01 ovvero. progetti, pensieri, storie, persone, luoghi, racconti, sentimenti, utopie: tutto ciò dentro il campo visivo dell’Accademia di Belle Arti d’Urbino
Diagramma di provenienza degli studenti dell’Accademia di Belle di Urbino.
FACCIAMO I CONTI prog. multimediale 83/302
decorazione 19/302
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scultura 21/302
grafica 29/302
scenografia 44/302
pittura 106/302
diagramma Diego Giusti
maschio + femmina = totale
14 triennio decorazione 5 biennio decorazione
25 triennio grafica 4 biennio grafica
95 triennio pittura 11 biennio pittura
32 triennio scenografia 12 biennio scenografia
15 triennio scultura 6 biennio scultura
78 triennio multimediale 15 biennio multimediale
tot. 19
tot. 29
tot. 106
tot. 44
tot. 21
tot. 83
5 14
iscrizioni totali 360: 302 (corsi di indirizzo), 58 (Cobaslid)
4
25
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95
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32
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sommario editoriale Iniziamo con gli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Urbino un viaggio dentro un ambizioso progetto, una strada. In Accademia, capita, accade.
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Alessandro Sibilia, Marcello Signorile (testo cut up) / Daniele Lisi (immagine)
mappa sommario editoriale storia dell’Accademia interviste portfolio studenti interviste impossibili l’arte delle grandi occasioni cultura monodose come si fa colophon / stampa + ritaglia + attacca
È deciso, si parte. Nell’aria domina unicamente l’odore di un fiore pronto a sbocciare e a svelare tutti i suoi petali. Cerchiamo di capire insieme a loro cos’è la progettazione, la ricerca, l'arte, i sistemi di comunicazione, il rapporto tra uomo e arte nell’epoca della riproducibilità tecnica. Di cosa è fatto accade? Pensieri altrui, spazi mentali, l’emozione, lo stupore, regole ben precise. Gironzolando, osservando, fotografando e commentando. Poi l'ambiente interno di questa Accademia, Urbino e il mondo fuori. Questo accade perché siamo rapiti da tutto ciò che ci circonda. Senza subire alcun trattamento, a disposizione di tutti, insieme. A volte vogliamo isolarci o vogliamo fare due tiri a pallone tra amici. Semplicemente a volte accade.
le parole di questo editoriale sono state pescate dagli articoli presenti in questo numero
/ memorie tra le righe Donatella Esposito Giulia Giordani Daniele Lisi Manuel Pasini
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Dal 1972 chiunque abbia frequentato l’Accademia di Belle Arti di Urbino come iscritto, come docente o anche come semplice curioso, avrà avuto sicuramente modo di incrociare Anna Fucili. Nonostante la figura del bibliotecario non sia contemplata tra il personale delle Accademie, Anna si è trovata ad adempiere a questo ed altri compiti sotto il titolo di “assistente amministrativa con funzione di bibliotecario”. Iniziamo la chiaccherata con Anna circondati dai numerosissimi volumi stipati in un ambiente visibilmente ristretto: scopriamo subito che il problema maggiore di cui soffre la nostra biblioteca è appunto quello dello spazio. Molti testi sono archiviati in armadi e quindi non sono visibili agli utenti; per Anna questo è un notevole disagio visto che, ci riferisce, gli studenti hanno necessità di poter visionare direttamente i libri oltre a poter consultare il catalogo cartaceo o quello online (OPAC). In particolare gli allievi di una accademia di arti
il libro nonèèpiù più un il lib ro non un oggetto inanima oggetto inanimato ma maun un ulteriore ulteriore prezioso elemenioso elemenelemento della mai satura me satura memoria di a diAnna visive ha l’esigenza non solo di trovare un testo specifico, ma frequenta la biblioteca anche per cercare suggestioni e ispirazioni; si crea così un rapporto visivo-tattile che non è possibile avere mediante la consultazione di un inventario. Una soluzione a questo problema risulterebbe essere l’ampliamento del locale destinato all’esposizione dei volumi; ampliamento che darebbe la possibilità di aumentare il numero di tavoli e sedie da destinare allo studio e alla consultazione. La mole di materiale raggiunta oggi, tra libri, riviste, vhs e dvd, è stata accumulata nel tempo grazie alle numerose donazioni che ogni anno pervengono all’Accademia da parte
di istituti di credito, che periodicamente pubblicano numerosi libri d’arte, e da parte di alcuni docenti che hanno generosamente offerto i propri cataloghi e volumi. Alla nostra domanda su quale fosse il volume più frequentemente sottratto all’archivio ci risponde fulmineamente: Amleto o dell’oxymoron di Ferruccio Marotti è stato rubato ben due volte;in verità questo autore è effettivamente preso di mira in quanto anche altri suoi scritti sono andati perduti o mai più riconsegnati. Passiamo ora al libro più richiesto. Senza ombra di dubbio risulta essere Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin: anche la condizione fisica ne testimonia un uso costante. Un altro volume molto richiesto è di De Micheli Mario, Le avanguardie artistiche del Novecento. Veniamo incuriositi dalla capacità di Anna di ricordare a memoria numerosissime informazioni riguardo al materiale contenuto nella biblioteca, così le domandiamo
quale sia il suo metodo, se lo ha, per assimilare così efficientemente nomi, titoli, anni di pubblicazione e addirittura gli scaffali in cui sono riposti molti dei 28000 testi a disposizione. Molto ironicamente ci viene fatto notare che i libri non arrivano dalla libreria e si posano autonomamente nel ripiano a loro destinato; è necessario eseguire delle operazioni di routine che in qualche modo contribuiscono a creare un rapporto più stretto con ognuno di essi. Inizialmente viene stilato un elenco di libri da acquistare. Successivamente i nuovi titoli devono essere inseriti nell’inventario; dopo di chè si procede compilando la scheda per autore e per soggetto, ed ecco che quel titolo viene trascritto nuovamente. “Si istituisce una sorta di simbiosi tra me ed i volumi.” Ci confida Anna. “A volte capita che io mi incavoli per un ritardo: questo accade perchè mi piace che si consideri il tutto come un bene comune che è a disposizione di tutti. Sovente mi si attribuisce un’espressione adirata che in realtà non
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è rivolta all’utente, per il quale io ho molto rispetto; ma se un ritardo impedisce ad un’altra persona di portare avanti un suo studio, questo mi infastidisce”. Il regolamento interno non è nato come un’imposizione, ma è frutto di una lunga esperienza: ad ogni studente possono essere prestati non più di tre libri per volta e per un tempo non superiore ai quindici giorni (i prestiti sono rinnovabili). Nei casi in cui l’attenzione degli studenti è per libri oggetto di studio nei corsi accademici, è preferibile erogare prestiti più brevi per poter consetire a tutti di poterne prendere visione. Poche ma semplici regole affinate negli anni e una grande passione messa quotidianamente a nostra disposizione da Anna, hanno fatto della nostra biblioteca un luogo indispensabile per chiunque frequenti l’Accademia. E tu? Hai già riportato il libro ad Anna?
