02
ovvero. progetti, pensieri, storie, persone, luoghi, racconti, sentimenti, utopie: tutto ciò dentro il campo visivo dell’Accademia di Belle Arti d’Urbino
CONTIAMOLI
età e provenienza dei professori dell’Accademia di Belle Arti di Urbino
1940
1950
1960
1970
TRADIZIONALE
1980
MULTIMEDIALE
COBASLID
Diagramma Valerio Bosi, Diego Giusti
Anni
CONTIAMOLI
età e provenienza dei professori dell’Accademia di Belle Arti di Urbino
1940
1950
1960
1970
TRADIZIONALE
1980
MULTIMEDIALE
COBASLID
Diagramma Valerio Bosi, Diego Giusti
Anni
/ Paucis passibus ambulatione monstrata, totum quid sit ambulare cognoscet di Luca Cesari
Penso di essere uno studioso prima che un professore; e credo lo si avverta. La maggior parte dei professori a livello accademico anche lo è, naturalmente; ma al novanta per cento ognuno è, intimamente, più l’uno o più l’altro. La sintesi perfetta delle due identità è incarnata dalla figura del maestro.
Ed io ho avuto un maestro, ne ho avuto uno, Luciano Anceschi, che ha impersonato la perfetta e umana figura del maestro. Debbo a lui quel che oggi sostanzialmente sono, non solo gli interessi diretti verso l’estetica che insegno, ma il modo di affrontare l’estetica non escludendo la filosofia dell’arte, la coltivazione della critica, degli studi letterari ed artistici tenendo fede all’impostazione fenomenologica ricevuta. Dal lato degli interessi speciali che coltivo nelle mie ricerche (che siano inclini più alla teoria o alla storia, alla fenomenologia diretta delle arti che non disprezzo al contrario di molti colleghi italiani) risulta costantemente un motivo di continuità con la lezione di Anceschi. Oggi più che mai, lui assente, sento tutte le corde della mia impostazione vibrare in risonanza con quella ispirazione che continua a orientare quel che faccio, come risulta evidentemente dai lavori che pubblico. Il libro più recente è un’edizione critica del capolavoro di Francesco Arcangeli, della contestata monografia su Giorgio Morandi che non aveva mai visto la luce nella sua “stesura originaria” (Allemandi, 2007). In preparazione ho invece l’edizione della corrispondenza epistolare fra Luciano Anceschi e Antonio Banfi (il grande filosofo milanese che gli fu maestro) incentrata sulle origini di una nostra estetica novecentesca autonoma da Croce. Molte altre cose sono in pectore (lavori su Argan e una mostra da Fontana a Yvaral che si inaugurerà a Verucchio il prossimo luglio). Ma tornia
/ Paucis passibus ambulatione monstrata, totum quid sit ambulare cognoscet di Luca Cesari
Penso di essere uno studioso prima che un professore; e credo lo si avverta. La maggior parte dei professori a livello accademico anche lo è, naturalmente; ma al novanta per cento ognuno è, intimamente, più l’uno o più l’altro. La sintesi perfetta delle due identità è incarnata dalla figura del maestro.
Ed io ho avuto un maestro, ne ho avuto uno, Luciano Anceschi, che ha impersonato la perfetta e umana figura del maestro. Debbo a lui quel che oggi sostanzialmente sono, non solo gli interessi diretti verso l’estetica che insegno, ma il modo di affrontare l’estetica non escludendo la filosofia dell’arte, la coltivazione della critica, degli studi letterari ed artistici tenendo fede all’impostazione fenomenologica ricevuta. Dal lato degli interessi speciali che coltivo nelle mie ricerche (che siano inclini più alla teoria o alla storia, alla fenomenologia diretta delle arti che non disprezzo al contrario di molti colleghi italiani) risulta costantemente un motivo di continuità con la lezione di Anceschi. Oggi più che mai, lui assente, sento tutte le corde della mia impostazione vibrare in risonanza con quella ispirazione che continua a orientare quel che faccio, come risulta evidentemente dai lavori che pubblico. Il libro più recente è un’edizione critica del capolavoro di Francesco Arcangeli, della contestata monografia su Giorgio Morandi che non aveva mai visto la luce nella sua “stesura originaria” (Allemandi, 2007). In preparazione ho invece l’edizione della corrispondenza epistolare fra Luciano Anceschi e Antonio Banfi (il grande filosofo milanese che gli fu maestro) incentrata sulle origini di una nostra estetica novecentesca autonoma da Croce. Molte altre cose sono in pectore (lavori su Argan e una mostra da Fontana a Yvaral che si inaugurerà a Verucchio il prossimo luglio). Ma tornia
mo al punto iniziale. Insegno estetica in questa Accademia, e non provo imbarazzo nel dire che insegno filosofia dell’arte (anche quella storica) e scommetto convintamente sulla necessità di avviare un’educazione letteraria che costituisce l’ossatura della presa globale di una cultura artistica comunque concepita. Letteraria e filosofica in senso esteso. L’idea che l’istruzione (specialmente teorica) dei nostri studenti debba orientarsi esclusivamente sul contemporaneo (generalmente confuso con l’attualità-ansa dell’arte) mi ripugna: porta, secondo me, ad una specie di appiattimento sul politically correct, a un grande equivoco sulla funzione reale della storia o sul suo “danno”, come direbbe Nietzsche in tutto un altro senso. Proprio di recente Agamben, a proposito della nozione di “contemporaneo”, ci ha ricordato
l’idea nietzscheana dell’“intempestivo”: ciò mediante cui si prende posizione nel presente: “Un uomo intelligente può odiare il suo tempo, ma sa in ogni modo di appartenergli irrevocabilmente, sa di non poter sfuggire al suo tempo”. Perciò vi aderisce prendendone insieme le distanze. Senza prenderne le distanze, non si potrà mai essere contemporanei del “contemporaneo” che in se stesso è un’entità astratta. È più contemporaneo del suo tempo Bacon o Balthus? Ovviamente né l’uno né l’altro ed entrambi. Il secolo appena nato – continua Agamben – ha la “schiena rotta” e solo in tali condizioni si volge al passato. Bene: i contemporanei, Bacon e Balthus, sono le “vertebre spezzate” che guardano al passato vivendo nel presente e nel presente non potendo assolutamente vivere.
mo al punto iniziale. Insegno estetica in questa Accademia, e non provo imbarazzo nel dire che insegno filosofia dell’arte (anche quella storica) e scommetto convintamente sulla necessità di avviare un’educazione letteraria che costituisce l’ossatura della presa globale di una cultura artistica comunque concepita. Letteraria e filosofica in senso esteso. L’idea che l’istruzione (specialmente teorica) dei nostri studenti debba orientarsi esclusivamente sul contemporaneo (generalmente confuso con l’attualità-ansa dell’arte) mi ripugna: porta, secondo me, ad una specie di appiattimento sul politically correct, a un grande equivoco sulla funzione reale della storia o sul suo “danno”, come direbbe Nietzsche in tutto un altro senso. Proprio di recente Agamben, a proposito della nozione di “contemporaneo”, ci ha ricordato
l’idea nietzscheana dell’“intempestivo”: ciò mediante cui si prende posizione nel presente: “Un uomo intelligente può odiare il suo tempo, ma sa in ogni modo di appartenergli irrevocabilmente, sa di non poter sfuggire al suo tempo”. Perciò vi aderisce prendendone insieme le distanze. Senza prenderne le distanze, non si potrà mai essere contemporanei del “contemporaneo” che in se stesso è un’entità astratta. È più contemporaneo del suo tempo Bacon o Balthus? Ovviamente né l’uno né l’altro ed entrambi. Il secolo appena nato – continua Agamben – ha la “schiena rotta” e solo in tali condizioni si volge al passato. Bene: i contemporanei, Bacon e Balthus, sono le “vertebre spezzate” che guardano al passato vivendo nel presente e nel presente non potendo assolutamente vivere.
Bacon in proposito ha parlato di “ottimismo del nulla”. E Balthus si è circondato di grazie giapponesi nel buen retiro svizzero dove pochi anni fa è morto, per attorniarsi solo di un mondo di bellezza. Sì, insegno la filosofia dell’arte, anche quella “storica”. Penso all’esempio di un uomo eccezionale come Arcangeli che con gesto intempestivo ricomponeva la colonna vertebrale dello svolgimento dell’arte emilianobolognese da Wiligelmo a Morandi con la schiena che urlava per le fratture del suo corpo di contemporaneo inattuale, immerso nell’oscuro substrato schopenhaueriano del suo sentimento irrazionale della natura. O come Giulio Carlo Argan (l’antipode di Arcangeli) che in epoca di già incipiente post-modernità esaltava il dettato razionale di una “storia moderna dell’arte” non di una “storia dell’arte moderna”. Per questo tengo corsi dove si affrontano prevalentemente le nozioni centrali della
storia dell’estetica, anche recentissima. Il corso che tengo quest’anno è visto dall’angolazione della produzione intellettualeriflessiva degli artisti. Come reagisce l’arte, a cominciare dal magistrale documento epistolare delle lettere di Van Gogh, alla profezia circa la morte dell’arte di Hegel (con cui ha inizio la moderna filosofia dell’arte) e a quella sulla morte di Dio da parte di Nietzsche? Da qui, tutto un discorso che porta ad affrontare la letteratura “seconda” degli artisti. Con molta modestia insegnare, per me, vuol dire indicare (lo affermava anche S. Agostino nel De Magistro). Essere un punto d’appoggio, forse non importante, qualcuno che si è incontrato, in un dato tempo della vita, e dal quale si è avuto almeno uno sprazzo nella tenebra. “Mostragli pochi passi di cammino, capirà che cosa sia camminare in generale”.
Luca Cesari è un noto scrittore di poesie ed anche un critico e curatore di varie edizioni letterarie. Dirige per le edizioni Scheiwiller la collana dei Quaderni della Fondazione G. Arcangeli. Insegna nel corso di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Il corso: Congedo del viaggiatore cerimonioso nell’età degli immateriali, prende il titolo dall’omonima raccolta di versi di Giorgio Caproni edita nel 1965, questo Congedo recita una sorta di emblematica dimissione dell’uomo, quasi un concludersi del suo tragitto storico (e metafisico), dinanzi all’espansione del mondo tecnico moderno che trasforma, con lui, l’ambito della conoscenza e della civiltà. Il corso si propone di analizzare la linea contraddittoria delle reazioni a questo tipo di mutazione in atto.
Bacon in proposito ha parlato di “ottimismo del nulla”. E Balthus si è circondato di grazie giapponesi nel buen retiro svizzero dove pochi anni fa è morto, per attorniarsi solo di un mondo di bellezza. Sì, insegno la filosofia dell’arte, anche quella “storica”. Penso all’esempio di un uomo eccezionale come Arcangeli che con gesto intempestivo ricomponeva la colonna vertebrale dello svolgimento dell’arte emilianobolognese da Wiligelmo a Morandi con la schiena che urlava per le fratture del suo corpo di contemporaneo inattuale, immerso nell’oscuro substrato schopenhaueriano del suo sentimento irrazionale della natura. O come Giulio Carlo Argan (l’antipode di Arcangeli) che in epoca di già incipiente post-modernità esaltava il dettato razionale di una “storia moderna dell’arte” non di una “storia dell’arte moderna”. Per questo tengo corsi dove si affrontano prevalentemente le nozioni centrali della
storia dell’estetica, anche recentissima. Il corso che tengo quest’anno è visto dall’angolazione della produzione intellettualeriflessiva degli artisti. Come reagisce l’arte, a cominciare dal magistrale documento epistolare delle lettere di Van Gogh, alla profezia circa la morte dell’arte di Hegel (con cui ha inizio la moderna filosofia dell’arte) e a quella sulla morte di Dio da parte di Nietzsche? Da qui, tutto un discorso che porta ad affrontare la letteratura “seconda” degli artisti. Con molta modestia insegnare, per me, vuol dire indicare (lo affermava anche S. Agostino nel De Magistro). Essere un punto d’appoggio, forse non importante, qualcuno che si è incontrato, in un dato tempo della vita, e dal quale si è avuto almeno uno sprazzo nella tenebra. “Mostragli pochi passi di cammino, capirà che cosa sia camminare in generale”.
Luca Cesari è un noto scrittore di poesie ed anche un critico e curatore di varie edizioni letterarie. Dirige per le edizioni Scheiwiller la collana dei Quaderni della Fondazione G. Arcangeli. Insegna nel corso di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Il corso: Congedo del viaggiatore cerimonioso nell’età degli immateriali, prende il titolo dall’omonima raccolta di versi di Giorgio Caproni edita nel 1965, questo Congedo recita una sorta di emblematica dimissione dell’uomo, quasi un concludersi del suo tragitto storico (e metafisico), dinanzi all’espansione del mondo tecnico moderno che trasforma, con lui, l’ambito della conoscenza e della civiltà. Il corso si propone di analizzare la linea contraddittoria delle reazioni a questo tipo di mutazione in atto.
