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Ci mettiamo la firma
23/29 marzo 2012 • Numero 941 • Anno 19 “Nei rapporti con i cani e con le redazioni, gli incoraggiamenti funzionano meglio delle critiche”
Sommario
jill ABrAmsoN, pAgiNA
iN copertiNA
La settimana
La signora delle notizie
Scandalo
Americhe
18 Capitalismo tropicale Le Monde AsiA e pAcifico
22 Cina 24
Asia Times India The Times of India
ecoNomiA
107 Come vivere
della crisi The Observer
online senza distrazioni The Atlantic
portfolio
64 Rifugio tibetano Boris Joseph
Al Ahram Hebdo
86
viAggi
74 L’ottimismo
The Economist
grAphic jourNAlism
28 Paesi Bassi
silenziosa di Mario Draghi Reuters
cultura
Foreign Policy
di Beirut The National
visti dAgli Altri
Financial Times
70 Patrick Ball
europA
30 La rivoluzione
21
Jason Horowitz
27
Amira Hass
34
Rami Khouri
Seth Tobocman e Jessica Wehrle
36
David Rief
88
Gofredo Foi
liBri
90
Giuliano Milani
84 Oltre l’ebook
92
Pier Andrea Canei
The Economist
94
Christian Caujolle
46 Elezioni
100 Tullio De Mauro
pop
al blocco 7 Harper’s Magazine
96 Scrivere i soldi
iNdiA
99
dello sposo Le Monde
Cinema, libri, musica, video, arte
Le opinioni
78 New York
perù
56 Sulle tracce
ecoNomiA e lAvoro
108 Mozambico
ritrAtti
AfricA e medio orieNte
26 Sudan e Sud Sudan
tecNologiA
60 La formula
John Lanchester Centro dell’universo Simon Rich
103 Anahad O’Connor 109 Tito Boeri
le rubriche 14
Posta
scieNzA
17
Editoriali
112
Strisce
della prevenzione The New York Times
113
L’oroscopo
114
L’ultima
102 Gli eccessi
internazionale.it/sommario
Mike Daisey è un attore americano famoso per i suoi monologhi: su Amazon, sul fondatore di Scientology, su Walmart, sull’inventore della bomba al neutrone, sull’11 settembre, e anche sulla Apple, in particolare sulle fabbriche cinesi che producono iPad e iPhone. Il suo ultimo spettacolo, L’agonia e l’estasi di Steve Jobs, è andato in scena a New York con grande successo. Tanto che This american life, un programma radiofonico molto popolare, ha deciso di trasmetterlo a gennaio. Salvo poi scoprire, qualche giorno fa, che Daisey ha inventato alcuni dettagli. Gli autori di This american life si sono scusati con gli ascoltatori e hanno denunciato le bugie di Daisey. Fa rabbia che l’attore abbia mentito, e non solo perché anche noi abbiamo pubblicato un estratto del suo monologo, ma soprattutto perché gran parte dello spettacolo si basa su fatti veri, confermati da molte inchieste di giornali e reti tv. E come hanno dimostrato proprio queste inchieste, tra cui quella del New York Times pubblicata in Italia da Internazionale, gli stabilimenti cinesi della Apple sono così pericolosi che aggiungere fatti inventati non era necessario. Insomma, Daisey ha colpito proprio la causa che diceva di voler sostenere. Ed è questo il vero scandalo. “Io però non faccio giornalismo”, si è difeso Daisey. Vero. “Ma quando qualcuno – un attore, un politico, un blogger – dice che può mentire perché non è un giornalista, sta mentendo”, gli ha risposto Jef Jarvis, giornalista americano. Giovanni De Mauro settimana@internazionale.it
Jill Abramson è la prima donna a dirigere il New York Times. Riuscirà a salvare il giornale più famoso del mondo? L’articolo del New Yorker (p. 38). Foto di Peter Yang (August/Contrasto).
le principali fonti di questo numero Al Ahram Hebdo È un settimanale egiziano in francese. L’articolo a pagina 26 è uscito il 14 marzo 2012 con il titolo L’irritation va grandissant. Harper’s Magazine È un mensile statunitense che pubblica saggi, reportage, racconti brevi e dibattiti. L’articolo a pagina 46 è uscito nel febbraio del 2012 con il titolo All politics is local. Le Monde È uno dei più importanti quotidiani francesi. L’articolo a pagina 18 è uscito il 18 marzo 2012 con il titolo Schizophrénies tropicales, quello a pagina 56 il 17 febbraio 2012 con il titolo Les futurs époux, la belle-mère et le detective privé. The New Yorker È un settimanale newyorchese di qualità. L’articolo a pagina 38 è uscito il 24 ottobre 2011 con il titolo Changing times. The Observer È un domenicale britannico pubblicato dal gruppo editoriale del Guardian. L’articolo a pagina 60 è uscito il 12 febbraio 2012 con il titolo The mathematical equation that caused the banks to crash. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.
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Immagini Sotto shock Tolosa, Francia 19 marzo 2012
Un alunno del collegio ebraico Ozar Hatorah di Tolosa lascia la scuola dopo l’omicidio di tre bambini e di un rabbino, uccisi a colpi di pistola da un uomo fuggito subito dopo. Sospettato della strage è Mohammed Merah, un francese di origine algerina di 24 anni. Nella notte tra il 20 e il 21 marzo la polizia ha organizzato un raid per catturarlo, ma l’uomo si è asserragliato nel suo appartamento alla periferia della città francese, circondato da centinaia di agenti. Secondo le prime ricostruzioni, Merah è anche il responsabile dell’omicidio dei tre militari di origine araba uccisi in due distinti agguati a Tolosa e a Montauban l’11 e il 15 marzo. Foto di Jean-Philippe Arles (Reuters/Contrasto)
Immagini Buon 1391
Kabul, Afghanistan 20 marzo 2012 Festeggiamenti per il nuovo anno al santuario Karata-e Sakhi di Kabul. Il nawruz, il capodanno persiano, si celebra in molti paesi dell’Asia centrale, dall’Iran al Kazakistan, e nelle comunità di emigrati iraniani e curdi. La festività, che ha origine nella religione zoroastriana, coincide con il primo giorno di primavera. Secondo il calendario persiano, in vigore in Iran e in Afghanistan, siamo nel 1391. Foto di Massoud Hossaini (Afp/Getty Images)
Immagini La lunga marcia Saquisili, Ecuador 20 marzo 2012
Centinaia di indigeni della Confederazione delle nazioni indigene dell’Ecuador (Conaie) hanno marciato per settecento chilometri e sono arrivati a Quito il 22 marzo, per chiedere al presidente Rafael Correa di fermare la costruzione di una miniera di rame a El Pangui, in Amazzonia. La miniera appartiene alla compagnia cinese Ecuacorriente. La sua realizzazione, approvata dal governo all’inizio di marzo, costerà 1,4 miliardi di dollari. Gli indigeni sostengono che il progetto danneggerà l’ambiente, ma Correa accusa il Conaie di voler destabilizzare il governo. Foto di Rodrigo Buendia (Afp/Getty Images)
Posta@internazionale.it La trappola dei topi u L’articolo di Daniel Engber (16 marzo) ha perso due grandi occasioni: trattare la questione etica della ricerca sugli animali e presentare l’ampia varietà dei modelli di ricerca alternativi. Non credo, inoltre, che abbia sottolineato a suicienza quanto il modello animale, anche se rappresentato da un primate (cioè un essere che, per comportamenti sociali e capacità di provare sensazioni come il dolore è molto simile all’animale uomo), non sia eicace nel testare i farmaci, che il più delle volte hanno efetti molto diversi sull’uomo. La vivisezione non è solo crudele, ma anche inutile. Susanna Neuhold Antola
L’Italia di Mario Monti u Nell’articolo “L’Italia di Mario Monti” (16 marzo) La Vanguardia sostiene che “inizialmente i giornalisti berlusconiani hanno contestato il governo Monti, ma ora è il blocco culturale di sinistra che attraverso Carlo De Benedetti (…) mostra distanza e ostilità”.
Leggo abitualmente la Repubblica e mi sembra che in realtà il giornale si mobiliti per difendere la diicile impresa del governo Monti. Glenda Orlandit
Le minacce del Sahara u Nell’ultimo numero ci sono tre articoli sul terrorismo islamico. I primi due sono minuziosi e non danno punti di vista. L’articolo del Times, invece, arriva a conclusioni con estrema leggerezza, cadendo spesso in pregiudizi sull’estremismo islamico. Grazie per averci fatto capire quant’è dificile fare del giornalismo una fonte di verità. Sara Borriello
Sulla Tav u Spesso pubblicate articoli a favore del movimento No Tav mentre ancora non ho letto un solo articolo che spieghi le ragioni di chi è favorevole a quest’opera pubblica. È un approccio contrario ai vostri princìpi di divulgazione imparziale dell’informazione. La maggioranza degli italiani è a favore di
quest’opera e anche all’interno delle comunità della Val di Susa i No Tav rappresentano una minoranza. Ritengo che un’ampia informazione limiti il pericolo di essere manipolati o di creare un’opinione negativa verso il progetto. Viaggiando in Asia posso assicurarvi che noi siamo decenni indietro non solo rispetto alla Cina ma anche alla maggioranza dei paesi del sudest asiatico. Giorgio Vanni
comunque da maleducati”. Ho capito che non serviva spiegare il sesso né la prostituzione. Chiedi a tua iglia se sa cosa signiica sexy girls: risponderà belle ragazze o forse capirà di non saperlo. A quel punto consigliale di chiamare il suo club con una parola che conosce (sempre in inglese, che fa più cool). Che ne dice del club delle Beautiful girls? O, meglio ancora, delle Smart girls. Claudio Rossi Marcelli è un giornalista di Internazionale. Risponde all’indirizzo daddy@internazionale.it
Giulia Zoli è una giornalista di Internazionale. L’email di questa rubrica è correzioni @internazionale.it
Errata corrige u Nel numero del 16 marzo, a pagina 92, la tragedia del Vajont è successa nel 1963, non nel 1960. Nel numero del 9 marzo, a pagina 19, Jerome Valcke è il segretario generale della Fifa, non il presidente. PER CONTATTARE LA REDAZIONE
Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta viale Regina Margherita 294, 00198 Roma Email posta@internazionale.it Web internazionale.it INTERNAZIONALE È SU
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Ragazze intelligenti
Giorni fa mia iglia mi ha chiesto: “Papà, che vuol dire putain?”. Preso dal panico, ho risposto: “Non lo so. Io copro italiano e inglese, il francese chiedilo alla maestra”. Padre codardo. Ma non sono il solo. La mia amica Sara, canadese, ha fatto lo stesso. La radio passava il tormentone “I’m sexy and I know it”, quando sua iglia le ha chiesto: “Perché dice
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che è sexy? Gli uomini non possono essere sexy”. “Certo che possono”, risponde Sara. “Mamma, che vuol dire sexy?”. Sara si ritrova con le spalle al muro: “Non lo so. Ma credo che si possa usare anche per gli uomini”. Madre codarda. Il fatto è che se qualcuno ci avvertisse il giorno prima magari saremmo pronti a rispondere a certe domande. Dopo un po’ ho spiegato a mia iglia cosa vuol dire putain: “È una brutta parola, perché fa restare male le persone e in più si usa solo contro le donne. Qualcuno la usa al posto di ‘accidenti’, ma è
Internazionale 941 | 23 marzo 2012
Il sesso di internet
u Se Tav è l’acronimo di “treno ad alta velocità”, perché scriviamo la Tav e non il Tav? La risposta è semplice e anche un po’ scandalosa: perché lo fanno tutti. Non proprio in realtà. Gli attivisti della Val di Susa usano il maschile. Alcuni giornali e alcuni giornalisti a volte li assecondano. Ma da quando la protesta dei No Tav ha oltrepassato i conini di Susa e Bussoleno e si è trasformata in un movimento nazionale, sui mezzi d’informazione e nel parlare comune il Tav è diventato la Tav: la linea ferroviaria, la ferrovia, l’alta velocità, la tratta Torino-Lione o semplicemente l’opera, come la chiamano il premier Mario Monti e la ministra Annamaria Cancellieri. Il femminile ha prevalso, e ostinarsi a usare una forma meno difusa sarebbe una battaglia persa. Quanto al genere di certe parole, la scorsa settimana abbiamo dovuto afrontare un dilemma ben più arduo: internet è maschile o femminile? Come altri nomi stranieri entrati senza adattamento nella nostra lingua, internet ha preso il genere della parola corrispondente in italiano, in questo caso “rete”. “Viviamo su internet e ci muoviamo con lei”, scrive Piotr Czerski a pagina 96 del numero scorso. “Abbiamo imparato ad accettare che troveremo molte risposte anziché una sola”.
Dear daddy
Come spiego a mia iglia di sei anni che Super sexy girls non è un nome appropriato per un club di compagne di scuola? –Caterina
Le correzioni
Editoriali “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra ilosoia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Comitato di direzione Giovanna Chioini (copy editor), Stefania Mascetti (Internazionale.it), Martina Recchiuti (Internazionale.it), Pierfrancesco Romano (copy editor) In redazione Carlo Ciurlo (viaggi), Camilla Desideri (America Latina), Simon Dunaway (attualità), Mélissa Jollivet (photo editor), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Italieni), Maysa Moroni, Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa e Medio oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero Zardo (cultura), Giulia Zoli (Stati Uniti) Impaginazione Pasquale Cavorsi, Valeria Quadri Segreteria Teresa Censini, Luisa Cifolilli Correzione di bozze Sara Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli. Marina Astrologo, Giuseppina Cavallo, Matteo Colombo, Stefania De Franco, Andrea De Ritis, Giusy Muzzopappa, Floriana Pagano, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno collaborato Gian Paolo Accardo, Luca Bacchini, Francesco Boille, Annalisa Camilli, Catherine Cornet, Gabriele Crescente, Giovanna D’Ascenzi, Sergio Fant, Andrea Ferrario, Antonio Frate, Anita Joshi, Odaira Namihei, Lore Popper, Fabio Pusterla, Marta Russo, Marc Saghié, Andreana Saint Amour, Diana Santini, Angelo Sellitto, Laura Tonon, Pierre Vanrie, Guido Vitiello Editore Internazionale srl Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Emanuele Bevilacqua (amministratore delegato), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro, Giovanni Lo Storto Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e difusione Francisco Vilalta Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del marketing editoriale Tel. 06 809 1271, 06 80660287 info@ame-online.it Subconcessionaria Download Pubblicità S.r.l. Stampa Elcograf Industria Graica, via Nazionale 14, Beverate di Brivio (Lc) Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. Signiica che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per ini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: posta@internazionale.it
Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 20 di mercoledì 21 marzo 2012 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO
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L’ombra di Al Qaeda a Tolosa Le Monde, Francia Se le informazioni rese note il 21 marzo dal ministro dell’interno francese Claude Guéant saranno confermate, l’uomo sospettato di aver ucciso sette persone in dieci giorni a Tolosa e a Montauban fa parte di un’organizzazione legata ad Al Qaeda. “Dice di aver voluto vendicare i bambini palestinesi e di voler colpire l’esercito francese per i suoi interventi all’estero”, ha detto Guéant, mentre la polizia circondava l’uomo di 24 anni, asserragliato in un appartamento a Tolosa. Di quest’uomo per ora si sa solo che è francese, di una famiglia algerina, è stato in Pakistan e in Afghanistan, e “ha dei contatti con persone vicine al movimento salaita e militanti del jihad”. Un proilo che i servizi di sicurezza francese conoscono bene. Dopo gli attentati degli anni novanta in Francia e dopo l’11 settembre 2001, i servizi di sicurezza hanno imparato a individuare i segnali jihadisti nelle moschee più militanti e tra i giovani dei quartieri in cui sono concentrate le comunità di immigrati in Francia. Chi è passato per le zone di guerra alla frontiera pachistanoafgana è ovviamente sorvegliato con più attenzione. L’antiterrorismo francese ha a disposizione
leggi molto dure che permettono di tenere a lungo i sospettati in stat0 di fermo ed è famoso per la sua eicienza. Dal 1997 la Francia non ha più subìto attentati sul suo territorio, al contrario degli Stati Uniti nel 2001, della Spagna nel 2004, della Gran Bretagna nel 2005. L’impegno militare della Francia in varie zone del mondo, in particolare in Afghanistan, e la sua varietà culturale e religiosa – la Francia è il paese dell’Unione europea che ospita la più importante comunità musulmana ed ebraica – ne fanno un obiettivo privilegiato per le organizzazioni legate ad Al Qaeda. Nonostante la morte di Osama bin Laden e di altri suoi leader, la rete terroristica rimane una minaccia, con i suoi gruppuscoli indipendenti sparsi per il mondo. Cosa vogliono questi jihadisti? Vogliono impedire alla Francia di essere la Francia e all’Europa di essere l’Europa, nella loro diversità e nella loro tradizione di tolleranza. E in efetti dal 2001 sia la Francia sia l’Europa sono state messe a dura prova. Ma se l’ipotesi di Tolosa fosse confermata, l’errore peggiore sarebbe cedere a queste pressioni a causa del dolore e delle minacce. u adr
Sciiti e sunniti in lotta Bernard Guetta, France Inter, Francia L’Iraq ha vissuto una giornata di orrore. Il 20 marzo, in poche ore, sono esplosi 27 ordigni in 17 città, causando almeno 50 morti e 230 feriti. Un’ondata di attentati che dipende dagli equilibri geopolitici in Medio Oriente. Con la sua maggioranza sciita e le sue minoranze sunnita, curda e cristiana, l’Iraq è stato dominato, sotto Saddam Hussein, dai sunniti che, pur minoritari, occupavano i posti di governo a tutti i livelli. L’intervento statunitense ha portato al potere la maggioranza sciita, e i sunniti sono stati emarginati. Questo ha alterato gli equilibri della regione: con gli sciiti al governo l’Iraq si è riavvicinato all’Iran, dove gli sciiti sono la grande maggioranza. Insomma, il paradosso è che l’invasione statunitense ha aumentato il peso di Teheran nella regione. Ma ora la crisi siriana potrebbe di nuovo modiicare il quadro. A Damasco l’equilibrio tra le due correnti dell’islam è inverso rispetto all’Iraq: la maggioranza è sunnita e gli sciiti – e più precisamente la corrente degli alawiti – sono in minoranza. Ma la minoranza, incarnata dalla famiglia Assad, controlla il paese. L’insurrezione è guidata dalla maggioranza sunnita,
emarginata come lo furono gli sciiti in Iraq. Se i ribelli siriani vincessero, dunque, l’Iran potrebbe perdere a Damasco l’inluenza che ha conquistato a Baghdad. E questa prospettiva provoca tensioni nell’intera regione. L’ultima cosa che Teheran vuole è il crollo di Assad, perché perderebbe un alleato che gli permette di proiettare la sua inluenza ino al conine settentrionale di Israele, grazie ai suoi rapporti con Hezbollah, la formazione politico-militare degli sciiti libanesi. Parallelamente, con una vittoria della rivolta in Siria, il mondo sunnita spera di recuperare terreno sugli sciiti. I sunniti iracheni vorrebbero vicino una Siria tornata sunnita, capace di sostenerli. Le monarchie petrolifere del Golfo (Arabia Saudita in testa), che sono sunnite e che l’Iran sciita ha sempre cercato di destabilizzare, sognano che i sunniti vincano a Damasco e isolino Teheran. L’insurrezione siriana mette quindi l’uno di fronte all’altro i fratelli-nemici dell’islam, pronti a uno scontro generale di cui gli attentati in Iraq contro il governo sciita potrebbero essere solo un assaggio. u ma Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Cuba Capitalismo tropicale
Le riforme economiche cominciano a produrre qualche efetto. Molte persone aprono attività private, soprattutto legate al turismo. Ma nelle campagne non è cambiato nulla ercedes ha trovato la soluzione per evitare di scendere due piani di scale del suo palazzo decrepito. Ogni volta che suonano al citofono, appende le chiavi a una corda e le cala dalla inestra. Calle Consolado, nel quartiere di Centro Habana, sembra la scenograia di un ilm. Centro Habana non è bello come L’Avana vecchia, tutta restaurata, né come le zone residenziali di Vedado o Miramar. Si tratta di un quartiere popolare abitato da neri e meticci, che mostra uno spaccato di vita della società cubana e dei cambiamenti che stanno avvenendo nell’isola negli ultimi tempi. “Compro oro, compro oro”, si sente gridare tutte le mattine, tra il canto del gallo e le urla dei bambini. Oppure: “Galletas y mantequilla” (biscotti e burro). Su biciclette trasformate in veicoli a tre ruote i venditori ambulanti ofrono i loro prodotti agli abitanti del quartiere. Una donna arriva di corsa per vendere un orecchino: “Ho perso l’altro. Tanto vale sbarazzarmene”. A due passi da una Plymouth degli anni cinquanta, una donna anziana vende pacchetti di patatine e di popcorn che prepara e imbusta a casa sua, e poi li sistema in un carrello della spesa arrugginito. Tutti questi venditori sono cuentapropistas, cioè commercianti autorizzati. Dall’ottobre del 2010 il governo cubano ha incentivato i lavoratori a mettersi in proprio. Infatti lo stato non ha più i mezzi per dare lavoro al 90 per cento della popolazione, come ha fatto ino a ieri. Entro il 2015 si perderanno più di un milione di posti di lavoro (un quarto del totale) del settore pubblico. Circa 130mila persone sono state licenziate nel 2011 e altre 170mila dovrebbero essere
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Internazionale 941 | 23 marzo 2012
mandate a casa quest’anno. Mercedes non è stata licenziata. L’anno scorso ha scelto di lasciare il suo lavoro di bibliotecaria per lanciarsi nel turismo, ha aperto una casa particular, una sorta di bed and breakfast. In un solo giorno la ragazza riesce a incassare quello che prima guadagnava in un mese. Fra i 181 mestieri privati autorizzati da Raúl Castro, quello di albergatore è il più richiesto, perché permette di guadagnare bene e in fretta. All’Avana e in tutta l’isola si assiste a un’esplosione di casas particulares. Tollerato come un male necessario negli anni novanta, nel momento del “periodo speciale” quando l’isola era in ginocchio dopo il crollo dell’Unione Sovietica, oggi invece questa forma di turismo è incoraggiata.
Apertura Di anno in anno il numero di turisti a Cuba è sempre più alto. Nel 2011 l’isola ha ricevuto 2,7 milioni di visitatori stranieri, che hanno portato nelle casse del paese due miliardi di dollari. Gli alberghi ormai non bastano più. Ma le regole del gioco sono cambiate, ormai non si affitta più illegalmente una stanza. Oggi bisogna avere una licenza, pa-
Da sapere
u Dal 26 al 28 marzo Benedetto XVI sarà in visita uiciale a Cuba. È la prima volta che il ponteice visita l’isola. Giovanni Paolo II era stato a Cuba nel 1998. u Il governo cubano teme che i dissidenti possano approittare della visita papale per protestare contro la mancanza di libertà nel paese e il 18 marzo ha arrestato per qualche ora 62 attivisti del gruppo Damas de blanco.
CRISTINA GARCIA RODERO (MAGNUM/CONTRASTO)
Florence Beaugé, Le Monde, Francia
gare una tassa issa mensile e delle imposte a ine anno. Una rivoluzione per un popolo che non è abituato a pagare le tasse. Altra novità: non si è più obbligati a essere “socialmente attivi nei confronti del paese e della rivoluzione” per ottenere una licenza. In altre parole non è più necessario dimostrare il proprio attaccamento al Partito comunista, anche se il controllo politico e sociale rimane molto forte. Mercedes non rimpiange di essersi lanciata in questa avventura, ma il suo lavoro è pesante. Passa le giornate a fare i conti e a sistemare il libro di cassa. “Nel complesso la nostra vita è migliorata dopo ‘l’apertura’. Ma la mancanza di denaro rimane una costante che ci sinisce”, confessa la ragazza. Con il suo piccolo stipendio, Mercedes mantiene la madre, la iglia e la nipote. Quando arrivano troppi turisti, la ragazza chiede aiuto alla vicina. In cambio di pochi centesimi Dolores trova una casa particular disponibile e ci porta i turisti. Si tratta di un piccolo lavoro, ma Dolores non ha trovato niente di meglio. Come quasi tutti i pensionati cubani, Caridad, 75 anni, ha una pensione molto bassa, l’equivalente di dieci dollari al mese. Negli ultimi anni per sbarcare il lunario vendeva illegalmente del rum. Ma sei mesi fa si è detta: “A Cuba tutti guadagnano un sacco di soldi con il turismo. Perché non posso farlo anch’io?”. Così Caridad ha trasformato la sua camera da letto in stanza per gli ospiti e si è trasferita in uno sgabuzzino. Ma nonostante la sua gentilezza, questa
L’opinione
Benedetto XVI e il coccodrillo Yoani Sánchez per Internazionale I dissidenti chiedono di incontrare il papa, ma il governo ha intensiicato la repressione e gli arresti nsiema al papa, che presto verrà a Cuba, ci sarà anche uno splendido coccodrillo. L’animale era stato portato illegalmente in Italia dall’isola e papa Benedetto XVI ha deciso di restituirlo alla sua terra, forse per dimostrare che Cuba può tornare a recuperare il posto che le spetta nel mondo. Quando i due atterreranno all’aeroporto di Santiago de Cuba, tutto sarà tranquillo e una folla festante darà il benvenuto al ponteice. L’evento è stato preparato con molto anticipo. Nelle ultime settimane in tutti i posti di lavoro si sono svolte riunioni per convincere i cubani a partecipare alle messe oiciate dal papa. “Nessuno deve mancare”, dicono le autorità. Come sempre queste convocazioni hanno l’aria di un ordine. Il governo vuole dare un’immagine di normalità, convincere il mondo che le riforme di Raúl Castro vanno avanti senza ostacoli. Ma la realtà non è così semplice. Già da qualche settimana, prima del grande arrivo, la temperatura è salita. Il 13 marzo all’Avana un gruppo di 13 persone ha occupato il santuario di Nuestra señora de la caridad del cobre, chiedendo di far arrivare alcune richieste a Joseph Ratzinger. Due giorni dopo, a mezzanotte, la gerarchia religiosa ha autorizzato lo sgombero degli occupanti. L’intesa tra la polizia politica e il cardinale Jaime Ortega ha fatto storcere il naso a molti, e ha riportato a galla i dubbi sul ruolo sociale del clero. Perino quelli che nel 2010 avevano applaudito il dialogo tra la chiesa e il governo per la scarcerazione dei prigionieri politici sono rimasti delusi dalla vicenda. Lo sgombero forzato ha danneggiato
I Una drogheria, Baracoa, 2011 pensionata non conosce le regole del gioco. Il suo appartamento non ha inestre e il suo cane non sempre è apprezzato dai clienti. “Da me i turisti non rimangono mai più di una notte. Non capisco perché”, dice ingenuamente Caridad, seduta sulla sua sedia a dondolo con i bigodini in testa. Per il momento perde più denaro di quanto ne guadagni, perché deve pagare la tassa mensile, che è piuttosto alta. Se la visita del papa a ine marzo non le porterà qualche turista, la donna ha deciso che lascerà perdere. “Mi riciclerò nella vendita di panini farciti con carne di maiale”, dice rassegnata. In un’altra zona dell’Avana, in un settore residenziale di Vedado, Sergio Rafael Marin, 51 anni, ha capito al volo le regole del capitalismo. “Ho percepito il cambiamento in dal 2009”. Così poco più di un anno fa questo ex chef di un grande albergo dell’Avana ha aperto due ristoranti, La Pachanga, un fast food nel suo garage, estremamente pulito e con buoni prodotti, e l’altro nel suo salotto, sull’esempio dei paladares, i ristoranti privati, autorizzati con moderazione dal regime verso la metà degli anni novanta. Marin ha curato il menù e l’arredo, molto intimo. Il successo è stato immediato. L’ex chef è esigente con il personale quanto lo è con se stesso. “Li pago bene, ma se lavorano male li licenzio”, dice senza giri di parole. Anche se non gli piace, come a molti cubani, utilizzare il termine “capitalismo”, ammette che il paese “è a
l’immagine della chiesa cubana, al punto da mettere a repentaglio il ruolo delle gerarchie ecclesiastiche nel processo di transizione. Nel frattempo si sono intensiicati gli arresti indiscriminati da parte della polizia. D’altronde bisogna tenere “pulita” l’isola per quando il santo padre celebrerà le sue omelie. Una tecnica è quella di minacciare in anticipo gli oppositori, invitandoli a non scendere in strada durante la visita papale. Le ultime proteste delle Damas de blanco si sono concluse con l’arresto delle manifestanti. Tra l’altro il papa arriva nell’isola pochi giorni dopo il nono anniversario della cosiddetta primavera nera del 2003, quando furono arrestati 75 dissidenti e giornalisti indipendenti. Ogni anno la commemorazione di questo evento coincide con una settimana di tensioni tra la polizia e gli oppositori del governo. Quest’anno le proteste sono state accompagnate dalla richiesta degli attivisti per i diritti civili di essere ricevuti dal papa. Le stesse Damas de blanco hanno chiesto a Benedetto XVI di concedere loro almeno un minuto e ascoltare il racconto dell’altra Cuba, quella che le autorità non vogliono mostrare. Per ora non ci sono segnali di una disponibilità del papa a incontrare le Damas o qualunque rappresentante della società civile. Questo potrebbe essere il principale errore della visita papale, una visita che ha le stesse connotazioni di quella di Giovanni Paolo II del 1998, quando il papa polacco pronunciò la celebre frase “Cuba apra al mondo e il mondo apra a Cuba”. Quattordici anni dopo siamo ancora in molti a sperare che almeno “Cuba apra a Cuba”. Ma l’obiettivo inale potrà essere raggiunto solo se il papa si farà portavoce di tutti i cubani, anche di quelli che vivono su quest’isola, ma sono invisibili come un coccodrillo addormentato.u as
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Cuba una svolta. Per noi si tratta di una novità. Il trauma è forte, ma il paese risponde bene”. Ogni sabato mattina il paseo del Prado, celebre viale dell’Avana, ospita uno spettacolo originale. Circa duecento persone si riuniscono con un cartello in mano, mentre gli alberi si coprono di annunci simili a ex voto. Si tratta della “borsa delle case”. Finora era autorizzata solo la permuta. Ma dal novembre del 2011 i cubani possono comprare e vendere la loro abitazione o la macchina. La notizia è stata accolta con entusiasmo, ma il mercato non è ancora decollato. I primi beneiciari di questa misura sono i 40mila cubani che lasciano l’isola ogni anno. D’ora in poi potranno vendere la loro casa o lasciarla alla famiglia prima di andarsene. Otto mesi fa Marieta, 28 anni, parrucchiera, ha aperto un piccolo negozio nel cortile del suo palazzo. La ragazza lava i capelli con l’acqua fredda e come bigodini usa i cilindri di cartone della carta igienica. Se non dovesse fare i conti con la mancanza di attrezzature, sarebbe contenta. “Da quando lavoro per conto mio guadagno dieci volte di più. Lo stato ha smesso di fare soldi sulle mie spalle”, esclama la ragazza. Tuttavia Marieta, come la stragrande maggioranza dei cubani, sogna di emigrare. “Qui non c’è futuro”, dice la ragazza indicando la iglia di tre anni. Gladys non è entusiasta delle riforme. È infermiera e guadagna quindici dollari al mese. “Il lavoro mi piace, ma il mio stipendio è una vergogna”, dice. Gladys non può passare al settore privato. Come l’insegnamento, anche la sanità rimane sotto il controllo dello stato. Per guadagnare degli extra, dovrebbe improvvisarsi venditrice di cd e dvd piratati o cameriera, ma non vuole. “Non ho studiato tanti anni per ridurmi a questo”, dice. La donna sa che la libreta, i tagliandi che garantiscono una quota di prodotti alimentari minimi a tutti i cubani, rischia di essere soppressa. La libreta è una forma di assistenza di base. Ogni mese il governo fornisce olio, zucchero, cafè, riso e uova, in quantità limitata. Per tutto il resto c’è l’arte di arrangiarsi, il secondo o il triplo lavoro, il furto di merci nei posti di lavoro. Da questo punto di vista la situazione non è cambiata. Ossessiva ed estenuante, questa corsa al denaro è senza ine, perché nell’isola il costo della vita è alto. Il motivo è semplice, il paese importa il 70 per cento dei prodotti alimentari. L’obiettivo di Raúl Castro è quello di dare un nuovo impulso
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all’agricoltura. Ma l’80 per cento dei cubani vive in città. Per farli tornare in campagna negli ultimi anni sono stati messi in campo degli incentivi. Così 1,4 milioni di ettari abbandonati sono stati distribuiti a circa 150mila contadini. Ma i risultati di questa politica porteranno frutti tra molto tempo.
Visita complicata
Prendere il meglio
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Viñales è una cittadina di seimila abitanti a duecento chilometri dall’Avana. Qui tutti vivono di turismo, anche se la città è circondata da terre tra le più fertili dell’isola, quelle del prezioso tabacco. Ma sono in pochi a fare gli agricoltori. Con le sue case basse color pastello, i portici ornati di colonne neogreche e i tetti rossi, Viñales attira sempre più visitatori. Ci sono almeno 500 casas particulares, rispetto alle 300 dell’anno scorso, mentre il numero di bar e ristoranti si moltiplica ogni mese. Invece di mettere i loro risparmi sotto il materasso, la maggior parte dei cuentapropistas di Viñales li deposita in banca. Il tasso d’interesse è al 3 per cento, piuttosto basso visto che l’inlazione oscilla fra il 3 e il 5 per cento (uicialmente sarebbe all’1 per cento). Da dicembre i cubani possono chiedere un prestito, ma molti esitano a fare questo passo. “Non mi piace l’idea di avere dei debiti, non è nelle nostre abitudini”, dice una ristoratrice. A tre chilometri da Viñales si entra in un altro mondo. Il denaro del turismo non arriva in qui. I contadini vivono in un regime autarchico. I più fortunati consumano i loro prodotti (riso, fagioli, verdura, frutta), mentre i più poveri sopravvivono con la libreta. Molti non conoscono nulla dell’isola e non sono mai andati all’Avana. I mezzi di trasporto sono pochi e molto cari. Elena e Mario non ne possono più di scontrarsi con la burocrazia: non hanno elettricità. Da diversi anni i pannelli solari installati sui tetti non funzionano più. Così come i loro vicini devono cucinare con il carbone e non hanno il frigo. “Se avessimo l’elettricità, saremmo felici”, dice Elena. Nel ine settimana, a Viñales i giovani si ritrovano in piazza. Sono tutti vestiti nello stesso modo: magliette e jeans neri. Sognano di andarsene, ma l’atmosfera è allegra. “Ce la faremo. Cuba ce l’ha sempre fatta”, dice Ricardo Álvarez Pérez, funzionario comunale. Per lui il futuro non è “né il socialismo né il capitalismo”. Bisognerà fare “un misto e prendere il meglio dell’uno e dell’altro, non importa come si chiamerà”. u adr
Messico
a visita di Benedetto XVI in Messico, che si svolgerà dal 23 al 26 marzo, non sarà così serena come sperano gli organizzatori”, scrive il settimanale messicano Proceso. “Il viaggio di papa Joseph Ratzinger coincide con la pubblicazione del libro La voluntad de no saber (Random House-Mondadori). Sulla base di alcuni documenti provenienti dagli archivi segreti del Vaticano, gli autori Alberto Athié, José Barba e Fernando M. González accusano l’ex ponteice Giovanni Paolo II e il suo successore di aver protetto Marcial Maciel, il fondatore della congregazione dei legionari di Cristo, morto nel 2008, dalle accuse di abusi sessuali su decine di giovani tra gli anni quaranta e gli anni sessanta. I crimini di Maciel erano noti dal 1944. Ma la curia romana lo ha protetto, tollerando i suoi comportamenti aberranti”. El Universal Domingo dedica un articolo a José Barba, che è stato una delle vittime di Maciel, facendo luce sulle responsabilità del papa: “Quando era a capo della congregazione per la dottrina della fede, Ratzinger ricevette una denuncia contro Maciel da Barba e Arturo Jurado, un altro ex legionario che aveva subìto abusi sessuali. Ma per molti anni i due hanno ricevuto in risposta solo silenzio e disprezzo”. “Quando Benedetto XVI sarà in Messico”, scrive Proceso, “molte vittime di Maciel e dei preti pedoili cercheranno di incontrarlo per presentargli di persona le loro richieste di giustizia”. u
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El Universal Domingo Confesso. La storia di José Barba
Proceso Caso Maciel. Il Vaticano sapeva tutto
Americhe La trattativa con i boss Il quotidiano del Salvador El Faro ha rivelato in un’inchiesta che il governo ha concluso una trattativa con i più importanti gruppi criminali del paese per ridurre la violenza e gli omicidi. In cambio trenta criminali, leader dei gruppi Mara Salvatrucha e Barrio 18, sono passati dal carcere di massima sicurezza a quello ordinario. nel paese il tasso di omicidi nel 2011 è stato di 70 ogni centomila persone.
IN BREVE
Colombia Il 17 marzo undici soldati sono morti in un attacco dei ribelli delle Farc nella provincia di Arauca, nell’est del paese. Tre giorni dopo l’esercito ha efettuato un raid nella regione uccidendo 24 ribelli. Uruguay Il 18 marzo due infermieri sono stati rinviati a giudizio per aver ucciso almeno 16 pazienti in due ospedali di Montevideo. I pazienti non erano malati terminali.
Stati Uniti
La primavera di Occupy The Nation, Stati Uniti “A prima vista, potrebbe sembrare che l’inverno abbia spazzato via Occupy Wall street con la stessa rapidità con cui era nato sei mesi fa. Quasi tutti gli accampamenti sono stati sgomberati: Occupy non è più una presenza isica. Ma come in ogni paesaggio invernale, la supericie immobile nasconde una realtà più complessa. nelle case, negli uici e negli spazi chiusi gli attivisti di Occupy continuano a lavorare”. I pareri raccolti da The Nation sulle prossime side del movimento sono diversi. Alcuni prevedono una frammentazione del movimento in piccole campagne collegate tra loro, altri considerano imprescindibile l’occupazione dello spazio pubblico, c’è chi auspica una nuova strategia in vista delle elezioni presidenziali e chi invita a una rilessione sull’uso della violenza. Il 17 marzo durante la manifestazione per celebrare i sei mesi di Occupy Wall street 73 persone sono state arrestate a Zuccotti park. I manifestanti hanno indetto uno sciopero generale per il primo maggio per protestare contro la brutalità della polizia. ◆
Da Washington Jason Horowitz
Obama all’attacco Dopo un silenzio uiciale di quasi un anno, passato a guardare Mitt Romney e Rick Santorum sferrare i loro attacchi al presidente, la campagna elettorale di Barack Obama è ripartita di slancio. La settimana scorsa il vicepresidente Joe Biden, il volto umano del partito democratico, ha parlato agli operai dell’industria dell’auto in Ohio: il presidente ha creduto nel settore auto, ha sottolineato Biden, mentre i candidati repubblicani volevano abbandonare Detroit al suo destino. Poi è partito un lungo video sugli anni della presi-
denza Obama. Solo nel mese di febbraio i democratici hanno raccolto inanziamenti elettorali per 45 milioni di dollari, mentre i repubblicani sono distratti da una lotta senza quartiere che rischia di continuare ino alla convention. Romney sta cercando in tutti i modi di evitare questa eventualità. Mentre i suoi esperti di statistica ripetono che ha la vittoria in tasca, lui si vanta delle vittorie in isole lontane come Puerto Rico e le Samoa Americane, che sono territori non incorporati negli Stati uniti. grazie alla sua vit-
JIM YOung (REuTERS/COnTRASTO)
EL SALVADOR
STATI UNITI
L’Illinois a Romney Il 20 marzo Mitt Romney (nella foto) ha vinto le primarie repubblicane in Illinois con il 46,7 per cento dei voti e un distacco di più di dieci punti sul suo principale rivale, Rick Santorum. “Per Romney non è stata solo una questione di numeri. Dopo le vittorie risicate in Michigan e in Ohio, doveva dimostrare che è in grado di entusiasmare gli elettori e vincere nettamente anche fuori dalla sua roccaforte del nordest”, scrive il Washington Post. Alle prossime primarie, il 24 marzo in Louisiana, “Santorum potrebbe vincere, ma diicilmente riuscirà a recuperare lo svantaggio in termini di delegati”.
BRASILE
toria netta in Illinois, Romney spera di poter inalmente voltare pagina e concentrarsi su Obama. Il 20 marzo è andato al ground zero dell’universo obamiano, l’università di Chicago, dove Obama ha insegnato, per sferrare il suo contrattacco. “L’assalto dell’amministrazione Obama alla nostra libertà economica”, ha dichiarato, “è il motivo principale per cui la ripresa è stata così tiepida”. ◆ fas Jason Horowitz segue la campagna elettorale statunitense per Internazionale.
Altri guai per la Chevron Il 15 marzo la compagnia petrolifera statunitense Chevron ha dichiarato che ci sono state altre perdite di petrolio nel giacimento Campo de Frade a largo di Rio de Janeiro. Intanto una corte ha stabilito che il presidente della Chevron in Brasile e sedici dirigenti della compagnia, ritenuti responsabili dell’incidente avvenuto nel novembre del 2011, non potranno lasciare il Brasile, scrive O Globo. Secondo il governo le piattaforme hanno destabilizzato i fondali marini provocando il rischio di altre perdite.
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FENG LI (GEtty IMAGES)
Cina
Bo Xilai all’assemblea nazionale del popolo a Pechino il 5 marzo 2012
La caduta di Bo Xilai, il nostalgico di Mao Kent Ewing, Asia Times, Hong Kong La parabola dell’astro nascente della politica cinese è inita con la sua rimozione dal vertice del partito di Chongqing. Un segnale che il potere è nelle mani dei riformisti uando il 15 marzo è arrivata la notizia della caduta di Bo Xilai, il più audace, carismatico e ambizioso leader politico cinese, il messaggio rivolto alla sinistra del Partito comunista, sempre più insoddisfatta, è stato chiaro: la Cina andrà avanti sulla strada delle riforme politiche ed economiche, e non tornerà indietro all’epoca buia di Mao Zedong e della rivoluzione culturale. Da anni i riformisti e gli esponenti della sinistra si contendono l’anima del partito. L’allontanamento senza tante cerimonie di Bo Xilai dalla guida del partito nella tentacolare megalopoli di Chongqing è stato un’umiliante sconitta anche per tutti i nostalgici di Mao e degli ideali perduti dell’uguaglianza economica e della giustizia sociale, preoccupati per l’esasperato materialismo cinese e per le disparità economiche e sociali.
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Comunque sia, la caduta di Bo non è solo la conseguenza di uno scontro ideologico. Il suo stile populista, a tratti puramente demagogico, preoccupava i vertici del partito più delle sue idee politiche. E il fatto che fosse uno dei igli degli alti quadri del partito dava fastidio a molti. Bo, 62 anni, raggiunge così l’ex segretario del partito di Shanghai Chen Liangyu, e diventa il secondo esponente del politburo a 25 membri allontanato dall’incarico nei nove anni di regno del presidente Hu Jintao e del primo ministro Wen Jiabao. Chen è stato arrestato per corruzione, mentre Bo, almeno inora, continua a lavorare per il politburo. Dopo cinque anni molto discussi sulla cresta dell’onda a Chongqing, Bo è stato sostituito dal vicepremier Zhang Dejiang. Zhang, 65 anni, ha servito come capo di partito in tre province e si è laureato in economia all’università Kim Il-sung di Pyongyang. Come Bo, anche lui è considerato un conservatore, ma ha uno stile più dimesso. Alla ine la personalità debordante e la spavalderia irrefrenabile di Bo hanno determinato la sua caduta. Almeno per ora sembra che i riformisti stiano avendo la meglio. Non è certo una coincidenza se alcuni famosi siti internet delle sinistra come Utopia
e Maolag.net siano stati chiusi per “manutenzione” da quando Bo è stato allontanato dall’incarico. In ogni caso è ancora presto per capire quanto la complicata vicenda di Bo inluirà sul decennale cambio al vertice previsto per quest’anno. Ex ministro del commercio e governatore della provincia di Liaoning, Bo sperava di sfruttare la reputazione di nemico del crimine che si era costruito a Chongqing per ottenere una delle nove poltrone del comitato permanente del politburo in occasione del diciottesimo congresso del partito in programma in autunno. La sua campagna contro le triadi di Chongqing, guidata dal idato capo della polizia Wang Lijun, è stata molto eicace. Centinaia di criminali sono initi in carcere, insieme a più di mille funzionari corrotti che li proteggevano. Anche se è molto probabile che la campagna anticrimine sia stata condotta senza rispettare le regole e che le confessioni siano state estorte sotto tortura, è innegabile che Bo sia diventato una celebrità nazionale, inserendosi nella corsa al comitato permanente. Bo ha cominciato a vacillare il 6 febbraio quando, dopo essere stato rimosso dall’incarico di capo della polizia, Wang avrebbe tradito il suo mentore chiedendo invano asilo al consolato statunitense di Chengdu. Lasciato il consolato, Wang è stato messo in “congedo da stress” e da allora non si hanno sue notizie.
