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Indice
num. 5, Maggio 2011
EDITORIALE
EVENTI
Tra il sogno dello spazio e il disastro giapponese 4
Quella mattina del 12 aprile 1961
Il terremoto giapponese e l’anniversario della conquista dello spazio: eventi che dimostrano quanto la scienza sia centrale nello svolgersi degli accadimenti umani
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di M. Di Giovanni In occasione del 50◦ anniversario del primo uomo nello spazio, ripercorriamo l’avvincente storia che ha portato a concretizzarsi uno dei pi`u antichi sogni dell’Uomo
LE SPALLE DEI GIGANTI
IL RICERCATORE ROMANO
Reazioni chimiche in stop motion
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di T. Scopigno Il premio Nobel per la Chimica Ahmed Zewail, dopo aver osservato in diretta le reazioni chimiche a livello atomico, e` ora tornato in Egitto per intervenire nella delicata fase politica del dopo Mubarak
Il caso della massa relativistica
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di M. De Giuli Non sempre nella scienza le idee scorrette vengono dimenticate: la dipendenza della massa dalla velocit`a apparentemente semplifica l’esposizione della teoria della relativit`a, ma al prezzo di incongruenze ed errori logici
SCIENZARTE
Il decadimento proibito
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di E. Chiaverini Il Modello Standard, la teoria pi`u accreditata per descrivere le interazioni tra le particelle, richiede la conservazione del numero leptonico, ma l’esperimento MEG cerca di scovarne la violazione studiando il decadimento del muone
E appresi allora quanto segue
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di M. Margotti Alfred Kubin, illustratore e scrittore tedesco dei primi del ’900, e` un perfetto esempio di come l’arte e la scienza abbiano affrontato l’inconoscibile all’alba del XX secolo
RECENSIONI IL RESTO DEL NEUTRINO
Disastri a confronto
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di N. Loret L’11 Marzo 2011 il Giappone e` stato scosso da un terremoto e uno tsunami di eccezionale intensit`a, che hanno seriamente danneggiato la centrale di Fukushima e riproposto cos`ı il problema della sicurezza nucleare
L’energia del vuoto
22 di A. Cimarelli “E` un vero peccato che il grande pubblico non abbia alcuna possibilit`a di farsi un’idea della grande eccitazione, intellettuale ed emotiva, che accompagna le ricerche nei campi pi`u avanzati della fisica” (Isidor Isaac Rabi)
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accastampato Rivista degli Studenti di Fisica dell’Universit`a Sapienza di Roma www.accatagliato.org EDITORIALE R EDAZIONE redazione@accatagliato.org
Tra il sogno dello spazio e il disastro giapponese
Alessio Cimarelli jenkin@accatagliato.org
Carlo Mancini
Quest’anno il mese tra marzo e aprile e` stato caratterizzato da due eventi opposti: la tragedia del terremoto giapponese da una parte e i festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della conquista umana dello spazio dall’altra. Entrambi i casi suggeriscono una volta di pi`u come la scienza sia centrale e imprescindibile nello svolgersi degli accadimenti umani: la supremazia tecnologica nell’ambito anti-sismico del Giappone ha permesso a quest’ultimo di affrontare efficacemente un disastro di enormi proporzioni, un evento naturale che in molte altre parti del mondo avrebbe avuto conseguenze decisamente pi`u gravi. I limiti della tecnologia per`o esistono e vanno conosciuti e gestiti: la presenza di una grande industria nucleare in un territorio ad alto rischio sismico ha provocato un allarme mondiale quando ci si e` resi conto dei danni ingenti riportati dalla centrale di Fukushima. Niccol`o Loret esamina in Disastri a confronto le principali emergenze nucleari degli ultimi trent’anni, permettendo cos`ı di porre nella giusta prospettiva l’incidente giapponese. D’altra parte, la scienza si fonda sull’attrazione che ha l’uomo per l’ignoto e sulla sua volont`a di superare i limiti della conoscenza: nell’ultimo secolo tutto ci`o e` stato dimostrato molte volte, prima fra tutte dalla meravigliosa avventura, tutt’ora in corso, della conquista dello spazio. Oltre qualsiasi bandiera e ideologia, il 4 ottobre, il 12 aprile e il 20 luglio sono date storiche per tutta l’umanit`a: Matteo Di Giovanni ci fa rivivere le emozioni di quella mattina del 12 aprile 1961, quando il giovane pilota militare Yuri Gagarin si contorceva per entrare nella minuscola capsula che l’avrebbe portato verso le stelle. La voglia di gettare uno sguardo oltre e` propria anche degli uomini che invece di guardare in alto osservano il microscopico mondo che e` in noi, in cerca di regole, ma anche di indizi di qualcosa di nuovo, di inaspettato, di fuori legge. Erica Chiaverini dipana il filo dell’avventura scientifica e tecnologia, quasi fosse un giallo, dedicata negli ultimi venticinque anni alla ricerca del decadimento proibito del muone, particella cugina dell’elettrone, che forse ha in s´e alcune delle risposte fondamentali sulla natura della materia. Tullio Scopigno ci immerge invece in un mondo caratterizzato da fenomeni velocissimi, in cui il tempo sembra quasi perdere la sua consistenza, in cui brevissimi flash di speciali laser permettono di osservare le reazioni chimiche in stop motion. Un mondo microscopico che ha un inaspettato legame con fenomeni molto pi`u vasti, movimenti sociali che, comunque vadano, lasceranno un’impronta indelebile nella storia del Medio Oriente e non solo. La scienza non e` comunque un processo lineare e sempre progressivo. Ne e` un esempio, sostanzialmente innocuo, ma emblematico, quello dello strano caso della massa relativistica che Matteo De Giuli ci espone nella sua genesi e nella sua risoluzione, lungo un secolo di scienza e comunicazione della scienza: un caso che dimostra come non sempre le idee scorrette vengono col tempo dimenticate. Una rappresentazione efficace dei movimenti che caratterizzano il cammino della scienza pu`o poi trovarsi anche al suo esterno, in particolare nella letteratura e nella narrativa: e` da poco uscito il romanzo L’energia del vuoto di Bruno Arpaia, un thriller ambientato al Cern di Ginevra, dentro e fuori il grande anello di LHC, che fa emergere il duro ma appassionante lavoro degli scienziati, insieme alle oscure verit`a che a volte si celano dietro formule e calcoli. Formule e calcoli che viviamo tutti i giorni e che in primavera coinvolgono anche l’associazione accatagliato, alle prese con bilanci e bilancini. Basta davvero poco per diventarne soci e sostenere l’attivit`a del sito accatagliato.org e di questa rivista: a pagina 21 tutti i contatti e i canali di finanziamento. Buona lettura!
carlo@accatagliato.org
Silvia Mariani shyka@accatagliato.org
Leonardo Barcaroli leov@accatagliato.org
Erica Chiaverini erica@accatagliato.org
Roberto Garra roberto@accatagliato.org
Niccol`o Loret niccolo@accatagliato.org
Isabella Malacari isabella@accatagliato.org
Massimo Margotti massimo@accatagliato.org
Angela Mecca lela@accatagliato.org
Kristian A. Gervasi Vidal krisgerv@accatagliato.org
C OMMISSIONE Giorgio Parisi
SCIENTIFICA
giorgio.parisi@roma1.infn.it
Giovanni Battimelli giovanni.battimelli@uniroma1.it
Fabio Bellini fabio.bellini@roma1.infn.it
Lara Benfatto lara.benfatto@roma1.infn.it
Riccardo Faccini riccardo.faccini@roma1.infn.it
Francesco Piacentini francesco.piacentini@roma1.infn.it
Antonio Polimeni antonio.polimeni@roma1.infn.it
Antonello Polosa antonio.polosa@roma1.infn.it
H ANNO CONTRIBUITO E. Chiaverini, A. Cimarelli, M. Di Giovanni, M. De Giuli, N. Loret, M. Margotti, T. Scopigno.
S I RINGRAZIANO ANCHE Donald E. Knuth, Leslie Lamport, il TEX Users Group (www.tug.org) e Gianluca Pignalberi Con il patrocinio del
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Reazioni chimiche in stop motion Ahmed Zewail: dalla femtochimica alla politica, storia di un Nobel d’Egitto Tullio Scopigno (Gruppo F EMTOSCOPY, Dip. di Fisica dell’Universit`a Sapienza di Roma)
Ventisei lauree Honoris Causa, circa 450 articoli con pi`u di 20.000 citazioni, membro di 28 accademie internazionali, una cinquantina di riconoscimenti internazionali di altissimo livello incluso il Nobel per la Chimica del 1999 “per i suoi studi di stati di transizione delle reazioni chimiche utilizzando la spettroscopia a femtosecondi”. Se e` vero che i numeri non sono tutto, quelli di Ahmed Zewail, per`o, significano molto. Il chimico-fisico egiziano – che ha maturato la sua carriera negli Stati Uniti – si e` contraddistinto anche per l’impegno civile: e` attualmente consulente di Barack Obama per la politica scientifica con particolare riguardo al Medioriente e lo scorso primo febbraio e` rientrato al Cairo per impegnarsi in prima persona nella complicata fase di transizione succeduta alla caduta del regime di Mubarak, che ha segnato per un trentennio la vita del suo paese1 . L’Egitto vede in lui un possibile mediatore tra il regime e la rivoluzione, tanto che alcuni lo indicano addirittura come il possibile nuovo presidente.
