoro, e la vita. Ricordo una sera, avevo 18 anni, era passata mezzanotte ed ero ancora in ufficio nell’attività precedente alla Columbia. Mio padre venne a controllare perché, non avendo il telefono a casa, non lo avevo avvisato del ritardo e constatando effettivamente che stavo lavorando, sorrise e, tra il compiaciuto e il rassegnato, sospirando tornò a casa. In famiglia mi avevano insegnato il senso del dovere e il rispetto per i superiori. Andavo via dall’ufficio solo quando mi dicevano che potevo farlo, non ricordo quante volte sono tornata a casa a piedi (al Villaggio ANIC) la sera per aver perso l’ultimo bus! Qual è il segreto del successo di Columbia? La professionalità prima di tutto, la serietà nel mantenere gli impegni, l’ottima collaborazione delle nostre dipendenti e dei nostri fornitori. Quando abbiamo deciso di metterci in proprio, io mi sentivo pronta per creare qualcosa di nostro perché potevo contare su 25 anni di esperienza alle spalle. Oggi se commetto un errore danneggio la nostra azienda, mentre nel precedente lavoro avrei danneggiato il mio titolare e non potevo permetterlo.

organizzazione

La titolare Rosanna Bacchilega al “ponte di comando” della Columbia Transport.

Per questa mia attitudine la Columbia non ha mai pagato una sanzione in trent’anni grazie alla professionalità che tutti i nostri collaboratori mettono nel proprio lavoro, cosa di cui vado particolarmente fiera. Il successo della nostra azienda è tutto ciò... Spesso le piccole e medie imprese, proprio per la loro dimensione, sono definite più famiglie che realtà produttive asettiche. L’aspetto della familiarità viene mantenuto anche in Columbia? Certamente. Le mie dipendenti sono con me fin dall’inizio: in Columbia si sono fidanzate, sposate, hanno messo su famiglia. Impossibile litigare, ci conosciamo troppo bene. So che a volte si coprono tra di loro nel senso che se una commette un errore lo sistemano rapidamente prima che arrivi a me e questo mi fa piacere perché significa che ho dato loro un buon esempio di lealtà. Sono sempre disponibile con loro, la mia porta è sempre aperta,

non serbo mai rancore, ma so essere severa se ripetono più volte lo stesso errore perché non tollero la disattenzione gratuita. Da noi vige la regola che risolta la questione, viene cancellata definitivamente, e non ci si torna mai più sopra. Qual è stata la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro? La più grande soddisfazione è data dalla lealtà dei nostri clienti, che da trent’anni continuano a darmi fiducia e, nonostante la grande competitività nel settore marittimo, non hanno mai cambiato i nostri servizi di spedizione. Per scelta non abbiamo corrispondenti all’estero. Sono clienti affezionati e storici che man mano ci hanno messo in contatto con altri loro conoscenti (a volte concorrenti) e questo è il nostro vanto: la dimostrazione, credo, che svolgiamo un buon lavoro. Un’altra grande soddisfazione è non aver mai in 30 anni, chiuso un bilancio in rosso e di questi tempi...

passione

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Avete risentito della crisi economica? Marginalmente, lavorando principalmente per Paesi Extra UE. Piuttosto la crisi ha toccato moltissimo la Grecia e Cipro che hanno ridotto le commesse, ma questo ci ha spronato a cercare clienti nei Paesi poco industrializzati, che vivono di importazioni, quindi obbligati ad acquistare le materie prime in Italia, offrendo loro i nostri servizi. Con questi accorgimenti siamo riusciti ad affrontare la crisi con un lusinghiero + 15% nello scorso esercizio. Pensa che la crisi abbia cambiato il rapporto tra gli imprenditori? Si fa rete o si cerca di sopravvivere autonomamente? A mio parere la crisi peggiora i rapporti, la gente si incattivisce, la competizione aumenta. Un tempo ci si aiutava, se non riuscivi a servire un cliente lo passavi a un’altra agenzia, si concludevano affari con una stretta di mano e non esistevano gli attuali mandati di spedizione o contratti. Non ci sentivamo “concorrenti”: eravamo amici. C’è però anche da dire che 50 anni orsono eravamo una decina.

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Oggi, solo a Ravenna, ci sono oltre 100 aziende di spedizioni marittime, quasi tutte fuoriuscite da Case di Spedizioni ‘storiche’ e ognuna cerca di sopravvivere prendendosi cura del proprio orticello. Per nostra fortuna trattiamo affari con clienti che cercano un “buon servizio” e, a questo scopo, abbiamo improntato l’attività sulla qualità. Questo metodo, fino a ora, ci ha dato ragione. Se potesse avere una giornata di libertà come la trascorrerebbe? Una giornata di libertà la passerei in casa! Dopo aver sistemato cose che non sempre riesco a fare durante le intense giornate lavorative, lavorerei a maglia oppure leggerei libri... È noto che una casa di spedizioni internazionale non può contare su giorni di chiusura, avendo partenze giornaliere da ogni porto e per qualsiasi destinazione con schedule programmati, e il risultato è che non stacco mai. Ma vivo questa situazione serenamente perché, come ripeto, mi piace ciò che faccio.

Qual è la sua routine quotidiana in azienda? Arrivo verso le 8, a volte già salendo le scale suona il telefono, torno a casa per pranzo, rientro alle 15 e finisco sulle 20. Può capitare la telefonata dell’ultim’ora che non sai mai se ti tratterrà un minuto o un’altra mezz’ora in ufficio. Questo succede anche il sabato e la domenica mattina, dove mi sono imposta di staccare alle 13:00, ma fa parte del gioco. Quando siamo all’estero - in viaggio di lavoro - nonostante l’età e le varie visite ai clienti, mi godo in pieno la settimana che considero una ‘vacanza’ lasciando l’azienda in mano alle mie collaboratrici, delle quali ho la massima fiducia. Ci raccontava che in famiglia eravate in nove ed essendo scomparsi giovani i suoi genitori lei ha dovuto responsabilizzarsi molto presto. Qual è l’insegnamento più grande che le hanno lasciato? L’onestà. Ricordo quando mia madre trovò in tasca a mio fratello Oscar, di 10 anni, una statuina del presepe e riuscì a farsi dire che l’aveva sottratta al vicino di casa. Così lo accompagnò al piano di sopra a restituirla e scusarsi per l’increscioso accaduto. Quando ne riparliamo oggi, a 60 anni suonati, mio fratello ancora arrossisce! Un altro insegnamento è stato di accontentarmi di ciò che avevo, perché c’era sempre qualcuno che ne aveva molto meno. Dopo la morte di mamma a 46 anni (nel 1966), mi sono rimboccata le maniche aiutando mio padre e i miei fratelli e sorelle, ancora molto piccoli, e dopo che anche nostro padre ci ha lasciato, ho cercato di trasmettere loro gli insegnamenti dei nostri genitori, enfatizzando che eravamo una Famiglia e ognuno,

Rosanna con le sue amate ragazze.

forza d’animo

precisione


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Da imprenditore a imprenditore

a suo modo, doveva fare la sua parte, accontentandoci di ciò che avevamo.

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Qual è un sacrificio personale che ha fatto per il suo lavoro? Non lo chiamerei sacrificio, perché tutte le mie scelte di vita sono state dettate dai sentimenti e non dagli interessi personali. Ho preso decisioni importanti e difficili che comunque rifarei. Certamente per il mio lavoro ho sacrificato la mia vita privata, ma nella mia numerosa famiglia sanno che possono sempre contare su di me, e che faccio di tutto per non mancare mai agli avvenimenti più importanti per ognuno di loro, ben sapendo quanto sia importante il mio lavoro.

Perché amo tantissimo il mio lavoro dove non si smette mai di imparare. Anche oggi, dopo 53 anni di attività, scopro sempre qualcosa di nuovo leggendo e documentandomi. Se qualcosa è difficile mi è di stimolo e faccio di tutto per impararla: esiste una ricetta migliore per restare sempre giovani? E poi non va sottovalutato il risultato economico che ancora c’è...

Perché si continua nonostante tutto?

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato Lavori per interesse o per passione?

professionalità

correttezza

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Liberi di volare lontano Una realtà relativamente giovane, frutto dell’unione di tre grandi professionisti, amici da tempo. Airone è oggi in grado di offrire un servizio completo al cliente nel settore della depurazione delle acque e si vuole aprire all’estero con grinta ed entusiasmo. I tre soci, Giambattista Mazzotti, Nerio Missiroli e Giovanni Emiliani hanno la giusta lungimiranza per fare crescere l‘azienda e in quest’intervista si raccontano a 360 gradi.

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Airone Ambiente opera per la tutela ambientale nel settore della progettazione, costruzione e gestione di impianti per la depurazione di acque reflue di qualsiasi origine, da quella civile, come ad esempio lottizzazioni residenziali, a quella industriale, il cui settore di elezione è quello agro-zootecnico-alimentare, dove numerosi sono gli interventi effettuati. L’azienda è nata nel 1991 dall’esperienza e dalla passione dei soci fondatori, tutti tecnici con esperienza ventennale provenienti, pur con diverse e complementari specializzazioni, da altre aziende operanti nel medesimo settore. Dispone di una propria peculiare tecnologia con altissimi rendimenti e contenuti consumi energetici ideata e messa a punto dai propri tecnici in base all’esperienza personale e in collaborazione con docenti dell’Università di Parma e del Politecnico di Milano.

AIRONE AMBIENTE SRL

Via Fuschina 22, 48022 Lugo (Ra) Tel. 0545 30280 • www.aironeambiente.it

Quando è nata Airone Ambiente e chi l’ha fondata? (Missiroli) È nata nel novembre del 1991 fondata da 5 soci. Dal ’93 al 2006 i soci sono stati tre, Marco Drudi che seguiva il commerciale, Enrico Mantellini la cantieristica e io che seguivo la parte tecnica e amministrativa. La prima sede è stata in via Passamonti a Lugo, ma avevamo un’unità operativa a Rimini e una anche a Cesena. Prima di arrivare in Airone Ambiente avevo già fatto esperienza sul campo: sono perito chimico e, a metà degli anni Ottanta, ho lasciato il mio impiego presso il depuratore del Comune di Faenza, per aprire uno studio, esattamente nel 1985, poi il laboratorio chimico nel 1989. Nel 1991, con gli altri soci, abbiamo dato vita ad Airone Ambiente. Col tempo alcuni soci hanno fatto altre scelte, altri sono andati in pensione e da quest’anno abbiamo dato vita a un nuovo assetto con altri soci; con me ci sono Giambattista Mazzotti e Giovanni Emiliani oltre al figlio di quest’ultimo, Matteo. Tutti hanno un’attività in proprio e collaboravano con Airone già da diversi anni - con Giovanni ho studiato alle superiori. I nostri sono settori complementari nella depurazione delle acque di scarico e ci siamo trovati per dare vita a un progetto che offrisse al cliente un servizio a 360 gradi: io mi occupo di processi biologici, Emiliani di processi chimico-fisici e trattamenti per acque a uso primario e Mazzotti realizza impianti per piccole comunità, serbatoi e contenitori in vetroresina. Trattiamo quindi tutta la filiera dell’acqua, dalla sorgente allo scarico, perché abbracciamo un insieme di opportunità che singolarmente non saremmo riusciti a coprire. Oggi lavoriamo in Italia, ma il nostro obiettivo è espanderci all’estero considerando che abbiamo avuto la forza di fare un’azione integrata e abbiamo già numerosi contatti. Il nostro è un progetto che da anni discutiamo e si è concretizzato prima tra Mazzotti ed Emiliani con la costituzione di “Ema Engineering” allo scopo di estendere le loro competenze verso soluzioni di trattamento chimico-fisici e non solo biologiche, poi l’occasione di trovarci tutti insieme in Airone Ambiente, per una nuova sfida. Alle spalle di ciascuno dei soci ci sono società solide e attive da molti anni sul territorio. In particolare il fondatore di Omnia Resina Mazzotti è uno dei soci storici dell’Associazione, sin dagli anni della sua costituzione nel 1970. (Mazzotti) Sì, mio padre e mio zio nel 1967 a Bagnara fondarono l’azienda che, pochi anni dopo, si associò alla neonata


Associazione delle PMI locali con la quale si consolidò negli anni un proficuo rapporto di collaborazione. Che ricordo ha dei primi anni della sua attività in azienda? (Missiroli) Rimpiango i rapporti umani tra le persone e le aziende. Ricordo ancora la società che mi chiese di progettare e realizzare il primo impianto di depurazione: eravamo nel lontano 1989 e dovevano trattare le acque provenienti dal processo di produzione di amido da riso, tra l’altro piuttosto difficile da ‘pulire’ pertanto fu una bella sfida! E la soddisfazione è grande pensando che attualmente ne curiamo ancora il funzionamento. Ha avuto una figura di riferimento? (Missiroli) Ho avuto un mentore negli anni ’80, il direttore dell’allora Laboratorio Provinciale di Igiene e Profilassi di Ravenna, il Dottor William Vandini che alle mie richieste di conoscenza mi assecondò aprendomi le porte della biblioteca del laboratorio, ricca di testi sulla depurazione che iniziai a studiare. Qual è la soddisfazione più grande di questi anni? (Missiroli) Ce ne sono tante: ci siamo specializzati nel settore industriale dove una problematica non è mai uguale a un’altra, devi essere sempre pronto. E poi la creazione di un depuratore a Sala di Cesenatico, nel 1992, il primo realizzato da Airone Ambiente: la ditta lavorava prodotti ittici, soprattutto pesce azzurro e scaricava, quindi, acqua molto salata che nessuno, fino a quel momento, era stato in grado di trattare. Realizzammo il depuratore con una tecnologia particolare, poi diventata il nostro marchio di fabbrica, e ancora oggi ci occupiamo del suo funzionamento.