/ guardalontano 1, 2, 3
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO
GUARDA LONTANO VISITING, SEMINARI, CONFERENZE
Giulia Giordani Diego Giusti
GUARDARE LONTANO SIGNIFICA: volgere, fissare lo sguardo su “qualcosa”, su “qualcuno”; guardare... un paesaggio... una città... i passanti, guardarsi dentro, sentirsi... ; essere lontano dal percepire l’arrivo, ma sempre abbastanza vicini per immaginarlo, permettendoci superare i limiti del pensiero e di “scrutare” nuove strade. Percepire, osservare, studiare, progettare, vivere. Guardare lontano ci mostra direzioni possibili verso cui volgere la nostra attenzione, è una mappa, una segnaletica, una guida, un percorso vita, un momento di riflessione e di confronto; diversi punti di vista che partono da un pressante presente verso un’ incalzante e sfuocato futuro. In pochi sono dotati di lenti speciali per Guardare Lontano, e chi ancora non ne fosse in possesso, potrà trovarle più vicino di quanto egli creda al solo costo di un desiderio, un’ obiettivo, un’ideale, un progetto.
/ guardalontano 1, 2, 3
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO
GUARDA LONTANO VISITING, SEMINARI, CONFERENZE
Giulia Giordani Diego Giusti
GUARDARE LONTANO SIGNIFICA: volgere, fissare lo sguardo su “qualcosa”, su “qualcuno”; guardare... un paesaggio... una città... i passanti, guardarsi dentro, sentirsi... ; essere lontano dal percepire l’arrivo, ma sempre abbastanza vicini per immaginarlo, permettendoci superare i limiti del pensiero e di “scrutare” nuove strade. Percepire, osservare, studiare, progettare, vivere. Guardare lontano ci mostra direzioni possibili verso cui volgere la nostra attenzione, è una mappa, una segnaletica, una guida, un percorso vita, un momento di riflessione e di confronto; diversi punti di vista che partono da un pressante presente verso un’ incalzante e sfuocato futuro. In pochi sono dotati di lenti speciali per Guardare Lontano, e chi ancora non ne fosse in possesso, potrà trovarle più vicino di quanto egli creda al solo costo di un desiderio, un’ obiettivo, un’ideale, un progetto.
“LAVORARE IN GRUPPO È PIÙ DIFFICILE PERCHÈ DEVI IMPARARE A REAGIRE AL GIUDIZIO DELLE PERSONE CHE STANNO CON TE” GUIDO SCARABOTTOLO
GUARDARE LONTANO CI MOSTRA DIREZIONI POSSIBILI VERSO CUI VOLGERE LA NOSTRA ATTENZIONE
Nato quattro anni fa all’ultimo piano dell’accademia nella sede operativa di Campivisivi, Guardalontano è il coraggioso frutto di un bisogno, di un desiderio e di un’esigenza di confrontarsi ed apprendere attingendo a piene mani dalla conoscenza di professionisti, designer, filosofi, musicisti, illustratori che si sono susseguiti nel corso delle conferenze organizzate in questi anni. Guardare lontano per allargare i campi visivi, aprirsi all’esterno per arricchirsi dentro. Questo lo spirito con cui vengono organizzate le conferenze ed i workshop di Guarda Lontano. Seguendo questo intento ogni anno è organizzata una settimana di lavorocaratterizzata da un tema inizialmente affrontato con un dibattito frontale, attraverso il coinvolgimento di relatori esterni alla “comunità” di Urbino, per creare un confronto tra realtà differenti rispetto alla nostra attuale condizione di studenti.
“LAVORARE IN GRUPPO È PIÙ DIFFICILE PERCHÈ DEVI IMPARARE A REAGIRE AL GIUDIZIO DELLE PERSONE CHE STANNO CON TE” GUIDO SCARABOTTOLO
GUARDARE LONTANO CI MOSTRA DIREZIONI POSSIBILI VERSO CUI VOLGERE LA NOSTRA ATTENZIONE
Nato quattro anni fa all’ultimo piano dell’accademia nella sede operativa di Campivisivi, Guardalontano è il coraggioso frutto di un bisogno, di un desiderio e di un’esigenza di confrontarsi ed apprendere attingendo a piene mani dalla conoscenza di professionisti, designer, filosofi, musicisti, illustratori che si sono susseguiti nel corso delle conferenze organizzate in questi anni. Guardare lontano per allargare i campi visivi, aprirsi all’esterno per arricchirsi dentro. Questo lo spirito con cui vengono organizzate le conferenze ed i workshop di Guarda Lontano. Seguendo questo intento ogni anno è organizzata una settimana di lavorocaratterizzata da un tema inizialmente affrontato con un dibattito frontale, attraverso il coinvolgimento di relatori esterni alla “comunità” di Urbino, per creare un confronto tra realtà differenti rispetto alla nostra attuale condizione di studenti.
“L’UNICA RESPONSABILITÀ DELL’ARTISTA È L’ESSERE IRRESPONSABILE” 0100101110101101.ORG
Il tutto termina poi con un confronto diretto e pratico nelle intense giornate dedicate ai workshop. Nel corso del primo anno è stato affrontato il tema della Città. Questi spazi ridotti ad un ruolo marginale, unicamente scenografico in cui l’uomo preferisce intervenire su ciò che già esiste, su ciò che è concreto, evitando di contare su un futuro prossimo troppo incerto. Un tema che ha posto molti quesiti sulla nostra posizione all’interno di queste realtà, offrendoci nuove suggestioni e spunti di lavoro che hanno protratto l’analisi di questo tema anche nel corso della seconda edizione delle conferenze. In questi due primi cicli, al microfono di Guardalontano, si sono susseguiti i nomi di: Mario Piazza, Carlo Branzaglia, Mirko Pajè, Ruggero Pierantoni, Guido Scarabottolo, Mauro Bubbico, Pier Luigi Cervellati, Pietro Palladino, 0100101110101101.org e molti altri. Guardalontano/3 ha puntato l’attenzione su di un argomento dal carattere immateriale legato al Sentire il progetto. Un ripido percorso tra arte, tecnica e filosofia, che puntava a delineare i labili confini tra pensiero filosofico e progetto, mostrando che quest’ultimo, su piano
“L’UNICA RESPONSABILITÀ DELL’ARTISTA È L’ESSERE IRRESPONSABILE” 0100101110101101.ORG
Il tutto termina poi con un confronto diretto e pratico nelle intense giornate dedicate ai workshop. Nel corso del primo anno è stato affrontato il tema della Città. Questi spazi ridotti ad un ruolo marginale, unicamente scenografico in cui l’uomo preferisce intervenire su ciò che già esiste, su ciò che è concreto, evitando di contare su un futuro prossimo troppo incerto. Un tema che ha posto molti quesiti sulla nostra posizione all’interno di queste realtà, offrendoci nuove suggestioni e spunti di lavoro che hanno protratto l’analisi di questo tema anche nel corso della seconda edizione delle conferenze. In questi due primi cicli, al microfono di Guardalontano, si sono susseguiti i nomi di: Mario Piazza, Carlo Branzaglia, Mirko Pajè, Ruggero Pierantoni, Guido Scarabottolo, Mauro Bubbico, Pier Luigi Cervellati, Pietro Palladino, 0100101110101101.org e molti altri. Guardalontano/3 ha puntato l’attenzione su di un argomento dal carattere immateriale legato al Sentire il progetto. Un ripido percorso tra arte, tecnica e filosofia, che puntava a delineare i labili confini tra pensiero filosofico e progetto, mostrando che quest’ultimo, su piano
LAVORARE IN GRUPPO È UN’ESPERIENZA FORMATIVA RICCA DI STIMOLI E QUESTI WORKSHOP NE SONO SICURAMENTE LA CONFERMA
pratico, non si arrende dinanzi alle difficoltà, ripiegando unicamente sul supporto della tecnica. Il valore del silenzio, del sentire il progetto e sulle sensazioni che scaturiscono dalla volontà di ascoltarsi e prendere coscienza delle proprie scelte nel campo della progettualità. Questa terza edizione è stata caratterizzata dalla collaborazione dell’Accademia di Belle Arti di Urbino con la vicina Isia, sinergia creata dallo sforzo di Beppe Chia e Marcello Signorile, che anche per questo ciclo di conferenze hanno assicurato la presenza di relatori autorevoli quali Enzo Mari, Mauro Vespa, Walter Branchi e Franco Bertossa e altrettanto stimolanti i nomi che hanno articolato i workshop ne sono sicuramente la conferma. In pochi giorni si produce e si impara moltissimo, scambiandosi idee e pareri con persone sconosciute e tutto ciò amplia le conoscenze di ognuno e permette di sviluppare un senso critico ed estetico più profondo. Guardare Lontano è anche questo. Preventivare uno sforzo considerevole, sia psicologico che fisico. All’inizio non si è pronti ne capaci di vedere certe cose o
ascoltare determinati temi considerandoli troppo lontani a noi e per fare ciò occorre preparare anche il nostro corpo a sentire davvero, rendere nostre sensazioni sconosciute, sentendoci parte integrante di una città, di un progetto o di un ambiente. Tutti questi sforzi non risulteranno vani, anzi, ci costringeranno ad affrontare direttamente i nostri limiti e a superarli in qualche modo. Ogni volta che si conclude un ciclo di conferenze ci si scopre nuovi, più arricchiti e stimolati a non fermarsi a ciò che è a portata di mano. Dopo ormai quattro edizioni, Guardalontano è parte integrante del percorso formativo dell’Accademia e del biennio in Visual Design. Un’esperienza di rilievo per qualunque studente disposto a focalizzare meglio un’obiettivo, un’ideale, un progetto, esaltando la propria voglia di imparare e confrontarsi.
“IO SONO UN SOLDATO. SIAMO IN GUERRA FRA CHI VUOL MIGLIORARE IL MONDO E FRA CHI PENSA CHE IL MONDO VADA BENE COSÌ... SE SIAMO IN GUERRA CON IL MONDO È UN PROBLEMA DI ARMI, DI EFFICIENZA E QUINDI DI QUALI ARMI PROGETTARE, REALIZZARE” ENZO MARI
LAVORARE IN GRUPPO È UN’ESPERIENZA FORMATIVA RICCA DI STIMOLI E QUESTI WORKSHOP NE SONO SICURAMENTE LA CONFERMA
pratico, non si arrende dinanzi alle difficoltà, ripiegando unicamente sul supporto della tecnica. Il valore del silenzio, del sentire il progetto e sulle sensazioni che scaturiscono dalla volontà di ascoltarsi e prendere coscienza delle proprie scelte nel campo della progettualità. Questa terza edizione è stata caratterizzata dalla collaborazione dell’Accademia di Belle Arti di Urbino con la vicina Isia, sinergia creata dallo sforzo di Beppe Chia e Marcello Signorile, che anche per questo ciclo di conferenze hanno assicurato la presenza di relatori autorevoli quali Enzo Mari, Mauro Vespa, Walter Branchi e Franco Bertossa e altrettanto stimolanti i nomi che hanno articolato i workshop ne sono sicuramente la conferma. In pochi giorni si produce e si impara moltissimo, scambiandosi idee e pareri con persone sconosciute e tutto ciò amplia le conoscenze di ognuno e permette di sviluppare un senso critico ed estetico più profondo. Guardare Lontano è anche questo. Preventivare uno sforzo considerevole, sia psicologico che fisico. All’inizio non si è pronti ne capaci di vedere certe cose o
ascoltare determinati temi considerandoli troppo lontani a noi e per fare ciò occorre preparare anche il nostro corpo a sentire davvero, rendere nostre sensazioni sconosciute, sentendoci parte integrante di una città, di un progetto o di un ambiente. Tutti questi sforzi non risulteranno vani, anzi, ci costringeranno ad affrontare direttamente i nostri limiti e a superarli in qualche modo. Ogni volta che si conclude un ciclo di conferenze ci si scopre nuovi, più arricchiti e stimolati a non fermarsi a ciò che è a portata di mano. Dopo ormai quattro edizioni, Guardalontano è parte integrante del percorso formativo dell’Accademia e del biennio in Visual Design. Un’esperienza di rilievo per qualunque studente disposto a focalizzare meglio un’obiettivo, un’ideale, un progetto, esaltando la propria voglia di imparare e confrontarsi.