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28.000 documenti 80 riviste 2.960 testate 40 enciclopedie 200 dizionari 40 collezioni 1678 vhs 200 dvd 150 cd 33 dischi 0 libri in braille 1.000 libri in lingua straniera 23 categorie 3 cataloghi per l’utente 2 cataloghi per il bibliotecario
80 mq 20 posti 25 sedie 3 finestre 10 tavoli 44 scaffali aperti, misure 300 x 100 x 32 cm 2 scaffali bilaterali in metallo, misure 230 x 303 x 66 cm 28 armadi con serratura collocati in diversi spazi 3 matite sulla tua scrivania 2 pareti a scaffalatura lignee 7000 documenti inseriti nel sistema opac 100 schede per le fotocopie vendute, mediamente ogni mese 1200 prestiti effettuati nell’anno concluso 06/07 numero autori: impossibile
/ intervista a Francesco Calcagnini
Valerio Bosi Bianca Fabbri Silvia Mengarelli
Non a tutti è capitato di entrare nella sede distaccata dell’aula di scenografia in via Timoteo Viti. Una volta entrati notiamo che lo spazio di studio è anche un ambiente teatrale formato da un palcoscenico e da aree per la progettazione e la ricerca. Il nostro sguardo è subito catturato dal gioco delle luci e delle ombre accompagnato dall’odore del legno usato per la costruzione dei modellini preparatori.
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Ogni elemento sembra lasciato al caso, ed invece possiamo notare un ambiente studiato e strutturato secondo regole ben precise. Incominciamo l’intervista con il Prof. Calcagnini chiedendogli una breve descrizione su che cosa sia la scenografia e ne ricaviamo che questa prevede lo studio e la messa in scena di uno spazio narrativo che evoca immagini e suggestioni tese a illustrare il testo da cui si è partiti. Per costruire questa narrazione ci si avvale di più metodi espositivi, a volte si può lavorare con una scena strutturata e piena di elementi costruiti e altre volte togliere quasi tutto fino a far sembrare che non ci sia quasi nulla.
La costruzione di una scena prevede la collaborazione di un gruppo di lavoro; tra questi vi sono alcune figure chiave come il regista e lo scenografo. Entrambi sono gli unici che prevedono lo spettacolo mesi prima che lo si realizzi. Ci sono registi spaventati dalla struttura scenografica e che quindi tendono ad annullarla il più possibile invece altri per cui lo spazio scenico è determinante. In base alla messa in scena esistono due differenti tipi di scenografo: il realizzatore, che cerca il rapporto con il lato artistico dello spettacolo ed il progettista, che deve ipotizzare il tipo di materiale da utilizzare per costruire una determinata scena. Alla nostra domanda sul rapporto che intercorre tra realtà e teatro, la risposta è: “Il teatro ha a che fare con l’illusione”. Nella trasposizione del testo vengono infatti utilizzati simboli e illusioni tecniche per dare forma ad una idea condivisa fra regista e scenografo. Il teatro è un mezzo di comunicazione? “Penso che il teatro sia piuttosto che un mezzo di comunicazione un mezzo di locomozione”.
Il teatro è una macchina del tempo, per esempio, mi fa andare nell’Egitto ottocentesco faraonico e occasionale inventato da Giuseppe Verdi, oppure in quello immaginato da Rossini quando compone Moïse. Nello spazio scenico si realizza un mezzo di comunicazione che si dice immediato ovvero che non è ri-scritto dai media e quindi che ha una sua codifica precisa attraverso emozioni che non vengono filtrate. Esistono altri sistemi di comunicazione: lo spettacolo di Dario Fo dove tutta la rappresentazione teatrale a che fare con il gioco e con il mondo dello sberleffo, la commedia dell’arte e la “giullarata” e quello di Luca Ronconi dove gli spettacoli sono organizzati in spazi mentali, l’emozione o lo stupore è un derivato del pensiero che ti rimbalza addosso. Entrambi sono due sistemi di comunicazione assolutamente differenti ma l’unica cosa che li accomuna è il fatto che sono delimitati dallo spazio scenico, luogo che contiene i grandi temi dell’umanità in forma di domanda e mai di risposta. / 14
Come si differenzia la professione dello scenografo in teatro da quella di insegnante in Accademia? “Sono due cose completamente differenti” Io so fare una scenografia e invece non so esattamente come disegnare il mio corso. Questo è un errore una deformazione professionale, io faccio fare ai miei studenti un percorso che assomigli il più possibile a quello che devo affrontare quando faccio il mio lavoro. Cerco di fargli immaginare oltre l’identificazione di uno stile, la propria visione della scena attraverso lo sguardo mediato dell’autore. Uno scenografo è una specie di zelig che entra dentro il mondo altrui mettendo uno specchio e riflettendo così i pensieri di qualcun’altro. Obbligo i miei studenti a realizzare spettacoli anche piccolissimi in modo tale da ottenere una presa diretta sull’oggetto in relazione al progetto cartaceo. L’incontro con Francesco Calcagnini ci ha offerto un quadro esaustivo su cos’è la scenografia e su quali sono i processi che si devono affrontare per la realizzazione di uno spettacolo teatrale. Questa sua professionalità è riportata anche nell’insegnamento, ed è nostro parere che la coesistenza di questi due aspetti vada a tutto vantaggio degli studenti che si trovano così a ricevere una preparazione più completa e corrispondente alla realtà dei fatti.