Dagli anni della formazione al Nobel A. H. Zewail nasce nel 1946 a Damanhur, a 60 km da Alessandria d’Egitto, sulle rive del Nilo. Il sogno dei suo genitori e` vederlo andare all’estero per ricevere una formazione di alto livello e rientrare poi in Egitto come professore universitario, ma lui va ben oltre, partendo da molto lontano. Viene ammesso infatti all’Universit`a di Alessandria, dove si laurea con il massimo dei voti e dove gli viene offerta una borsa di studio per accedere a un master e un dottorato di ricerca. In questi anni mostra anche un grande talento per l’insegnamento, che gli viene riconosciuto dal successo che riscuote presso i suoi studenti. La sua ricerca inizia nel campo della spettroscopia molecolare, alla quale aprir`a una nuova dimensione. I suoi professori lo incoraggiano al grande salto, andare negli Stati Uniti per completare il dottorato di ricerca. Un progetto tutt’altro che semplice. Zewail non possiede 1
Per una recente intervista ad Ahmed Zewail sulla situazione egiziana, si veda l’Egyptian Gazette: http://tinyurl.com/ 6j7pyqe.
una rete di collegamenti con l’estero, la guerra del 1967 e` appena finita e le poche opportunit`a di supporto economico per una formazione all’estero sono limitate all’URSS o ai paesi dell’Est europeo. Ottiene per`o una borsa direttamente dall’Universit`a della Pennsylvania che copre le tasse scolastiche e offre un assegno mensile di $300. Gli ostacoli burocratici sono enormi, ma finalmente riesce a partire. L’impatto con la realt`a americana non e` facile. Non ha una conoscenza adeguata dell’inglese scritto e parlato e le differenze culturali si fanno sentire. Nonostante ci`o si getta a capofitto in diversi progetti che porta avanti parallelamente: l’effetto Stark in molecole semplici, l’effetto Zeeman nelle molecole estese come il benzene e il NO− 2 , la rilevazione ottica della risonanza magnetica (ODMR), tecniche di doppia risonanza, ecc. Nel 1973 scoppia una nuova guerra in Medio Oriente e Zewail pensa di assecondare il sogno dei suoi genitori, ora che ha la possibilit`a di rientrare in Egitto come professore. E` anche per`o consapevole che il proprio paese non pu`o fornire l’atmosfera scientifica alla quale ormai si e` assuefatto negli Stati Uniti. Nel frattempo si fa sotto Berkeley con un’offerta che non pu`o rifiutare. All’inizio del 1974, ottenuto il dottorato, si trasferisce in California. Il suo obiettivo scientifico e` quello di utilizzare la conoscenza acquisita nel dottorato di ricerca sulla spettroscopia dei dimeri per misurare la loro coerenza quantistica con i nuovi strumenti disponibili a Berkeley. Comincia a pubblicare in modo indipendente, estendendo il concetto di coerenza a sistemi multidimensionali e affrontando il problema del trasferimento di energia nei solidi. Viene coinvolto nella costruzione di un laser al picosecondo (pari a un millesimo di miliardesimo di secondo), un lavoro durissimo e poco redditizio nell’immediato, che sar`a per`o decisivo per la strada verso il Nobel. Nel frattempo propone diversi progetti di ricerca presso le migliori universit`a americane tra le quali il Caltech, che gli stende un tappeto rosso. E` qui che Zewail continuer`a tutta la sua carriera in qualit`a di membro di facolt`a e di professore di chimica e di fisica. Alla fine degli anni ’80 inizia a eseguire una serie di esperimenti pionieristici nell’ambito della spettroscopia, spingendo la risoluzione temporale dal dominio dei picosecondi a quello dei femtosecondi (milionesimi di miliardesimo di secondo). Sono questi i risultati che verranno poi riconosciuti con il premio Nobel del 1999. Nel 1996 Zewail fonda il Laboratorio di Scienze Molecolari (LMS) che dirige fino al 2007. E` attualmente direttore del Physical Biology Center for Ultrafast Science e Tecnology (UST). La sua ricerca attuale e` dedicata alla chimica e biologia dei sistemi dinamici, con particolare attenzione alla fisica dei processi elementari in sistemi complessi. Una delle frontiere
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IL RICERCATORE ROMANO
pi`u importanti della sua ricerca e` lo sviluppo di nuove tecniche di diffrazione ultraveloce 4D e di microscopia, che rende possibile l’imaging delle strutture transienti nello spazio e nel tempo con una risoluzione atomica.
Reazioni chimiche in diretta E` esperienza comune che le reazioni chimiche possano avere luogo con velocit`a molto diverse. Basta confrontare un chiodo che arrugginisce alla deflagrazione di un esplosivo. In generale la velocit`a di una reazione aumenta con l’aumentare della temperatura, cio`e quando il movimento molecolare diventa pi`u violento. Per questo motivo i ricercatori hanno a lungo creduto che, per poter reagire, una molecola deve prima essere attivata, ovvero spinta al di l`a di una barriera energetica di repulsione. Prendiamo ad esempio il caso di due molecole che si scontrano. In generale non accade nulla di speciale, si ha solo un rimbalzo. Ma se la temperatura e` abbastanza alta lo scontro e` talmente violento che si formano nuove molecole in modo incredibilmente veloce. Questo vale anche per le reazioni che sembrano essere lente, come l’esempio precedente del chiodo arrugginito. L’unica differenza e` che i salti di temperatura che rompono i legami permettendone la formazione di nuovi si verificano pi`u raramente in una reazione lenta che in una veloce. La barriera da superare in una reazione e` determinata dalle forze che tengono insieme gli atomi nelle molecole (i legami chimici), pi`u o meno come la barriera gravitazionale che un razzo spaziale lanciato dalla Terra deve superare prima di essere catturato dal campo di forza della Luna. Fino a poco tempo fa si sapeva poco del percorso della molecola, o meglio della sua evoluzione, nel raggiungimento della cima di questa barriera, in altre parole del suo stato di transizione.
E` Svante Arrhenius (premio Nobel per la Chimica del 1903), ispirato da Van’t Hoff (il primo premio Nobel per la Chimica, nel 1901), a presentare poco pi`u di cento anni fa una semplice formula per legare la velocit`a di una reazione chimica alla temperatura, limitatamente per`o a sistemi macroscopici e tempi relativamente lunghi. Solo nel 1930 H. Eyring e M. Polanyi formulano una teoria basata su reazioni di singole molecole in sistemi microscopici. La teoria prevede che lo stato di transizione tra reagente e prodotto e` attraversato molto rapidamente, sulla stessa scala di tempo della vibrazione delle molecole, causata dalla loro energia termica. Che sia possibile seguire sperimentalmente l’evoluzione di una reazione chimica su tempi cosi brevi e` qualcosa che mai nessuno sognerebbe in questo momento, ma questo e` esattamente ci`o che Zewail propone di fare: alla fine degli anni ’80 esegue una serie di esperimenti che porteranno alla nascita del settore di ricerca denominato femtochimica.
La femtochimica in pratica La spettroscopia a femtosecondi e` basata sul cosidetto schema pump&probe. Un laser ultraveloce inietta due impulsi luminosi nel sistema da studiare: in primo luogo un impulso di pompa che colpisce ed eccita la molecola a uno stato di energia pi`u elevata (pump). Quindi un impulso pi`u debole (probe) sonda il sistema a una lunghezza d’onda scelta appositamente per individuare la presenza della molecola originale o di una sua forma alterata. Dunque l’impulso di pompa e` il segnale di partenza per la reazione, mentre l’impulso di sonda esamina ci`o che sta accadendo. Variando l’intervallo di tempo tra i due impulsi e` possibile capire quanto velocemente la molecola originale si trasforma. La sequenza ottenuta mettendo insieme gli scatti corrispondenti a ritardi temporali via via crescenti costituisce un vero e proprio film molecolare, ovvero la completa visualizzazione della dinamica di reazione. Il ritardo temporale tra gli impulsi pu`o essere regolato semplicemente variando il loro cammino relativo, ovvero deviando il cammino di uno dei due fasci attraverso degli specchi. Non e` una lunga deviazione: la luce copre una distanza di soli 30 micron (millesimi di millimetro) in 100 femtosecondi! Oggi molti scienziati in tutto il mondo studiano i processi ultrarapidi con la spettroscopia a femtosecondi nei gas, nei liquidi e nei solidi, sulle superfici e nei polimeri. Le applicazioni spaziano dal funzionamento dei catalizzatori molecolari, allo studio dei meccanismi pi`u delicati nei processi della vita, alla progettazione delle medicine del futuro.
Il contributo di Ahmed Zewail alla nascita della femtochimica Schema di un esperimento di femtochimica. Da www.infoescola. com.
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Il primo esperimento di Zewail, quello che ha aperto la strada alla nascita della femtochimica, e` del 1988: il fenomeno su cui
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IL RICERCATORE ROMANO
si concentra e` la disintegrazione della molecola di iodocyanide (ICN → I + CN), fotografata in uno stato di transizione intermedio esattamente quando il legame I–C e` sul punto di rottura [1]. La reazione dura complessivamente 200 femtosecondi! In un altro fondamentale esperimento svolto nello stesso anno [2] Zewail studia la dissociazione dello ioduro di sodio (NaI): NaI → Na + I. L’impulso di pompa porta la molecola in uno stato eccitato e Zewail scopre che la natura del legame in questo stato varia durante la vibrazione intramolecolare passando da ionica (quando gli atomi si trovano alla massima distanza) a covalente (quando gli atomi si trovano a breve distanza). Nell’attraversare il punto di mezzo la molecola pu`o decadere tornando nel suo stato fondamentale o dissociarsi. Zewail studia anche la reazione tra idrogeno e anidride carbonica: H + CO2 → CO + OH, una reazione che avviene nell’atmosfera e nella combustione [3] e mostra che essa attraversa uno stato intermedio relativamente lungo di tipo HOCO, di circa 1000 femtosecondi. Una questione che e` stata in passato di grande interesse per i chimici e` perch´e alcuni legami sono pi`u reattivi rispetto ad altri e che cosa accade se ci sono due legami equivalenti in un’unica molecola: si rompono contemporaneamente o uno alla volta? Per rispondere a questo tipo di domanda Zewail e i suoi collaboratori studiano la dissociazione del tetrafluordiiodethane (C2 I2 F4 ). I due legami C–I, nonostante la loro equivalenza nella molecola originale, si rompono uno alla volta come avviene quando si tenta di separare un foglio di carta strappato in due punti. Un altro tipo di reazione su cui si concentra Zewail e` la trasformazione di una molecola da una struttura a un’altra a causa dell’azione della luce, la cosiddetta fotoisomerizzazione [4]. Zewail osserva cos`ı la conversione della molecola stilbene, che comprende due anelli di benzene, tra le forme cis e trans. Arriva a concludere che durante il processo i due anelli di benzene ruotano contemporaneamente l’uno rispetto all’altro. Un comportamento simile a quello successivamente osservato per la rodopsina, una molecola contenuta nella retina, in particolare nei bastoncelli e che spiega l’alta efficienza (vicina al 70%) dell’occhio umano e quindi la sua buona visione notturna.
noi li immaginiamo. Ha dimostrato la potenza di questo approccio nel campo della chimica arrivando a inquadrare il contesto meccanicistico della formula di Arrhenius e di Van’t Hoff per la dipendenza del tasso di reazione dalla temperatura. Dominare la scala temporale del femtosecondo significa di fatto unificare l’approccio ai problemi di interesse chimico, fisico e biologico. La spettroscopia al femtosecondo ha fertilizzato una reale interazione interdisciplinare creando una piattaforma comune tra scienziati che prima parlavano lingue diverse, quelle proprie della fisica, della chimica, della scienza dei materiali e della biologia. Le applicazioni della spettroscopia ultraveloce vanno infatti ben al di l`a dei fasci molecolari di Zewail: dai processi superficiali (cruciali per lo studio dei processi di catalisi), ai processi di trasferimento energetico nei sistemi fotosintetici, alla caratterizzazione dei polimeri per sviluppare nuovi materiali per l’impiego in elettronica, alla superconduttivit`a fotoindotta, ai semiconduttori nanostrutturati, all’optoelettronica per la produzione di nuovi dispositivi ad altissima velocit`a.