Il futuro del politburo La vicenda di Wang è al centro di un’inchiesta e potrebbe fornire prove compromettenti contro Bo. Inoltre lo scandalo potrebbe provocare la caduta di un altro fedele alleato di Bo, il sindaco di Chongqing, Huang Qifan, e favorire l’ascesa di Guan Haixiang, vicino a Hu e candidato a sostituire Wang al vertice della polizia. Prima del presunto tentativo di tradimento di Wang, il dominio di Bo a Chongqing era segnato da grandi campagne in stile maoista, con citazioni dal Libretto rosso del Grande timoniere e canzoni rivoluzionarie. Nel 2009, prima del sessantesimo anniversario della nascita della Repubblica Popolare, Bo ha mandato via sms ai 13 milioni di utenti di Chongqing alcune frasi di Mao. L’inclinazione di Bo per la “cultura rossa” era chiaramente nei pensieri di Wen Jiabao in occasione della sua ultima conferenza stampa da premier, a conclusione della sessione plenaria annuale dell’assem-
blea nazionale del popolo. Anche se Wen non ha citato Bo, il riferimento a lui è apparso evidente quando ha sottolineato che senza ulteriori riforme economiche la Cina potrebbe andare incontro a un’altra rivoluzione culturale. Sulla vicenda di Wang il primo ministro è stato altrettanto duro e ancora più esplicito: “L’attuale comitato del partito e il governo di Chongqing devono riflettere a fondo e imparare la lezione dell’incidente che ha coinvolto Wang Lijun. Comunicheremo al popolo i risultati dell’inchiesta, in modo che possa sostenere la prova della legge e della storia”. Le dichiarazioni di Wen sono state un esempio raro di attacco pubblico di un leader cinese nei confronti di un altro membro del politburo. Nessuno si è stupito quando il giorno dopo l’agenzia Xinhua ha annunciato la rimozione di Bo. Ora la battaglia tra i leader per far parte dei nove uomini più potenti della Cina non potrà far altro che intensiicarsi. Due posti sono già occupati dal vicepresidente Xi Jinping, che dovrebbe prendere il posto di Hu come presidente, e dal viceprimo ministro Li Keqiang, considerato il probabile successore di Wen. Restano sette posti e i pretendenti sono nove, cinque dei quali sembrano in netto vantaggio sugli altri. Non esiste una scienza esatta per prevedere il futuro del politburo, ma in base alle premesse pare che i posti ancora in gioco al comitato permanente siano solo due. Gli ultimi congressi di partito sembrano aver stabilito la regola implicita che solo gli esponenti del politburo sotto i 68 anni possono ambire al comitato permanente. Seguendo questa logica il campo si restringe, anche se c’è la possibilità che alcuni esterni al politburo si siano distinti al punto da essere scelti. Dopo tutto Xi Jinping e Li Keqiang non facevano parte del politburo quando nel 2007 sono stati nominati al comitato permanente. Insieme a Wang Yang del Guangdong, Zhang Gaoli della municipalità di Tianjin e Yu Zhengsheng di Shanghai, Bo era uno dei quattro in gara per uno dei due posti apparentemente ancora disponibili. Ora sono rimasti in tre. u as u Il 20 marzo sul web è comparsa una registrazione audio che svelerebbe i retroscena della caduta di Bo Xilai. A quanto pare Bo avrebbe tentato di bloccare le indagini della polizia su alcuni suoi familiari. Questo spiegherebbe l’allontanamento del suo ex braccio destro Wang Lijun.
L’opinione
Un discorso memorabile Hu Shuli, Caixin, Cina Il premier Wen Jiabao ha messo in guardia dal pericolo di una nuova rivoluzione culturale, scrive Hu Shuli urante la conferenza stampa conclusiva della sessione plenaria annuale dell’assemblea nazionale del popolo, durata quasi tre ore, il primo ministro Wen Jiabao ha fatto un riferimento chiaro e tutt’altro che involontario alla storica risoluzione del partito che nel 1981 ha riconosciuto il trauma nazionale della rivoluzione culturale. Il documento è una pietra miliare che ha aperto la strada alle successive riforme in Cina. La risoluzione ha segnato un distacco radicale del partito da un evento storico devastante. Wen ha citato la risoluzione per ben due volte, proseguendo sulla strada indicata dal presidente Hu Jintao, che durante le celebrazioni per l’anniversario del Partito comunista cinese a luglio aveva elogiato il documento. Il primo riferimento al documento da parte di Wen è arrivato durante l’analisti delle riforme politiche in Cina. Wen ha ricordato che dopo la ine della Banda dei quattro, che ha dominato i vertici del partito durante la rivoluzione culturale, il partito ha approvato diverse risoluzioni storiche e intrapreso la via delle riforme e dell’apertura politica. Tuttavia Wen ha anche sottolineato che ancora oggi non esiste una risposta deinitiva alla rivoluzione culturale e al feudalesimo politico: “Le riforme sono arrivate a un punto critico. Senza le riforme politiche adeguate, quelle economiche non potranno essere portate a termine. I risultati ottenuti potrebbero andare perduti, e una tragedia storica come la rivoluzione culturale potrebbe ripetersi. Ogni membro del partito dovrebbe provare un sentimento di urgenza”, ha dichiarato Wen.
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Il primo ministro ha di nuovo citato la risoluzione del 1981 quando ha commentato la vicenda di Wang Lijun, l’ex capo della polizia di Chongqing e braccio destro di Bo Xilai: “Abbiamo modiicato il nostro percorso e abbiamo imparato dure lezioni. Dalla terza assemblea plenaria dell’undicesimo comitato permanente (un incontro cruciale del 1978 in cui fu deciso che la Cina avrebbe scelto la via della riforma e dell’apertura politica), e in particolare da quando le autorità centrali hanno emanato risoluzioni sulla gestione corretta delle questioni storiche di rilievo, abbiamo stabilito che bisogna cercare la verità nei fatti. Questi princìpi in seguito sono conluiti nei valori più profondi del partito”. Nelle dichiarazioni del primo ministro è ragionevole leggere la preoccupazione per gli ostacoli alle riforme politiche e per lo spauracchio di una nuova rivoluzione culturale.
Memoria necessaria Sono passati quarantasei anni dall’inizio della rivoluzione culturale. Anche se quell’epoca non è poi così lontana, quegli eventi sono quasi spariti dalla nostra memoria collettiva. Non è stato costruito alcun museo e non ci sono mai state commemorazioni pubbliche. Molti documenti storici su quel decennio sono ancora segreti, e gli studi sull’argomento sono limitati dalle autorità. In un certo senso è assolutamente necessaria un’indagine storica. Chi appartiene alla generazione che ha vissuto la rivoluzione culturale conserva ricordi dolorosi. Per i più giovani è una vicenda remota. Ma è stata un’esperienza che non può essere cancellata. Il minimo che la Cina possa fare, come ha dimostrato il primo ministro Wen durante la sua conferenza stampa, è non dimenticarla. u as Hu Shuli è una giornalista cinese. Dirige il settimanale Caixin.
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Asia e Paciico Ambizioni e vuoti di potere
Una scuola dello stato dell’Orissa chiede la liberazione degli ostaggi
Rakhi Chakrabarty, The Times of India, India ll’origine del rapimento di Pao lo Bosusco e Claudio Colange lo, i due italiani fatti prigionieri il 14 marzo nel distretto di Kan dhamal, nello stato dell’Orissa, ci sono pro babilmente dei vuoti di potere nella gerar chia dei ribelli maoisti e l’ambizione perso nale dei leader della regione. Sabyasachi Panda, capo del Comitato maoista dello stato dell’Orissa (Orsoc), sarebbe la mente dietro al sequestro. Secondo alcuni, Panda punterebbe alla carica più alta nel distacca mento orientale dell’organizzazione dopo la morte del leader Kishanji, ucciso l’anno scorso nel Bengala occidentale. Ma l’ipote si è stata smentita da fonti ben informate. Panda ha doti organizzative, ma non pos siede le abilità di stratega militare che han no fatto la fortuna di Kishanji. Come il suo vecchio leader, però, è spietato e a caccia di pubblicità, anche se a febbraio ha smentito le voci di una sua promozione: “È solo pro paganda della polizia”, ha dichiarato. In ogni modo, l’ascesa di Panda è stata vertiginosa. Di solito, i posti di comando spettano a leader con esperienza decenna le, mentre Panda ha solo 43 anni. La sua ambizione è cresciuta di pari passo con l’avanzare della sua carriera. Il rapimento degli italiani è il primo caso in cui i maoisti hanno attaccato dei cittadini stranieri. Se condo alcune fonti, i sostenitori del movi mento non hanno approvato la scelta di rapire gli italiani, perché temono una rea zione negativa a livello internazionale. “Sembra un tentativo disperato di guada gnare l’attenzione dei giornali”, ha dichia rato una fonte, facendo un evidente riferi mento alla strategia di Panda. Grazie alle estorsioni sulla costruzione di ponti e strade, Panda si è distinto come il maggiore collettore di fondi per i maoisti dell’Orissa, e dalla metà degli anni novanta ha contribuito a svecchiare il movimento naxalita. Negli ultimi anni, poi, ha dato pro va della sua determinazione con una serie di attacchi mortali nella regione. Sua mo glie Subhashree è stata arrestata nel 2010. Il suo rilascio è tra le richieste avanzate da Panda per la liberazione degli italiani. u as
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Il rapimento degli italiani e la strategia dei naxaliti The Times of India, India l rapimento dei due italiani nello stato dell’Orissa è un pericoloso preceden te. È la prima volta che i maoisti pren dono di mira dei cittadini stranieri nel quadro del loro lungo e assurdo conlitto con lo stato. Il loro scopo è strappare con cessioni politiche al governo locale di Na veen Patnaik: dalla ine delle operazioni di polizia al rilascio dei prigionieri. In passato i ribelli hanno già fatto ricorso a tattiche si mili, spesso per liberare i loro dirigenti ini ti in carcere. Ma inora gli attacchi si erano limitati alla polizia e all’amministrazione locali. Questo caso, invece, avrà conse guenze diplomatiche internazionali e met terà in allarme gli stranieri che vivono in India e i turisti. Il governo di Patnaik si è reso conto della gravità della situazione e ha sospeso tem poraneamente le operazioni contro i naxa liti per consultarsi con il governo centrale. Ma le operazioni di sicurezza non possono rimanere bloccate troppo a lungo, perché così si ofre ai maoisti l’occasione per rior ganizzarsi. La crisi in corso dev’essere risol ta, ma è chiaro che in futuro gli attacchi dei maoisti non si fermeranno. Per questo le autorità devono accelerare la loro duplice strategia – garantire la sicurezza e favorire lo sviluppo – per ottenere risultati costrutti
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vi. Mentre le forze di sicurezza svolgono il loro compito, il governo centrale e quello dell’Orissa devono cooperare per promuo vere lo sviluppo e assicurare agli abitanti delle zone più arretrate l’accesso ai mezzi di sostentamento fondamentali, all’istruzio ne e alla sanità. Anche se sulla carta questi progetti esistono già, troppo spesso non funzionano per l’incapacità delle ammini strazioni. Ma i maoisti sbagliano se credono di potere raggiungere i loro obiettivi con i ricatti e i rapimenti. In una democrazia i conlitti si risolvono con il dialogo, non con la violenza. I maoisti dovranno sedersi al tavolo delle trattative, altrimenti raforze ranno l’impressione che il loro vero obietti vo non è quello di difendere i diritti delle popolazioni indigene. u fp 150 km
Calcutta
INDIA
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Distretto di Kandhamal
Phulabani
Bhubaneshwar
Golfo del Bengala
modiiche al codice penale
DARIO PIGNATeLLI (BLOOMBeRG VIA GeTTy IMAGeS)
Secondo le modiiche del codice penale approvate dall’assemblea nazionale del popolo il 14 marzo, la polizia cinese potrà trattenere un sospettato in un luogo diverso dal suo domicilio nei casi di sicurezza nazionale, terrorismo o corruzione grave, scrive il South China Morning Post. Inoltre, la polizia non sarà tenuta a comunicare entro 24 ore lo stato di fermo ai familiari del sospettato. Per i delegati che hanno votato la legge, “il fatto che ai sospettati nelle questioni di sicurezza nazionale sia garantita minore protezione è comune a molti altri paesi”.
Australia
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Un voto contro colombo
trattative segrete “I negoziati per la creazione dell’Area di libero scambio del Paciico (Tppa) si stanno svolgendo in un’insolita segretezza”. Green Left rivela che “tutti i paesi coinvolti sembrano avere accettato una clausola che impone di non rendere pubblici per quattro anni, a partire dalla data in cui entrerà in vigore, i dati e i documenti su cui si basa l’accordo”. Per un lungo lasso di tempo, quindi, i cittadini di Australia, Brunei, Cile, Malesia, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam conosceranno solo il testo deinitivo del trattato e ne subiranno gli efetti senza aver avuto voce in capitolo nella sua stesura. Gestione delle risorse naturali, accesso ai farmaci, libertà digitali: gli ambiti interessati sono molti. In nome del libero mercato i governi potranno essere costretti a privatizzare, a rinunciare alla sanità pubblica, a imporre restrizioni a internet. O ad allentare le misure di protezione ambientale, come è successo all’Australia con l’analogo trattato bilaterale siglato con gli Stati Uniti. “Da qualche tempo alcune organizzazioni della società civile stanno chiedendo una maggiore trasparenza sui negoziati. Ma forse è necessario fare di più: denunciare la natura ingiusta del Tppa e degli altri accordi con gli Stati Uniti e chiederne l’annullamento”. ◆
thAilAndiA
se il riso si ammala A causa delle alluvioni che hanno colpito il paese alla ine del 2011, la produzione di riso tailandese è stata colpita da un’invasione di insetti nocivi che si sono moltiplicati e stanno distruggendo buona parte delle piantagioni. Le alluvioni hanno colpito più di due milioni di persone in 28 province e hanno danneggiato più di due milioni di ettari di terreni agricoli, scrive Asia Sentinel. Secondo i dati dell’Associazione di esportatori di riso locale, la Thailandia produce il 4-5 per cento del riso di tutto il mondo e ne è il principale esportatore, con 10,8 milioni di tonnellate nel 2011.
Il 23 marzo il consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite voterà una risoluzione proposta dagli Stati Uniti per l’apertura di un’indagine sulla fase inale della guerra civile in Sri Lanka, inita nel maggio del 2009. Sia l’esercito di Colombo sia le Tigri tamil sono accusati di crimini contro i civili, ma il governo srilankese inora ha negato la responsabilità dei militari. In India, paese di origine di gran parte dei tamil srilankesi, c’è stato un dibattito sulla posizione di New Delhi in proposito. Il premier Manmohan Singh ha dichiarato che “probabilmente voterà sì”. In caso contrario, scrive The Hindu, il partito Dravida Munnetra Kazhagam, che rappresenta i tamil indiani, ha minacciato di lasciare la coalizione di governo.
Green Left, Australia
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la ine di un’era Alle presidenziali del 17 marzo José Ramos-Horta, in carica dal 2007, è stato sconitto dai due avversari – Francisco “Lu-Olo” Guterres, candidato del partito d’opposizione Fretilin, e Taur Matan Ruak, l’ex capo delle forze armate – che andranno al ballottaggio il 20 maggio. “È la ine di un’era, ma questo non signiica necessariamente che RamosHorta uscirà di scena”, scrive The Age. Forse Ramos-Horta sconta il fatto che i suoi sidanti sono eroi nazionali e veterani della guerriglia contro l’occupa-
zione indonesiana, durata dal 1975 al 1999, mentre lui in quel periodo era in esilio all’estero. Con le forze di sicurezza delle Nazioni Unite che dopo sei anni in missione permanente si preparano a ritirarsi dal paese alla ine del 2012, il nuovo presidente dovrà fare uno sforzo di mediazione in più per mantenere il paese unito, conclude il quotidiano australiano. Elezioni presidenziali, risultato del primo turno. Dati provvisori Fonte: Afp
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Francisco Guterres
25%
18%
Taur Matan José Ruak Ramos-Horta
CHRISTOPHeR FURLONG (GeTTy IMAGeS)
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in breve
Tonga Il 18 marzo il re Siaosi Tupou V, in carica dal 2008, è morto in un ospedale di Hong Kong a 63 anni. Sarà ricordato per aver introdotto alcune riforme democratiche. Cambogia Il giudice svizzero Laurent Kasper-Ansermet si è dimesso il 19 marzo dal tribunale speciale incaricato di processare i Khmer rossi. È il secondo giudice che lascia. Corea del Nord Il 20 marzo il governo ha invitato gli ispettori dell’Aiea a visitare il paese per veriicare la sospensione del suo programma nucleare.
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Africa e Medio Oriente A rischio espulsione Mya Guarnieri, Ips, Italia n Israele migliaia di profughi africani rischiano l’espulsione nei loro paesi d’origine a causa dell’inasprimento delle politiche sull’immigrazione. Il 17 marzo centinaia di africani e israeliani hanno manifestato a Tel Aviv esponendo lo striscione “In Sud Sudan è pericoloso” per protestare contro l’imminente espulsione di settecento richiedenti asilo sudanesi, tra cui quattrocento bambini. Nella città israeliana vivono almeno 35mila africani che sono scappati dai loro paesi d’origine.
Nessuna protezione Nello stato sudsudanese del Jonglei non si fermano gli scontri tra le tribù murle e lou nuer. Questi combattimenti hanno causato la morte di migliaia di persone dal luglio del 2011. Secondo le Nazioni Unite, le violenze hanno costretto più di trecentomila persone ad abbandonare le loro case. Nonostante la situazione instabile in Sud Sudan, il governo israeliano ha annunciato a gennaio che non concederà più nessuna forma di protezione ai sudsudanesi, che hanno tempo ino al 31 marzo per lasciare volontariamente il paese. Dopo quella data, saranno deportati. L’Onu stima che almeno duemila minorenni servano nell’esercito del Sud Sudan, spinti dalla povertà, dalla mancanza di istruzione e di opportunità. Valerie Amos, la coordinatrice dell’Onu per le emergenze umanitarie, ha visitato il paese a febbraio constatando che “la situazione è precaria” e c’è il rischio di un’emergenza alimentare. u gim
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PeTe MULLer (AP/LAPreSSe)
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Una donna lou nuer a Walgak, Sud Sudan, 2 febbraio 2012
Il porto keniano non piace a Khartoum Abir Taleb, Al Ahram Hebdo, Egitto ncapaci di rimanere uniti dopo vent’anni di guerra civile, sudanesi e sudsudanesi sembrano altrettanto incapaci di instaurare relazioni di buon vicinato. Dopo l’indipendenza del Sud Sudan, il conlitto tra Khartoum e Juba si gioca nelle regioni frontaliere di Sud Kordofan (Sudan) e Unità (Sud Sudan). In entrambe le regioni sono attivi dei gruppi di ribelli che le autorità locali accusano di essere sostenuti dal vicino. Nelle ultime settimane questi combattimenti sono stati usati come scusa dall’esercito di Khartoum per efettuare incursioni, aeree e terrestri, oltre frontiera. Tra le dispute sul conine, quelle sul petrolio e i problemi legati agli spostamenti di grandi gruppi di persone, non mancano i motivi di scontro tra i due governi. “La situazione è grave: questa guerra per procura tra nord e sud potrebbe trasformarsi in un conlitto aperto”, aferma un diplomatico occidentale intervistato dall’Afp. Le risorse petrolifere sono il principale motivo di contrasto. Il 2 marzo il Kenya ha lanciato un progetto per la costruzione di un porto in acque profonde nell’arcipelago di Lamu, una meta turistica nell’est del paese. Il porto dovrebbe essere lo sbocco di un ambizioso sistema di infrastrutture (formato da un
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oleodotto, una ferrovia e un’autostrada) da 24,5 miliardi di dollari che collegherebbe la costa keniana con Juba e Addis Abeba. L’obiettivo del progetto, che ha già suscitato molte polemiche, è esportare il petrolio sudsudanese. Dopo la secessione, Juba ha ereditato tre quarti dei giacimenti di greggio ma dipende ancora dal nord per quanto riguarda le esportazioni. In assenza di un accordo con Juba, Khartoum ha deciso di farsi pagare i diritti di passaggio in natura, tenendo per sé parte del petrolio che passava attraverso i suoi oleodotti. Ma questo ha scatenato la rabbia dei vicini, che a gennaio hanno fermato la produzione di petrolio. I recenti incidenti sul conine avrebbero quindi un legame con il progetto keniano. Questo almeno è quello che sostengono alcuni osservatori secondo i quali Khartoum cerca di salvaguardare a tutti i costi il suo controllo sul petrolio. Ma, sebbene sul terreno goda di una posizione di forza, il Sudan è isolato sul piano internazionale. A Washington la segretaria di stato Hillary Clinton ha accusato il presidente Omar al Bashir di “minare” l’esistenza del Sud Sudan. Clinton ha minacciato di aumentare le pressioni su Khartoum e sullo stesso Bashir, su cui dal 2009 pende un mandato d’arresto della Corte penale internazionale. u gim
Damasco, 17 marzo 2012
Marocco
GUINEA BISSAU
L’omicidio del colonnello
Le donne sono con Amina
AP/LAPReSSe
Actuel, Marocco
SIRIA
Nuova linea per Mosca Dopo gli attentati del 17 e 18 marzo a Damasco (nella foto) e ad Aleppo, in cui sono morte 29 persone, gli scontri tra l’esercito e i disertori hanno raggiunto la capitale, scrive Al Hayat. Il peggioramento della situazione ha spinto la Russia a invocare una tregua umanitaria. Tuttavia il quotidiano libanese Al Akhbar riferisce dell’arrivo di una nave russa nel porto siriano di Tartus. Secondo la stampa araba, a bordo ci sarebbero degli uomini delle forze speciali russe, ma Mosca smentisce. Intanto nel nord del paese centinaia di persone hanno attraversato il conine, facendo salire a 16.446 il numero dei profughi siriani in Turchia. Tra loro ci sono anche nove generali dell’esercito. Il 20 marzo Human rights watch ha accusato i ribelli siriani di gravi abusi dei diritti umani, mentre il centro di ricerca Sipri ha pubblicato un rapporto sulla vendita di armi nel mondo: nel periodo 2007-2011 la Siria ha importato una quantità di armi sei volte superiore a quella acquistata nei cinque anni precedenti. Da chi compra le armi la Siria 78% Russia Totale
1.035
milioni di dollari*
5%
17 % Bielorussia
Iran *Tra il 2007 e il 2011. Fonte: Sipri
Il 17 marzo duecento donne hanno manifestato davanti al parlamento di Rabat per chiedere di cambiare l’articolo 475 del codice penale, che punisce con il carcere lo stupro di una minorenne, ma prevede che la pena sia annullata se l’aggressore sposa la vittima. Le manifestanti cantavano slogan in omaggio ad Amina al Filali, la sedicenne che lo scorso 10 marzo si è suicidata dopo essere stata costretta a sposare l’uomo che l’aveva violentata. Il caso di Amina ha avuto una vasta risonanza sui mezzi d’informazione e sulla rete, dove circola una petizione per emendare il codice penale. “Scusa, Amina”, scrive Actuel. “Scusa la nostra codardia e quella del governo. La tua morte ha commosso il mondo intero e oggi sei l’icona di una causa che va oltre la tua innocenza”. L’obiettivo non è solo cambiare la legge, continua il giornale, ma anche la mentalità di molte famiglie che costringono le iglie a sposare gli aggressori pur di non dover sopportare la vergogna di avere in casa una ragazza non più vergine. “Questi casi sono considerati ‘ordinari’ in Marocco. Ma il suicidio di Amina ci ha obbligato ad aprire gli occhi”, spiega il quotidiano Aufait. u
“Il 18 marzo il clima sereno delle presidenziali è stato turbato dall’omicidio del colonnello Samba Djalo”, scrive Fasozine. L’ex capo dei servizi segreti è stato ucciso da uomini vestiti da soldati e “si teme che nel paese torni l’instabilità”. I guineani hanno votato per scegliere il successore di Malam Bacai Sanhá, morto a gennaio. Al secondo turno si sideranno Carlos Gomes Junior e Kumba Yala.
IN BREVE
Egitto Il 17 marzo il patriarca Shenuda III, capo della chiesa copta egiziana, è morto al Cairo. Aveva 88 anni. Iraq Almeno 50 persone sono morte il 20 marzo, nel nono anniversario dell’invasione statunitense, in una serie di attentati in varie città del paese. Libia Il 17 marzo Abdallah al Senussi, ex capo dei servizi segreti del regime di Gheddai, è stato arrestato all’aeroporto di Nouakchott, in Mauritania.
Da Ramallah Amira Hass
Chiacchiere inutili Avevo quaranta minuti per decidere se valeva la pena stravolgere tutti i miei piani del martedì mattina e andare a un workshop della Conferenza nazionale popolare di Gerusalemme, uno degli organismi dell’Olp. Sapevo che non avrei potuto raccogliere molte informazioni nuove. Sono anni che seguo l’argomento: Israele vuole trasferire duemila beduini della zona di Gerusalemme in un’area vicino a una discarica. Alla ine ho deciso di andare a dare un’occhiata a quello
che veniva descritto come il primo tentativo dell’Olp di sidare le politiche israeliane contro i beduini. Così ho scoperto che gli alti funzionari palestinesi sono in ritardo rispetto agli eventi. A quanto pare non si sono accorti che di recente il piano di trasferimenti forzati è stato sospeso. La destinazione è stata cambiata e i beduini avranno voce in capitolo. O almeno è quello che le autorità militari hanno detto ai beduini (e confermato a me). Questo signiica che le scuole progettate dall’ong Vento di
terra per la comunità Khan al Ahmar non saranno per ora demolite. La svolta è stata determinata dalla forte opposizione della comunità beduina, ma anche dell’Unione europea e delle Nazioni Unite. I funzionari dell’Olp hanno parlato per primi, con interventi inutili e ripetitivi. I rappresentanti dei beduini, nemmeno presenti sul palco, non hanno nascosto il loro fastidio. È stata un scena triste, che ha dimostrato ancora una volta l’atteggiamento paternalistico delle autorità palestinesi. u as
Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Europa I conti in disordine dei Paesi Bassi Nel 2013 il deicit olandese rischia di sforare i limiti issati dal patto iscale europeo. Servono nuovi tagli alla spesa. Una novità assoluta per un paese da sempre simbolo di stabilità inanziaria n una giornata di sole dell’autunno 2010 i leader dei tre partiti olandesi di centrodestra annunciavano sorridenti di aver trovato un accordo per governare. I liberali di Mark Rutte, il partito più votato alle elezioni del giugno 2010, avrebbero formato una coalizione di minoranza con i cristianodemocratici (Cda). E l’appoggio esterno del Partito della libertà (Pvv) di Geert Wilders avrebbe garantito al governo una maggioranza risicata in parlamento. Da allora, però, le cose sono cambiate. Quest’anno, in una nebbiosa mattina di marzo, gli stessi leader avevano un’aspetto dimesso mentre si preparavano ad affrontare un compito molto arduo: tagliare altri nove milioni di euro dal budget per il 2013, con l’economia ormai in recessione. Secondo le previsioni, senza i nuovi tagli nel 2013 il deicit olandese non scenderà sotto il 4,6 per cento del pil, ben oltre il limite del 3 per cento issato dal nuovo patto iscale europeo. Eppure, è probabile che Wilders avrà qualcosa da obiettare. La scorsa settimana il leader populista ha presentato un rapporto, commissionato a un istituto di ricerca britannico, per sostenere la sua richiesta di abbandonare l’eurozona. Wilders, favorevole alla convocazione di un referendum sull’argomento, aferma che i Paesi Bassi non hanno ottenuto nessun beneicio dalla moneta unica, anzi ci hanno rimesso. Per tutta risposta, il capo del governo Mark Rutte ha dichiarato che i tagli sono necessari. Ma non tutti sono d’accordo. L’associazione dei datori di lavoro ha chiesto al governo di “concentrarsi sul medio e lungo periodo”. Wilders ha attaccato quello che deinisce il “feticismo dei numeri”, e anche la sinistra ha criticato il premier.
PHIL NIJHUIS (AFP/GEtty IMAGES)
The Economist, Gran Bretagna
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Da sinistra il ministro dell’economia Verhagen, Mark Rutte e Geert Wilders In ogni caso Rutte, tra i sostenitori del nuovo accordo iscale, non è certo nella posizione di chiedere l’indulgenza di Bruxelles. Il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha sottolineato che per un paese ricco come i Paesi Bassi non dovrebbe essere diicile approvare tagli per l’1,5 per cento del pil. E ha ricordato che il suo paese – il Belgio, tradizionalmente poco disciplinato sotto il proilo economico – è riuscito ad approvare i tagli richiesti dall’Unione.
Un governo fragile In ogni modo il negoziato si annuncia particolarmente diicile, sia dal punto di vista politico sia da quello economico. Eventuali nuovi tagli alla sanità e all’istruzione sareb-
Da sapere Il deicit di bilancio nei Paesi Bassi, % sul pil 2010
2011
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2012
2013
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2014
�,� (previsioni) Fonte: Netherlands bureau for economic policy analysis
2015
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bero estremamente impopolari, mentre aumentare le tasse potrebbe aggravare la recessione. Ma la coalizione diicilmente troverà altre strade. Inoltre potrebbe anche essere costretta a realizzare riforme strutturali come l’innalzamento dell’età pensionabile. Anche gli incentivi per il mercato immobiliare potrebbero essere ridotti, provocando un ulteriore crollo del settore. Wilders cercherà di indirizzare i tagli verso aree come gli aiuti allo sviluppo, la cultura e l’integrazione. E ha già lasciato intendere che i sacriici dei suoi elettori dovranno essere ricompensati, per esempio con un inasprimento delle politiche sull’immigrazione. Se i tre partiti non trovassero un accordo, tuttavia, la coalizione potrebbe spaccarsi. E a quel punto potrebbe essere necessario tornare alle urne. A beneiciarne sarebbe sicuramente Wilders, ma anche il Partito socialista, che dopo il quinto posto ottenuto nel 2010 ha risalito la china. Gli altri, invece, potrebbero pagare dazio. Il più moderato Partito laburista, alle prese con il ricambio dei dirigenti, ha perso popolarità e i cristianodemocratici sono in caduta libera. Gli anni della prosperità, dell’ortodossia iscale e del sostegno indiscusso all’Europa e all’euro sono ormai lontani. u as
Tolosa, 20 marzo 2012
MOLDOVA
RUSSIA
La protesta perde forza
Dopo tre anni di negoziati, diverse votazioni parlamentari andate a vuoto e tre elezioni politiche, la Moldova ha inalmente un presidente. Il 16 marzo il parlamento di Chişinău ha eletto Nicolae Timofti, il candidato liberale e iloeuropeo dell’Alleanza per l’integrazione europea, che governa il paese da quasi tre anni. La carica era rimasta vacante dal voto dell’aprile 2009 per i contrasti tra il Partito comunista dell’ex presidente Vladimir Voronin e i partiti della coalizione europeista. L’elezione di Timofti, scrive Timpul, arriva in un momento cruciale, “perché a Mosca preme che la Moldova sia governata da persone pronte ad accettare la presenza dei militari russi nella regione secessionista della Transnistria”. Secondo il quotidiano di Chişinău, tuttavia, il paese “deve aidarsi alla coalizione al potere e puntare senza esitazioni verso l’Unione europea”.
Il 18 marzo l’opposizione è tornata in piazza a Mosca, anche se con numeri ridotti rispetto alle manifestazioni precedenti. Circa mille persone hanno protestato di fronte alla sede del canale televisivo ilogovernativo Ntv. La mobilitazione è stata organizzata dopo la messa in onda del documentario “Anatomia di una protesta”, che accusava i manifestanti di essere pagati dai paesi stranieri. La polizia è intervenuta arrestando circa cento attivisti. Secondo Gazeta.ru, che fa un bilancio delle iniziative dell’opposizione, ormai in Russia “le proteste non somigliano più a quelle di Madrid, di Kiev o dei paesi arabi, ma alle rivolte di Minsk nel 2010 o di Erevan nel 2008, entrambe naufragate senza ottenere risultati”.
PHILIPPE DESMAZES (AFP/GETTy IMAGES)
Finalmente un presidente
Le lacrime di Tolosa È durata dieci giorni la follia omicida di Mohammed Merah, il ventiquattrenne francese di origini algerine accusato di aver ucciso tre militari di origine araba e tre bambini ebrei insieme a un loro insegnante tra l’11 e il 19 marzo nella regione di Tolosa. Il 21 marzo la polizia ha circondato l’appartamento di Merah, che si è asserragliato in casa cercando di resistere all’arresto. L’uomo, spiega Le Monde, ha dichiarato di essere legato ad Al Qaeda ed era sotto sorveglianza da quando, nel 2007, era stato arrestato a Kandahar, in Afghanistan, da dove era poi riuscito a fuggire per tornare in Francia.
Germania
Il predicatore liberale
GRECIA
Il Pasok cambia leader Il 18 marzo Evangelos Venizelos ha lasciato la guida del ministero delle inanze per diventare il nuovo leader del Pasok, il partito socialista greco. Venizelos prende il posto di Giorgos Papandreou, ex premier e iglio di Andreas, il fondatore del partito, che continuerà – scrive Kathimerini – a fare politica da cittadino comune. Con il Pasok precipitato all’11 per cento nei sondaggi in vista del voto di aprile, il compito di Venizelos sarà arduo. To Vima si chiede: “Perché i cittadini dovrebbero credere che cambierà il paese quando non è stato in grado nemmeno di riformare il suo partito, responsabile della situazione in cui ci troviamo oggi?”.
Il 18 marzo 2012, a un mese dalle dimissioni di Christian Wulf, l’ex pastore evangelico Joachim Gauck è stato eletto presidente della Repubblica Federale Tedesca. Per l’ex dissidente della Ddr hanno votato tutti i partiti tedeschi, con l’eccezione della Linke. Il paese, scrive Der Spiegel, “non ha mai avuto un presidente come lui. Tutti i suoi predecessori hanno cercato di essere la voce dei cittadini. Con Gauck non sarà così. Il neopresidente non esiterà a mettersi contro la maggioranza” pur di tenere fede ai princìpi liberali per i quali si è sempre battuto. È per questo che “gli stessi partiti che l’hanno eletto sono intimiditi, anche se non lo dicono pubblicamente”. In Germania, spiega il settimanale, “la fame di giustizia sociale ha sempre prevalso sulla sete di libertà. Se i tedeschi fossero costretti a scegliere tra libertà e sicurezza, la maggioranza si pronuncerebbe per la sicurezza”. Non a caso Gauck ha scritto che “nel paese si sente parte di una minoranza a causa della sua profonda convinzione che la libertà sia la cosa più importante del nostro vivere comune”. ◆
CHRIS JACKSoN (GETTy IMAGES)
Der Spiegel, Germania
IN BREVE
Gran Bretagna Il 16 marzo l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams (nella foto) ha annunciato che si dimetterà alla ine del 2012 per assumere la guida del Magdalene college dell’università di Cambridge. Williams è in carica dal 2002. Germania Il criminale nazista John Demjanjuk, ex guardiano del campo di concentramento di Sobibor, è morto il 17 marzo in una casa di riposo a Bad Feilnbach, in Baviera. Demjanjuk, che aveva 91 anni, era stato condannato a cinque anni di reclusione nel 2011 ma era riuscito a evitare la prigione.
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Visti dagli altri La rivoluzione silenziosa di Mario Draghi In questi mesi l’ex governatore della Banca d’Italia ha cambiato il ruolo della Banca centrale europea. Resistendo alle pressioni della Germania e salvando la moneta unica 8 dicembre 2011 Mario Draghi ha partecipato alla sua seconda riunione come presidente della Banca centrale europea. Indossava la stessa cravatta blu scuro che portava nella riunione in cui, a inizio novembre, appena insediato, aveva deciso a sorpresa di tagliare i tassi d’interesse. Il banchiere più potente d’Europa ha aperto la riunione chiedendo ai suoi colleghi di dire la loro sulle misure da adottare. Il primo a parlare è stato il tedesco Jürgen Stark. Legato alla cultura anti-inlazionistica della Bundesbank, Stark ha suggerito di monitorare l’andamento dei prezzi prima di agire di nuovo. L’inlazione era già al 3 per cento, ben al di sopra dell’obiettivo issato della Bce, poco meno del 2. Non era il momento di tagliare i tassi. I 23 membri del consiglio direttivo, però, non erano tutti d’accordo. Alcuni hanno proposto tagli immediati. E c’erano le forti pressioni dei mercati inanziari e di alcuni politici europei che chiedevano di comprare in massa i titoli di stato italiani, per scongiurare il pericolo del crollo dell’eurozona. Una spesa folle, secondo Stark e altri economisti, per cui una misura del genere equivaleva a inanziare i governi. All’inizio Draghi è rimasto sulle sue, lasciando la parola agli altri. Ma quando il consiglio ha cominciato a propendere per il taglio dei tassi, ha preso la situazione in pugno e ha deciso: la banca avrebbe tagliato. Non era mai successo che una proposta di Stark sui tassi d’interesse fosse respinta. Mario Draghi, 64 anni, ha preso il comando dell’istituzione più importante dell’eurozona nel pieno della crisi inanzia-
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ria più grave del secondo dopoguerra. Si trova ad afrontare una missione apparentemente impossibile: soddisfare la richiesta tedesca, cioè garantire la stabilità dei prezzi, e allo stesso tempo fronteggiare le pressioni dei mercati e dei paesi dell’Unione europea per guidare l’Europa fuori dalla crisi del debito che ha travolto la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna e perino la sua Italia. I tagli decisi da Draghi hanno portato il tasso d’interesse dell’eurozona a un record minimo dell’1 per cento, ma hanno anche mandato un chiaro messaggio all’esterno: sotto la guida di Draghi, la Bce sarà decisa, pragmatica e pronta a ignorare la potente delegazione tedesca. “Mario è molto riservato”, ha detto il capo di una banca centrale non europea che ha lavorato al suo ianco. “Prima di prendere una decisione rilette e ascolta. Quando la prende, però, è convinto”.
Mille miliardi Fino a che punto può spingersi la rivoluzione silenziosa di Draghi? Per farsene un’idea, basta osservare un’altra decisione presa durante la riunione dell’8 dicembre. Oltre a tagliare i tassi d’interesse, il governatore ha annunciato due operazioni di inanziamento a lungo termine che hanno portato la Bce a destinare oltre mille miliardi di euro alle banche europee, agevolando le condizioni per accedere ai inanziamenti. L’espediente del inanziamento non è stato capito subito dai mercati inanziari, che si aspettavano un aumento degli acquisti di titoli di stato. Solo a ine dicembre, quando la Bce ha concesso il primo dei suoi prestiti alle banche, noto come Ltro (Long term reinancing operation), i mercati hanno compreso l’importanza del provvedimento. In un colpo solo Draghi aveva placato i timori della Germania sul inanziamento ai governi e allo stesso tempo creato le condizioni ainché le banche potessero comprare porzioni di debito pubblico. Una mossa scaltra, che di fatto ha stravolto il
PAOLO TRE (A3/CONTRASTO)
Paul Carrel, Reuters, Gran Bretagna
ruolo della Bce, ormai sempre più simile alla Federal reserve statunitense e alla Banca d’Inghilterra. Inoltre, con questa mossa Draghi ha scongiurato un possibile crollo del settore bancario. I tagli dei tassi e l’operazione di inanziamento hanno formato un’accoppiata che né il predecessore di Draghi, Jean-Claude Trichet, né il primo presidente della Bce, l’olandese Wim Duisenberg, avevano mai osato. Timothy Geithner, segretario del tesoro statunitense, e Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale, hanno elogiato le decisioni della Bce. “È stato Draghi a salvare l’euro”, sostiene Francesco Giavazzi, docente di economia che ha collaborato a lungo con il presidente. Se avesse lanciato un acquisto di titoli della stessa portata, “Draghi sarebbe stato massacrato dalla Bundesbank e dall’opinione pubblica tedesca. Invece ha ottenuto quello che voleva in un modo che gli ha permesso di sopravvivere politicamente”. Draghi ha una grande esperienza in campo accademico, di governo e nel settore privato, che gli altri presidenti di banche centrali non possono vantare. Chi lo conosce meglio dice che le sue scelte sono condizionate soprattutto dal periodo trascorso negli Stati Uniti. Nel decidere se tagliare i tassi di interesse, Draghi ha dovuto prende-
Mario Draghi nel 2009 re in considerazione due fattori: l’inlazione era ben al di sopra dell’obiettivo della Bce, ma gli indicatori economici mostravano che nel 2012 la pressione sui prezzi si sarebbe sensibilmente allentata. La decisione di giocare d’anticipo è stata una deviazione dal metodo tedesco dominante. “Rispetto a quello che succedeva in passato nella Bce, Draghi ha introdotto un approccio all’americana”, dice Domenico Lombardi, ex dirigente del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale che ha lavorato con Draghi ed è ancora in contatto con lui. L’italiano – che i colleghi della Bce chiamano “Mario”, mentre il suo predecessore era per tutti “Trichet” – ha anche cercato di creare un consiglio direttivo più collegiale. Draghi ha cambiato radicalmente sia i toni sia la sostanza delle riunioni, mi ha spiegato un membro del consiglio. “Nell’ultima parte del suo mandato Trichet era molto rigido. A volte le riunioni del consiglio si trasformavano in vere e proprie liti. Quando qualcuno diceva qualcosa su cui dissentiva, Trichet lo interrompeva o criticava con ferocia la sua idea per scoraggiare gli altri ad appoggiarla”. La decisione della Bce di riattivare il discusso programma di acquisto dei titoli di stato, ad agosto del 2011, è nata da una riunione simile. Secondo un altro esponente della Bce, visibilmente a disagio nel ricordare l’episodio, un ine settimana Tri-
chet arrivò e disse che la Bce doveva intervenire sui mercati del debito per attenuare la pressione su Italia e Spagna, liquidando gli appelli di Stark ad aspettare gli sviluppi della situazione. “Draghi è molto diverso”, ha detto il primo esponente della Bce citato. “Incoraggia la discussione. Vuole stimolare il pensiero creativo. È tutto molto più trasparente”. Trichet ha preferito non commentare. Rispetto a Trichet, che voleva essere coinvolto in ogni decisione, Draghi dà molta più iducia ai suoi collaboratori. “Si occupa personalmente delle questioni più rilevanti, ma tutto il resto lo delega ai collaboratori”, dice Lombardi. Draghi è anche un esperto diplomatico. L’anno scorso, per raforzare la sua candidatura alla presidenza della Bce, è stato accorto nel presentarsi ai tedeschi come un banchiere aidabile e rispettato nei circoli economici e politici internazionali. Ha ottenuto il posto dopo che il tedesco Axel Weber, contrario all’acquisto dei titoli di stato da parte della Bce e riluttante a guidare un consiglio direttivo che appoggiava quella politica, si è tirato fuori dalla partita. Draghi era il grande favorito, ma doveva fronteggiare l’opposizione dell’opinione pubblica tedesca. A un certo punto il settimanale Bild ha scritto che con un italiano alla guida della Bce, l’euro rischiava di diventare una “moneta all’italiana”. Per accrescere la sua popolarità in Germania, Draghi ha lavorato con un consulente di pubbliche relazioni tedesco, e ha più volte espresso la sua ammirazione per la Bundesbank. “Ho una grande ammirazione per la banca centrale tedesca”, ha detto durante la sua prima conferenza stampa come presidente della Bce, il 3 novembre. Ma qualche giorno dopo ha aggiunto: “Per quanto riguarda il futuro, lasciatemi lavorare, poi direte se sono in sintonia con la tradizione o se mi sono di-
Grazie alle mosse di Draghi, ormai il ruolo della Bce è sempre più simile a quello della Federal Reserve statunitense e della Banca d’Inghilterra
scostato”. In realtà l’ha già fatto. All’inizio dell’anno, quando ha riorganizzato la composizione del comitato esecutivo, ha tolto alla Germania la carica di capoeconomista della Bce, aidata al belga Peter Praet. La mossa ha contribuito a neutralizzare le tensioni tra Germania e Francia sul candidato che avrebbe sostituito Stark. Il ministro delle inanze tedesco Wolfgang Schäuble spingeva il suo vice Jörg Asmussen. Ma Draghi e gli altri cinque membri del comitato esecutivo hanno ignorato la pressione tedesca e aidato il ruolo a Praet, che ha un curriculum molto simile a quello di Draghi. Ad Asmussen, Draghi ha aidato un ruolo da “ministro degli esteri” della Bce. I due sono in costante contatto telefonico e spesso prendono decisioni per email.