Dal 1973 al 2007
sono stati realizzati 58 allestimenti teatrali da parte dell’Accademia di Belle Arti di Urbino.
Di seguito sono elencati gli spettacoli più significativi svoltisi tra il 2001 e il 2007
2007/Stabat mater, Teatro della Fortuna di Fano * 2006/Adelaide di Borgogna, dramma in due atti di Giovanni Schmidt, Rossini Opera Festival * Don Pasquale, di Gaetano Donizetti, Teatro della Fortuna di Fano * La Calandria, di Bernardo Dovizi detto il Bibbiena, regia di Marco Rampoldi, Palazzo Ducale di Urbino * Gianni Schicchi, di Giacomo Puccini, Teatro della Fortuna di Fano * 2005/La cavalleria rusticana, Teatro della Fortuna di Fano * 2004/La generazione muta, Urbino * 2002/Schede di teatro: Gusci, da Franz Kafka, Urbino Aulateatro dell’Accademia * 2001/Schede di teatro: Dialogo della vecchia gioventù, Urbino Aulateatro dell’Accademia.
/ portfolio
dario mancini nato a Rimini il 13/09/1979 / frequenta la sezione pittura 1 / docente Luigi Carboni /
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Sono tutti olio su tela, una tecnica fortemente tradizionale che nonostante le nuove possibilità tecnologiche continua, a mio avviso, a creare stimoli importanti e molto profondi. Per eseguire i miei dipinti prendo sempre spunto da materiale fotografico. Uso la fotografia come appunti per le immagini che poi dovrò eseguire. Scatto foto pensando a come il dipinto dovrebbe essere. È molto importante calcolare tutto il più possibile: luci, ombre, punto di vista, espressione, taglio... poi la pittura deve fare il resto, ossia riuscire a liberarsi dalla prigione della sua immagine e diventare qualcos’altro. Tutto ciò che una fotografia non può raccontare.
/ Senza titolo / 2007 / olio su tela / 70x100 cm
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/ Stanze e Segreti / 2007 / olio su tela / 180x200 cm
/ Chiara / 2006 / olio su tela / 150x200 cm
/ portfolio
antonello bruno nato a Atessa (Ch) il 26/11/1984 / frequenta la sezione pittura 2 / docente Maurizio Arcangeli /
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I sette peccati capitali sono ritenuti dalla teologia cattolica come responsabili della morte spirituale. Nelle mie opere ho cercato di trattare questo argomento con gli occhi di chi vive nella società di oggi, giocando su aspetti contemporanei come l’obesità, la chirurgia estetica, l’attaccamento al denaro, l’apatia, l’irascibilità e la sensualità, il tutto trattato con un’aspetto caricaturale dei personaggi, che unito alla freschezza del disegno esprime una dura critica alla nostra cultura fondata sull’ immagine.
/ Accidia / giugno 2007 / china e Pantone® / 50x70cm
/ Gola (particolare) / Invidia / Avarizia / 2007 / china e Pantone速 /50x70cm
/ Lussuria (particolare) / Superbia / Ira / 2007 / china e Pantone速 / 50x70cm
/ interviste impossibili
/ analogico vs digitale Manuel Pasini
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Digitale: 0 Analogico: ciao! Finalmente ci incontriamo. D: 1 A: Salterei i convenevoli ponendoti subito una domanda personale; spero di non apparire indiscreto… D: :–) A: …cosa costituisce per te la realtà? D: (clessidra) (n.d.r. loading data / caricamento dati) Partiamo male: questo è un argomento di cui non amo parlare… ma le risponderò comunque. Durante i primissimi anni di vita ho creduto di poter coincidere con essa: quelli sì che furono tempi memorabili! Con il trascorrere degli anni mi sono dovuto ricredere e rendermi conto d’essere solo una rappresentazione di ciò che viene definita realtà. Devo ammettere che l’entusiasmo iniziale è mutato in delusione velocemente dopo i numerosi fallimenti nell’ambito della ricerca, soprattutto nel campo
dell’emulazione dei comportamenti “intelligente” nel comportaumani e della natura. mento dell’uomo? Ad ogni A: Il tuo obiettivo era fin troppo modo, non è di questo che voambizioso, oltre che eticamente gliamo discutere ora. Piuttosto contestabile. Immagino che nesdimmi Digitale, oggi si sente sun supporto tecnologico potrà parlare spesso di te e molte mai raggiungere la perfezione volte in modo errato… assoluta riproducendo fedelD: Hai ragione. Nonostante io mente ciò che Dio crea. Devo sia impiegato in ogni campo della però ammettere che con l’intecnica, dalle fotocamere agli orovenzione della fotografia prilogi, molti ignorano completamente ma, e del cinema poi, anche il significato del termine o comunque io sono caduto in questo ne fanno un utilizzo sbagliato. Ad subdolo tranello… esempio, in campo musicale, si tende ad D: Inconsciamente, associarlo agli strumenti che fanno uso nutro tuttora la recondi elettricità come i sintetizzatori. “Eletdita speranza di veder tronico” non è un sinonimo di “digitale”! compiuto, un giorno, A: Stai girando il dito nella piaga: è vero il progetto di una che molti miei aggeggi utilizzano la correnintelligenza artificiate alternata per il proprio funzionamento, le: clonare la mente ma non hanno nulla a che vedere con la umana è sempre numerazione binaria. stato il mio sogno D: Mi sembra di scorgere un certo disagio fin dal principio. dalle tue parole, deve pesarti parecchio questo A: Ah si?! E fraintendimento; siccome sei “nato” molto prima cosa c’è di di me, ti consideri anche migliore?