Bibliografia [1] Dantus M., Rosker M. e Zewail A. Femtosecond real-time probing of reactions. II. The dissociation reaction of ICN. In The Journal of chemical physics, vol. 89:6128 (1988) [2] Rosker M., Rose T. e Zewail A. Femtosecond real-time dynamics of photofragment-trapping resonances on dissociative potential energy surfaces. In Chemical Physics Letters, vol. 146(34):175–179 (1988) [3] Scherer N., Sipes C., Bernstein R. e Zewail A. Real-time clocking of bimolecular reactions: Application to H+ CO. In The Journal of Chemical Physics, vol. 92:5239 (1990) [4] Baumert T. et al. Femtosecond transition state dynamics of cis-stilbene. In Applied Physics B: Lasers and Optics, vol. 72(1):105–108 (2001) [5] Zewail A. Laser femtochemistry. In Science, vol. 242(4886):1645 (1988)
Una rivoluzione multidisciplinare
Sull’autore
Il premio Nobel a Zewail non e` solo un riconoscimento alla prima visualizzazione completa di importanti reazioni chimiche. Zewail ha introdotto un protocollo sperimentale in grado di osservare in slow motion il moto atomico: da un fenomeno descritto mediante metafore relativamente vaghe come attivazione e stato di transizione, ora possiamo osservare i movimenti dei singoli atomi come
Tullio Scopigno (tullio.scopigno@roma1.infn. it) e` ricercatore presso il Dipartimento di Fisica dell’Universit`a Sapienza di Roma. Ha recentemente vinto il premio europeo Idea con il quale ha fondato Femtoscopy, una nuova linea di ricerca di spettroscopia Raman ultra-veloce.
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Il decadimento proibito In fisica le leggi di conservazione sono importanti almeno quanto la loro violazione Erica Chiaverini (Dipartimento di Fisica dell’Universit`a Sapienza di Roma)
A distanza di quasi cento anni dalla sua scoperta, il muone ha ancora la capacit`a di stupirci. La ricerca di reazioni che coinvolgono questa leggerissima particella, diverse da quelle predette dalla teoria fino a oggi costruita e accettata, potrebbe infatti rivelare nuovi meccanismi fisici alla base delle interazioni tra le particelle elementari. MEG (µ − e − γ, mu-e-gamma) e` un esperimento che cerca un fenomeno proibito: la violazione della conservazione del numero leptonico mediante lo studio di un particolare decadimento del muone.
Figura 1 – Il Paul Scherrer Institut sulle sponde del fiume Aar, dove e` installato l’esperimento MEG.
Il muone La particella µ (o muone, dalla pronuncia della lettera greca “Mu”) e` un’importante componente dei cosiddetti raggi cosmici, scoperti agli inizi del ’900 dal fisico tedesco V. Hess quando intraprese un viaggio su pallone aerostatico per misurare la quantit`a di particelle cariche presenti nell’atmosfera. Scopr`ı che la radiazione aumentava in funzione dell’altitudine e che non era compatibile con la radioattivit`a naturale: esistevano dunque particelle di natura ignota che arrivavano sulla Terra dallo spazio esterno. Nel 1936 a Hess 8
and`o il Nobel per la fisica, mentre nello stesso anno Anderson e Neddermeyer scoprirono effettivamente l’esistenza del muone. Oggi negli acceleratori e` possibile produrre con relativa facilit`a i muoni. Da una collisione (o interazione primaria) tra due particelle in moto o tra una particella e un bersaglio, si producono una grande quantit`a di particelle figlie (o secondarie), secondo la ben nota relazione E = mc2 , la quale ci assicura che, a patto di avere sufficiente energia nell’interazione primaria, e` possibile ottenere particelle secondarie di una certa massa: tanto maggiore e` l’energia primaria, tanto maggiore sar`a la massa delle particelle prodotte dalla collisione. Dal punto di vista energetico, quindi, produrre un muone e` semplice se si pensa che e` la seconda particella carica pi`u leggera subito dopo l’elettrone. Storicamente, man mano che l’energia primaria a disposizione cresceva grazie all’invenzione delle macchine acceleratrici1 , i fisici delle particelle si sono trovati presto ad avere a che fare con una grande variet`a di particelle. E gli scienziati, si sa, “sono fatti cos`ı, devono sempre capire!”2 . E allora, come classificare le particelle? Come capire i meccanismi alla base della loro produzione e interazione? D’ora in avanti, tentando di rispondere a queste domande, ci costruiremo di fatto gli ingredienti concettuali che ci permetteranno di capire come si arriva alla richiesta di conservazione del numero leptonico e alla ricerca della sua violazione, obiettivo dell’esperimento MEG.
Fase zero: osservare Il metodo scientifico tende a essere una successione ben precisa e ordinata di considerazioni e azioni che consentano di giungere a una scoperta quanto pi`u oggettiva possibile sul mondo fisico, anche se di solito questa ricostruzione lineare viene sempre fatta a posteriori. In generale lo sperimentatore inizia con l’osservazione del fenomeno in oggetto e prosegue con la formulazione di ipotesi ragionevoli e in accordo con quanto osservato per rappresentarlo e spiegarlo. Verifica infine che l’ipotesi formulata corrisponda di fatto alla realt`a attraverso nuovi esperimenti. Una teoria che spieghi un certo fenomeno e` valida se e` in accordo con tutte le osservazioni condotte per quel fenomeno3 : una volta costruita, 1
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Ricordiamo che il primo acceleratore mai realizzato fu AdA, costruito grazie a un’idea del fisico austriaco Bruno Touschek nei laboratori di Frascati [6]. Citazione di R. P. Feynman, premio Nobel per la Fisica nel 1965. Non posso non citare Feynman: “It doesn’t matter how beautiful your theory is, it doesn’t matter how smart you are. If it doesn’t
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IL RICERCATORE ROMANO
verificata e accettata una certa teoria, un’eventuale osservazione successiva in contrasto con essa conduce o ad accantonare tale teoria perch´e sbagliata oppure a una nuova teoria che comprenda la vecchia sotto determinate ipotesi. Si pensi per esempio alla teoria della relativit`a speciale di Einstein, valida per velocit`a prossime a quelle della luce e che per piccole velocit`a diventa equivalente alla relativit`a galileiana, quest’ultima formulata per prima nel ’600.
anche nello stato finale, in quanto le antiparticelle (indicate con una barra sul nome) hanno numeri quantici opposti rispetto alle corrispondenti particelle. Analogamente, il numero leptonico elettronico e` nullo nello stato iniziale e tale rimane anche nello stato finale. In questo senso si dice che il numero leptonico e` una quantit`a conservata nelle reazioni tra le particelle elementari.
A caccia di regole. . .
Potremmo cos`ı riportare svariate reazioni nelle quali il numero leptonico e` conservato e che, quindi, confermano la validit`a della regola costruita. Ma allora perch´e cercare la violazione della conservazione del numero leptonico? Perch´e cercare l’eccezione a una regola che funziona? Il punto e` che la comunit`a scientifica e` d’accordo nel ritenere che la teoria costruita fino a oggi, quel Modello Standard che per ora descrive molto bene le particelle elementari e le loro interazioni, non sia la pi`u generale possibile e che esista una teoria pi`u completa che possa contenere quella attuale, nel senso esposto poco pi`u su. Alcune nuove e pi`u generali teorie proposte prevedono, oltre ai processi fisici noti, l’esistenza di nuovi tipi di reazioni proibite dal Modello Standard, in cui per esempio il numero leptonico non e` conservato. Detta in questa maniera, l’esistenza di questi nuovi processi fisici sembrerebbe pi`u un’arida richiesta formale che una possibile realt`a che valga la pena studiare. Ci chiediamo in altre parole se esiste un qualche fenomeno dal quale partire per dare un indirizzo concettuale alla nostra ricerca. La risposta e` ovviamente s`ı e riguarda il comportamento di alcune particelle tanto leggere quanto sfuggenti: i neutrini.
Alla base della comprensione di un fenomeno c’`e quindi l’osservazione. Ora, mentre nel mondo macroscopico e` quasi sempre possibile osservare direttamente un fenomeno, come quelli che coinvolgono le leggi della meccanica o della dinamica, la comprensione di un meccanismo nel campo della fisica delle particelle parte quasi sempre dall’osservazione dei tipi di reazioni che avvengono, ovvero dallo studio di quali particelle vengono coinvolte in una reazione piuttosto che in un’altra. Studiando miriadi di reazioni tra le particelle, si e` osservato in particolare che ogni leptone carico — elettrone, muone, tau — viene prodotto sempre insieme al corrispettivo leptone neutro: neutrino elettronico, neutrino muonico, neutrino tauonico, rispettivamente.
. . . e di violazioni
Neutrini mutanti
Figura 2 – Schema delle tre famiglie di leptoni: elettrone, muone e tau in basso, i neutrini corrispondenti in alto.
La regola che governa le interazioni tra leptoni e` la seguente: assegnando arbitrariamente una quantit`a binaria, detta numero leptonico, positiva a ciascun leptone carico (+1) e negativa a ciascun leptone neutro (−1), nelle reazioni osservate risulta che il numero leptonico iniziale e finale coincidono. Per esempio, nella reazione µ− → e− νe ν¯ µ (decadimento di Michel del muone, o decadimento standard), il numero leptonico muonico iniziale, associato all’unica particella presente nello stato iniziale, e` +1 e rimane tale agree with experiment, it’s wrong”. Non importa quanto sia elegante la tua teoria, non importa quanto tu sia intelligente. Se non e` in accordo con gli esperimenti, e` sbagliata.
Come appena detto esistono tre tipi di neutrini, uno per ogni famiglia di leptoni. La prima osservazione di un anomalo comportamento di queste particelle giunse studiando il flusso di neutrini elettronici provenienti dal Sole: ci si aspettava infatti di registrare un flusso maggiore di quello di fatto misurato. In altre parole, esisteva un deficit nel flusso di neutrini elettronici raccolti. Ad analoghi risultati si arriv`o anche studiando flussi di neutrini provenienti da altre sorgenti, come quelli atmosferici o presenti all’interno dei reattori. Per spiegare questa apparente anomalia si ipotizz`o il fenomeno noto come oscillazione di neutrini, secondo il quale i neutrini possono trasformarsi l’uno nell’altro mentre si propagano nello spazio. Il deficit derivava allora dal fatto che tutti gli esperimenti menzionati potevano registrare solo i neutrini di una certa famiglia: quelli non registrati non erano mancanti, ma si erano trasformati! Successivamente la ricerca in questo campo e` progredita. Partendo da un fascio iniziale di neutrini di una certa famiglia, gli esperimenti che si occupano di verificare gli effetti delle oscillazioni
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dei neutrini sono di due tipi: da un lato quelli pensati per rivelare l’apparizione di reazioni dovute a tipi di neutrini non presenti nel fascio iniziale; dall’altro quelli che verificano l’assenza di reazioni previste per il fascio iniziale. OPERA (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus) e` un esperimento del primo tipo. Il rivelatore si trova presso i laboratori del Gran Sasso. In esso si utilizza un fascio di neutrini muonici provenienti dal CERN di Ginevra e ci si propone di rivelare un tipo di reazione possibile solo grazie a un neutrino tauonico, prova diretta dell’avvenuta oscillazione dei neutrini muonici in tauonici. L’esperimento OPERA ha gi`a registrato un evento di questo tipo ed e` tutt’ora in presa dati. L’esistenza del fenomeno delle oscillazioni appena esposto rimette in discussione il quadro teorico costruito qualche paragrafo fa, riguardo al numero leptonico e alla sua conservazione. Infatti, le oscillazioni tra neutrini di diversa famiglia avvengono senza che siano convolti i leptoni carichi corrispondenti ed e` quindi ragionevole chiedersi se, anche nel settore dei leptoni carichi, siano possibili meccanismi che conducano a un’analoga violazione. Sono queste le basi per comprendere l’esperimento MEG, che utilizza proprio le particelle di cui parlavamo all’inizio: i muoni. Figura 4 – Schema del rivelatore MEG.