Critiche tedesche Se gli operatori inanziari sembrano aver imparato la lingua di Draghi, non si può dire lo stesso degli irriducibili tedeschi. In Germania sembra esserci un disagio crescente per i rischi che la Bce sta prendendo sotto la guida di Draghi. Soprattutto per il inanziamento da mille miliardi alle banche. A febbraio il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha scritto a Draghi esprimendo la sua preoccupazione per i rischi insiti nella decisione di sempliicare l’accesso ai fondi della Bce. Weidmann, subentrato a Weber, teme che le banche dei paesi indebitati dell’eurozona possano diventare troppo dipendenti dai prestiti della Bce, e che questo possa avere degli efetti negativi anche sulle politiche delle banche centrali di quei paesi. I timori di Weidmann sono ripresi dall’economista Manfred Neumann: “Una banca centrale deve chiedersi: ‘Se concedo a una banca un prestito a tre anni, alla ine di quel termine la banca esisterà ancora?’. È un grosso rischio”. Draghi sembra rispettare la Bundesbank, ma ha delle idee precise sul futuro dell’euro, e considera naturali i disaccordi sulle politiche economiche. Come ogni banchiere centrale, deve fare continui equilibrismi e capire come e quando agire. Se adotta troppo presto misure restrittive, rischia di sofocare la ripresa. Se aspetta troppo a lungo, rischia di far aumentare l’inlazione. “Spesso andavamo in montagna”, ricorda Giavazzi, raccontando che da giovane Draghi era un ottimo scalatore. “L’alpinismo può essere uno sport molto sicuro se lo si fa con attenzione. Ma se si è indecisi può essere pericoloso”. u sdf Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Visti dagli altri
CHRIS KEULEN (PANoS /LUZPHoTo)
In Sardegna sulla strada statale 131
denaro e pochi prodotti di valore, è una ten tazione molto forte. De Tomaso, che produ ce auto sportive, è in diicoltà economiche da anni. Il gruppo cinese Hotyork In vestment ha iutato l’afare e a gennaio ha dichiarato che avrebbe rilevato l’80 per cento dell’azienda per 60 milioni di euro. Investirà poi altri 400 milioni di euro, au mentando la produzione nei pressi di Tori no e vendendo le auto all’estero. Ma quello di Hotyork non è un caso iso lato. All’inizio dell’anno Shandong Heavy Industry Group of China ha rilevato il 75 per cento di Ferretti, costruttore di yacht. A di cembre Eland World, rivenditore sudcorea no, ha acquistato per 15,5 milioni di euro il 49 per cento di Coccinelle, un marchio di borse. L’Italia è famosa per il cibo tanto quanto lo è per i prodotti di lusso. A gennaio Prince, una consociata britannica della giapponese Mitsubishi Corporation, ha fat to sapere che comprerà il 51 per cento di una grande azienda italiana specializzata nella lavorazione del pomodoro.
Investitori rassicurati
I capitali esteri salveranno l’industria italiana The Economist, Gran Bretagna Russi e cinesi vogliono investire nelle aziende italiane. I marchi famosi devono cogliere questa opportunità per salvarsi dalla crisi opo un decennio di bunga bun ga e un anno di terremoti fi nanziari, l’industria italiana non è in salute. Ma spesso la crisi di qualcuno signiica nuove opportuni tà per altri. Il 2011 è stato un’ottima annata per acquistare aziende italiane. I fattori che rendono le aziende appeti bili sono due. Il primo è la debolezza dell’eu ro. Dall’inizio del 2010 la moneta unica eu ropea ha perso il 15 per cento nei confronti dello yuan cinese, il 19 rispetto allo yen
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giapponese e il 9 per cento sul dollaro. Il se condo è la quasi paralisi del sistema banca rio italiano. Gli istituti di credito, in diicol tà, sono riluttanti a prestare denaro alle imprese. Allora le aziende a corto di liquidi aprono alle partecipazioni esterne. Tra l’ul timo trimestre del 2009 e il terzo trimestre del 2010 in Italia sono arrivati oltre seicento milioni di euro dall’estero. Nel 2011 l’alus so di capitali è aumentato di otto volte, rag giungendo 4,9 miliardi di euro. Il balzo in avanti è dovuto soprattutto all’acquisto di Bulgari e Parmalat da parte di aziende fran cesi. Il lusso a buon mercato è spesso un’esca irresistibile. L’Italia è ricca di aziende sull’orlo della crisi che producono marchi di qualità e usano tecnologie all’avanguardia. Per i compratori cinesi, che hanno molto
Storicamente l’Italia non è mai stata una calamita per gli investimenti stranieri. Em ma Marcegaglia, presidente di Conindu stria, dà la colpa alla burocrazia, alla lentez za della giustizia, alle tasse troppo alte e a un mercato del lavoro estremamente rigi do. Tuttavia di recente la percezione dell’Italia all’estero è migliorata: la crisi dell’euro non sembra poi così grave e l’av vento del governo tecnico guidato da Mario Monti ha portato con sé la promessa di grandi riforme economiche e rassicurato gli investitori. Molte aziende a conduzione familiare non cedono volentieri parte delle loro atti vità. Però i più ambiziosi cominciano a capi re che se vogliono espandersi devono acco gliere i capitali esteri. Gancia, produttore di vini e liquori stritolato da un debito di 35 mi lioni di euro, a dicembre ha venduto il 70 per cento delle azioni alla Russian Standard Corporation, un gruppo moscovita specia lizzato nei cocktail a base di rum. Paolo Fontana, amministratore delega to di Gancia, prevede che le vendite all’este ro passeranno dal 25 all’80 per cento del totale. Il controllo da parte dei russi dovreb be far schizzare le vendite in Russia e aiuta re Gancia a rilanciarsi negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania, dove qua rant’anni fa era molto forte. Cin cin e na zdorovie. u as
La democrazia anomala dei tecnici Hans-Jürgen Schlamp, Der Spiegel, Germania C’è un governo non eletto molto popolare e un parlamento eletto di cui gli italiani non si idano più. È questa la strana fase che attraversa l’Italia uando si tratta di diritto del lavoro, in Italia perino i più ostinati riformisti perdono il coraggio. Da decenni i governi provano a mettere mano al mercato del lavoro, senza successo. In questi giorni si sta nuovamente afrontando la questione. La discussione si concentra soprattutto sulle norme che regolano i licenziamenti. Il governo sostiene che se potranno licenziare più facilmente i loro dipendenti, le aziende saranno più disposte ad assumere. I sindacati e alcune forze di sinistra la pensano diversamente. “Non possiamo continuare a discutere all’ininito”, ha detto il 18 marzo la ministra del lavoro Elsa Fornero, che prima di entrare nel governo era docente universitaria, proprio come il presidente del consiglio Mario Monti. Questi toni sono del tutto nuovi nella politica italiana. Qualche mese fa, come già successo in passato, il paese si trovava di fronte alla catastrofe, soprafatto dai debiti. Nessuno voleva più prestare soldi all’Italia, e i fondi disponibili non bastavano neanche a pagare i salari dei dipendenti statali. Così è andato al potere un esimio professore che ha salvato l’Italia e probabilmente anche l’euro. Mario Monti è entrato in carica a metà novembre. Da allora sta cambiando radicalmente l’Italia, e nessuno sa dire con precisione come e perché. La politica italiana si sta svolgendo in due arene separate. In quella principale c’è Monti, 68 anni, uomo capace, colto, riservato e che gode di grande considerazione a livello internazionale. “L’europeo dell’anno”, l’ha deinito la rivista statunitense Time. Il premier dice cose intelligenti e gli italiani sono entusiasti di non doversi più vergognare del loro paese all’estero. Nell’altra arena si esibiscono i leader e
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gli esponenti dei partiti politici. Danno vita a uno spettacolo che non interessa più quasi nessuno. In parlamento non si pavoneggiano più come facevano fino a qualche tempo fa: in in dei conti dovranno solo dare il loro assenso a tutte le proposte di Monti. Se non lo faranno, il popolo si infurierà, e questo non conviene a nessuno. I cittadini sono già abbastanza indignati nei confronti della “casta”, come viene chiamata con tono dispregiativo la schiera dei politici di professione. Le elezioni amministrative di maggio sono imminenti, e i partiti sono disorientati: come presentarsi in veste di statisti agli elettori, ora che il loro ruolo è sempre più marginale? Come spiccare tra la folla ora che non ci si può azzufare come prima? Forse bisognerebbe attaccare Monti? La tentazione è forte. Ma altrettanto forte è il timore di essere penalizzati dal voto.
La supremazia dei milionari La democrazia italiana sta attraversando una fase politicamente anomala. Il governo non è stato eletto ma è molto popolare. I parlamentari, invece, sono stati eletti ma non sono molto credibili. Insieme ai poteri forti del paese, soprattutto a quello economico, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha costretto Berlusconi a dimettersi e ha messo sotto pressione il parlamento per fargli accettare un “governo tecnico” ad interim. Così ora un gruppo di esperti appartenenti all’alta borghesia e formato anche da alcuni milionari si trova alla guida del paese. I mercati inanziari esultano. Gli interessi sui titoli di stato italiani, che a novembre erano trattati come spazzatura, si sono dimezzati. L’Italia è considerata di nuovo un debitore aidabile. A farsi carico delle riforme sono i cittadini. I prezzi dei beni e le tasse aumentano, mentre gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa (il reddito medio annuo in Germania è di 41mila euro, contro i 23mila dell’Italia). Le istituzioni pubbliche, come il sistema sanitario, vanno a rotoli. Il tasso
di disoccupazione è in crescita. A causa della riforma previdenziale, chi ha un lavoro dovrà restare in servizio ancora più a lungo prima di avere diritto alla pensione. E non ci sono miglioramenti in vista: l’economia si contrarrà ulteriormente nel 2012, e il debito pubblico continua ad aumentare. La gente protesta, si lamenta: “Come facciamo ad arrivare a ine mese?”. Ma nessuno si ribella, anzi: molti cittadini vorrebbero che questo governo restasse in carica anche oltre il suo mandato, che terminerà nel 2013. Evidentemente gli italiani si stanno chiedendo cosa succederà dopo. Voteranno ancora una volta per i soliti noti, per i politici che li hanno messi nei guai? Quelli che litigavano ma poi non concludevano nulla? Quelli che hanno spinto l’Italia sull’orlo del baratro? Secondo i sondaggi il 58 per cento degli italiani ha iducia nel premier. Monti non vola in prima classe, paga il biglietto per entrare nei musei e ha perino rinunciato al suo stipendio di premier e di ministro dell’economia. I partiti, invece, a destra come a sinistra, sembrano dissolversi. Quello di Silvio Berlusconi è frammentato in tanti piccoli gruppi dove ognuno si preoccupa solo di salvarsi la pelle. Il Partito democratico è lacerato da interminabili lotte intestine e ha perso completamente i contatti con la sua base. In molte città i suoi candidati sono stati sconitti nelle primarie del centrosinistra, in cui hanno trionfato politici distanti dalla linea politica del Pd. L’Italia potrebbe abituarsi a una politica senza partiti, ha avvertito qualche tempo fa Pierferdinando Casini, leader dell’Udc. Per questo sarebbe lieto di presentare Monti come capolista del suo partito alle prossime elezioni. Ma il premier ha detto che preferirebbe tornare a insegnare all’università. Monti non vuole neanche diventare presidente dell’Eurogruppo, l’importante centro di coordinamento dei diciassette ministri dell’economia e delle finanze dell’eurozona. Stanco di quest’incarico, il primo ministro del Lussemburgo JeanClaude Juncker avrebbe già proposto la nomina dell’italiano, e molti hanno fatto sapere di essere d’accordo. Ma Monti, che come Juncker è allo stesso tempo capo del governo e ministro dell’economia, ha subito riiutato. “Pensa davvero”, ha detto al suo interlocutore, “che un presidente del consiglio italiano possa permettersi di rivestire anche un’altra carica?”. u fp Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Le opinioni
La lunga agonia del regime di Damasco Rami Khouri l primo anniversario della rivolta contro il regi- Damasco sul piano diplomatico, senza però provocarme di Bashar al Assad in Siria spiega perché nel ne la caduta. Stesse conseguenze hanno avuto le sanmondo arabo regimi del genere abbiano resi- zioni economiche e politiche internazionali. I vari stito per decenni, ma anche perché siano con- gruppi dell’opposizione siriana all’estero hanno suscidannati al crollo. Oggi, infatti, possiamo osser- tato molti titoli di giornale e un intenso dibattito, ma vare con maggiore chiarezza le quattro linee di nessuna vera pressione su Assad. L’Esercito siriano tendenza della situazione siriana dal marzo del 2011. libero e altre milizie armate di opposizione hanno un 1) L’espansione costante dell’insurrezione popolare peso simile sul piano militare: combattono ma senza contro il regime. 2) L’uso sistematico della forza contro riuscire a cambiare i vertici del potere. Gli organismi i manifestanti paciici e contro i militanti. 3) Il caratte- multilaterali, soprattutto la Lega araba e le Nazioni re ineicace dell’opposizione all’estero. 4) Le perples- Unite, si sono dati molto da fare, ma con pochissimi sità del mondo esterno sulla reazione da adottare di risultati concreti. Ora si capisce perché a Damasco è al potere ormai fronte a quello che accade in Siria. Il paradosso delle dittature come quella di Assad è da quarantatré anni un regime del genere: Assad è diche usare la forza contro i loro popoli gli permette di sposto a usare le forze armate e le risorse economiche del paese per restare al suo posto, senza restare in carica per molti anni, ma in badare ai costi sul piano interno né a ultima analisi è anche ciò che ne provoca Assad è disposto a quelli per le relazioni diplomatiche con la caduta. Quando le forze armate siria- usare le forze gli altri paesi. Mentre diminuisce il nune si schierano per un anno intero contro armate e il bilancio mero dei suoi alleati diplomatici, militai loro concittadini, aiancate da milizia- nazionale per ri ed economici, si riducono anche le sue ni e tiratori scelti, è segno che qualcosa è restare al potere, andato molto male in questo paese che si senza badare ai costi probabilità di uscire dall’angolo in cui si spacciava per il centro del mondo ara- sul piano interno né è cacciato: il numero dei gruppi di opposizione credibili disposti a trattare è bo. a quelli per le scarso o nullo, a meno che il negoziato L’interrogativo su chi si sarebbe stanrelazioni con gli non riguardi l’uscita di scena del dittacato prima, se i manifestanti o il regime, altri paesi tore. Passi unilaterali come il referenha avuto risposta, visto che in queste uldum indetto di recente e le elezioni che time settimane, per piegare città come Homs e Idlib, è stato necessario un massiccio spiega- Assad ha annunciato sono inutili. La situazione economento di militari. Realisticamente i manifestanti e le mica per i siriani si fa ogni giorno più diicile e nei piccole milizie armate che si sono formate in Siria non prossimi mesi rischia di diventare il tallone d’Achille possono tenere testa agli attacchi dell’esercito: quindi del regime. È diicile capire in che modo Assad e i suoi potraninora le rivolte in varie parti del paese sono state reno ricorrere al dialogo e alle riforme per sottrarsi alle presse nel sangue. Ma la conseguenza di questa strategia di sopravvi- pressioni e all’isolamento che subiscono oggi. In quevenza, fatta di uccisioni e attacchi contro interi quar- sto senso la missione di Koi Annan si presenta davvetieri, sarà la radicalizzazione di decine di migliaia di ro interessante, visto che si basa appunto sulla promocittadini siriani che altrimenti sarebbero forse rimasti zione del dialogo. È possibile che un certo numero di a guardare. Vedere le loro città sotto assedio, i loro forze di opposizione accetti il dialogo, se lo giudicano quartieri ridotti in macerie dai bombardamenti e i loro il modo migliore per cacciare Bashar al Assad e i suoi parenti uccisi o torturati ha fatto nascere una nuova familiari, ora che le manifestazioni di piazza sono sogenerazione di militanti. I siriani che oggi si impegna- spese a causa della repressione. Ma Assad e l’élite che no per rovesciare Bashar al Assad sono molto più nu- divide con lui il potere non accetteranno un dialogo merosi rispetto a un anno fa, anche se per il momento che punti a metterli fuori gioco. Fondamentalmente, dunque, la Siria è paralizzata, hanno abbandonato le piazze e perseguono il loro ma il prezzo di questa situazione aumenta in termini obiettivo con altri mezzi. L’equazione degli scontri di piazza è sempre stata di morti e feriti, di rifugiati e di sfollati, di diicoltà nettamente favorevole al regime. Gli altri termini economiche e diplomatiche e di isolamento del regidell’equazione delle forze favorevoli e contrarie al re- me. È una situazione che probabilmente proseguirà gime sono rimasti confusi. Le pressioni diplomatiche ancora per mesi, inché uno dei punti deboli dell’equaesercitate da altri paesi della regione, soprattutto dagli zione cederà. E questo è destinato inevitabilmente ad stati arabi e dalla Turchia, hanno isolato il governo di avvenire entro l’anno. u ma
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RAMI KHOURI
è columnist del quotidiano libanese Daily Star. È direttore dell’Issam Fares institute of public policy and international afairs all’American university di Beirut.
Le opinioni
La strada dell’inferno è lastricata di video David Rief
è
diicile stabilire il momento in cui tanti tecnoutopia allo stato puro, che pontiica su come la ragazzi in occidente si sono convinti che la rete ha cambiato il mondo, sta trasformando la politica consapevolezza sia la chiave per raddriz- e sta difondendo su vasta scala un’etica dell’altruismo zare i torti commessi nel mondo. Il feno- senza frontiere. Tuttavia, a meno di non credere davmeno è molto difuso in Europa, ma negli vero che “il mezzo è il messaggio”, come sosteneva Stati Uniti si presenta in forma estrema. Marshall McLuhan, Kony 2012 non rappresenta un Lo dimostra il successo di Kony 2012, un video di 30 nuovo modo di pensare, ma un nuovo veicolo propaminuti prodotto da una ong inora oscura, Invisible gandistico per l’ala umanitaria della vecchia impresa children, che vuole “far conoscere Joseph Kony a tut- imperiale, con il suo paternalismo verso il “sud del mondo”, il suo senso di superiorità, con ti”, per aprire la caccia al sanguinoso il suo disprezzo per le complessità e le capo di un gruppo paramilitare centroa- Il video Kony 2012 è ambiguità della storia e della morale. fricano, l’Lra (Esercito di resistenza del tecnoutopia allo È una visione puerile del mondo, Signore), e consegnarlo alla Corte pena- stato puro: pontiica perino per gli standard degli Stati Uniti le internazionale. su come la rete di oggi, dove tutto ciò che è sentimento Kony 2012 come fenomeno mediati- cambia il mondo e e istinto viene esaltato al di sopra della co non ha uguali. A diferenza di quanto aiuta a difondere razionalità, e dove molti attribuiscono è avvenuto in Darfur, le imprese di Kony l’altruismo senza più discernimento allo sguardo del bame dell’Lra, note agli specialisti, erano frontiere. È bino che a quello dell’adulto. Kony 2012 sconosciute alla maggior parte dell’opipaternalista e è un’espressione estrema di tutto quenione pubblica statunitense ed europea. neocolonialista sto. Nel ilmato il capo di Invisible ChilIl video è stato caricato su YouTube il 5 dren, Jason Russell, spiega al iglioletto marzo, e in due settimane l’hanno visto quasi 70 milioni di persone. In questo, alcuni leggono Gavin “cos’è questa guerra e chi è Joseph Kony”. È uno una dimostrazione della sua eicacia. Ma una spiega- spettacolo penoso, un catechismo del politically correct zione più plausibile del suo successo è che lusinga gli in cui non si capisce bene se è più infantile Russell o il spettatori. Kony 2012 non dice la verità, ma è un esem- bimbo: “Io che lavoro faccio?”, chiede papà Russell. pio di attivismo puerile, buono per tutti. E nella cultura “Fai smettere i cattivi di essere cattivi”, risponde Gadi oggi, se smerci roba del genere diicilmente ci ri- vin. Joseph Kony è il cattivo e spetta ai buoni (Russell, gli utenti di Facebook, le forze armate statunitensi e metti. Ci sono poi persone intelligenti che riconoscono voi) fermare Kony. Non serve nient’altro. Un altro inalcuni difetti di Kony 2012, ma lo difendono perché ri- tervento militare in nome dei diritti umani? No protengono utile usare mezzi consumistici per canalizza- blem: è talmente una buona causa… E la storia re le energie dei giovani oltre il consumismo. Certo dell’Uganda? Be’, magari un’altra volta. Ah, e il conteinteressarsi alla vicenda di Joseph Kony è meglio che sto della ribellione di Kony? Troppo complicato. Per interessarsi a un reality show, ma questo da solo non Russell e per i suoi colleghi niente deve intralciare la basta. O almeno non basta a spingere la gente ad agire costruzione di un movimento di persone pronte a ine a pretendere un intervento dei governi. Perché ciò collare manifesti e a far pressione su celebrità e politici avvenga non basta sapere che Joseph Kony è cattivo. perché appoggino la campagna di Invisible children. Alcuni dirigenti di Invisible children hanno amNon ci si può limitare a spacciare la tesi che il suo arresto dimostrerebbe che “il mondo in cui viviamo ha messo che in efetti Kony 2012 sempliica i fatti. Dicono regole nuove” e che “le stesse tecnologie che hanno che sempliicare non è sempre un male. Considerate le uniicato il nostro pianeta ora ci permettono anche di buone intenzioni, la tesi può inizialmente anche sembrare credibile. Ma se uno chiama le cose con il loro rispondere ai problemi dei nostri amici”. Nonostante la sua tecnoutopia, il messaggio di Ko- nome, cioè propaganda, allora la campagna di Inviny 2012, più che un presagio di un futuro migliore, è sible children appare sotto una luce diversa. Perché la una regressione al passato coloniale. Mi ricorda il pa- propaganda è propaganda, comunque. Ma Russell e i ternalismo che i missionari sfruttavano rientrando suoi, e decine di milioni di ammiratori del loro video, nella madrepatria dagli avamposti dell’impero britan- si comportano come se non vedessero quant’è periconico o francese. D’accordo, a quel tempo non c’era loso tutto questo. È la dimostrazione che il vecchio Facebook o YouTube per ispirare e mobilitare i fedeli. adagio secondo cui la strada dell’inferno è lastricata di Resta il fatto che gli eccessi di sempliicazione e il pa- buone intenzioni è più attuale che mai, e prospera, in ternalismo sono farina dello stesso sacco. Kony 2012 è questo caso, su YouTube. u ma
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DAVID RIEFF è un giornalista statunitense. In Italia ha pubblicato, tra l’altro, Sulla punta del fucile. Sogni democratici e intervento armato (Fusi orari 2007) e Un giaciglio per la notte. Il paradosso umanitario (Carocci 2005).
In copertina
La signora delle notizie Ken Auletta, The New Yorker, Stati Uniti
Ha due igli, un cane e un tatuaggio sul braccio destro. Jill Abramson, 57 anni, newyorchese, è la prima donna a dirigere il New York Times. In un’epoca di grandi incertezze deve garantire un futuro al giornale più inluente del mondo
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lle nove di mattina del 6 settembre, Jill Abramson stava viaggiando in metropolitana dal suo loft di Tribeca al centro di New York. Era il suo primo giorno come direttrice del New York Times e anche la prima volta, nei 160 anni di storia del giornale, che sulla gerenza sarebbe apparso il nome di una donna. Abramson racconta che era “emozionata” per l’evento storico, e “un po’ nervosa” perché sapeva che in redazione molti la temevano. Indossava un abito bianco e una giacca nera a iori bianchi con i bordi rossi. La sua carnagione, di solito pallida, era illuminata dal sole estivo, ma aveva due profonde occhiaie. Quando è entrata nella sede del giornale, ha fatto un cenno con la mano agli agenti della sicurezza e ha salutato i colleghi in ascensore, cosa che spesso si dimenticava di fare. La grande redazione era tranquilla – di solito non si anima prima delle dieci e mezzo – ma si percepiva la tensione. I pochi giornalisti che erano alla loro scrivania hanno guardato passare il nuovo capo in silenzio. Abramson ha posato la borsetta sul grande tavolo di formica bianca dove lavora, al centro della redazione al terzo piano. Qualcuno le aveva lasciato una busta chiusa con la scritta “Congratulazioni”. Contene-
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va una lettera plastiicata accompagnata da un biglietto. Nella lettera una bambina di nove anni di nome Alexandra Early spiegava che si arrabbiava sempre quando guardava la televisione: “Perché io sono una femmina e non ci sono abbastanza supereroine in tv”. Il biglietto, invece, scritto da una redattrice del giornale, diceva: “Qualunque fine abbia fatto Alexandra Early, spero che abbia saputo del tuo nuovo incarico”. Abramson, che oggi ha 57 anni, era già stata managing editor, l’incarico più importante dopo quello di direttore, e molti in redazione erano intimiditi dai suoi modi, spesso considerati troppo bruschi. Era fredda e distaccata e, secondo loro, somigliava molto al geniale ma vulcanico Howell Raines, ex direttore del New York Times. Anche lui, nel 2001, aveva assunto l’incarico subito dopo la festa del lavoro, che negli Stati Uniti si celebra il primo lunedì di settembre. Raines aveva dovuto dimettersi dopo meno di due anni, e molti ancora tremano al suo ricordo. Perciò Abramson ha deciso di fare una cosa che Raines non avrebbe mai fatto: entrando in redazione ha detto “Buongiorno ai giornalisti della cronaca locale!”. Poi si è congratulata con l’autore di un articolo di prima pagina sui criteri di ammissione degli studenti nelle scuole private di New York. Nell’email che ha man-
dato a tutti i colleghi quel giorno, ha promesso che sarebbe stata spesso in redazione, avrebbe parlato con tutti e ascoltato le proposte di tutti. “Non ne potrete più di me a forza di incontri, inviti a pranzo e riunioni”. Un tempo era impensabile che una donna potesse dirigere il New York Times. Quando nel 1962 Eileen Shanahan, che poi sarebbe diventata un’autorevole giornalista economica, si presentò al colloquio con Clifton Daniel, all’epoca managing editor del giornale, non osò dire che avrebbe voluto diventare direttrice. “Tutto quello che voglio è scrivere per il miglior giornale del mondo”, disse. “Bene”, rispose Daniel mentre lei gli raccontava la sua storia, “perché posso assicurarle che nessuna donna lo dirigerà mai”. Quarant’anni fa il New York Times considerava le donne, i neri e gli asiatici cittadini di seconda classe. Come racconta Nan Robertson nel suo libro The girls in the balcony: women, men and the New York Times, solo quaranta dei 425 redattori erano donne, e si occupavano tutte di cronaca locale. Non c’erano né fotografe né editorialiste, e l’editorial board, il gruppo di giornalisti che stabilisce la linea editoriale del giornale, era composto di soli uomini. Nessun giornalista nero andava oltre il ruolo di cronista.
Peter Yang (august/Contrasto)
Jill Abramson nel settembre 2010 Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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In copertina Alla ine degli anni settanta, dopo aver affrontato diverse cause per discriminazione contro le donne e le minoranze, l’editore smise di assumere solo maschi bianchi. Nel 2010, il 41 per cento dei redattori e dei caporedattori erano donne, circa il 20 per cento dei dipendenti apparteneva alle minoranze, che occupavano il 13 per cento dei posti di responsabilità. A giugno del 2011 l’editore del giornale, Arthur Sulzberger Jr., ha nominato Jill Abramson direttrice e Dean Baquet, un nero, managing editor. Quel giorno, molte delle persone riunite per l’annuncio hanno rilettuto su come erano cambiate le cose. Alcune donne hanno pianto. Susan Chira, una vice managing editor, non ha potuto fare a meno di ricordare che quando era entrata al New York Times, nel 1981, molte donne erano “tristi, amareggiate e arrabbiate, perché nonostante il loro talento non riuscivano a fare carriera”. I direttori molestavano le ragazze. “È incredibile quanta strada abbiamo fatto. Quando ho saputo della nomina di Jill, ho avuto un brivido. Una donna che ottiene un incarico del genere per merito è da ammirare. Non è stata una cosa simbolica. Jill ha studiato per avere quel posto. Se l’è guadagnato”.
Pioniere La prima cosa che le persone notano di Jill Abramson è la voce. È l’equivalente di un clacson a trombetta, con un accento che è una strana combinazione tra l’aristocratico e il popolare. In redazione, la sua abitudine di allungare le parole e di enfatizzare l’ultima parola di ogni frase è oggetto di molti commenti e abili imitazioni. Quando è andata in tv dopo la sua nomina a direttrice, il blogger Ben Trawick-Smith ha scritto: “Logopedisti ed esperti di fonetica, datevi da fare. Cosa c’è che non va nella voce di Abramson?”. Sono arrivate valanghe di risposte. Qualcuno ha ipotizzato che Abramson, come i politici, ha imparato a non fare pause tra una frase e l’altra per non essere interrotta. Qualcun altro ha detto che probabilmente ha preso quell’accento per non sembrare troppo newyorchese quando studiava a Harvard. La scrittrice Amy Wilentz, che aveva diviso la stanza al college con lei, ha detto che probabilmente cerca di imitare Bob Dylan. Nessuno di loro ha ragione, perché la sorella di Jill, Jane, ha esattamente la stessa voce, come l’aveva sua madre, Dovie Abramson. La famiglia viveva all’Ardsley, un palazzo liberty tra la 92a strada e Central park west. Suo padre, Norman, un ricco importatore di tessuti, era un uomo isicamen-
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te imponente che non si era mai laureato. Aveva una personalità esuberante e incoraggiava le iglie a eccellere. Dovie Abramson, che invece era laureata alla Barnard, leggeva alle iglie Piccole donne, libri di poesia, Dickens, e le portava a teatro e a vedere ilm dell’orrore. La famiglia aveva una tale ammirazione per il New York Times che a un certo punto se ne faceva consegnare a casa due copie. “Il Times era la nostra religione”, ha raccontato Abramson più di una volta. Dopo aver frequentato la Ethical culture school, una scuola privata di Central park west frequentata da molti ebrei non praticanti, nel 1972 Jill fu ammessa a Harvard. “La nostra fu la prima classe che poté deci-
“Jill tirò fuori sette o otto idee favolose che non ci erano mai venute in mente” dere se vivere al campus del Radclife, l’ex istituto femminile, o a quello di Harvard”, ricorda una sua compagna di corso, Alison Mitchell, che oggi lavora al domenicale del New York Times. “Io e Jill scegliemmo Harvard. A quei tempi, quando entravi alla mensa non c’erano altre donne. Ci sentivamo delle femministe che stavano invadendo il mondo degli uomini. Molte ragazze che erano al Radclife pensavano che fossimo delle traditrici, ma noi ci sentivamo pioniere”. Al primo anno di università, invece di cercare di entrare all’Harvard Crimson, il quotidiano uiciale del college, Abramson scriveva schede biografiche e recensioni teatrali per il settimanale del campus, The Independent. Nell’agosto del 1973, l’estate del suo secondo anno di università, i genitori di Jill aittarono una casa a Nantucket, vicino a
Da sapere Copie del New York Times vendute, milioni Fonte: The New York Times Company
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Cape Cod, dove lei lavorò in un negozio di formaggi e come cameriera in un bar. Mentre erano lì, Joseph Kennedy ebbe il famoso incidente con la jeep in cui una ragazza rimase paralizzata. Erano passati solo quattro anni dalla tragedia di Chappaquiddick, quando il senatore Edward Kennedy era precipitato con l’auto da un ponte uccidendo la donna che era con lui. Nantucket era irraggiungibile per la nebbia ma i giornali avevano un bisogno disperato di conoscere i dettagli dell’accaduto. Un amico della sorella di Jill che lavorava nella redazione di Time a Boston chiese a Jill di scoprire cos’era successo. Per i tre anni successivi Jill collaborò alla rivista come freelance. Ma il giornalismo non era la sua unica passione. Durante il secondo anno all’università partecipò alla messa in scena di Febbre da ieno di Noël Coward. In quell’occasione conobbe Henry Little Griggs III, che suonava il piano tra un atto e l’altro. Fecero subito coppia. Griggs era un patito del giornalismo, timido ma simpatico. Veniva da una vecchia famiglia di protestanti di Madison, nel Connecticut. Gli amici lo descrivono come un tipo tranquillo e meno ambizioso di Jill. Dopo essersi laureata a Harvard, Abramson rimase un anno nella redazione di Time a Boston, per poi trasferirsi in Virginia, dove lei e Griggs collaborarono alla campagna elettorale per la carica di governatore del democratico Henry Howell. Quando Howell perse le elezioni, si trasferirono a Columbia, in South Carolina, dove Griggs aveva trovato lavoro come consulente politico. Abramson fu assunta da un’agenzia pubblicitaria per la campagna elettorale di altri democratici del sud dopo la vittoria di Jimmy Carter alle presidenziali del 1976. Tra gli altri, c’era il candidato dell’Arkansas Bill Clinton. All’epoca delle presidenziali del 1980, Jill tornò al giornalismo, come redattrice per la Nbc. Durante quella campagna conobbe Steven Brill, che aveva appena fondato una rivista sul mondo dell’avvocatura, The American Lawyer. Nel 1981 Brill la assunse come reporter. Era un tipo irascibile, ricorda Stephen Adler, un altro collaboratore della rivista. “Il primo articolo che mi trovai a correggere era di Jill. Steve aveva scritto in cima alla pagina: ‘Pessimo inizio’. A volte scriveva: ‘L’inglese è per caso la tua seconda lingua?’”. Abramson e Griggs si sposarono nel 1981 ed ebbero due igli, Cornelia e Will. Nel 1986 Jill fu chiamata a dirigere un altro giornale di Brill, Legal Times, che aveva sede a Washington, dove Griggs era addetto
TODD PLITT (CONTOuR/GETTY IMAGES) JEFF ELDER @JEFFELDER
A sinistra: Jill Abramson alla festa del Sxsw con Jef Elder, direttore del marketing di Storify. La foto è stata scattata il 10 marzo 2012 a Austin, in Texas. Sopra: con Scout, il protagonista di The puppy diaries. Il libro raccoglie le column scritte da Abramson per il sito del New York Times.
stampa dell’American federation of state, county and municipal employees, un sindacato dei dipendenti pubblici. Brill era un capo molto esigente, che urlava più che parlare. Ma lui e Abramson andavano abbastanza d’accordo.
Un colloquio diverso Nel 1986 Abramson pubblicò il suo primo libro, scritto con Barbara Franklin, una collega dell’American Lawyer, intitolato Where are they now: the story of the women of Harvard law 1974. Il libro raccontava le diicoltà e le delusioni delle laureate in legge in un mondo del lavoro dominato dagli uomini. L’anno successivo Norman Pearlstine, il vicedirettore del Wall Street Journal, decise che il giornale doveva occuparsi di più di questioni legali. “Come managing editor, avevo il dovere di assumere chiunque avesse resistito per un anno a lavorare con Steve Brill”, racconta Pearlstine. Abramson fu invitata a un colloquio con il capo della redazione di Washington, Al Hunt, che accettò di vederla solo per accontentare Pearlstine. Hunt si aspettava di sbrigare una formalità, invece si rivelò “un colloquio diverso da tutti gli altri”. “Jill tirò fuori sette o otto idee favolose che non ci erano mai venute in mente”, ricorda Hunt. “Ho avuto colloqui
di lavoro con centinaia di aspiranti giornalisti, ma quello è stato sicuramente il più memorabile”. Abramson condusse molte inchieste che inirono in prima pagina e nel 1993 fu promossa vicecapo della redazione di Washington. Mentre era al Wall Street Journal, riprese l’amicizia con una vecchia compagna di studi, Jane Mayer, che oggi lavora per il New Yorker. Nel 1991 decisero di scrivere insieme un libro sul giudice Clarence Thomas, che durante le audizioni per confermare la sua nomina alla corte suprema era stato accusato di molestie sessuali dalla sua collaboratrice Anita Hill. Thomas si dichiarava innocente e si deiniva vittima di un “linciaggio mediatico”. Abramson e Mayer decisero di scoprire chi mentiva. Nel loro libro, Strange justice: the selling of Clarence Thomas, spiegarono che Thomas mentiva e intervistarono tre donne che erano state molestate dal giudice. Alla ine delle audizioni, Abramson scrisse un biglietto a Maureen Dowd, che aveva seguito il caso per il New York Times, per complimentarsi con lei. Dowd, che poi sarebbe diventata un’editorialista del quotidiano, le rispose a sua volta. Cercava donne che scrivessero per il New York Times. “Ne conosci qualcuna speciale?”, le chiese.
“Sì, io!”, rispose Abramson. Dowd lo riferì al capo della redazione di Washington, Michael Oreskes, che invitò Abramson a pranzo. Jill entrò al New York Times nel settembre del 1997 e nel dicembre del 2000 prese il posto di Oreskes. Fu l’inizio di un buon periodo nella vita di Jill. Era la prima donna a dirigere la redazione di Washington, era molto esigente ma anche apprezzata dalla maggior parte dei giornalisti. Dowd rimase colpita dalla sua enorme curiosità. “Se c’era un’eclissi di luna alle tre di notte che si vedeva meglio da un ponte nel Maryland, lei voleva andare lì”. A settembre di quell’anno, preoccupato che il giornale si stesse impigrendo, Sulzberger scelse Howell Raines, un uomo dalla personalità forte e decisa che aveva diretto le pagine degli editoriali, per succedere a Joseph Lelyveld, un direttore freddo e distaccato che aveva passato tutta la vita al New York Times. Lelyveld aveva indicato Bill Keller, ma Keller, a diferenza di Raines, non aveva un rapporto stretto con l’editore. Howell Raines si ritrovò a dirigere il giornale qualche giorno prima dell’11 settembre, e nei mesi immediatamente successivi sembrò la scelta giusta. Raines seppe trascinare la redazione facendola lavorare in modo Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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In copertina spettacolare. Quella primavera il New York Times vinse sette premi Pulitzer. Fu il momento del massimo trionfo di Raines. Ma la sua caduta era vicina. Raines aveva lavorato nella redazione di Washington, era stato corrispondente politico e aveva vinto un premio Pulitzer. All’inizio, racconta Mayer, Abramson era entusiasta, perché il nuovo direttore era favorevole a introdurre più approfondimenti politici e un giornalismo d’inchiesta più aggressivo. Ma dopo un po’ Raines cominciò ad analizzare in modo puntiglioso il lavoro di Abramson. Durante la riunione per decidere la prima pagina, spesso la interrompeva per urlarle al telefono che le sue idee erano deboli e che si occupava troppo poco dell’11 settembre. Un vecchio redattore che ha lavorato a stretto contatto con Abramson e Raines ha descritto così il loro rapporto: “Howell era convinto che lei non andasse bene come capo della redazione di Washington e lei aveva la sensazione che lui le rendesse impossibile fare un buon lavoro”.
dalo si aggiunse alle lamentele di altri redattori che accusavano Raines di essere diventato sprezzante nei loro confronti. Sulzberger si rese conto che era necessario un cambiamento. Quando Raines se ne andò, Abramson diventò l’eroina della redazione. “Jill era stata molto coraggiosa a parlare apertamente”, dice Susan Chira, che Raines aveva retrocesso dalla direzione della Week in review a un posto di minore responsabilità. “Molti di noi erano terrorizzati da Howell”. Ma c’è anche chi critica il modo in cui Abramson gestiva la redazione di Washington. In quel periodo il New York Times aveva creduto alla notizia che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa. E
L’eroina della redazione
perino i sostenitori più accesi di Abramson dicono che a volte era troppo brusca e interrompeva i suoi interlocutori a metà di una frase. I redattori che non soddisfacevano i suoi standard venivano spesso rimproverati, a volte in pubblico. Abramson aveva i suoi preferiti ed era lunatica. Qualcuno la trovava egocentrica, incline a citare se stessa e a dire cose come: “Dovete leggere il mio libro”. A partire da queste ansie e lamentele, si cominciò a sussurrare che la donna che aveva fatto fuori Raines fosse in realtà molto simile a lui. Dopo due anni di quello che lui chiama “un felice esilio” come columnist e giornalista del New York Times Magazine, Bill Keller ottenne il posto che gli era stato negato nel 2001. Keller sapeva che il giornale doveva risolvere dei problemi di gestione. Le commissioni interne dicevano che con un maggior controllo Jayson Blair non avrebbe potuto fare quello che aveva fatto. Così, per la prima volta, Keller nominò due managing editor: Abramson per la raccolta di notizie e John M. Geddes per tutto il resto, compresa la produzione del giornale e il controllo del budget. Keller conosceva bene Geddes, ma era la prima volta che lavorava con Abramson. “All’inizio non ci conoscevamo”, dice. Lui era quasi sempre stato corrispondente dall’estero, mentre lei si era dedicata al giornalismo d’inchiesta. “I miei scoop sono più che altro interpretazioni”, ha detto una volta Keller. Sam Tanenhaus, il diretto-
Alla ine del 2002 Jill Abramson era disperata e prese in considerazione l’idea di accettare un’oferta del Washington Post. Alla ine, ricorda, andò a parlare con Sulzberger per dirgli che non poteva continuare a lavorare con Raines. In parole povere, era un ultimatum: se lui non l’avesse lasciata in pace se ne sarebbe andata. Era insolito per il New York Times che qualcuno andasse a lamentarsi direttamente dall’editore, ed era ancora più strano che l’editore decidesse di intervenire. La visita di Abramson a New York provocò una telefonata di Janet Robinson, l’amministratrice delegata della Times Company. “Avevo sentito dire che Jill non era contenta e voleva andarsene”, ricorda Robinson. “La chiamai e le dissi: ‘Stai facendo un ottimo lavoro’. Si sentiva costretta in un braccio di ferro, perciò le dissi: ‘Dovranno passare sul mio cadavere prima di mandarti via dal giornale!’. Se non sostengo i nostri dipendenti, soprattutto le donne, signiica che non sto facendo il mio lavoro”. Robinson parlò anche con Raines, “cercando di mediare”, dice. Abramson le raccontò quanto fosse dificile lavorare con Raines. Nel marzo del 2003 Sulzberger li invitò entrambi nel suo uicio. Ricorda di aver aperto quella “consulenza matrimoniale” dicendo: “Non ci alzeremo di qui inché non avrò capito cosa sta succedendo tra voi due”. Quello stesso mese si venne a sapere che un giovane reporter di nome Jayson Blair aveva inventato delle notizie. Lo scan-
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Anche i suoi sostenitori più accesi dicono che a volte era troppo brusca
re della sezione di critica letteraria, spiega: “Un corrispondente dall’estero ad alto livello è essenzialmente un testimone. Riporta le notizie. Il reporter investigativo invece cerca di arrivare al fondo di una notizia”. Keller e Abramson consideravano complementari i loro diversi interessi e temperamenti. “Era meraviglioso lavorare con lei”, dice Keller. “Con la sua precisione, Jill portava le riunioni di redazione a un livello straordinario. Quasi tutti i giorni arrivava che aveva già letto tutto”. Insisteva con i redattori perché ampliassero il contesto e scavassero nelle motivazioni delle persone. Alla riunione delle dieci per decidere la prima pagina Keller essenzialmente ascoltava, mentre lei continuava a fare domande. “Jill è un po’ più competitiva”, osserva Geddes. Diceva: “Gli altri hanno pubblicato questa notizia stamattina. Noi che facciamo?”. Ma la sua lealtà nei confronti di Keller era indiscutibile. A maggio del 2007, proprio la settimana in cui suo iglio Will si laureava alla New York university, Abramson stava andando all’Harvard Club per fare un po’ di ginnastica quando, all’incrocio tra la 42a e la Settima avenue un grosso camion passò con il rosso e la travolse. Con una ruota anteriore le schiacciò il piede destro e con quella posteriore le passò sopra fratturandole il femore, il bacino e provocandole diverse lesioni agli organi interni. Un’ambulanza la portò di corsa al reparto di traumatologia del Bellevue hospital, dove un medico disse che se la ruota posteriore le avesse preso la gamba qualche centimetro più sopra sarebbe morta. In sala operatoria le fecero diverse trasfusioni, le inilarono una protesi di titanio nella gamba e le dissero che doveva restare a letto sei settimane. Seguirono molti mesi di antidoloriici, riabilitazione e isioterapia, che le permisero di passare dalla sedia a rotelle alle stampelle e inine al bastone. Secondo il suo più vecchio amico, Jim Lax, un medico, in quel periodo Abramson sofrì di una sorta di stress post-traumatico, con attacchi di ansia e di depressione. Nove settimane dopo l’incidente, tornò a lavorare sulla sedia a rotelle. Nel frattempo il New York Times aveva lasciato la vecchia sede sulla 43a strada per trasferirsi nell’elegante ediicio progettato da Renzo Piano sull’Ottava avenue, tra la 40a e la 41a 0vest. L’architetto aveva disegnato gli uici tutti uguali, con gli stessi mobili e la stessa moquette grigia. I mobili di Abramson erano spariti. “Non c’era più niente di mio”, ri-
MICHAEL NAGLE (BLOOMBERG/GETTY IMAGES)
Nell’estate del 2010 Bill Keller disse a sua moglie Emma che voleva tornare a scrivere. Lei gli rispose che era il momento sbagliato, e la stessa cosa gli disse Abramson. “Rimasi sbalordita”, racconta oggi. La direzione di Keller è stata caratterizzata da tre crisi: quella morale, quella economica e quella digitale. “È diventato direttore in un momento molto diicile, dopo tutto quello che avevamo passato con Howell e Jayson Blair”, dice Sulzberger. “Bill è arrivato e ha ridato stabilità alla redazione”. Era una presenza tranquillizzante. Il comportamento equilibrato di Keller ha contribuito ad attutire lo tsunami economico che ha colpito il New York Times e tutti gli altri giornali americani. Tra il 2006 e il 2010, l’azienda ha tagliato le spese di 850 milioni di dollari. Il budget di 200 milioni di dollari della redazione è stato ridotto del 10 per cento. Le sezioni del quotidiano sono diminuite da sei a quattro. La proprietà è stata costretta a vendere, o aittare, alcuni piani della nuova sede. Il prezzo delle azioni è calato a picco. Sulzberger ha dovuto accettare un prestito da uno degli uomini più ricchi del mondo, l’imprenditore messicano Carlos Slim, pagando un tasso di interesse da usura del 14 per cento. Quando disse a sua moglie e a Jill che voleva andarsene, Keller aveva superato la crisi morale e quella economica, ma l’azienda era tutta presa dal dibattito su come far pagare l’edizione online. Dopo aver parlato con il consiglio d’amministrazione, Keller decise che prima di lasciare la direzione doveva risolvere la questione.