A: Con tutta sincerità ne sono convinto! D: Quale presunzione! A: Qualitativamente non ci sono paragoni. Tu non sei altro che una semplificazione del mio segnale continuo in uno discreto. D: Certo, lo sono; ma devi ammettere che grazie all’attuale sviluppo tecnologico ciò che produco è pressoché equivalente alla produzione analogica. A: Hai usato la parola giusta: ”pressoché”. Anche se le differenze sono minime non è possibile equipararci. Dal punto di vista pratico ti concedo d’esser molto versatile: la comodità e l’immediatezza di una fotocamera digitale, ad esempio, ha sicuramente contribuito all’utilizzo massiccio di questi dispositivi; come sempre più spesso accade si predilige la quantità alla qualità. D: Vogliamo parlare di quantità? Sai che La Divina Commedia di Dante Alighieri in formato .txt supera a malapena i cinquecento kilobyte?
Di opere di quella dimensione i nuovi hard disk ne potrebbero contenere più di un milione. E rimarrebbe spazio per le versioni digitali integrali sia dell’Encyclopedia Britannica che di Wikipedia (in tutte le lingue). Grazie a me si avvicina il giorno in cui tutta l’informazione presente nel Mondo potrà essere archiviata in un singolo piccolo computer portatile. A: Il problema poi sarà trovare il tempo per iniziare a leggerla! D: Bene, credo sia giunta l’ora di salutarci. A: Vedo che non hai colto la mia provocazione. D: quale provocazione? A: Nulla, nulla. Dunque il nostro incontro termina qui. Forse
le nostre strade si incroceranno nuovamente. D: Non ci conterei. A: Addio. D: salvo con nome?
l’arte delle grandi occasioni Giulia Giordani Diego Giusti Daniele Lisi
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/ BIENNALE VENEZIA
/ ARTE FIERA
10 Novembre 2007. È deciso, si parte. Destinazione Venezia. Treno da Riccione e dopo “solo” 4h, che letteralmente mi volano immersa in un libro, alzo la testa e davanti mi si apre uno spettacolo incredibile! Il mare nero che si mescola al cielo notturno, le luci che vi si rispecchiano e a tutto questo, una volta varcata l’uscita della stazione, si aggiunge una città quasi fiabesca lontana da quello che mi ero immaginata. Le strade sono stranamente deserte, silenziose… La mattina seguente tutto muta! Apro gli scuri della mia camera e il paesaggio letteralmente scintilla di una luce primaverile, ma il vento pungente mi ricorda che siamo alle porte dell’inverno! Le strade ora si sono riempite di gente indaffarata, turisti e ambulanti con i loro bellissimi e carissimi prodotti in bella mostra! Non ci sono biciclette, ne tanto meno macchine o autobus, e nell’aria domina unicamente l’odore salino del mare. Con la mia personalissima guida (a.k.a. Irene Bacchi) ci incamminiamo verso la Chiesa di San Gallo dove è stato riservato uno spazio a Bill Viola (foto pag 30 - 31) e al suo ultimo lavoro Ocean Without a Shore. L’opera è strettamente legata al tema che fa da filo conduttore
Bologna sempre più la rossa (da notare la comunicazione dell’evento), si ricopre di forme e colori in occasione dell’ormai consolidato appuntamento con Arte Fiera, un’esposizione che offre al pubblico di collezionisti e appassionati un ricco aggiornamento sulle tendenze artistiche odierne. Un’aria fredda ci accoglie in una Bologna frenetica, giusto il tempo per organizzarsi e si è già in coda per l’ingresso, domandando se è disponibile uno sconto studenti la risposta rimane alquanto deludente; dopo poco si inizia a mescolarsi alla folla, ma l’innumerevole serie di controlli effettuati per scongiurare l’occultamento di opere d’arte ci costringe più volte a uscire e rientrare per consegnare borse e zaini. Se al primo impatto si può assaporare nell’aria, l’odore acre di vernici, smalti e fissanti, che riporta ad una vecchia e sbiadita immagine di moderna Bottega, ad un secondo sguardo ci accorgiamo del cambiamento che nel corso del tempo ha subito il rapporto tra uomo e arte. L’attrazione è impressionante, non avevo mai visto tanti lavori/opere tutte nello stesso ambiente, di così variegata fattura, supporto, e qualità. Non siamo gli unici ad essere rapiti
all’intera esposizione. Profondamente spirituale, il video presentato si spinge senza paura a trattare grandi temi come la vita dell’uomo e la sua relazione con l’universo, l’anima, la natura e la morte. In questo specifico caso Ocean Without a Shore riguarda la presenza dei morti nelle nostre vite. I tre altari in pietra nella quattrocentesca Chiesa di San Gallo diventano superfici trasparenti su cui si manifestano le immagini dei morti che cercano di rientrare nel nostro mondo. Il passaggio oltre la soglia che separa le due dimensioni è un momento intenso di emotività infinita e di acuta consapevolezza fisica. Con l’ausilio di grandi schermi ad alta definizione, Bill Viola ci propone un’arte che si rifà alla tradizione pittorica e volta all’uomo comune; l’opera è carica di emozione e di trasporto quasi meditativo, cattura l’attenzione su qualcosa che non promette soddisfazioni e rivelazioni immediate. È quindi molto interessante sedersi insieme ad altri turisti al centro della piccola cappella e con attesa aspettare che dai tre schermi appaiano uno dopo l’altro gli spettri di persone sconosciute. La rappresentazione sembra piacere a tutti (nessuno parla) anche i bambini sono immobili con il naso all’insù e nemmeno si azzardano a fare domande. Rigorosamente gratuita la proiezione attira moltissima gente e in poco tempo all’ingresso si crea una fila silenziosa. Tutti sembrano avere l’impellente bisogno di “essere guardati” da questi spettri, che da un lato ci ridono in faccia e dall’altro ci scherniscono e ci giudicano infuriandosi… Di nuovo per la città. Difficile non seguire il flusso obbligato lungo le calli, come se ci fossimo messi tutti d’accordo per andare in un unico posto! Io e Irene, non riusciamo a resistere e ci intrufoliamo in un piccolo negozietto di articoli vintage… ma dopo poco, scoraggiate dai prezzi, ne usciamo con qualche rimpianto! Finalmente riusciamo ad imboccare la strada