Figura 3 – A partire dalla verifica del fenomeno dell’oscillazione dei neutrini, l’esperimento MEG mira a identificare una violazione nella conservazione del numero leptonico in reazioni che coinvolgono l’elettrone e il muone.
mento proibito: la disintegrazione di un muone in un elettrone e un fotone (µ → eγ), in luogo del normale decadimento in elettrone e due neutrini (µ− → e− νe ν¯ µ ). La probabilit`a che questo avvenga secondo il Modello Standard e` di 10−54 , cio`e praticamente nulla. Quindi il decadimento senza neutrini assume un’importanza strategica, perch´e va a sondare se e a quale livello le previsioni delle teorie Supersimmetriche e/o di Grande Unificazione, che rappresentano il possibile superamento delle limitazioni del Modello Standard, sono verificate sperimentalmente. Per raggiungere questo scopo si e` dovuto migliorare molto la sensibilit`a degli esperimenti con un lungo e difficile lavoro: basti pensare che c’`e voluto un quarto di secolo per migliorare di due ordini di grandezza, passando da 10−10 a 10−11 . Il miglior limite oggi disponibile e` stato raggiunto dall’esperimento MEGA alle soglie del 2000. L’ambizioso obiettivo di MEG e` di fare un ulteriore passo avanti spingendo la sensibilit`a a 10−13 , in una regione in cui vari modelli predicono l’esistenza di un segnale utile.
L’apparato sperimentale L’esperimento MEG Nei pressi di Zurigo si trova il Paul Scherrer Institut (vedi Figura 1), il laboratorio confederale dove e` stato realizzato il pi`u intenso fascio continuo di muoni (fino a 3 ×108 muoni/s) al mondo, ottenuti dal decadimento dei pioni prodotti nell’interazione di protoni da 590 MeV su un bersaglio di grafite. E` proprio qui che una piccola ma cosmopolita collaborazione ha assemblato e sta lavorando all’esperimento MEG, progettato per trovare il decadi10
L’apparato di MEG (vedi Figura 4) e` molto diverso da quello che si usa in un tipico esperimento di alta energia, per esempio un collider. Tutto e` stato progettato appositamente per la rivelazione di un fotone e di un positrone (l’anti-elettrone) da circa 50 MeV/c provenienti dal decadimento di un µ a riposo e per misurarne con la pi`u alta precisone possibile le variabili cinematiche. I muoni positivi del fascio, con impulso di circa 30 MeV/c (corrispondente a una energia cinetica di 4.5 MeV) e una intensit`a di
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Figura 5 – L’interno del calorimetro, dedicato alla rivelazione del fotone, durante l’assemblaggio.
circa 3 × 107 s−1 (pari a uno ogni 30 ns!) vengono fermati in un sottile bersaglio di polietilene in modo che il µ decada a riposo. Il fotone viene rivelato nel calorimetro a Xenon liquido (LXe, vedi Figura 5), il rivelatore pi`u innovativo di MEG dal punto di vista tecnologico e anche il pi`u grande di questo tipo mai costruito, con il quale vengono misurati energia e tempo del fotone. 800 litri di materiale scintillante sono mantenuti a una temperatura di 16 K in una struttura di acciaio e alluminio (criostato) a forma di semitoroide trapezoidale (una C, per intenderci) che copre il 10% dell’angolo solido attorno alla direzione di volo del muone. Il positrone da 52.8 MeV/c, emesso in direzione opposta rispetto al fotone, viene curvato dalle potenti spire del COBRA, uno speciale magnete superconduttore a gradiente di campo che spazza via i positroni di impulso inferiore dei decadimenti ordinari.
Successivamente lascia i segni del suo passaggio in un delicato sistema di camere a deriva (vedi Figura 6), per andare infine a schiantarsi sul Timing Counter, un insieme di barre di scintillatore plastico, ognuna letta alle due estremit`a da fotomoltiplicatori, dove viene registrato con grande precisione il suo tempo di arrivo. Come si vede in linea di principio il compito sembra semplice e facilmente realizzabile. Bisogna per`o ricordare che occorre cercare un segnale debolissimo (se esiste) in un fondo sterminato (che esiste sicuramente!). Le ricerche precedenti ci dicono infatti che su cento miliardi di µ finora neanche uno ha mostrato segni di violare le previsioni del Modello Standard. Non basta essere ben equipaggiati per registrare il segnale, occorre anche essere in grado di discriminare tutti gli eventi di fondo che possono simularlo. Il fondo pi`u pericoloso e` quello cosiddetto accidentale, in cui un vero positrone e un vero fotone, provenienti da decadimenti di µ diversi, appaiono simultanei entro la risoluzione finita dell’apparato. Per questo la risoluzione in tempo gioca un ruolo cruciale nel risultato finale dell’esperimento. La conclusione: MEG ha migliorato la risoluzione temporale di un ordine di grandezza rispetto all’esperimento precedente, ottenendo la migliore prestazione finora raggiunta di 100 ps.
Conclusioni MEG ha preso i primi dati nell’autunno del 2008 e continuer`a fino al 2012. Ora si sta vivendo una fase interessantissima in cui proseguono le analisi dei dati gi`a raccolti e ci si prepara alla nuova campagna di presa dati che sta iniziando proprio in queste settimane. Stay tuned folks! e. . . se son rose fioriranno!
Bibliografia [6] Gervasi Vidal K.A. Bruno Touschek tra motociclette e antiparticelle. In Accastampato, vol. 2 (set. 2010) [7] Povh B. et al. Particelle e nuclei. Bollati Boringhieri (1998) [8] Burcham W. e Jobes M. Nuclear and Particle Physics. Addison Wesley Longman (1995) Sito ufficiale di OPERA: operaweb.lngs.infn.it Sito italiano di MEG: meg.pi.infn.it Sito internazionale: meg.icepp.s.u-tokyo.ac.jp
Sull’autore
Figura 6 – Le camere a deriva di MEG per la rivelazione del positrone.
Erica Chiaverini (erica@accatagliato.org) si e` laureata in fisica presso l’Universita Sapienza di Roma con una tesi sulla rivelazione temporale del positrone nell’ambito dell’esperimento MEG. Ha collaborato con l’associazione Frascati Scienza e fa parte della redazione di Accastampato.
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Disastri a confronto Dall’incidente di Three Miles Island alla devastazione di Fukushima Niccol`o Loret (Dipartimento di Fisica dell’Universit`a Sapienza di Roma)
La International Nuclear and radiological Event Scale (INES) e` stata introdotta nel 1990 per classificare i disastri nucleari. E` una scala logaritmica come quella Richter per i terremoti e ogni gradino indica un evento circa 10 volte pi`u grave di quello precedente. Basandoci su di essa passiamo in rassegna i pi`u noti incidenti nucleari per capire l’effettiva gravit`a del disastro di Fukushima.
1979 - Three Miles Island - Livello 5 L’incidente fu causato da una perdita del liquido refrigerante dal vessel1 ad acqua pressurizzata per via di un malfunzionamento a una valvola. Segu`ı una serie di guasti ed errori umani che port`o all’ebollizione dell’acqua e all’esposizione delle barre di combustibile2 . L’innalzamento della pressione interna e la produzione di idrogeno conseguenti causarono una piccola esplosione. Le barre di combustibile si fusero parzialmente tra loro, ma i tecnici furono comunque in grado di inserire le barre di controllo3 e raffreddare il nocciolo. Esplosione e perdita del liquido di raffreddamento provocarono una pericolosa fuga radioattiva, per cui l’impianto venne evacquato e isolato. L’effettiva portata dei danni fu verificata solamente qualche anno dopo, in fase di decommissioning, nel momento in cui il reattore venne riaperto.
1986 - Chernobyl - Livello 7 Il disastro di Chernobyl e` la sinfonia all’umana idiozia, dalla progettazione del reattore alla disinvoltura con la quale i tecnici giocavano con le manopole. Il reattore era stato progettato con moderazione a base di grafite: la grafite, come l’acqua, e` un materiale che rallenta i neutroni, rendendoli in grado di innescare una reazione a catena. Venne utilizzato proprio questo materiale perch´e i reattori sovietici modello RBMK erano pensati per poter funzionare ininterrottamente in modo da garantire una continua produzione di Plutonio per le bombe: le barre di controllo di questo tipo di reattori sono state concepite in modo tale che si consumino in maniera maggiore le pasticche poste pi`u in basso, cos`ı da poter far scivolare via da sotto il combustibile esausto, ricaricando contemporaneamente nuove pasticche in alto a reattore in 1
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Contenitore chiuso ermeticamente di forma cilindrica realizzato in acciaio al carbonio. Nel reattore il combustibile nucleare e` presente sotto forma di pasticche impilate in lunghe barre che vengono inserite ed estratte. Anche dette barre di moderazione, vengono alternate a quelle di combustibile e servono ad assorbire i neutroni lenti.
funzione. Questo progetto, molto efficiente da un punto di vista industriale, presenta un’importante criticit`a: mentre nei reattori in cui la moderazione e` affidata all’acqua in caso di ebollizione le reazioni rallentano (il vapore, a differenza dell’acqua, lascia passare i neutroni veloci), nei reattori a grafite la reazione continua indisturbata, crescendo esponenzialmente in intensit`a. L’esplosione del reattore di Chernobyl avvenne durante un esperimento di funzionamento dell’impianto a bassa potenza: i tecnici raffreddarono le barre con un ingente flusso d’acqua, ma per far s`ı che la produzione elettrica restasse in funzione estrassero del tutto le barre di controllo. In tal modo bast`o una minima diminuzione del flusso d’acqua per provocare l’ebollizione. Il vapore fece aumentare la pressione nel vessel e scattare l’allarme. Questa fluttuazione fu causata dall’attivazione manuale del sistema SCRAM di emergenza, ma non si sa di preciso perch´e il pulsante fu premuto, se per uno spegnimento di routine o per l’allarme dovuto all’aumento di pressione. Fatto sta che i tecnici fecero cos`ı scattare l’inserimento delle barre di controllo, la cui punta di grafite, per`o, provoc`o un’intensificazione delle reazioni: in pochi istanti la temperatura sal`ı sopra i 2000◦ C, le barre di controllo si spaccarono, l’acqua si separ`o in idrogeno e ossigeno, l’idrogeno esplose rompendo il vessel e, pochi secondi dopo, l’altissima escursione termica delle pasticche di combustibile senza pi`u alcun sistema di raffreddamento provoc`o la loro esplosione che fece saltare la centrale, spargendo ovunque materiale altamente radioattivo incandescente. Come se non bastasse la grafite prese fuoco, innalzando una colonna di fumi e ceneri caldissime che spedirono fin nella stratosfera sostanze radioattive di tutti i tipi.