Da sinistra: Giambattista Mazzotti, Nerio Missiroli, Giovanni Emiliani con il figlio Matteo. In basso a sinistra la prima creazione di Airone Ambiente: il depuratore a Sala di Cesenatico, realizzato nel ‘92.

Quali devono essere le caratteristiche di un imprenditore? (Mazzotti) Deve necessariamente essere dinamico, predisposto all’innovazione, deve muoversi e informarsi, avere tanta volontà, tanta pazienza ed essere anche un po’ fortunato. (Missiroli) Serio prima di tutto e la sua attività non deve mettere in difficoltà il cliente bensì risolverne i problemi, Airone Ambiente ha sempre lavorato in quest’ottica.

(Missiroli) Spesso capita di essere contattati da un’azienda che necessita di un depuratore ma, nell’esplicitarti la richiesta, racconta verità parziali, dà informazioni inesatte o incomplete per risparmiare, mentendo, per esempio, sulla reale portata degli scarichi al solo scopo di ottenere un vantaggio economico. La superficialità è una cosa che non tollero proprio.

(Emiliani) Serve tanto impegno, la pazienza e la serietà devono essere lo zoccolo duro di ogni imprenditore.

C’è un sacrificio personale che avete fatto per lavoro e che rifareste? (Emiliani) Tante notti in bianco, ma non le ho mai percepite come un sacrificio.

Cosa vi irrita di più? (Emiliani) La spregiudicatezza che taglia le gambe a quanti vorrebbero lavorare bene: spesso un cliente crede con più facilità a una bugia che alla verità. Tanti non si meritano di stare sul mercato e spero che la crisi contribuisca a ‘sfrondare questi rami secchi’.

(Mazzotti) Il sacrificio è parte del gioco dunque non ti pesa; un imprenditore deve avere questa linea di pensiero o è meglio che non faccia questo lavoro. Se credi in ciò che fai non ti pesa rinunciare anche alle ferie per portare avanti un progetto. Rifarei tutto ciò che ho fatto, dall’inizio alla fine.

collaborazione

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Che rapporto avete con i vostri dipendenti? (Missiroli) Buono, anche perché ne abbiamo solo uno, sarebbe grave se non fosse così! Siamo quattro soci, un dipendente e un collaboratore esterno che ci aiuta a gestire un impianto particolare. Vi confrontate spesso? (Mazzotti) Lavoriamo insieme da troppo poco per avere già avuto scontri! Le nostre sono sempre state riunioni costruttive, siamo tutti e tre aperti a nuove opportunità quindi, prima di prendere una decisione, la studiamo attentamente a tavolino. La nostra collaborazione è nata, come abbiamo detto, per offrire un servizio completo al cliente con l’obiettivo di ampliarci all’estero dunque ben vengano i contributi, le idee di ognuno per realizzare qualcosa di valido e, quando finalmente la crisi passerà, saremo pronti a confrontarci con i nuovi scenari che si presenteranno.

(Emiliani) Avere unito le forze in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo è stato un grande atto di fiducia per il futuro, ci crediamo molto!

per contribuire, nel suo piccolo, al rilancio dell’economia? (Emiliani) Penso piuttosto a cosa potrebbe fare il Governo che sta tagliando le gambe a qualsiasi iniziativa, indistintamente a tutti: burocrazia, tasse, adempimenti. Il recepimento delle nuove normative europee è un peso quasi insopportabile per un’azienda che, in questi anni, cerca solo di sopravvivere. Se la burocrazia venisse snellita forse la situazione migliorerebbe. Un’azienda con cinque addetti paga gli stessi costi di una con 50 e questo non è giusto. Non vengono create linee di credito agevolate, le spese non vengono tagliate e si appesantisce il sistema burocratico che schiaccia le aziende; si sta facendo il contrario di ciò che il buonsenso direbbe di fare.

Dal vostro osservatorio cosa pensate si potrebbe fare per cambiare questa situazione? Qual è il ruolo che dovrebbe avere un’azienda

In questi momenti, con gli altri imprenditori, si fa rete per sopravvivere o la competizione è alle stelle?

(Missiroli) Quello che mi piace maggiormente della nuova compagine di Airone Ambiente è di volere affrontare nuove sfide mettendoci quella grinta che prima si era un po’ sopita; i nuovi soci sono linfa nuova, idee nuove, i problemi si affrontano insieme nel massimo rispetto di ognuno. 64

(Missiroli) Nello stesso settore merceologico è difficile fare sistema: guardi il tuo ‘orticello’ e cerchi di barcamenarti tra le mille difficoltà. Noi ci siamo uniti perché abbiamo considerato i lati positivi nella complementarità delle nostre aziende, non perché ci facessimo concorrenza e volessimo in questo modo contenerla. (Mazzotti) Oggi la concorrenza è alle stelle anche se dicono che le reti di impresa stanno prendendo piede, ma dubito tra aziende dello stesso settore, penso piuttosto siano complementari come le nostre. Da noi il campanilismo è fortissimo, retaggio culturale che portiamo avanti da decenni e duro da cambiare. (Emiliani) Gli operatori non hanno la mente aperta, faticano a uscire dal proprio giardino quindi, a mio parere, è quasi impossibile fare rete. Perché si continua nonostante tutto? (Missiroli) Per passione. Non vorrei fare nient’altro che non fosse depurazione. (Mazzotti) Lo spirito imprenditoriale ti obbliga a vedere la positività nel futuro; l’obiettivo è credere che ci sarà qualcosa di bello domani, il bicchiere è sempre mezzo pieno. Se foste una squadra di calcio quali sarebbero i vostri ruoli? (Mazzotti) Emiliani e Missiroli sono tecnici ed è un piacere sentirli parlare. Loro potrebbero stare in attacco a segnare, io in difesa a mettere le pezze!

lungimiranza

umiltà


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Il laboratorio analisi.

Un giorno di libertà, libero da preoccupazioni, riuscite ad averlo? (Emiliani) Assolutamente sì, è indispensabile per tornare in azienda con la mente lucida. Magari con Nerio faccio una ‘sgambatina’ in bicicletta sulle nostre colline. Sabato e domenica li dedico alla famiglia, ogni tanto riesco a ritagliarmi una giornata in mezzo alla settimana, anche se è raro, ma va bene così.

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Da imprenditore a imprenditore

Lavori per interesse o per passione?

Lavoriamo sempre con il cuore, siamo ancora qui soprattutto per passione.

(Mazzotti) Io amo molto la moto e organizzo spesso dei giri con amici. Andare via è quasi un’imposizione per il bene di noi stessi e anche degli altri. (Missiroli) Se è possibile, lavoro permettendo, si stacca sempre volentieri. Come in tutte le aziende ci sono momenti in cui si deve garantire la presenza e altri in cui si può ‘scappare’. Ma se il lavoro ti piace, come a noi, non percepisci come ‘peso’ la presenza costante in azienda.

o m s i m dina

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

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Hai un ripianto di questi anni di lavoro? Cosa non rifaresti?


Il sapere in un chip Da vent’anni sul mercato, Guglielmo Balsamini e Luca Berardi non si sono ancora stancati di scommettere sulla loro Autec Srl che li ripaga con nuove commesse. Sicurezza e affidabilità sono i must dei loro prodotti che sanno, con professionalità, costruire attorno ai propri clienti. Un team affiatato che, negli anni, ha diversificato i settori d’intervento restando sul mercato nonostante le difficoltà della crisi economica mondiale. AUTEC

Engineering

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Autec Srl, nata nel 1993, fornisce, oggi, un’avanzata tecnologia elettronica per automazione di macchine. Inizialmente progettando apparecchiature elettroniche nel settore dell’automazione industriale e successivamente nel settore delle macchine per la lavorazione del manto stradale. Dispone di uno staff di progettisti dinamici che, acquisita la problematica del cliente, offre soluzioni tecnologicamente evolute progettando schede e software dedicato, nel linguaggio che il cliente richiede (C, Visual C, Visual Basic e molti altri, sia in ambienti embedded che Windows e Linux), nel caso in cui non siano già disponibili sul mercato strutture elettroniche con le caratteristiche richieste. Dall’idea al prodotto, il processo di creazione dell’elettronica è sempre affiancato da attenti controlli di qualità progettuali ed esecutivi. Autec Srl offre consulenza tecnica su impianti esistenti e propone nuove soluzioni per migliorarne le prestazioni.

AUTEC SRL

Via Santa Barbara 111, 48010 Fusignano (Ra) Tel. 0545 52934 • www.autec-ra.it

Quando è nata l’azienda e chi l’ha fondata? (Balsamini) Autec Srl festeggia quest’anno i vent’anni. È nata nel ‘93 da un’idea di Guglielmo Balsamini, Luca Berardi e Sica Spa. A quei tempi eravamo dipendenti di CNI di Alfonsine che realizzava e realizza ancora sistemi d’automazione per macchine automatiche e con cui abbiamo mantenuto un ottimo rapporto anche dopo esserci messi in proprio, anche perché noi seguivamo le materie plastiche, lavorando con Sica, mentre loro seguivano principalmente il settore legno. Dunque, pur essendo all’interno dello stesso settore non eravamo in concorrenza. Quando decidemmo di aprire la nostra azienda, Autec AUTomation TEChnology - Sica entrò come socio al 50% e ci diede la nostra prima, e attuale, sede. Iniziammo in una stanza con due sedie e un punto luce sul soffitto. Ricordo che ci guardavamo sorridendo ripetendoci ‘ma saremo stati dei matti?’ Poi abbiamo acquistato due tavoli, una cassettiera e i computer. Poco dopo è arrivato Roberto Burchi, un nostro ex collega che è rimasto qui fino al 2000. In tre eravamo già ben assortiti: io come progettista hardware, Luca per acquisti e produzione e Roberto per il software. Poi, anche con il benestare di Sica per la quale abbiamo lavorato in esclusiva i primi anni, ci siamo aperti all’esterno e tra i clienti principali abbiamo acquisito la società Marini che realizza macchine stradali. Per anni ci siamo occupati di automatizzare alcune loro macchine poi abbiamo voluto diversificare acquisendo come clienti anche la società Mait di Osimo che costruisce trivelle e un’azienda che si occupa di selezionatrici ottiche nel settore agroalimentare per i quali abbiamo progettato la parte elettronica. Il nostro approccio è da sempre lo stesso: un meeting con il cliente per capire problematiche ed esigenze e un brainstorming tra di noi per valutare come approcciare le difficoltà e dare una soluzione ad hoc con uno studio di fattibilità per limitare i rischi. Cosa ricordate di quei primi anni? (Balsamini) La difficoltà di essere credibili. Contattavamo fornitori e ci presentavamo come Autec che era una realtà nuova, dunque sconosciuta. Fortunatamente potevamo dire di appartenere al ‘gruppo’ Sica e questo ci ha aiutati a decollare. È stata una collaborazione davvero importante.