“IO SONO UN SOLDATO. SIAMO IN GUERRA FRA CHI VUOL MIGLIORARE IL MONDO E FRA CHI PENSA CHE IL MONDO VADA BENE COSÌ... SE SIAMO IN GUERRA CON IL MONDO È UN PROBLEMA DI ARMI, DI EFFICIENZA E QUINDI DI QUALI ARMI PROGETTARE, REALIZZARE” ENZO MARI
sigla GL 1
evento workshop GL 3
laura safred
gianni lavacchini
allestimento GL 2
vittorio bergamaschi
carlo branzaglia
marco signorini
pier luigi capucci
pier luigi cervellati
stefano dal tin
evento GL 3
mauro bubbico
sigla GL 3
giandomenico semeraro
roberto paci dalò
franco bertossa
walter branchi
enzo mari
mario vespa
otolab
alberta pellacani
elio grazioli
sandra lischi
0100101110101101.org
mirko pajĂŠ
mario piazza
pietro palladino
ruggero pierantoni
guido scarabottolo
sigla GL 1
evento workshop GL 3
laura safred
gianni lavacchini
allestimento GL 2
vittorio bergamaschi
carlo branzaglia
marco signorini
pier luigi capucci
pier luigi cervellati
stefano dal tin
evento GL 3
mauro bubbico
sigla GL 3
giandomenico semeraro
roberto paci dalò
franco bertossa
walter branchi
enzo mari
mario vespa
otolab
alberta pellacani
elio grazioli
sandra lischi
0100101110101101.org
mirko pajĂŠ
mario piazza
pietro palladino
ruggero pierantoni
guido scarabottolo
/ guarda lontano 4
fabrizio rebagliati
TERRA
AMBIENTE, IDENTITÀ, RESPONSABILITÀ
IN UN’EPOCA IN CUI ANCHE L’ULTIMO ANGOLO DEL GLOBO TERRESTRE È STATO CONQUISTATO DALLA TECNICA ED È DIVENTATO ECONOMICAMENTE SFRUTTABILE [...] LA DECADENZA SPIRITUALE DELLA TERRA È COSÌ AVANZATA CHE I POPOLI RISCHIANO DI PERDERE L’ESTREMA FORZA DELLO SPIRITO, QUELLA CHE PERMETTEREBBE ALMENO DI VALUTARE COME TALE QUESTA DECADENZA. MARTIN HEIDEGGER
fabian negrin
gea
imago mundi
/ guarda lontano 4
fabrizio rebagliati
TERRA
AMBIENTE, IDENTITÀ, RESPONSABILITÀ
IN UN’EPOCA IN CUI ANCHE L’ULTIMO ANGOLO DEL GLOBO TERRESTRE È STATO CONQUISTATO DALLA TECNICA ED È DIVENTATO ECONOMICAMENTE SFRUTTABILE [...] LA DECADENZA SPIRITUALE DELLA TERRA È COSÌ AVANZATA CHE I POPOLI RISCHIANO DI PERDERE L’ESTREMA FORZA DELLO SPIRITO, QUELLA CHE PERMETTEREBBE ALMENO DI VALUTARE COME TALE QUESTA DECADENZA. MARTIN HEIDEGGER
fabian negrin
gea
imago mundi
di Luciano Perondi
L’importanza di chiamarsi come un villaggio albanese vicino a Berat Come qualmente Luciano dialogando con Perondi si accorse dell’inutilità della tipografia e del curioso sofismo Luciano: Torniamo, disse Luciano, al nostro argomento. Perondi: Quale? Cacare?
P: Ego sic argumentor. Onnis tipographia tipographabilis in tipographerio tipographando tipographans tipographativo tipographare fecit tipographabiliter tipographantes. Perondus habet tipographias. Ergo gluc! Ah, per la tipografia! passò quel tempo che facevo il diavolo a quattro in argomentare tipografico. Presentemente non fo che farneticare: d’ora innanzi null’altro mi conviene che buon vino, buon letto, buon fuoco alle spalle, il ventre a tavola e scodella ben profonda.
L: Ma no, la tipografia! P: Ma paghereste una mezza brenta di vin di Brettagna, se io vi mettessi con le spalle al muro sull’argomento? L: Volentieri. P: Non è possibile la tipografia, se prima non si è ben pensato alla scrittura. L: Oh quanto senno! Uno di questi giorni ti promuoveranno dottore alla Sorbona ché hai più saviezza che anni. Ma seguita ora, ti prego, l’argomento tipograficulativo.
L: Non traccheggiare nella tua turpitudine immonda. Vieni tosto al dunque. P: D’accordo, per Bodoni, riprendiamo. Imparai l’alfabeto così bene che lo recitavo a memoria anche alla rovescia. Intanto imparavo a scrivere con caratteri gotici, ché l’arte della stampa non usava ancora. E pure quando la stampa fu introdotta, imparavo a destreggiarmi con le curve di grado terzo e di secondo (vir sapiens non abhorrebit eam). Mi avvidi però che da codesti insegnamenti non traevo profitto anzi, ciò ch’è peggio, ne diventavo matto, cretino, fantastico, fanatico, farneticante, sfrucugliante, curculiformeggiante. Ché la tipografia è arte vilmente ottusa, se la si prende con eccessiva serietà.
Luciano Perondi, nato a Busto Arsizio nel lontanissimo 1976, ivi tuttora vivente. Come principale attività si dedica alla lettura di libri di fantascienza e di prosa islandese medievale, nei ritagli di tempo si occupa di type e information design. Ha fondato uno studio, Molotro, e una associazione non profit, EXP, che si occupa di ricerca sulla lettura e sulla scrittura. Socio AIAP, ADI, IIDD, ATypI, sceglie le associazioni di cui far parte in base alla tipogenicità dell’acronimo. Insegna Type Design al secondo anno del biennio in Visual Design presso l’Accademia di Belle arti di Urbino.
di Luciano Perondi
L’importanza di chiamarsi come un villaggio albanese vicino a Berat Come qualmente Luciano dialogando con Perondi si accorse dell’inutilità della tipografia e del curioso sofismo Luciano: Torniamo, disse Luciano, al nostro argomento. Perondi: Quale? Cacare?
P: Ego sic argumentor. Onnis tipographia tipographabilis in tipographerio tipographando tipographans tipographativo tipographare fecit tipographabiliter tipographantes. Perondus habet tipographias. Ergo gluc! Ah, per la tipografia! passò quel tempo che facevo il diavolo a quattro in argomentare tipografico. Presentemente non fo che farneticare: d’ora innanzi null’altro mi conviene che buon vino, buon letto, buon fuoco alle spalle, il ventre a tavola e scodella ben profonda.
L: Ma no, la tipografia! P: Ma paghereste una mezza brenta di vin di Brettagna, se io vi mettessi con le spalle al muro sull’argomento? L: Volentieri. P: Non è possibile la tipografia, se prima non si è ben pensato alla scrittura. L: Oh quanto senno! Uno di questi giorni ti promuoveranno dottore alla Sorbona ché hai più saviezza che anni. Ma seguita ora, ti prego, l’argomento tipograficulativo.
L: Non traccheggiare nella tua turpitudine immonda. Vieni tosto al dunque. P: D’accordo, per Bodoni, riprendiamo. Imparai l’alfabeto così bene che lo recitavo a memoria anche alla rovescia. Intanto imparavo a scrivere con caratteri gotici, ché l’arte della stampa non usava ancora. E pure quando la stampa fu introdotta, imparavo a destreggiarmi con le curve di grado terzo e di secondo (vir sapiens non abhorrebit eam). Mi avvidi però che da codesti insegnamenti non traevo profitto anzi, ciò ch’è peggio, ne diventavo matto, cretino, fantastico, fanatico, farneticante, sfrucugliante, curculiformeggiante. Ché la tipografia è arte vilmente ottusa, se la si prende con eccessiva serietà.
Luciano Perondi, nato a Busto Arsizio nel lontanissimo 1976, ivi tuttora vivente. Come principale attività si dedica alla lettura di libri di fantascienza e di prosa islandese medievale, nei ritagli di tempo si occupa di type e information design. Ha fondato uno studio, Molotro, e una associazione non profit, EXP, che si occupa di ricerca sulla lettura e sulla scrittura. Socio AIAP, ADI, IIDD, ATypI, sceglie le associazioni di cui far parte in base alla tipogenicità dell’acronimo. Insegna Type Design al secondo anno del biennio in Visual Design presso l’Accademia di Belle arti di Urbino.
L: Cosa intendi con serietà? P: Beh, la contorta idea secondo cui, dato che i caratteri hanno origine lontanamente calligrafica, le interpretazioni moderne impongono ad esempio che le forme nuove ricalchino l’andamento della penna d’oca ben temperata. Oppure che la tipografia abbia da essere distinta dalla scrittura e che il progettar caratteri debba tenere in conto solo della sequenza pedestre. L: Per il buon vecchio Giovan Francesco Cresci! Attento che la tua anima conservatrice potrebbe ribellarsi! E poi il lettore potrebbe sentirsi coglionato da questo tuo favellare. Già una volta hai provato a stuzzicare i lettori, ma hai tralasciato di farti capire, di svelare il gioco. P: Coglionare i lettori è per alcuni una ragione di vita. L: E con questo? Si dice che Pitagora avesse una coscia d’oro. Ma quel che mi cale è conoscer come uscisti da questo guazzabuglio d’errore e d’eresia? P: In quella stessa stagione avvenne che giungessi all’Accademia di Urbino. Tutta la gente restava a bocca aperta ad ammirarmi. La studentaglia d’Urbino infatti è tanto balorda e scema di sua natura che un ciarlatano, un monaco questuante, un mulo co’ suoi sonagli, uno strimpellatore di viola a un quadrivio, chiaman più gente che un predicatore del Modernismo. Tanto molestamente dunque gli tenevan dietro che fui costretto a riposarmi sulle torri del palazzo del duca, le trovai però alquanto appuntite. E là seduto, vedendo tanta gente intorno a me dissi chiaramente: “Mi pare che questi bricconi
vogliano da me una definizione di tipografia. È giusto. Ora gli offro subito una bicchierata”. E, tutto sorridente, spalancai la mia bella braghetta e spianando il bischero in aria li scompisciai sì aspramente e copiosamente che ne annegai duecentosessantamila quattrocento e diciotto, senza contare le donne e i fanciulli. L: Ah! Questa è la cagione della cronica penuria di studenti alla specialistica dell’Accademia. P: Così è. Dopo la pisciata, tutta l’Accademia fu in subbuglio. Alle sommosse, come sapete, sono tanto inclini, che i forestieri stupiscono della pazienza di Signorile il quale non li frena, come giustizia vorrebbe, dati gli inconvenienti che sorgono ogni giorno. Ah volesse Dio che io conoscessi l’officina dove si fabbricano tanti scismi e macchinazioni, ben io vorrei denunciarla alla confraternita della mia parrocchia! L: Vorresti sostenere che argomentasti la tua posizione tipograficulativa unicamente con una copiosa minzione sui crani studenteschi? P: Ben detto. L: Ma come venne in mente a quel fitofago di Signorile di chiamare un simile sfracellatore di cervelli, spezzator di braccia e gambe, slogator di vertebre del collo, demolitor di reni, asportator di nasi, sacramentator di occhi, fenditor di mascelle, cacciator di denti in gola, sfondator di omoplati, stritolator di gambe, sgangherator di ischi, frantumator di ossa, fracassator di suture lamboidali?
P: Penso abbia chiesto prima a tutta questa ciurmaglia di tipografi che sono in tutto il mondo, così avidi in fatto di viveri e poi ci dicono che non hanno altro che la loro tipografia in questo mondo. E che Baskerville hanno i re e i grandi principi?
quanto fo io e ve ne troverete bene in fede mia. E se desiderate esser buoni tipografi, cioè vivere in pace, gioia, salute, e far sempre buona vita, non vi fidate mai della gente che spia attraverso buchi.
L: Quanta finezza di pensiero, parrebbe che non fosti straordinariamente savio a raccontare queste frottole e piacevoli canzonature.
P: Questo senza dubbio. Sono ben cattivo soggetto, quando ne ho occasione.
P: Io ti rispondo che voi non siete molto più savii divertendovi a leggerle. Tuttavia se per passatempo le leggete e per passare il tempo io le scrissi; voi ed io siamo più degni di perdono che un gran branco di saraboviti, bacchettoni, lumaconi, ipocriti, baciapile, beghini, tartufi e altre tali sette che si camuffano come maschere per ingannare il mondo. I quali fanno credere al popolino che ad altro non sono intesi se non a tipografia e progettazione, digiuni e macerazione della sensualità, per non altro che per sostentare e alimentare la loro umana fragilità; ma per contro fan la grassa vita, e Tschichold sa quale et Nouarenses simulant, sed bacchanalia vivunt. Lo potete leggere a grosse lettere alluminate sui loro specimen scarlatti e sulle loro brochure a cotechino. Quanto al loro studio, è volto tutto alla lettura di libri tipografici, non tanto per disegnarcaratteri allegramente, quanto per nuocere malvagiamente a qualcuno; cioè articolando, monorticolando, collotortando, culattando, coglionettando e diavoliculando, vale a dire calunniando. Somigliano a quei bricconi di campagna che frugano e sparpagliano la merda dei bambini alla stagione delle ciliege e delle prugne, per trovarvi i noccioli da vendere ai droghieri che fabbricano l’olio di Maguelet. Fuggiteli, costoro, aborriteli, odiateli
L: Che virulenza invettiva! Invidia?