2011 - Fukushima - Livello 5?. . . 6?. . . 7! Il disastro di Fukushima e` esteso e variegato, comprende quattro reattori costruiti tra il 1970 e il 1982. Il primo a dare segni di cedimento e` stato il Reattore 1: dopo il terremoto e` scattato il meccanismo di emergenza che ha fatto s`ı che venissero inserite le barre di controllo, cos`ı da arrestare i processi di fissione nucleare. In caso di incidente, per`o, dopo lo spegnimento del reattore la temperatura interna continua a essere altissima: si parla di circa l’8% della potenza di una centrale in esercizio, quindi di circa 100 − 200 MW, per via delle reazioni residue dei radionuclidi con piccoli tempi di dimezzamento. Il raffreddamento, non potendo contare solo sull’alimentazione elettrica della centrale, garantisce il funzionamento delle pompe grazie ai generatori Diesel d’emergenza. A seguito del terremoto pare per`o che siano stati proprio
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IL RESTO DEL NEUTRINO
questi a subire i maggiori danni (anche se non si esclude che se ne siano verificati alle condotte). Per questo motivo la temperatura all’interno del vessel ha continuato a salire fino ai 2000◦ C, valore al quale pu`o avvenire la reazione di termolisi, cio`e la rottura delle molecole d’acqua nelle componenti di idrogeno e ossigeno. Se la reazione e` sufficientemente esotermica si instaura un loop auto-alimentante e all’interno del vessel la pressione sale in maniera incontrollata. L’aumento vertiginoso della temperatura e` dovuto al fatto che non funzionando l’impianto di raffreddamento le barre non sono pi`u immerse nell’acqua e si fondono quindi tra loro. Per evitare che le pareti del reattore si spaccassero per l’elevata pressione, i tecnici giapponesi hanno lasciato sfogare in atmosfera vapore surriscaldato, ossigeno, idrogeno e tutta una serie di sostanze radioattive allo stato gassoso, come lo Iodio 131 o il Cesio 137. A pressione atmosferica idrogeno e ossigeno hanno reagito, causando l’esplosione a cui tutti abbiamo assistito. Questo ha sparso in atmosfera numerose sostanze radioattive che si stanno diffondendo, seguendo i venti, nelle aree circostanti. A differenza dell’incidente di Chernobyl, durante il quale l’incendio del tetto di grafite del reattore aveva disperso in atmosfera le polveri derivanti dalle barre di combustibile, nel Reattore 1 pare che le pareti siano ancora intatte e quindi non c’`e stata probabilmente dispersione di sostanze pi`u pesanti e pericolose. In realt`a sembrano essere presenti circoscritte tracce di Plutonio (simbolo chimico “Pu”), anche se non e` da escludere che le perdite di quest’elemento siano dovute a situazioni precedenti il terremoto, o che il Pu sia stato estratto dalla centrale per scopi bellici. Al momento la situazione del Reattore 1 sembra stabile, anche se la reazione di fissione potrebbe saltuariamente riattivarsi4 . Per quel che riguarda il Reattore 2 si e` quasi sicuramente avuto lo scioglimento delle barre (che si ha a 2800◦ C), in quanto il nocciolo e` stato esposto all’aria per un periodo prolungato per via della mancanza di alimentazione alle pompe dell’acqua. Si sono avute alcune piccole esplosioni e l’emissione di vapori radioattivi, ma i tecnici del reattore sono riusciti a evitare l’esplosione dell’idrogeno lasciando defluire il gas da fori appositamente praticati nel cemento armato della blindatura. La pressione, inoltre, non e` salita incontrollabilmente poich´e, con ogni probabilit`a, e` avvenuto un cedimento strutturale delle vasche d’acqua sottostanti il reattore che hanno provocato l’allagamento di alcuni tunnel in cui sono affogati due tecnici. Non si capisce ancora quanto sia fuori controllo la situazione di questo reattore, in quanto essendosi fuso il metallo non e` possibile stabilire quanto l’acqua possa fluire attraverso le barre per raffreddarle. Non si riesce per ora neanche a capire quanto la fissione in questo nocciolo possa auto-alimentarsi nonostante l’inserimento delle barre di raffreddamento. Gli scenari possibili vanno dal rientro dell’emergenza 4
Sono state infatti rilevate tracce di Cloro 38, un isotopo del Cloro con una brevissima vita media, che potrebbe essere il risultato dell’assorbimento di neutroni da parte del normale cloro presente nel sale dell’acqua di mare.
alla cosiddetta sindrome cinese, cio`e la creazione di una massa fusa che potrebbe restare incandescente per un lunghissimo periodo di tempo e penetrare la crosta terrestre. Il Reattore 3, alimentato da una mistura di Uranio e Plutonio (MOX), e` quello che ha dato i problemi maggiori e le maggiori fughe radioattive. Inizialmente la situazione in questa parte dell’impianto era molto simile a quella del Reattore 1, ma in seguito all’esplosione dell’idrogeno e` plausibile pensare che il vessel si sia danneggiato, dato che le barre sono state raffreddate gettando acqua dall’esterno mediante gli elicotteri. E` probabile che le barre si siano parzialmente fuse tra loro e non e` chiaro se andando avanti con i giorni la fissione possa riprendere o che una volta decaduti i prodotti di fissione secondari la temperatura si abbasser`a. Il Reattore 4, spento nel momento del terremoto, ha avuto problemi alla vasca dello stoccaggio delle scorie. Queste, poste al di sopra dei reattori, sono delle enormi piscine profonde 10 metri in cui vengono accumulate le barre esauste di combustibile. Le barre esauste sono estremamente radioattive e calde e possono tranquillamente raggiungere i 100◦ C. Per questo motivo nella vasca sono presenti numerosi sistemi di controllo che fanno s`ı che l’acqua non superi i 50◦ C. Non si capisce bene cosa non abbia funzionato, se un misuratore di pressione o di calore, se i tecnici preoccupati per gli altri reattori non abbiano controllato o se il terremoto avesse danneggiato la vasca, causando la fuoriuscita del liquido nell’ambiente esterno. Fatto sta che l’acqua e` arrivata a ebollizione e dal reattore si sono sollevate dense volute di vapori radioattivi, non si sa di quale entit`a. Il fatto e` particolarmente grave poich´e, al contrario degli altri reattori, una volta evaporata l’acqua le barre sono rimaste esposte direttamente all’aria. Per valutare l’impatto complessivo del disastro di Fukushima sono da considerare molti fattori: per quanto ancora i reattori continueranno a emettere vapori radioattivi, il tipo di radionuclidi immessi in atmosfera, se vi sono state infiltrazioni delle acque di raffreddamento nelle falde acquifere e nel mare e verso dove soffier`a il vento nelle prossime settimane. A quanto sembra oggi le autorit`a giapponesi sembrano pi`u propense ad affrontare la situazione come avvenne a Three Miles Island, cio`e con una serie di piccoli interventi successivi che puntino al consolidamento delle blindature gi`a presenti, piuttosto che con la costruzione, come a Chernobyl, di un’enorme bara di cemento armato, pi`u sicura, ma pi`u dispendiosa in termini economici e di vite umane.
Sull’autore Niccol`o Loret (niccolo@accatagliato.org) e` dottorando presso il gruppo di fisica teorica del Dipartimento di Fisica dell’Universit`a Sapienza di Roma.
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Quella mattina del 12 aprile 1961 A cinquant’anni dal volo di Yuri Gagarin Matteo Di Giovanni (Studente di fisica all’Universit`a Sapienza di Roma) In principio Dio cre`o il cielo e la terra, poi nel suo giorno esatto mise i luminari nel cielo e al settimo giorno si ripos`o. Dopo miliardi di anni l’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, senza mai riposare, con la sua intelligenza laica, senza timore, nel cielo sereno d’una notte d’ottobre, mise altri luminari uguali a quelli che giravano dalla creazione del mondo. Amen. (Salvatore Quasimodo, Alla nuova luna, 1958) La mattina del 12 aprile 1961, un missile balistico intercontinentale R-7 si trovava sulla rampa di lancio pronto a essere proiettato verso il cielo. Questa volta per`o non era puntato su una delle maggiori citt`a americane, n´e su un bersaglio dell’Europa Occidentale per scatenare un olocausto nucleare. A dire la verit`a non si trovava nemmeno in una delle numerose basi missilistiche sparse per l’Unione Sovietica, ma nel cosmodromo di Baikonour, una remota localit`a nelle steppe del Kazakistan, talmente segreta che gli occidentali l’avevano localizzata solo studiando le traiettorie degli Sputnik lanciati a partire dal 1957. Sulla sua sommit`a, una testata nucleare da tre megatoni era stata rimpiazzata con una piccola capsula in grado di ospitare un essere umano. L’R-7 si apprestava dunque a lanciare il primo uomo nello spazio. Quest’uomo era il tenente d’aviazione Yuri Gagarin.
Genesi di un eroe Gagarin era una persona di umili origini. Nato da una famiglia di contadini, soffr`ı i disagi della Seconda Guerra Mondiale quando i tedeschi requisirono la casa della sua famiglia, che fu costretta a trasferirsi in una piccola capanna di fango. Dopo la guerra s’iscrisse a una delle numerose scuole di avviamento professionale sparse per l’Unione Sovietica e probabilmente sarebbe finito a costruire trattori se la sua passione per l’aviazione e lo spazio non lo avesse portato a iscriversi con successo a una scuola di 14
volo per amatori. Terminati gli studi, Gagarin decise quindi di iscriversi all’accademia dell’aeronautica militare dove nel 1957 ottenne il brevetto di pilota da caccia. Contemporaneamente i sovietici avevano avviato il loro programma spaziale lanciando lo Sputnik 1 e stupendo l’opinione pubblica internazionale: la corsa allo spazio era cominciata. Solo due anni pi`u tardi, con il programma Vostok in Unione Sovietica e con quello Mercury negli Stati Uniti, ci si preparava gi`a a lanciare un uomo nello spazio; per far questo c’era bisogno di persone intelligenti, abituate allo stress e fisicamente preparate. Furono quindi selezionati venti tra i migliori piloti dell’aeronautica, poi ridotti a sei per garantire un addestramento pi`u accurato. Gagarin era tra questi, soprannominati “i sei pionieri”, che si misero subito in contrapposizione con gli omologhi statunitensi chiamati “i magnifici sette”. Naturalmente tutto il programma era circondato dal pi`u stretto riserbo e se a Mosca sapevano quello che accadeva oltre oceano tramite la stampa, negli Stati Uniti non si conosceva nemmeno il nome del responsabile del programma spaziale sovietico. Col procedere dell’addestramento, Gagarin divenne il favorito per salire a bordo della Vostok 1 ed effettuare il primo volo umano nello spazio. Grazie alle sue abilit`a tecniche e all’ottima impressione che dava di s´e fece infatti colpo sui suoi superiori. Cos`ı, il 5 aprile 1961, Nikolai Kamanin, responsabile dell’addestramento dei cosmonauti, decise che proprio Gagarin sarebbe stato il primo uomo a volare nello spazio.