Oggi il team Autec da chi è formato? (Balsamini) Nel 2001 è entrato Giorgio Zizzi che segue il software a basso livello, specialistico, Claudio Pelloni, Mirko Zannoni che segue il software di alto livello ossia l’interfaccia con la macchina, poi c’è Franco Forlani e due collaboratori esterni. Da dicembre dello scorso anno Luca e io siamo gli unici titolari. Questo era il vostro sogno sin da bambini? (Balsamini) Luca e io veniamo da anni in cui i ragazzini passavano le giornate giocando con i circuiti così è venuto naturale studiare elettronica. Abbiamo preso le cose sempre molto seriamente e oggi che si guarda, purtroppo, al centesimo di euro, i nostri prodotti possono risultare un po’ più cari di altri. Questo però perché per noi la sicurezza e l’affidabilità sono irrinunciabili. Quali pensate debbano essere le caratteristiche di un imprenditore? (Berardi) La serietà, la professionalità e la lealtà che va, purtroppo, scomparendo. Oggi le grandi aziende hanno un entourage di fornitori da cui cercano di ricavare il più possibile al minor prezzo e spesso si finisce per contrattare per poche centinaia di euro. In vent’anni qual è la soddisfazione più grande che avete avuto? (Balsamini) Tutti i giorni ne abbiamo una. Tempo fa ci siamo proposti alla Sacmi, che disponeva di uno staff di ben 23 elettronici, per controllare lo spostamento di un piano di carico della polvere di terra per realizzare delle piastrelle. I piani dovevano salire in modo parallelo tramite due cilindri idraulici: il problema non trovava soluzione con lo staff interno, mentre noi realizzammo un buon sistema che suscitò l’entusiasmo di tutti perché si pensava fosse

Da sinistra Luca Berardi e Guglielmo Balsamini, soci fondatori di Autec, in compagnia di Valeria Giacomoni di Sica SpA di Alfonsine (RA).

un progetto irrealizzabile. Alla fine gli amministrativi, per questioni di budget, non lo acquistarono, ma la nostra soddisfazione fu massima.

internazionale, pertanto non siamo stati particolarmente penalizzati dalla crisi. Avere diversificato i nostri prodotti, negli anni, ci ha aiutato moltissimo.

Che rapporto avete con i vostri dipendenti? (Berardi) Siamo un unico gruppo, in un rapporto schietto, diretto e soprattutto paritario. Cerchiamo di responsabilizzare e motivare i nostri collaboratori e loro ci hanno sempre ripagati con una grande serietà e professionalità. Spesso fanno tardi perché vogliono terminare un lavoro nei tempi e nelle modalità concordate. Qui non esiste il cartellino ma, ovviamente, se si deve consegnare un progetto non si può guardare all’orologio, massima flessibilità da parte di tutti.

Come è cambiato il modo di fare impresa? (Berardi) I rapporti sono più diffidenti inoltre lo scoglio dei

Avete risentito della crisi? (Balsamini) Alcuni importanti clienti sono totalmente in controtendenza con grandi espansioni in corso a livello

determinazione

ottimismo

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cui ti accorgi di essere al tavolo da 16 ore, ma fa parte del gioco. Spesso, poi, i clienti ti chiedono accorgimenti in corso d’opera. In un’azienda piccola e dinamica i tempi sono stretti e bisogna essere pronti a risolvere le problematiche in fretta. Siamo stati in Europa, in Messico, in Argentina, in Giappone a controllare i macchinari sui quali erano montati i nostri sistemi, a volte chiamati all’ultimo minuto. Ma abbiamo famiglie comprensive e pazienti che capiscono quando ci vedono salire su un aereo per andare a risolvere un problema!

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reparti amministrativi è pesante. Prima il rapporto era gestito tra tecnici, oggi, dopo aver fatto l’offerta questa passa al vaglio dell’amministrazione che guarda la modalità di pagamento e di consegna, spesso tira sul prezzo arrivando, nella peggiore delle ipotesi, a bloccare tutto. La lungimiranza sta scomparendo: non si investe più nelle tecnologie e questo penalizza il nostro ambito.

Qual è un sacrificio personale che avete fatto per il vostro lavoro? (Balsamini) I primi anni non si contavano le ore che passavamo in ufficio. Nell’elettronica la famigerata Legge di Murphy funziona perfettamente: tutto va provato più volte dunque ci sono giorni in

Cosa vi irrita maggiormente? (Berardi) La mancanza di lealtà. Tu cerchi di essere onesto e propositivo e spesso il cliente cerca il cavillo per spuntare un prezzo più basso convinto che ci si guadagni sempre troppo. Non pensa a quante ore si impiegano per risolvere un problema

È possibile, al giorno d’oggi fare rete per stare sul mercato? (Berardi) Solo tra aziende con competenze e caratteristiche diverse che si completano. Diversamente è diventato davvero difficile. Perché, allora, si continua nonostante tutto? (Balsamini) Perché speriamo che i dirigenti delle grandi aziende arrivino a capire che se vogliono restare sul mercato con concorrenti come la Cina, per esempio, devono investire, migliorare i propri prodotti, renderli più performanti. Per uscire dalla crisi serve la qualità.

modestia

impegno


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Berardi e Balsamini in compagnia dello staff tecnico-ingegneristico dell’AUTEC.

proposto, si guarda solo al prezzo e questo finisce per danneggiare tutto il sistema. Se aveste una giornata di libertà come la trascorrereste? (Balsamini) Inizialmente non esistevano i weekend, ora per fortuna sì. A volte sono necessari dei sabati in azienda, ma è un evento raro. Spesso abbiamo viaggiato insieme: partecipando a fiere all’estero ci siamo concessi anche qualche giro da turisti. E comunque io ho due figli, Luca uno e passiamo i weekend con le nostre famiglie. Magari non stacchiamo completamente perché, se siamo nel bel mezzo di un progetto importante capita che ci si pensi anche a casa, ma non è una cosa che disturbi il menage familiare.

vanno avanti diversi giorni quindi uno arriva e sa già quello che deve fare. Poi, se sorge un problema, ci confrontiamo e ne discutiamo tutti insieme.

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Da imprenditore a imprenditore

Hai un ripianto di questi anni di lavoro? Cosa non rifaresti?

(Balsamini e Berardi) La mancanza di esperienza ti porta a commettere errori. L’accortezza e la malizia si imparano con il tempo e poi diventano tue preziose alleate. Fidarsi ciecamente, come facevamo i primi anni, non è più possibile.

Qual è la vostra quotidianità in azienda? (Balsamini) Dipende, non c’è una routine perché, a volte, i progetti

e n o i z a innov

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato Riesci sempre a dormire sonni tranquilli?

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Adeguarsi al cambiamento in un bit

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Un’azienda giovane, ma già affermata, che conta sull’esperienza decennale del suo team di programmatori, installatori, consulenti tecnici e commerciali e che si è specializzata nella consulenza del software gestionale. Bitservice, guidata da Alessandro Sintoni, socio di maggioranza, offre un servizio completo e commercializza le principali marche informatiche leader di mercato proponendosi come unico interlocutore per l’assistenza hardware, avvalendosi di personale tecnico specializzato. Un’azienda che mette al centro il cliente e la sua attività supportandolo nelle scelte strategiche grazie a un approccio personalizzato.

Quando è nata l’azienda e chi l’ha fondata? Bitservice nasce nel 1998 e oggi la compagine societaria è formata da cinque persone. La nostra è una storia articolata che parte negli anni ’90: deriviamo, infatti, dalla concessionaria Olivetti ‘Soprani Romeo’ dalla quale mi separai per creare la ditta Multiservice. Ma visto che io lavoravo sull’utente finale, ossia la piccola e media impresa, mentre gli altri soci facevano distribuzione di prodotti sui rivenditori ed eravamo, quindi, due aziende in una con tipologie di lavoro diverse, nel maggio ‘98 creai la Bitservice trasferendo tutti i nostri clienti. Nel 2008 decidemmo di compiere un acquisto strategico per la Bitservice, la ditta “Gir Informatica” azienda storica di Ravenna, questo connubio ha completato l’erogazione di servizi informatici offerti da Bitservice. Dopo vari passaggi siamo giunti qui, io sono il socio principale, ma ci sono altri 4 soci minoritari: Giovanni Bonoli (Bitservice), Alberto Giurlanda (Gir Informatica), Filippo Gamberini (Gir Informatica), e Cristian Zama (Bitservice), con noi dai primissimi anni dell’attività. Che ricordo ha di quegli anni? Ricordo la grande intraprendenza, la voglia di costruire un futuro, di creare posti di lavoro, di dare vita a qualcosa che potesse generare soddisfazione ai soci, ai dipendenti e alle loro famiglie. Da piccolo cosa avrebbe voluto fare, qual era il suo sogno? Lo spirito imprenditoriale era presente in me sin da bambino. L’informatica mi è sempre piaciuta, sono diplomato Tecnico Industriale elettrotecnico ed elettronico, a 14 anni mi feci regalare il mio primo Commodore, essendo molto appassionato di informatica, anche se poi iniziai la mia esperienza professionale vendendo mobili per ufficio e fotocopiatori.

Bitservice offre soluzioni informatiche ad hoc per l’azienda che vuole generare vantaggi competitivi e ridurre i costi ottenendo livelli di prestazione a valore aggiunto elevati. Un gruppo di 16 persone garantisce tempistiche d’intervento rapide con un servizio di reperibilità attivo 24 ore al giorno e contratti di assistenza competitivi su tutte le tipologie di prodotti installati.

BITSERVICE SRL

Via del Fringuello 24, 48124 Fornace Zarattini (Ra) Tel. 0544 471398 . www.bitservicesrl.it

Qual è stato il percorso che l’ha portata qui? Rientrato dai militari mia madre aveva sentito che da Soprani a Ravenna cercavano collaboratori, così mi diressi verso la concessionaria e, di lì a poco, iniziai a lavorare come agente. Fui subito assunto come commerciale addetto alle vendite con il metodo del ‘porta a porta’ che mi ha permesso, negli anni, di incontrare tantissime persone. Qui vengono le dolenti note... un tempo i rapporti erano più genuini, oggi è tutto meno ‘umano’,


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Da sinistra, tre dei cinque soci di Bitservice: Giovanni Bonoli, Alessandro Sintoni e Cristian Zama.

spersonalizzato, tutto si standardizza. Allora, senza cellulari, uscivo per iniziare il mio giro, facevo le mie chiacchiere, a volte realizzavo la vendita diretta e immediata visto che avevo sempre con me i listini prezzi. Oggi sarebbe impensabile, un listino dura al massimo una settimana ed è impossibile, quindi, vendere nell’immediato, tutto si è velocizzato. Negli anni del ‘porta a porta’ c’era sicuramente più umanità: i fax non esistevano e dovevo riportare tutto a mano compilando i moduli spesso direttamente dai clienti con i quali, nel frattempo, capitava di confrontarci e chiacchierare. I tempi frenetici di oggi non permetterebbero più una cosa simile. Ricordo quando iniziai a vendere i fax: i primi costavano quasi 5 milioni di lire! Penso si siano persi i veri valori: ormai se non funziona il pc sei fermo e vai in ansia mentre una volta se la macchina da scrivere non andava compilavi le carte a mano oppure ottimizzavi i tempi: mentre attendevi l’arrivo dell’assistenza facevi una commissione o una telefonata e ottimizzavi!