L: Lasciamo perdere allora queste volgari infamie prive di senno. Descrivi invece gli esercizi fatti sinora. P: Sì. L: Quanti ne fate? P: Tre. L: Di cosa trattano? P: Di scrittura. L: Di quale? P: Dipende. L: Da cosa? P: Dall’esercizio. L: Ma bene… parliamo del primo. Di cosa tratta? P: Di scrittura. Luciano: Ma no? Alla maniera di chi?
L: Cosa intendi con serietà? P: Beh, la contorta idea secondo cui, dato che i caratteri hanno origine lontanamente calligrafica, le interpretazioni moderne impongono ad esempio che le forme nuove ricalchino l’andamento della penna d’oca ben temperata. Oppure che la tipografia abbia da essere distinta dalla scrittura e che il progettar caratteri debba tenere in conto solo della sequenza pedestre. L: Per il buon vecchio Giovan Francesco Cresci! Attento che la tua anima conservatrice potrebbe ribellarsi! E poi il lettore potrebbe sentirsi coglionato da questo tuo favellare. Già una volta hai provato a stuzzicare i lettori, ma hai tralasciato di farti capire, di svelare il gioco. P: Coglionare i lettori è per alcuni una ragione di vita. L: E con questo? Si dice che Pitagora avesse una coscia d’oro. Ma quel che mi cale è conoscer come uscisti da questo guazzabuglio d’errore e d’eresia? P: In quella stessa stagione avvenne che giungessi all’Accademia di Urbino. Tutta la gente restava a bocca aperta ad ammirarmi. La studentaglia d’Urbino infatti è tanto balorda e scema di sua natura che un ciarlatano, un monaco questuante, un mulo co’ suoi sonagli, uno strimpellatore di viola a un quadrivio, chiaman più gente che un predicatore del Modernismo. Tanto molestamente dunque gli tenevan dietro che fui costretto a riposarmi sulle torri del palazzo del duca, le trovai però alquanto appuntite. E là seduto, vedendo tanta gente intorno a me dissi chiaramente: “Mi pare che questi bricconi
vogliano da me una definizione di tipografia. È giusto. Ora gli offro subito una bicchierata”. E, tutto sorridente, spalancai la mia bella braghetta e spianando il bischero in aria li scompisciai sì aspramente e copiosamente che ne annegai duecentosessantamila quattrocento e diciotto, senza contare le donne e i fanciulli. L: Ah! Questa è la cagione della cronica penuria di studenti alla specialistica dell’Accademia. P: Così è. Dopo la pisciata, tutta l’Accademia fu in subbuglio. Alle sommosse, come sapete, sono tanto inclini, che i forestieri stupiscono della pazienza di Signorile il quale non li frena, come giustizia vorrebbe, dati gli inconvenienti che sorgono ogni giorno. Ah volesse Dio che io conoscessi l’officina dove si fabbricano tanti scismi e macchinazioni, ben io vorrei denunciarla alla confraternita della mia parrocchia! L: Vorresti sostenere che argomentasti la tua posizione tipograficulativa unicamente con una copiosa minzione sui crani studenteschi? P: Ben detto. L: Ma come venne in mente a quel fitofago di Signorile di chiamare un simile sfracellatore di cervelli, spezzator di braccia e gambe, slogator di vertebre del collo, demolitor di reni, asportator di nasi, sacramentator di occhi, fenditor di mascelle, cacciator di denti in gola, sfondator di omoplati, stritolator di gambe, sgangherator di ischi, frantumator di ossa, fracassator di suture lamboidali?
P: Penso abbia chiesto prima a tutta questa ciurmaglia di tipografi che sono in tutto il mondo, così avidi in fatto di viveri e poi ci dicono che non hanno altro che la loro tipografia in questo mondo. E che Baskerville hanno i re e i grandi principi?
quanto fo io e ve ne troverete bene in fede mia. E se desiderate esser buoni tipografi, cioè vivere in pace, gioia, salute, e far sempre buona vita, non vi fidate mai della gente che spia attraverso buchi.
L: Quanta finezza di pensiero, parrebbe che non fosti straordinariamente savio a raccontare queste frottole e piacevoli canzonature.
P: Questo senza dubbio. Sono ben cattivo soggetto, quando ne ho occasione.
P: Io ti rispondo che voi non siete molto più savii divertendovi a leggerle. Tuttavia se per passatempo le leggete e per passare il tempo io le scrissi; voi ed io siamo più degni di perdono che un gran branco di saraboviti, bacchettoni, lumaconi, ipocriti, baciapile, beghini, tartufi e altre tali sette che si camuffano come maschere per ingannare il mondo. I quali fanno credere al popolino che ad altro non sono intesi se non a tipografia e progettazione, digiuni e macerazione della sensualità, per non altro che per sostentare e alimentare la loro umana fragilità; ma per contro fan la grassa vita, e Tschichold sa quale et Nouarenses simulant, sed bacchanalia vivunt. Lo potete leggere a grosse lettere alluminate sui loro specimen scarlatti e sulle loro brochure a cotechino. Quanto al loro studio, è volto tutto alla lettura di libri tipografici, non tanto per disegnarcaratteri allegramente, quanto per nuocere malvagiamente a qualcuno; cioè articolando, monorticolando, collotortando, culattando, coglionettando e diavoliculando, vale a dire calunniando. Somigliano a quei bricconi di campagna che frugano e sparpagliano la merda dei bambini alla stagione delle ciliege e delle prugne, per trovarvi i noccioli da vendere ai droghieri che fabbricano l’olio di Maguelet. Fuggiteli, costoro, aborriteli, odiateli
L: Che virulenza invettiva! Invidia?
L: Lasciamo perdere allora queste volgari infamie prive di senno. Descrivi invece gli esercizi fatti sinora. P: Sì. L: Quanti ne fate? P: Tre. L: Di cosa trattano? P: Di scrittura. L: Di quale? P: Dipende. L: Da cosa? P: Dall’esercizio. L: Ma bene… parliamo del primo. Di cosa tratta? P: Di scrittura. Luciano: Ma no? Alla maniera di chi?
P: Andersch. L: Andersch? P: Martin. L: E di che scrittura tratta? P: Inventata. L: E come? P: Che pazienza… che portino oggetti di ogni tipo per tirar linee e che, per la barba che ho tagliato a Luglio, non lesinino sulle idee, ma le saggino prima! Provaron a tracciar segni con un copricapo, con un passamontagna, con una spugna, con uno strascico da sposa, con una pantofola, con un rossetto, con un dito insanguinato, con una presa per la corrente, con un carniere, con un paniere, ma quello era proprio un gran brutto calamo! Poi con un cappello di panno; e notate che di questi cappelli certi son di panno rasato, altri di feltro, altri uso velluto, altri uso seta, ed altri satinati; ma il migliore fra tutti è sempre quello di feltro perché fa un’ottima adesione della materia scrivente. Poi si valsero di una gallina, un gallo, un pollastro, una zampa di pollo, una pigna, un sedano, una carota, un nefilim, una busta da tè usata; della pelle di un vitello, d’una lepre, d’un piccione,
d’un cormorano; della servetta di un avvocato, di una barbuta, di una cuffia, di un cappuccio da falchi, di asticelle di balsa di varie sezioni. Ma, in conclusione, affermo e sostengo, che non v’è miglior calamo di un papero ben piumato: purché si abbia l’avvertenza di tenergli la testa in mezzo alle zampe. E potete credermi sulla parola. Perché sentirete al tatto una mirifica voluttà: sia per la soavità di quel suo piumetto, che per il temperato calor naturale del papero, il quale facilmente si comunica alla mano, e quindi al braccio, risalendo così fino alla regione del cuore e del cervello. E vorrei credeste che la beatitudine degli eroi e semidei, che stanno nei Campi Elisi non è già nel loro asfodelo, o nell’ambrosia o nel néttare, come raccontano queste vecchiette; ma bensì, secondo il parer mio, nel fatto che calligrafano sempre con un papero, e tale è altresì l’opinione del nostro maestro Gian Scoto. È altresì buona cosa procurarsi oggetti minuscoli e in gran copia, da usare come materia scrivente, quali puntine, granelli di farina o di sabbia marina, pulviscolo atmosferico e candele, e, invece di mezzabrenta, sessanta barili, dico di quel nero inchiostro del Catai, che poi non si fa per nulla in Catai, ma qui nel nostro paese di Padania. L: Sfrontatezza poiché senza ragione, né causa, né verosimiglianza, ha osato imporre di sua autorità personale il significato dei caratteri; usanza questa, di tiranni che vogliono sosti-
tuire l’arbitrio alla ragione, non di savi e sapienti che con ragioni manifeste appagano i lettori. Bestialità, poiché ha potuto credere che la gente regolasse la propria scrittura secondo le sue sciocche imposizioni, senza dimostrazioni e argomenti convincenti. E quali furono i risultati del loro lavoro? P: Qualsiasi cosa fecero ebbero la prudenza di non metterci il nome; ma quanto al contenuto non so se più ammirare la sfrontatezza o la bestialità degli autori. Dice bene il proverbio: “A far la bocca d’un forno ci vogliono tre pietre.” (che non c’entra niente, ma l’originale è molto più sconcio e non penso che il fitofago me l’avrebbe passata…).
L: Fortunato il medico chiamato sulla fine della malattia! Verrei ora all’ultima. P: La trangugiavanguardia. Dove si mangia e beve tipografia. Non semplici vivande in foggia di lettere, ma il concetto stesso di tipografia. L: Beh, qui si fa della cultura vera, allora. Quella alta. P: E ciò lo trovo esatto, senza alcuna eccezione. Come dice bene il proverbio: Torna il bel tempo, passa il tempo brutto, mentre si trinca intorno al buon prosciutto. L: Già.
L: Tralasciamo allora il secondo esercizio, quello della progettazione dei caratteri. P: E perché? L’involontaria qualità del lavoro prodotto in tal senso significa con evidenza come anche studente lurido, infame e fetente quanto può essere sozza immondizia, possa giovarsi di tale insegnamento. Questo in tutto non diametralmente contrario a quanto sopra detto sulla sperruccancluzelubeluzerirelutezza degli autori. Ma meglio ancora fanno gli studenti di Milano, alle prese con parametri e equazioni da cui far scaturire caratteri, senza por mano a stilo!
P: Vuoi concludere tu? L: È meglio: non sono tanto ruffiano, furfante, scellerato da forca, sozzo puzzolente e infetto, lebbroso, brigante, ladro e farabutto quanto te. Buona sera, signori. Perdonate mi, e non pensate troppo agli altrui falli quanto ai vostri. Cantare e fischiare da oca tra i cigni piuttosto che fra tanti gentili poeti e facondi oratori muto del tutto esser stimato. Chiedo scusa a Rabelais e al suo italico traduttore per lo spregevole saccheggio.
P: Andersch. L: Andersch? P: Martin. L: E di che scrittura tratta? P: Inventata. L: E come? P: Che pazienza… che portino oggetti di ogni tipo per tirar linee e che, per la barba che ho tagliato a Luglio, non lesinino sulle idee, ma le saggino prima! Provaron a tracciar segni con un copricapo, con un passamontagna, con una spugna, con uno strascico da sposa, con una pantofola, con un rossetto, con un dito insanguinato, con una presa per la corrente, con un carniere, con un paniere, ma quello era proprio un gran brutto calamo! Poi con un cappello di panno; e notate che di questi cappelli certi son di panno rasato, altri di feltro, altri uso velluto, altri uso seta, ed altri satinati; ma il migliore fra tutti è sempre quello di feltro perché fa un’ottima adesione della materia scrivente. Poi si valsero di una gallina, un gallo, un pollastro, una zampa di pollo, una pigna, un sedano, una carota, un nefilim, una busta da tè usata; della pelle di un vitello, d’una lepre, d’un piccione,
d’un cormorano; della servetta di un avvocato, di una barbuta, di una cuffia, di un cappuccio da falchi, di asticelle di balsa di varie sezioni. Ma, in conclusione, affermo e sostengo, che non v’è miglior calamo di un papero ben piumato: purché si abbia l’avvertenza di tenergli la testa in mezzo alle zampe. E potete credermi sulla parola. Perché sentirete al tatto una mirifica voluttà: sia per la soavità di quel suo piumetto, che per il temperato calor naturale del papero, il quale facilmente si comunica alla mano, e quindi al braccio, risalendo così fino alla regione del cuore e del cervello. E vorrei credeste che la beatitudine degli eroi e semidei, che stanno nei Campi Elisi non è già nel loro asfodelo, o nell’ambrosia o nel néttare, come raccontano queste vecchiette; ma bensì, secondo il parer mio, nel fatto che calligrafano sempre con un papero, e tale è altresì l’opinione del nostro maestro Gian Scoto. È altresì buona cosa procurarsi oggetti minuscoli e in gran copia, da usare come materia scrivente, quali puntine, granelli di farina o di sabbia marina, pulviscolo atmosferico e candele, e, invece di mezzabrenta, sessanta barili, dico di quel nero inchiostro del Catai, che poi non si fa per nulla in Catai, ma qui nel nostro paese di Padania. L: Sfrontatezza poiché senza ragione, né causa, né verosimiglianza, ha osato imporre di sua autorità personale il significato dei caratteri; usanza questa, di tiranni che vogliono sosti-
tuire l’arbitrio alla ragione, non di savi e sapienti che con ragioni manifeste appagano i lettori. Bestialità, poiché ha potuto credere che la gente regolasse la propria scrittura secondo le sue sciocche imposizioni, senza dimostrazioni e argomenti convincenti. E quali furono i risultati del loro lavoro? P: Qualsiasi cosa fecero ebbero la prudenza di non metterci il nome; ma quanto al contenuto non so se più ammirare la sfrontatezza o la bestialità degli autori. Dice bene il proverbio: “A far la bocca d’un forno ci vogliono tre pietre.” (che non c’entra niente, ma l’originale è molto più sconcio e non penso che il fitofago me l’avrebbe passata…).