Ore 6:07 UTC Il volo era in programma per il 12 aprile alle 6:07 UTC (Tempo Universale Coordinato) di modo che, al momento del rientro, i sensori dei sistemi di bordo non fossero disturbati dalla luce del sole. Se tutto fosse andato secondo i piani, Gagarin non avrebbe dovuto pilotare direttamente la navicella che sarebbe stata invece affidata al computer di bordo e al controllo missione a terra. Il rientro sarebbe stato effettuato dopo una sola orbita ed era previsto che, a una quota fissata, Gagarin si eiettasse dalla navicella per planare con il paracadute nella steppa kazaka. Il 12 aprile la preparazione per il lancio cominci`o con la sveglia di Gagarin e Titov, la sua riserva, alle 2:30 UTC. Due ore prima del lancio Gagarin, all’apparenza tranquillo, fu fatto accomodare nell’angusto abitacolo della Vostok 1 e cominci`o una serie di controlli di routine sui sistemi di bordo. Il volo ebbe inizio alle 6:07 UTC e tutto and`o come previsto. I potenti motori del razzo R-7 impressero un’accelerazione pari a tre volte quella terrestre e meno di dieci minuti
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EVENTI
dopo il lancio la Vostok 1 aveva gi`a raggiunto la sua orbita con un perigeo di 169 km e un apogeo di 315 km1 . Una volta nello spazio, Gagarin, guardando fuori dal minuscolo obl`o, fu finalmente in grado di descrivere la Terra: nessuno infatti l’aveva mai vista prima di allora. Queste furono le sue parole: “la Terra e` blu. Che meraviglia. E` incredibile. . . ”. Al termine dell’unica orbita prevista furono accesi i retrorazzi per frenare la capsula e immetterla nella traiettoria di rientro. Una volta rientrato nell’atmosfera, Gagarin si eiett`o dalla capsula a una quota di circa 7000 m e atterr`o a qualche chilometro di distanza dalla cittadina di Engels, nella regione di Saratov. Dal momento della partenza erano passati solo 108 minuti. Una volta atterrato, Gagarin fu protagonista di una scena curiosa: a pochi metri dal luogo dell’atterraggio erano presenti un contadino e suo figlio. Quando videro Gagarin nella sua tuta arancione con il casco e il paracadute che gli sventolava alle spalle, corsero via dalla paura. Gagarin dovette allora rassicurarli che era russo come loro e che aveva bisogno di un telefono per chiamare Mosca.
Oltre ogni confine Il volo di Gagarin dimostr`o finalmente che era possibile mandare un uomo in orbita e farlo tornare incolume. Infatti, nonostante il durissimo addestramento a cui furono sottoposti gli astronauti, nessuno poteva sapere come si sarebbe comportato esattamente l’uomo in assenza di peso o se avesse potuto resistere alla terribile accelerazione impressa dal razzo al decollo. Naturalmente il significato dell’impresa trascende qualsiasi significato politico o scientifico: e` la dimostrazione della capacit`a dell’uomo di andare sempre oltre, di come pu`o superare dei limiti per crearne sempre di nuovi andando sempre pi`u lontano. Una volta resa nota, l’impresa fece scalpore. Gagarin fu accolto da eroe in tutti i paesi del mondo e venne insignito del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica: ancora una volta i sovietici avevano stupito il mondo. Infatti, a causa della lorone per la segretezza, i sovietici avevano tenuto tutti all’oscuro della preparazione della missione. Questo colse di sorpresa gli americani che si ritrovarono a inseguire ancora una volta i sovietici nella corsa allo spazio, sovietici che dimostravano un’inaspettata quanto schiacciante superiorit`a tecnologica. Infatti, nonostante il programma Mercury fosse partito quasi in contemporanea con il programma Vostok, gli americani non furono in grado di mandare un uomo in orbita se non all’inizio del 1962 con John Glenn. Dopo il volo con la Vostok 1, Yuri Gagarin continu`o a collaborare con il programma spaziale sovietico e torn`o anche a volare nell’aviazione militare. Mor`ı in un incidente aereo il 27 marzo del 1968 nei pressi della base aerea di Chkalovski a bordo di un Mig-15UTI. Insieme a lui era presente anche l’istruttore di volo Vladimir Seryogin. L’in1
Rispettivamente il punto pi`u vicino (perigeo) e quello pi`u lontano (apogeo) dalla Terra in un’orbita ellittica.
La Vostok 1, in mostra presso il Museo dell’Aria e dello Spazio di Parigi. Da Wikipedia.
cidente e` stato probabilmente causato dal cattivo tempo e da un errore di comunicazione tra la torre di controllo e l’aereo. Dopo i funerali, Gagarin e` stato sepolto al Cremlino insieme agli Eroi dell’Unione Sovietica. Al giorno d’oggi, al contrario delle missioni americane, non esiste una documentazione fotografica o filmata completa dell’impresa, sempre a causa dell’ossessione per la segretezza. L’unico video originale esistente e` quello a inquadratura fissa che ritrae Gagarin all’interno della Vostok 1 durante le fasi del volo, mentre tutti gli altri video a colori furono girati dopo l’impresa a beneficio della propaganda. Nel 2011, il documentarista Christopher Riley, in collaborazione con l’astronauta italiano Paolo Nespoli, ha girato un filmato riprendendo quello che Gagarin vide dallo spazio il 12 aprile 1961 ripercorrendo con la Stazione Spaziale Internazionale l’orbita della Vostok 1. Il film First orbit e` stato trasmesso in occasione delle celebrazioni del 50◦ anniversario del volo di Gagarin in diretta su Internet e si pu`o guardare gratuitamente su YouTube: http: //youtu.be/RKs6ikmrLgg.
Bibliografia [9] AA. VV. La Luna e` nostra: storie e drammi di uomini coraggiosi. Rizzoli (1969) [10] Balis Crema L. e Castellani A. L’esplorazione dello spazio. Newton Compton (1997) [11] Laquale P. 1957 - 2007: 50 anni di missioni spaziali. In l’Astronomia, vol. 289
Sull’autore Matteo Di Giovanni (digioman89@yahoo.it) frequenta l’ultimo anno del corso triennale in fisica all’Universit`a Sapienza di Roma. Tra i suoi interessi spiccano l’astronomia e lo studio dell’esplorazione del cosmo.
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Lo strano caso della massa relativistica Non sempre nella scienza le idee scorrette vengono dimenticate Matteo De Giuli (Studente di fisica all’Universit`a Sapienza di Roma)
Una nuova verit`a scientifica suol farsi strada non in quanto i suoi avversari vengono persuasi e si dichiarano convinti, ma piuttosto perch´e gli avversari muoiono a poco a poco e la nuova generazione fin dal principio cresce convinta della verit`a. (Max Planck, Autobiografia scientifica, Einaudi 1956)
Non sempre questa famosa osservazione di Max Planck e` stata rispettata dal corso degli eventi dell’evoluzione scientifica. Esistono infatti concetti fallaci che resistono a diverse generazioni e che si vanno addirittura a consolidare nel corso del tempo. L’esempio pi`u eclatante e` forse quello della massa relativistica, ovvero il concetto secondo il quale, in sistemi in cui le velocit`a in gioco sono vicine a quella della luce, la massa di un corpo aumenta al crescere della sua velocit`a. Un concetto che ci portiamo dietro ormai da decenni e che, nonostante sia stato dimostrato essere fuorviante e non corretto, viene tutt’oggi sostenuto dalla maggior parte dei libri e delle analisi critiche dedicate al tema della relativit`a speciale. Prima di capire come ha fatto una nozione del genere a imporre la sua presenza in maniera cos`ı prepotente, cerchiamo innanzitutto di chiarirci le idee sul concetto di massa in relativit`a.
La massa relativistica Nell’immaginario popolare e nella vulgata scientifica la relativit`a ristretta e` ricordata essenzialmente per la celeberrima formula che mette in relazione l’energia di un corpo alla sua massa: E = mc2 .
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m0 m= q , 2 1 − vc2
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dove v e` la velocit`a del corpo in esame e c la velocit`a della luce (circa 299.792, 458 km/s). Secondo questa interpretazione della relativit`a speciale, quindi, la massa di un corpo non sarebbe una quantit`a invariante ma, al contrario, dipenderebbe dal sistema in cui essa e` misurata, in particolare dalla sua velocit`a relativa. Idea, questa, davanti alla quale ci viene gi`a istintivamente da storcere il naso. Sempre a livello di reazioni spontanee, infatti, possiamo subito chiederci cosa significhi affermare che la massa aumenti letteralmente con la velocit`a. Stando alla formula della massa relativistica si viene infatti indotti a pensare che con la velocit`a aumenti la quantit`a di materia di un oggetto, quasi come se aumentassero i suoi costituenti. . . ipotesi quantomeno ambigua. In che modo e perch´e dovrebbe variare la struttura interna di un oggetto? Seguendo quali leggi? Uno studio pi`u rigoroso della relativit`a speciale in presenza della massa relativistica aggiunge poi, a questi iniziali, altri dubbi ben pi`u cupi. Bastano pochi semplici passaggi per dimostrare, ad esempio, che in un’esposizione della relativit`a che preveda la massa relativistica gli oggetti massivi non sono vincolati a velocit`a minori di quella della luce, come invece dovrebbe essere. Tutte le insidie e gli errori concettuali a cui porta l’introduzione della massa relativistica sono stati sviscerati, alla fine degli anni ’80 del Novecento, da un paio di ottimi articoli del fisico russo Lev Okun [12] [13].
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Formula elegante e importantissima, ma anche una terribile arma a doppio taglio. Non tanto per il fatto che viene spesso associata al meccanismo di funzionamento della bomba atomica1 , quanto perch´e pu`o condurre alla costruzione di una teoria incoerente della relativit`a speciale. Infatti, se si cerca di dare una validit`a universale alla formula, si e` allora costretti ad adottare una trattazione particolare della relativit`a speciale che prende in considerazione il variare della massa al variare della velocit`a. In altre parole la formula E = mc2 e` intimamente connessa a un’altra formula, 1
forse non altrettanto famosa, ma sicuramente altrettanto abusata: quella, appunto, della massa relativistica.