caparbietà

Com’è cambiato il modo di lavorare con la crisi? È cambiato perché c’è maggiore bisogno di assistenza: i clienti non cambiano più i prodotti con la facilità di prima, si lavora di più, ma con tanta frenesia. I tempi per i pagamenti si sono dilatati all’ennesima potenza ed è tutto più problematico e stressante. La crisi è mondiale, ma, dal mio punto di vista, in Italia, si potrebbe uscirne velocemente: difficile capire perché le banche italiane, che sono in salute, non finanzino più. Purtroppo la crisi ci ha costretti al ridimensionamento: qui eravamo in 17, oggi siamo in 15, ma non ci sarebbe possibile tagliare ulteriormente perché non riusciremmo più a garantire i nostri servizi. Diversamente da molti altri, abbiamo sempre lavorato contando solo su noi stessi e non su aiuti esterni. In Bitservice ci sono i TFR e i risparmi di soci e dipendenti, due stabili intestati all’azienda, non all’immobiliare, e non siamo esposti nei confronti delle banche grazie al frutto di tanti sacrifici. Noi soci abbiamo reinvestito l’utile qui per continuare a rimanere

in piedi e metterci dalla parte del sicuro sperando che cambi la situazione economica. Pensa che i dipendenti percepiscano appieno questo vostro sacrificio? Non credo. Io ho fatto tanti lavori, mi sono sporcato le mani

lealtà


Cosa la irrita maggiormente? Odio i bugiardi, io sono molto leale. Mi piace intrattenere rapporti franchi e onesti con le persone, colleghi o amici che siano. E ancora il lassismo e il menefreghismo sul lavoro. Il romagnolo si è sempre preso le proprie responsabilità, il lavoro era fondamentale per andare avanti, c’era l’uomo d’onore, la stretta di mano in piazza valeva molto più di una firma su un pezzo di carta. Oggi la gente è drasticamente cambiata. In peggio. E oggi purtroppo i furbi hanno superato gli onesti. Però un nucleo imprenditoriale sano sul nostro territorio è sopravvissuto e va avanti e questo è un buon segno.

e ne vado fiero. Quando hai un buon lavoro con una sicurezza economica dai per scontato che sarà sempre così. Molte aziende hanno dovuto tagliare drasticamente sul personale a causa della crisi, ma finché non ti tocca da vicino non capisci che anche a te potrebbe andare molto male.

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Quali pensa debbano essere le caratteristiche di un imprenditore? Sono un can che abbaia ma non morde. Sono caparbio, determinato, tenace. Siete 5 soci che fanno squadra, vi vedete anche fuori dal lavoro? A volte ci incontriamo per una mangiata anche se è difficile trovarci tutti, ma al lavoro facciamo sempre squadra. Ogni anno organizziamo la cena sociale anche con i dipendenti con i quali abbiamo un bel rapporto.

Ci sono stati e ci saranno momenti difficili, qual è la frase che si ripete per farsi forza? Il mio pensiero va sempre alla famiglia. Ho un figlio di 16 anni e sono felicemente sposato. Loro sono al primo posto e, se sono sconfortato, penso a questo per andare avanti. Qual è il più grande sacrificio che ha fatto per il suo lavoro? Creare Bitservice con soci che non erano miei affini, non sulla stessa lunghezza d’onda. Questo è stato davvero difficile, sacrificarmi per loro nella totale consapevolezza di chi fossero ma, evidentemente a quel tempo, non c’erano alternative. Quando, dopo parecchi anni, ti senti dire che le differenze sono incolmabili e scopri persone che non immaginavi, ti senti tradito. Questi atteggiamenti sono durissimi da comprendere e ci vuole tanto per riprendersi.

Si sente più combattente o mediatore? Con vent’anni di esperienza alle spalle penso di rimanere un combattente. La soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro? Aver creato un’impresa sana che mantiene 15 famiglie. Ha una figura di riferimento che l’ha ispirata? Di certo mia madre, per i valori cristiani che mi ha trasmesso e la caparbietà che ho indubbiamente ereditato da lei.

schiettezza

competenza


Qual è la sua quotidianità in azienda? Guardo le mail come primissima cosa, il mio socio di riferimento è Alberto Giurlanda (Vicepresidente e mio sostituto ) con il quale condivido giornalmente tutte le strategie aziendali. Oggi arrivo in azienda un po’ più tardi rispetto ai primi anni, magari mi prendo un’ora in più al mattino perché tanto so che alla sera sono l’ultimo a staccare: dopo le 18.30 non squilla il telefono e posso terminare mille faccende in tranquillità e uscire verso le 20. È giusto che l’imprenditore dia l’anima all’azienda. Anche se io cerco di stare attento a non sacrificare la mia famiglia: a volte bisogna saper chiudere e andare a casa perché tanto non cambia nulla, il mondo domani sarà ancora lì ad aspettarti. Quando ero più giovane non facevo così, mio figlio lo vedevo poco, sabato mattina ero a lavorare, poi ho rivisto la mia scala di priorità e i ‘posti sul podio’ sono cambiati: ho preferito godermi la mia famiglia. Ha un giorno di libertà senza appuntamenti, cosa fa per rilassarsi? Sono appassionato di aero ed elimodellismo, vado all’aeroporto di Ravenna con mio figlio Giacomo che ‘pilota’ mentre io gli faccio da meccanico, sponsor e coach! Condividiamo una passione per gli elicotteri, che mio figlio fa volare egregiamente, anche se con prudenza. Un tempo volavo anch’io e abbiamo partecipato anche a un mondiale categoria “F3N” in Polonia piazzandoci al tredicesimo posto.

grinta

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Da imprenditore a imprenditore

Riesci sempre a dormire sonni tranquilli?

Fino alla fine del 2012 sì, poi con continui cali di fatturato, quando sai di dover lasciare a casa qualcuno non è facile. Sono ansioso, mi affeziono alle persone pertanto una cosa del genere mi disturba moltissimo. Quest’anno abbiamo abbassato del 10% lo stipendio dei soci pur di andare avanti e chiudere in utile. Un sacrificio che facciamo tutti.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

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Alla fine, si può accettare di sacrificarsi anche economicamente per la propria azienda?


Plasmiamo la materia da tre generazioni Sul mercato da oltre 50 anni, Siderurgica Ravennate è una realtà articolata che ha saputo reinventarsi, negli anni, grazie anche allo spirito di sacrificio dei suoi dirigenti. Da piccola azienda artigianale è diventata leader nel settore della lavorazione delle lamiere, perseguendo costantemente una politica di sviluppo e di innovazione tecnologica. All’intervista partecipano Giulio Antoniacci, fondatore dell’azienda e suo figlio Alder. Nel corso della chiacchierata si aggiungerà anche un rappresentante della terza generazione, Luca, figlio di Alder. 74

SIDERURGICA RAVENNATE

Dal 1960 Siderurgica Ravennate opera nel mercato della trasformazione e del commercio di prodotti siderurgici. In risposta alle crescenti esigenze del mercato e di una clientela prevalentemente orientata alla produzione di carpenteria pesante e manufatti metallici di grandi volumi è diventata leader nel suo settore. L’impronta dinamica e orientata al futuro che ha caratterizzato l’azienda fin dall’inizio ha permesso, oggi, di raggiungere importanti obiettivi in funzione di un’elevata qualità ed efficienza del servizio.

SIDERURGICA RAVENNATE SRL

Via A. Bonvicini 22, 48123 Mezzano (Ra) Tel. 0544 411911 • www.siderurgicaravennate.it

Partiamo con il Signor Giulio Antoniacci, che ha fondato l’azienda: in che anni siamo? L’azienda nasce nel lontano 1961 per volontà di tre soci, tra i quali il sottoscritto. (Alder) Noi siamo originari di Cesena, mio nonno aveva una fabbrica che produceva imballaggi e mio padre, avvalendosi dell’aiuto di due operai che facevano lavorazione di lamiere, decise di diversificare l’attività. Negli anni Sessanta Ravenna stava conoscendo un periodo di fiorente sviluppo e quella della lavorazione delle lamiere era un’attività che non veniva effettuata in modo strutturato. Mio padre e mio nonno scelsero quindi di scommettere sulla città e avviarono la nuova attività aprendo un capannone a Ponte Nuovo. Che lavorazioni effettuavate inizialmente? (Giulio) Eravamo artigiani e ci occupavamo della cesoiatura e della piegatura delle lamiere. C’è una sensazione, un ricordo particolare che la riporta a quei giorni? (Giulio) A quei tempi si lavorava la lamiera a mano, senza guanti, e d’inverno, con la neve, si attaccava alle dita. Era davvero un lavoro molto faticoso, anche dal punto di vista fisico. Non c’erano strutture adeguate e per scaricare la lamiera dai camion attaccavamo un morsetto, il camion andava avanti e la lamiera cadeva per terra; raccontare queste cose oggi, con tutta la tecnologia e gli aiuti meccanici a nostra disposizione sembra davvero irreale, ma allora era proprio così... Alder, che evoluzione ha avuto la società? Dopo poco, la mia famiglia, ovvero mio padre e suo fratello, acquisì tutte le quote della società, liquidando gli altri soci. Nel frattempo, nel 1970 l’attività venne spostata a Fornace Zarattini, nella sede che abbiamo utilizzato fino a fino a poco tempo fa. Quando è entrato definitivamente in azienda? Nel 1979, dopo essermi laureato. Da allora ho sempre affiancato mio padre nella gestione dell’azienda. Nell’organico è presente anche mia sorella che segue la parte amministrativa. Nel 1980 ci fu una crisi importante e, purtroppo, constatai che in


azienda c’erano persone che non curavano a dovere gli interessi dell’impresa. Quando presi in mano la situazione, i clienti erano molto diminuiti, tanti non pagavamo. Insomma, feci un ingresso in salita con tutto contro, ma mi è servito molto, quel periodo è stato altamente formativo. Nel frattempo creammo un’altra ditta, Prosider, un’attività puramente commerciale insieme ai miei cugini. Negli anni, a livello professionale, pur mantenendo buoni rapporti ci siamo un po’ divisi: loro sono rimasti legati alla Prosider, mentre noi abbiamo proseguito con la Siderurgica Ravennate, storicamente più legata al settore industriale. La nostra tendenza è sempre stata quella di crescere, di avanzare. Dopo la Prosider, nel 1998, costituimmo un’altra attività all’interno del porto di Ravenna, l’Iron Service che però, con l’avvento della crisi, lo scorso anno è stata ceduta in quanto non era più in grado di realizzare i volumi necessari. In che cosa consiste oggi la vostra attività? Noi trasformiamo la materia. Partiamo dai coils, poi tagliamo i pezzi a seconda delle richieste del cliente che ci sottopone

Generazioni a confronto: il fondatore Giulio Antonacci (a destra), il figlio Alder e il nipote Luca.