L: Fortunato il medico chiamato sulla fine della malattia! Verrei ora all’ultima. P: La trangugiavanguardia. Dove si mangia e beve tipografia. Non semplici vivande in foggia di lettere, ma il concetto stesso di tipografia. L: Beh, qui si fa della cultura vera, allora. Quella alta. P: E ciò lo trovo esatto, senza alcuna eccezione. Come dice bene il proverbio: Torna il bel tempo, passa il tempo brutto, mentre si trinca intorno al buon prosciutto. L: Già.
L: Tralasciamo allora il secondo esercizio, quello della progettazione dei caratteri. P: E perché? L’involontaria qualità del lavoro prodotto in tal senso significa con evidenza come anche studente lurido, infame e fetente quanto può essere sozza immondizia, possa giovarsi di tale insegnamento. Questo in tutto non diametralmente contrario a quanto sopra detto sulla sperruccancluzelubeluzerirelutezza degli autori. Ma meglio ancora fanno gli studenti di Milano, alle prese con parametri e equazioni da cui far scaturire caratteri, senza por mano a stilo!
P: Vuoi concludere tu? L: È meglio: non sono tanto ruffiano, furfante, scellerato da forca, sozzo puzzolente e infetto, lebbroso, brigante, ladro e farabutto quanto te. Buona sera, signori. Perdonate mi, e non pensate troppo agli altrui falli quanto ai vostri. Cantare e fischiare da oca tra i cigni piuttosto che fra tanti gentili poeti e facondi oratori muto del tutto esser stimato. Chiedo scusa a Rabelais e al suo italico traduttore per lo spregevole saccheggio.
/ portfolio
ALIREZA AMIRIMOGHADDAM NEJAD è nato in Iran nel 1977. Laureato in Grafica all’Università d’Arte di Teheran. In Italia dal 2004, studia all’Accademia di Belle Arti di Urbino, frequentando il primo anno del biennio specialistico del corso di scultura. Docente Umberto Cavenago.
/ Disegni / 2007- 2008 / tecnica mista
“Da circa quattro anni mi sono trasferito in Italia per studiare. in questo condizione nuovo, sempre ero costretto di selezionare e di togliere con elementi basilari. Per un lavoro nuovo semplicemente comincio a pensare, immaginare e fare degli schizzi... Qualche volta in un viaggio in memoria e qualche volta vedere meglio la realtà che mi e circondato, ma devo dire che alla fine, di solito quando che non ho più speranza, il progetto mi fa vedere, con un semplice disegno si comincia a ragionare e realizzare. Del resto si viene da solo.”
/ portfolio
ALIREZA AMIRIMOGHADDAM NEJAD è nato in Iran nel 1977. Laureato in Grafica all’Università d’Arte di Teheran. In Italia dal 2004, studia all’Accademia di Belle Arti di Urbino, frequentando il primo anno del biennio specialistico del corso di scultura. Docente Umberto Cavenago.
/ Disegni / 2007- 2008 / tecnica mista
“Da circa quattro anni mi sono trasferito in Italia per studiare. in questo condizione nuovo, sempre ero costretto di selezionare e di togliere con elementi basilari. Per un lavoro nuovo semplicemente comincio a pensare, immaginare e fare degli schizzi... Qualche volta in un viaggio in memoria e qualche volta vedere meglio la realtà che mi e circondato, ma devo dire che alla fine, di solito quando che non ho più speranza, il progetto mi fa vedere, con un semplice disegno si comincia a ragionare e realizzare. Del resto si viene da solo.”
2008 Arte e Sport, Museo del Corso, Roma 2008 Fiera Del Levante, Bari 2008 Premio Nazionale delle Arti, edizione 2007 Catania. 2007 Premio Edgardo Mannucci, 14ª edizione, Arcevia. 2007 Dislocazioni, Palazzo Ducale, Casa Castellare, Urbino. 2007 Talenti di marca, Ancona, Mole Vanvitelliana. 2006 Premio acquisito per l’opera Sima. L’Artista Nel Suo Farsi XXIV, Gubbio.
/ Le scarpe di sale / 2007 / sale, resina e tessuti (installazione) / Livello 2 n.4 / 2008 / alluminio, sabbia, resina e legno (scultura) / 20x70x70 cm
2005 Promesse, Rocca Malatestiana, Montefiore Conca (RN).
2008 Arte e Sport, Museo del Corso, Roma 2008 Fiera Del Levante, Bari 2008 Premio Nazionale delle Arti, edizione 2007 Catania. 2007 Premio Edgardo Mannucci, 14ª edizione, Arcevia. 2007 Dislocazioni, Palazzo Ducale, Casa Castellare, Urbino. 2007 Talenti di marca, Ancona, Mole Vanvitelliana. 2006 Premio acquisito per l’opera Sima. L’Artista Nel Suo Farsi XXIV, Gubbio.
/ Le scarpe di sale / 2007 / sale, resina e tessuti (installazione) / Livello 2 n.4 / 2008 / alluminio, sabbia, resina e legno (scultura) / 20x70x70 cm
2005 Promesse, Rocca Malatestiana, Montefiore Conca (RN).
/ portfolio
SIMON IURINO
è nato a Bolzano il 5 Gennaio 1986. Diplomato presso il Liceo artistico di Bolzano nel 2005, studio di storia dell’arte presso la Hauptuni a Vienna dal 2005 al 2007, stage dallo scultore Pino Castagna nel 2007. Frequenta dal 2007 all’Accademia di Belle Arti di Urbino, il corso di scultura. Docente Umberto Cavenago. Insegna litografia presso la Corte della miniera di Urbino.
“La mia ricerca parte dall’essenziale. Ripetendo solo quello che valga la pena di ripetere, attraverso processi ancestrali, quanto immediati. A volte il materiale é più intelligente di me stesso.”
/ portfolio
SIMON IURINO
è nato a Bolzano il 5 Gennaio 1986. Diplomato presso il Liceo artistico di Bolzano nel 2005, studio di storia dell’arte presso la Hauptuni a Vienna dal 2005 al 2007, stage dallo scultore Pino Castagna nel 2007. Frequenta dal 2007 all’Accademia di Belle Arti di Urbino, il corso di scultura. Docente Umberto Cavenago. Insegna litografia presso la Corte della miniera di Urbino.
“La mia ricerca parte dall’essenziale. Ripetendo solo quello che valga la pena di ripetere, attraverso processi ancestrali, quanto immediati. A volte il materiale é più intelligente di me stesso.”
2008 concorso nazionale biennale di ceramica d’arte contemporanea premio Lucio de Maria presso la Certosa Reale di Collegno 2008 mostra a Cagli “spazio espositivo”
2008 concorso nazionale biennale di ceramica d’arte contemporanea premio Lucio de Maria presso la Certosa Reale di Collegno 2008 mostra a Cagli “spazio espositivo”
interviste impossibile
Valentina Mingucci
Riesumato
Johann Sebastian Bach durante le operazioni di ripristino dell’immagine ormai sfiorita dai lunghi anni passati sotto terra, si è deciso di sfruttare questa irripetibile opportunità per raccogliere informazioni importantissime per la storia della musica e non solo. Indagare il musicista sia come uomo che come compositore, pupillo del regnante e soprattutto per far luce sui retroscena, competizioni, gelosie e alleanze tra gli esponenti massimi del panorama culturale del periodo. L’intervistatore quindi si accomoda dentro al loculo dando inizio all’intervista.
Intervistatore: quali sono gli elementi della natu- sibile dunque comporre con questo strumento? ra da cui trae ispirazione per le sue composizioni? come si accorda? la prego mi parli dei compositori dei vostri giorni capaci di crear musica con un simile strumento dalle dimensioni talmente Bach con espressione seriosa si prende il tempo inusuali ma di grandiosa potenza! necessario per rispondere ma prima che possa farlo squilla il cellulare dell’intervistatore. I: vede maestro, la devo correggere, questo apparecchio non è altro che un telefono, infatti I: occielo! mi scusi, sono mortificato, mi sono la sua funzione primaria è quella di permetdimenticato di spegnere il telefono, mi perdoni tere alle persone di comunicare nonostante la maestro, proceda pure.. distanza, diciamo un messaggero o un colombo viaggiatore dei tempi vostri; la musica che sente Bach: no no no per cortesia, mi porga gentilfuoriuscirne possiamo definirla un’ acclame, per mente quel curioso organetto la prego, emette catturare l’attenzione di colui che è destinatario un suono delizioso, ma come si adopera? me lo della chiamata. illustri, su, su lo faccia suonare ancora.. I: certo, si assolutamente, ma veramente le avevo chiesto… ad ogni modo prego lo tenga pure in mano, ascolti… a questo punto non posso fare a meno di chiedere cosa può pensare lei, esimio maestro di queste suonerie, così infatti si chiamano questi motivetti, mi dica dunque! B: ma com’è costruito questo oggetto!! ha una cassa di risonanza ridicola! eppure i suoni che emette sono ben calibrati e squillanti com’è pos-
B: mi incuriosisce sempre più questo argomento; mi dica quindi, al giorno d’oggi si compone così? e che fine hanno fatto gli strumenti dei miei tempi? I: sa, in verità queste “suonerie” non nascono come tali, la maggior parte di esse sono reinterpretazioni o riproduzioni di brani musicali già esistenti e che non sono comunque stati composti così. vede, per farle un’esempio concreto le faccio
interviste impossibile
Valentina Mingucci
Riesumato
Johann Sebastian Bach durante le operazioni di ripristino dell’immagine ormai sfiorita dai lunghi anni passati sotto terra, si è deciso di sfruttare questa irripetibile opportunità per raccogliere informazioni importantissime per la storia della musica e non solo. Indagare il musicista sia come uomo che come compositore, pupillo del regnante e soprattutto per far luce sui retroscena, competizioni, gelosie e alleanze tra gli esponenti massimi del panorama culturale del periodo. L’intervistatore quindi si accomoda dentro al loculo dando inizio all’intervista.
Intervistatore: quali sono gli elementi della natu- sibile dunque comporre con questo strumento? ra da cui trae ispirazione per le sue composizioni? come si accorda? la prego mi parli dei compositori dei vostri giorni capaci di crear musica con un simile strumento dalle dimensioni talmente Bach con espressione seriosa si prende il tempo inusuali ma di grandiosa potenza! necessario per rispondere ma prima che possa farlo squilla il cellulare dell’intervistatore. I: vede maestro, la devo correggere, questo apparecchio non è altro che un telefono, infatti I: occielo! mi scusi, sono mortificato, mi sono la sua funzione primaria è quella di permetdimenticato di spegnere il telefono, mi perdoni tere alle persone di comunicare nonostante la maestro, proceda pure.. distanza, diciamo un messaggero o un colombo viaggiatore dei tempi vostri; la musica che sente Bach: no no no per cortesia, mi porga gentilfuoriuscirne possiamo definirla un’ acclame, per mente quel curioso organetto la prego, emette catturare l’attenzione di colui che è destinatario un suono delizioso, ma come si adopera? me lo della chiamata. illustri, su, su lo faccia suonare ancora.. I: certo, si assolutamente, ma veramente le avevo chiesto… ad ogni modo prego lo tenga pure in mano, ascolti… a questo punto non posso fare a meno di chiedere cosa può pensare lei, esimio maestro di queste suonerie, così infatti si chiamano questi motivetti, mi dica dunque! B: ma com’è costruito questo oggetto!! ha una cassa di risonanza ridicola! eppure i suoni che emette sono ben calibrati e squillanti com’è pos-
B: mi incuriosisce sempre più questo argomento; mi dica quindi, al giorno d’oggi si compone così? e che fine hanno fatto gli strumenti dei miei tempi? I: sa, in verità queste “suonerie” non nascono come tali, la maggior parte di esse sono reinterpretazioni o riproduzioni di brani musicali già esistenti e che non sono comunque stati composti così. vede, per farle un’esempio concreto le faccio
ascoltare la mia opera preferita, che non a caso è una sua composizione; si tratta infatti dell’aria sull’ottava corda e colgo l’occasione per complimentarmi con lei per il meraviglioso risultato: quale opera è mai stata tanto dolce, commovente e al tempo stesso imponente! B: capisco, sono obsoleto, credevo che la mia musica sarebbe stata immortale e a quanto pare ho vissuto più io della mia opera! Oggi sono qui dopo tutti questi anni e l’unica cosa di cui sono certo è che la tecnologia è alla portata di tutti e che veramente se adesso mi trovassi a comporre potrei raggiungere ogni persona in ogni parte del mondo… I: maestro la prego! non lo dica neanche per scherzo! sa quanto lei sia importante nel panorama dei compositori; oltre che essere stato un grande pioniere del passato la sua opera continua ad ispirare e far sognare le generazioni future. Bach con gli occhi scintillanti di furore: B: Bene allora, mi conduca dove io posso entrare in possesso di tali apparecchi, non tollererò una risposta negativa.
drinnn!