La favorita La sede della New York Times Company. La redazione è al terzo piano corda. “Andai da Arthur e gli dissi: ‘Per me farebbe una grande diferenza se potessi riavere la mia roba’. Lui si mise a ridere, ma nel mio stato non poteva dirmi di no”. Le riportarono i suoi vecchi mobili: il divano ricoperto di stofa verde con il cuscino a forma di cane, il tappeto persiano che avrebbe coperto una parte della moquette, lo scafale dei libri, il berretto degli Yankee e le foto di Babe Ruth, di Keith Richards e di E. B. White con il suo cane. Nella primavera del 2010, nel tentativo di salvare il futuro del giornale (e forse anche il suo), Abramson rinunciò provvisoriamente al suo incarico di managing editor per occuparsi dei contenuti del sito. Passò quasi tutto il tempo in una zona del terzo piano vicino alla redazione online. La sua “vacanza” coincise con la decisione dell’azienda di
ridiscutere il modo in cui il giornale doveva far pagare l’edizione online. Abramson rimase sorpresa di quanto poco integrate fossero le due parti della redazione. Le riunioni per scegliere i sei articoli della prima pagina erano faticosissime e rimaneva poco tempo per pensare a cosa mettere in homepage. Alcuni giornalisti del New York Times sono ancora convinti che le sue conoscenze del web siano piuttosto scarse, ma Abramson ha capito che il web è fondamentale per il futuro del giornale e vuole che le persone che lavorano per il sito collaborino con quelle che sono in redazione in tutti i settori. Oggi durante la riunione per la prima pagina la homepage del New York Times è proiettata su un grande schermo e i redattori decidono immediatamente quali articoli mettere online.
A marzo del 2011 il New York Times ha lanciato il suo piano di abbonamenti online, chiedendo ai lettori che non erano ancora abbonati al giornale di pagare 35 dollari al mese per l’edizione digitale. Le reazioni iniziali sono state incoraggianti. Nei primi tre mesi 281mila persone si sono abbonate. A maggio Keller è andato da Sulzberger e gli ha detto: “Arthur, ho diretto il New York Times per più tempo di Joseph Lelyveld e di Max Frankel. Penso che sia arrivato il momento di cedere le redini a qualcun altro”. Per un editore, non c’è decisione più importante di quella di scegliere un direttore. Sulzberger ha chiesto a varie persone di suggerirgli un nome. Ha stabilito subito che non avrebbe cercato fuori del gruppo Times e ha individuato tre candidati che conosceva abbastanza bene: Abramson, il capo della redazione di Washington Dean Baquet e il direttore del Boston Globe Martin Baron (anche il Globe appartiene al gruppo Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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In copertina Times). Sapeva che tutti e tre i candidati erano paladini del “buon giornalismo”, perciò il fattore decisivo sarebbe stato la “disponibilità e la capacità di andare avanti sulla strada del digitale”. È andato a pranzo con ognuno di loro. Abramson era la favorita. È stata sincera con Sulzberger a proposito dei suoi punti deboli. “Gli ho detto che dovevo imparare ad ascoltare di più, parlare di meno e non interrompere”, ricorda. Hanno parlato di quello che avrebbe fatto se fosse diventata direttrice e lei ha detto che “sarebbe stata sempre in redazione” a parlare con le persone. Ha stilato una specie di memorandum su quello che si proponeva di fare se avesse ottenuto il posto. Avrebbe portato avanti la “missione fondamentale” del giornale, che era quella di mantenere un livello di eccellenza. Diversamente da Howell Raines, che voleva rivoluzionare la redazione, lei era a favore della continuità. Avrebbe creato un gruppo di punta “con alcune persone nuove”, ma le sue innovazioni sarebbero state soprattutto nel campo del digitale. Era proprio quello che Sulzberger voleva sentirsi dire. Una mattina alle otto e un quarto, due settimane dopo il loro incontro, nel loft di Jill Abramson ha squillato il telefono. Sulzberger la chiamava dall’Europa. “Ho una sorpresa per te”, ha detto. Lei era “estremamente nervosa”, e gli ha chiesto: “Bella o brutta?”. Quando lui le ha oferto l’incarico, lei ha risposto: “Sarà un onore”. Prima di precipitarsi in città, ha chiamato sua sorella. Qualche giorno dopo ha nominato Baquet managing editor. Nel 2007 era stata tra quelli che lo avevano convinto a tornare al New York Times. Si parlavano spesso e si scambiavano consigli sui romanzi da leggere. Lui aveva più esperienza nel campo della sicurezza nazionale e aveva tutte le qualità di un abile politico senza i lati negativi. “Se accetti l’incarico”, gli ha detto Abramson, “farai felice tutta la redazione”. Anche Sulzberger era contento. Baquet era stato scelto da lei, dice un manager della società, ma Sulzberger desiderava moltissimo vedere un afroamericano alla guida del giornale accanto a una donna. “Arthur vuole lasciare il segno, e Jill è stata abbastanza intelligente da capirlo”. L’annuncio è stato dato nella grande sala del terzo piano il 2 giugno. Nel corso dell’estate, Abramson è andata dai redattori delle varie sezioni chiedendo: “Cosa deve fare di più e di meno chi dirige questo giornale?”. Quasi tutti le hanno risposto le stes-
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se cose: “La prima era che dovevamo essere più vicini ai redattori. Molti pensavano che io, Bill e John Geddes non andavamo abbastanza in giro a discutere con le persone del loro lavoro. Io in particolare. Dovevo essere meno scostante”. Ma non è normale che un direttore incuta timore? Certo che è normale, dice lei. “Ma evidentemente quando faccio troppe domande do l’impressione di giudicare male le persone. Quando erano piccoli, i miei igli mi dicevano ‘Smetti di strillare!’, e non credo di aver mai alzato la voce con loro”. Abramson aveva in mente di applicare alla redazione “l’addestramento positivo” che usava con il suo cane Scout. Nel suo libro The puppy diaries, in cui spiega come ha al-
La prima settimana ha girato per la redazione facendo complimenti a tutti levato il cane, Abramson racconta che lei e suo marito preferivano usare “l’incoraggiamento invece delle punizioni”, e quando si comportava bene, lo premiavano con un biscotto. “Nei rapporti con i cani e con le redazioni, gli elogi e gli incoraggiamenti funzionano meglio delle critiche”, aferma. Non tutti i redattori, però, sono facili da addestrare come Scout. Alla ine di giugno, Abramson e Baquet sono andati in Pakistan e in Afghanistan per passare un po’ di tempo con i corrispondenti e incontrare le autorità locali. Nessuno dei due è mai stato corrispondente e con quel viaggio volevano manifestare il loro sostegno alle redazioni estere. Per tutto il tempo, Abramson e Baquet hanno parlato di come far nascere una nuova generazione di redattori e rinnovare il giornale cambiando i responsabili di alcune sezioni. Avreb-
Da sapere Visitatori unici del sito del New York Times, milioni Fonte: The Economist
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bero preso quelle decisioni dopo essersi consultati con due persone che avevano conservato il loro incarico, John Geddes e William Schmidt. Il primo cambiamento è avvenuto alla ine di luglio, quando Abramson ha nominato David Leonhardt, un giornalista economico di 38 anni che aveva vinto il premio Pulitzer, al posto di Baquet a Washington. L’editorialista economico e direttore della sezione d’informazione inanziaria Dealbook, Andrew Ross Sorkin, che ha 34 anni, la deinisce “una decisione totalmente inaspettata”: “Ha preso un giovane senza esperienza di direzione e lo ha messo a capo dell’uicio di Washington. Non è più ‘il solito vecchio New York Times’”. Abramson sostiene che dedicherà più spazio al giornalismo d’inchiesta, più attenzione alla politica, alla cultura e alla ricerca di quello che si nasconde dietro le dichiarazioni uiciali. Durante la prima settimana ha girato spesso per i tre piani della redazione facendo i complimenti a tutti. Il 12 settembre si è fermata nella redazione della cronaca locale e ha dichiarato: “Volevo solo dirvi che state facendo un magniico lavoro”. Si riferiva in particolare all’articolo di Robert McFadden sul decimo anniversario dell’11 settembre. Poi è scesa al piano di sotto e si è seduta accanto a una giovane giornalista economica, Louise Story, per dirle: “Il tuo pezzo di oggi era fantastico”. Alla riunione della prima pagina ha elogiato tutti. “Ce la sta mettendo tutta”, dice un redattore. “Non so quanto durerà”.
Una sola corsa Il problema principale del New York Times è economico. Riuscirà il gruppo, che ricava il 90 per cento dei suoi introiti dal New York Times e da altri 17 quotidiani, a superare la crisi che colpisce tutti i giornali? Negli ultimi cinque anni ha perso soldi, ma nel 2010 ha visto risalire i proitti a 234 milioni di dollari. Dal 2006 a oggi ha dimezzato i debiti e ha restituito il prestito a Carlos Slim. “È ancora troppo presto per cantare vittoria”, dice Sulzberger a proposito degli abbonamenti online. “Ma sono andati molto meglio di quanto ci aspettassimo”. Nonostante questo, il rendiconto inanziario della società per il secondo trimestre del 2011 parlava di perdite per 120 milioni di dollari e di un calo delle entrate del 2 per cento. Mentre la pubblicità sull’edizione digitale è aumentata, quella sull’edizione cartacea è diminuita al doppio della velocità. “Stiamo navigando sull’oceano”, dice il caporedattore finanziario Lawrence Ingrassia, “e ancora non sappiamo cosa c’è
FRED R. CONRAD (ThE NEW YORk TIMES/CONTRASTO)
Il cafè, al quattordicesimo piano dall’altra parte”. Quello che Abramson sa per certo, come ha scritto nel memorandum che ha mandato a Sulzberger, è che dovrà trasformare il New York Times in qualcosa di più di un giornale. Dovrà lanciare nuove iniziative multimediali: audio, video, archivi. E coinvolgere di più i lettori. Il New York Times deve fare dei notiziari online? Lavorare di più con Facebook e Twitter? Pubblicare ebook? “Queste sono le questioni strategiche che Jill dovrà affrontare”, dice l’ex direttore del New York Times Magazine Gerald Marzorati. “Non siamo più solo un giornale”. Dato che i giornalisti del New York Times scrivono sia sull’edizione cartacea sia su quella digitale, non mandano più un solo articolo nel tardo pomeriggio per l’edizione del giorno dopo, ma devono spedire
articoli per il sito più volte al giorno, e mantenere la qualità anche se il tempo è poco. “La sida è evitare che commettano errori, che si brucino, che rinuncino alla qualità”, dice Baquet. La sovrapposizione tra la versione cartacea e quella online crea un altro problema: decidere quanto spazio dare alle opinioni. Oggi il New York Times le pubblica nella pagina degli editoriali, nella sezione inanza, in quella politica, sotto forma di “analisi delle notizie”, e nella Sunday review, di cui si occupa il responsabile della pagina degli editoriali Andrew Rosenthal. Molti redattori si preoccupano del fatto che sul quotidiano ci sono troppi punti di vista personali. Il padre di Andrew, A. M. Rosenthal, è stato direttore del New York Times e sorve-
gliava con attenzione le opinioni. E oggi Andrew Rosenthal è più preoccupato di tutti: “I lettori sono confusi. Se mescoliamo notizie e opinioni, rischiamo di togliere credibilità alle informazioni, soprattutto in questo periodo di forte polarizzazione”. Se traspaiono le idee del giornalista, si conferma la critica spesso rivolta al New York Times di essere dalla parte dei democratici, critica aggravata dall’aver aidato la direzione a una donna cresciuta in una famiglia liberal nel West side di Manhattan, una giornalista che ha lavorato per i democratici del sud e ha accusato il giudice conservatore Clarence Thomas di mentire. Quando chiedo ad Abramson se pensa che il New York Times sia parziale, risponde: “Penso che faccia di tutto per non esserlo”. Ma aggiunge che il giornale, come scrisse il garante dei lettori in un editoriale sette anni fa, ha una visione essenzialmente metropolitana, che a volte appare evidente negli articoli a tema sociale. Comunque è profondamente convinta che il giornale ofra le stesse opportunità ai democratici e ai repubblicani. Quando le chiedo della sua formazione, risponde: “Durante le riunioni di redazione, spesso sono io a sollevare l’obiezione che la nostra scelta di notizie è troppo newyorchese, troppo limitata. Tutti gli anni che ho passato a Washington, e sono stata attaccata dai conservatori, mi hanno aiutato a capire come può essere interpretato un articolo nel resto degli Stati Uniti”. Al tempo stesso, però, Abramson è orgogliosa di essere una newyorchese. Nel 2003, per festeggiare il suo ritorno in città, si fece fare un piccolo tatuaggio sulla spalla destra. Riproduce un vecchio gettone della metropolitana. Voleva essere, dice, un tributo alla metropolitana, che lei usa spesso e che associa alla sua città. Ed era un modo per dire che era “tornata a New York per sempre”. La frase incisa sulla moneta, aggiunge, rilette la sua ilosoia di vita: “Valido per una sola corsa”. E implicitamente le ricorda la sida che deve afrontare se vuole trasformare il giornale. L’epoca in cui la sua famiglia riceveva due copie del New York Times è inita da tempo. Come sono initi i giorni in cui serviva un gettone per superare i tornelli della metropolitana. u bt L’AUTORE
Ken Auletta scrive per il New Yorker dal 1993. Si occupa di informazione e ha raccontato i personaggi e le aziende più importanti del nostro tempo, da Bill Gates a Rupert Murdoch, dalla Time Warner al New York Times. Il suo ultimo libro è Efetto Google (Garzanti 2010).
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Perù
Elezioni al blocco 7 Daniel Alarcón, Harper’s Magazine, Stati Uniti Foto di Valerio Bispuri
Lurigancho è la prigione più grande e più afollata del Perù. Le condizioni di vita sono pessime, ma da più di vent’anni i detenuti votano per eleggere i loro rappresentanti
Nel carcere di Lurigancho i detenuti imparano a fabbricare amache, dicembre 2006
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Perù er capire un posto come Lurigancho conviene lasciare da parte termini come prigione, detenuto o cella. I 7.400 uomini che vivono a Lurigancho, il più grande istituto penitenziario del Perù, non indossano uniformi. La mattina non si fa l’appello e non ci sono celle d’isolamento. I controlli delle guardie carcerarie sono formali. Sorvegliano il cancello all’ingresso della prigione e poco altro. I venti ediici che costituiscono l’istituto sono suddivisi in due sezioni: i detenuti che se la passano meglio vivono nel Jardín (il giardino), cioè negli ediici che hanno un numero dispari. Le piante sono appassite tanto tempo fa, ma il nome è rimasto. Molti detenuti hanno le chiavi della loro cella e sono liberi di andare dove vogliono. L’altra parte di Lurigancho, quella degli edifici contrassegnati da numeri pari, è chiamata la Pampa (la pianura) e ospita migliaia di detenuti accusati di omicidio e furto. Questa zona è due volte più afollata del Jardín, le sue condizioni igieniche sono scadenti e c’è molta violenza. Lurigancho si trova a pochi chilometri dal centro di Lima, la città più grande del Perù, e mantiene un legame con la vita della capitale. La Pampa è organizzata in base ai quartieri di provenienza dei detenuti e ogni blocco corrisponde a una zona della capitale, in pratica è una specie di mappa della criminalità di Lima. Ogni blocco del carcere assolve anche al ruolo di comitato d’accoglienza, gruppo di sostegno e scuola di perfezionamento per i giovani delinquenti che iniscono dentro per la prima volta. El Jardín e la Pampa sono separati da un muro di cemento e da un vicolo stretto chiamato El Jirón de la Unión, lo stesso nome di quello che un tempo era uno dei viali più aristocratici del centro di Lima. La versione carceraria è un mercato all’aperto dove uno può tagliarsi i capelli e comprare sapone, pile, lamette, magliette usate, droga e ghiaccioli. Durante il giorno la strada è affollata di sin zapatos (senza scarpe), l’esercito di detenuti tossicodipendenti che non appartengono a nessun blocco. Ogni notte tra i duecento e i trecento detenuti non hanno un posto dove dormire. Per ogni secondino ci sono circa cento detenuti (negli Stati Uniti, in media il rapporto è di uno a sei) e per questo le autorità tollerano il traico di droghe, alcol e l’uso della televisione via cavo e dei cellulari, cioè tutti i comfort che rendono sopportabile la vita in carcere. Le droghe contribui-
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scono a placare il nervosismo delle persone dovuto al sovrafollamento e aiutano a rendere meno aggressiva la popolazione carceraria, tendenzialmente inquieta. Come mi ha spiegato uno spacciatore, “è l’unico modo per tenere sotto controllo queste bestie”. Per lui vivere a Lurigancho senza la sua dose giornaliera sarebbe impossibile. I casi di overdose sono frequenti e i medici sono pochi. Per i 49mila detenuti peruviani ci sono solo 63 medici e pochi di questi sono assegnati a Lurigancho. Nel carcere arriva ogni giorno una quantità di cibo appena suiciente a garantire due pasti per detenuto. La vita quotidiana, dalla manutenzione della struttura, alla sicurezza, allo svago è nelle mani di chi ci vive. Ogni blocco è gestito da un boss, una igura di spicco della malavita di Lima. Nessuno mette in discussione la sua autorità.
L’élite dei narcotraicanti Il blocco 7 del Jardín riservato ai narcotraficanti internazionali fa eccezione. Al suo interno vivono molte persone che hanno viaggiato, possiedono più di un passaporto e parlano diverse lingue. Il tenore di vita rilette la relativa ricchezza di questa élite. I narcotraicanti sono uomini d’afari, e credono nel fatto che quasi tutti i problemi si possano risolvere o aggirare con il denaro. Sono per la maggior parte peruviani, molti provenienti dalle regioni orientali in cui si produce la cocaina, ma ce ne sono anche altri: cinesi, olandesi, italiani, messicani, nigeriani, spagnoli, turchi. E questa varietà si rilette sui muri del cortile, dove sono dipinte cartine dell’Unione europea, loghi di squadre colombiane di calcio, murales che rappresentano la vita nella giungla. I detenuti provengono da una trentina di paesi e tra loro ci sono sia il corriere che non ha superato i controlli di sicurezza dell’aeroporto sia il
traicante di cocaina navigato che sconta la terza o la quarta condanna. Il risultato è un’atmosfera cosmopolita unica. I quattrocento detenuti del blocco 7 non hanno legami con le gerarchie criminali di Lima e per questo qui non governa un boss, ma la democrazia. Quando sono arrivato, a maggio del 2011, c’era un clima di festa. Era in corso la campagna elettorale per scegliere come ogni anno un nuovo governo. Pepe, il candidato a capo della lista numero due, stava facendo propaganda porta a porta con il suo socio, Richard, il ricco proprietario del ristorante di pollo del blocco 7 (uso degli pseudonimi per proteggere la privacy e l’incolumità di tutti i detenuti). I loro rivali della lista numero uno avevano candidato un uomo di nome Barrios, ma in realtà la lista era guidata da un narcotraicante israeliano di nome Avi. Ogni lista presenta sei candidati: un delegato al cibo, uno alla sicurezza, uno all’economia, uno alla cultura, uno allo sport e uno alla salute. Molti detenuti indossavano le magliette della campagna elettorale: bianche con una stella blu, oppure rosse con la scritta gialla “Pepe e Richard. Vota per il cambiamento”. C’erano manifesti elettorali alle pareti. Su uno era disegnata una vecchia racchetta da tennis con la scritta “¡No más raquetas!” (basta con le racchette) termine con cui si deiniscono le perquisizioni dei secondini. Le perquisizioni sono così rare che sono considerate un’ofesa. L’ultima ha avuto un’eco talmente grande da diventare un tema della campagna elettorale. Il giorno prima che arrivassi Pepe e Richard avevano organizzato una festa e in cortile erano ancora appese delle bandiere con il numero due. Un gruppetto di uomini a torso nudo stava smontando il palco su cui si era esibito un gruppo musicale proveniente da un blocco vicino. Pepe e Richard erano perino riusciti a far venire delle ballerine da fuori, donne prosperose che avevano fatto colpo sugli elettori. Mentre il gruppo suonava e le donne ballavano, Pepe aveva fatto il giro dei tavoli, stringendo la mano agli altri detenuti e ai parenti in visita, e chiedendo il loro voto. D’altronde è così che si vincono le elezioni, in prigione come all’esterno. La festa era stata un grande successo. Per questo Avi ha fatto circolare dei nuovi manifesti elettorali: “Riletti compagno: venderesti il tuo voto per una festa?”. Avevo visitato Lurigancho per la prima volta nel 2008 perché speravo di riuscire a organizzare un corso di scrittura creativa. Ho girato tutto il carcere nel tentativo di trovare studenti interessati. All’epoca Lu-
Una vecchia cella di Lurigancho, dicembre 2006 rigancho ospitava quasi un quarto di tutti i detenuti del Perù e il sovrafollamento aveva raggiunto livelli drammatici. Il carcere, costruito per circa duemila persone, era arrivato a ospitarne più di 11mila. I coltelli venivano venduti alla luce del sole, così come le pipette da crack ricavate da pezzi di metallo. Uomini a torso nudo, coperti di cicatrici, con lo sguardo basso e appannato tipico dei tossicodipendenti erano accasciati lungo le pareti. La tubercolosi era una piaga. Lurigancho produceva trenta tonnellate di riiuti alla settimana, che in buona parte non erano smaltite e i detenuti più poveri si nutrivano di qualunque cosa commestibile trovassero nella spazzatura. Appesa a un vecchio ripetitore radio c’era una sciarpa grigia, bandiera non uiciale del carcere, in memoria di un detenuto che, sotto l’efetto degli psicofarmaci, era fuggito dalla clinica psichiatrica del carcere, si era arrampicato sul ripetitore e si era impiccato. Il sovrafollamento era così grave che qualche centinaio di detenuti senza cella avevano occupato un ediicio abbandonato, creando il blocco 21. Di solito, in un carcere, se i detenuti hanno accesso a martelli, cemento, mattoni, pale e vanghe si teme che li usino per evadere. Quando ho visitato il blocco 21, invece, i detenuti impegnati
stavano usando questi attrezzi per lavorare. Stavano costruendo un muro intorno all’ediicio, per poter avere un posto sicuro dove passeggiare anche dopo il tramonto. Nel luglio del 2009 il governo ha interrotto l’alusso di nuovi detenuti a Lurigancho. Da allora la popolazione del carcere è scesa quasi del 40 per cento e questo è un sollievo, ma anche un problema serio. Oggi Lurigancho è un posto più tranquillo e in generale più sicuro. Ma dal momento che la sua economia dipende dai visitatori e dal denaro e dalle provviste che portano, la prigione è anche più povera. Purtroppo più tempo stai dentro, più è facile che ci si dimentichi di te. Un detenuto mi ha detto: “Il primo anno vengono a trovarti anche il cane e il gatto. Ma poi sei abbandonato a te stesso”. Meno detenuti corrispondono a meno visitatori e questo si traduce in meno soldi per la manutenzione e la sicurezza. Spesso manca l’acqua, ogni tanto salta l’elettricità, e non ci sono soldi per le riparazioni più semplici. La crisi economica ha avuto ripercussioni ovunque, anche nel blocco 7. A eccezione di pochi, che sono molto ricchi, tutti gli ospiti di Lurigancho per campare devono lavorare: nel carcere ci sono imbianchini, muratori, elettricisti, massaggiatori, avvocati, medici e cuochi.
Nel blocco c’è una struttura sociale piuttosto rigida: alcuni vivono da soli, altri condividono la cella con un detenuto a cui pagano l’aitto, oppure entrambi lo pagano a un terzo. Quelli che non se lo possono permettere vanno a vivere nel Gran hermano (il grande fratello), che riprende il nome del famoso reality show. In questa sezione circa trentacinque uomini dormono in letti a castello a tre piani. Il tetto è rotto e quando piove entra acqua. I più poveri vivono nella Candelaria, un corridoio basso e sporco dietro la cucina, una tana per tossici con qualche brandina. Molti di questi uomini, chiamati rufos, fanno uso di crack, sono magrissimi e hanno l’aria malsana, e per comprare la droga si prostituiscono o rubano. Sono la forza lavoro del blocco 7 e si occupano di gran parte delle pulizie e dei lavori di manutenzione. Un terzo di loro non dovrebbe vivere nel blocco 7, ma è stato accettato come “residente” a certe condizioni. Puliscono le celle dei detenuti ricchi, lavorano nei tanti ristoranti del blocco e ogni sera spazzano il cortile. Se un rufo è troppo litigioso rischia l’espulsione. Ma nemmeno la buona condotta garantisce tutti i privilegi della “cittadinanza”, per esempio molti non possono votare. Il mercoledì e il sabato, giorni di visite, Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Perù
Un cortile di Lurigancho, 2006 se un rufo non si è fatto la doccia e la barba non può farsi vedere, per non spaventare donne e bambini. E quando a ricevere visite sono gli ospiti ricchi, i rufos puliti e rasati si occupano delle esigenze dei visitatori. Servono cibo e bevande, trasportano i pacchi pesanti. I soldi sono la linfa del carcere ed è per questo che nessuno ha voglia di festeggiare, anche se il sovrafollamento si è ridotto e il carcere è diventato più vivibile. La grave situazione economica è uno dei temi più caldi della campagna elettorale.
Tribuna politica Incontro Murat, un curdo soprannominato “l’iracheno”, qualche giorno prima delle elezioni. Alto e magro, un viso sottile e capelli neri legati in una coda di cavallo, sul braccio sinistro ha una stella tatuata un po’ sbiadita. Quando è arrivato a Lurigancho non sapeva una parola di spagnolo, ma ora, dopo cinque anni, lo parla così bene che si è candidato come delegato all’economia nella lista due. “Se ci fossero stati anche solo due curdi”, mi ha detto, “avremmo gestito tutto il carcere”. Pur essendo avversari alle elezioni, Murat e Avi sono amici, ed è stato Murat a farmi conoscere Avi, eminenza grigia della
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lista uno. Nella sua cella con l’aria condizionata, Avi mette subito le mani avanti: “Sulle elezioni non c’è niente da dire. Io la politica la odio”. A me il suo sorriso esagerato racconta un’altra storia: quella di un attore che tenta di farsi notare anche dagli spettatori seduti agli ultimi posti. Indossa un paio di Nike nuovissime, pantaloni della tuta, maglietta bianca e una kippah sui capelli corti brizzolati. Su una mensola di legno sopra il letto c’è una foto dei suoi due igli grandi. Mi spiega che sua iglia, anche se è idanzata, non vuole sposarsi ino a quando il padre non tornerà a casa a Tel Aviv. Si fa scuro in volto. Ha scontato undici anni e cinque mesi e la condanna è a venti. L’israeliano ofre all’iracheno una sigaretta e mentre la cella si riempie di fumo i due cominciano a parlare del futuro del blocco 7. Poco dopo, alla nostra tribuna politica improvvisata, si aggiunge un peruviano dal viso pafuto chiamato Morales. “C’è mai stato un delegato straniero?”, ho chiesto. Tutti e tre si ricordano di un nigeriano di nome Michael che aveva preso il posto di un peruviano. “Quando è stato?”, gli chiedo e loro rimangono in silenzio. In prigione i giorni, i mesi e gli anni sembrano fondersi: 2003? 2004? 2005? Che impor-
tanza ha? Ma una cosa se la ricordano, quando il nigeriano si è ricandidato ha perso. “Uno straniero non può governare”, dice Morales con una punta d’orgoglio. Avi ribadisce che il suo ruolo nell’elezione è secondario: “Queste elezioni deve vincerle la gente. Abbiamo bisogno di acqua e di elettricità e che i secondini ci lascino in pace”. Per contrastare la mancanza di fondi, gli avversari di Avi, Pepe e Richard, hanno proposto di aumentare le tasse. Al momento ogni abitante del blocco 7 contribuisce con tre soles (circa un dollaro) alla settimana per la manutenzione e la sicurezza. Per tradizione chiunque è dentro da più di sette anni è esentato dalle tasse. La lista due vuole eliminare questi privilegi e introdurre un nuovo sistema: da uno a 7 anni di carcere si pagano tre soles; da 7 a dieci anni, due soles; e oltre i dieci anni se ne paga uno solo. Avi la definisce una crudeltà. “Io mi posso permettere di pagare le tasse”, dice, “ma qui ci sono persone che non ce la fanno”. Non crede nelle motivazioni dei suoi avversari. “Perché fanno una festa?”, chiede. “Per far spendere soldi alla gente”. Fare pubblicità alla lista è necessario, ma lo spirito del suo schieramento è un altro. Questa sera ofriranno una cena a base di pollo
a tutti gli abitanti del blocco, ricchi o rufos, cittadini o residenti, per festeggiare la chiusura della campagna. “È il pollo di Richard?”, chiedo. Avi sorride. Figurarsi se avrebbe comprato pollo dal suo avversario. I polli di Richard hanno introdotto una novità nel panorama della ristorazione di Lurigancho: le consegne a domicilio. Prima della crisi economica Richard arrivava a vendere anche 120 polli arrosto a settimana, lavorando solo nei giorni di visita e prendendo ordinazioni da tutto il complesso carcerario. Erano i tempi d’oro, quando i soldi giravano in abbondanza, Lurigancho rischiava di scoppiare e ogni giorno di visita era un carnevale. A malapena riuscivano a stare dietro alle richieste. Ma adesso Richard vende la metà dei polli. Altri delegati hanno tentato in passato di ottenere il sostegno di Richard, ma ino al 2010 ha sempre riiutato di partecipare alla vita politica del blocco. Poi alcuni dei suoi complici sono stati scarcerati e di colpo la prospettiva del suo rilascio è diventata realistica. “Ora mi è venuta voglia di costruire qualcosa”, mi spiega. “Ho la mia attività, il ristorante. Vivo bene. Le mie figlie frequentano una buona scuola, ma voglio lasciare un segno qui dentro”. Lo spirito imprenditoriale che ha spinto Richard a intraprendere la campagna elettorale è lo stesso che l’ha portato in carcere. È cresciuto a Tocache, una cittadina di campagna crocevia delle rotte del narcotraico peruviano, in un’epoca in cui si cominciava a fare afari. Da quelle parti la coca cresce facilmente: di raccolti se ne fanno tre all’anno e le piante hanno bisogno di poche cure. Un giovanotto sveglio come Richard poteva fare un sacco di soldi. Lui non si ritiene un criminale: a Tocache tutti lavoravano nel settore. “Era normale”, mi ha detto. Richard raccoglieva la sua coca in proprio, per venderla ai colombiani. In città, inoltre, era proprietario di una discoteca e
Da sapere Detenuti in attesa di giudizio nelle carceri, percentuale sul totale, 2012 Fonte: The New York Times
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Venezuela
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Guatemala El Salvador
di tre ristoranti. Il giorno in cui l’hanno arrestato era stato derubato un venditore di papaia. In cerca del ladro la polizia aveva cominciato a perquisire ogni auto che passava. E nel furgone di Richard erano nascosti trentacinque chili di cocaina. Pepe è stato arrestato a Lima nel novembre del 2006, dopo diversi anni passati a guidare aerei carichi di cocaina diretti in Colombia. Alto, spalle larghe e modi affascinanti, era perfetto per il lavoro. Era facile immaginarlo sorvolare la sconinata Amazzonia. Mi ha spiegato che il problema era calcolare il carburante necessario: abbastanza per arrivare a destinazione, ma non una goccia di più. Ogni centimetro libero dell’aereo andava caricato con la droga. Ora Pepe stava scontando il quarto anno dei dodici previsti dalla condanna. Come Richard, anche lui racconta la sua storia senza orgoglio, risentimento o vergogna. Non è il tipo che si abbandona al classico lamento del detenuto: la lunga, nostalgica lista di tutto ciò che è perduto, donne, macchine, case, soldi, libertà. Entrambi hanno i piedi nel presente, nel blocco 7, e sono decisi a vincere le elezioni.
Vigilia elettorale Pepe è a capo della sua lista, ma in realtà lui e Richard sono una squadra. Su tutti i manifesti aissi nel blocco ci sono i nomi di entrambi e il loro slogan è: “Se vinceremo, sarà perché siamo una squadra”. Il momento più importante della campagna è la sera della vigilia delle elezioni, quando la comunità si raduna nello spazio all’aperto che sta al centro dell’edificio, lungo le balconate del secondo e del terzo piano, per ascoltare i comizi dei candidati. L’evento, che si chiama balconazo, ofre la possibilità di difendere il programma elettorale davanti agli elettori. All’ora prestabilita i detenuti cominciano ad arrivare e nell’edificio c’è un’atmosfera d’attesa. Pantaloni e magliette stese sono raccolti velocemente dai ili per il bucato, perché tutti possano vedere il comizio. È già buio e il caldo si è attenuato. Dagli altoparlanti arriva musica pop anni ottanta a tutto volume. Non mi aspettavo Keep on loving you dei Reo Speedwagon. Un membro della commissione elettorale prova il microfono, facendo riecheggiare il suo inconfondibile accento colombiano per tutto il blocco. Io mi piazzo al secondo piano, e intorno a me i detenuti corrono per prendere un posto lungo la balconata. Da dove mi trovo riesco a vedere una cella al terzo piano con la porta continua a pagina 52 »
Da sapere
Troppi detenuti in America Latina n Salvador ci sono 19 prigioni che hanno una capienza complessiva di ottomila persone, ma attualmente ospitano 24mila detenuti. Il sovrafollamento dei penitenziari è frequente in America Latina. Il 15 febbraio un incendio in un carcere in Honduras ha ucciso 360 persone e, una settimana dopo, in una guerra tra bande di una prigione messicana sono morti 44 detenuti. Le organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato in diverse occasioni le condizioni drammatiche delle prigioni latinoamericane, senza avere nessuna risposta dalla classe politica. “Abbiamo poche risorse. I fondi pubblici si spendono per costruire ospedali, non per migliorare la vita in carcere”, aferma Neson Rauda, direttore del sistema carcerario in Salvador. Il peso crescente della criminalità organizzata e la debolezza delle forze dell’ordine hanno portato all’uso indiscriminato dell’arresto e delle misure cautelari prima del processo, e le prigioni hanno il triplo dei detenuti che dovrebbero ospitare. Molti sono in attesa di giudizio. In una prigione a San Pedro Sula, in Honduras, Santos Vicente Hernández è stato arrestato dodici anni fa per omicidio ed è ancora in attesa di un processo. Nel penitenziario dove vive, circa due terzi dei 2.250 detenuti non sono stati processati. In Venezuela i detenuti in attesa di giudizio sono il 66 per cento del totale, in Guatemala il 54 per cento, in Salvador il 30 per cento e a Panama il 61 per cento. Inoltre nelle prigioni mancano i beni di prima necessità come l’acqua, sono difuse malattie e infezioni e non c’è assistenza medica. I detenuti vendono tutto quello che hanno e arrivano a prostituirsi per pagare l’aitto di un letto. La mancanza di guardie carcerarie e la corruzione della polizia è un altro grande problema. In molte carceri le armi circolano liberamente e la violenza è all’ordine del giorno. In Colombia le prigioni hanno cominciato di nuovo a riempirsi nel 2010 a causa della politica repressiva voluta dal presidente Juan Manuel Santos. In Brasile e in Cile sono state costruite nuove carceri, ma il problema del sovrafollamento non è stato risolto. The New York Times
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Perù aperta: un uomo in canottiera sta dipingendo una sella d’oro su un cavallo di ceramica nero. Quando tutto è pronto, le luci del blocco si spengono. I più giovani sono al terzo piano con tamburi e trombe da stadio. La scaletta è semplice: ciascuno dei candidati farà un discorso di cinque minuti e sono previsti tre minuti per la risposta dell’avversario. Il primo a parlare sarà Barrios della lista uno, un narcotrafficante basso, con la pelle scura, originario della cittadina mineraria di Cerro de Pasco. Quando prende il microfono la folla lo accoglie con un applauso tiepido. Lui tossicchia. “Non sono bravissimo a leggere”, spiega, per questo il suo discorso lo leggerà un compagno. Si alza un mormorio, seguito da un momento di confusione, poi Carlos, capo della commissione elettorale, interviene e dice che non si può fare e che i candidati devono leggere il discorso da soli. Mentre la folla esulta, Barrios resta spiazzato. Un po’ riluttante, torna davanti al microfono. Qualche fischio dal terzo piano, poi il silenzio. Barrios comincia a leggere con voce debole e incerta, un po’ come un bambino. Di tutto il discorso, sono riuscito a cogliere solo una frase: “Il problema dell’acqua verrà risolto”. Pepe, al contrario, è accolto dalla folla con un boato: “Io sono andato personalmente di cella in cella per spiegare il mio programma a ciascuno di voi, non ho mandato nessuno al posto mio”. I rufos sembrano impazziti e cominciano a suonare i tamburi e a gridare. “Io ho un’attività. Non devo più fare cose illegali”, prosegue Pepe, riferendosi alle voci secondo cui Avi non ha tagliato i ponti col passato. Senza nuovi detenuti, spiega, non arriveranno soldi. Ma basterebbe una gestione migliore. Dopo l’esordio disastroso, Barrios se la cava meglio parlando a braccio. “Mi conoscete tutti”, dice e ribadisce il concetto all’ininito. Nel tono di voce c’è una vena di supplica. Stavolta i rufos applaudono anche lui. Pepe, dal canto suo, ribatte con qualche frecciatina, ma perlopiù elogia i detenuti del blocco e la democrazia stessa. “Domani sarete voi a decidere”, ha esclamato, conquistando grandi applausi. Terminato l’incontro mi sposto al centro dove trovo Avi e Barrios circondati dai loro sostenitori. Quando gli chiedo se secondo lui è andata bene, Barrios annuisce, ma senza dire nulla. Avi, imperturbabile come al solito, indica il gruppo di uomini tutt’intorno: “Se sono contenti loro allora sono contento anch’io”. I sostenitori di Barrios cominciano a intonare il nome del loro candidato “Bar-
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ri-os! Bar-ri-os!” e lui risponde alzando una mano esitante. Più che un’acclamazione, sembra un tentativo di tirarlo su di morale. Dall’estremità opposta del blocco qualcuno risponde: “Pe-pe! Pe-pe!” e nel giro di qualche istante i due cori prendono lo stesso ritmo, annullandosi a vicenda. In serata mi siedo in cortile con alcuni detenuti. L’energia del balconazo è scemata. Passato il momento delle grida, nella serata tersa, alcuni giocano a carte, altri a dadi, e altri ancora camminano avanti e indietro per il cortile: una tranquilla passeggiata
Questi uomini hanno messo a punto una forma di autogoverno paciica serale in uno spazio chiuso e afollato. Il televisore da 42 pollici a schermo piatto del blocco, comprato dai delegati per i Mondiali di calcio del 2010, è stato sistemato all’esterno e ora trasmette a tutto volume una commedia americana doppiata davanti a una decina di rufos stravaccati e con l’aria narcotizzata. Secondo le regole scritte dalla commissione elettorale, la campagna inisce a mezzanotte in punto. Una decina di minuti prima della mezzanotte un rufo si ferma al nostro tavolo con un nuovo volantino di Barrios e Avi. Sul foglio c’è la frase “Zero debiti” e in basso il numero uno. Mentre lo osservo, percepisco del movimento intorno a me: su tutti i muri, stanno aiggendo i manifesti con il nuovo slogan. La lista uno promette di cancellare i debiti di tutti. Inoltre, c’è scritto sul volantino, “Barrios può ofrire questa possibilità perché dietro di lui ci sono persone con i soldi, investitori navigati”. L’ultimo paragrafo dice: “Barrios non ha bisogno di parlare bene per migliorare la vita del blocco. Me-
Alta tensione
Da sapere Numero di detenuti per paese, 2002
Brasile
308.304
Messico
172.888
Colombia
54.034
Argentina
44.969
Cile
36.636
Perù
27.417
Venezuela
19.255
Fonte: Nation Master
no chiacchiere, vota lista uno”. Alcuni gruppi di detenuti si raccolgono nel cortile per leggere l’ultima provocazione di Barrios. Anche alla luce debole dei fari si vede che annuiscono. Le votazioni si svolgono nella palestra del blocco, un angolo di cortile chiuso da una recinzione metallica. È un’altra giornata calda e soleggiata ed entrambi gli schieramenti hanno predisposto lunghi tavoli davanti al seggio per controllare le operazioni di voto. Barrios, Avi e i loro sostenitori sono seduti ai tavoli bianchi, Pepe e Richard a quelli rossi, ma le due ile sono così vicine, e l’atmosfera così conviviale, che le due fazioni avversarie sembrano due rami della stessa famiglia che fanno una gara. Un cane appare indossando una maglietta sporca della lista uno e i sostenitori di Pepe ingono di indignarsi: “La campagna elettorale è chiusa”, grida qualcuno, mentre un altro scarabocchia un due su un foglietto e lo attacca sulla schiena del cane. Ridono tutti, tranne il cane. Alle dieci del mattino, quando aprono i seggi, in ila ci sono più di trenta detenuti. Uno a uno sono chiamati nella palestra, dove, circondati da poster di Arnold Schwarzenegger e Jean-Claude Van Damme, sulle note dei Queen o di Peter, Paul and Mary e sotto lo sguardo vigile di una commissione elettorale formata da tre membri e dai rappresentanti delle due liste, i detenuti del blocco 7 votano. Ognuno di loro riceve una biro e una scheda elettorale stampata su carta gialla. In un angolo un lenzuolo arancione è appeso alle impugnature di una macchina per fare pesi. Tirata la tenda, l’elettore sparisce, per riemergere un attimo dopo, appena ha fatto il suo dovere. La scheda ripiegata viene inilata in una scatola da scarpe e l’elettore preme il pollice su un registro per lasciare l’impronta. A quel punto i membri della commissione fanno una croce sul suo nome e chiamano quello successivo.