i disegni. Sulla base di queste indicazioni forniamo tutti i pezzi tagliati, verniciati e sagomati. Dagli esordi che abbiamo descritto prima, di strada ne abbiamo fatta tanta, abbiamo acquistato molti macchinari, il lavoro si è molto evoluto, abbiamo introdotto l’automazione e il laser. Tra il 2004 e il 2005 è apparso evidente come gli spazi produttivi dello stabilimento di Fornace Zarattini fossero diventati troppo limitati, sia per la tipologia che per la mole di lavorazioni che vi venivano effettuate. Così abbiamo deciso di investire nuovamente e, nel 2010, ci siamo trasferiti nell’attuale sede di Mezzano. Alder, cosa le ha trasmesso suo padre? Mio padre è sempre stato un bravissimo tecnico amministrativo ma ciò che per me è più importante è lo spirito, l’insegnamento morale che mi è arrivato da lui. Fornitori e clienti sono sempre stati trattati correttamente, con estrema lealtà e rispetto. Il fatto che nel corso dei decenni sia sempre stato riconosciuto

esperienza

precisione

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che i membri della famiglia Antoniacci “sono persone per bene” rappresenta un buon biglietto da visita e parla della nostra buona reputazione. Qui si lavora con dei principi. Abbiamo cinquanta famiglie sulle spalle e, a fronte di ogni decisone, dobbiamo sempre tenere a mente anche la nostra grande responsabilità verso di loro. Luca, lei è figlio di Alder. In qualità di rappresentante della terza generazione, cosa pensa di aver portato di nuovo in azienda e cosa, di contro, le hanno trasmesso suo padre e suo nonno? Sono entrato in azienda alla fine del 2009 e forse sarebbe troppo presuntoso dire cosa io posso aver trasmesso loro. Posso invece sicuramente dire di avere visto in loro esempi concreti di etica lavorativa, qualità morali che non devono

mancare, professionalità e dedizione al lavoro. (Alder) È davvero gratificante avere mio figlio qui in azienda a lavorare con me. É una grande soddisfazione. Fortunatamente mi sta seguendo anzi, forse, è già entrato troppo nel meccanismo. Alder, che qualità si attribuisce come imprenditore? Ho sempre pensato al bene della mia azienda, alla possibilità di svilupparla e farla crescere e mai a obiettivi meramente personali al punto che, da sempre, tutti gli utili sono reinvestiti, per quanto limitati possano essere negli ultimi tempi a causa della crisi che continua a fare vittime. Qual è la frase che vi accompagna nei momenti difficili? (Luca) In primis faccio appello al mio senso di responsabilità. In

questi momenti occorre essere consapevoli che per uscire dalle difficoltà bisogna impegnarsi in prima persona ed essere i primi a dare un impulso reale al cambiamento. Quanti sono i dipendenti? Come è il rapporto con loro? (Alder) I dipendenti sono una cinquantina. Nel bene e nel male la figura del capitano sono ancora io, anche se ho l’onestà di riconoscermi dei difetti e dei margini di ulteriore miglioramento nell’organizzazione aziendale. Mi trovo a lavorare con persone che sono entrate in azienda prima di me, con loro si è condivisa una vita intera. Penso di avere un gruppo di collaboratori fidati che lavorano per gli interessi dell’azienda, a volte forse più di noi al punto che, da qualche anno, abbiamo introdotto un premio di produzione globale. Questo

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attenzione

fiducia


perché solo se tutti lavorano e navigano nella stessa direzione si raggiungono risultati davvero ragguardevoli. (Luca) La cosa più bella e gratificante è che negli anni i dipendenti sono sempre stati orgogliosi di questa azienda. Ricordo ancora quando a diciassette anni venivo a lavorare durante la stagione estiva e sentivo dire che qui si stava bene, tanti commenti positivi che mi hanno motivato ancora di più a intraprendere questa strada. Qual è il sacrificio personale più grande che ha fatto per il lavoro? Lo rifarebbe? (Luca) Per me non c’è sacrificio. Semplicemente prima di venire qui non ho avuto modo di fare altre esperienze in contesti lavorativi diversi. (Alder) Il sacrificio lo stiamo facendo adesso nel periodo di crisi. Per poter andare avanti abbiamo drenato risorse economiche personali per farle confluire in azienda. Questi sono sicuramente gli anni più difficili da quando abbiamo iniziato. C’è stato qualche “insegnamento” che ha tratto da questa crisi? (Alder) Nella nostra attività abbiamo un costo di struttura molto alto. Il calo del fatturato comporta uno squilibrio che non riesce a compensare le spese generali, occorrerebbe essere più aggressivi sul mercato ma non è sempre facile. Vi sentite più combattenti o mediatori? (Alder) Io mi sento più combattente. Qua c’è poco da mediare. Una volta ero molto più bravo nei rapporti con i clienti, adesso si fa fatica a dir sempre di sì perchè le persone non sono sempre così corrette. (Luca) Forse sono meno combattente ma semplicemente perché mio padre ha ben poche doti da mediatore e, in qualche modo, dobbiamo riuscire a compensarci!

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L’ingegner Luca Antoniacci all’interno dello stabilimento.

?

Da imprenditore a imprenditore

Alla fine, si può accettare di sacrificarsi anche economicamente per la propria azienda?

L’azienda viene prima di tutto, specialmente per una realtà come la nostra. Stiamo parlando di un’impresa strettamente familiare in cui azienda e persone sono la stessa cosa. È per questo che la metto al primo posto, ancora prima della sicurezza economica personale.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato Vale ancora la pena lottare, crederci?

solidità

qualità

?


I geni dei processi di automazione Una realtà sorprendente, un patrimonio di competenze tecniche di rilevanza mondiale. La vorticosa evoluzione dei mercati non ha fiaccato Ezio Pasini, cuore e motore instancabile del Gruppo CNI. “Non mi sono posto il problema di lasciare l’azienda ai figli. Non volevo che fossero ‘obbligati’ a farlo: mia figlia Chiara ha scelto di occuparsi della parte gestionale e amministrativa, il resto sarà gestito all’interno dell’azienda da altre persone in grado di sostituirmi”. Protagonisti dell’intervista sono Ezio Pasini e uno dei suoi più stretti collaboratori, Sandro Ciccone.

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CNI Group nasce da un “blocco” compatto e sinergico di tre aziende leader nel settore dell’alta tecnologia: CNI Informatica, CNI Engineering e Musa, impegnate a sviluppare sistemi di automazione elettronica e informatica per macchine in linea, dal grezzo al prodotto finito; sistemi a controllo numerico per macchine singole stand-alone ad altissime prestazioni; sistemi di visione e di misura per controllare e certificare la qualità delle lavorazioni e dei prodotti. Attualmente CNI Group opera con circa 30 dipendenti in tre sedi operative e tre centri di ricerca e sviluppo.

CNI GROUP

Via del Lavoro 13, 48011 Alfonsine (Ra) Tel. 0544 84277 • www.cniinformatica.it

Pasini, da dove parte il suo percorso imprenditoriale? Inizia nel 1974 con la EAI S.a.s (Elettronica Applicata all’Industria). Una decina di anni dopo, EAI diventa CNI Controlli Numerici Industriali S.r.l. e nel 1989 nasce anche CNI Informatica per realizzare software complementari al controllo numerico. Facemmo grandi cose, come il primo CAD/CAM per il settore della lavorazione del legno - oggi in giro per il mondo ci sono decine di migliaia dei nostri pacchetti - e introducemmo il primo ottimizzatore per ridurre al minimo i tempi di produzione. All’epoca eravamo i primi in Europa, una cosa davvero entusiasmante. Da piccolo cosa avrebbe voluto fare? (Pasini) Sono un tecnico per vocazione. Mio padre era un elettricista e a me è sempre piaciuto sperimentare: ho costruito da solo la mia prima radio. Alle elementari ho costruito una carta geografica dell’Europa con le capitali che si accendevano grazie a una spia luminosa, ma evidentemente, combinai qualche pasticcio alla prima accensione facendo saltare l’impianto. Fortunatamente il secondo tentativo premiò la mia tenacia. Gli anni successivi frequentai a Ravenna il biennio all’Istituto Tecnico e terminai a Ferrara con l’indirizzo elettrotecnico dell’ITIS. La mia passione mi portò all’università dove frequentai la Facoltà di Ingegneria, coronando il mio sogno. L’idea di fare l’imprenditore quando nasce? (Pasini) Non avevo ancora terminato gli studi quando ricevetti le prime proposte. Scelsi Telettra perché mi assunsero nonostante non avessi ancora espletato il servizio militare. Era tutto molto impersonale, al tempo ero l’ingegnere numero 2023, ricevevo dei compiti che cercavo di assolvere nel minor tempo possibile e con il massimo scrupolo, lasciando spesso colpiti i miei diretti responsabili. Misi comunque a valore anche quella prima esperienza cercando di imparare e capitalizzare il massimo: frequentavo laboratori e reparti cercando di assorbire tutto ciò che potevo sul funzionamento delle varie tecnologie. E il grande slancio sul mercato quando ci fu? (Pasini) Si verificò grazie a un contatto tramite un amico che lavorava al Gruppo BIESSE di Pesaro. Il titolare dell’azienda, il vulcanico signor Selci, mi commissionò la realizzazione di cinque


centraline perchè quelle che aveva si rompevano in continuazione e rischiavano di compromettere la sua credibilità come produttore di macchine per la lavorazione del legno. In due mesi, e solo con il mio lavoro, costruii i prototipi dai quali ebbe origine il fortunato rapporto con BIESSE. Riconosco che, al tempo, potevamo non essere economicamente competitivi, ma utilizzavamo una tecnologia estremamente affidabile: ciò che fornivamo era fatto per dare garanzia di un ottimo funzionamento mantenuto nel tempo. Una filosofia che abbiamo ancora oggi. Venendo ai nostri giorni, quali sono competenze e ambiti operativi delle aziende che costituiscono il Gruppo CNI? (Pasini) La Musa si configura prevalentemente come laboratorio di ricerca, orientata all’agroalimentare e al packaging. Con le nostre strumentazioni integrate - telecamere, bilance e laser - pesiamo, controlliamo le confezioni e monitoriamo il funzionamento della linea. CNI Engineering si occupa di controllo numerico per macchine estremamente complicate e per la robotica, settori quindi di nicchia e, di conseguenza, ha un mercato più stabile. Infine CNI Informatica si occupa sempre di controllo numerico, ma ha un passato storicamente legato alle macchine per la lavorazione del legno e soprattutto è legata all’automazione di intere linee di produzione gestite dall’ufficio. CNI Informatica è delle tre realtà del Gruppo quella che ha sofferto maggiormente perché ha risentito della forte battuta d’arresto che la filiera del pannello e del serramento ha conosciuto a partire dal 2004.

Il vulcanico ingegner Ezio Pasini (al centro) in compagnia dei soci Sandro Ciccone (a sinistra) e Marco Checcoli .

Oggi possiamo dire che il core business dell’azienda si è ampliato ed è legato, più genericamente, al controllo numerico per macchine da produzione ripetitiva e massiva e alla realizzazione di impianti e linee automatiche di lavorazione. Per quello che può riscontrare personalmente, inizia a esserci un ritorno alla ricerca della qualità? (Pasini) Attualmente gran parte delle soluzioni sono di una povertà tecnica allarmante, si vedono cose assurde. Spesso le persone si improvvisano: a fronte di una precisa esigenza tecnica non esitano ad acquistare soluzioni non industriali, tipo “consumer”, e utilizzarle all’interno di un’officina che, al contrario, richiederebbe un prodotto ad hoc, specializzato e professionale. (Ciccone) Concordo ma ritengo che, nonostante questo atteggiamento diffuso, la qualità e il servizio che le aziende tecnologiche italiane sono in grado di fornire siano comunque

lungimiranza

ancora molto apprezzati. A seguito della recente ristrutturazione aziendale dovremo concentrarci sulla progettazione di azioni promozionali continuative: essere visibili a livello italiano, sarebbe solo la base della nostra nuova esperienza. Ciccone, lei che segue anche il rapporto con i clienti, come immagina queste azioni commerciali rivolte ad acquisire mercati esteri? Occorrerebbe affrontare l’estero con maggior decisione, ma, per lo meno all’inizio, dovremmo farlo affiancandoci a qualcuno che disponga di una rete commerciale già avviata. In questo momento non avremmo le forze per intraprendere un’azione autonoma. Certo è che il dispositivo che abbiamo realizzato per il settore della lavorazione del legno, e che in Italia è stato acquistato praticamente da tutte le aziende che lavorano per conto di Ikea, avrebbe sicuramente un certo appeal

determinazion

e

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anche all’estero. Non credo sia un caso che il colosso svedese abbia deciso di aumentare i volumi di produzione realizzati in Italia avendo constatato la possibilità di assicurare standard elevati di qualità. A tale proposito, aggiungo anche un’ulteriore considerazione. Abbiamo detto prima che in Italia chi poteva acquistare il nostro prodotto l’ha fatto: il primo modello è fuori da una decina d’anni e non ha mai dato problemi. Pertanto è chiaro come per noi non sia importante seguire il cosiddetto ‘business della sostituzione’. Lavoriamo perché le cose durino nel tempo. É questa la grande differenza! Sa quanto potrebbero risparmiare le aziende scegliendo sistemi di qualità? Otterrebbero vantaggi immediati: produzione perfetta, eliminazione quasi sistematica degli interventi tecnici per rimediare a malfunzionamenti.