Sconcertato, l’intervistatore accetta e insieme si dirigono al negozio di elettronica più vicino; per l’intero tragitto Bach non abbandona nemmeno per un’attimo il telefono continuando a far suonare le differenti suonerie. I: maestro… posso.. domandarle cos’ha in mente? sa, sinceramente sono anche un pò turbato e…. B: NON ORA NON ORA!!! la smetta di mugugnare! non mi metterà i bastoni fra le ruote, omuncolo! ho capito! ho capito finalmente come tornerò in auge! ho in mente l’opera massima, Massima.. … … … .. . arrivati dal rivenditore Bach si fa incartare 10 cellulari dall’aspetto baritonale, 15 affusolati come archi, 5 cordless ben piazzati per le percussioni, 3 modelli di prestigio per i fiati e chiaramente il violino solista. tornati nel sepolcro Bach dispone metico-
losamente i componenti della sua folle orchestra. B: Su, su mi dia una mano a disporre correttamente i pezzi, non stia li impalato come un lombardone! una volta posizionati tutti i cellulari come la più prestigiosa orchestra di musicisti professionisti, costringe il giornalista, che già da un po’ tiene ben in vista le uscite più vicine cominciando a temere per la sua incolumità, ad assisterlo nell’esecuzione. B: dobbiamo accendere tutti gli apparecchi e dar inizio alle suonerie, ogni strumento in maniera simultanea. Lei! si occupi di sistemare i fiati e le percussioni, io penserò al resto!
Sovraeccitato e travolto dall’impulso creativo il musicista si accinge a dar inizio all’opera unica, ignaro però del fatto che tutti i nuovi cellulari necessitino insindacabilmente di 14 ore di carica elettrica prima di poter essere operativi. Il diversivo creato dal bug elettronico offre all’intervistatore la possibilità di scappare richiudendosi dietro la pietra tombale riaffidando Bach al sepolcro con i suoi apparecchi cellulari, dove finalmente potrà comporre e suonare la sua opera massima per l’eternità, o almeno finché glielo permetteranno le batterie al litio. I: non credo che sia stata una buona idea riesumare Bach.
ascoltare la mia opera preferita, che non a caso è una sua composizione; si tratta infatti dell’aria sull’ottava corda e colgo l’occasione per complimentarmi con lei per il meraviglioso risultato: quale opera è mai stata tanto dolce, commovente e al tempo stesso imponente! B: capisco, sono obsoleto, credevo che la mia musica sarebbe stata immortale e a quanto pare ho vissuto più io della mia opera! Oggi sono qui dopo tutti questi anni e l’unica cosa di cui sono certo è che la tecnologia è alla portata di tutti e che veramente se adesso mi trovassi a comporre potrei raggiungere ogni persona in ogni parte del mondo… I: maestro la prego! non lo dica neanche per scherzo! sa quanto lei sia importante nel panorama dei compositori; oltre che essere stato un grande pioniere del passato la sua opera continua ad ispirare e far sognare le generazioni future. Bach con gli occhi scintillanti di furore: B: Bene allora, mi conduca dove io posso entrare in possesso di tali apparecchi, non tollererò una risposta negativa.
drinnn!
Sconcertato, l’intervistatore accetta e insieme si dirigono al negozio di elettronica più vicino; per l’intero tragitto Bach non abbandona nemmeno per un’attimo il telefono continuando a far suonare le differenti suonerie. I: maestro… posso.. domandarle cos’ha in mente? sa, sinceramente sono anche un pò turbato e…. B: NON ORA NON ORA!!! la smetta di mugugnare! non mi metterà i bastoni fra le ruote, omuncolo! ho capito! ho capito finalmente come tornerò in auge! ho in mente l’opera massima, Massima.. … … … .. . arrivati dal rivenditore Bach si fa incartare 10 cellulari dall’aspetto baritonale, 15 affusolati come archi, 5 cordless ben piazzati per le percussioni, 3 modelli di prestigio per i fiati e chiaramente il violino solista. tornati nel sepolcro Bach dispone metico-
losamente i componenti della sua folle orchestra. B: Su, su mi dia una mano a disporre correttamente i pezzi, non stia li impalato come un lombardone! una volta posizionati tutti i cellulari come la più prestigiosa orchestra di musicisti professionisti, costringe il giornalista, che già da un po’ tiene ben in vista le uscite più vicine cominciando a temere per la sua incolumità, ad assisterlo nell’esecuzione. B: dobbiamo accendere tutti gli apparecchi e dar inizio alle suonerie, ogni strumento in maniera simultanea. Lei! si occupi di sistemare i fiati e le percussioni, io penserò al resto!
Sovraeccitato e travolto dall’impulso creativo il musicista si accinge a dar inizio all’opera unica, ignaro però del fatto che tutti i nuovi cellulari necessitino insindacabilmente di 14 ore di carica elettrica prima di poter essere operativi. Il diversivo creato dal bug elettronico offre all’intervistatore la possibilità di scappare richiudendosi dietro la pietra tombale riaffidando Bach al sepolcro con i suoi apparecchi cellulari, dove finalmente potrà comporre e suonare la sua opera massima per l’eternità, o almeno finché glielo permetteranno le batterie al litio. I: non credo che sia stata una buona idea riesumare Bach.
/ viaggi visivi
Daniele Lisi
Las Vegas
UNA SEGNALETICA AMERICANA
Los Angeles
San Diego
Hoover Dam
Grand Canyon
Peach Springs
/ viaggi visivi
Daniele Lisi
Las Vegas
UNA SEGNALETICA AMERICANA
Los Angeles
San Diego
Hoover Dam
Grand Canyon
Peach Springs
È COME UN DIARIO FATTO DI PERSONE,
LUOGHI, SUONI, ODORI: euforia per una località che da sempre ha fatto parte del mio immaginario. La possibilità di noleggiare un’auto ha aumentato quello spirito d’avventura che il paesaggio sconfinato infonde e che riporta alla mente suggestioni associate fin dall’infanzia allo stereotipo iconografico e cinematografico americano. All’ufficio noleggi di Las Vegas mi viene fornita una semplice brochure che introduce le principali norme di sicurezza stradale americana consigliate dalla California State Highway: un riassunto della segnaletica e delle principali differenze cromatiche tra i segnali. Il primo approccio avviene la sera stessa in una piccola stazione di servizio nei pressi di Seligman, (Arizona). Mi trovo subito a dover risolvere il primo di una serie di problemi: la colorazione delle pompe per identificare le diverse tipologie di carburante è del tutto diversa da quella Europea; il colore nero identifica la benzina normale (”normal”, o senza piombo, come diremmo noi) mentre il verde è associato al diesel. Nonostante l’elevato rischio di errore faccio la scelta giusta! (questo non era menzionato nella brochure). Centinaia i chilometri per-
corsi su strade senza praticamente alcun accenno di curva o depressione; il deserto sconfinato e la natura sembrano volersi ribellare dall’oppressione dei grandi centri urbani. Non essendoci incroci o altri tipi di svincoli a cui prestare particolare attenzione la segnaletica è ridotta all’essenziale: qualche avviso qua e là delimita le aree di sorpasso, mentre un’altra serie di cartelli ci avverte dei pericoli in strada. Con sorpresa noto che la maggior parte di essi non utilizzano il pittogramma come mezzo di comunicazione, ma al contrario la parola scritta, che nell’indicazione sostituisce l’elemento grafico. Questa particolarità è resa ancor più interessante dalla flessibilità e dalla particolare semplicità della lingua inglese che permette questo tipo di sostituzione. La parola, che identifica immediatamente l’elemento fonico della frase ha così lo stesso potere comunicativo dell’immagine. WATCH FOR ANIMALS WATCH FOR ROCKS WATCH FOR ICE WATCH FOR TRUCKS, mantengono, ad esempio, la stessa forma grammaticale cambiando il soggetto a seconda delle necessità. Al contrario un punto di incontro tra parola e immagine si trova realizzato nella segnaletica per gli attraversamenti pedonali dove il pittogramma che convenzionalmente ritrae l’uomo che cammina
è solitamente affiancato alla parola che ne descrive la medesima azione: DON’T WALK, WALK o PUSH BUTTON FOR WALK. Percorro la 40 Highway in attesa di arrivare a Los Angeles, un tragitto che si sviluppa per lo più su tracciati polverosi e poco spesso battuti dove le crepe sull’asfalto disegnate dal calore del deserto e la presenza sporadica di qualche distributore di benzina delineano un paesaggio hopperiano segnando il confine tra il deserto selvaggio e la convulsa metropoli californiana. Gradualmente le corsie aumentano arrivando a quattro per senso di marcia e se consideriamo anche la “car pool”, che qui rappresenta una la corsia preferenziale per chi viaggia con più di un passeggero a bordo arriviamo a ben cinque,davvero troppe per un italiano abituato ai vicoli dei centri storici.
CIÒ NONOSTANTE
SULLE AUTOSTRADE
IL PROBLEMA
DELLA SEGNALETICA
È GESTITO
DIVERSAMENTE
CHE ALTROVE.
Los Angeles infatti come ogni altra città degli Stati Uniti ha una sua conformazione territoriale e urbana ben precisa, dove per entrambi gli aspetti lo studio della segnaletica ha rappresentato in passato un problema crescente.
immagini tratte da www.clearviewhwy.com
UN VIAGGIO
È COME UN DIARIO FATTO DI PERSONE,
LUOGHI, SUONI, ODORI: euforia per una località che da sempre ha fatto parte del mio immaginario. La possibilità di noleggiare un’auto ha aumentato quello spirito d’avventura che il paesaggio sconfinato infonde e che riporta alla mente suggestioni associate fin dall’infanzia allo stereotipo iconografico e cinematografico americano. All’ufficio noleggi di Las Vegas mi viene fornita una semplice brochure che introduce le principali norme di sicurezza stradale americana consigliate dalla California State Highway: un riassunto della segnaletica e delle principali differenze cromatiche tra i segnali. Il primo approccio avviene la sera stessa in una piccola stazione di servizio nei pressi di Seligman, (Arizona). Mi trovo subito a dover risolvere il primo di una serie di problemi: la colorazione delle pompe per identificare le diverse tipologie di carburante è del tutto diversa da quella Europea; il colore nero identifica la benzina normale (”normal”, o senza piombo, come diremmo noi) mentre il verde è associato al diesel. Nonostante l’elevato rischio di errore faccio la scelta giusta! (questo non era menzionato nella brochure). Centinaia i chilometri per-
corsi su strade senza praticamente alcun accenno di curva o depressione; il deserto sconfinato e la natura sembrano volersi ribellare dall’oppressione dei grandi centri urbani. Non essendoci incroci o altri tipi di svincoli a cui prestare particolare attenzione la segnaletica è ridotta all’essenziale: qualche avviso qua e là delimita le aree di sorpasso, mentre un’altra serie di cartelli ci avverte dei pericoli in strada. Con sorpresa noto che la maggior parte di essi non utilizzano il pittogramma come mezzo di comunicazione, ma al contrario la parola scritta, che nell’indicazione sostituisce l’elemento grafico. Questa particolarità è resa ancor più interessante dalla flessibilità e dalla particolare semplicità della lingua inglese che permette questo tipo di sostituzione. La parola, che identifica immediatamente l’elemento fonico della frase ha così lo stesso potere comunicativo dell’immagine. WATCH FOR ANIMALS WATCH FOR ROCKS WATCH FOR ICE WATCH FOR TRUCKS, mantengono, ad esempio, la stessa forma grammaticale cambiando il soggetto a seconda delle necessità. Al contrario un punto di incontro tra parola e immagine si trova realizzato nella segnaletica per gli attraversamenti pedonali dove il pittogramma che convenzionalmente ritrae l’uomo che cammina
è solitamente affiancato alla parola che ne descrive la medesima azione: DON’T WALK, WALK o PUSH BUTTON FOR WALK. Percorro la 40 Highway in attesa di arrivare a Los Angeles, un tragitto che si sviluppa per lo più su tracciati polverosi e poco spesso battuti dove le crepe sull’asfalto disegnate dal calore del deserto e la presenza sporadica di qualche distributore di benzina delineano un paesaggio hopperiano segnando il confine tra il deserto selvaggio e la convulsa metropoli californiana. Gradualmente le corsie aumentano arrivando a quattro per senso di marcia e se consideriamo anche la “car pool”, che qui rappresenta una la corsia preferenziale per chi viaggia con più di un passeggero a bordo arriviamo a ben cinque,davvero troppe per un italiano abituato ai vicoli dei centri storici.