da tutto ciò, migliaia di persone che affollano l’ambiente, si muovono in un caos ordinato da uno spazio all’altro, uscendone a volte con un sorriso di chi ha recepito/appreso qualcosa, altre volte invece con espressioni annoiate, scosse o turbate da ciò che non piace che non si condivide o capisce. Questo è quanto nei primi 40 minuti di visita appare Arte Fiera è giunta alla sua trentaduesima edizione, con la partecipazione quest’anno di oltre 60 gallerie straniere di cui 12 new entry, provenienti da ogni parte del mondo: New York, Pechino, Tokyo, Parigi, Londra, Bruxelles, Ginevra, Mumbai, Barcellona, Zurigo, Dusseldorf, Colonia; una particolare attenzione è stata riservata alle gallerie di recente apertura (con non oltre 5 anni di attività), che ha portato una ventata d’aria fresca con una notevole attenzione verso giovani talenti e progetti più innovativi, tra le tante, protagoniste in questo caso segnaliamo la Continua di San Gimignano, e la Vernon gallery di Praga. Artisti come Lucy Orta Jorge con i suoi Antartica e Orta Water e Sabrina Mezzaqui con Segni vengono accomunati, non solo dallo stesso spazio (San Gimignano) non solo dallo stesso gioco, non solo dallo stesso infantilismo, ma anche da un ritorno ai primi passi, dall’attenzione per le piccole-grandi cose, i piccoli-grandi problemi della società contemporanea: una “coscienza critica del presente” (A. Vettese). Lavori fisicamente diversi ma concettualmente vicini. Orta Water (un’installazione che è un’insieme di tubi, salvagenti, bottiglie, secchi e contenitori di vario genere, accompagnati da veicoli rudimentali), ha la caratteristica di presentarsi come un “esperienza”, un “processo”, si basa sull’esplorazione tra individui, comunità e
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per Piazza S. Marco, meravigliosa, piena di gente e di una luce tutta sua, sembra di stare in un’altra dimensione!! Da lì costeggiando il mare gremito di gondole, ci dirigiamo verso l’Arsenale dove inizia la nostra visita alla 52°Biennale Pensa con i sensi, Senti con la mente. L’arte al presente a cura di Robert Storr. Quest’anno partecipano anche paesi che di solito nemmeno venivano menzionati come l’Azerbaijan, il Tajikistan, la Moldavia, il Messico, e un paese sulla difficile via della pace e della ricostruzione come il Libano. Gioronzolando, osservando, fotografando e commentando opere d’arte più o meno discutibili ci concediamo qualche “expensive coffè” nelle postazioni Illy, sponsor ufficiale della Biennale, che ha stupito tutti i partecipanti con un progetto sui generis ideato dall’architetto-artista-designer Adam Kalkin: the Push Button House. Presentato come un anonimo container color ruggine, ed impreziosito dal celebre logo della Illy, si apre come un fiore pronto a sbocciare e a svelare tutti i suoi petali. Da container a splendida oasi di relax e di design elegante e contemporaneo. Una mini casa con tanto di letto, bagno, cucina, biblioteca e Mac! Un posto vivibile che si schiude sotto gli occhi increduli dei visitatori. Basta premere un bottone e in meno di 90 secondi l’installazione prende vita. Un ambiente confortevole dove rilassarsi e gustare un caffè realizzato interamente con materiali riciclati e riciclabili. La fregatura? Inserire camerieri improvvisati, per lo più stranieri e una clientela maleducata, con la cattiva dedizione alla lamentela per sciocchezze. Oltre al fatto che un caffè costava 2€! Dopo la pausa continuiamo a gironzolare lungo il percorso espositivo, molti i lavori dedicati a temi contemporanei, come guerra, povertà, consumismo e natura. Certo intanto che si guardano opere come i bauli ricchi di particolari e curatissimi nel dettaglio di Christine Hill, le surreali costruzioni in ferro di Tatiana Trouvè o la stanza caoticamente allestita con neon e oggetti appartenenti ad un folklore molto distante dal nostro di Jason Rhoades, mi sono chiesta se tutto questo era in qualche modo coerente con il sottotitolo di questa 52° Biennale. Ma il lato che più ho apprezzato dell’intera organizzazione dell’esposizione è stata quella di mescolare spazi espositivi all’interno di Venezia stessa, allestendo piccole mostre, che andavano letteralmente “scovate” come una caccia al tesoro, amplificando così i sensi, per cercare di assorbire tutti gli stimoli senza perdere nulla! La serata si è conclusa con una “tipica” cenetta in un ristorante cinese, chiacchiere tra donne e cappotto irrimediabilmente odorante di fritto! Sulla via del ritorno, ripensando a questi due giorni appena trascorsi mi sono soffermata sul fatto che rinunciare ai mezzi privati, come motorini o auto, è veramente faticoso e cammi-
spazio urbano, in questo caso una sensibilizzazione sul tema delle emergenze e delle risorse primarie riguardanti il ciclo di raccolta, purificazione e distribuzione dell’acqua. A lato ci incuriosisce un’immagine “semplice” e poetica: i Segni della Mezzaqui, artista che lavora sulla ricerca della primaria gestualità, ripetuta e maniacale, fuori da ogni razionalità: 12 stampe ink-jet che assumono la forma di stormi lontani, su uno sfondo bianco e profondo, come le pagine dei quaderni del progetto a fianco che andranno ad incidersi creando un cartaceo intreccio di rovi, “piccole semplici e fragili cose, evocano ricordi lontani di fiaba e gesti quotidiani” Poco distante presso la Vernon Gallery,sono ospitate diverse opere che utilizzano al contrario il multimedia come mezzo espressivo; di particolare interesse il giovane artista ceco Jakub Nepras che espone proprio un particolare oggetto di design che lascia libera interpretazione al pensiero artistico, se non fosse per l’effetto che genera tramite la proiezione di immagini e video, che proiettati random sulla superficie dell’ oggetto sfaccettato, di forma sferica a cui sono collegati dei parallelepipedi in materiale plastico, trasparente, fa assomigliare tutta la composizione a dei cubi di ghiaccio sui quali vengono attivati contenuti video e immagini sonore. Siamo andati a richiedere i valori di nomi noti e meno noti. Il risultato? Giudicatelo voi. Axel Hutte/ ciclo di foto tra cui Illulisat 2 2000- 7000 euro Maria Francesca Tassi/ disegno su tela bianca 1000 euro Bernard E. Hilla/ foto/ 150.000 euro Keith Haring/ disegni/ 22.000 euro Vincenzo Castalla/ Genova 20.000 euro Gabriele Basilico/ Napoli 15.000 euro Vanessa Beecroft/ 33.000 euro Molto spesso il prezzo di un’opera viene determinato dalla valutazione della qualità intrinseca dell’opera, considerazione storiche, di prestigio, di ostentazione, di mode, di speculazione finanziaria, più che dalle leggi della domanda e dell’offerta. Sicuramente molte domande e molte offerte saranno state poste, all’artista Alessandro Accerra, 28 anni, diplomato all’Accademia Belle Arti di Brera, che si propone a suo modo come futura promessa per la prossima edizione di Arte Fiera. L’eccentrico artista, presenta proprio alle porte della fiera “il mecenate è morto”: due gambe umane che spuntano dal fondo di un bidone dell’immondizia rovesciato; lavoro che ha riscosso molto scalpore tra i passanti ignari e ingannati dall’ eccessivo realismo della perfomance. Per galleristi, artisti e collezionisti, questi sono