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Sintetizzando, avete vissuto momenti febbrili, anni di attività intensissima e poi il cambiamento mondiale, la forte decelerazione ha sovvertito le regole del vostro mercato. Ciò che però questa crisi non è riuscita a intaccare è la vostra tenacia. (Pasini) La crisi per il settore macchine per il legno è iniziata nel 2004, ma siamo ancora qui. Bisogna attrezzarsi e resistere, sempre perché è la passione che determina il successo di un’azienda.

Pasini, quando progetta, lo fa esclusivamente da creatore? No, cerco di farlo con l’occhio rivolto a tutti gli aspetti, da quelli tecnici a quelli commerciali. In azienda le decisioni non vengono mai prese dai singoli, abbiamo i CTC (Comitati Tecnico Commerciali) che sono fondamentali perché ognuno ci mette del suo.

Con un lavoro tanto impegnativo è necessario trovare una valvola di sfogo: lei come si rilassa? (Pasini) Sembrerà strano, ma è proprio il mio lavoro a rilassarmi e darmi serenità. Anche il pensiero di interrompere la mia attività al momento non mi sfiora, sono un imprenditore old style...

Ha qualche prodotto “in laboratorio” nel quale crede fermamente? (Pasini) Sì. Alcuni prodotti hanno un riscontro immediato, per altre intuizioni, forse anche complice il momento di stagnazione e saturazione del mercato, occorrono tempi di decantazione più lunghi, ma sulla loro validità non ho dubbi. Personalmente confido che possa maturare un prodotto che ho sviluppato per la telesorveglianza dello stato di salute degli impianti, una cosa eccezionale. Il sistema analogo, sviluppato in America, è estremamente costoso mentre la mia soluzione, che garantisce lo stesso livello qualitativo e la medesima precisione nel monitoraggio dello stato di usura dei componenti, costerebbe all’azienda una somma decisamente più competitiva e quindi sostenibile.

Old style e molto tenace... (Pasini) Se non si è ostinati o pervicaci è meglio cambiare mestiere: evidentemente non si è tagliati per questo tipo di lavoro. É normale per un imprenditore affrontare avversità spaventose, almeno in Italia dove abbiamo tutti contro. Un imprenditore deve avere gli strumenti, il fiuto per capire la strada da prendere, le sfide da accettare e le scelte da fare. Nonostante le mille difficoltà quotidiane e gli ostacoli che tutti pongono sul suo cammino. Quali misure avete dovuto adottare per ritrovare la rotta? (Pasini) Abbiamo fatto un piano triennale che, in misura diversa, ha interessato tutte e tre le aziende. Ristrutturazione, dolorosa, razionalizzazione degli investimenti R&S perché questo 25% di

Avete creato qualcosa che non c’era, competenze e macchine straordinarie. Una capacità di visione fuori dal comune. (Ciccone) Questa è una grande dote dell’Ingegner Pasini che ha sempre guardato oltre. Ultimamente, avevamo quasi tutto contro, ma lui ha insistito per realizzare una telecamera particolare, che ovviamente non esisteva, e che ora viene utilizzata da una nota azienda attiva nella produzione di macchine per l’industria agroalimentare. (Pasini) Questa telecamera ha due ‘occhi’, uno in bianco e nero e uno a colori, per cui riesce già a vedere nella profondità. All’interno ha un computerino che fa calcoli e percepisce, già in autonomia, i difetti, riesce a fare delle elaborazioni e a prendere decisioni. L’elaboratore si chiama Da Vinci. Deve essere ‘intelligente’ per forza!

intuizione

innovazione


ore era indirizzato su argomenti che noi ritenevamo interessanti ma che invece non hanno trovato un riscontro positivo sul mercato. Qual è la soddisfazione più grande che ha tratto dal suo lavoro? (Pasini) Faccio un lavoro che adoro e sono riuscito, con l’esperienza e una giusta dose di intuizione, a creare una nicchia di mercato coprendo bisogni che ancora nessuno era riuscito a soddisfare. La cosa più gratificante è constatare come lo stesso entusiasmo sia presente anche nei miei collaboratori. (Ciccone) La passione nel fare qualcosa che piace e, specialmente, vedere realizzato e funzionante il progetto sul quale si è lavorato per mesi di lavoro ripaga di tutto. É questa la leva che ci spinge sempre verso idee innovative. Ciccone, avete personalità spiccate, competenze precise e il vostro lavoro ‘impone’ di lavorare in team. A fronte di idee convergenti, di confronti accesi, siete capaci di fare un passo indietro? Facciamo davvero tante riunioni: prima in formazione più ristretta si decide il da farsi e poi in maniera più allargata si assegnano 81

L’ingegner Pasini ci illustra il funzionamento di uno dei prototipi realizzati da CNI.

Un bilancio dopo tanti anni di lavoro... (Pasini) La mia ambizione nel tempo è stata più che soddisfatta. Mi confronto spesso con tanti colleghi imprenditori e la risposta è pressoché unanime: quando metti passione in ciò che fai si ripaga tutto, la fatica, i sacrifici, personali ed economici, tutto acquista senso e valore. La felicità per me è anche questo, riuscire a godere appieno di quello che la vita ti dà, fare del proprio meglio e contribuire al benessere proprio e dei propri dipendenti, ma sempre con un grande senso della misura, consapevoli della propria fortuna. compiti specifici. Siamo abituati ad agire così, ognuno di noi ha qualcosa da portare e voce in capitolo, specie ora che non esistono più doppi ruoli e ognuno è deputato a una singola attività, ruolo o area. Il rispetto è fondamentale, perché cerchiamo di avere sempre una visione totalmente condivisa e sempre orientata al cliente.

organizzazione

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Da imprenditore a imprenditore

Vale ancora la pena lottare, crederci?

Sì, quando fai qualcosa che ti appassiona. Abbiamo affrontato, come tutti, difficoltà, ma l’imprenditore degno di questo nome deve capire quali strumenti utilizzare per farcela. Sempre.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

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Tante piccole aziende sono limitate nelle dimensioni. Secondo lei sono anche poco ascoltate?


Esportiamo la dolce arte italiana Alberto Servadei è il cuore di Gelart: l’ha fondata e fatta crescere con caparbietà e determinazione aprendosi anche al mercato estero che gli ha assicurato prestigiosi clienti. Oggi, quella che era una piccola realtà è un’azienda stimata anche a livello europeo che non si è certo fermata: forte di un team di professionisti attento ai progressi e alle novità applicabili al settore, è un fornitore affidabile sempre alla ricerca di nuove materie prime idonee all’impiego in gelateria. Con due sole parole d’ordine: qualità e serietà.

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Nuova Gelart è presente nel mercato italiano dei prodotti per gelateria dal 1992. Nasce dall’incontro di persone con diverse esperienze nel settore produttivo e commerciale nell’industria dei semilavorati per gelateria. Inizialmente produce pochi e specifici semilavorati destinati al mercato regionale poi si evolve ampliando la gamma dei prodotti offerti e sviluppandone i servizi correlati. Grazie all’elevato grado di specializzazione, alla qualità dei prodotti e al servizio pre e post vendita, Nuova Gelart è un partner qualificato per le aziende del settore. Oltre 3200 quintali di semilavorati prodotti annualmente, di cui la metà venduti all’estero, testimoniano la qualità e la bontà delle strategie adottate, tutte tese a fidelizzare il cliente attraverso la piena soddisfazione delle sue esigenze.

NUOVA GELART SRL

Via Caduti del Lavoro 5, 48012 Bagnacavallo Tel. 0545 61584 • www.nuovagelart.com

Quando nasce Gelart e chi la fonda? Ho fondato la ditta individuale Gelart nel 1990. Nel ’96 è diventata srl e ha cambiato nome in Nuova Gelart con l’ingresso di tre nuovi soci che, qualche anno dopo, hanno però intrapreso altri percorsi. Oggi il 96% delle quote è ancora mio, il restante è diviso tra due soci, tra l’altro clienti, uno di Milano e uno di Pistoia. Il nostro fatturato è per il 40% estero, soprattutto Germania, Austria, Inghilterra, Francia e Stati Uniti e il 60% sul nord Italia. In particolare la Germania è un Paese con cui è davvero un piacere lavorare, un mercato nel quale continuiamo a investire non paragonabile al nostro per tanti aspetti, servizi, tassazione, infrastrutture e burocrazia in primis. Qual è il percorso che l’ha portata fin qui? Sono figlio di un gelatiere. Il primo locale dei miei genitori era presso la famosa Sala Strocchi di Ravenna, sede di un circolo Comunista molto noto in città; avevo 6 anni e mio fratello 4, tornavamo da scuola e passavamo i pomeriggi al bar con loro. In quegli anni le gelaterie non avevano il giorno di riposo e così anche l’attività dei miei era assolutamente continuativa e senza interruzioni, 7 giorni su 7! Capii subito che questo era il settore nel quale mi sarebbe piaciuto lavorare, ma con modalità diverse dall’orario continuato 6-2: non volevo privarmi di un minimo di vita sociale come avevano dovuto fare i miei che non avevano un giorno di ‘tregua’. Per me era inconcepibile lavorare il sabato e la domenica, ma avevo una certa esperienza nel settore che non volevo sprecare, così pensai di aprire un’azienda che fornisse il prodotto ai gelatai e che, quindi, mi lasciasse più tempo libero. Essere ‘figlio d’arte’ mi ha certamente aiutato agli inizi, soprattutto perché potevo fare affidamento su gran parte dei contatti e delle conoscenze di mio padre, cosa questa di non poco conto. Negli anni ho assistito all’evoluzione tecnologica delle attrezzature, del modo di fare il gelato, all’arrivo del marketing mirato e, indubbiamente, essere da tempo sul campo è stato fondamentale. Inizialmente volevo mettere a frutto ciò che sapevo fare all’estero per unire utile e dilettevole: vedere il mondo e guadagnare bene. Invece, dopo la separazione dei miei, feci scelte diverse e iniziai in piccolo in Italia, forse ancora non troppo convinto di fare l’imprenditore tutta la vita. Però, una volta entrato pienamente e consapevolmente nel meccanismo, mi sono lanciato anima


e corpo nell’attività: oggi riforniamo prestigiose gelaterie in Germania ad Ausburg, Dortmund, nonché il più prestigioso locale di Vienna di proprietà della famiglia Bortolotti. Qual è la sua figura di riferimento? Di certo mio padre con la sua determinazione. Ha qualche rimpianto? Forse aver investito troppo ‘nei muri’ anche su indicazione di mia madre che, da brava romagnola, insisteva sulla necessità di essere proprietari delle strutture nelle quali si lavora. Con il senno di poi avrei potuto investire maggiori risorse nel settore commerciale e delle tecnologie e, solo in un secondo tempo, negli immobili. L’azienda sarebbe cresciuta più velocemente. D’altro canto questo tipo di ‘errore’ è favorito dal sistema creditizio per il quale sei un buon cliente se sei proprietario della tua sede. Qual è la soddisfazione più grande in oltre vent’anni di attività? Il mio primo cliente fu la Gelateria Manzelli di Cesenatico, una realtà locale molto significativa ma anche di piccole dimensioni: oggi posso contare su una rete di 400 clienti, tra grandi e piccoli, nel mondo.

Il titolare Alberto Servadei.