CIÒ NONOSTANTE
SULLE AUTOSTRADE
IL PROBLEMA
DELLA SEGNALETICA
È GESTITO
DIVERSAMENTE
CHE ALTROVE.
Los Angeles infatti come ogni altra città degli Stati Uniti ha una sua conformazione territoriale e urbana ben precisa, dove per entrambi gli aspetti lo studio della segnaletica ha rappresentato in passato un problema crescente.
immagini tratte da www.clearviewhwy.com
UN VIAGGIO
Il primo approccio per risolvere la questione risale al 1949, quando per conto della California Department of Trasportation il designer Ted Forbes eseguì il primo di una serie di processi di restyling del carattere ufficiale della FHWA (Federal Highway Administration) passando dal vecchio (Series-D) al più aggiornato Series-E-modified. Questo presentava l’adeguamento del font precedente (Series-D) in una forma corsiva più bilanciata, grazie anche all’aumento della spaziatura tra le singole lettere
aumentandone la leggibilità. In seguito, nel 1989 una nota industria americana, la 3M, introdusse un materiale di supporto completamente autoriflettente, ampliando così la visibilità anche nelle ore notturne. L’ E modified venne ulteriormente sostituito dall’attuale Clearview 5-W che, al contrario del precedente, prevedeva un’apertura maggiore sulle terminali delle lettere, l’abbassamento delle minuscole e l’allargamento dei margini interni. Questi accorgimenti hanno rafforzato dunque l’identità di tutta
la segnaletica statunitense, specialmente quella delle autostrade che, con milioni di utenti ogni giorno, rappresentano il punto centrale degli spostamenti sul territorio. Per due settimane mi sono mosso per oltre un migliaio di chilometri, attraverso Nevada, Arizona e California; la strada diventa simbolo e libertà di movimento in un territorio sconfinato e selvaggio che spesso la mappatura del navigatore non arriva a coprire, ma dove la piccola ma efficace mappa fornita dall’autonoleggio, con
annessa pubblicità di hamburger e prodotti per auto si rivela assai utile. Concludo con una citazione di J.Kerouac che come le tematiche dei suoi racconti è profondamente legata al tema del viaggio ed al simbolo che la strada da sempre rappresenta. “It is strange to be far away from home, when there’s a whole continent in between and you dont’t even know where your home is and the only home you’ve left is the one in your mind”
Il primo approccio per risolvere la questione risale al 1949, quando per conto della California Department of Trasportation il designer Ted Forbes eseguì il primo di una serie di processi di restyling del carattere ufficiale della FHWA (Federal Highway Administration) passando dal vecchio (Series-D) al più aggiornato Series-E-modified. Questo presentava l’adeguamento del font precedente (Series-D) in una forma corsiva più bilanciata, grazie anche all’aumento della spaziatura tra le singole lettere
aumentandone la leggibilità. In seguito, nel 1989 una nota industria americana, la 3M, introdusse un materiale di supporto completamente autoriflettente, ampliando così la visibilità anche nelle ore notturne. L’ E modified venne ulteriormente sostituito dall’attuale Clearview 5-W che, al contrario del precedente, prevedeva un’apertura maggiore sulle terminali delle lettere, l’abbassamento delle minuscole e l’allargamento dei margini interni. Questi accorgimenti hanno rafforzato dunque l’identità di tutta
la segnaletica statunitense, specialmente quella delle autostrade che, con milioni di utenti ogni giorno, rappresentano il punto centrale degli spostamenti sul territorio. Per due settimane mi sono mosso per oltre un migliaio di chilometri, attraverso Nevada, Arizona e California; la strada diventa simbolo e libertà di movimento in un territorio sconfinato e selvaggio che spesso la mappatura del navigatore non arriva a coprire, ma dove la piccola ma efficace mappa fornita dall’autonoleggio, con
annessa pubblicità di hamburger e prodotti per auto si rivela assai utile. Concludo con una citazione di J.Kerouac che come le tematiche dei suoi racconti è profondamente legata al tema del viaggio ed al simbolo che la strada da sempre rappresenta. “It is strange to be far away from home, when there’s a whole continent in between and you dont’t even know where your home is and the only home you’ve left is the one in your mind”
Flower Attack Come succede ormai da anni in Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Giappone, ora anche nelle città italiane iniziano a verificarsi i primi atti di “green terrorism”. Questa pratica, nata a New York negli anni ‘70 consiste nell’ incursione notturna di gruppi di volontari nelle aree verdi lasciate all’ abbandono da parte del comune o degli enti a cui appartengono. Questi paladini del verde, armati di semi, bulbi, vanghe e fertilizzante, lavorano abusivamente per trasformare queste zone lasciate al degrado in vere e proprie
Silence. Listen to the show.
Una mostra da ascoltare. Dal 1 giugno al 23 settembre 2007 presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Il tema urgente dell’inquinamento acustico ha ispirato la concezione di questa mostra che riflette sul suono, considerato come fenomeno della nostra contemporaneità. La musica e i rumori della quotidianità sono al centro di una narrazione formulata dallo sguardo di cinquanta artisti, tra cui alcuni storici ed altri emergenti. L’invito è quello ad isolarsi acusticamente e a concentrarsi su specifiche sensazioni uditive, un’esperienza resa poscultura monodose
oasi nel cemento. Tramite la rete stanno nascendo le prime comunità di green terrorist, dove si può venire a contatto con i vari gruppi di lavoro, ammirare i frutti delle loro azioni, capire meglio le cause che li spingono nella loro missione ma anche apprendere consigli utili per chi volesse cimentarsi nel giardinaggio urbano abusivo, come ad esempio le istruzioni per costruirsi una “flower bomb”. Chiunque sia disposto a rimboccarsi le maniche per contrastare gli effetti della cementificazione di cui sono vittime le città, può organizzarsi per compiere un atto di giardinaggio abusivo; bastano pochi accorgimenti,
in primo luogo è necessario non farsi cogliere sul fatto, poiché una volta completato il lavoro, generalmente questo viene ben tollerato dagli enti a cui appartiene l’area e inoltre, di solito, gli abitanti della zona sono contenti di “adottare” il giardino per provvedere alla manutenzione futura. Per chi volesse cimentarsi in un’impresa di giardinaggio urbano può trovare le informazioni utili in questi siti: www.guerrillagardening.it www.guerrillagardening.org crepeurbane.noblogs.org/summary.php
Werner Herzog The Wild Blue Younder. “Come avete fatto a non diventare mostri senza sapere da dove venivate o perché avete iniziato il viaggio?” Questo l’interrogativo di un personaggio che ci vuol far credere di essere un alieno, melancolico e provato da un’esistenza che troppo poco gli ha dato e si rivolge direttamente allo spettatore, raccontando la propria storia, tentativo fallito dai suoi simili di stabilire un contatto con i terrestri e il tentativo suicida di questi ultimi verso il suo pianeta, alla ricerca di nuove risorse da poter sfruttare, vista la morte prossima della Terra. Un colonna sonora insolita (i canti sacri del coro di Orosei) per un “film fantascientifico” snocciola una narrazione surreale su immagini già viste o familiari ma totalmente
snaturate dal racconto allucinato del nostro narratore. Werner Herzog, uno degli autori meno convenzionali e decifrabili del cinema tedesco ci offre uno sconnesso semi documentario, tecnicamente inaccettabile, dalle ambizioni che non sembrano né troppo poche, né piccole. Per lui ciò che sembra vero può essere finto e viceversa e il risultato è sorprendente. Questo film è la rivisitazione emotiva che cambia diametralmente le nostre convinzioni, raccontandoci una storia ben diversa da quella che in realtà le immagini ci suggeriscono: vediamo quindi sequenze di astronauti che fluttuano all’interno della navicella spaziale sopportando la dilatazione del tempo e la meraviglia dell’ignoto, spazi profondi, distese magmatiche, abissi acquatici e la visione sconvolgente di una Terra tornata improvvisamente preistorica. Questa sorta di
sibile dal particolare allestimento: le opere sono fruibili attraverso cuffie con le quali il visitatore si muove nello spazio espositivo, in apparenza silenzioso, eppure invaso da una molteplicità di fonti sonore. “Il silenzio è lo spazio della musica. Il movimento che avviene in musica è movimento attraverso il silenzio. Nello spazio (visivo) il movimento è questione di dis-locazione, rilocazione, o di materia, che è sempre in qualche luogo, viene da qualche luogo, e va verso qualche luogo. Nella musica, i suoni vengono dal silenzio e ritornano al silenzio.” (Don Ihde e Thomas F. Slaughter) Il catalogo della mostra è ben curato e rigoroso nel trattamento di testi ed immagini;
all’interno della copertina è alloggiato un cdrom dal contenuto multimediale: per ogni artista invitato è riservata una sezione specifica dove sono elencate le opere in esposizione oltre ad una breve ma esaustiva descrizione della poetica del compositore stesso. Dunque non si tratta di una mostra sul silenzio: chi deve tacere è lo spettatore mentre percorre un sentiero sia fisico che concettuale all’interno delle molteplici visioni, o per meglio dire, dei molteplici ascolti. Silence. Listen to the show potrebbe risultare di difficile fruizione per le orecchie meno preparate, ma altresì un ottimo stimolo per avvicinarsi a ciò che è stato e ciò che è sperimentazione musicale.
“testamento” per il pianeta morente trasmette l’angoscia poetica del senso infinito del tempo portando l’uomo allo smarrimento di fronte alla vicinanza con il nulla. The Wild Blue Yonder è una straordinaria riprova del potere del cinema di manipolare il reale modificandone il significato, piegandolo alle proprie esigenze e di come sia possibile con mezzi semplici, lanciare un segnale d’allarme e dire “più del vero” sottolineando la vocazione all’autodistruzione dell’umanità, il grido di dolore e d’allarme della Terra, la piccolezza dell’essere umano rispetto all’immensità dell’universo. Herzog ci guida in tutte queste sensazioni e ci incanta con lo spazio ipnotico più lontano che ci possa essere, laggiù dove nessun uomo è mai giunto prima, in un turbinio di anime, sensazioni e sentimenti difficilmente spiegabili.
Flower Attack Come succede ormai da anni in Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Giappone, ora anche nelle città italiane iniziano a verificarsi i primi atti di “green terrorism”. Questa pratica, nata a New York negli anni ‘70 consiste nell’ incursione notturna di gruppi di volontari nelle aree verdi lasciate all’ abbandono da parte del comune o degli enti a cui appartengono. Questi paladini del verde, armati di semi, bulbi, vanghe e fertilizzante, lavorano abusivamente per trasformare queste zone lasciate al degrado in vere e proprie
Silence. Listen to the show.