nare stanca moltissimo, ma probabilmente sarà uno sforzo da tenere in considerazione, visto il notevole miglioramento della qualità della vita e dell’aria che si respira senza l’uso di essi. Esperienza interessante e sicuramente da ripetere questa due giorni full immersion nell’arte, ottima occasione per entrare in contatto con nuove suggestioni e artisti. Mantenere un approccio critico e riflessivo sull’attuale modo di fare arte, allenando i sensi ad apprezzare la bellezza oggettiva delle cose è forse l’obbligo che abbiamo nei confronti di tutto ciò che ci circonda.
i giorni in cui vale la pena tentare il tutto per tutto. La città, è uno dei punti fermi di Arte Fiera e degli eventi correlati: Art First, Art Off, Art White Night. Bologna accompagna, i visitatori in un percorso, all’interno dei suoi luoghi più significativi, tra mostre, video, conferenze e performance, integrando il visitatore nel clima cosmopolita del capoluogo emiliano. Gli artisti coinvolti nel dialogo con le architetture cittadine sono Plessi, Pomodoro, Presicce, De Paolis, Hamak, Valentini, Santarlasci, Corsini, Zazzera, Lupi, Pintaldi, Pinna, Bertocchi e Chimera. Medesimo il concetto di Arte Off, che impegna il pubblico in una serie di mostre e dimostrazioni allestite nei principali punti cardine dell’arte contemporanea bolognese, Mambo, Galleria d’arte moderna e contemporanea, Museo per la memoria di Ustica, oltre a palazzi, piazze e i circoli Arci. Dalla Fiera, la nostra attenzione si sposta quindi in centro, lungo quel percorso indicato dalle migliaia di pieghevoli distribuiti all’entrata della fiera. Visitatori ubriachi d’immagini cercano di orientarsi alla meno peggio verso i punti indicati dalla mappa. La bussola potrebbe essere uno dei temi dell’evento Art First, Art Off, visto che la comunicazione che indichi i luoghi da raggiungere è pressoché inesistente o comunque ben nascosta. La città pullula di turisti cittadini e addetti ai lavori che sono mandati alla deriva e non incanalati verso un vero e proprio percorso come indicato dall’evento: mancano segnaletica e punti informazione, la mappa (che dovrebbe svolgere il ruolo di guida quando l’ambiente non ci riesce ad orientare) non semplifica di certo le cose, un più all’estetica un meno all’usabilità. Con semplicità, si può giungere alle prime due installazioni in Piazza Maggiore, dove all’interno del cortile di Palazzo d’Accursio s’innalza in bronzo l’Obelisco cassadoro di Arnaldo Pomodoro, all’installazione di Fabrizio Plessi Water circles due strutture in ferro arrugginite che contengono 2 monitors ruotanti, lavoro dedicato al tema dell’acqua; entrambe le opere nel nuovo contesto urbano perdono paradossalmente di spazio e attenzione, prevale invece l’ambiente circostante un cortile di un palazzo del ‘400. La fotografia della giornata è di una città fremente, rossa in volto, impacciata, in abito scuro, accompagnata da un eccentrico gallerista impomatato con un lungo vestito bianco che si atteggia davanti a delle telecamere; Bologna sposa l’arte contemporanea.
BARTOLINI SOUNDTRANSIT GREENAWAY Massimo Bartolini / La forma del giardino
Nella seconda metà del novecento si incomincia a ragionare su quella fascia di territorio che vi è tra arte e architettura, come, cioè, conquistare nuovi spazi tra questi due universi. All’interno di questa fascia di ricerca si iscrive la figura del giardino che coagula le due forme di espressione in un unica idea: dare vita a un luogo comune per opere e persone. Mentre nella cultura contemporanea dello spazio la caratteristica principale è anarchia, caos e dispersione, uno spazio, quindi, dove eventi senza sosta si attivano e si estinguono, il giardino invece, si pone nell’ottica di lasciare nel tempo un segno ben visibile anche una volta che questo segno si è estinto, lascia cioè una sorta di “seme” per essere nuovamente modellato. Il giardino costituisce un patrimonio genetico il quale non ha ritmi di crescita forzabili quindi assume un compito di decelerazione rispetto a quello di accelerazione che governa la civiltà contemporanea. Con questa visione molti artisti lavorano proprio interagendo con la natura stessa, tra questi vale la pena di ricordare il lavoro di Massimo Bartolini. A partire dalla metà degli anni novanta, l’artista, mette in relazione elementi di natura opposta, li scompone e li trasforma in un tutt’uno. Nei suoi lavori vengono a mescolarsi elementi di alta tecnologia e cultura umanistica formando così un binomio territorio/corpo. Da una prima analisi possiamo individuare che le costruzioni formate da corpi e terreno hanno i segni tipici di un alfabeto geometrico che ricorda le configurazioni stellari sospese in spazi senza alcun riferimento alla realtà circostante e destinate a durare il tempo di una performance. I “giardini-evento” di Massimo Bartolini derivano dalla concezione di un corpo che vuole trattenere questi brandelli di terra incontaminata in modo da rinnovare la possibilità di una nuova vita all’interno di una società industrialmente educata. Terra trattenuta fisicamente da giovani che prendendosi per mano la abbracciano e la trattengono. È così che il giardino rivela la sua doppia identità: intima quando vogliamo isolarci dal caos cittadino e pubblica quando vogliamo fare due tiri a pallone tra amici.