Qual è la frase che l’accompagna nei momenti difficili? Ho sempre ragionato su periodi medio lunghi, mi sono sempre dato due/tre progetti in contemporanea sui quali lavorare. Spesso ho momenti di sconforto e penso che potrei lasciare, ma non

sono il tipo che ama stare a casa a far nulla. Inoltre ho la responsabilità dei miei 12 dipendenti, che sono con me da anni (2 lo sono da oltre 20 anni, praticamente dall’inizio della mia avventura di piccolo imprenditore e sono tutt’ora i miei

entusiasmo

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principali e fondamentali collaboratori), per i quali non sono mai ricorso a contratti atipici che considero solo un maldestro tentativo, utilizzato da molti, di trasferire il rischio d’impresa sull’ultimo anello della catena.

coraggio


Avete dovuto prendere particolari accorgimenti per fronteggiare la crisi? No, fortunatamente lavorare con l’estero ci ha aiutato e la crisi l’hanno sentita solo i nostri clienti italiani. Quali sono le caratteristiche di un imprenditore, quali attitudini si riconosce come tale? Un imprenditore non deve aver paura. Né paura di lavorare, né di contrarre debiti, di giocarsi tutto o, qualche volta, di calpestare piedi e dev’essere orgoglioso di ciò che fa. C’è un sacrificio personale che ha fatto per la sua azienda? Ne ho fatti molti, ma quello che mi è pesato di più è stato vendere la macchina per acquistare un miscelatore, mi è seccato parecchio (ride). E poi ho rinunciato alle ferie per tanti anni, ma se credi in quello che fai lo accetti, fa parte del gioco. Perché si continua, nonostante tutto? Vado avanti perché la passione c’è ancora, e tanta, nonostante a volte sia pesante. 84

Qual è la sua quotidianità in azienda? Come prima cosa guardo le mail, pianifico la giornata anche se oggi bisogna essere molto flessibili e sempre disponibili agli ordini che ti arrivano anche all’ultimo minuto. Gestisco telefonate e clienti durante la giornata e sulle 19.30 vado a casa. Alla mattina arrivo abbastanza presto, sulle 6.30, sbrigo i lavori più importanti perché sono più carico mentre la sera controllo tutti i vari passaggi. Cosa non riesce proprio ad accettare? Che il nostro Paese, così tanto ricco di risorse, sia in ginocchio da anni e non sia in grado di rialzarsi. Io eliminerei lo Stato paternalistico, i contributi elargiti indiscriminatamente a tutti. Il Welfare, credo, serve realmente al 5% della popolazione. Bisognerebbe dare solo a chi ha realmente bisogno e, grazie al residuo, ridurre la tassazione che taglia le gambe in primis ai giovani terrorizzati dall’idea di iniziare qualunque tipo di attività,

grinta

voglia di fare


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che invece è incentivata in qualunque altro Paese. Se la gente potesse lavorare e guadagnare il giusto per vivere decentemente evitando di farsi sempre i conti in tasca penso che staremmo meglio. Chi fa un figlio, le cui spese si sommano a quelle di mutuo, bollette e spese sanitarie, è alle strette e non è giusto. Infine penso che bisognerebbe premiare le persone valide: la meritocrazia è scomparsa dal nostro Paese così come sono scomparse le menti migliori che, giustamente, hanno scelto di vivere all’estero dove viene riconosciuta la validità del loro lavoro.

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Da imprenditore a imprenditore

Le aziende di piccole dimensioni hanno ancora la speranza di essere ascoltate?

La speranza rimane, ma che siano ascoltate è difficile anche perché oggi non è un problema di piccolo o grande: direi che non viene ascoltato più nessuno.

Ci dia una domanda per il prossimo intervistato

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Se potessi intervenire a livello legislativo cosa proporresti per cambiare la situazione delle imprese italiane?

sicurezza


La formula perfetta per un sodalizio vincente Come Steve Jobs di Apple anche Anna Maria e Dante Uttini hanno iniziato la loro attività nel garage di casa ‘riadattato’ in base alle loro esigenze. Con sacrifici, determinazione e un pizzico di incoscienza sono andati avanti un passo alla volta e oggi sono i titolari di BAM, azienda che formula e confeziona prodotti chimici per la nutrizione vegetale e il trattamento acque di massima qualità. Accanto a loro il figlio Lorenzo, che da qualche anno segue a 360° la complessa attività di certificazione in un sistema integrato di qualità, sicurezza e ambiente. 86

Quando nasce BAM e chi la fonda? (Anna Maria) L’idea di creare BAM nasce nel 1979. Mio marito lavorava come chimico in una multinazionale che produceva fitofarmaci e antiparassitari, ma avendo avuto notizia di una concreta possibilità di chiusura del sito produttivo in cui lavorava a favore del sito commerciale, aveva iniziato ad accarezzare l’idea di mettersi in proprio. Inoltre era venuto a conoscenza degli alti costi di importazione di un’azienda americana leader nel trattamento delle acque, che aveva una succursale vicino a Bologna, e riuscì ad avere l’esclusività delle loro lavorazioni. Così fondammo a mio nome l’azienda (BAM è l’acronimo di Benazzi Anna Maria) visto che Dante era ancora dipendente mentre io, al momento, disponibile. Con un piccolo prestito erogato dalla società per la quale lavorava mio marito, disponibile ad aiutarci, iniziammo a lavorare sia per loro che per Culligan. Nel 1985, da ditta individuale la BAM diventa SNC con soci (io e mio marito) al 50% cadauno. Quando la produzione della multinazionale chiuse, Dante rilevò buona parte della strumentazione dei loro laboratori e si adoperò per creare nuovi prodotti da fornire alla casa madre con cui tuttora manteniamo rapporti di lavoro. Qual è il percorso che vi ha portati qui? (Anna Maria) Io sono ragioniera e Dante è un chimico, abbiamo portato in BAM le competenze acquisite negli anni. Fino al 1996 abbiamo fatto di tutto anche lavorare, secondo necessità, in produzione o in uffici. Di giorno in produzione, accanto ai dipendenti, la sera in ufficio. Poi, con l’arrivo dei computer, sono rimasta definitivamente in ufficio.

BAM svolge la sua attività dal 1979 e nell’attuale sede di San Patrizio, dal 1985, ha sviluppato la formulazione di prodotti per la nutrizione vegetale costituendo una propria gamma di fertilizzanti, concimi e prodotti di varia applicazione in agricoltura, testati per garantirne qualità ed efficacia. Dal 1999 BAM ha un reparto dedicato agli estratti vegetali glicolici e glicerici di piante officinali per la detergenza e la cosmetica. Oggi BAM vanta tra i suoi clienti importanti aziende nazionali e multinazionali.

BAM DI BENAZZI E UTTINI SNC

Via Nuova Selice 20, 48017 San Patrizio (RA) Tel. 0545 87375 • www.bamchimica.it

(Lorenzo) Io sono nato e vissuto in azienda, ma, dopo il diploma, vista la mia grande passione per le auto ho intrapreso la carriera di pilota istruttore per Guidarepilotare, scuola di pilotaggio Bmw e oggi sono trainer certificato per Bmw Group. Sono stato, pertanto, parecchio fuori casa anche se ho sempre seguito l’evoluzione dell’azienda. Quando c’è stato bisogno di trovare una persona che seguisse le certificazioni mi sono fatto avanti. Siamo stati tra i primi in Italia ad avere un sistema di certificazione integrato che comprende sicurezza, ambiente e qualità. Per avere le tre

entusiasmo


certificazioni ci siamo avvalsi della consulenza e delle competenze di preziosi collaboratori, tra i quali anche il personale dell’ufficio tecnico di Confimi Ravenna, che ci segue ancora, anche se oggi svolgo personalmente tutta questa attività. Dal prossimo anno, poi, lavorerò al 90% in BAM. A 40 anni, dopo aver seguito i miei sogni, fatto esperienza e raggiunto i risultati che mi ero prefisso con Bmw, ho deciso di mettermi a disposizione della BAM: con i tempi che corrono sarebbe da sciocchi lasciare un bene così importante della mia famiglia. Qual è un ricordo di quei primi anni? (Anna Maria) Il freddo! Il primo anno, avevo come aiutanti mio suocero e mia madre, poi ho assunto una persona che mi ha seguito con entusiasmo fino a quando è andata in pensione. Il problema iniziale è stato il freddo, sopperito con giacconi e doposci. Inizialmente l’attività era quasi tutta manuale, poi ci siamo meccanizzati e siamo cresciuti a piccoli passi: abbiamo acquistato, nel 1984, il terreno con un mutuo di 19 milioni con le garanzie di parenti e, pezzo dopo pezzo, siamo andati avanti. Inizialmente BAM operava su 3 mila metri di terreno e 360 metri quadri di produzione che sono diventati, rispettivamente, 6 mila e 2 mila. La famiglia Uttini: Dante e Anna Maria con il figlio Lorenzo. In basso, Dante Uttini in laboratorio con una collaboratrice.

Quali pensate debbano essere le caratteristiche di un imprenditore? (Anna Maria e Dante) La volontà, anche di affrontare sacrifici. Oggi si è meno motivati, si è disincentivati dal mercato, un tempo c’erano più opportunità e più voglia di mettersi in gioco

accantonando la paura. Diciamo anche che eravamo giovani e pieni di entusiasmo per quello che facevamo. Ci siamo buttati allo sbaraglio. Mio marito ha lasciato un lavoro ben remunerato e io ho abbandonato il sogno di crearmi un ufficio di commercialista. Diciamo che la nostra incoscienza ci ha aiutati!

Avete risentito della crisi? (Anna Maria) No, come organico non siamo diminuiti, soprattutto perché il nostro è un settore di nicchia e di concorrenti praticamente non ne abbiamo molti. Oggi BAM è un marchio

Qual è la soddisfazione più grande che avete tratto dal vostro lavoro? (Anna Maria) Essere riusciti a farcela da soli partendo da zero, avere restituito quanto ci era stato prestato, essere proprietari della nostra azienda e avere sempre rispettato i tempi e i doveri di contribuenti. Qual è, invece, il sacrificio personale che avete dovuto fare? (Anna Maria) La nostra libertà è stata molto limitata. Abbiamo lavorato di sabato, di domenica e anche fino alla sera della vigilia di Natale, con un bimbo a casa che ci aspettava, sempre…

passione

professionalità

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che significa sicurezza, conoscenza e assistenza ai nostri clienti. E lavorando con multinazionali che commerciano con il mondo si hanno sempre meno difficoltà rispetto a quanti si rapportano solo con aziende italiane. Il problema si potrà porre se non smettono di imporci tasse sempre più pesanti. (Dante) Tanti fanno concimi e fertilizzanti, ma sono ‘rimescolatori’ di materiali, non hanno un’idea, chimicamente intendo, di cosa succede realmente: spesso copiano un prodotto già sul mercato. Noi siamo artigiani nel vero senso della parola, perché offriamo prodotti nati da studi, sperimentazioni che sono sempre in evoluzione. Ecco perché non ci consideriamo industriali. Non abbiamo i mezzi per metterci in concorrenza con chi produce tonnellate di prodotto al giorno, ma nemmeno vorremmo provarci, perché la nostra MISSION è un’altra: vogliamo realizzare un prodotto di qualità che dia un valore aggiunto. Qui sono passate tante multinazionali: da Ciba a Culligan, Novartis, Gowan, Caffaro... grosse realtà che quando necessitavano di qualche prodotto di nicchia particolare si rivolgevano a noi, e alcune aziende sono ancora nostre clienti. 88

Che rapporto avete con i vostri dipendenti? (Anna Maria) Buono, siamo flessibili, forse un po’ troppo. Essendo in pochi abbiamo instaurato un rapporto diretto anche se può capitare che qualcuno se ne approfitti. Per quanto riguarda l’aspetto retributivo, posso dire che è allineato alle grandi industrie e, in certi casi, anche un po’ superiore.

Qual è la vostra quotidianità in azienda? (Anna Maria) Da gennaio a luglio si lavora intensamente. Poi il lavoro cala anche a livello amministrativo quindi, nel periodo autunnale, a volte vengo solo il pomeriggio. Arrivo, controllo e sbrigo contabilità, bilanci, rapporti con le dogane, GSE e banche... con cui litigo spesso! (Dante) Io arrivo sulle 8, predispongo la produzione compilando i fogli di lavoro, ricette, controllando e istruendo nei laboratori e, dopo le 17.30, quando vanno via tutti, mi dedico a nuovi progetti o a confronti sull’andamento dell’azienda con... il mio socio! (Lorenzo) Un tempo arrivavo in azienda quando volevo anche perché non avevo ancora un ruolo ben definito e soprattutto gestivo contemporaneamente un altro impegno con la Bmw che volevo portare avanti con serietà, ma che spesso mi teneva lontano da casa. Oggi che ho scelto di dedicarmi all’azienda di famiglia sono qui ad orario completo. Perché si continua nonostante tutto? (Dante) Amo ciò che faccio e non potrei pensarmi a casa dalla mattina alla sera! Con la chimica mi diverto ancora, nonostante siano passati tanti anni: con alcuni amici, docenti universitari abbiamo ideato alcuni progetti innovativi che sono di grande stimolo intellettivo. Creare qualcosa di nuovo mi piace moltissimo. (Anna Maria) Arrivati a una certa età, quando per tutta la vita hai

sacrificio

qualità


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La famiglia Uttini in compagnia dei collaboratori.

fatto un determinato lavoro e hai organizzato la tua esistenza in un certo modo, è difficile pensare di interrompere tutto. Oggi ho raggiunto un buon equilibrio tra casa e lavoro e per il momento va bene così. Cosa vi irrita? (Lorenzo e Dante) La disonestà e chi non mantiene gli impegni presi. Se poteste avere una giornata di libertà cosa fareste? (Anna Maria) Andare per vetrine... e negozi! (Dante) A me piacciono le auto d’epoca, sono appassionato di archeologia, di storia locale, ho partecipato al restauro della chiesa di S. Patrizio e al rinvenimento dell’antica Pieve, direi che di interessi ne coltivo davvero tanti.

tenacia

?