Una mostra da ascoltare. Dal 1 giugno al 23 settembre 2007 presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Il tema urgente dell’inquinamento acustico ha ispirato la concezione di questa mostra che riflette sul suono, considerato come fenomeno della nostra contemporaneità. La musica e i rumori della quotidianità sono al centro di una narrazione formulata dallo sguardo di cinquanta artisti, tra cui alcuni storici ed altri emergenti. L’invito è quello ad isolarsi acusticamente e a concentrarsi su specifiche sensazioni uditive, un’esperienza resa poscultura monodose
oasi nel cemento. Tramite la rete stanno nascendo le prime comunità di green terrorist, dove si può venire a contatto con i vari gruppi di lavoro, ammirare i frutti delle loro azioni, capire meglio le cause che li spingono nella loro missione ma anche apprendere consigli utili per chi volesse cimentarsi nel giardinaggio urbano abusivo, come ad esempio le istruzioni per costruirsi una “flower bomb”. Chiunque sia disposto a rimboccarsi le maniche per contrastare gli effetti della cementificazione di cui sono vittime le città, può organizzarsi per compiere un atto di giardinaggio abusivo; bastano pochi accorgimenti,
in primo luogo è necessario non farsi cogliere sul fatto, poiché una volta completato il lavoro, generalmente questo viene ben tollerato dagli enti a cui appartiene l’area e inoltre, di solito, gli abitanti della zona sono contenti di “adottare” il giardino per provvedere alla manutenzione futura. Per chi volesse cimentarsi in un’impresa di giardinaggio urbano può trovare le informazioni utili in questi siti: www.guerrillagardening.it www.guerrillagardening.org crepeurbane.noblogs.org/summary.php
Werner Herzog The Wild Blue Younder. “Come avete fatto a non diventare mostri senza sapere da dove venivate o perché avete iniziato il viaggio?” Questo l’interrogativo di un personaggio che ci vuol far credere di essere un alieno, melancolico e provato da un’esistenza che troppo poco gli ha dato e si rivolge direttamente allo spettatore, raccontando la propria storia, tentativo fallito dai suoi simili di stabilire un contatto con i terrestri e il tentativo suicida di questi ultimi verso il suo pianeta, alla ricerca di nuove risorse da poter sfruttare, vista la morte prossima della Terra. Un colonna sonora insolita (i canti sacri del coro di Orosei) per un “film fantascientifico” snocciola una narrazione surreale su immagini già viste o familiari ma totalmente
snaturate dal racconto allucinato del nostro narratore. Werner Herzog, uno degli autori meno convenzionali e decifrabili del cinema tedesco ci offre uno sconnesso semi documentario, tecnicamente inaccettabile, dalle ambizioni che non sembrano né troppo poche, né piccole. Per lui ciò che sembra vero può essere finto e viceversa e il risultato è sorprendente. Questo film è la rivisitazione emotiva che cambia diametralmente le nostre convinzioni, raccontandoci una storia ben diversa da quella che in realtà le immagini ci suggeriscono: vediamo quindi sequenze di astronauti che fluttuano all’interno della navicella spaziale sopportando la dilatazione del tempo e la meraviglia dell’ignoto, spazi profondi, distese magmatiche, abissi acquatici e la visione sconvolgente di una Terra tornata improvvisamente preistorica. Questa sorta di
sibile dal particolare allestimento: le opere sono fruibili attraverso cuffie con le quali il visitatore si muove nello spazio espositivo, in apparenza silenzioso, eppure invaso da una molteplicità di fonti sonore. “Il silenzio è lo spazio della musica. Il movimento che avviene in musica è movimento attraverso il silenzio. Nello spazio (visivo) il movimento è questione di dis-locazione, rilocazione, o di materia, che è sempre in qualche luogo, viene da qualche luogo, e va verso qualche luogo. Nella musica, i suoni vengono dal silenzio e ritornano al silenzio.” (Don Ihde e Thomas F. Slaughter) Il catalogo della mostra è ben curato e rigoroso nel trattamento di testi ed immagini;
all’interno della copertina è alloggiato un cdrom dal contenuto multimediale: per ogni artista invitato è riservata una sezione specifica dove sono elencate le opere in esposizione oltre ad una breve ma esaustiva descrizione della poetica del compositore stesso. Dunque non si tratta di una mostra sul silenzio: chi deve tacere è lo spettatore mentre percorre un sentiero sia fisico che concettuale all’interno delle molteplici visioni, o per meglio dire, dei molteplici ascolti. Silence. Listen to the show potrebbe risultare di difficile fruizione per le orecchie meno preparate, ma altresì un ottimo stimolo per avvicinarsi a ciò che è stato e ciò che è sperimentazione musicale.
“testamento” per il pianeta morente trasmette l’angoscia poetica del senso infinito del tempo portando l’uomo allo smarrimento di fronte alla vicinanza con il nulla. The Wild Blue Yonder è una straordinaria riprova del potere del cinema di manipolare il reale modificandone il significato, piegandolo alle proprie esigenze e di come sia possibile con mezzi semplici, lanciare un segnale d’allarme e dire “più del vero” sottolineando la vocazione all’autodistruzione dell’umanità, il grido di dolore e d’allarme della Terra, la piccolezza dell’essere umano rispetto all’immensità dell’universo. Herzog ci guida in tutte queste sensazioni e ci incanta con lo spazio ipnotico più lontano che ci possa essere, laggiù dove nessun uomo è mai giunto prima, in un turbinio di anime, sensazioni e sentimenti difficilmente spiegabili.
/ erasmus
Valentina Mingucci
Come ti chiami? Soha Khalili Ibrahim
Kajo Sartori
Kandylis Panagiotis
(biennio grafica)
(2° anno progettazione multimediale)
(3° anno pittura)
Qual’è la tua città di provenienza? Cairo (Egitto)
Io sono di Sarajevo ma il mio percorso di studi dalla seconda elementare in poi, si è svolto in Italia.
Xanthi (Grecia)
Come mai hai scelto Urbino per i tuoi studi? Ho scelto Urbino perch[e e’ la citta del rinascimento dove si studia l’arte e questa citta’ me l’hanno suggerito i miei professori egiziani che anche loro negli anni settanta sono venuti qui. Sono laureata nell’Accademia del Cairo e ho fatto anche la specializzazione in Grafica. Urbino e’ la citta dell’incisione per questo ho scelto Urbino. Ho fatto Cartone Animato al Cairo ma ho sempre un grande desiderio dell’arte.
Perché il corso che frequento, progettazione multimediale, c’è in pochi luoghi in Italia e Urbino mi sembrava all’epoca, il più praticabile di questi, per me, in quanto a distanza (abito in provincia di verona), materie e costo della vita.
era una scelta casuale, cmq studiava già ad Urbino un mio compaesano, quindi mi aveva parlato dell’ accademia di Urbino.
/ erasmus
Valentina Mingucci
Come ti chiami? Soha Khalili Ibrahim
Kajo Sartori
Kandylis Panagiotis
(biennio grafica)
(2° anno progettazione multimediale)
(3° anno pittura)
Qual’è la tua città di provenienza? Cairo (Egitto)
Io sono di Sarajevo ma il mio percorso di studi dalla seconda elementare in poi, si è svolto in Italia.
Xanthi (Grecia)
Come mai hai scelto Urbino per i tuoi studi? Ho scelto Urbino perch[e e’ la citta del rinascimento dove si studia l’arte e questa citta’ me l’hanno suggerito i miei professori egiziani che anche loro negli anni settanta sono venuti qui. Sono laureata nell’Accademia del Cairo e ho fatto anche la specializzazione in Grafica. Urbino e’ la citta dell’incisione per questo ho scelto Urbino. Ho fatto Cartone Animato al Cairo ma ho sempre un grande desiderio dell’arte.
Perché il corso che frequento, progettazione multimediale, c’è in pochi luoghi in Italia e Urbino mi sembrava all’epoca, il più praticabile di questi, per me, in quanto a distanza (abito in provincia di verona), materie e costo della vita.
era una scelta casuale, cmq studiava già ad Urbino un mio compaesano, quindi mi aveva parlato dell’ accademia di Urbino.
Puoi farmi un breve paragone tra l’Accademia di Urbino che stai frequentando e gli studi intrapresi nel tuo paese di provenienza considerando i pro e i contro di quest’esperienza? Voglio dire che mi trovo bene, i professori sono molto socievoli e molto preparat. Il pregio dell’Accademia di Urbino [e’ che esiste il contatto umano cosa che non si trova nei grandi Istituti.
(senza risposta)
non posso fare questo paragone, per il semplice motivo che nn ho mai studiato l’arte a paese mio, quindi in consequensa nn ho mai fatto liceo artistico. ho studiato liceo classico. cmq una cosa vorrei sottolineare, sarei contento se almeno i professori dell’accademia di Urbino, delle matterie pratiche si impegnassero di più, tranne pochi che sono sempre presenti, come il professore di affresco per esempio.
Puoi fare una descrizione del tuo lavoro? Il mio lavoro si basa nell’incisione, pittura, acquarello ho fatto l’anno scorso anche il libro d’Arte intitolato: Urbino frammenti di sogno presentato da Silvia Cuppini.
Creare opere multimediali, artistiche o meno, che abbiano un’interfaccia e degli elementi di interattività. Questo in linea generale. Poi è possibile anche non fare alcunché di multimediale ma fermarsi magari al disegno vettoriale, al fotoritocco, alla grafica etc.. Queste però sono solo delle parzialità di quello che dovrebbe essere il ben più complesso lavoro del progettista multimediale. Io personalmente per ora ho prodotto solo opere grafiche, con il computer, senza elementi interattivi.
i miei lavori si trattano delle foto stampate su le tele e poi una volta stampate ritoccate con la pittura. è una tecnica che mi affascina molto e mi fa esprimere al massimo. e poi con questo modo di creare, faccio l’uso delle mie passioni, cioè la fotografia ma anche la pittura.
Puoi farmi un breve paragone tra l’Accademia di Urbino che stai frequentando e gli studi intrapresi nel tuo paese di provenienza considerando i pro e i contro di quest’esperienza? Voglio dire che mi trovo bene, i professori sono molto socievoli e molto preparat. Il pregio dell’Accademia di Urbino [e’ che esiste il contatto umano cosa che non si trova nei grandi Istituti.
(senza risposta)
non posso fare questo paragone, per il semplice motivo che nn ho mai studiato l’arte a paese mio, quindi in consequensa nn ho mai fatto liceo artistico. ho studiato liceo classico. cmq una cosa vorrei sottolineare, sarei contento se almeno i professori dell’accademia di Urbino, delle matterie pratiche si impegnassero di più, tranne pochi che sono sempre presenti, come il professore di affresco per esempio.
Puoi fare una descrizione del tuo lavoro? Il mio lavoro si basa nell’incisione, pittura, acquarello ho fatto l’anno scorso anche il libro d’Arte intitolato: Urbino frammenti di sogno presentato da Silvia Cuppini.
Creare opere multimediali, artistiche o meno, che abbiano un’interfaccia e degli elementi di interattività. Questo in linea generale. Poi è possibile anche non fare alcunché di multimediale ma fermarsi magari al disegno vettoriale, al fotoritocco, alla grafica etc.. Queste però sono solo delle parzialità di quello che dovrebbe essere il ben più complesso lavoro del progettista multimediale. Io personalmente per ora ho prodotto solo opere grafiche, con il computer, senza elementi interattivi.
i miei lavori si trattano delle foto stampate su le tele e poi una volta stampate ritoccate con la pittura. è una tecnica che mi affascina molto e mi fa esprimere al massimo. e poi con questo modo di creare, faccio l’uso delle mie passioni, cioè la fotografia ma anche la pittura.
Diagramma Valerio Bosi, Bianca Fabbri
Diagramma Valerio Bosi, Bianca Fabbri
Accade #2 - giugno 2008 Lo Zen dice: se qualcosa diventa noiso dopo due minuti, vai avanti per quattro. Se è ancora noioso, vai avanti per otto, sedici, trentadue, e così via. Alla fine si può scoprire che non era affatto una cosa noiosa, ma anzi molto interessante. (John Cage) un progetto di Campivisivi, Accademia di Belle Arti di Urbino via dei Maceri, 2 www.accademiadiurbino.it tel. 0722-320287
Docenti: Alessandro Sibilia (Fenomenologia degli stili) Marcello Signorile (Video design)
con l’aiuto di:
Totto Renna (Illustrazione digitale)
Studenti in redazione per questo numero: Valerio Bosi (l’astuta giraffa delle lande) Bianca Fabbri (paguro di Comacchio) Francesco Fanti (piccolo colibrì del Massachusetts) Giulia Giordani (l’infingardo licaone) Diego Giusti (il tenero e roseo gamberetto) Daniele Lisi (la cavalletta delle saline di Giza) Silvia Mengarelli (l’elegante pulcinella di mare) Valentina Mingucci (non è il vento. è il Puma) Manuel Pasini (tonno qualità pinne gialle che si spezza con un grissino)
Hanno collaborato: Luciano Perondi Luca Cesari
Ringraziamenti: Umberto Palestini Massimo Castellucci Amneris De Angeli Anna Fucili © autori e campivisivi www.campivisivi.net Chiuso in redazione il 18/06/08
stampa + ritaglia + attacca trasforma i luoghi del tuo quotidiano in falsi d’autore
Accade #2 - giugno 2008 Lo Zen dice: se qualcosa diventa noiso dopo due minuti, vai avanti per quattro. Se è ancora noioso, vai avanti per otto, sedici, trentadue, e così via. Alla fine si può scoprire che non era affatto una cosa noiosa, ma anzi molto interessante. (John Cage) un progetto di Campivisivi, Accademia di Belle Arti di Urbino via dei Maceri, 2 www.accademiadiurbino.it tel. 0722-320287
Docenti: Alessandro Sibilia (Fenomenologia degli stili) Marcello Signorile (Video design)
con l’aiuto di:
Totto Renna (Illustrazione digitale)
Studenti in redazione per questo numero: Valerio Bosi (l’astuta giraffa delle lande) Bianca Fabbri (paguro di Comacchio) Francesco Fanti (piccolo colibrì del Massachusetts) Giulia Giordani (l’infingardo licaone) Diego Giusti (il tenero e roseo gamberetto) Daniele Lisi (la cavalletta delle saline di Giza) Silvia Mengarelli (l’elegante pulcinella di mare) Valentina Mingucci (non è il vento. è il Puma) Manuel Pasini (tonno qualità pinne gialle che si spezza con un grissino)
Hanno collaborato: Luciano Perondi Luca Cesari
Ringraziamenti: Umberto Palestini Massimo Castellucci Amneris De Angeli Anna Fucili © autori e campivisivi www.campivisivi.net Chiuso in redazione il 18/06/08
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