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cultura monodose
Soundtransit.Nl / percorsi sonori
La rete da tempo ci ha abituati alla condivisione di immagini da parte di utenti provenienti da tutti gli “angoli” del globo; la community di soundtransit.nl dirige l’attenzione dei partecipanti verso un ambito sensoriale differente: l’udito. Il progetto ideato da Derek Holzer, Sara Kolster e Marc Boon permette di accumulare registrazioni (field recordings) dal Mondo per poi riproporle ad una vasta comunità online di appassionati e curiosi attraverso un’interfaccia che esplicita il concetto originario del viaggio: ciò che si fa è ‘prenotarne’ uno fra due diverse località con un numero selezionabile di fermate intermedie. Ciò che ne scaturisce è un file mp3 con i suoni concatenati fra loro che riesce a far focalizzare la nostra attenzione ai suoni accidentali che tipicamente sfuggono alla coscienza nel flusso della quotidianità. È in questo modo che interpellando il database per un viaggio dall’Italia alla Finlandia ci si trova immersi dapprima in una rumorosa periferia industriale fuori Cesena ed al vociare di una strada qualunque del decimo distretto di Vienna, per poi seguire il rincorrersi di alcuni passi lungo una spiaggia del Regno Unito finendo il proprio viaggio dentro la silenziosa cappella della cattedrale Lasse-Marc Riek ad Elsinki. Attraverso una ricerca organizzata per nazione, per parole chiave, per artista e città è possibile ottenere visivamente una sorta di geolocalizzazione dei suoni condivisi oltre, naturalmente, alla possibilità di ascoltare le singole registrazioni fonografiche.
Le valigie di tulse luper
Nel futuro di Greenaway si riaffaccia il suo alter ego Tulse Luper, personaggio-simbolo della sua mitologia personale. La valigia di Tulse Luper è infatti il titolo di un ambizioso progetto di sei ore di cinema scandite in tre film veri e propri, più ventisei programmi di mezz’ora per la televisione e un sito web. Il film intende seguire la sua vita sin da quando aveva dieci anni, le sue avventure si svolgono in tutto il mondo mentre lo sviluppo del film segue cronologicamente la storia dell’uranio a partire dalla sua scoperta verificatasi attorno al 1920, quando Tulse Luper era un ragazzo. A un certo punto della storia, Tulse Luper sparisce e si comincia a ricostruire la sua vita attraverso le sue valigie. Ci si comincia a domandare se Tulse Luper sia un personaggio reale o fittizio, si raccolgono le sue valigie, i suoi manoscritti, i suoi lavori stampati e i suoi film per esporli in una grande mostra al Brooklin Museum di New York, così in un certo senso l’ombrosa figura di Tulse Luper diventa sempre più oscura, mentre le cose che si lascia dietro sempre più concrete e più inquietanti, una di esse ad esempio è piena di 92 lingotti d’oro dei Nazisti, sottratti agli Ebrei dell’olocausto; c’è una valigia colma di pornografia del Vaticano; ci sono valigie piene semplicemente di scarpe, 92 scarpe; c’è una valigia piena di rane di sughero che sono il simbolo di un gruppo di assassini europei; c’è una valigia di ossa di cane bruciate, vestiti intimi femminili che appartenevano a famose attrici americane. Ogni valigia è portatrice di una storia, il film finisce con l’apertura dell’ultima valigia, la novantaduesima, mentre un convegno dibatte la questione chi fu Tulse Luper? Così, quella che all’inizio sembrava essere una storia dell’infanzia per poi creare una figura straordinaria si rivela essere un progetto totalmente e assolutamente prefabbricato dall’inizio. Il progetto ha per sottotitolo Storia dell’Uranio nel XX secolo, è strutturato in funzione del numero 92, che è appunto il numero atomico dell’uranio: un elemento-simbolo che nel male e nel peggio, ha condizionato la storia
del Novecento. Nel film ci sono 92 personaggi, 92 eventi maggiori, e ovviamente 92 valigie, la valigia è un’ottima metafora della fine del XX secolo, la popolazione mondiale è molto mobile, l’idea della tua casa e dei tuoi beni tutti raccolti in una valigia che porti con te, anche nel senso di bagaglio culturale, porti il tuo bagaglio metaforico, simbolico, e diventi questa persona mutevole, eclettica che raccoglie informazioni nell’era dell’informazione. La simbologia di questo film e generalmente di tutta l’opera di Greenaway è l’aspetto che più mi affascina. La costante attenzione per i dettagli, la fotografia, l’utilizzo delle luci di chiaro riferimento teatrale fanno di ogni inquadratura un opera d’arte. Questo film è un tassello che va a formare insieme ai precedenti la grande opera unica del regista, che vede Tulse Luper come protagonista indiscusso, ne avvertiamo la presenza anche dove fisicamente non c’è a dimostrarci l’esistenza di un filo conduttore appena visibile tra le ossessioni del regista.
Donatella Esposito - Valentina Mingucci
/ La pastorizzazione uccide i fermenti lattici vivi
Da un’intervista con Andrea Busetto Vicari cerchiamo di capire cos’è e come viene prodotto il latte crudo.