C’è qualcosa di speciale nelle elezioni. Una ila di persone in paziente attesa per esprimere la propria opinione accende una scintilla di ottimismo. Ogni voto nel blocco 7 corrisponde a un pugno che non sarà dato o a un proiettile che non sarà sparato. Nel blocco i rufos dormono tranquilli e gli stranieri si cercano a vicenda per piangersi addosso nelle loro lingue. Il pranzo è annunciato da una sirena a tutto volume e i detenuti si mettono in ila per farsi timbrare il cartellino prima di ricevere il pasto. Il pesante telone di plastica che ricopre la sala
Evangelici a Lurigancho, 2006
Lurigancho, 2006 da pranzo si alza e si abbassa, mosso dalla brezza estiva. Questi uomini, cittadini di oltre venti paesi, che parlano dieci, quindici lingue diverse hanno messo a punto, senza alcun aiuto o direttiva dall’esterno, una forma di autogoverno paciica che riescono a portare avanti da oltre vent’anni. Da molto prima che in Perù ci fossero elezioni democratiche. Ho chiesto a decine di detenuti come sia nato il sistema elettorale del blocco 7, ma nessuno se lo ricorda. Mentre nel resto del carcere i problemi si risolvono con la forza, nel blocco 7 le persone si mettono in ila e votano. Corrieri della droga, ricchi narcotraicanti e innocenti in attesa di giudizio: una testa, un voto. I seggi chiudono alle quattro del pomeriggio e poi comincia
lo scrutinio. Il presidente del seggio sistema le schede gialle in tanti mucchietti. C’è molta tensione: nel blocco 7 di solito le elezioni si vincono per meno di una decina di voti. Se me l’avessero chiesto, avrei dato per vincitori Barrios e Avi. Ero sicuro che la promessa di cancellare i debiti avesse avuto efetto. Ma sbagliavo. L’elettorato ha dimostrato grande maturità, più di quanta capiti di vederne fuori dal carcere. La pila di voti a favore di Pepe e Richard comincia a crescere. È un plebiscito. Alla ine dello scrutinio il divario è di oltre sessanta voti, un record assoluto. Álvaro, rappresentante del comitato elettorale della lista uno, è scuro in volto. Terminato il primo conteggio si consegnano al rappresentante di ciascuna lista le
schede a favore dell’altra, per farle veriicare a una a una. C’è sempre qualche elettore al suo primo voto che scarabocchia fuori dai margini, scrive il suo nome o gli slogan elettorali sulla scheda. Álvaro comincia a passare in rassegna i voti della lista due con l’aria di chi ormai è rassegnato alla sconitta, poi di colpo smette di contare. Ha trovato un voto non valido. “Questo è un imbroglio”, grida. “Avete sbagliato a contare. Mi riiuto di prendere parte a questa farsa”, continua. C’è un lungo momento di silenzio, poi Carlos, il presidente di seggio, cerca di farlo ragionare. Annulla tutte le schede che credi, gli dice. Le facciamo ricontare a voi proprio per correggere i nostri errori. Álvaro non vuole sentire ragioni. Chiede che le elezioni siano annullate sulla base di un’unica scheda contestata. Nessuno sa cosa fare. Per una ventina di minuti tutto è congelato. Fuori dal seggio gli elettori cominciano a spazientirsi. Fischiano e urlano chiedendo i risultati. Carlos è furibondo e la tensione molto alta. E se Álvaro se ne andasse? Se riiutasse di irmare? Tra i detenuti civili e paciici del blocco 7 è davvero scontato che non succeda niente? Un colpo di stato? Un governo ad interim? Quest’esperimento di democrazia sta fallendo? Dopo un’impasse di quasi mezz’ora, Carlos è pronto ad annunciare il vincitore anche senza il consenso della lista uno. Puntando l’indice contro Álvaro dice: “Se succede qualcosa, ti riterrò personalmente responsabile”. La minaccia fa vacillare la determinazione di Álvaro, che comincia a tentennare scuotendo la testa, e inine ricomincia a contare le schede della pila che ha davanti. Sotto lo sguardo inferocito della commissione, ne annulla il più possibile. Tutto il resto succede molto in fretta. Viene preparata la dichiarazione uiciale, che tutti irmano. Dopo qualche minuto la commissione va in cortile. Salendo in piedi su un tavolo, Carlos annuncia la vittoria della lista due. La folla esplode. Il cortile è pieno di persone, l’atmosfera è quella di un giorno di festa. I membri della commissione hanno concordato di non parlare dei dissapori dello scrutinio, ma le voci hanno già cominciato a circolare. Álvaro, imbarazzato, si è nascosto in un angolo con Avi e Barrios, mentre Pepe sale sul tavolo per ringraziare i suoi sostenitori. Il blocco 7 esulta. “Non vi deluderò”, grida Pepe. In quell’istante alcuni detenuti dell’ediicio accanto tagliano le corde che reggevano l’estremità del telone di protezione del Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Perù cortile. Lì per lì non ce ne accorgiamo, percepiamo solo un’ombra. Poi, alzando lo sguardo, vedo dei detenuti che guardano verso il cortile sorridendo. È il loro modo per prendere in giro i vicini così democratici. Il telone si posa lento ed elegante, come una mongoliera che si sgonia. Il cortile comincia a svuotarsi. Le elezioni sono inite. Il giorno dopo torno nel blocco 7. All’ingresso trovo a fare sorveglianza un nuovo gruppo di detenuti. La transizione è già cominciata: il delegato alla sicurezza uscente ha riconsegnato le chiavi pochi minuti dopo l’annuncio del risultato. Pepe e i suoi uomini sono nell’uficio dei delegati a controllare i registri. Ci sono quasi 1.300 dollari di tasse non pagate, i debiti che la lista di Barrios aveva promesso di cancellare accanto a pile di fatture per cibo e materiali da costruzione. Una delle promesse di Pepe è stata di riaprire il bagno al secondo piano, ma nel soitto è stata scoperta una perdita. Questa spesa non era stata prevista e Pepe comincia già a percepire qualche resistenza al suo piano di austerità. “Dobbiamo parlarne con tutti”, dice. “Non so come faremo a convincerli”. Il nuovo leader del blocco 7 ha l’aria stanca. Ha dormito male. La notte precedente alcuni detenuti si erano ubriacati e alle cinque del mattino Pepe ha preso il suo primo provvedimento da delegato, espellendo gli ubriachi dal blocco per ventiquattr’ore. Davanti a lui c’è un anno di problemi di questo genere. Torna in cortile, dove sono stati portati i tavoli e le sedie per la giornata delle visite.
Tutti uguali Un’orchestrina suona per i detenuti e i loro familiari, mentre questi si godono un pasto, una risata, e fanno quattro salti. Più che una prigione sembra un circolo ricreativo in un giorno d’estate. I ristoranti del blocco lavorano come matti, con i rufos nelle vesti di camerieri che sfrecciano da un tavolo all’altro. Un burattinaio si esibisce per i bambini, facendo saltellare le sue creature dagli arti snodati a tempo di musica. Qualche bambino si sposta verso il castello di tubi da scalare allestito insieme a uno scivolo e a un’altalena in un punto soleggiato accanto all’orchestrina. Qualche bambino se ne sta in disparte a giocare con una trottola, lanciandola sul cemento del cortile per poi chinarsi e farsela salire sul palmo. Ogni volta che l’impresa gli riesce, corre a farsi vedere dal padre e dalla ma-
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dre, che lo guardano giocare seduti ianco a ianco con le dita delle mani intrecciate. Intravedo Avi seduto a uno dei primi tavoli con due ragazze e un suo amico di nome Tito, anche lui della lista degli sconitti. Avi mi chiama. Non ci siamo ancora parlati dall’annuncio del risultato e mentre mi avvicino agita un pugno in aria: “Ho vinto”, grida con un sorriso. Poi mi chiede di pranzare con loro. Il risultato delle elezioni, mi spiega, non lo turba minimamente. In in dei conti, ora non è lui a doversi occupare dei problemi del blocco. I debiti non saranno cancellati, o almeno non da lui. Ma guardiamo il lato positivo: “Ora i soldi che volevo spendere posso metterli da parte”. È un motivo suiciente per festeggiare. Tito, trent’anni, era candidato come delegato allo sport per la lista uno. Aveva già ricoperto l’incarico: tra i suoi compiti ci sarebbe stato quello di organizzare il torneo di calcio del blocco e di aprire e chiudere la palestra. Anche lui, come Avi, non è turbato dalla sconitta. Suo fratello era candidato alla stessa carica per la lista di Pepe e Richard. “Hai corso contro tuo fratello?”, gli chiedo, ma a Tito la cosa non sembra afatto strana. Erano solo elezioni, e poi lui, in carcere,
Al mondo non esiste un posto come il blocco 7. Questo è un paradiso ha tutta la famiglia. Suo padre vive nel blocco 7 e sua sorella nel carcere femminile di Lima, dall’altra parte della città. L’orchestrina, formata da un percussionista, un tastierista e un cantante, si cimenta in un frenetico repertorio di salsa locale e cumbia. Uno spagnolo gira tra i tavoli facendo giochi di prestigio con le carte per i parenti in visita, nella speranza di ricevere qualche mancia. Pur essendo ancora giovane e bello, anche se un po’ cupo, è anche tossicodipendente e, a meno che riesca a tenere sotto controllo il problema, va incontro agli orrori del caso. Lo scacciano da quasi tutti i tavoli e ogni volta china la testa e si allontana senza discutere. Il pranzo, un piatto di riso e pesce, me lo serve un rufo. Ringraziandolo Avi gli mette in mano una moneta e lui si dilegua. L’orchestrina saluta Tito e i suoi ospiti: in in dei conti stanno usando la sua batteria e lui ricambia con un applauso caloroso.
Un attimo dopo il burattinaio si avvicina al nostro tavolo e fa saltellare qua e là il suo pupazzo, ma quello che vuole sono i resti del mio pranzo. Non ho molta fame e così glieli lascio. Lui si inila il burattino sotto un braccio e con l’altra mano prende il piatto. Dopo averci ringraziato molte volte, si piazza qualche metro più in là: accovacciato, la schiena appoggiata a un muro, spazzola i rimasugli di cibo in fretta e con le mani. L’orchestrina, intanto, suona Como si nada, un successo locale che parla di una delusione amorosa. E le ragazze sedute al nostro tavolo si mettono a cantare tenendo il tempo con i piedi, nella speranza che Tito o Avi gli chiedano di ballare. Nessuno dei due lo fa. Fissando il burattinaio afamato Tito mi dice che la povertà e le diseguaglianze del blocco lo turbano. Un giorno, prosegue, in una via di Lima, un ex detenuto del blocco 7 ha incrociato un rufo, molti anni dopo che erano usciti di prigione. Tito si rabbuia. È un aneddoto che quelli come lui, i detenuti ricchi del blocco 7, raccontano inorriditi. Il rufo ricordava tutte le umiliazioni e le angherie subite in carcere, giorno dopo giorno, proprio come quell’uomo che deve mendicare il cibo. Il rufo ha ucciso l’ex detenuto a sangue freddo. “Terribile”, commenta Tito, ribaltando un vecchio cliché: “Lì fuori siamo tutti uguali”. Dal lato opposto del tavolo Avi richiama la mia attenzione: “Scusa, Daniel. Devo chiederti un piccolo favore”. “Certo”, gli rispondo. “Dovresti spedirmi due libri in Israele”. Ha un’espressione serissima. “Giusto un pacchettino. Lo faresti?”. Il narcotrafficante israeliano mi fissa mantenendo un’espressione dura. L’orchestrina suona, forte e stridente e io non so cosa rispondere. Comincio a balbettare una scusa, ma subito Avi mi interrompe e sorride. “Va bene”, gli dico. “Faccio ridere, eh?”. A quel tavolo, sicuramente sì. Anche Tito e le ragazze ridono. Al piano di sopra, intanto, nell’uicio dei delegati, Pepe e i suoi lavorano per salvare il blocco dal tracollo economico. Mentre in cortile è in corso una festa. “Ti dico una cosa”, conclude Avi. “Al mondo non esiste un posto come il blocco 7. Questo è un paradiso”. u mc L’AUTORE
Daniel Alarcón è uno scrittore peruviano che vive negli Stati Uniti. In Italia ha pubblicato Radio città perduta (Einaudi 2009).
Che fai il 5-6-7 ottobre? Internazionale a Ferrara.
India
Sulle tracce dello sposo Julien Boiussou, Le Monde, Francia Foto di Isabella De Maddalena
egli uffici dell’agenzia investigativa Hatfield India, Sherlock Holmes ha diritto agli stessi onori riservati alle divinità indù. Il direttore Ajit Singh porta un distintivo con la sua immagine sul colletto della giacca blu a righe e lavora davanti al suo ritratto, accanto a una pipa poggiata su un espositore. Le sue inchieste, come quelle di Sherlock Holmes, richiedono perseveranza e discrezione, ma riguardano un settore del tutto particolare: le questioni prematrimoniali. “I miei clienti vogliono controllare le informazioni sul futuro marito della iglia, sulla sua situazione inanziaria e sulla sua reputazione”, spiega Singh lisciandosi i bai. Molto spesso l’indagine si estende all’intera famiglia perché, come dice un famoso detto indiano, “a sposarsi non sono un uomo e una donna, ma due famiglie”. In un matrimonio combinato non è solo l’amore che rende ciechi. C’è chi mente sulla sua situazione economica, sulla sua professione o sul diploma per aggiudicarsi un buon partito. “In passato le famiglie che vivevano nei villaggi si conoscevano bene, o potevano almeno contare su mediatori aidabili. Ormai il ruolo di intermediario è aidato agli annunci sul giornale o su internet. Le opportunità sono più numerose ma anche meno sicure”, osserva Singh. In India il futuro dei matrimoni combi-
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nati passa sempre più spesso attraverso internet. Un sito di incontri come Shaadi. com ha venti milioni di iscritti e si vanta di aver formato quasi 1,2 milioni di coppie. Il matrimonio combinato rimane comunque una scommessa sull’amore e un investimento importante. Alcuni genitori risparmiano in dalla nascita della iglia per pagare le spese della cerimonia di matrimonio e soprattutto la dote, che cresce allo stesso ritmo dell’economia del paese. Il problema è che questo investimento è diventato rischioso ora che i divorzi sono in aumento e che le famiglie non hanno più gli strumenti per conoscersi direttamente. Ma tutto questo non tiene conto del iuto dell’investigatore Singh. Per dieci giorni di indagine al costo di circa 400 euro, Singh, che non esce mai senza i suoi occhiali e il cappello nero, promette ai clienti di smascherare i bugiardi assicurando così il loro investimento e la loro reputazione. All’agenzia Hatield India un’inchiesta su sei porta all’annullamento del matrimonio.
Conoscere la suocera Per svolgere le indagini i collaboratori della Hatield India si ingono banchieri. Singh ci invita a constatare direttamente l’eicacia del suo metodo al ianco di Nitin Kumar, un giovane e taciturno investigatore dal isico imponente, molto orgoglioso di aver scoperto di recente che una ragazza
LUZPHOTO
I matrimoni combinati sul web sono in aumento e per le famiglie veriicare il curriculum dei promessi sposi è diventato diicile. Per evitare trufe molte si rivolgono a detective specializzati
sul punto di sposarsi aveva sette amanti. Il suo obiettivo attuale è un giovane dentista che lavora nella stessa clinica del padre, in un quartiere polveroso della periferia di New Delhi. Arrivato sul posto, Nitin Kumar fa quattro chiacchiere con il portiere, che vive in una piccola capanna in legno: “La famiglia che abita al primo piano ha chiesto un prestito per comprare una macchina, sa se sono proprietari del loro appartamento? Qual è il loro stile di vita? Escono spesso? Conosce il iglio?”. Il portiere risponde alle domande con entusiasmo, per poi chiedere a sua volta un “piccolo” prestito. Ma Nitin Kumar assicura: “La ricompensa non va mai oltre qualche sigaretta e un tè”. Molto
Un matrimonio a New Delhi
India ci sono più di 30mila mogli abbandonate. In alcune regioni come il Punjab, nel nord del paese, il numero di “mogli di passaggio” è in aumento. Si tratta di donne abbandonate pochi giorni dopo le nozze da uomini residenti all’estero e venuti in India solo per impossessarsi della loro dote. In efetti “le famiglie sono ben felici di dare in sposa una delle iglie a un indiano che vive all’estero. I genitori delle ragazze pensano che un matrimonio del genere possa aprire le porte dell’emigrazione ad altri membri della famiglia”, osserva Ashwini Luthra in un rapporto pubblicato nel febbraio 2011 dalla commissione nazionale delle donne a proposito dei matrimoni con indiani residenti all’estero.
Sposate e abbandonate
interessanti per gli investigatori prematrimoniali sono anche i domestici, che forniscono informazioni preziose sulle future suocere. In India la tradizione prevede che la giovane moglie vada a vivere nella casa del marito. “E la suocera avrà molto potere sulla sposa: si occuperà di lei e le darà degli
Il ricorso agli investigatori privati è aumentato con il moltiplicarsi dei inti matrimoni
ordini. Quindi controlliamo che non abbia un carattere troppo autoritario e cerchiamo di sapere come si comporta con i domestici, con l’autista, o se ha l’abitudine di rompere i piatti quando si arrabbia”, spiega Ajit Singh. Ma interrogare un domestico presenta dei rischi. “Di solito è meglio individuare una persona che conosce la famiglia ma che non abbia un rapporto troppo stretto con la padrona di casa”, sottolinea Nitin Kumar. Queste indagini, se scoperte, potrebbero seriamente compromettere la iducia tra le due famiglie. Il ricorso agli investigatori privati è aumentato con il moltiplicarsi dei inti matrimoni. Secondo la commissione nazionale delle donne, che ha sede a New Delhi, in
Le donne abbandonate sono umiliate e socialmente emarginate. La commissione ha dovuto istituire un servizio per aiutarle. Sono poche le donne che osano o che possono risposarsi. “In India i genitori e i fratelli di una ragazza continuano a esserne responsabili anche dopo che si è sposata, quindi non si devono sbagliare”, spiega Amitabh Sihag, un giovane dirigente che si è rivolto a un investigatore per indagare sulla famiglia del futuro sposo di sua sorella. Con l’internazionalizzazione dei matrimoni, e delle trufe, le agenzie investigative hanno cominciato a lavorare con partner stranieri, soprattutto in Nordamerica e nei paesi del golfo Persico, dove la comunità indiana è molto forte. “Il futuro delle agenzie investigative non è certo in pericolo”, aferma Ajit Singh. Ma è diicile sapere quanto incidono sull’economia indiana. Secondo l’associazione indiana degli investigatori e detective privati (Apdi), ci sono circa 15mila agenzie e il loro fatturato è aumentato del 300 per cento nel corso degli ultimi cinque anni. Nessuna regolamentazione inquadra l’attività delle agenzie. E su richiesta di famiglie particolarmente diffidenti alcuni investigatori non esitano a tendere trappole ai futuri sposi per metterli alla prova, per esempio seducendoli. La parte più diicile in questo lavoro, ammette Ajit Singh, consiste nel far pagare il conto dopo aver dato delle cattive notizie. “Ma di solito spiego che, se non avessi contribuito ad annullare il matrimonio, avrebbero speso molto di più”. Un argomento diicilmente contestabile. In India il settore dei matrimoni vale 320 milioni di euro, di cui un quinto viene speso solo per la ricerca del partner giusto. u adr Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Economia
La formula della crisi Ian Stewart, The Observer, Gran Bretagna. Foto di CJ Burton
Si chiama equazione di Black-Scholes e ha favorito la difusione dei derivati, i prodotti inanziari responsabili del crac delle banche. Ma il problema non è il modello matematico. È l’abuso che ne ha fatto il mondo della inanza ra considerata il santo Graal degli investitori. L’equazione di Black-Scholes, creata dagli economisti Fischer Black e Myron Scholes, permette di determinare in modo razionale il prezzo di un contratto inanziario prima che arrivi a scadenza. Un po’ come comprare o vendere una scommessa su un cavallo quando è ancora a metà corsa. Questa formula ha spianato la strada a investimenti sempre più complessi, che hanno creato un’enorme industria globale. Ma quando è crollato il mercato dei mutui subprime, l’equazione preferita dai mercati è stata soprannominata black hole equation, la formula di un buco nero che risucchia lussi interminabili di denaro. Chi ha seguito la crisi sa che l’economia reale, quella delle imprese e delle merci, è stata messa in secondo piano da una serie di complicati strumenti inanziari chiamati derivati, cioè titoli con un andamento legato a quello di altri titoli o beni. I derivati, quindi, sono investimenti su investimenti, scommesse su altre scommesse. I derivati sono stati i fautori del boom dell’economia globalizzata, ma anche i responsabili delle turbolenze dei mercati e della crisi economica. Ed è stata proprio l’equazione Black-Scholes ad aprirgli la strada del successo. Il problema vero, però, non è l’equazione in sé. La Black-Scholes è una formula utile e con limiti precisi indicati dai suoi autori. Questo strumento permette di cal-
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colare il valore atteso di un derivato e quindi di scambiare il titolo prima che arrivi alla scadenza. La Black-Scholes funziona se è usata con buon senso e se si evita di applicarla quando le condizioni di mercato non lo permettono, ma purtroppo si presta facilmente agli abusi. L’equazione ha trasformato i derivati in merci scambiabili come tutte le altre: nel mondo della inanza la chiamavano la “formula di re Mida” per la sua capacità di tramutare ogni cosa in oro. Purtroppo i mercati avevano dimenticato come inisce la storia di re Mida.
Un milione di miliardi La Black-Scholes è stata alla base di un’enorme espansione economica. Nel 2007 il sistema inanziario internazionale scambiava derivati per un valore stimato in un milione di miliardi di dollari all’anno. È come dire dieci volte il valore totale, al netto dell’inlazione, di tutti i beni prodotti dalle aziende manifatturiere nell’ultimo secolo. L’aspetto negativo è che sono stati inventati strumenti inanziari sempre più complessi di cui era sempre più diicile determinare il valore e il livello di rischio. Per questo le aziende si sono rivolte ad analisti con competenze matematiche, perché trovassero formule capaci di calcolare la redditività e il rischio di questi nuovi strumenti d’investimento. Purtroppo, però, si sono dimenticate di chiedergli quanto sarebbero state aidabili le loro risposte se fossero cambiate le condizioni di mercato. Black e Scholes inventarono l’equazione nel 1973 e qualche tempo dopo la for-
mula fu perfezionata da Robert Merton. L’equazione si applica alla forma più vecchia e semplice di derivati: l’opzione. Esistono fondamentalmente due tipi di opzioni: l’opzione put, che dà al compratore il diritto di vendere un bene in un dato momento e a un prezzo pattuito, e quella call, che invece dà il diritto di comprare. Con la Black-Scholes è possibile calcolare in modo sistematico il valore di un’opzione prima che maturi e quindi venderla in qualsiasi momento. La formula era così eicace che nel 1997 Merton e Scholes ricevettero il premio Nobel per l’economia (Black era morto due anni prima). Ma se tutti conoscono il valore esatto di un derivato e sono tutti d’accordo, come si fa a guadagnare? Il modo principale per guadagnare con i derivati è vincere la scommessa, cioè comprare un derivato che può essere venduto in un momento successivo a un prezzo più alto o che matura a un valore più alto del previsto. Chi vince fa proitti ai danni di chi perde. Ogni anno, tra il 75 e il 90 per cento degli operatori inanziari che scambiano opzioni perde denaro. Le banche di tutto il mondo hanno perso centinaia di miliardi quando si è sgoniata la bolla dei mutui subprime. Una volta scoppiato il panico, il conto è stato fatto pagare ai contribuenti. La formula Black-Scholes chiede di stimare diverse quantità numeriche. L’equazione collega il prezzo consigliato di un’opzione ad altre quattro quantità. Tre possono essere misurate direttamente: il tempo, il prezzo del bene a cui è legata l’opzione e
corBIs
il tasso d’interesse privo di rischio. Quest’ultimo è l’interesse teorico pagato da un investimento a rischio zero. La quarta quantità è la volatilità del bene, cioè la misura dell’irregolarità delle variazioni del suo valore di mercato. L’equazione parte dal presupposto che la volatilità resti costante per tutto il periodo di vita dell’opzione, ma questo potrebbe anche non succedere. La volatilità può essere stimata attraverso l’analisi statistica delle oscillazioni del prezzo, ma non può essere misurata in modo preciso e infallibile, e qualche volta le stime non corrispondono alla realtà.
L’idea alla base di molti modelli inanziari risale al matematico francese Louis Bachelier. Nel 1900 Bachelier ipotizzò che le luttuazioni del mercato azionario potessero essere ricondotte a un modello matematico attraverso un processo casuale noto come moto browniano. In ogni momento il prezzo di un’azione aumenta o diminuisce, e il modello dice che le probabilità che i due eventi si veriichino sono identicamente distribuite. Possono essere ugualmente probabili o una può essere più probabile dell’altra. È come se per strada qualcuno lanciasse continuamente una
monetina per decidere se fare un passo in avanti o all’indietro: non farebbe che zigzagare a caso. Lo stesso vale per il prezzo di un’azione che sale e scende. Le più importanti proprietà statistiche del moto browniano sono la media e la deviazione standard. La media è il prezzo medio a breve termine, che tipicamente va in una direzione speciica, su o giù a seconda di quello che il mercato pensa sia l’andamento del titolo. La deviazione standard, invece, può essere deinita come lo scarto medio del prezzo rispetto alla media, calcolato usando una formula statistica standard. QuanInternazionale 941 | 23 marzo 2012
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Economia La possibilità di trasferire miliardi con un clic permette di realizzare proitti in tempi rapidissimi, ma difonde più velocemente i crolli do si parla di prezzi azionari questa deviazione si chiama volatilità, e misura l’irregolarità delle luttuazioni del prezzo. Se in un graico mettiamo il prezzo sull’asse y e il tempo sull’asse x, la volatilità corrisponde a quanto è seghettata la linea delle oscillazioni del prezzo. La Black-Scholes si basa sull’intuizione di Bachelier. Non calcola direttamente il valore dell’opzione (ovvero il prezzo al quale dovrebbe essere venduta o comprata): è quella che i matematici deiniscono un’equazione diferenziale parziale, che esprime il tasso di variazione del prezzo in termini del tasso di variazione di varie altre quantità. Fortunatamente dall’equazione può essere ricavata una formula speciica per determinare il valore di un’opzione put, e una analoga per le opzioni call.
Occhi aperti Il momentaneo successo della Black-Scholes ha spinto il mondo inanziario a creare una serie di equazioni simili da applicare a diversi strumenti finanziari. Per anni le banche le hanno usate per giustiicare prestiti e operazioni di scambio o per valutare i proitti attesi, tenendo sempre gli occhi aperti in caso di guai. Purtroppo altri operatori non sono stati altrettanto prudenti. A un certo punto anche le banche si sono accodate e hanno cominciato ad avventurarsi in operazioni speculative sempre più spericolate. Tutti i modelli matematici usano semplificazioni e postulati. L’equazione di Black-Scholes si basa sulla teoria dell’arbitrage pricing, in cui sia l’andamento tendenziale sia la volatilità sono costanti. Si tratta di un postulato comune nella teoria inanziaria, ma che spesso non vale per i mercati reali. L’equazione parte inoltre dal presupposto che non ci siano costi di transazione, che non esistano limiti alla vendita allo scoperto e che sia sempre possibile prestare denaro e indebitarsi a un tasso di interesse noto, isso e privo di rischi. Spesso anche qui la realtà è molto diversa. Quando questi presupposti sono rispettati, di solito il rischio è basso, perché le grandi luttuazioni di borsa sono estremamente rare. Eppure il 19 ottobre 1987, il famoso lunedì nero, in tutto il mondo le borse persero più del 20 per cento nel giro di poche ore. Un evento così estremo è virtualmente impossibile secondo il modello
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Black-Scholes. Nel suo best seller Il cigno nero, l’esperto di matematica inanziaria Nassim Nicholas Taleb chiama “cigni neri” proprio gli eventi estremi di questo tipo. Nell’antichità tutti i cigni erano bianchi e un cigno nero era considerato alla stregua di un asino che vola. Poi, nel 1697, l’esploratore olandese Willem de Vlamingh scoprì in Australia centinaia di cigni neri lungo quello che sarebbe stato ribattezzato il iume di Swan (cigno). Oggi, quindi, l’espressione è usata per descrivere qualcosa che sembra un dato di fatto, ma che può essere smentito da un momento all’altro. Le grandi fluttuazioni di borsa sono molto più comuni di quanto preveda il moto browniano. Questo si spiega proprio con i postulati infondati e la sottovalutazione dei potenziali cigni neri. Ma visto che nella maggior parte dei casi il modello funzionava benissimo, molti banchieri e operatori di borsa si sono dimenticati dei suoi limiti. Hanno usato l’equazione come un talismano, come una sorta di magia matematica capace di metterli al riparo dalle critiche se qualcosa fosse andato storto. Banche, hedge fund e altri speculatori hanno cominciato a scambiare derivati complicati come i credit default swap (paragonabili a un’assicurazione antincendio sulla casa del vicino) in quantità sconsiderate. I derivati sono stati valutati e scambiati come veri e propri beni patrimoniali e usati come garanzia per altre operazioni d’acquisto. A mano a mano che le cose si complicavano, i modelli usati per determinare il valore e il rischio si sono discostati sempre di più dalla realtà. I mercati hanno dato per scontato che i prezzi degli immobili sarebbero cresciuti all’ininito, rendendo questi investimenti privi di rischi. L’equazione di Black-Scholes ha le sue radici nella fisica matematica, dove le quantità sono divisibili all’ininito, il tempo scorre in modo continuo e le variabili cambiano in modo luido. Forse questi modelli non sono adatti al mondo della inanza. Anche l’econometria tradizionale (una branca della statistica che si occupa della misurazione dei fenomeni economici) non sempre corrisponde alla realtà, e quando sbaglia, sbaglia di grosso. Ecco perché isici, matematici ed economisti stanno cercando dei modelli più aidabili.
È proprio in questa direzione che si sta muovendo la scienza della complessità, una nuova branca della matematica che riconduce il comportamento del mercato a quello di un gruppo di individui che interagiscono secondo regole speciiche. Questi modelli mettono in luce gli efetti deleteri dell’istinto del gregge: gli operatori di borsa che copiano gli altri operatori di borsa. Quasi tutte le crisi inanziarie dell’ultimo secolo sono state provocate dall’istinto del gregge, che fa precipitare tutti nello stesso momento. Se gli ingegneri si comportassero allo stesso modo, basterebbe un ponte costruito male per far crollare tutti i ponti del mondo. Dallo studio degli ecosistemi è possibile dimostrare che l’instabilità è comune nei modelli economici, principalmente perché il sistema finanziario è congegnato male. La possibilità di trasferire miliardi con un semplice clic permette di realizzare proitti in tempi rapidissimi, ma difonde anche più velocemente i crolli. Dobbiamo dare la colpa a un’equazione? Sì e no. Forse la Black-Scholes ha contribuito al crollo, ma solo perché se ne è abusato. In ogni caso questa formula è solo un ingrediente di una ricetta a base di irresponsabilità inanziaria, incompetenza politica, incentivi perversi e regolamentazioni troppo lassiste. Il settore inanziario non è in grado di prevedere l’andamento del mercato meglio di chi tira semplicemente a indovinare. Negli ultimi vent’anni il mercato azionario non è andato da nessuna parte. Il sistema è troppo complesso per essere gestito da intuizioni ingannevoli e sensazioni “di pancia”, ma gli attuali modelli matematici non rappresentano la realtà in modo adeguato. L’intero sistema è pericolosamente instabile e la sua comprensione è molto limitata. Bisogna ristrutturare in modo radicale l’economia mondiale, e per fare questo ci vuole più matematica, non certo di meno. Sarà complicata, ma almeno non è magia. u fsa L’AUTORE
Ian Stewart è professore emerito di matematica all’università di Warwick. Il suo ultimo libro uscito in Gran Bretagna è Seventeen equations that changed the world (Diciassette equazioni che hanno cambiato il mondo).
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Rifugio tibetano PiĂš di settemila monache vivono intorno al monastero di Yarchen Gar, nella provincia cinese del Sichuan. Sono lĂŹ per studiare, pregare e meditare. Il reportage di Boris Joseph
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Portfolio iù di settemila monache vivono a Yarchen Gar nella più grande comunità del buddismo tibetano del mondo. Il monastero si trova vicino a Kandze, nella provincia cinese del Sichuan, ed è stato fondato nel 1985 da Achuk Rinpoche, maestro della tradizione nyingma. Centinaia di donne, in maggioranza provenienti da famiglie povere, si trasferiscono ogni anno a Yarchen Gar (il picco c’è stato dopo il terremoto nel Sichuan, nel 2010). Le monache vivono in un vasto accampamento su una penisola formata da un’insenatura del iume Jinsha, a quattro-
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mila metri di altitudine. Le loro baracche, fatte di plastica e tela, sono prive di acqua corrente ed elettricità. Per difendersi dal freddo usano dei forni alimentati con sterco di yak (bue tibetano). Le monache si dedicano allo studio, alla preghiera e alla meditazione. In inverno, per cento giorni, meditano dall’alba al tramonto in piccoli cubicoli. Yarchen Gar è uno dei pochi monasteri tibetani aperti alle donne, che però possono essere solo novizie e vivono separate dai monaci. u Boris Joseph è nato a Parigi nel 1974. Le foto di queste pagine sono state scattate nel febbraio del 2011.
Il monastero di Yarchen Gar è attualmente tollerato da Pechino. Nel 2001, però, le autorità hanno distrutto più di 800 case con il pretesto del numero eccessivo di monaci. Nell’ultimo anno 26 tibetani si sono dati fuoco per denunciare la repressione cinese.
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Patrick Ball Contare i corpi Tina Rosenberg, Foreign Policy, Stati Uniti. Foto di Peter DaSilva I suoi modelli statistici hanno fornito a tribunali e commissioni per i diritti umani prove schiaccianti per condannare i criminali di guerra a tipica indagine su un caso di presunte violazioni dei diritti umani si svolge così: i ricercatori intervistano le vittime e i testimoni e scrivono un rapporto. I mezzi d’informazione locali danno la notizia, se possono. Poi le persone accusate liquidano l’inchiesta dicendo: non avete altro che qualche indizio, è la vostra parola contro la nostra, le fonti sono tendenziose, le prove falsiicate. E tutto inisce lì. Ma il 13 marzo del 2002, in un’aula di tribunale dell’Aja, le cose andarono diversamente. Nel corso del processo a Slobodan Milosevic l’esperto statunitense di statistica Patrick Ball aveva presentato una serie di dati per dimostrare che Milosevic aveva messo in atto una campagna sistematica di pulizia etnica. “A nostro avviso i dati coincidono con l’ipotesi che le truppe jugoslave abbiano cacciato la popolazione dalle sue terre, costringendo i kosovari albanesi ad abbandonare le loro case e uccidendo i civili”, aveva detto Ball. Le sue dichiarazioni furono sottoposte all’esame incrociato dell’avvocato di Milosevic, che era, di fatto, Milosevic stesso. Per due giorni l’ex presidente della Repubblica federale di Jugoslavia usò il tempo a sua disposizione per attaccare Ball: le prove erano state contrafatte e le organizzazioni che avevano raccolto i dati, disse infuriato l’ex presidente, erano ostili alla Serbia. La guerra è caos, ribadì Milosevic: come si può essere tanto supericiali da pensare che un evento così complesso sia riconducibile a
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un’unica causa? Perché non sono stati esaminati i lussi di profughi serbi? Come si può considerare oggettiva una persona come lei, che dice di sostenere il diritto internazionale? Ma Ball non si era limitato a raccogliere le interviste agli albanesi fuggiti dai loro villaggi: si era procurato i registri, compilati ai conini del Kosovo, con il nome delle persone fuggite e la data della loro partenza, aveva trovato i dati sulle esumazioni e molte informazioni sui profughi. In altre parole, aveva i numeri dalla sua parte. Patrick Ball si occupa dei diritti umani non attraverso le parole ma dal punto di vista dei numeri. La sua specialità consiste nell’applicare l’analisi quantitativa a testimonianze frammentarie e nel trovare le correlazioni per mettere insieme una versione dei fatti diicile da confutare. I movimenti dei profughi potevano essere stati casuali? No, secondo Ball. L’esperto aveva anche rilevato il numero di kosovari assassinati, scoprendo che i due fenomeni si erano veriicati negli stessi momenti e negli stessi luoghi. “Ricordo la sorpresa quando ho visto il graico degli omicidi per la prima volta”, aveva ribattuto Ball a Milo-
Biograia ◆ 26 giugno 1965 Nasce negli Stati Uniti. ◆ Anni ottanta Partecipa alle proteste contro l’interventismo dell’amministrazione Reagan in Centroamerica. ◆ 1991 Mette a punto dei modelli statistici con cui aiuta la commissione per la verità delle Nazioni Unite in Salvador a fare luce sui crimini della guerra civile. ◆ Anni novanta Collabora con il Tribunale penale internazionale dell’Aja per l’ex Jugoslavia nel processo contro Slobodan Milosevic. ◆ 2002 Fonda lo Human rights data analysis group, che applica analisi statistiche alle ricerche sulle violazioni dei diritti umani.
sevic che lo accusava di non essere obiettivo. “Ho pensato di aver fatto un errore perché la correlazione era troppo diretta”. Qualcosa aveva provocato entrambi i fenomeni, e Ball aveva fatto tre considerazioni. Per cominciare, l’aumento delle vittime e dei profughi non si era veriicato durante o subito dopo i bombardamenti della Nato. Le uccisioni non coincidevano neanche con la dinamica degli attacchi delle milizie albanesi dell’Uçk. Ma questo confermava l’ipotesi che le forze armate serbe avessero condotto una campagna sistematica di sterminio ed espulsioni.
Tecnologia canaglia Con la sua testimonianza, Ball ha fatto qualcosa che gli operatori delle organizzazioni per i diritti umani possono solo sognare: ha afrontato l’imputato, gli ha presentato dati concreti e l’ha osservato mentre rendeva conto delle sue azioni. Nel corso delle sue quattro guerre, Milosevic è stato responsabile dell’omicidio di circa 125mila persone, più di qualunque altro europeo dai tempi di Stalin. Ma in quel momento il macellaio dei Balcani se ne stava seduto in un tribunale che sembrava l’aula di una scuola pubblica, alle sue spalle c’erano due agenti della polizia olandese che aspettavano di riportarlo nella sua cella alla ine di ogni seduta e una spavalda retorica era l’unica arma che aveva a disposizione contro le prove di Ball. Milosevic è morto prima della ine del processo. Ball è tornato a Washington e poi è andato a Lima per collaborare con la commissione per la verità e la riconciliazione del Perù, una delle tante commissioni per la verità, oltre a tribunali e organismi investigativi che grazie ai suoi metodi hanno cambiato la nostra percezione delle guerre. Ball ha 46 anni ed è un uomo basso e tarchiato. Ha la barba, gli occhiali e dei capelli rossicci che in passato portava legati a coda
di cavallo. È un nerd ma è anche un evangelista, un fedele che crede fermamente nella necessità di riparare ai torti della storia, di trovare la verità sulle sofferenze e sulla morte. Come tutti gli evangelisti, spesso si infastidisce con chi non la pensa come lui. Ball non pensava di diventare uno statistico nel campo dei diritti umani. Negli anni ottanta, prima di iscriversi all’università del Michigan, ha partecipato alle proteste contro l’interventismo dell’amministrazione Reagan in Centroamerica. Ma il suo impegno è andato oltre le manifestazioni: in epoca sandinista è andato a raccogliere cafè a Matagalpa, in Nicaragua. Quel lavoro non gli piaceva, così creò una banca dati per aggiornare l’inventario della cooperativa di coltivatori. Ball ha applicato la statistica ai diritti
umani per la prima volta nel 1991, in Salvador. La commissione per la verità delle Nazioni Unite era nata al momento giusto: la raccolta di informazioni complete sulle violazioni dei diritti umani era sempre più diffusa, mentre i progressi dell’informatica permettevano a chiunque disponesse di un personal computer di organizzare ed elaborare i dati. La statistica era giù usata da tempo nel campo dei diritti umani: persone come William Seltzer, ex direttore dell’uicio statistico delle Nazioni Unite, e Herb Spirer, docente universitario e mentore di quasi tutti gli operatori del settore, avevano aiutato le organizzazioni a scegliere la giusta unità di analisi, avevano elaborato sistemi per classiicare i paesi secondo vari indici e avevano trovato il modo di misurare il rispetto
dei trattati internazionali. Ma nessuno aveva ancora afrontato il problema di come raccogliere e classiicare migliaia di testimonianze. Lavorando per un’organizzazione umanitaria salvadoregna, Ball cominciò a realizzare sintesi statistiche dei dati raccolti. La commissione per la verità se ne accorse e decise di adottare il suo modello. In uno dei suoi studi Ball aveva ordinato gli omicidi in ordine cronologico e li aveva divisi tra le varie unità militari. Così i massacri poterono essere confrontati con un elenco di comandanti, e fu possibile identiicare gli uiciali responsabili della maggior parte delle brutalità. “El Salvador è stato un momento di transizione dai singoli casi, anche se numerosi, alle testimonianze di massa”, spiega Ball. “La commissione salvadoregna è stata la prima a capire che molte voci potevano parlare con una sola voce. Da allora tutti gli organismi di questo tipo hanno dovuto seguire quella linea”. Oggi la tecnologia permette di registrare e collegare migliaia di messaggi di persone che hanno assistito alle violenze. Chiunque abbia un cellulare può fotografare e girare video, mentre i contenuti vengono pubblicati in rete diventando subito visibili in tutto il mondo. Tuttavia, disporre di una marea di testimonianze non signiica conoscere la verità. “È facile pensare che il mondo sia completamente cambiato perché ora ci sono i cellulari. Invece le tecnologie hanno solo cambiato la nostra percezione della violenza. La maggior parte dei crimini non avviene in pubblico”. È stato di fronte a questi casi oscuri che Ball ha avuto la sua prima intuizione importante: “Si possono ottenere statistiche precise ma non avere la minima idea di quello che succede nel mondo reale”. L’obiettivo, però, è proprio quello di conoscere il mondo. Le enormi banche dati e le tecnologie avanzate fanno pensare che ci siano sempre delle risposte. Giornalisti, politici, attivisti e cittadini chiedono numeri ed etichette. Quante persone sono state uccise in Darfur o in Libia? Quante donne sono state stuprate nella Repubblica Democratica del Congo? Chi ha fatto più vittime in Perù, l’esercito o i guerriglieri? Le risposte a queste domande possono condizionare la scelta tra l’intervento e il non intervento, tra la giustizia e l’oblio, e possono inluire sulle scelte politiche future. Ci sono due modi per ottenere queste risposte. Nella maggior parte dei casi si formulano ipotesi. Ma le conclusioni si basano su dati che possono essere completamente fuorvianti. La grande conquista di Ball è stata trovare un’alternativa Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Ritratti alle ipotesi: grazie ai metodi della statistica, l’esperto è in grado di dedurre cosa non sappiamo da quel che sappiamo. Ball ha spiegato a organizzazioni per i diritti umani, commissioni per la verità e tribunali internazionali come usare migliaia di testimonianze per trasformare una moltitudine di voci in una ricostruzione della violenza, come diradare la nebbia che nasconde la verità sulla guerra.
Pesci nello stagno All’università del Michigan, dove Ball ha seguito un corso di studi in sociologia incentrato sulla statistica, la soluzione a questi problemi era chiara: bastava raccogliere un campione casuale. Si scelgono alcuni nuclei familiari a caso e gli si chiede cos’è accaduto. Dal momento che il campione è rappresentativo dell’insieme, non è diicile estrapolare i risultati relativi all’intero contesto. Ma questa era un’operazione che i gruppi per la difesa dei diritti umani non erano in grado di svolgere, e il suo costo sarebbe stato proibitivo. Non era la risposta giusta. Lavorando sui dati del Guatemala, Ball ha trovato la soluzione. Ha contattato Fritz Scheuren, uno studioso di statistica impegnato in progetti di difesa dei diritti umani. Scheuren ha detto a Ball che un modo di risolvere il suo problema c’era già, ed era stato escogitato nell’ottocento per contare gli animali selvatici. “Se vuoi scoprire quanti pesci ci sono in uno stagno, puoi svuotare lo stagno e contarli”, gli ha detto, “ma alla ine gli animali saranno tutti morti. Oppure li puoi pescare, etichettarli e poi ributtarli in acqua. Poi si torna il giorno dopo e si pesca di nuovo. Si contano i pesci pescati il primo giorno, quelli presi il secondo e il numero di sovrapposizioni”. Quello delle sovrapposizioni è un dato cruciale, perché indica quanto è rappresentativo un campione. A partire dal numero di sovrapposizioni si può calcolare quanti pesci ci sono esattamente nello stagno (la formula precisa è questa: si moltiplica il numero di pesci pescati il primo giorno per quello dei pesci catturati il secondo. Poi si divide il totale per il numero di sovrapposizioni, e il risultato corrisponde approssimativamente alla quantità efettiva dei pesci nello stagno). La stima diventa più accurata se si può ripetere l’operazione molte volte. In Guatemala le testimonianze su quello che era successo durante la guerra civile erano state raccolte da tre organismi diversi: la commissione per la verità delle Nazioni Unite, la commissione per la verità della chiesa cattolica e dal Centro internacional para investigaciones en derechos humanos.