Da imprenditore a imprenditore

Se potessi intervenire a livello legislativo cosa proporresti per cambiare la situazione delle imprese italiane?

(Anna Maria e Dante) Bisognerebbe obbligare le banche, che ci stanno mettendo i bastoni tra le ruote, ad abbassare i tassi di interesse, obbligare il Governo a smantellare tutta questa burocrazia e a intervenire sensibilmente sulle tasse. La pressione fiscale, oggi, non permette alle aziende di crescere, anzi è un aiuto a farci fallire. I fatti attuali sono sotto gli occhi di tutti e credo non servano altri commenti.

caparbietà


Un’eccellenza atipica

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Tema Sinergie inizia il suo percorso nel 1985 in un capannone in affitto a Faenza. Con grande capacità, determinazione e intuizione amplia rapidamente il numero dei clienti diversificando gli ambiti di intervento. Oggi è una delle più qualificate aziende a livello mondiale nella produzione di sistemi di manipolazione, dosaggio e monitoraggio dei radiofarmaci usati in Medicina Nucleare Diagnostica e, a livello nazionale, distributore esclusivo di aziende primarie americane e tedesche nel campo della Radioterapia, Radiologia Diagnostica e Urologia raggiungendo in fretta lo status di unico referente italiano per una vasta gamma di applicazioni. Un nome che è garanzia di altissima professionalità. Parliamo con il fondatore, l’Ingegner Luciano Piancastelli.

Tema Sinergie progetta, produce e commercializza soluzioni e sistemi destinati ai settori che utilizzano o controllano radiazioni ionizzanti, come ospedali, istituti di ricerca, università e industrie. Rappresentante esclusivo di importanti aziende internazionali e unico referente italiano per una vasta gamma di applicazioni, Tema Sinergie interpreta le logiche del mercato per offrire eccellenza in termini di qualità e competitività.

TEMA SINERGIE SPA

Via Malpighi 120, 48018 Faenza (Ra) Tel. 0546 622663 • www.temasinergie.it

Quando nasce Tema Sinergie? L’azienda nasce nel 1985 con una compagine sociale che conta, oltre a me, due soci e un dipendente. Provenivamo tutti da altre aziende operanti nel settore nucleare e fummo particolarmente orgogliosi di riuscire ad avviare una realtà tutta nostra dedicandoci, quasi in maniera esclusiva, a lavori su commessa. Inizialmente l’azienda produceva sistemi di monitoraggio delle radiazioni ionizzanti e schermature Antix quasi esclusivamente per le centrali dell’Enel e per centri di ricerca (INFN, CNR, ENEA ecc.). Poi, a distanza di qualche anno dall’incidente di Chernobyl, l’Italia decise di uscire dal nucleare: tutti i progetti dei centri di ricerca furono drasticamente limitati e, di conseguenza, anche il nostro mercato. Decidemmo allora di orientarci verso la medicina nucleare e la radioterapia, dove si parlava ancora di nucleare. Il nome Tema Sinergie ci è particolarmente caro, anche perché fu proprio il nostro dipendente a trovarlo: TEMA, anagramma di team, è l’acronimo di Tecnologie Elettroniche e Meccaniche Applicate. In seguito, per non incappare in problematiche di omonimia, aggiungemmo anche la parola “Sinergie”. Qual è il vostro core business? Siamo una realtà solida con una gamma completa di prodotti, soluzioni e servizi che costituisce, in Italia e nel mondo, un fondamentale punto di riferimento perché in grado di fornire soluzioni complete e innovative vantando 60 referenze solo nel nostro Paese, 15 in USA e ancora in Europa, Sud Africa, Taiwan, Australia, India, Brasile, Cina, Cile e Argentina. Pochi anni fa Tema ha aperto una sede produttiva a Houzou in Cina mentre nel 2012 ha inaugurato una controllata americana, Tema Sinergie Americas a Miami. Quest’anno poi abbiamo registrato un ulteriore importante passaggio, dal S.r.L a S.p.A. a testimonianza della crescita della società. Qual è il segreto del vostro indiscusso successo? Negli ultimi anni il settore in cui operiamo è stato caratterizzato da un notevole e costante incremento di contenuti informatici e tecnologici, tanto elevato da permettere il conseguimento di standard prima impensabili. Oggi sono le stesse aziende specializzate a farsi protagoniste dell’evoluzione del mercato con

ambizione


notevoli investimenti per la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo dei sistemi e delle apparecchiature e ci piace pensare di essere attenti a cogliere le tendenze più promettenti grazie a uno staff accuratamente selezionato con un’altissima preparazione professionale che mira a conseguire l’eccellenza in termini di qualità e competitività. Tema Sinergie è un’azienda fatta di persone, una realtà che valorizza il proprio staff attraverso la formazione, l’affiancamento e la fiducia reciproca. Sensibile alle necessità dei propri interlocutori, Tema Sinergie ha investito nelle migliori attrezzature e nelle tecnologie più avanzate per creare un ambiente di lavoro sicuro, accogliente e altamente produttivo. Un ambiente dove tutti, nessuno escluso, sono incentivati a dare il meglio. Tema sviluppa le più avanzate soluzioni cliniche e tecnologiche, fornendo, allo stesso tempo, un elevato grado di assistenza e supporto tecnico; favorisce il miglioramento del mercato grazie a idee nuove che anticipano e soddisfano le esigenze dei propri interlocutori. Infine non manca di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico all’interno del proprio spettro di attività. Qual è la vostra punta di diamante? Una delle attività principali in cui Tema Sinergie ha investito impegno e conoscenza è la Medicina Nucleare e negli anni ‘90 l’azienda ha prodotto la prima cella a flusso laminare di classe A per la manipolazione dei radiofarmaci comunemente usati in Medicina Nucleare. In oltre venti anni di attività l’azienda ha potuto affinare la progettazione e la produzione di sistemi completi per la

competenza

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manipolazione di radiofarmaci, per garantire una completa corrispondenza ai più alti livelli di radioprotezione e di standard GMP e per migliorare la qualità del lavoro dei professionisti impegnati in Medicina Nucleare. Nell’ultimo decennio un grosso incentivo al nostro mercato è stato dato dallo sviluppo mondiale della diagnosi dei tumori con la PET (Positron Emission Tomography). Per la diagnostica PET in Medicina Nucleare Tema realizza sia le celle di sintesi e di ricerca che quelle di dispensazione. Tutte le celle sono dotate di sistema di controllo della ventilazione intelligente per la gestione dei composti volatili più rischiosi, interfaccia operatore macchina tramite pannello touch screen per la tracciabilità delle operazioni e un efficiente servizio di TeleTroubleShooting. Le celle di dispensazione, se accessoriate coi nostri dispensatori, sono a tutti gli effetti degli isolatori GMP in grado di assicurare la purezza farmaceutica nella realizzazione delle dosi da somministrare ai pazienti.

Quali sono gli altri prodotti di punta di Tema? Gli oltre 28 anni di esperienza nella costruzione di sistemi di contenimento schermati in acciaio inossidabile di eccellente qualità, per il mercato nucleare, ci consentono oggi di realizzare sistemi di isolamento personalizzati per applicazioni asettiche

professionalità


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destinate all’ambito chimico e farmaceutico. I sistemi di isolamento erigono una barriera fisica tra l’operatore di laboratorio e il processo di lavorazione e sono utilizzati in diverse aree industriali, dalle linee di confezionamento alimentare alla produzione di composti citotossici fino alla manifattura di componenti elettronici e, in particolare, per quel che ci riguarda, nella lavorazione di prodotti tossici a salvaguardia dell’operatore e di farmaceutici sterili a protezione del prodotto. Un isolatore è utilizzato per creare un ambiente confinato attorno a un singolo processo, all’interno del quale prodotti e materiale sono trasferiti mediante sistemi dedicati che assicurano il totale

lungimiranza

contenimento del prodotto attivo. Ogni soluzione personalizzata è integrata dalla relativa documentazione cGMP/GAMP che include pacchetti IQ/OQ, FDS, HDS, SDS, P&ID, e tutti gli standard industriali per assicurare conformità, controllo e validazione di tutti i dati. Forte di competenze multidisciplinari, di personale altamente specializzato con conoscenze costantemente aggiornate di fisica medica, ingegneria biomedica, elettronica e informatica, Tema Sinergie mette a disposizione il suo distintivo patrimonio di avanguardia tecnologica e massima dedizione alla qualità del servizio anche nel settore della Radioterapia, della Chirurgia

passione


Laparoscopica e dell’Urologia con l’acquisizione, in esclusiva per il mercato italiano, di attrezzature che utilizzano la tecnologia HIFU (ultrasuoni focalizzati di alta intensità). A partire dallo scorso decennio l’interesse verso le tecniche di ablazione minimamente invasive si è dimostrato in forte crescita e l’approccio MIAT (Minimally Invasive Ablative Terapie) più utilizzato al mondo è indubbiamente quello fondato sulla tecnologia HIFU, che impiega ultrasuoni focalizzati ad alta intensità per il trattamento di neoplasie a carattere maligno e/o benigno. L’HIFU viene infatti comunemente descritta come la più promettente e attuale tecnica a ultrasuoni, particolarmente adatta al trattamento di neoplasie della prostata e dei tessuti molli quali fegato e reni. Una tecnologia in continua evoluzione che permette ablazioni precise e accurate dei tessuti patogeni, preservando al meglio le strutture sane circostanti; il target rappresenta una opzione terapeutica minimamente invasiva capace di eradicare il tumore mantenendo la qualità di vita del paziente. Tema Sinergie propone due macchinari all’avanguardia, una per il trattamento del tumore alla prostata (Sonablate 500), l’altra per la chirurgia laparoscopica (Sonatherm). Il primo (Sonablade 500) è così accurato da poter essere definito un trattamento di ‘chirurgia ultrasonica’: i tessuti attraversati dal fascio di ultrasuoni che sono collocati fuori dal punto focale del trasduttore restano illesi, il secondo invece (Sonatherm) coniuga il meglio dei trattamenti radioterapici guidati da immagini e della chirurgia laparoscopica che offre la possibilità di effettuare ablazioni precise e mininvasive di tutte le lesioni neoplastiche site in organi accessibili per via laparoscopica.

idee innovative

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atipicità



Questa è la vera essenza dei Capitani d’Imprese.


CONFIMI Impresa Ravenna ringrazia le aziende Airone Ambiente Srl Autec Srl BAM Snc Bitservice Srl Cesare Tavalazzi Srl CNI Group Columbia Transport Srl Consorzio Romagna Alimentare Elettromeccanica Pinza Srl Mauro Pascoli Srl Minipan Srl Nordelettrica Impianti Srl Nuova Gelart Srl O.C.M. Srl O.M.A.R. Snc Prosider SpA Siderurgica Ravennate Srl Surgital SpA Tema Sinergie SpA Vianello Assicurazioni



Confimi Impresa Ravenna • Sede provinciale Via Maestri del Lavoro, 42/f 48124 Ravenna (Frazione Fornace Zarattini) www.confimiravenna.it


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