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Andrea Busetto Vicari, titolare di un’azienda agricola a pochi chilometri da Urbino, impegnato per anni nella produzione del latte per conto delle cooperative, ha deciso di dedicarsi alla produzione del latte crudo. Cerchiamo quindi di capire cos’è e come viene prodotto. Il latte crudo dopo la mungitura viene raffreddato e, senza subire alcun trattamento, è trasportato direttamente al distributore. I Distributori Automatici di Latte Crudo sono ad elevata innovazione tecnologica, grazie ad una attenta progettazione e al rispetto delle severe normative vigenti offrono agli allevatori una possibilità intelligente e competitiva per promuovere il loro prodotto, da posizionare nelle piazze di paese, nelle piste ciclabili, fuori dall’azienda, completamente autonomo ed automatico come self service 24/24 h. Lasciando intatto il suo sapore unico e naturale, il latte crudo è sinonimo
non solo di qualità ma anche di fatta male persistono alcuni sicurezza: sul latte sono effettuate batteri resistenti alle alte regolari analisi microbiologiche e temperature e i fermenti lattichimiche fatte dall’Istituto Zoci sono i primi che muoiono. oprofilattico Sperimentale che Il bello del latte crudo, oltre ne garantiscono la salubrità. In che ha un sapore più genuino e pratica puoi riempire la tua botforte, è che ha una filiera corta tiglia di latte fresco di giornata che salvaguarda i fermenti lattici ad un distributore automatico responsabili della protezione del a moneta negli allevamenti latte e dell’intestino di chi lo beve che si sono attrezzati. dalle aggressioni di altri batteri. La differenza sostanziale Questo latte rientra esattamente nei risiede nel fatto che il latte parametri richiesti dalla legge pernon ha subito trattamenti ché un latte si possa chiamare di alta termici. I dati confermaqualità ed è inoltre molto più facilmente no che in Italia, su 600 tollerato dalle persone con difficoltà aziende si è verificato digestive proprio grazie alla alta presenza solamente un caso di dei fermenti lattici vivi. La sicurezza di inadeguatezza del questo latte comincia già nella stalla grazie latte crudo, mentre ad un’alimentazione controllata e totalnello stesso periodo mente vegetariana a base di fieno, insilato il latte pastorizzato di mais, cereali e soia proteica. Ogni vacca è ne ha registrati dotata di un collare con trasponder che rileva 10 o 12, questo ad ogni mungitura lo stato di salute e il moto perché se la paeffettuato dall’animale nella giornata, dato utile storizzazione è a rilevarne la fertilità.
Nella provincia di Pesaro-Urbino sono presenti sei distributori di latte crudo. Tutti i giorni vengono riforniti di latte fresco. Il latte eccedente viene dato ai vitelli ed è in programma, al più presto, di organizzare un piccolo caseificio dove verrà utilizzato il latte avanzato per la produzione di formaggi. È in commercio un kit per la preparazione domestica del formaggio composto da una fuscellina per fare la ricotta, una più grande per fare il formaggio, una bottiglia di vetro con il contagoccie con il caglio, un’altra con l’acido lattico, un termometro per misurare le temperature di processo e una paginetta d’istruzioni per fare la cosiddetta caciottella o primosale, che è il formaggio più semplice da fare. Il bello è che il sapore di questo formaggio è ogni volta differente, non è mai banale anche se lo si fa per la prima volta. Un’interessante indagine su questo tema è stata svolta dal CNR Lombardo: www.lattemontefeltro. com/files/LATCRU.pdf.
QUANTI GIORNI SI CONSERVA IL LATTE CRUDO? 2 giorni crudo (meglio se conservato nella zona più fredda del frigo) 4 o 5 giorni se bollito (và bollito poco dopo l’acquisto). PERCHÉ COMPRARE IL LATTE CRUDO DAI DISTRIBUTORI? . Conserva tutte le proprietà naturali . È cremoso e dal gusto intenso . Costa meno del latte che trovi nei supermercati VANTAGGI AMBIENTALI . Meno camion sulle strade! Il latte crudo non viene trasportato per chilometri, viene da fattorie vicine. . Meno rifiuti! Il latte crudo non è impacchettato (puoi andarlo a prendere con la tua bottiglia in vetro, lavabile e riutilizzabile) . Nessuno spreco! Il latte non erogato dai distributori dopo 24 ore viene utilizzato per fare la ricotta e altri formaggi www.lattemontefeltro.com www.lattemontefeltro.com/files/LATCRU.pdf www.milkmaps.com
come si fa
stampa + ritaglia + attacca: ispirato da design-police.org
1* Stampa questa pagina su carta adesiva. 2* Ritaglia con cura lungo la linea tratteggiata. 3* Appiccica gli adesivi dove preferisci.
ACCADE #01 - marzo 2008 un progetto di CAMPI VISIVI, Accademia di Belle Arti di Urbino via dei Maceri, 2, Urbino (PU) tel. 0722 320287 www.campivisivi.net www.accademiadiurbino.it
Docenti: Alessandro Sibilia (fenomenologia degli stili) Marcello Signorile (video design) con l’ausilio di: Totto Renna (illustrazione digitale) Studenti in redazione: Valerio Bosi (motocross) Donatella Esposito (illustrazioni) Bianca Fabbri (album di figurine) Francesco Fanti (mastro d’ascia) Giulia Giordani (salumiera) Diego Giusti (hair stylist) Daniele Lisi (piadina romagnola) Silvia Mengarelli (catering) Valentina Mingucci (sartoria) Manuell Pasini (rumori)
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Hanno collaborato: Maurizio Arcangeli Antonello Bruno Andrea Busetto Vicari Francesco Calcagnini Luigi Carboni Anna Fucili Dario Mancini Marco Mucelli Ringraziamenti: Umberto Palestini (direttore Accademia Belle Arti, Urbino) Massimo Castellucci, Amneris De Angeli (segreteria amministrativa) chiuso in redazione il 18 marzo 2008 www.campivisivi.net/magazine.php ACCADE #01 Š autori e campivisivi
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