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Lavorando per la commissione dell’Onu, Ball ha usato il metodo della conta dei pesci, chiamato calcolo dei sistemi multipli, per confrontare le tre banche dati. Lo studioso ha scoperto che nel periodo relativo al mandato della commissione, tra il 1978 e il 1996, erano state uccise circa 132mila persone (senza contare i dispersi) e che il 95,4 per cento degli assassini era stato commesso dal governo. Inoltre Ball è riuscito a classiicare gli omicidi in base al gruppo etnico delle vittime. Tra il 1981 e il 1983 era stato assassinato l’8 per cento della popolazione non indigena della regione di Ixil; nella zona di Rabinal la proporzione si aggirava intorno al 2 per cento. Ma in entrambe le regioni aveva perso la vita più del 40 per cento della popolazione maya. Anche grazie al calcolo dei sistemi multipli, la commissione ha scoperto che le forze armate guatemalteche e i paramilitari sostenuti dall’esercito avevano messo in atto un piano di massacro sistematico della popolazione maya. Due settimane dopo aver lasciato il Guatemala, Ball si è trasferito in Kosovo su incarico dell’American association for the advancement of science (Aaas) per collaborare con Human rights watch e altre organizzazioni umanitarie. Qualche tempo dopo, quando Ball ha esposto i risultati delle sue ricerche all’Aja, un funzionario della procura l’ha preso in disparte. “Sarebbe disposto a testimoniare?”, gli ha chiesto. Solo se potrò continuare le ricerche, ha risposto Ball. Aveva bisogno di più dati. La procura gli ha fornito informazioni sulle attività di guerriglia dei kosovari albanesi, rapporti sulle esumazioni e rilevamenti sui profughi. Applicando un calcolo dei sistemi multipli basato su quattro fonti (contando attentamente i pesci in quattro giorni diversi), Ball ha scoperto che gli spostamenti e le morti dei kosovari albanesi combaciavano perfettamente. Era probabile che i due fenomeni fossero dovuti alla stessa causa: gli attacchi delle truppe serbe. “In questo modo Ball è riuscito a confutare e a smentire una delle tesi principali della difesa di Milosevic, secondo cui i profughi fuggivano dalle bombe della Nato”, ricorda Fred Abrahams, un investigatore di Human rights watch.
Dietro ai numeri Da quando Ball ha messo a punto il primo database, le analisi statistiche complesse sono diventate la norma nel campo dei diritti umani: le commissioni per la verità non possono più farne a meno. Ma secondo Ball le minacce alla correttezza dei calcoli incombono ancora ovunque: tra gli uiciali
scontenti di quello che i numeri rivelano, tra le organizzazioni per i diritti umani che avanzano rivendicazioni irresponsabili e perino tra i sostenitori di quelle stesse tecnologie che stanno rivoluzionando il campo dei diritti umani. Ball spiega che è facile capire quando ci si trova di fronte a dati inesatti: in quasi tutti gli articoli di giornale, nei discorsi dei politici e nei comunicati stampa delle organizzazioni non governative, ci sono frasi come: “Finora il conlitto ha mietuto … vittime”. Al posto dei puntini, di solito i gruppi per la difesa dei diritti umani inseriscono il numero più alto che si possa citare senza perdere credibilità. A volte i giornalisti sparano cifre altissime per goniare la rilevanza del loro reportage. In quasi tutti i casi attingono a qualunque dato sia stato citato da un’organizzazione anche solo vagamente autorevole. Due casi esemplari sono le recenti rivolte in Libia e in Siria. Secondo Ball nel caso della Libia ci sono tutti gli strumenti per una stima accurata, ma lui non se la sente di “prendere molto sul serio” le cifre diffuse inora. A un certo punto l’ambasciatore statunitense in Libia ha parlato di 30mila morti: un numero tre volte superiore a quello riferito dai ribelli. In Siria i numeri sembrano molto più precisi. Il comitato generale della rivoluzione siriana sostiene che tra il marzo del 2011 e il gennaio del 2012 sono morte 6.275 persone. Ma è una cifra accurata? “Ora come ora”, spiega Ball, “è un numero probabilmente troppo elevato: ci sono duplicazioni passate inosservate. Ma potrebbe anche essere troppo basso, perché molte vittime non sono state conteggiate”. In genere si contano le persone uccise nel corso delle manifestazioni, ma non quelle che perdono la vita in altre situazioni. “Le forze di sicurezza potrebbero catturare o uccidere i cittadini nel cuore della notte, e questi casi non vengono documentati”, sottolinea l’esperto. “Le rappresaglie potrebbero fare più vittime degli scontri di piazza”. La matematica è importante. Le informazioni sui numeri e sulle dinamiche delle violenze determinano il giudizio su chi è colpevole, su chi va aiutato e su come si deve ricostruire. “Un tempo avremmo convocato un gruppo di persone”, dice Ball. “Avremmo interrogato gli esperti: voi siete sul posto, la situazione sta migliorando o sta peggiorando? Quella era ‘la voce degli osservatori’, ma nessuno la prendeva molto sul serio. Oggi invece viene presa molto sul serio, e questo può essere un problema. Tutti vogliono i numeri, ma a nessuno importa come sono stati ottenuti”. u fp
Viaggi
L’ottimismo di Beirut Le tensioni politiche non frenano la voglia di divertirsi: gite in mongoliera, corsi di tango e piste da sci nei dintorni della capitale libanese
S
e si può essere dipendenti da un luogo, io temo di essere Beirut-dipendente. Nonostante le mie origini irachene, dal 2004 sono stato a Beirut più di venti volte. Sono cresciuto con la musica di Fairouz, Ragheb Alama e Majida El Roumi, guardo ancora il concorso di miss Libano in tv e una volta ho anche seguito una rigorosa “dieta libanese” a base di zuppa di lenticchie, insalate e pollo alla griglia. Ho evitato però di mangiare hummus e crostini. A tutto questo ho unito anche un po’ d’esercizio isico, e così ho perso nove chili. Per chiunque abbia origini arabe, Beirut è la capitale di tutto ciò che quel mondo rappresenta: la cucina, la moda, la musica, l’arte, la vita notturna. Ma il suo fascino e la sua inluenza si rilettono ovunque. È una città che riesce a essere tante cose diverse per tante persone, ed è qualcosa di più della “Parigi del Medio Oriente”. La issazione per la Francia, tuttavia, è comprensibile. Insieme alla vicina Siria, un tempo il Libano era sotto mandato francese. Dagli occupanti, i libanesi hanno ereditato la lingua (il francese è difuso quanto l’arabo, la lingua uiciale del paese), la cucina e il modo di godersi la vita, la joie de vivre. Da almeno mezzo secolo Beirut si proclama la Parigi d’oriente, principalmente per ragioni di marketing: la capitale francese è la città più visitata al mondo. Così la città è riuscita ad attirare l’attenzione internazionale. Ma da bravo bastian contrario non riesco proprio a vedere Beirut come una seconda Parigi. No, per me
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Beirut è di più: è un’esperienza globale. Ciò che mi ci fa tornare continuamente, a parte il lavoro, è l’atmosfera ottimista che si respira. Ci sono state guerre, attentati terroristici e violenze di varie fazioni, ma a Gemmayze e Ashraieh le persone ancora si divertono ino al mattino. Nei quartieri del centro e ad Hamra i cafè sono sempre pieni, e i clienti continuano ad afollare le piste da sci e gli stabilimenti balneari nei dintorni della città. Non c’è guerra o crisi che possa piegare Beirut, anzi ogni volta la città risorge più vivace e scintillante di prima. Beirut mi ricorda Roma, Erevan e Buenos Aires, oltre ad avere qualcosa di Istanbul e Teheran, un po’ di Rio del Janeiro e un pezzo di Madrid e Caracas. Alexandra, l’amica venezuelana che mi accompagna nel viaggio, conferma quest’ultima impressione: fa la modella e ha un bisnonno libanese. A volte mi domando se la capitale libanese non sofra di crisi d’identità.
Tour archeologico Sì e no, dice Daniela Khoury, una studentessa italolibanese di architettura che incontriamo per caso durante una passeggiata nel centro di Beirut. “Beirut è sempre stata una miscela di nazionalità, culture e religioni diverse”, osserva Khoury. “Fenici, romani, ottomani e francesi l’hanno dominata a turno, portando con sé nuovi stili architettonici, imponendo le loro lingue, difondendo le loro cucine e costruendo i loro siti religiosi e culturali”. Senza dimenticare, aggiungo io, i milioni di libanesi della diaspora che da Tokyo a Toronto, da Londra a Lagos, in qualche modo hanno contribuito all’eterno sviluppo di Beirut. Tutti questi fattori hanno reso la capitale del Libano quella che è oggi: una capitale multiforme. Mentre parliamo, Daniela ci porta a vedere i resti delle terme romane nel centro
DIRK EISERMANN (LAIF/CONTRASTO)
Mariwan Salihi, The National, Emirati Arabi Uniti
di Beirut, dietro Bank street. “I romani sono arrivati qui duemila anni prima dei francesi”, dice mentre esploriamo l’antico sito della città che i romani chiamavano Berytus. “Prendiamo Baalbeck (una città nella valle della Bekaa). Ci sono alcuni dei siti romani più grandi e più belli del mondo”. Le terme romane a Beirut furono scoperte negli anni sessanta e restaurate alla ine degli anni novanta. Oggi sono ancora visibili i resti delle volte e delle colonne di mattoni che servivano a sostenere i pavimenti e a far circolare l’aria. Il sito ospita anche eventi all’aperto, soprattutto nei mesi estivi. Dopo l’imprevista e interessante visita guidata, Daniela ci convince ad accompagnarla all’Istituto italiano di cultura di Beirut, che ha diverse iliali sparse in tutto il
Beirut, Libano
Libano. La sede centrale si trova al piano terra dell’ambasciata italiana nel distretto di Baabda. Daniela mi porta a visitare la biblioteca: c’è una ricca collezione di libri e l’ingresso è libero. Gli italiani usano questa sede anche per le mostre di pittura. Due ore dopo, come vuole la tradizione dell’ospitalità libanese, Daniela insiste per portarci a pranzo nel suo locale preferito: La Parrilla, il più famoso ristorante argentino della città. Non a caso, lì incontriamo le sue due cugine argentine, Claudia e Martina, che almeno ogni tre anni vengono in Libano, la loro terra di origine. “Beirut è come Buenos Aires, per come si vestono le persone, per il tempo libero e, ovviamente, per la cucina”, spiega Martina, che ha 24 anni, mentre assaggiamo il churrasco e concludiamo il pranzo con uno squisito
Informazioni pratiche ◆ Documenti. I cittadini dell’Unione europea possono ottenere il visto all’aeroporto di Beirut. L’ambasciata del Libano in Italia (liban.it) avverte sul suo sito che “un eventuale timbro israeliano sul passaporto impedisce il rilascio del visto e annullerà il visto già ottenuto”. ◆ Arrivare Il prezzo di un volo dall’Italia (Pegasus Airlines, Egyptair, Aerolot) per Beirut parte da 352 euro a/r. ◆ Mangiare Uno dei ristoranti migliori del quartiere armeno è Varouj
(Maracha royal street, 00961 3 882 933, chiuso la domenica). ◆ Escursioni Chi vuole vedere la città dall’alto può fare un giro in mongoliera contattando il Beirut Balloon (00961 1 985 901).
◆ I lettori consigliano Il centro culturale Saii Urban Garden (saiigardens.com), nel quartiere di Gemmayze, ofre camere condivise e singole a partire da 15 euro a notte. La struttura organizza corsi di lingua araba. ◆ Leggere Zena El Khalil, Beirut, I love you, Donzelli 2010, 16 euro. ◆ La prossima settimana Viaggio lungo il iume Gambia. Ci siete stati e avete suggerimenti su tarife, posti dove mangiare o dormire, libri? Scrivete a viaggi@internazionale.it.
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Viaggi fondant al cioccolato. “In primavera, all’università americana di Beirut organizzano addirittura un festival internazionale del tango”, aggiunge Claudia. Io e Alexandra salutiamo il terzetto e ci dirigiamo verso la periferia a nord di Beirut. Mentre ci allontaniamo dal centro dò una rapida occhiata all’imponente moschea Mohammed al Amin, in piazza dei Martiri. La struttura, in stile ottomano, con la sua magniica cupola azzurra, ricorda la moschea blu di Istanbul. La moschea era stata commissionata dall’ex primo ministro Rafiq Hariri, che è stato assassinato due anni prima della conclusione dei lavori. Oggi è sepolto a pochi metri di distanza. Circa dodici chilometri dopo, lungo la costa settentrionale, vediamo su una collina vicino alla città di Zouk Mosbeh, una grande statua di Gesù che ricorda il Cristo redentore di Rio de Janeiro. “Una copia quasi perfetta”, ci spiega il nostro autista Yousef. Forse l’idea è venuta a un libanese espatriato in Brasile. Poco dopo arriviamo
non dispiace afatto essere una versione in miniatura di Teheran, così come Jounieh ama la sua atmosfera da riviera francese. Sono due mondi opposti, ma distano soltanto venti chilometri l’uno dall’altro”.
Il quartiere armeno Oggi a Beirut non c’è nulla di più caratteristico di Bourj Hammoud, “la città armena”, come la chiamano molti, proprio perché nel quartiere vivono solo armeni. Attualmente ci vivono quasi centomila cristiani armeni, discendenti di quelli che fuggirono al genocidio di circa un secolo fa. L’architettura, soprattutto le chiese, e le strade con i nomi delle città armene sono un elemento sorprendente in un contesto mediorientale dominato dall’influenza araba. Il quartiere è famoso anche tra chi ama le rarità a buon mercato: a Bourj Hammoud si possono trovare oggetti di artigianato, souvenir, pentole di rame e ottone con un deciso tocco armeno.
Milioni di libanesi della diaspora che da Tokyo a Toronto, da Londra a Lagos, hanno contribuito all’eterno sviluppo di Beirut al Casino du Liban, a nordovest di Beirut. Il palazzo in stile monegasco è famoso prevalentemente per il gioco d’azzardo, ma merita di essere visitato anche per l’oferta di attrazioni culinarie, culturali e di intrattenimento. Il giorno seguente, tornato a Beirut, visito il quartiere di Dahiyah al Janubiyah (quartiere meridionale). Di solito è normale vedere ragazze in minigonna e canottiera, ma qui nel quartiere sciita sembra di essere a Teheran: donne in chador, scritte antiamericane sui muri e manifesti smisurati dell’ayatollah Khomeini e del leader hezbollah Hassan Nasrallah. Incontro Ghassan Ali, un ex giornalista locale di poco più di trent’anni. Durante una visita al suo condominio, danneggiato durante l’attacco israeliano del 2006, mi dà qualche ragguaglio sulla crisi d’identità di Beirut. “Il Libano è un paese con decine di gruppi etnici e fazioni che continuano a coesistere nonostante la guerra civile, cominciata nel 1975 e conclusa nel 1991, e altre tensioni politiche più recenti. Ma proprio per questa diversità, di cui siamo ieri, stili e inluenze si mescolano in ogni angolo del paese, non solo a Beirut. La diversità è parte del nostro patrimonio. A Dahiyah
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Naturalmente, la cucina armena ha il sopravvento su quella libanese. Tra i tanti ristoranti tipici del quartiere quello che preferisco è Varouj, nascosto in un vicolo. Il piccolo locale ha solo quattro tavoli ed è gestito da padre e iglio: il primo si occupa dei clienti che ordinano specialità come il fegato di pollo fritto o al forno, la basterma, il soujouk e le rane, mentre il iglio cucina. Vista la capienza ridotta, conviene prenotare. Infatti quando arrivo è già pieno. Allora provo con il ristorante Onno, famoso per le kofte e per le insalate e i kebab armeni. È un posto dai prezzi ragionevoli e le porzioni sono generose. Dopo aver assaporato la piccola Armenia, al tramonto proviamo il Beirut Baloon. La mongoliera, che porta ino a 30 passeggeri, raggiunge un’altitudine massima di trecento metri. Mentre con Alexandra galleggiamo nel tramonto color arancio sopra i grattacieli, i minareti e le strade della città, lei mi dice che “Beirut, a diferenza di Parigi, ha la bellezza e il fascino di almeno venti altre città di cinque continenti”. E mi torna in mente Carlos, un mio amico libanese che vive a Dubai e che una volta mi ha detto: “Beirut non è Parigi. Beirut è il mondo intero”. u fas
A tavola
Rivoluzione ai fornelli u Karim Haidar è uno dei più importanti cuochi del Libano. Già responsabile di alcuni dei migliori locali libanesi a Londra e a Parigi, ha da poco aperto un nuovo ristorante a Beirut, Zabad, nella zona di Zaitunay Bay, con un obiettivo ambizioso: portare la cucina locale in una nuova era, scrive il quotidiano di Beirut The Daily Star, e modernizzare un patrimonio gastronomico ricchissimo e vario. “In Libano abbiamo una grande cucina, centinaia di ingredienti e di ricette che variano da villaggio a villaggio”, afferma Haidar. “Tutte le cucine del mondo si evolvono e cambiano. Noi invece rimaniamo fermi e dimentichiamo perino di guardare alle nostre tradizioni. I vecchi piatti vengono dimenticati, e non siamo capaci di inventarne di nuovi. Ci limitiamo ad aspettare”. La strada scelta da Haidar, invece, è recuperare i classici libanesi, anche quelli meno conosciuti, reinterpretarli con ingredienti insoliti e svecchiarne la presentazione. È così che sono stati riscoperti i kibbeh di zucca o di patate, vecchie ricette di famiglia spesso trascurate dai ristoranti più rainati, ed è così che sono nati piatti più innovativi come la tartare di bottarga con erba brusca e olive nere o le kafta (polpette) di anatra con datteri e salvia. Anche ai falafel Haidar ha riservato un trattamento particolare: nell’impasto ha aggiunto cannella e scorza di limone, e per accompagnarli ha sostituito la tradizionale salsina a base di sesamo con un intingolo di miele, pinoli e basilico. Da Zabad anche il pane è particolare. Il grano usato è sempre quello locale, il jareesh, e la cottura avviene nel grande forno di terracotta, il tannour. Il risultato, però, non è la solita focaccia di grandi dimensioni, da spezzare con le mani, ma piccoli bocconcini di pane morbido e profumato, più facili da servire a tavola.
Graphic journalism Cartoline da New York
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Seth Tobocman e Jessica Wehrle vivono a New York. L’ultimo libro a cui hanno lavorato insieme è Understanding the crash, 2010. Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Cultura
Libri Un’eredità di avorio e ambra
RANDoM HoUSE
CHAtto & WINDUS
The magic of reality
Oltre l’ebook
diali dovrebbero arrivare a più di un miliardo, mentre oggi sono attestate intorno ai 450 milioni. E l’iBookstore della Apple offre agli editori uno spazio diverso da Amazon in cui vendere i propri titoli.
Classici e biograie
The Economist, Gran Bretagna Smartphone, ereader e tablet ofrono all’editoria nuove possibilità sempre più lontane dai libri tradizionali el suo bestseller di fama mondiale, Un’eredità di avorio e ambra (Bollati Boringhieri), Edmund de Waal ricostruisce la storia di una collezione di miniature giapponesi netsuke. I lettori del libro sono rimasti afascinati dalla storia di questi piccoli oggetti ed è comprensibile. Così, dopo l’edizione rilegata, l’ebook e il tascabile, a novembre è uscita una edizione illustrata da collezione, insieme a un’edizione digitale “aumentata”. La versione illustrata di Un’eredità di avorio e ambra è un prodotto editoriale dal
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design di prima qualità, elegante senza essere freddo. L’edizione digitale aumentata, contiene le stesse foto di famiglia e di cimeli e le stesse mappe dell’edizione stampata da collezione, più alcuni video in cui De Waal guida i lettori attraverso gli scenari della storia a Vienna e a Parigi. De Waal, un ceramista con una profonda sensibilità per la qualità tattile degli oggetti, spera che il libro illustrato “faccia venir voglia di essere preso e tenuto in mano”. Eppure, nel caso del suo ebook multimediale, si tratta di tenere in mano un liscio e sottile iPad, un Nook o un Kobo. In futuro sfoglieremo sempre più spesso i nostri libri toccando gli schermi di questi apparecchi. Sulla scia dell’enorme successo commerciale dei tablet, gli editori hanno cominciato a sperimentare sul serio. Nel 2015 negli Stati Uniti le vendite di tablet, smartphone ed ereader multime-
Gli amanti della carta non devono rifugiarsi scandalizzati all’ombra dei loro scafali. Le edizioni digitali interesseranno solo una piccola percentuale dei nuovi titoli. Comprensibilmente i libri per bambini sono stati i primi a essere aumentati, o arricchiti, con contenuti multimediali. Ma la narrativa per adulti non si presta altrettanto bene al trattamento. Anche perché sono pochi i lettori disposti a pagare di più per avere qualche extra. Mentre i normali ebook continuano a rubare quote di mercato alla carta stampata, nel 2011 un esperimento britannico chiamato Enhanced editions, che aggiungeva ai bestseller di narrativa alcuni video con gli autori e altro materiale, è stato abbandonato senza rimpianti. Eppure per certi tipi di libri, come le biograie, i libri di cucina, i classici letterari e le nuove forme di narrativa interattiva, le edizioni aumentate possono aggiungere altri sorprendenti livelli di fruizione. La nuova biografia di Malcolm X, per esempio, in uscita per Penguin, contiene rari filmati d’archivio e mappe interattive di Harlem. La vita di Muhammed Ali esce ora con clip
Sulla strada
PENGUIN
MOONBOOT STUDIOS
The fantastic lying books of mr Morris Lessmore
audio in cui si può ascoltare il pugile che celebra le sue imprese a tempo di rap. The magic of reality di Richard Dawkins (eletta migliore applicazione al Digital book world 2012) e Life on Earth di E.O. Wilson sono fusioni di documentari e libri di testo, con molecole e video che si mettono in moto al semplice tocco. Anche i classici senza tempo si sono dimostrati ottimi candidati a un po’ di restauro digitale. Interrompendo una sequenza di edizioni digitali fallimentari, una versione multimediale di La terra desolata di T. S. Eliot ha rapidamente coperto i costi sostenuti dalla Faber & Faber, aferma Henry Volan, il direttore del reparto digitale della casa editrice. Il libro raccoglie il manoscritto originale di Eliot con note e appendici insieme a ile video e audio con registrazioni del poema recitato. E questa primavera la Faber volerà ino alla stella più alta del irmamento letterario pubblicando i sonetti di William Shakespeare in versione aumentata. Penguin, intanto, ha scelto di inaugurare le sue “edizioni ampliicate” con il classico contemporaneo di Jack Kerouac Sulla strada. L’ebook contiene anche foto d’archivio del manoscritto originale battuto a macchina da Kerouac su un unico rotolo, alcune immagini dei suoi compagni della beat generation, qualche intervista video e le mappe del viaggio coast to coast. Gli esperimenti nella “sida della narrativa”, come
la chiama Volans, spuntano un po’ da tutte le parti. Nell’edizione aumentata della saga fantasy di George R.R. Martin, Il trono di spade, i nomi dei personaggi sono tutti collegati a un glossario dei clan e c’è anche una mappa digitale; La caduta dei giganti di Ken Follet permette di scegliere una colonna sonora personalizzata (il suono è molto meno didascalico di un’immagine, quindi lascia più spazio all’immaginazione del lettore). Bisogna dire però che le biografie multimediali raccolte in Sulla strada, presumibilmente di persone che hanno ispirato i personaggi di Kerouac, sono un po’ forzate.
Prodotti e-riginali Le varie etichette applicate a questi ibridi rivelano la loro posizione ancora incerta. Non sono semplicemente libri, ma libri “aumentati”, “arricchiti”, “ampliicati” o addirittura esperienze di “narrativa interattiva”, come nel caso del racconto per bambini The fantastic flying books of mr Morris Lessmore. In particolare, proprio nel caso dei romanzi, molti lettori rimangono scettici rispetto alle intrusioni nella narrazione che distruggono quello che lo scrittore statunitense Robert Olen Butler chiama il “cinema della mente”. Facendo attenzione a questo delicato equilibrio, gli editori sono impazienti di sperimentare le possibilità creative e commerciali delle edizioni arricchite. “Ora che
gli ebook sono in trasformazione e stanno diventando interattivi come le applicazioni, si aprono nuove opportunità incredibili”, dice Rachel Chou, direttrice dell’uicio marketing di Open Road Media, una casa editrice digitale di New York. Il nuovo ed “e-riginale” Listen to Bob Marley, appena pubblicato da Open Road, permette ai lettori di twittare direttamente una citazione dal libro. Dan Franklin, responsabile del settore digitale di Random House Uk, ammette che i migliori progetti sono quelli che nascono direttamente in digitale: “Si tratta di inventare cose che i lettori ancora non sanno di desiderare”. I primi esempi di una nuova narrativa digitale stanno già arrivando. Non è un caso che siano pensati per giovani e adolescenti. Nell’ultima uscita di Penguin, Chopstick, la storia d’amore di una giovane coppia, sono inseriti album di ritagli e porzioni di testo intervallate da tracce musicali e video di YouTube. Gift, che uscirà a marzo per Open Road Media, è una storia di fantasmi raccontata con tracce audio e video musicali, ma anche un fumetto con efetti sonori e visivi. Forse, però, la miscela più riuscita di vecchio e nuovo – che è riuscita a suscitare tanto stupore alla conferenza Futurebook di Londra – è Between page and screen (Siglio Press) un libro di poesie che sfrutta la realtà aumentata per fare in modo che le parole si mettano a danzare. u nv Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Cultura
Cinema Italieni
Dalla Gran Bretagna
I ilm italiani visti da un corrispondente straniero. Questa settimana Sivan Kotler, del quotidiano israeliano Ha’aretz.
Omaggio agli esclusi
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Il London short ilm festival (Lsf ) si nutre dei duri scontri che nascono tra i selezionatori di ilm. Per questa edizione gli organizzatori hanno dovuto valutare ottocento cortometraggi britannici per selezionarne trecento, da suddividire ulteriormente in 24 categorie. Tuttavia per fare “un esperimento sovversivo” hanno deciso di creare una sezione speciale, il Salon des refusés, in cui proiettare solo dei cortometraggi scartati in tutti gli altri
An oral ixation festival in cui si erano presentati. L’obiettivo era sottolineare la soggettività delle scelte alla base del programma di un festival: i ilm scartati sono necessariamente più poveri di quelli accettati in concorso? O ci sono altri fattori che entrano in gioco? Queste domande so-
no state oscurate dalla qualità dei vincitori del festival. Alla ine, come si dice in questi casi, il vero talento salta fuori. Il riconoscimento per il miglior ilm a basso costo è andato a An oral ixation di Kevin Gafney, un video artigianale di cinque minuti che celebra la issazione per il sesso orale. Il miglior corto sperimentale è stato Of this, men shall know nothing di Fritz Stolberg, mentre il miglior video musicale è stato House di Prano Bailey-Bond, realizzato per la band Cool Fun, che mette in scena un gruppetto di Barbie intrappolate in una casa di bambola. Dylan Cave, Sight & Sound
Massa critica Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo T G HE ra D n A Br I e LY LE tag T n EL Fr F EG an I G a ci A R a R A O PH G C LO an B ad E a AN D T M G HE A ra G IL n U Br A et R T a D G H E gn I A ra a N n IN Br D et E P L a E Fr IBÉ gna N D an R EN ci AT a T IO LO N St S at A iU N n GE L E i ti L E Fr M S T an O IM ci N a D E S E T St H E at N iU E n W T i t i YO St H E R at W K T iU A IM ni S H E ti I S N G T O N PO ST
Magniica presenza Di Ferzan Ozpetek. Con Elio Germano, Margherita Buy, Beppe Fiorello, Paola Minaccioni. Italia 2012, 105’ ● ● ● ●● Niente illusioni, solo cornetti, che insieme a sogni leciti, proibiti e ambizioni sussurrate tra inzione e realtà, costituiscono l’ultimo afresco cinematograico di Ozpetek, probabilmente il più complesso tra i suoi lavori negli ultimi anni. Sei spiriti in cerca d’autore, omaggio afettuoso alla letteratura pirandelliana delle origini e non solo, sono compagni impossibili e quindi più fedeli di tanti altri, di un giovane siciliano, sognatore e aspirante attore, giunto in una Roma a tratti almodovariana incline a illusioni, ossessioni da rincorrere e all’impulso di esprimere se stessi oltre ogni ambiguità. Davvero brillante la scelta di Elio Germano da parte di chi come Ferzan Ozpetek ritiene l’attore “il viso e la voce del ilm”. Elio Germano è una presenza espressiva capace di reggere da sola l’intera pellicola, nonostante un degno collage di interpreti sublimi. Il ilm è una rinfrescante versione di una ghost story posta a beneicio del lato umano costretto talvolta a nascondere la propria fragilità e il senso della diversità. Ben riusciti il gioco degli specchi, i personaggi e i tempi felicemente scanditi in un balletto a volte crudele tra inzione e realtà.
All’ultimo London short ilm festival i curatori hanno dato spazio anche ai ilm scartati altrove
Media
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L’Arte Di vinCere
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hugo CAbret
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pArADiSo AMAro
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Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo
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I consigli della redazione
In uscita The Lady Di Luc Besson. Con Michelle Yeoh, Richard Thewlis. Francia/ Gran Bretagna 2011, 127’ ●● ● ●● “Chi non piange dovrebbe farsi vedere da un medico”, ha anticipato Luc Besson, in un’intervista all’Express, parlando del suo ultimo progetto dedicato ad Aung San Suu Kyi. Se fossimo in una dittatura, all’uscita dei cinema troveremmo delle brigate oftalmiche che controllano i dotti lacrimali degli spettatori. Per fortuna viviamo in una democrazia che la Birmania ci invidia e siamo assolutamente liberi di afermare che questo primo ilm falsamente adulto di Luc Besson ci ha lasciati di marmo. Per non dire di peggio, visto che questo afresco ipercolorato, qui e là, rasenta il comico involontario a causa di uno schematismo maldestro e di un desiderio di rendere iconico ogni dettaglio (al limite della gafe, le prime locandine su internet mescolavano una serigraia alla Yes we can, con la graica della propaganda maoista, una specie di “Obamao” poi rimpiazzato da un’altra locandina). Ah, questi intellettuali che hanno sempre un libro di Gandhi in tasca, questi contadini in costumi folcloristici che si meravigliano al solo sentire le parole “diritti umani”, queste guardie carcerarie a cui basta sentire
The lady
Young adult Di Jason Reitman (Stati Uniti, 94’)
qualche nota di pianoforte per commuoversi. E anche se il ilm mostra un lacrimevole contrappunto familiare prende un po’ troppo alla leggera il dilemma interiore che ha dovuto tormentare la sua protagonista, combattuta tra una vita tranquilla in famiglia e il sacriicio della libertà per il bene supremo del suo paese. Forse sarebbe stato meglio sofermarsi su questo punto invece che scegliere la strada dell’agiograia ammiccante. Joachim Lepastier, Cahiers du cinéma 17 ragazze Di Delphine e Muriel Coulin. Con Louise Grinberg, Juliette Darche. Francia 2011, 90’ ●●●●● Di fronte al primo lungometraggio delle sorelle Coulin viene in mente Il giardino delle vergini suicide di Soia Coppola, altra opera prima che indaga nei misteri dell’adolescenza femminile. Ambientato dalla parte opposta dell’Atlantico, nella cittadina portuale di Lorient, 17 ragazze sembra la visione speculare, proletaria e vitale, dell’altro ilm. Se il ilm solare di Soia Coppola iniva con il suicidio di cinque sorelle, il ilm lunare (anche solo per l’inluenza dell’astro sulle maree) delle sorelle Coulin comincia con diciassette liceali che si ritrovano incinte. Il loro stato non è dovuto al passaggio di una misteriosa forza aliena sul villaggio, ma solo alla volontà delle ragazze di prendere in contropiede il loro incerto avvenire e costruire un’utopia collettiva in cui allevare tutte insieme i loro igli. Genitori, insegnanti e meduse portano con loro la responsabilità di un mondo immobile tanto quanto le ragazze portano in loro il desiderio di trasformazione. Le sorelle Coulin
Cesare deve morire Di Paolo e Vittorio Taviani (Italia, 76’)
17 ragazze
hanno saputo cogliere tutte le potenzialità che ofre il corpo di una ragazza madre, elevate alla diciassettesima potenza. Filmano i corpi in gestazione, sospesi tra infanzia ed età adulta, oscillando senza tregua tra paura di esclusione e volontà di essere presenti. E tutto il ilm sembra rispondere a questa dinamica pendolare, di lussi e rilussi, che è anche la dinamica del gruppo. Nicolas Azalbert, Cahiers du cinéma Cosa piove dal cielo? Di Sebastián Borensztein. Con Ricardo Darín, Ignacio Huang. Spagna/Argentina 2011, 90’ ●●●●● A parte uno sguardo particolarmente espressivo non c’è niente di eccezionale nell’aspetto di Ricardo Darín. Ma la sua credibilità e il suo magnetismo gli permettono di interpretare una vasta gamma di personaggi. Può dar vita a sentimenti complessi e contrastanti, rimanendo sempre se stesso. È una qualità rara messa al servizio di un ilm divertente e amaro, dignitoso e credibile, una storia che, con un fondo di tristezza, s’impegna a mettere al centro concetti obsoleti come la simpatia e la solidarietà, il ritratto di una solitudine per scelta che non si è trasformata in indiferenza o in egoismo. Nella vita di un ferramenta di Buenos Aires, maniacale collezionista di notizie assurde, compare
Paradiso amaro Di Alexander Payne (Stati Uniti, 110’)
all’improvviso un cinese che per disavventura si ritrova in un paese sconosciuto di cui non conosce neanche la lingua. Il rapporto casuale e surreale che s’instaura tra i due si costruisce su gesti e intuizioni ed è raccontato con grande profondità. Senza retorica né sentimentalismo, il regista Sebastián Borensztein riesce a raccontare una storia credibile anche se improbabile. Molto si deve all’interpretazione di Darín che ci fa amare un misantropo dal cuore d’oro. Carlos Boyero, El País The raven Di James McTeigue. Con John Cusack, Brendan Gleeson. Stati Uniti 2012, 111’ ●●●●● Un Edgar Allan Poe (John Cusack) ubriacone, drogato e senza un soldo, trascorre l’ultima settimana della sua breve esistenza, nel 1849, aggirandosi per una cupa Baltimora, sulle tracce di un serial killer che per i suoi delitti prende spunto dai racconti più morbosi di Allan Poe, tra cui I delitti della rue Morgue e Il pozzo e il pendolo, ricreandone le scene più sanguinose. The raven è un thriller moderatamente divertente che, al contrario di quanto sostengono autori e regista, getta poca luce sul reale carattere di Edgar Allan Poe e ancora meno sulla sua morte misteriosa e prematura. Il ilm trae evidentemente ispirazione dal classico di Douglas Hickox del 1973, Oscar insanguinato, in cui Vincent Price (che tante volte ha interpretato personaggi creati da Poe) interpreta un attore che si vendica di alcuni critici londinesi uccidendoli uno a uno come avviene ai protagonisti di alcune tragedie di Shakespeare. Philip French, The Observer
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Cultura
Libri Dalla Russia
I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Vanja Luksic, del quotidiano belga Le Soir e del settimanale francese L’Express.
Reporter assassino
Caterina Sansone e Alessandro Tota Palacinche Fandango, 186 pagine, 18 euro ● ● ● ●● Palacinche è un titolo misterioso. Ma le palacinche sono le crèpes che Elena, la mamma di Caterina Sansone, faceva alla iglia quando era piccola. Caterina ha voluto raccontare la storia di sua madre e dei suoi nonni, e con loro quella di più di 250mila italiani. Persone che, dopo la seconda guerra mondiale, hanno scelto l’Italia. Anche se vivevano in Istria, in Dalmazia, oppure a Fiume (Rijeka, in croato), città cara a D’Annunzio, dove è nata Elena, erano o comunque si sentivano italiani. Hanno lasciato tutto nella Jugoslavia di Tito e si sono ritrovati nella loro “patria” che si è rivelata non essere afatto la terra promessa. Caterina Sansone, fotografa, con il suo compagno, il disegnatore Alessandro Tota, ha percorso a rovescio il viaggio della madre. Dai campi in Sicilia e Campania a Trieste e Udine, per ritrovarsi, inalmente, a Fiume. Con fotograie e fumetti dove si mescolano passato e presente hanno creato un libro originale, piacevole, che racconta con leggerezza un’esperienza durissima. Così tanto che era stata quasi dimenticata. Per la iglia di Elena, le palacinche (delle quali è fornita anche la ricetta) sono come le madeleines di Proust: hanno un sapore, un profumo che fanno ritrovare il tempo che si pensava perduto.
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In Snuf, ultimo romanzo di Viktor Pelevin, il mondo è un videogioco dominato dal voyeurismo della tv Damilola Karpov è una reporter di un genere molto particolare. La videocamera volante che controlla a distanza è anche un drone in grado di uccidere, e così lei ammazza le persone e trasmette in diretta gli omidici. Karpov è la protagonista dell’ultimo bestseller di Viktor Pelevin, Snuf, un atto di accusa nei confronti del voyeurismo televisivo ambientato in un mondo postapocalittico in cui il potere dell’immagine è portato al parossismo. Come in un videogioco, due mondi si afrontano in una guerra sanguinaria. Da una parte c’è il mondo inferiore, una civiltà ridotta alla bar-
FINBARR O’REILLy (REUTERS/CONTRASTO)
Italieni
barie, dominata da tiranni senza alcuna umanità. Questa specie d’inferno è sovrastato da una sfera immensa che ospita una civiltà più evoluta, regolata dal politicamente corretto e dalla tv. Le battaglie tra i due mondi danno vita a lussi ininiti di
immagini morbose, chiamati snuf, in cui sono mostrati veri omicidi. Per ammissione dell’autore il romanzo è stato ispirato dall’attualità che arrivava dalla Libia, in particolare dai video della morte di Muammar Gheddai. Rousski Reporter
Il libro Gofredo Foi
Tavole separate Ginevra Bompiani La stazione termale Sellerio, 146 pagine, 12 euro Quando scioglie il suo talento di scrittrice cesellatrice e pensante in una narrazione piena e ben scandita, Ginevra Bompiani dà il meglio di sé e sa come portarci nel detto e nel non detto dei sentimenti, secondo un’ottica borghese, colta, rainata, ma che sa ricorrere anche a suggestioni più semplici e, in questo breve e bel romanzo al femminile, a Tavole separate, una commedia di Rattigan debitamente
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citata. In una stazione termale, in un albergo qualsiasi, tre donne e una bambina, a due a due. Lucy, la bambina, che molto osserva e che ragiona con irriverente senso dell’umorismo, sta con una zia piuttosto triste e diidente. Lucia è una signora separata da poco che accompagna una donna più anziana, un nome famoso, anche lei con le sue malinconie. Alle terme si va per curarsi e ringiovanire, ma anche per tirarsi fuori per un lasso di tempo dalla società.