Associazione questa, tra Einstein (e la sua formula massa-energia) e la bomba atomica, a sua volta decisamente discutibile.
Scultura della “Berliner Walk of Ideas” realizzata in occasione della Coppa del Mondo di calcio ospitata dalla Germania nel 2006 (Lustgarten, di fronte all’Altes Museum, Berlino). Da Wikipedia.
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Raggruppando i libri di divulgazione scientifica per lustri a seconda dell’anno di pubblicazione, possiamo studiare un andamento approssimativo della popolarit`a del concetto di massa relativistica (RM) in letteratura. La presenza della massa relativistica (in rosso) non solo e` dominante, ma sembra crescere nel tempo. Da [14].
Il formalismo corretto per la relativita` speciale
quelli di Richard Feynman, di Steven Hawking e di Brian Green, insomma di gente a cui si e` tendenzialmente portati a dare ragione trattandosi di premi Nobel o comunque scienziati tra i pi`u geniali e influenti di sempre, si fa ampio uso della massa relativistica. Per molto tempo si e` infatti creduto che fosse una questione puramente didattica: davanti a due diversi approcci della relativit`a che si credevano tutto sommato equivalenti e ugualmente corretti, si preferiva utilizzare un formalismo apparentemente meno complesso che non richiedesse l’introduzione dei quadrivettori3 , rinviando il problema a un livello di studi pi`u avanzato. Tuttavia il concetto di massa relativistica si e` in questo modo sedimentato con il tempo a ogni livello di esposizione e divulgazione scientifica, da quello para-scientifico di romanzi, film e telefilm di fantascienza, fino ai testi pi`u specializzati di relativit`a, facendo capolino anche in molti testi universitari oltre che addirittura in diverse pubblicazioni tecniche e articoli scientifici.
Prima di farci sopraffare dalla disperazione e` bene precisare che nella schiacciante maggioranza degli articoli scientifici di fisica teorica delle particelle, per i quali la relativit`a e` ovviamente un essenziale strumento di lavoro, l’equazione della massa relativistica non compare e che esiste (e viene adottato con successo) un formalismo alternativo, elegante, di facile esposizione e che porta a una teoria coerente. E` quello che viene chiamato formalismo geometrico e che comporta la definizione di uno spazio-tempo quadrivettoriale, dove cio`e le tre dimensioni spaziali formano, con l’aggiunta della coordinata temporale, uno spazio quadridimensionale su cui operare. Sviluppando la teoria in questo modo, la massa risulta invariante in ogni sistema di riferimento. Usando le notazioni gi`a introdotte, quindi, la massa e` in questo caso sempre definita come m0 e il rapporto tra energia e massa e` da riscrivere come E0 = m0 c2 .
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Sotto questa luce l’equivalenza massa/energia ha una valenza pi`u ristretta2 : solo quando un oggetto e` a riposo allora la sua energia e` uguale alla sua massa per il fattore moltiplicativo c2 . Forse a enunciarla cos`ı diventa una formula che d`a meno soddisfazione, e` meno dirompente e meno affascinante, ma delle due versioni e` quest’ultima quella corretta.
Una storia sbagliata La massa relativistica e` quindi una forzatura concettuale che porta a una teoria piena di paradossi. Eppure nei libri a firma di Max Born, Wolfgang Pauli, Arthur Stanley Eddington, cos`ı come in 2
Per ovvi motivi non entriamo troppo nei particolari delle formule della teoria, ma per un’esposizione chiara e coerente della relativit`a speciale rimandiamo al libro di Taylor e Wheeler [15].
Copertina del Time del luglio 1946. Da www.time.com.
Il perch´e e` in parte da ricercarsi nell’illusoria semplificazione che porta l’introduzione della massa relativistica nello spiegare l’inerzia in relativit`a speciale: sappiamo infatti che diventa sempre pi`u difficile accelerare oggetti che viaggiano a velocit`a sempre pi`u elevate. Viene allora naturale dire “bene, e` perch´e la loro massa, e quindi la loro inerzia, aumenta!”. In realt`a, per`o, la massa non c’entra. Semplicemente pi`u i corpi sono veloci e pi`u sono necessari incrementi progressivamente pi`u grandi di energia per 3
Dal punto di vista geometrico l’introduzione della massa relativistica modifica solo parzialmente il formalismo newtoniano, quello cio`e della meccanica classica, che tratta uno spazio in tre dimensioni e vettori a tre componenti.
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accelerarli. Dal momento poi che in relativit`a la resistenza di un corpo a una forza accelerante dipende dall’angolo tra la forza e la velocit`a, la massa non pu`o essere presa come misura dell’inerzia, a meno di non voler parlare di masse longitudinali e trasversali, ovvero masse che dipendono dalla direzione delle forze applicate al corpo, eventualit`a altamente sconsigliabile. Con ogni probabilit`a, comunque, la parte pi`u sostanziale del successo della massa relativistica e` da legare all’indiscutibile notoriet`a della formula E = mc2 , che negli anni si e` trasformata in un vero e proprio brand di successo per l’intera comunit`a scientifica, da essa (e non solo) usato fino al parossismo per pubblicizzare la fisica moderna. Conseguenza di quest’atteggiamento e` l’attaccamento quasi affettivo che sembra esserci per la massa relativistica, tanto che, dal punto di vista didattico, l’approccio oggi pi`u comune (sebbene dimostrato anch’esso vano e incoerente) tenta di coniugare il formalismo geometrico e l’introduzione del concetto di massa relativistica in un’unica esposizione della relativit`a. Emblematico a questo proposito e` un aneddoto riportato sempre da Okun in un suo pi`u recente articolo [16]. Nel 2005, in un numero speciale di Scientific American (la pi`u famosa rivista di scienza popolare, nel senso di non peer-review, del mondo) dedicato al centenario della relativit`a, la rivista fece ampio uso del concetto di massa relativistica. In risposta a una lettera di proteste che rivendicava la bont`a dell’approccio quadridimensionale a massa invariante in opposizione a quello invece adottato dalla rivista, il redattore responsabile, conscio ma incurante delle inesattezze presenti negli articoli pubblicati, rispose che era stata una
scelta ragionata e non casuale e che la redazione aveva preferito nascondere ai lettori il formalismo geometrico (corretto) per paura di confondere loro le idee, presentando, senza neanche una postilla chiarificatrice, un formalismo sbagliato, ma quantomeno pi`u comprensibile.
Bibliografia [12] Okun L. The concept of mass. In Physics Today, vol. 42(6):31–36 (1989) [13] Okun L. The concept of mass (mass, energy, relativity). In Soviet Physics Uspekhi, vol. 32:629 (1989) [14] Oas G. On the abuse and use of relativistic mass. In Arxiv preprint physics/0504110 (2005) [15] Taylor E. e Wheeler J. Fisica dello spazio-tempo. In Zanichelli (1992) [16] Okun L. The concept of mass in the Einstein year. In Arxiv preprint hep-ph/0602037 (2006)
Sull’autore Matteo De Giuli (de.giuli.matteo@gmail.com) frequenta il secondo anno della laurea magistrale in fisica teorica presso il Dipartimento di Fisica dell’Universit`a Sapienza di Roma.
Di cosa parliamo quando usiamo la parola massa Sebbene gi`a usato in qualche esposizione tecnica per la prima volta verso la met`a del quattordicesimo secolo, il termine massa divent`o una delle voci pi`u importanti dell’intero vocabolario scientifico probabilmente grazie a Sir Isaac Newton che, nei suoi Philosophiae Naturalis Principia Mathematica del 1687, per primo ne tent`o una formalizzazione concettuale definendola come la quantit`a di materia di un determinato oggetto. Da allora diversi problemi concernenti la massa si sono susseguiti con l’evolversi e il raffinarsi della conoscenza del mondo fisico. Gli stravolgimenti che dalla meccanica newtoniana hanno portato alla teoria relativistica speciale, alla relativit`a generale e alla teoria quantistica non hanno risparmiato il concetto di massa, il cui significato pi`u intimo e` stato di volta in volta messo in discussione e ridefinito. Storico prototipo di chiloIl concetto di massa e` tra i pi`u delicati e importanti per la descrizione del mondo fisico, e la grammo, conservato pressua vera comprensione e la sua natura sono tuttora oggetto delle pi`u importanti discussioni so il Bureau International accademiche e ricerche scientifiche. Al di fuori della teoria classica per la quale rimangono des Poids et Mesures di valide le considerazioni di Newton, infatti, ancora non esiste una pi`u generale definizione S`evres, in Francia. Da metricviews.org.uk. di massa che sia universalmente accettata. Un passo importante in questa direzione potr`a essere fatto quando arriveranno i primi risultati sensibili dall’LHC di Ginevra che, nelle speranze e nelle attese di (quasi) tutta la comunit`a scientifica, dovrebbero portare a un riscontro del famoso (e per ora solo ipotetico) bosone di Higgs, una particella massiva e scalare responsabile della massa di tutte le altre particelle.
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E appresi allora quanto segue Alfred Kubin tra impressionismo tedesco e principio di indeterminazione Massimo Margotti (Studente di fisica all’Universit`a Sapienza di Roma) E appresi allora quanto segue: “Patera nutre un’avversione eccezionalmente profonda per ogni tipo di progresso, soprattutto in campo scientifico. La prego d’interpretare il pi`u possibile alla lettera queste mie parole, perch´e in esse sta l’idea fondamentale del Regno del Sogno”. (Alfred Kubin, L’altra Parte, Adelphi 2001) In questo testo vorrei concentrarmi sull’opera di Alfred Kubin, un artista quanto mai importante nella produzione pittorica tedesca della prima met`a del ’900. Sebbene la maggior parte delle sue opere appartengano a quella che spesso e` considerata una cenerentola delle arti visive, il disegno, essa si inserisce organicamente nel panorama storico a lui contemporaneo, diventando archetipo dei cambiamenti che avvenivano in quegli anni su pi`u orizzonti, artistici e non: la letteratura, la scienza, la nascente psicologia.
L’espressionismo tedesco Sebbene l’opera di Kubin meriti un’analisi a s´e, la sua produzione s’inserisce perfettamente nell’espressionismo tedesco. Al di l`a della partecipazione al movimento Der Blaue Reiter accanto a
Figura 1 – Alfred Kubin, Il Bacio, Leopold Museum, Vienna (1901).
nomi pi`u celebri come Kandiskij e Klee, e` propriamente il suo impeto visionario che lo porter`a a essere definito un “evocatore di sogni”, per la scelta di mezzi primitivi come il carboncino, la matita e le acqueforti, per la riduzione al bianco e nero dei colori che aveva ampiamente sperimentato e per il rifiuto della visione positivista che aveva animato la fine del secolo precedente. -------------------------------------------
All’inizio del XX secolo scienza, pittura e psicologia affrontarono il mistero accogliendolo in un nuovo linguaggio ------------------------------------------Se dovessimo attenerci alla sua biografia, tutte queste scelte estetiche emergerebbero spontaneamente da una vita ossessionata dagli incubi e che lui stesso suddivideva in base al susseguirsi di lutti: la madre, la matrigna, la fidanzata, il padre (Patera appunto), la malattia della moglie, la prima guerra mondiale e con essa la violenza dell’uomo che lo porteranno a isolarsi in campagna.