Rapidamente, di voce in voce (e le più forti sono quelle di Lucy e Lucia), si scoprono i misteri delle adulte ma solo perché altri se ne aggiungano. I maschi stanno sullo sfondo, ci sono ma in un altro mondo. Nel gioco della vita che qui, grazie alla vitalità di Lucy e di Lucia, ci sembra inine più allegro che malinconico ha il suo centro l’amore, da afrontare “come se fosse un gioco da giocare con regole da bambini, il gioco che ha per posta la felicità più eimera e l’infelicità più duratura”. u
I consigli della redazione
Cynthia Ozick Corpi estranei (Bompiani)
Il romanzo
Iván Thays Un posto chiamato Oreja de Perro Fandango, 223 pagine, 16 euro ● ● ●●● È meglio dirlo subito: Un posto chiamato Oreja de Perro è un bel romanzo. La trama è chiara e anche afascinante: un giornalista peruviano – che ha perso da poco il iglio e sta per perdere anche la moglie – arriva a Oreja de Perro, una misera città andina distrutta dal terrorismo, per raccontare la visita del presidente Alejandro Toledo. Qui comincia a frequentare una chola, si scontra con la violenza del Perù profondo e scrive le pagine che leggiamo. Il romanzo è così agile e scorrevole, si legge tanto facilmente, che potrebbe dirsi un esempio di un certo buon gusto contemporaneo. Prevale una narrazione cinematograica. Un posto chiamato Oreja de Perro è un buon romanzo perché rassomiglia, più del solito, ad alcuni grandi romanzi. Viene in mente J.M. Coetzee, e non a caso: il libro deve molto, troppo, all’opera dello scrittore sudafricano. Si potrebbe dire, senza esagerare, che Un posto chiamato Oreja de Perro è un incrocio di Età del ferro e Vergogna. Le coincidenze tematiche sono ovvie: un umanista immerso in un ambiente ostile, la sua relazione con una moglie che lo disgusta isicamente, la presenza di alcuni nichilisti, una scena di violenza estrema, pure il cane afamato. Altrettanto evidenti le coincidenze formali: narrazione in prima persona, tempo
EUCLEIAEDITORA
Un buon intrattenimento
Iván Thays presente, paragrai brevi, frasi ellittiche, domande retoriche. C’è bisogno di dire che Un posto chiamato Oreja de Perro è capace di molto ma non riesce a riprodurre l’aura di quei romanzi? Non parlo di plagio: dico che Thays, sensibile e attento all’attualità letteraria, si approitta di una certa scrittura contemporanea invece di esplorarla. Un esempio: in questo romanzo i rischi formali sono pochi e niente è radicale: la sinteticità non è estrema, il tono non è troppo disincantato, la violenza è più che altro tematica. Gli elementi della buona narrativa contemporanea ci sono tutti, ma un po’ spenti, a un passo dal luogo comune; disposti con cautela, senza nessuna audacia, in modo che nulla distolga e distragga, oppure scommetta e perda. Ma forse esagero: Un posto chiamato Oreja de Perro è un buon romanzo. È solo che a volte uno vuole qualcosa in più di un buon intrattenimento. Rafael Lemus, Letras Libres
Patrick Modiano Riduzione di pena (Lantana)
John Williams Stoner Fazi, 332 pagine, 17,50 euro ●●●●● Stoner è qualcosa di più raro di un grande romanzo. È un romanzo perfetto, così ben raccontato e ben scritto, così profondamente commovente da togliere il iato. Ignorato alla sua pubblicazione nel 1965, da allora è tenuto in vita dagli appassionati che lo riscoprono a ogni decennio. Williams, nato in Texas nel 1922, si innamorò della letteratura al liceo. Studioso e poeta oltre che romanziere, insegnò per più di trent’anni presso l’Università di Denver, si ritirò nel 1985 e morì nel 1994. Il suo eroe William Stoner, iglio di agricoltori poveri e operosi, eredita il loro stoicismo taciturno, la loro capacità di accomodarsi ai capricci del destino. Entra nell’università pubblica nel 1910 per studiare agricoltura, ma la sua vita cambia irrimediabilmente quando in un corso del secondo anno s’imbatte nella letteratura. Solo due passioni contano nella vita di Stoner, l’amore e l’apprendimento, e in un certo senso fallisce in entrambe. Sua moglie, il suo primo amore, diventa fredda e distante quasi dal primo incontro. La luna di miele in cui gli si concede con disgusto è una delle più cupe mai registrate in un romanzo. È la storia di un uomo comune che incontra ostacoli a ogni passo, ma anche dell’integrità che conserva, della sua profonda vita interiore dietro una facciata impassibile. Anche la sua carriera potrebbe essere vista come un fallimento, ma gli dà una tranquilla soddisfazione. Non è né un grande insegnante né uno studioso di rilievo, ma si applica a entrambe le attività con un’intensità che nasce dall’amore. Questa stessa
Robert B. Reich Aftershock. Il futuro dell’economia dopo la crisi (Fazi) profondità di sentimento riscatta la sua vita amorosa. Intrappolato nel guscio vuoto del suo matrimonio, ma troppo stoico per uscirne, Stoner nutre un senso di rassegnazione impotente. Ma, ormai quarantenne, intraprende una relazione con una studiosa di talento che ha la metà dei suoi anni, una preziosa parentesi di inaspettata felicità. Il declino isico di Stoner è prematuro ma inesorabile, la sua morte quasi anonima. Eppure, poche storie così tristi sanno essere così segretamente trionfanti o, almeno, così esaltanti. Morris Dickstein, The New York Times Richard Davenport-Hines Lo spettro del ghiaccio Einaudi, 370 pagine, 21 euro ●●●●● Come argomento di un libro il Titanic è bello che afondato. Un oceano di parole si è rovesciato sul grande disastro marittimo e con il centenario è in arrivo una nuova alluvione. È rimasto ancora qualcosa da dire? La risposta, come mostra Richard Davenport-Hines in questo studio ricco, incisivo e toccante, è un sonoro sì. Nei compartimenti separati della nave l’autore vede uno spaccato della società europea e statunitense, in un’epoca in cui le diseguaglianze non erano mai state più acute. Inveisce contro l’arroganza dei plutocrati della prima classe, sostenendo che fu il brutale esercizio del potere economico a deinire l’epoca del Titanic. L’apartheid regnava nella nave, dove era proibito fraternizzare. Paradossalmente, a determinare il destino dei passeggeri fu più il genere che la classe sociale. Tre quarti delle donne e metà dei bambini si salvarono, mentre l’80 per cento degli uomini morirono. Il codice cavallere-
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Libri sco per lo più prevalse, gli uomini accompagnavano le famiglie alle scialuppe ma non salivano a bordo. DavenportHines ofre anche un resoconto rivelatore delle diverse risposte alla tragedia. Per gli statunitensi esempliicava l’approssimazione dei britannici, per i britannici era una rivendicazione dello spirito marinaro nazionale. Per gli uomini di chiesa era un avvertimento contro la presunzione umana. Davenport-Hines sembra pensare che si trattò di un evento essenzialmente casuale. Quale che sia la verità, ha scritto un libro meraviglioso. Piers Brendon, The Independent Tonino Benacquista Gli uomini del giovedì e/o, 235 pagine, 18 euro ● ● ●●● Tonino Benacquista pubblica un nuovo romanzo dove solo gli uomini hanno la parola. Ma è suiciente radunare un po’ di uomini perché si mettano a
parlare di donne che diventano onnipresenti. Il libro nell’edizione originale si chiama Homo erectus, un titolo che riconduce la specie agli istinti fondamentali anteriori all’homo sapiens: la condivisione del cibo e delle donne. Ogni giovedì alle sette, degli uomini si ritrovano in un luogo stabilito la settimana precedente. Quelli che lo desiderano raccontano le loro storie con le donne. Non è sollecitato nessun giudizio, il linguaggio è crudo e privo di commenti, la libertà pressoché totale. Il limite sarà raggiunto solo il giorno in cui un partecipante, raccontando come una donna lo ha reso infelice dopo che lui ha fatto di tutto per farla contenta, cerca un volontario per punire l’ingrata. I racconti sono patetici e stravaganti. Non si somigliano mai tra di loro, con buona pace di chi cerca risposte. Lo scrittore segue questi destini, e s’interroga sulla condizione del maschio. Pierre Maury, Le Soir
Soi Oksanen Le vacche di Stalin Guanda, 484 pagine, 19,50 euro ●●●●● Cinque anni prima di La purga, Soi Oksanen aveva irmato Le vacche di Stalin, opera prima dove già aveva preso il Soviet supremo per le corna. È la storia di Katariina, estone la cui madre è stata deportata in Siberia e i cui sogni si sono tristemente spenti sotto le forche bolsceviche, inché non incontra il suo salvatore: “il inlandese”, che la sposa nel 1974 a Tallinn, prima di portarla con sé a Helsinki, in un rifugio dove si sforza di cancellare il passato. Di questa rimozione, la iglia Anna porterà i segni, e sprofonderà a poco a poco nella demenza. Violenta requisitoria contro il comunismo, confessione incrociata di due donne messe al bando dalla loro storia, Le vacche di Stalin comincia come un bruciante esorcismo ma inisce per dare la nausea. Emilie Wood, L’Express
Non iction Giuliano Milani
CATHerINe HeLIe (GALLIMArD/OPALe/LuzPHOTO)
Figura dell’incapacità Giacomo Todeschini Come Giuda Il Mulino, 311 pagine, 24 euro In tempi di crisi appare particolarmente chiaro che per accedere al mercato e cioè, per esempio, ottenere un prestito, giocare forte in borsa, entrare in un’impresa di alto livello, non contano tanto regole impersonali e caratteristiche oggettive (quanti soldi hai, che fedina penale), quanto i contatti giusti, l’autorizzazione di qualcuno che è già nel sistema, una patente uiciale di credibilità e aidabilità. Se-
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condo lo storico Giacomo Todeschini, che da tempo studia come si pensava all’economia nel medioevo, le cose funzionavano in questo modo anche in passato. Per escludere qualcuno dall’accesso al mercato allora si sottolineavano certe sue caratteristiche (l’infedeltà, la fama di disonestà, la povertà) che ne facevano un soggetto inaidabile, dunque immeritevole di partecipare agli scambi. In questo libro Todeschini spiega come nel corso del tempo, sulla base di alcune in-
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terpretazioni del vangelo, Giuda si sia prestato a sintetizzare queste caratteristiche. Ancora più che traditore, Giuda fu interpretato come colui che, avendo compiuto il terribile errore di vendere per soli trenta denari valori inestimabili come Cristo e la salvezza, aveva dimostrato una volta per tutte la sua incompetenza economica. Si candidava così al ruolo di modello per tutti coloro che, infedeli, marginali o perdenti dovevano rimanere fuori dal giro dell’“economia vera”. u
Famiglie
François Noudelmann Les airs de famille Gallimard Studio sulle somiglianze familiari. Per Noudelmann, professore di ilosoia a Parigi e negli Stati uniti, le somiglianze sono frutto della cultura più che della biologia e quindi costitutive sia delle famiglie tradizionali sia di quelle atipiche. Sophie Nizard Adopter et transmettre Editions de l’Ecole pratiques de hautes etudes en sciences sociales Nizard, ricercatrice a Strasburgo, afronta la questione dell’adozione nell’ebraismo contemporaneo. Secondo la legge rabbinica, l’adozione è autorizzata solo se il bambino nato da madre non ebrea è convertito prima di essere adottato. Martine Gross Choisir la paternité gay Eres Martine Gross, ricercatrice in scienze sociali al Cnrs, esplora le motivazioni, i percorsi, il vissuto di uomini divenuti padri (o desiderosi di diventarlo) in un contesto omosessuale. Eric Garnier L’homoparentalité en France Thierry Marchaisse un intervento nel dibattito sulla genitorialità omosessuale e il suo riconoscimento giuridico. Garnier è professore di liceo. Per alcuni anni è stato il direttore dell’Association des parents gays et lesbiens. Maria Sepa usalibri.blogspot.com
Ricevuti A cura di Lorenzo Fe e Mohamed Hossny In ogni strada. Voci di rivoluzione dal Cairo Agenzia X, 141 pagine, 12 euro L’obiettivo di questo libro è di aumentare le possibilità di contatto tra i movimenti italiani e nordafricani. Juliette Volcler Il suono come arma Derive e approdi, 170 pagine, 16 euro Può il suono diventare un’arma? Una genealogia dei dispositivi acustici usati a scopo offensivo.
Fumetti
Da Bruegel a King Kong Moebius Arzach Edizioni Bd, 64 pagine, 10 euro Federico Fellini scrisse una lettera a Moebius in cui, in un bellissimo francese, gli spiegava che nel Casanova aveva chiamato proprio Moebius un personaggio “metà erborista, metà medico”, una sorta di stregone. Arzach, che comparve a puntate sui primi quattro numeri della rivista Métal hurlant, è l’opera d’iniziazione al lavoro del Moebius maturo. Questo libro ottimamente stampato (un peccato però il piccolo formato che non fa respirare la maestosità dei disegni) si apre con un raccontino, in bianco e nero e molto scritto, La deviazione. Moebius, e con lui l’intero fumetto contemporaneo, non è più uscito da quella deviazione iglia di Lewis Caroll. Iniziazione, perché l’autore in passato viaggiò in Messico alla ricerca di esperienze
sciamaniche. Lo sciamanesimo, un immensità cosmogonica (nel senso antico e moderno del termine), l’avvento di un mondo tecnologico neobarbaro, domineranno poi la sua opera. Qui, disegni e colori hanno chiari riferimenti rinascimentali, soprattutto alla pittura iamminga, perché per Moebius la rinascita dell’Aurora e il tramonto dell’Apocalisse – altro tema fondante della sua opera – sono indissociabili. Allo stesso modo, i racconti muti di Arzach, cavaliere (dell’apocalisse?) in groppa a uno pterodattilo bianco, coniugano l’archetipo e lo stereotipo (rivisitando l’immaginario collettivo), Bruegel e King Kong, l’arte e il trash. L’alto e il basso, indissociabili. Tuttavia Moebius fa sentire le gerarchie, non appiattisce, nell’unire così tanti opposti in un tutt’uno panteistico. Francesco Boille
Valeria Brigida e Carmine Cartolano Horreyya! Editori Riuniti, 192 pagine, 16 euro La rivoluzione egiziana ha visto le donne in prima linea. Ilaria Guidantoni Tunisi, taxi di sola andata No Reply, 207 pagine, 12 euro A un anno dalla caduta di Ben Ali, una cronaca della rivolta tunisina, tra narrazione e reportage, con interviste ai protagonisti. Achille Serra La legalità raccontata ai ragazzi Giunti, 128 pagine, 9,90 euro Achille Serra, ex prefetto di Ancona, Palermo, Firenze e Roma, sceglie di rivolgersi ai giovani per spiegare come si combatte la criminalità. Andrea Camilleri La regina di Pomerania Sellerio, 303 pagine, 14 euro Otto racconti inediti che attingono al serbatoio della memoria dell’autore, al suo senso del teatro e della storia, al suo sguardo ironico e divertito.
Gwynne Dyer Le guerre del clima Marco Tropea, 286 pagine, 18 euro Le mutazioni del clima hanno anche conseguenze geopolitiche. I mezzi concreti per cambiare le cose sono la tecnologia, regole rigide e la cooperazione internazionale. Eleonora Voltolina Se potessi avere 1.000 euro al mese Laterza, 167 pagine, 15 euro Cronache di un’Italia sottopagata in cui milioni di persone non riescono a mantenersi con quello che guadagnano. Giovanni Spinosa L’Italia della Uno bianca Chiarelettere, 442 pagine, 18 euro La storia della Uno bianca attraverso la testimonianza del pubblico ministero che ha condotto le indagini. Antonio Fiori L’Asia orientale Il Mulino, 232 pagine, 13,50 euro L’evoluzione storica, politica ed economica dei paesi protagonisti della globalizzazione. Ella Bafoni Il libro nero di Alemanno Castelvecchi, 188 pagine, 12,50 euro I disastri di Alemanno dalla a (di Atac) alla z (di zingari). Sylvia Nasar L’immaginazione economica Garzanti, 613 pagine, 30 euro La straordinaria avventura intellettuale di Amartya Sen, Milton Friedman, Paul Samuelson, Friedrich Hayek, Joseph Schumpeter, John Maynard Keynes, Alfred Marshall e Karl Marx.
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Cultura
Musica Dalla Gran Bretagna
Simple Plan Milano, 28 marzo, alcatrazmilano.com; + We The Kings, Ciampino (Rm), 29 marzo, orionliveclub.com
La nuova classe del soul inglese
Mark Lanegan Band Bologna, 24 marzo, estragon.it; Milano, 25 marzo, alcatrazmilano.com Peter Kernel Marostica (Vi), 25 marzo, panicjazzclub.com James Blake Dj set, Milano, 30 marzo, magazzinigenerali.it; + Lone, Bologna, 31 marzo, tpo.bo.it Actress + Spencer, Milano, 24 marzo, teatrofrancoparenti.com Gold Panda + Rodion, Livorno, 30 marzo, thecagetheatre.it; Roma, 31 marzo, l-ektrica.com Tommy Emmanuel Forlì, 30 marzo, naimaclub.com; Roma, 31 marzo, atlanticoroma.it Dum Dum Girls Firenze, 29 marzo, log.it; + Brothers in law, Madonna dell’Albero (Ra), 31 marzo, bronsonproduzioni.com
Dum Dum Girls
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La carriera di Michael Kiwanuka è appena cominciata e lui è già una star
CONTACTMUSIC
Dal vivo
Per la Bbc il suo è il “sound del 2012” ed è arrivato secondo, dietro a Emeli Sandé nel premio della critica dei Brit awards. C’è già chi lo deinisce “l’Otis Redding inglese”. Michael Kiwanuka, 24 anni, sembra lanciato verso una carriera di altissimo livello. Fino a due anni fa suonava soprattutto nei pub. Poi Adele ha sentito un suo demo e, anche se lui non aveva nessuna esperienza di veri concerti, l’ha invitato ad aprire quelli del suo tour. “Vedere come lavora Adele è
Michael Kiwanuka stata un’esperienza fondamentale per capire che non c’è bisogno di comportarsi da divi per fare bene questo mestiere”, racconta Michael, iglio di profughi ugandesi, per il quale essere catapultato su uno dei palchi più seguiti del momento non è stato particolarmente diicile. “Quando ti esibisci per aprire il concerto
di qualcun altro, il pubblico non ti segue molto”, osserva, “gli servi solo per ingannare il tempo prima dello show per il quale hanno comprato il biglietto. Quindi dopo un po’ mi sono rilassato e ho capito che non avevo niente da perdere: se fossi andato male non si sarebbe lamentato nessuno”. Ora è arrivato il suo primo album, Home again, immerso in un clima molto anni settanta nel sound e nella graica, che ricorda un po’ quella dei dischi di Marvin Gaye. E con una voce dalla maturità davvero impressionante. Kunal Dutta, The Independent
Playlist Pier Andrea Canei
Sole e luna pop
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Jocelyn Pulsar 25000 anni fa “Non c’era la coperta termica, eppure io ti scaldavo lo stesso, tu mi scaldavi lo stesso”. La banalità del volersi bene raggomitolata in un canzonetto cavernicolo di disarmante eicacia, ideale per la ine di un’era glaciale, o per predisporsi alla costruzione di un primaverone, l’apertura dell’album Aiuole spartitraico coltivate a grano. Con l’estro non banale di Francesco Pizzinelli, forlivese pop che da quasi un decennio girella camufato da band. Pezzi buoni e classiche canzoni; ma questa preistoria d’amore vale un passaggio all’ora solare.
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Giardini di Mirò Rome Vi piace ascoltare diicile. La notte è la vostra dimensione, e idealmente vi destate nel cuore della medesima, e meditate giochi di società con le ombre che vi circondano. Se sono poderose inquietudini a fare il vostro gioco, questa band emiliana sincronizzata sulle ore più lunari vi può accompagnare lungo le spirali del buio. Perché suonano meticolosi e immusoniti (più di quanto lascerebbe supporre il titolo del nuovo album, Good luck) e hanno conidenza con il respiro cupo della vita. Con questi chiari di luna. Astenersi cuorcontenti. Max volume.
3
Pinkunoizu Death is not a lover Pop sperimentale col retroit, suoni inilzati dal mondo reale e trasformati in loop, riverberi da uno spazio profondo in cui luttuano il country & western e i vecchi ilm asiatici; una musica d’essai, da reduci di art school sulla linea Copenaghen-Berlino, da quattro nordici psichedelici. Indecifrabili, ma non inascoltabili: dalle tracce dell’album Free time, un po’ ondivaghe e malate di ambienti cavernosi, spunta sempre fuori qualche gancio melodico, qualche utile strumento a corde o a iato per brancolare nel buio e rivedere le stelle con soddisfazione.
Scelti da Marco Boccitto
davvero luida, ma più spesso, come nell’eccellente Dog to bone, è volutamente sconnessa per intonarsi meglio con i frammentati racconti di Mathambo sulla vita nelle township sudafricane. Killian Fox, The Observer
Pop The Shins Port of Morrow (Columbia) ●●●●● Dall’ultimo album degli Shins sono passati cinque anni e della formazione originaria è rimasto solo il leader James Mercer, circostanze che hanno allontanato la band dai risultati dei primi due album. Tuttavia Mercer è in troppo dotato per non garantire quel marchio fatto di melodie frizzanti accompagnate da bei testi. Anche quando una canzone sembra seguire una formula sicura, funziona, come The rile’s spiral che può essere canticchiata già dalla seconda strofa. Certo, si sente la mancanza di una vera band intorno alla personalità del singolo autore. L’album è di una bellezza intelligente ma forse noi abbiamo troppe aspettative e non riusciamo a non pensare che il solo comandante non possa sempre prendere la giusta decisione. Forse è tempo per il subconscio di Mercer di un ammutinamento. Martin Aston, Bbc
Rock Pontiak Echo Ono (Thrill Jockey) ●●●●● Il quinto album dei Pontiak è un esercizio sfacciato di sporco stoner rock. Da quando parte la chitarra in Lions of least, il ritmo rimane alto. La sua estrema semplicità fa sì che Echo Ono non sia il miglior album nel suo genere. I suoi 33 minuti passano veloci senza che succeda niente di rivelatorio. Ma c’è comunque un tocco di genialità: l’album è costruito su vari livelli sperimentali in cui la band della Virginia mescola psichedelia, stoner rock e garage, il tutto in una cornice di rock classico. In alcuni momenti si sentono eco degli Stooges e dei Led Zeppelin, in altri i Pontiak sembrano più inluenzati da artisti contemporanei come Boris e Black Keys. Un disco che non rivoluzionerà il genere, ma che vale la pena di essere ascoltato per chi ama il rock ben fatto. Brice Ezell, PopMatters
Spoek Mathambo Father creeper (Sub Pop)
The Byrds, 1970 circa The Byrds Prelyte (Floating World) ●●●●● Prelyte è stato pubblicato per la prima volta sull’etichetta del manager dei Byrds Jim Dickson, la Together Records, nel 1969. L’edizione ampliata del 2001, curata dalla Sundazed, era stata realizzata con la collaborazione di Roger McGuinn, che aveva contribuito a selezionare 40 brani del periodo precedente alla irma del contratto con la Columbia. Quest’ultima ristampa è arricchita da altre otto canzoni, tra cui alcuni brani dell’audizione per la Columbia: cinque pezzi acustici in cui sono già evidenti le armonie vocali e gli arrangiamenti tipici della band, ma manca ancora l’inconfondibile suono della 12 corde di McGuinn. I veri gioielli del disco sono due canzoni del periodo post-Prelyte, tra le quali un demo di She’s the kind of girl di Gene Clark, registrata poi dall’intera formazione dei Byrds per Roadmaster, il disco solista di Clark del 1970. Mick Houghton, Uncut
Jazz SPOEKMATHAMBO.COM
Spoek Mathambo Father creeper (Sub Pop) ●●●●● Gli artisti occidentali si cimentano sempre più spesso con oscuri generi musicali africani. È interessante ascoltare cosa succede quando le parti s’invertono. Con il suo secondo album Spoek Mathambo, cantante e produttore sudafricano, svaria tra metal, elettro, crunk e kwaito (una versione rallentata della musica house molto difusa a Johannesburg) per creare un’eccitante combinazione di stili globali. A volte, come in Let them talk, la miscela risulta
Lenine Chão (Emarcy)
MICHAEL OCHS ARCHIVES/GETTy IMAGES
Resto del mondo
Spoek Mathambo
Gregory Porter Be good (Motéma) ●●●●● Water, l’album di esordio di Gregory Porter, è stato uno
Anoushka Shankar Traveller (Deutsche Grammophon)
dei dischi più interessanti del 2010, imponendolo come un caso (oggi raro) di grande voce jazz maschile. Ora arriva il secondo disco, Be good, che è ancora più bello. Porter ha scritto quasi tutti i brani dell’album, a cui dà vita con la sua voce baritonale. I pezzi mettono in luce anche il suo enorme talento nel comporre melodie accattivanti e nello scrivere testi che sanno di vita vissuta. Le potenti ballad sono molte e gli arrangiamenti blues curatissimi. Samir H. Köck, Die Presse
Classica Francesco La Vecchia Malipiero: Impressioni dal vero, Pause del silenzio Orchestra Sinfonica di Roma, direttore: Francesco La Vecchia (Naxos) ●●●●● I titoli evocatori delle tre serie di Impressioni dal vero esprimono l’atmosfera che ha dettato a Malipiero la sua ispirazione. La prima raccolta, molto prima di Messiaen, è un album di ornitologia. Il capinero, Il picchio e Il chiù sono delicati acquerelli che si concentrano sui loro soggetti quanto sulla cornice, e questo canto degli uccelli ha qualche eco di Debussy. La seconda raccolta è uno dei vertici assoluti della musica sinfonica italiana. Spicca in particolare Colloquio di campane, dove risuonano migliaia di tintinnii in un’angosciosa polifonia. Pause del silenzio è una grande opera, cupa e quasi schumanniana, e i suoi geniali epigrammi dicono in pochi minuti quello che Mahler diceva in un’ora. Tutta la musica di questo cd è d’importanza assoluta, e ci viene oferta con lo slancio e la poesia che merita. Michel Fleury, Classica
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Cultura
Video In rete A casa non si torna
Diario di un maestro Sabato 24 marzo, ore 1.45 RaiTre Versione completa dello sceneggiato diretto da Vittorio De Seta, in onda per la prima volta nel 1973. In una scuola della periferia romana un giovane insegnante afronta con metodi eterodossi il mancato rispetto dell’obbligo scolastico. Una pietra miliare della tv italiana. Rocky. La vera storia Domenica 25 marzo, ore 21.00 History Channel Che piacciano o meno, pochi ilm rappresentano l’immaginario anni ottanta come i ilm della saga di Rocky Balboa. Al primo, uscito nel 1977 e vincitore di tre premi Oscar, seguirono altri cinque ilm. Vita da badante Domenica 25 marzo, ore 21.00 Babel Larissa, moldava, vive con una signora di novant’anni. Natalia, ucraina, si occupa di anziani a Milano. Marlene, ilippina, è la tata di una bambina di due anni e ha una iglia che ha lasciato in patria. Il grande silenzio Domenica 25 marzo, ore 21.15 Rai5 Il ilm del tedesco Philip Gröning, uscito nel 2005, è diventato un caso: chi poteva immaginare che un documentario sull’antico monastero di clausura della Grande Chartreuse, vicino a Grenoble, potesse diventare un blockbuster? Da Garibaldi a Berlusconi Lunedì 26 marzo, ore 21.00 History Channel Un secolo e mezzo di storia politica e culturale italiana in un documentario atipico che unisce lettura storiograica originale e utilizzo di materiali d’archivio eterogenei.
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Dvd Nove coppie Nove coppie gay e lesbiche, tra Italia, Francia, Germania e Spagna, si raccontano in L’amore e basta di Stefano Consiglio, presentato a Venezia nel 2009 e appena uscito in dvd. Dagli studenti catanesi Alessandro e Marco, freschi innamorati, agli artigiani palermitani Gino e Massimo, insieme da trent’anni. Dalle
quarantenni parigine Nathalie e Valérie con la loro iglia Sasha, ai berlinesi Thomas e Johan e alle catalane Maria e Marisol, legalmente sposate. Situazioni ed età diverse hanno in comune la forza di un amore che non teme di raccontarsi in tutta la sua normalità, sidando ogni pregiudizio. luckyred.it/amoreebasta
ilfattoquotidiano.it I siti web di giornali italiani cominciano a prendere esempio da quelli europei, commissionando e ospitando documentari che sfruttano l’interazione di ilmati, testimonianze e testi per ofrire ai lettori un approfondimento più originale su temi non necessariamente legati alla cronaca. In occasione della Giornata internazionale della donna Il Fatto ha presentato questo progetto di Lara Rongoni, con la voce narrante di Franca Rame, che afronta il tema delle pari opportunità dal punto di vista inedito di quei lavori tradizionalmente considerati maschili, perché isicamente troppo impegnativi, e che tante donne svolgono per necessità o passione.
Fotograia Christian Caujolle
Contro l’astensione Si avvicinano le elezioni presidenziali francesi e anche se di sicuro c’è una maggioranza di cittadini scontenti dell’operato dell’attuale presidente, i giochi sono tutt’altro che fatti. Lo saranno solo alla ine, come sempre. Fioriscono iniziative di ogni genere per coinvolgere i potenziali elettori. Molte persone, persa la iducia verso la politica, sono convinte che a prescindere da chi vincerà le elezioni, le cose non cambieranno mai. E questo si traduce nell’astensionismo. Un gruppo
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molto eterogeneo di artisti (dagli intellettuali ai rapper) ha pensato di produrre una serie di video trasversali che fanno appello agli elettori perché vadano comunque a votare: 59 artistes contre l’abstention. Non importa per chi, basta votare. Sono convinti che sia importante esprimere comunque il proprio voto, perché in democrazia è importante il concetto della partecipazione, e anche perché “quelli che non sono andati a votare oggi, domani non protesteranno”. I vi-
deo sono realizzati in modo molto semplice. Gli artisti coinvolti dicono le loro ragioni davanti a un drappo bianco, rosso o blu. I video girano gratis in rete. C’è la freschezza della convinzione, la sorpresa dell’immagine non soisticata, una piacevole assenza di calcoli e secondi ini che si rilette nella gioia di chi ha partecipato. Peccato che su liberation.fr i quasi cinque minuti di dietro le quinte siano preceduti da trenta secondi di pubblicità. u
Cultura
Frieze a New York Frieze art fair, New York, dal 4 al 7 maggio, frieze.com Chiunque abbia visitato una iera d’arte sa che arrancare su e giù per i padiglioni può essere vertiginoso e disorientante. La sida lanciata dallo studio Solid objectives (SO-IL), incaricato di progettare i padiglioni per la prima edizione newyorchese di Frieze, è stata trovare una soluzione a questo problema. Florian Ildenburg e Jing Liu, fondatori di SO-IL, hanno già avuto a che fare con arte e musei. Il bello dell’arte, secondo loro, consiste nel non doversi limitare a massimizzare le superici. Sono le idee che contano. Il lavoro è cominciato dalla spettacolare vista su Manhattan dall’East river island, protagonista del progetto. La missione di Florian e Jing è far divertire il pubblico, anche chi non torna a casa con una scultura di Anish Kapoor. Tanti piccoli padiglioni trasparenti si srotolano come un serpentone nel parco sulla riva del iume. Nessuno aveva mai immaginato una iera a curve. Financial Times Il titano all’opera José Maria Sert, Petit Palais, Parigi ino al 5 agosto Quando morì, nel 1945, il pittore spagnolo José Maria Sert ebbe l’onore di un elogio funebre su Le Figaro, irmato da Paul Claudel che lo deinì “l’ultimo rappresentante della grande pittura”. Il complimento è accettabile solo per il formato delle opere. Ebbe committenti pubblici e privati, da Rockefeller alle Nazioni Unite. La retrospettiva ha un interesse sociologico. Dimostra come una ditta specializzata in decorazioni monumentali, quella di Sert, riuscì a imporre il suo marchio. Le Monde
YAYOI KUSAMA STUDIOS INC.
Arte
Londra
Perverso e fantastico Yayoi Kusama Tate Modern, Londra, ino al 5 giugno, tate.org.uk L’arte per deinizione è richiesta di attenzione, ma pochi artisti pretendono di essere notati come Yayoi Kusama. Ottantadue anni, per scelta ha trascorso gli ultimi trentacinque in una casa di cura psichiatrica di Tokyo. Nel 2008 un suo dipinto è stato venduto all’asta per 5,1 milioni di dollari, record per un’artista donna vivente. Oggi una retrospettiva ossessivo-compulsiva corona i suoi sogni alla Tate. Per una famiglia patriarcale e con-
servatrice come la sua, dedicarsi all’arte era come ammettere la follia, una condizione che Kusama ha sempre temuto e alimentato. Da bambina sostiene di aver soferto di allucinazioni ed esperienze extracorporee tradotte in dipinti paranoici e vividi sin dagli anni cinquanta. Nel tempo sviluppa un profondo odio per le immagini falliche. La risposta alle conturbanti esperienze giovanili è l’autoannientamento ottenuto coprendo se stessa e il mondo con punti colorati. Altrove, ambienti rilessi all’ininito
proiettano i punti colorati in dimensioni che l’occhio riesce diicilmente a captare. La punteggiatura di Kusama investe ogni cosa. Accanto ai progetti che negano l’identità delle cose, l’artista ha cercato di superare l’ansia fallica attraverso una terapia d’urto, giacendo tra ininite forme falliche fatte di stofa e dichiarando un piacere perverso. Kusama si aggira per la mostra come una bambina nel suo mondo fantastico, su una sedia a rotelle a pois, con un vestito a pois. The Observer
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Pop Scrivere i soldi John Lanchester ltre a essere il più grande poeta statu- nei romanzi della Austen è la totale mancanza di illunitense del novecento, Wallace Ste- sioni sull’importanza del denaro per la vita dei suoi pervens era un importante professioni- sonaggi, e soprattutto per la loro vita sentimentale. Ma sta nel settore delle assicurazioni. non c’è nulla sui soldi in quanto tali, nulla su come funConosceva bene il mondo degli afa- zioni veramente questo aspetto centrale del mondo. Passiamo al giorno d’oggi, e questa assenza contiri e aveva tutte le carte in regola per formulare la sua celebre osservazione che “i soldi sono nua. È evidente soprattutto nella narrativa letteraria, che spesso sembra avere una vera e propria avversione una specie di poesia”. Ho detto spesso questa frase a persone che lavorano per la descrizione del lavoro in generale e del lavoro icon i soldi, e mi è sempre sembrato che sapessero bene nanziario in particolare. Lo stesso non si può dire per la cosa intendeva dire Stevens, anche se è una battuta dif- narrativa di genere, che ofre una serie di coraggiosi tentativi di rappresentare il mondo dei icile da spiegare. I soldi sono come la poesia perché tutti e due impongono I soldi sono come la soldi, dal romanzo di Arthur Hailey del d’imparare a comunicare in un linguag- poesia, c’è una sorta 1975, I boss del dollaro ino al recente L’ingio compresso che racchiude signiicato di bellezza nel modo dice della paura di Robert Harris. Hailey non è più molto di moda oggi, ma i suoi e rilevanza nel minimo spazio semantico. in cui funzionano: romanzi – che studiano un ambiente alla Sono come la poesia anche perché c’è una mancanza volta: aviazione, alberghi, ospedali – un una sorta di bellezza nel modo in cui fun- di ipocrisia, di tempo erano best seller infallibili, sopratzionano i soldi, almeno dal punto di vista ridondanza o tutto perché assicuravano al lettore il piamatematico: una mancanza di ipocrisia, di qualunque altra cere di trame a lieto ine insieme a mondi ridondanza o di qualunque altra cosa cosa che serva solo tagne di informazioni. I boss del dollaro che serva solo a se stessa. ha una scena eicacissima che descrive Si noti che Stevens non ha mai scritto a se stessa l’assalto agli sportelli di una banca trenun verso che siorasse il mondo dei soldi. Non è il solo. Si potrebbe stilare un intero canone dei tadue anni prima che ne vedessimo uno dal vivo alla massimi poeti in lingua inglese composto da persone Northern Rock. Ma questo modo di sporcarsi le mani e che hanno avuto una lunga carriera professionale a di afrontare concretamente il mondo della inanza è stretto contatto con il mondo degli afari, da Geofrey assente dalla narrativa non di genere. Non lo era nell’otChaucer (dogana), a Edmund Spenser (governo e am- tocento, quando scrittori come Balzac, Dickens e Trolministrazione) a John Milton (come sopra) ino a T.S. lope s’interessavano ai soldi come a tutto il resto. Perché? In parte è colpa della deinizione di letteraEliot (banche ed editoria) e Stevens. E questo pantheon diicilmente ha scritto qualcosa sul mondo del lavoro e tura. Un critico letterario francese una volta mi ha detdei soldi. Sembra irragionevole aspettarsi che i poeti to: “Se i francesi amano autori come Nick Hornby o afrontino problemi pratici, eppure è possibile: tenete Jonathan Coe è anche perché scrivono di quello che fa presente che le Georgiche di Virgilio avevano l’esplicita la gente e dimostrano interesse per la vita normale, coambizione di essere un manuale di agricoltura oltre che me i vestiti, la musica e andare al supermercato. Qui in Francia il romanzo non lo fa. Il romanzo pensa a se stesun resoconto della vita pastorale. Nel canone della narrativa questo vuoto salta anco- so in lettere maiuscole. Il romanzo serio da noi parla ra più agli occhi. I romanzi, come ha osservato una volta soprattutto della vita interiore dei personaggi e gli scritIris Murdoch, “sono pieni di materiale”. Intendeva ma- tori non vogliono metterci la vita di tutti i giorni perché teriale come cose, oggetti, luoghi, ma anche nel senso lo renderebbe meno letterario”. Da Parigi è facile diagnosticare questo atteggiamendi informazioni, avvenimenti, andare e venire. Il “materiale” dei romanzi tocca ogni aspetto del mondo e to, che però ha un certo peso anche in inglese. Io do la della vita delle persone. Per questo colpisce quanto po- colpa a Henry James. È stato il primo grande scrittore di co ci sia sul mondo dei soldi. Si prenda Jane Austen. Le lingua inglese a rendere il romanzo consapevole di essue opere sono incredibilmente attuali sotto quasi ogni sere un’opera d’arte, preoccupata dei suoi procedimenaspetto, e le sue intuizioni psicologiche valgono per i ti formali e dominata da regole sul punto di vista del nostro giorni proprio come per duecento anni fa. In par- narratore. T.S. Eliot deinì questo atteggiamento facente, quel che appare così toniicante e contemporaneo do a James quello che si suppone sia un complimento:
O
JOHN LANCHESTER
è uno scrittore e giornalista britannico. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Dalla bolla al crac (Fusi orari 2008). Questo articolo è uscito sul Financial Times con il titolo Show me the money.
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OLIMPIA ZAGNOLI
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Pop
Storie vere Jessie Wakelin stava passeggiando in un parco di Bluf, in Nuova Zelanda, con suo iglio Zachery, di tre anni. Quando lui ha chiesto di andare in bagno è corso in una toilette pubblica ma, prima che sua madre potesse raggiungerlo, la porta si è chiusa bloccandolo. Poi una voce elettronica ha annunciato che stava per cominciare il servizio di pulizia automatico, e per dieci minuti il bambino è stato inondato d’acqua e liquido detergente mentre Jessie e una ventina di passanti cercavano di farlo uscire. Zachery ha anche schiacciato tre volte il pulsante dell’allarme, senza risultati: ha dovuto subire tre cicli di lavaggio completi. Ora dice di aver paura del “bagno cattivo” e non vuole più fare la pipì da solo.
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disse che James “aveva una mente così sottile che nessuna idea poteva violarla”. Con questo non si vuole dire che non ci siano molti grandi artisti nella tradizione precedente. Ma James aveva una sua idea di quello che era appropriato o non appropriato al regno dell’arte, un’idea che Defoe, Dickens, Thackeray o George Eliot avrebbero riiutato. James credeva che certi argomenti non potessero essere arte. Questa è una convinzione sbagliata, ed è il motivo per cui, nonostante la sua grandezza di scrittore, l’inluenza di James sul romanzo inglese è controversa, e si riassume per me in una lacuna del suo grande romanzo Gli ambasciatori (1903). Uno dei personaggi, Chad Newsome, discende da una famiglia diventata ignobilmente ricca grazie alla produzione – e qui viene il bello – “di un piccolo oggetto banale, piuttosto ridicolo, del più comune uso domestico”. Sono tutte le informazioni che otteniamo, ed è per questo che Tolstoj, Dickens, Balzac, Stendhal, Eliot, Melville e Flaubert sono, in ultima analisi, scrittori più grandi del programmaticamente “artistico” James. Nessuno di loro ci avrebbe risparmiato il brivido di sapere esattamente su cosa si fondava la fortuna familiare di Newsome (chi se ne intende scommette che fosse qualcosa di attinente ai gabinetti). Gli scrittori che emergono dall’ombra di James corrono sempre il rischio di lasciare fuori elementi della condizione umana che dovrebbero esserci. Il secondo motivo per l’assenza dei soldi dalla narrativa ha a che fare con la velocità dei cambiamenti. Il romanzo non ha bisogno di essere deliberatamente artistico nei suoi interessi, ma ha assoluto bisogno di essere umano. I ritmi della vita, dei pensieri e dei sentimenti umani sono quello che sono, e a livello profondo direi che non sono molto cambiati. I ritmi del denaro sono diversi e i suoi dettagli concreti cambiano con straordinaria rapidità, tanto che un romanzo sulle tendenze inanziarie di questi mesi rischierebbe di essere irreparabilmente superato se fosse pubblicato tra un paio d’anni. Questo rischio è dimostrato da un libro che amo molto, uno dei miei romanzi contemporanei preferiti, Si spengono le luci (1993) di Jay McInerney. Il romanzo è ambientato nel mondo dell’editoria di New York alla ine degli anni ottanta: Russell Calloway, un redattore che non riesce a fare carriera, si fa contagiare dalla corsa alle acquisizioni e decide di comprare l’illustre e antica azienda letteraria per cui lavora. Il tono è splendidamente bilanciato tra luce e ombra ino al crollo dell’ottobre 1987: l’oferta di acquisto non va in porto e Russell perde il lavoro e forse anche il matrimonio. Il romanzo si conclude con toni tristi e pessimistici che echeggiano il suo bel titolo e danno una sensazione generale di declino, malinconia e ine di una festa. Questo, di fatto, era sbagliato: il crollo del 1987 fu solo una battuta d’arresto, e l’intero delirio inanziario ricominciò più forte e più a lungo di prima. Questo signiica che Si spengono le luci è un compendio perfetto di quelli che si rivelarono un umore e una fase di breve durata: il suo tono e la sua prospettiva più ampia sono stati in larga misura smentiti da quanto è successo dopo. Il romanzo cercò di cogliere un momento nel mondo del denaro, ma non lo capì, e questo è sempre un rischio.
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Il terzo e ultimo motivo per cui la letteratura diida della inanza riguarda la complessità. Questo non vale solo per i soldi, ma anche per molti altri campi del sapere moderno, come il diritto e la medicina. Questi due settori vengono spesso raccontati in televisione, anzi sono veri e propri pilastri del piccolo schermo, ma devo ancora conoscere un professionista dell’una o dell’altra disciplina che sia soddisfatto del ritratto televisivo del suo lavoro. Per mettere in scena questi mondi bisogna sempliicare tutto ino alla caricatura. Per comprimere la loro complessità in una storia, bisognerebbe spiegare argomenti complicati e dare alla spiegazione tutto il tempo e lo spazio di cui ha bisogno. Ma nella narrativa non si può spiegare, non nel modo e con l’ampiezza necessari. Nella fantascienza, questa sorta di indispensabile tappabuchi si chiama “mi dica, professore”. Un personaggio pronuncia queste parole e dà il via a una lunga spiegazione dei motivi per cui la propulsione a curvatura non permetterà al protagonista di viaggiare nel vortice di lusso continuo o qualunque altra cosa la trama richiede che faccia. Però le spiegazioni bloccano il racconto. Vanno bene a piccole dosi, come pillole di razionalità prima dello sviluppo del dramma, ma prova a mettere qualcosa di più lungo e il lettore si sveglierà ore dopo per il tintinnio del lattaio che lascia le sue bottiglie davanti alla porta di casa. Io ne sono molto consapevole, perché alla ine del 2005 mi sono messo a scrivere un romanzo sulla Londra di oggi e l’intera struttura della storia conteneva l’idea di un imminente crollo economico. Sapevo che ci sarebbero voluti alcuni anni per scrivere il libro, ed ero sicuro che ci sarebbe stata una crisi prima che l’avessi inito, anche se pensavo che si sarebbe trattato di un normale crac immobiliare. Avevo insieme torto e ragione. Quando è arrivato il crollo, mentre stavo ancora scrivendo il romanzo, si è rivelato qualcosa di molto più allarmante e sistemico. Così quando ho inito una bozza del libro, all’inizio del 2009, l’ho messa da parte per qualche mese per scrivere una ricostruzione non narrativa della crisi, Whoops!, un libro che è uscito nel 2010. Le due ragioni principali per farlo erano perché era straordinariamente interessante e perché così avrei evitato di dover spiegare tutto nel mio romanzo. Potevo esporre i dettagli della mia ricerca, che richiedono spiegazioni, nel saggio, e nel romanzo concentrarmi sulle verità umane, che non richiedono spiegazioni. Avidità, paura e incosapevolezza sono cose che conosciamo tutti. Nella narrativa, potevo scriverne senza costringere i personaggi a dire: “Daphne, per favore potresti ricordarmi cos’è esattamente un credit default swap?”. Questo signiica che diicilmente ci saranno molti romanzi pronti a descrivere nei particolari il mondo della inanza di oggi, proprio come è improbabile che ce ne siano parecchi sulle sfumature di qualunque altra professione: oggi sono troppo complesse e specialistiche. C’è qualcosa di triste in tutto questo, ma almeno signiica che i romanzieri sanno dove devono concentrarsi: sulle verità delle persone, che rimangono vere. Siamo tornati alla poesia e all’osservazione di Ezra Pound: “La letteratura è una notizia che rimane notizia, una novità che resta nuova”. u gc
Centro dell’universo Simon Rich l primo giorno dio creò il cielo e la terra. dio disse: “Sia la luce”, e la luce fu. dio vide che la luce era cosa buona. e fu sera: prima notte. Il secondo giorno dio separò le acque dal cielo. egli disse: “Sia l’orizzonte”. ed ecco: ap parve un orizzonte e dio vide che era cosa buona. e fu sera: seconda notte. Il terzo giorno venne a trovarLo la sua ragazza e gli fece notare che ultimamente era stato molto sulle Sue. “Scusami”, rispose dio. “Questa settimana al lavo ro ho avuto un da fare pazzesco”. egli le sorrise ma lei non ricambiò il sorriso. e dio vide che non era cosa buona. “Non ci vediamo mai”, protestò lei. “Non è vero”, obiettò dio. “Proprio la settimana scorsa siamo andati al cinema”. Lei precisò: “guarda che era il mese scorso”. e fu sera: una notte di tensione. Il quarto giorno dio creò le stelle, per separare la lu ce dalle tenebre. Quando aveva quasi finito, dette un’occhiata al cellulare e Si rese conto che erano quasi le nove e mezza. “merda”, egli esclamò. “Stavolta Kate mi am mazza”. Terminò la stella cui stava lavorando e prese al volo un taxi per tornare a casa. “Scusami, ho fatto tardi!”, egli disse entrando. ed ecco: lei non gli rispose nemmeno.
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“hai fame?”, egli le chiese. “Sia lo yogurt!”. e fu quello strano yogurt ipocalorico che le piaceva tanto. “guarda che stavolta non attacca”, fece lei. “Senti”, disse dio, “lo so che adesso stiamo passan do un periodo diicile. Però questo lavoro che sto fa cendo è solo temporaneo. appena inisco di rimborsare i miei mutui a tasso agevolato per studenti, mi trovo qualcos’altro con degli orari più decenti”. ed ella gli fece notare: “Io ho un lavoro a tempo pie no, eppure io ci sono sempre, per te”. ed egli le rispose: “Sì, ma il lavoro che fai tu è di verso”. ed ecco: egli comprese all’istante di aver commesso un terribile errore. “allora tu pensi che il mio lavoro sia meno impor tante del tuo!”, fece lei. “ma no!”, esclamò dio. “figurati! So quant’è diici le il commercio al dettaglio, e mi tolgo tanto di cappello per quanto sei brava!”. “Oggi ho dovuto parlare con quattordici clienti per ché c’è la settimana della moda, e non ho neanche avu to il tempo di fare la pausa pranzo”. “Bestiale”, disse dio. “Lavori in un modo bestiale”. “e tu come fai a saperlo, che non mi chiedi mai com’è andata la mia giornata? ma se non fai altro che parlare del tuo lavoro per ore e ore, come se tu fossi il centro dell’universo!”. dio disse: “Sia un massaggio alla schiena”. e comin ciò a massaggiarle la schiena. ed ella così gli si rivolse: “Non è che domani ti puoi prendere un giorno di permesso?”. dio rispose: “ma come, tu domani non devi andare al lavoro? hai detto che c’è la settimana della moda…”. “Posso darmi malata”. e a dio venne voglia di dirle: “Se il tuo lavoro è tanto importante, come mai ti puoi prendere una giornata ogni volta che ti salta il ghiribizzo?”. ma egli sapeva che
SIMON RICH
è un umorista statunitense nato nel 1984. Scrive per Saturday Night Live. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Il compagno di banco (Newton Compton 2011). Questo racconto è uscito sul New Yorker con il titolo Center of the universe.
fraNCeSCa ghermaNdI
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Pop non sarebbe stata una buona idea. Allora le disse: “Domenica ho la giornata libera. Possiamo prendercela un po’ comoda, domenica”. Il quinto giorno Dio creò i pesci e gli uccelli ainché nuotassero nel mare e volassero in aria, ciascuno secondo la sua specie. Poi, per migliorare le Sue quotazioni, chiuse la porta del Suo uicio e telefonò a Kate. “Che bello sentire la tua voce!”, esclamò lei. “Oggi è una giornata bestiale”. “Dài, raccontami tutto”, disse Dio. “Allora: Caitlin ha deciso di dare una festa per Jenny la settimana prossima, ma Jenny l’ha presa in un modo talmente assurdo che non so nemmeno se alla ine la festa si farà”. “Cose da pazzi”, commentò Dio. E lei continuò a parlarGli delle sue amiche che si erano dette un sacco di cattiverie, ciascuna secondo la sua specie. E mentre Gli ripeteva qualcosa che Jenny aveva detto a Caitlin, a Dio venne l’idea di fare delle creature che camminano sulla terra. Però non poteva riattaccare il telefono, perché Kate stava ancora parlando. Allora coprì il ricevitore e bisbigliò: “Siano gli elefanti”. E gli elefanti furono, e Dio vide che era cosa buona. Ma ecco: lei Lo aveva sentito creare gli elefanti. “Oh mio Dio”, fece. “Ma non mi stai neanche a sentire?”. “Kate…”. “È chiarissimo!”, strillò lei. “Quello stupido pianeta t’interessa mille volte più di me!”. Dio avrebbe voluto correggerla: non stava creando soltanto un pianeta, bensì un universo intero. Ma Egli sapeva che non sarebbe stata una buona idea dire una cosa del genere proprio in quel momento. Invece Egli disse: “Sta’ a sentire: mi dispiace davvero, ok?”. Ma ecco: lei Gli aveva già riattaccato il telefono in faccia.
Il sesto giorno, Dio si dette malato e per fare una sorpresa a Kate andò a trovarla nel suo negozio a Chelsea. Lei era nel retro che leggeva una rivista. “E tu che ci fai qui?”, esclamò lei. “Ho dato buca al lavoro”, Egli rispose. “Avevo voglia di passare la giornata insieme a te”. “Davvero?”, fece lei. “Davvero”, Egli rispose. Ed ecco: lei Gli scoccò un sorriso talmente radioso che Egli capì di aver preso la decisione giusta. Si fermarono a una bodega a comprare un po’ di birre e andarono a bersele su una panchina di Prospect park. E Kate Gli fece vedere un gioco che le aveva insegnato la sua amica Jenny e che si chiamava “Preferiresti?”. “Mica lo so se mi va di fare un gioco”, disse Dio. Ma lei Lo fece giocare lo stesso, e dopo qualche mano Egli vide che era cosa buona. Continuarono a giocare per tutto il pomeriggio, ridendo l’una delle risposte dell’Altro. Quando calò il fresco della sera, Dio le stropicciò le spalle per riscaldarla e lei Gli dette un bacio sul collo. “Lo sai che cos’è che mi andrebbe di fare adesso?”, disse Kate. Dio sentì montarGli la tensione. “Che cosa?”. “Andare al cinema”, disse lei. E Dio rise, perché era esattamente la stessa cosa di cui aveva voglia Lui. Decisero di andare a vedere I Muppet, perché avevano sentito dire che era un bel ilm. Si divertirono un mondo, e inito il ilm Dio fermò un taxi, così non dovevano stare lì tutta la notte ad aspettare il metrò. “Ti amo”, disse Kate mentre si appisolava seduta sul sedile posteriore. “Ti amo tanto”. “Anch’io ti amo”, disse Dio. Ed entrambi videro che era cosa buona. Il settimo giorno Dio mollò il lavoro, e la terra non la inì mai. u ma
Scuole Tullio De Mauro
Insegnare anche a luglio Nel 2011, commentando i dati del Programme for international students assessment (Pisa), El País rilevò con interesse che la quantità di denaro destinata all’istruzione non è decisiva per migliorare i risultati dell’apprendimento. Contano di più motivazione e qualità degli insegnanti e organizzazione delle scuole. Con un investimento in pil inferiore alla media Ocse e perino alla percentuale italiana, la Spagna non può permettersi grandi aumenti di investimento. In tempi di crisi lo stesso vale per altri
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paesi. Vale anche per l’Italia, simile alla Spagna quanto ad andamento della scolarità? L’Italia si avvantaggia per un minor numero di analfabeti, stando ai dati uiciali, per una percentuale un po’ superiore di quindicenni che raggiungono i livelli massimi nei test Pisa e perché le ragazze italiane rispetto ai maschi sono talmente più brave da collocarsi intorno alla media europea (i maschi sono nettamente al di sotto). Ma, per il resto, i due paesi sono appaiati. Diverso però, per for-
tuna della Spagna, è l’impegno delle classi dirigenti per università e scuole. Gli interventi scolastici delle generalità (simili alle nostre regioni, ma con maggiori poteri) come quella di Valencia si rivolgono agli insegnanti per ottimizzare il funzionamento delle scuole, che resteranno aperte ino a sera per ospitare l’istruzione degli adulti. José Císcar, portavoce del governo, ha inoltre chiesto agli insegnanti di tenersi a disposizione anche a luglio per lavorare con gli alunni in diicoltà. u
ChIARA DATTOLA
Scienza
Gli eccessi della prevenzione H. Gilbert Welch, The New York Times, Stati Uniti I problemi di salute è meglio afrontarli il prima possibile. Ma con che frequenza e ino a che punto dobbiamo anticipare i sintomi? L’opinione di un medico statunitense a diagnosi precoce è diventata uno dei precetti fondamentali della medicina moderna. L’idea è che il modo migliore per rimanere in salute è scoprire in tempo se si sofre di cardiopatia, autismo, glaucoma, diabete, problemi vascolari, osteoporosi o, naturalmente, cancro. E per farlo bisogna sottoporsi a dei controlli. Sembra una questione di buon senso: meglio afrontare i problemi il prima possibile. Da non molto, però, tra i medici l’entusiasmo per la diagnosi precoce sembra in calo. Ci sono dubbi sul test per il cancro alla prostata negli uomini sani e si tende a ridurre la frequenza di quello per il cancro al seno e alla cervice uterina. Ci si chiede se l’individuazione e il trattamento del diabete allo stadio iniziale non siano eccessivi e si riconosce sempre più spesso che la deini-
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zione di cos’è l’autismo è troppo ampia. La strategia alla base della diagnosi precoce è quella d’incoraggiare le persone sane a farsi esaminare per stabilire se, invece, non siano malate. Ma indagare a fondo alla ricerca di problemi è davvero il modo migliore per promuovere la salute? Diagnosi e cure eccessive rischiano di diventare il problema. Esaminare chi sembra sano può salvare la vita ad alcuni (anche se il National cancer institute non è riuscito a trovarne le prove nei suoi recenti e vasti studi sullo screening per il cancro alla prostata e alle ovaie), ma rischia di trascinare inutilmente gli altri nel sistema: in appuntamenti inutili, esami inutili, farmaci inutili e interventi inutili.
Curare i sani Così non si promuove la salute, ma la malattia: si genera ansia nelle persone, che subiscono gli efetti collaterali dei farmaci e delle complicazioni operatorie. A volte muoiono. E pensare che quando sono entrate nel sistema sanitario si sentivano bene. Non è sempre stato così. In passato i medici diagnosticavano e prescrivevano le cure solo ai pazienti che presentavano problemi. Ovviamente si fa anche oggi, ma sempre di più agiamo anche in base al pre-
cetto della diagnosi precoce: formuliamo una diagnosi e avviamo una terapia in persone che non hanno problemi. Si tratta di un profondo cambiamento, da un approccio che si concentrava sui malati a uno che si concentra sui sani. Mettiamola così: in passato si andava dal medico perché c’era un problema e lo si voleva risolvere. Oggi si va dal medico perché si vuole rimanere in salute e si viene invece a sapere di avere un problema. Come siamo arrivati a questo punto? Di chi è la colpa? Una risposta è l’industria sanitaria: trasformando le persone in pazienti, lo screening frutta molti soldi a case farmaceutiche, ospedali e medici. Una risposta più facile alla domanda è: Richard Nixon. È stato lui a puntare sulla prevenzione, fondamentale per promuovere la riorganizzazione del sistema sanitario e la lotta al cancro volute dalla sua amministrazione. Tuttavia, visto che la promozione della salute – che dipende soprattutto da una dieta sana, esercizio isico e niente fumo – non rientrava nella cultura biomedica, la prevenzione è stata trasformata in una ricerca ad alta tecnologia della malattia nel suo stadio iniziale. Alcuni medici hanno ammesso da tempo che per la loro comunità questa modalità è una distrazione. Trasformare le persone in nuovi pazienti è più facile che curare i malati. Inventare nuovi esami è più facile che inventare cure migliori. Il precetto della diagnosi precoce, però, era troppo intuitivo, troppo seducente, troppo diicile da smontare e troppo facile da sostenere. Alcuni segnali dimostrano che la situazione sta cambiando. Ovviamente la diagnosi precoce non è sempre sbagliata. Meglio vedere il paziente all’inizio di un infarto piuttosto che aspettare la comparsa di pressione bassa e battito irregolare. O esaminare una donna con dei piccoli noduli al seno invece di aspettare la formazione di masse più grandi. La domanda è con quale frequenza e ino a che punto dobbiamo anticipare i sintomi. Forse staremmo tutti meglio se il sistema sanitario si avvicinasse un po’ di più alla sua missione originaria di aiutare i malati e lasciare in pace i sani. u sdf H. Gilbert Welch, docente di medicina presso il Dartmouth institute for health policy and clinical practice, è autore di Overdiagnosed: making people sick in the pursuit of health.
Farmaci
biologia
letargo embrionale Anche gli embrioni di mammifero vanno in letargo, scrive Plos One. È un fenomeno adattativo che s’innesca quando l’organismo materno capta dei segnali di pericolo (stress, bassa temperatura, carenza di cibo) e per salvaguardare l’embrione ne posticipa l’impianto nell’utero. Si pensa che la diapausa embrionale riguardi solo pochi mammiferi selvatici, come orsi e topi. Ma dei biologi dell’università di teramo sono riusciti a far entrare in diapausa anche degli embrioni di pecora domestica. Secondo i ricercatori, lo studio dimostra che la diapausa embrionale è una facoltà conservata nei mammiferi, esseri umani compresi. Il fenomeno potrebbe spiegare le gravidanze prolungate che, se superano le 42 settimane di gestazione, oggi sono interrotte stimolando il parto o ricorrendo al taglio cesareo.
salute
sale l’epatite C negli stati uniti dal 2007 l’epatite C negli Stati Uniti causa più morti dell’aids. due terzi dei 3,2 milioni di persone infettate dall’epatite C sono nati tra il 1945 e il 1964. Questi baby boomers stanno ormai raggiungendo l’età in cui le malattie legate all’epatite C si aggravano, a volte provocando la morte. Servono migliori trattamenti e più informazione, scrive la rivista Annals of Internal Medicine.
ANN INterN Med/the eCONOMISt
Stati Uniti, numero di morti ogni 100mila persone, per malattia 6 Hiv 4 Epatite C 2 Epatite B 0
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2003
2005
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ANdré KArwAth
a caccia di efetti collaterali Science Translational Medicine, Stati Uniti Per quanto estese e approfondite, spesso dalle sperimentazioni cliniche non emergono tutti gli efetti collaterali di un farmaco. I dati sui medicinali sono raccolti perciò anche dopo la messa in commercio, quando sono provati da milioni di persone. Ma questa importante attività di sorveglianza farmacologica è comunque insuiciente. I rapporti spontanei raccolti sono parziali: spesso non tengono conto dell’interazione con altri farmaci, della storia medica del paziente, delle sue caratteristiche e del motivo della scelta del farmaco. Per ovviare al problema è stato creato un algoritmo che scava nell’immensa miniera dei rapporti post market e individua gli efetti collaterali nascosti. Per esempio, il programma ha trovato per ogni farmaco una media di 329 eventi avversi, contro i 69 segnalati in media dal bugiardino. Il sistema aiuta anche a chiarire le interazioni tra farmaci, e non solo: cogliendo le analogie negli efetti collaterali di farmaci tra cui non c’è alcun rapporto evidente, mette in luce i meccanismi di azione delle medicine. Secondo Science translational Medicine, il programma potrebbe contribuire a migliorare l’individuazione e la previsione degli efetti collaterali dei farmaci e le loro interazioni. u
in breve
Neuroscienze I moscerini della frutta riiutati dalle femmine si danno all’alcol. È quanto emerge da uno studio su Science che ha individuato un circuito cerebrale per la gratiicazione, importante per capire il fenomeno della dipendenza anche negli esseri umani. Gli insetti in astinenza dal sesso hanno nel cervello valori più bassi del normale di una sostanza, l’Npf, che li spinge a cercare una compensazione consumando cibi con un contenuto alcolico. Paleontologia I fossili umani trovati nel sudovest della Cina potrebbero appartenere a un gruppo inora sconosciuto. L’ipotesi, spiega Plos One, è che si tratti dei resti di una specie arcaica di Homo, che avrebbe lasciato l’Africa in tempi remoti e si sarebbe sviluppata in Asia. Sarebbe vissuta ino a circa 14mila anni fa, quando nella regione erano già arrivati gruppi umani moderni, ma senza mai mescolarsi geneticamente con loro.
Davvero? Anahad O’Connor
Forever 27 club Per le rockstar e le popstar famose i 27 anni sono un’età a rischio? La cantante Amy winehouse è morta nel luglio 2011 all’età di 27 anni e si è così assicurata un posto nello sventurato “Forever 27 club”. Si è unita a Kurt Cobain, Jim Morrison, Jimi hendrix, Janis Joplin e altri famosi musicisti morti a 27 anni. L’idea che questa sia un’età pericolosa per le star ai vertici delle classiiche circola da un
po’ di tempo. Così alcuni scienziati hanno deciso di veriicarla.hanno esaminato i dati su 1.046 musicisti che hanno avuto un album al primo posto delle classiiche britanniche tra il 1956 e il 2007. In quell’arco di tempo ne sono morti 71. Il rischio di morte per i musicisti famosi tra i 20 e i 40 anni è doppio o triplo rispetto a quello dei comuni cittadini, ma non c’è alcun picco a 27 anni. L’idea del picco è solo un mito, hanno scritto i ricercato-
ri sul British Medical Journal. Lo studio ha individuato un numero elevato di decessi nella fascia d’età 20-40 anni negli anni settanta e nei primi anni ottanta, ma non alla ine degli anni ottanta. Probabilmente il calo delle morti premature è legato alle migliori cure per overdose e al diverso stile di vita delle stelle del pop rispetto a quelle del rock. Conclusioni Il Forever 27 club sembra essere solo un mito. The New York Times
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Il diario della Terra Ethical living Norvegia
Portatile o da tavolo?
Pakistan 5,6 M Giappone
Messico 7,4 M Sahel
Arabia Saudita, Yemen
46,1°C Abu Na’Ama, Sudan
Filippine 5,9 M
Papua Nuova Guinea 6,4 M
Lua Koji Australia -66,7°C Vostok, Antartide
fame nella regione del Sahel, colpita da una grave siccità.
FAYEZ NURELDINE (AFP/GEttY)
Riyadh, Arabia Saudita
Valanghe Cinque escursionisti – quattro svizzeri e una guida francese – sono morti travolti da una valanga sul monte Sorbmegaisa, nel nord della Norvegia. Un altro svizzero è sopravvissuto.
Tempeste di sabbia Una tempesta di sabbia ha colpito la regione del Golfo. Il governo saudita ha ordinato la chiusura delle scuole nel nord, nell’est e nel sudovest del paese, oltre che nella capitale Riyadh. Centinaia di persone, in maggioranza bambini, sono state ricoverate con problemi respiratori. La tempesta ha anche disturbato il traico aereo a Sana’a e ad Aden, nello Yemen.
Siccità L’Unicef ha chiesto aiuti alimentari urgenti per evitare che quest’anno un milione e mezzo di bambini di meno di cinque anni sofra la
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Vulcani Il Sakurajima, nel sud del Giappone, si è risvegliato proiettando pietre incandescenti – alcune con un diametro ino a 45 centimetri – a quasi due chilometri di distanza.
Orsi Il letargo può aiutare gli orsi bruni a guarire da ferite e infezioni, scrive Integrative Zoology, nonostante il normale abbassamento della temperatura corporea che di solito rallenta la guarigione. Grano È stata creata una varietà di grano resistente al sale, grazie a un incrocio tra il grano duro e una varietà molto arcaica e resistente. La nuova varietà ha una resa nei terreni salini del 25 per cento più alta del grano duro, scrive Nature Biotechnology.
CItRoN/WIKIMEDIA
Terremoti Un sisma di magnitudo 7,4 sulla scala Richter ha colpito il sudovest del Messico. Almeno undici persone sono rimaste ferite e centinaia di case sono state danneggiate. Altre scosse sono state registrate nel sud delle Filippine, in Papua Nuova Guinea e nel nord del Pakistan.
Cicloni Il ciclone Lua ha portato forti piogge alla costa nordoccidentale dell’Australia. u Il ciclone Koji si è indebolito nell’oceano Indiano centrale.
Conigli Le forti piogge degli ultimi due anni hanno fatto aumentare la popolazione dei conigli in Australia. Gli animali, importati nel paese nel 1859, minacciano di distruggere le colture.
Calamari I calamari giganti e colossali hanno occhi grandi come un pallone. Queste dimensioni, scrive Current Biology, gli permettono di individuare a 600 metri di profondità i predatori, come i capodogli, a più di 120 metri di distanza.
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I computer portatili consumano in genere meno corrente elettrica di quelli da tavolo, i desktop. Ma è meglio usare la batteria o collegarli alla rete elettrica? La risposta, come spesso avviene nelle questioni di risparmio energetico, dipende da molti fattori, ma di solito è meglio l’alimentazione della rete. Secondo Slate, il motivo per cui il portatile è più verde del desktop è semplice: è stato progettato per risparmiare energia. Altrimenti dovrebbe avere batterie molto voluminose e pesanti. Si stima che un portatile consumi in media l’80 per cento di energia in meno di un desktop. Per tagliare ulteriormente i consumi i fabbricanti permettono ai portatili di funzionare in una modalità di risparmio energetico quando sono alimentati a batteria. È quindi utile selezionare sempre questa opzione, anche se lo schermo potrebbe diventare un po’ meno brillante e il computer più lento. Ma è meglio la batteria o la rete elettrica? Probabilmente la rete: si calcola che nel processo di caricamento di una batteria e del suo uso successivo si perda circa il 20 per cento dell’energia. Rimane il dubbio che tenendo il computer attaccato alla rete si riduca il tempo di vita della batteria. E su questo le indicazioni dei produttori sono discordanti. Infine, quando si spegne il portatile è bene scollegare dalla rete il trasformatore. Si stima che in molti paesi i consumi degli apparecchi in stand-by rappresentino tra il 5 e il 10 per cento dei consumi domestici di elettricità.
Il pianeta visto dallo spazio 09.11.2011
EarTHoBSErvaTory/NaSa
Il Bangladesh
India
Brahmaputra
India Gange
Bangladesh
Nord Birmania
100 km
u Tra i quaranta e i cinquanta milioni di anni fa la collisione tra l’India e l’Eurasia diede origine alla catena dell’Himalaya. Nel tempo queste montagne, erose dall’acqua e dal vento, hanno ceduto i sedimenti che ora ricoprono la maggior parte del Bangladesh. Il 9 novembre 2011 lo spettroradiometro Modis a bordo del satellite Terra della Nasa ha
scattato questa foto della baia del Bengala, del Bangladesh e di parte dei paesi vicini, l’India e la Birmania (Myanmar). Si vedono anche le Sundarbans, la più grande foresta di mangrovie del mondo, sul delta del sistema luviale GangeBrahmaputra. La maggior parte dei sedimenti che coprono il Bangladesh è geologicamente recente
Il Bangladesh si estende su 144mila chilometri quadrati e ha una popolazione di 153 milioni di abitanti.
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ed è stata depositata negli ultimi diecimila anni. Ma nella regione sudorientale ci sono rocce che risalgono a venti milioni di anni fa. Il limo e la sabbia del delta, e le foreste di mangrovie dominano la parte sudoccidentale del paese. La sabbia e la ghiaia coprono quella nordoccidentale. Nel nordest c’è invece un misto di argilla, torba, ghiaia e sabbia.–Michon Scott
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Tecnologia Come vivere online senza distrazioni Più tempo passiamo online più diminuiscono le nostre capacità intellettive e di relazione. Scollegarsi sembrerebbe la via più rapida, ma la soluzione è imparare a concentrarsi amiglie composte da genitori distratti e da figli vitrei come lo schermo di un televisore, persone dal clic veloce incapaci di concentrarsi per più di 140 caratteri: secondo la serie del New York Times intitolata Your brain on computers (I vostri cervelli davanti ai computer) più tempo passiamo online più le nostre capacità intellettive e di relazione diminuiscono. Scollegarsi sembrerebbe la via più rapida per recuperare la calma e l’intimità, ma la vera sida è capire come vivere online. Staccare la spina del computer è più facile che afrontare i difetti legati a internet. Ed è altrettanto facile sottrarsi a quella che, per molti, è una triste verità: possiamo staccarci dalla rete per un’ora, un giorno o anche una settimana, ma scollegarsi per sempre non è più possibile. Però possiamo ritrovare la sostanza e la concentrazione nella nostra presenza in rete. Chiamatela pure “nuova sconnessione”: un modo per trattare il tempo online con la stessa serietà che riserviamo alle nostre interazioni reali.
KEvIN vAN AElST
Alexandra Samuel, The Atlantic, Stati Uniti
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Scollegarsi dalla distrazione. Se usate spesso tre schermi alla volta, la distrazione può diventare uno stile di vita. Ma stare su internet è sinonimo di distrazione solo se crediamo che quello che merita la nostra attenzione sia per forza oline. A volte è proprio lo schermo – con un’email, un video o un post illuminante – ciò su cui vale la pena concentrarsi. Spegnete il cellulare, accostate la porta, chiudete le applicazioni che potrebbero disturbarvi. Impegnatevi in una sola attività, come se vi trovaste nel mezzo di una conversazione importante. Scollegarsi dalla paura di perdere
qualcosa. Questa è una di quelle nevrosi che i social network hanno esasperato. Probabilmente, quando Facebook o Twitter ancora non esistevano ci sono state delle conferenze a cui non avete partecipato o dei concerti che non avete visto perché non sapevate che ci fossero. Oggi i social network ci ricordano continuamente le cose fantastiche che gli altri stanno vivendo. Il rimedio è accettare di non poter essere ovunque e fare tutto. Però potete nascondere gli aggiornamenti o i tweet degli amici che non smettono di vantarsi delle loro esperienze. Scollegarsi dalla sconnessione. Spesso proviamo l’impulso a scollegarci dopo aver visto un papà ai giardinetti tutto preso dal suo Blackberry, o una famiglia raccolta nella stessa stanza ma rivolta a quattro schermi diversi. Non è detto, però, che scollegarsi sia la risposta migliore. Al contrario, le famiglie devono capire quali sono gli strumenti che le aiutano a dialogare meglio. Nel libro The happiness project, Gretchen Rubin suggerisce alle coppie di trovare un gioco da fare in casa e uno all’aria aperta. Nell’era di internet, sia le coppie sia le famiglie dovrebbero anche poter contare su
un videogioco da fare insieme, un blog o un canale YouTube familiare o su un social network per comunicare meglio. Scollegarsi dall’eccesso di informazioni. Molti di noi hanno decine di email arretrate, un cumulo di articoli non letti o feed di Twitter che si aggiornano così rapidamente da non riuscire a stargli dietro. È uno dei motivi per cui spesso desideriamo prenderci una pausa dalla valanga di informazioni che ci travolgono. la soluzione è costruire un network di amici o colleghi idati, seguire solo blog che siano fonte di idee e di ispirazione, tenere un diario online per registrare i migliori risultati ottenuti. Usate internet per concentrarvi sulle cose che per voi sono importanti. Internet è una condizione incurabile, però questa è una buona notizia se capiamo come afrontare al meglio i difetti che provoca. Molti blogger raccontano com’è stato stare senza internet per un po’, ma alla ine tornano online. Potrebbe essere una dipendenza, o una banale necessità. Forse, però, torniamo online perché la rete ofre opportunità straordinarie per creare, scoprire, collegare. E invece di scappare da questo mondo, vogliamo contribuire ad arricchirlo. u afr Internazionale 941 | 23 marzo 2012
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Economia e lavoro anni il numero delle persone registrate al consolato è aumentato del 10 per cento. Gonçalves Pereira aggiunge che molti si spingono oltre Maputo e cercano opportunità in altre zone, come la città portuale di Beira e il distretto carbonifero di Tete, nel nordovest del Mozambico. Le relazioni tra i due paesi sono migliorate anche grazie alla decisione di Lisbona di cedere a Maputo l’85 per cento nella diga di Cahora Bassa, un’importante centrale idroelettrica. Lisbona aveva conservato il controllo della diga dopo l’indipendenza del 1975, scatenando una lunga contesa con il giovane stato africano.
PAoLo VErzoNE (VU/EMBLEMA)
Maputo, Mozambico
Quote per gli stranieri
I portoghesi fuggono in Mozambico Andrew England, Financial Times, Gran Bretagna Mentre il Portogallo è messo in ginocchio dalla crisi del debito, molti lavoratori cercano fortuna nell’ex colonia africana. Emigrano anche i professionisti, come gli avvocati e gli ingegneri lla ine degli anni novanta Cecilia Marques, una dentista portoghese, ha ricevuto un’oferta di lavoro in una nuova scuola di odontoiatria in Mozambico, uno dei paesi più poveri dell’Africa, che aveva cominciato una lenta ricostruzione dopo anni di guerra civile. All’epoca l’idea le era sembrata una “follia”, ma oggi le cose non stanno così: quest’anno l’economia mozambicana crescerà del 7,5 per cento, mentre in Portogallo la disoccupazione continua ad aumentare e l’economia affonda a causa della crisi dell’eurozona. Marques, 43 anni, si è trasferita poco più di un anno fa a Maputo, la capitale del Mozambico, per raggiungere il marito, che ha aperto un negozio nell’ex colonia portoghese dopo il fallimento della sua azienda in Portogallo. La coppia fa parte dell’ondata di
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portoghesi fuggiti dalla crisi del loro paese in cerca di nuove opportunità in uno degli stati più poveri ma a più rapida crescita del mondo. Questo fenomeno può essere considerato sotto molti aspetti una fuga di cervelli al contrario: non sono gli africani istruiti a partire verso un paese sviluppato, ma i professionisti portoghesi, tra cui dentisti, avvocati, architetti e ingegneri, a cominciare una nuova vita in Mozambico. A Maputo vivono circa ventimila portoghesi. Graça Gonçalves Pereira, il console generale del Portogallo, sostiene che negli ultimi due
Da sapere Variazione del pil di Mozambico e Portogallo, percentuale. Fonte: Financial Times 8 6 4 2 0 -2 -4 2006
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“Le nostre aziende scommettono sui mercati esteri, in particolare sui paesi dove si parla portoghese”, dice Patricia Gaspar, una funzionaria dell’ambasciata del Portogallo. “L’Angola, un’altra ex colonia portoghese, è un mercato più saturo e quindi ora puntiamo sul Mozambico”. Le banche portoghesi detengono già interessi negli istituti di credito mozambicani, mentre la Portucel, un’azienda che produce carta, ha comprato 360mila ettari di terra in Mozambico con l’obiettivo di creare piantagioni e aziende agricole. La Sumol Compal, un produttore di bevande portoghese, sta costruendo a Maputo uno stabilimento rivolto al mercato locale e alle esportazioni nell’Africa del sud. Anche molte aziende edili e informatiche si sono trasferite in Mozambico, e ora stanno seguendo il loro esempio piccole e grandi imprese. Ma non tutto va a gonie vele. Marques parla della frustrazione di fronte alla burocrazia: ha dovuto aspettare un anno per ottenere i documenti che le servivano a esercitare la professione di dentista. Nel paese, inoltre, ci sono quote sul numero di dipendenti stranieri di un’azienda. “È tutto molto lento”, dice Manuela Figueiredo, un magistrato che ha seguito suo marito a Maputo. Figueiredo racconta che ora i giuristi portoghesi nati in Mozambico prima dell’indipendenza stanno chiedendo la cittadinanza mozambicana per aggirare le restrizioni sull’assunzione di stranieri. L’alusso di portoghesi potrebbe anche creare scontento tra i mozambicani. “Queste persone che arrivano dal Portogallo non portano denaro e fanno concorrenza alla gente del posto”, spiega un dirigente di banca mozambicano. “In futuro questo potrebbe diventare un problema”. u fp
IRAN
La bolla di Teheran Le sanzioni internazionali indeboliscono il rial e lasciano poche alternative agli iraniani che vogliono investire i loro risparmi. Così, spiega Bloomberg Businessweek, “a molti non è restato altro che puntare sul mattone”. Tra giugno e agosto del 2011 le licenze edilizie rilasciate a Teheran sono aumentate dell’87 per cento, mentre quest’anno i prezzi delle case nei quartieri residenziali della capitale sono cresciuti del 15 per cento. Il governo teme lo scoppio di una bolla e ha deciso di frenare la speculazione vietando la vendita di una casa a meno di un anno dal suo acquisto.
IN BREVE
Cina Per la seconda volta nel 2012, le autorità di Pechino hanno deciso di aumentare il prezzo del carburante, facendo temere un’impennata dell’inlazione. La benzina aumenterà del 6 per cento, il diesel del 7 per cento.
Stati Uniti
APPLE
Aspettando l’auto elettrica Brand Eins, Germania Negli ultimi dieci anni la crisi dell’auto ha distrutto circa ottocentomila posti di lavoro a Detroit e nel resto del Michigan. “La Motor city”, scrive Brand Eins, “è diventata il simbolo del declino dell’industria statunitense”. Ma oggi il settore comincia a vedere possibilità di rinascita nell’auto elettrica. “Per questo dal 2009 nella zona di Detroit sono nate quasi venti fabbriche che puntano sulla produzione di batterie e altri componenti per i veicoli elettrici”. Un esempio è la A123 Systems, un’azienda fondata nell’ambito dei progetti di ricerca del Massachusetts institute of technology. Tre anni fa la A123 Systems ha aperto una fabbrica di batterie al litio e oggi dà lavoro a 900 persone e produce già per colossi come General Motors, Bmw e Daimler. Il problema, osserva il mensile, è capire se e quando ci sarà l’atteso boom dell’auto elettrica. Per quanto riguarda le dimensioni del mercato delle batterie e degli autoveicoli elettrici, per esempio, gli studi più recenti prevedono giri d’afari che oscillano dai sette ai 150 miliardi di dollari. u
Soldi agli azionisti La Apple ha annunciato che, per la prima volta dal 1995, distribuirà dei dividendi ai suoi azionisti. L’azienda statunitense, spiega il Wall Street Journal, possiede liquidità per circa cento miliardi di dollari. Quarantacinque miliardi saranno spesi nei prossimi tre anni per pagare un dividendo trimestrale di 2,65 dollari per azione a partire da luglio e per ricomprare azioni della stessa azienda. Il giorno dell’annuncio del piano, il 19 marzo 2012, la quotazione in borsa dei titoli Apple ha superato per la prima volta la quota di 600 dollari, spingendo il valore di mercato dell’azienda oltre i 560 miliardi di dollari. L’indice dell’iPod Se nel 2001 fossero stati investiti in azioni della Apple i soldi necessari per comprare un iPod (399 dollari), oggi quei titoli varrebbero Marzo 26mila dollari Fonte: Financial Times
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Il numero Tito Boeri
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3.023 miliardi
SVIZZERA
L’eurosistema è composto dalla Banca centrale europea (Bce) e da tutte le banche centrali nazionali dei paesi che hanno introdotto la moneta unica. Prima della crisi il suo stato patrimoniale consolidato era pari a 913 miliardi di euro. All’inizio di marzo il bilancio ha raggiunto i 3.023 miliardi, circa un quarto del pil dell’intera eurozona. Questa dilatazione è avvenuta a causa delle politiche monetarie non convenzionali attuate nella speranza di risolvere la crisi. In tutto questo tempo il bilancio dell’eurosistema ha
cambiato struttura. Sul fronte dell’attivo risaltano i inanziamenti alle istituzioni creditizie, il cui ammontare ha superato 1.130 miliardi di euro. Le autorità di Stati Uniti e Gran Bretagna, invece, hanno seguito una strada diversa: hanno fornito liquidità al sistema e quindi aumentato il bilancio dello loro banche centrali, intervenendo direttamente con l’acquisto di titoli pubblici per abbassare i tassi. Sul lato del passivo è forte l’attenzione sui depositi che le banche detengono presso la Bce. Questi sono aumentati
esponenzialmente ino a superare i mille miliardi di euro. La loro crescita è letta come la volontà delle banche di non prestare soldi alle imprese. Ma, come spiega Rony Hamaui su lavoce.info, questa interpretazione è sbagliata. Quando una banca fa un prestito a un’impresa, i soldi restano nel circuito bancario e a ine giornata sono depositati presso una banca centrale dell’eurosistema. Il vero problema è che le banche stanno usando la liquidità della Bce per comprare titoli di stato invece di inanziare le imprese. u
Il volontariato perde in borsa Diverse associazioni di volontariato svizzere hanno registrato forti perdite investendo in borsa, scrive la Tribune de Genève. Alcune hanno perso ino a 1,5 milioni di franchi svizzeri (1,2 milioni di euro). Molte organizzazioni usavano i soldi dei donatori per comprare azioni, obbligazioni e valute straniere. L’associazione La catena della solidarietà, per esempio, aveva investito 50 milioni di franchi nelle banche Ubs e Vontobel. Lo scopo uiciale era far fruttare il denaro per inanziare i progetti a lungo termine.
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Strisce
Mr. Wiggles Neil Swaab, Stati Uniti
ULTIME NOTIZIE SU...
cosa c’è nel pannolino di tuo figlio che può trasmettergli l’aids?
passare una giornata al mare fa venire il tumore anale. ecco perché.
cani bomba: possono essere estremamente violenti. i terroristi potrebbero usarli per colpire voi e la vostra famiglia.
ALLARMISMO
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NEWS
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Cos'è questa barba, Donny?
questo e altro dalle dieci, subito dopo: Chi vuole sposare una scimmia?
L'ho visto anch'io, pensavo che lo stesse solo baciando. La tua ipotesi spiega perché alla fine il piccione è scomparso e Invisiblor ha fatto un rutto.
Truth serum Jon Adams, Stati Uniti
Me l'ha data Invisiblor.
Toglila, fa schifo. La settimana scorsa aveva quella barba e l'ho visto mangiarsi un piccione intero!
domani mattina in tutto il mondo saremo tutti vittima di violenza sessuale!!! o forse no.
È colpa mia, amico… Non ho avuto il tempo di rimettere a posto tutti i tuoi tentacoli dentro a quel diavolo d’un buco prima di inchiodarci le tavole di compensato.
Red Meat Max Cannon, Stati Uniti
Fantastico. Sei a casa nuova solo da una settimana e all’improvviso, nel mezzo della notte, appare un enorme portone nero nel muro del salotto.
Ops.
Macanudo Liniers, Argentina
e poi che succede?
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i folletti che scrivono le trame dei sogni.
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Nella scatola delle caramelle ci dovrebbero essere dei cioccolatini, se riesci a prenderli.
si accorge di essere di fronte a claudia cardinale con indosso un costume da coniglio, e in quel momento si sveglia.
L’oroscopo
Rob Brezsny Niente male come lavoro di una settimana, o come gioco o in qualsiasi altro modo tu voglia chiamare questo momento tormentato e ispirato. Sarebbe troppo sfacciato da parte mia dirti che sei sulla buona strada per gettarti alle spalle il tenebroso incubo che aligge i tuoi sogni da tanto tempo? E questa potrebbe essere solo la preparazione per la tua prossima metamorfosi, nel corso della quale ti impegnerai temerariamente a diventare quello che vuoi veramente essere da grande. TORO
Questa settimana mi asterrò dai miei soliti discorsetti d’incitamento. Penso che sia meglio darti un afettuoso calcio nel sedere, così forse ti spingerò a correggere la rotta, impedendo al destino di farti qualche brutto scherzo. Quindi sta a sentire, Toro: 1) l’ultima cosa di cui hai bisogno è che qualcuno incoraggi le tue debolezze e le tue illusioni. 2) Cerca di capire una volta per tutte perché continui a fare una cosa che non è degna di te e trova la forza per non farla più. 3) Devi smettere di fare il tuo dovere in modo così tetro e austero. Se non vuoi annullare i suoi risultati positivi, devi metterci più piacere.
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
GEMELLI
La parola tedesca Weltratsel potrebbe essere tradotta “enigma del mondo”. È stata coniata dal ilosofo Friedrich Nietzsche a proposito di interrogativi come: “Qual è il signiicato dell’esistenza?” o “Qual è la natura della realtà?”. Secondo la mia lettura dei presagi astrali, Gemelli, sei pronto a scavare più a fondo in questo enigma. Nelle prossime settimane, per te sarà più facile che mai scoprire qualcosa di utile su alcuni grandi misteri. Certi brani del Libro della vita che ti sono sempre sembrati incomprensibili acquisteranno improvvisamente un senso. Non solo. Ogni volta che decifrerai una parte dell’enigma del mondo, risolverai anche una piccola parte del tuo enigma personale. CANCRO
“Gli uomini ragionevoli si adattano al mondo, quelli irragionevoli insistono nel voler adattare il mondo a se stessi. Per-
ciò il progresso dipende essenzialmente dagli uomini irragionevoli”, dice uno dei personaggi di Uomo e superuomo di George Bernard Shaw. Dagli indizi che ho raccolto, Cancerino, adesso sei nella fase ideale per essere il tipo di uomo o donna irragionevole che riesce ad adattare la vita ai suoi scopi e ai suoi sogni. LEONE
Nel suo libro Word hero, Jay Heinrichs dà una serie di consigli su come esprimersi in modo conciso ottenendo il massimo efetto. Ecco un suggerimento che potrebbe esserti utile nei prossimi giorni: “Usa iperboli dettagliate”. Heinrich porta un esempio tratto dall’opera di Mark Twain, che invece di scrivere “Nel New England il tempo cambia un miliardo di volte al giorno”, dice: “In primavera ho contato 136 tipi di tempo diverso nell’arco di 24 ore”. Lasciati ispirare il più possibile da Twain. Rendi tutto più grande e più eccezionale, ma fallo con precisione e rigore. VERGINE
L’aggettivo “liminale” si riferisce a tutto ciò che è in bilico tra due stati. All’aurora e al tramonto, perché non è né notte né giorno. Allo stato d’animo che prevale in un momento di transizione o sulla soglia di un nuovo evento. Durante un rito di passaggio, la fase liminale è quella in cui l’iniziato ha abbandonato il vecchio modo di fare le cose ma non ha ancora pienamente accettato o assorbito il nuovo. Tutte le tradizioni mistiche del mondo la considerano una situazione ambigua ma ricca di potenzialità, in cui regna l’incertezza ma si aprono nuove eccitanti possibilità. Secondo
me, Vergine, in questo momento sei in una posizione liminale. BILANCIA
Secondo lo scrittore italoargentino Antonio Porchia, esistono due tipi di ombre, “quelle che nascondono e quelle che rivelano”. Nelle ultime settimane, sei stata in costante contatto con le ombre che nascondono. Ma da un momento all’altro ti allontanerai da quei frustranti enigmi per stabilire un rapporto dinamico con misteri più suggestivi, con le ombre che rivelano. Attenta a non farti cogliere di sorpresa, perché potresti pensare che le nuove ombre siano come le vecchie. SCORPIONE
Fino a qualche tempo fa, ogni inverno la mia casa era invasa da orde di formiche. Quest’anno le rompiscatole si sono tenute alla larga. E questa è la bella notizia. Ma ce n’è anche una brutta. L’invasione non c’è stata perché quest’inverno è piovuto pochissimo, contrariamente a quanto normalmente succede nella California del nord. Le formiche non sono state trascinate in supericie dai torrenti di acqua che di solito inzuppano il terreno. E così adesso questa regione è a rischio di siccità. La prossima estate potremmo non avere abbastanza acqua. Mi sembra una metafora appropriata per la tua situazione attuale, Scorpione, solo che tu avrai la possibilità di scegliere: preferisci rinunciare a una risorsa essenziale o a qualcosa di fastidioso ma fondamentalmente innocuo? SAGITTARIO
Stai entrando in una delle fasi più vivaci del tuo ciclo astrologico. Devi essere audace e impudente, spumeggiante e inarrestabile. Per aiutarti, ho raccolto alcune afermazioni del poeta Michael McClure. Portale con te quando ti imbarcherai nelle tue avventure catalitiche. Ti aiuteranno a mantenere lo stato d’animo giusto. McClure dice: “Tutto è naturale. La luce sulla punta delle tue dita è quella delle stelle. Ogni forma di vita comincia con una spirale, di molecole e nebulose. La crudeltà,
l’egoismo e la vanità sono cose noiose. Ogni sé è fatto di tanti sé. La ragione è bellezza. Quella tra luce e buio è una separazione arbitraria. La pulizia è indeinibile e naturale quanto la sporcizia. Il corpo isiologico è puro spirito. La monotonia è follia. La frontiera è dentro e fuori. L’universo è il messia. I sensi sono divinità. Dove c’è il corpo… c’è tutto”. CAPRICORNO
Hai presente quei cappelli alti e inamidati che portano gli chef? In origine avevano cento pieghe, per indicare i cento modi in cui un vero professionista poteva cuocere un uovo. Ti invito a indossare uno di quei cappelli nelle prossime settimane, Capricorno. È arrivato il momento di esprimere tutta la tua ingegnosità in qualcosa di semplice e familiare, di essere fantasioso e versatile nel dimostrare quello che sai fare con il minimo indispensabile. ACQUARIO
Una sera tardi, mentre guidavo per le vie di San Francisco, ho trovato un semaforo che mi ha confuso le idee. Erano accesi sia il verde sia il rosso. Mi sono fermato e ho aspettato ino a quando, dopo un paio di minuti, il rosso si è spento. Ho idea che presto ti troverai di fronte a segnali altrettanto contraddittori, Acquario. Se ti succederà, ti consiglio di fare come me. Non andare avanti, fermati ino a quando il messaggio non sarà più chiaro. PESCI
Una donna di nome Joan Ginther ha vinto la lotteria del Texas quattro volte, per un totale di 20 milioni di dollari. È stata straordinariamente fortunata? Secondo l’articolo di Nathaniel Rich pubblicato dalla rivista Harper’s lo scorso agosto, forse no. Rich ha scoperto che Joan Ginther è specializzata in matematica a Stanford, e si chiede se per caso non abbia usato le sue conoscenze statistiche per aggirare il sistema. Prendi esempio da lei, Pesci. In questo momento hai la possibilità di aiutare la fortuna con l’impegno e l’ingegnosità.
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internazionale.it/oroscopo
ARIETE
COMPITI PER TUTTI
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L’ultima
sIngEr, sTATI unITI
“Ah sì? Il mondo si è improvvisamente accorto delle atrocità commesse da Joseph Kony? E dov’è stato negli ultimi vent’anni?”. “Bentornati a Ballando con le stelle!”.
EL roTo, EL pAís, spAgnA
un uomo gay intrappolato in un corpo da donna incontra una donna gay intrappolata nel corpo di un uomo: “sono confuso”.
shAw
dILEm, ALgErIA
palestra: judo, karate, lotta di classe.
La strage di Tolosa.
“Lei è clinicamente noioso”.
Le regole Figli d’arte 1 Avrai molte porte aperte. ma anche un nome ridicolo. 2 non dire “sono la iglia di”, a meno che tu non stia parlando con un vigile urbano. 3 Il fatto che tuo padre sappia cantare, non vuol dire che tu sappia recitare. 4 I igli dei concorrenti del Grande Fratello non sono igli d’arte. 5 se non sai fare proprio nulla, scrivi un libro in cui sputtani il tuo genitore famoso. regole@internazionale.it
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9a FIERA NAZIONALE DEL CONSUMO CRITICO E DEGLI STILI DI VITA SOSTENIBILI
30/31 MARZO - 1 APRILE
FA’ LA COSA GIUSTA! FIERAMILANOCITY Viale Scarampo - GATE 8 M1 Lotto Fiera
Oggi coniugare sviluppo e ambiente, competitività e solidarietà non è più una sfida ma un modo di vivere. Ciò che prima era l’eccezione ora è la normalità: cibo biologico, mobilità sostenibile, energie rinnovabili, turismo responsabile. Il futuro è nelle nostre mani: vieni a scriverlo con noi nel più importante evento dell’anno.
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