La morte come tema fondante Kubin illustr`o molti testi e in pi`u occasioni gli venne criticato di immaginare atmosfere pi`u tetre e funebri di quanto il testo non riferisse. Quello della morte e` sicuramente un tema portante e diffuso nella sua opera e il livello su cui lo affronta e` quello del sacro, con una chiara rinuncia alla rappresentazione simbolica. La natura, che gli impressionisti avevano inseguito fino a coglierne l’essenza, in Kubin si riduce spontaneamente all’osso, perch´e l’albero spogliato delle sue fronde mostra il mistero o meglio l’ignoto, ci`o che con il linguaggio della moderna sociologia potremmo chiamare l’unica grande trascendenza, la morte. In questo paradigma e` possibile collocare la sua spiritualit`a, l`a dove la morte e` l’origine di tutte le religioni e come tale sinonimo stesso di religiosit`a. Ad esempio ne Il Bacio in Figura 1 uno scheletro emergente dall’acqua sovrasta la scena di un nave alla deriva: la natura si fa Dio per l’uomo l`a dove assume l’immagine dello scheletro, la prua di legno fronteggia in uno scontro impari una prua d’osso che lascia celato il vascello di cui fa parte sotto un’onda gigantesca, il volto morto ha un occhio aperto e uno chiuso e, come nella pi`u antica tradizione primitiva, guarda i vivi con l’uno e i morti con l’altro. La scena tragica rivela nel titolo una forte ironia, la stessa che Kubin riserver`a a molte opere. Il legno della nave, artefatto del potere maschile, e` soggiogato dalla forza dell’acqua, simulacro della femminilit`a e della procreazione che, sebbene sia sintomo
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di rinnovamento, resta pur sempre mortale. Un altro esempio e` Il Potere in Figura 2, dove un leone marino si appoggia stabile nel suo candore su un monte di trapassati, mentre molle e robusto attende l’osservatore su cui avr`a il dominio. Non si tratta in questo caso di contemplazione o intellettualismo, bens`ı di dato sensibile. Kubin vide il padre scomporsi per la prima volta e diventare altro uomo di fronte alla morte della moglie. La morte era dunque capace di far emergere forme represse dell’uomo e di svelarne l’ambiguit`a dovuta all’educazione e alla tradizione che, come un filtro o un velo, permettono l’emergere di questa duplicit`a solo in qualche espressione. Va rimarcato che tale potere non e` dominio della sola morte ma, come mostrano tutta la produzione di Kubin e tanta parte della storia dell’arte, e` del tutto analogo al potere dei sogni e delle visioni, le stesse che spesso lo spinsero a produrre o a interrompersi bruscamente.
Duplicita` e ambiguita` Le immagini scheletriche delle sue raffigurazioni sono epifania di questa duplicit`a umana, quello che emerge nel sogno, che sar`a da alcuni suoi contemporanei chiamato inconscio e che lui battezzer`a L’altra parte (romanzo preso a modello dall’amico Kafka). In questo senso si pu`o dire che Kubin, come gli altri espressionisti, dialogasse a distanza con la neonata psicologia; anche se nella pretesa sbagliata di raffigurare i sogni – non e` un mistero che Freud non riconoscesse tale pratica come artistica – resta a noi la forma, il segno e l’organizzazione di un linguaggio attraverso cui sia possibile far emergere tali aspetti repressi anche nell’osservatore, assolvendo cos`ı al ruolo di specchio. Si pu`o affermare che fosse questa l’esigenza della societ`a del ’900 che, in forma osmotica, gli espressionisti appresero e riecheggiarono, aggiornando la forma e imponendo questa duplicit`a in modo assiomatico. Da parte sua Kubin fece ci`o rivolgendosi a quegli aspetti universali che coglieva, aggiorn`o la forma del dolore, della putrefazione, del vizio, del culto del sublime e delle masse umane. Per Kubin la realt`a e la verit`a si celano l`a dove l’ignoto si assimila al noto, creando nell’immagine una sorta di disturbo che non e` scontro, ma incontro con ci`o che il mondo occidentale aveva fino ad allora separato e nascosto dal quotidiano e dal vivere civile: le pulsioni. Ne Il Salto Mortale in Figura 3 il gioco di parole del titolo restituisce l’ironia con cui la trasfigurazione di una dea Terra divoratrice, citando l’origine du monde per sovrapporla a la fin du monde, attende i sui figli, in cui le pulsioni pi`u nascoste e traslate emergono sessualmente esplicite, dove un’umanit`a magra si tuffa in un destino oscuro come circensi dai trapezi e dove la morte e` centro di gravit`a, desiderio e ineffabile finale.
La necessita` di nuovi linguaggi Se il dialogo con la psicologia fu caratterizzato da molteplici incomprensioni reciproche, quello con la scienza fu addirittura as20
Figura 2 – Alfred Kubin, Il Potere, Collezione privata, Vienna (1903).
sente e rifiutato a priori come e` esplicitato dalla citazione iniziale de L’altra parte; eppure la necessit`a di un linguaggio contemporaneo che esprimesse questa dualit`a era vibrante in molte discipline, non ultima la fisica dove il comportamento della luce (e delle particelle elementari) sembrava portare a un paradosso, fornendo soluzioni differenti a seconda che la luce venisse osservata o meno durante il percorso e assistendo a un comportamento di particella per la luce e ondulatorio per le particelle. I linguaggi matematici utilizzati che tenevano distinti i due comportamenti risultarono inadeguati e si rese necessario descrivere il fenomeno con un nuovo formalismo che poggiasse sul primo e unico postulato negativo della scienza, il principio di indeterminazione. L’approdo a una nuova teoria ha la stessa portata creativa di una corrente artistica indipendentemente dall’epoca con cui la si confronta: in questo caso la scienza rinuncia alla pretesa di totale conoscibilit`a e fonda la sua visione di ignoto. Il principio di indeterminazione, h(∆A)2 ih(∆B)2 i = 1/4|h[A, B]i|2 , mostra che se il risultato dell’operazione di destra e` diverso da zero, e capita, l’incertezza con cui possiamo conoscere A e` inversamente proporzionale a quella con cui possiamo conoscere B. E` solo a posteriori che si pu`o individuare in questa scrittura la controparte analogica dell’indeterminazione, o meglio dell’indeterminatezza, con cui l’inconscio si presenta nelle forme linguistiche della coscienza riformulando l’antico contrasto tra apollineo e dionisiaco nella genesi delle scelte.
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Fa specie notare come contemporaneamente scienza, pittura e psicologia affrontassero il mistero semplicemente accogliendolo in un nuovo linguaggio.
Bibliografia [17] Kubin A. Demoni e visioni notturne. Abs Condita (2004) [18] Scheerbart P. Lesab´endio. Editori Riuniti (1991) [19] AA. VV. L’espressionismo: presenza della pittura in Germania 1900-2000. Electa (2002) [20] AA. VV. Da Goya a De Chirico, da Friederich a Kiefer: l’arte alla scoperta dell’infinito. Cosmos [21] Kubin A. L’altra parte. Adeplhi (1987) [22] Boatto A. Narciso infranto: l’autoritratto moderno da Goya a Warhol. Laterza (1997) [23] Gombrich E.H. Freud e la psicologia dell’arte. Einaudi (2001)
Sull’autore Massimo Margotti (massimomargotti@gmail.com), laureato in Biotecnologie Industriali, accanto all’attivit`a di studio e di ricerca ha lavorato come operatore didattico presso il Museo del Patrimonio industriale di Bologna e partecipato a varie iniziative di Arte e Scienza. Figura 3 – Alfred Kubin, Il Salto Mortale, Collezione privata, Vienna (1902).
RECENSIONI
L’energia del vuoto
C OPERTINA
Non e` facile trovare un romanzo, un giallo per giunta, in cui sia presente moltissima scienza, in particolare molta fisica avanzata. Leggere una storia che con molta naturalezza racconta le difficolt`a di un padre a relazionarsi con il proprio figlio insieme alla gravit`a quantistica a loop e alla teoria delle stringhe. Che riesca a instillare curiosit`a nei confronti della trama e a far passare qualche nozione di teoria quantistica dei campi e di relativit`a generale. Il coraggioso “L’energia del vuoto” di Bruno Arpaia tenta questo azzardo, uscendone sostanzialmente con un pareggio. L’ambientazione principale e` il Cern, in particolare quella vera e propria citt`a che sorge attorno e sopra l’anello dell’LHC. Gli anni in cui si svolge l’azione vanno dall’assemblaggio di ATLAS fino ai primi eventi raccolti al massimo della potenza. L’espediente narrativo con cui la fisica del Modello Standard e la nuova fisica fanno breccia nell’interesse del lettore si chiama Nuria, un’affascinante giornalista spagnola mandata in missione l`ı dove si sta facendo la storia della scienza. Protagonisti assoluti della vicenda sono quelli veri, nella parte di loro stessi: scienziati e scienziate che si affannano per anni attorno a tubi, cavi, lavagne e computer. La vita del Cern e` ricostruita con molta precisione e attenzione: chi non c’`e mai stato potr`a facilmente immaginarla, mentre chi la conosce fin troppo bene non potr`a trattenere un sorriso o un sospiro. Tra i fili della vita dei duemila ricercatori attivi attorno all’LHC si dipana una trama non lineare, asincrona, spezzata, che lancia spesso il sasso, nascondendo la mano. Emilia, Pietro e Nico, Nuria, Marcello, George. . . nomi che si alternano e si rincorrono, su e gi`u per il tempo dell’attivazione dell’acceleratore e lo spazio tra Ginevra, il confine francese, Barcellona, Trieste e Roma. La struttura del romanzo si riflette sulle questioni pi`u fondamentali: la natura quantistica dello spazio-tempo, l’esistenza stessa del tempo, la composizione della materia e dell’energia oscure, la battaglia tra le grandi teorie di gravit`a quantistica, la correttezza del meccanismo di Higgs per la massa delle particelle. In numerose occasioni i profondi perch´e alla base della costruzione dell’LHC emergono alla luce, mostrando con semplicit`a e azzeccate metafore il nucleo del lavoro di migliaia di menti sparse per il mondo. Arpaia e` molto bravo a pennellare i concetti di fondo delle teorie fisiche, senza timore di affrontare temi davvero difficili e avanzati, riuscendo ad appassionare il lettore alla fisica, facendogli quasi dimenticare per un istante la trama principale. Capire il funzionamento dell’LHC e` importante per cogliere lo svolgersi e lo sciogliersi del mistero che sottende la trama, meno forse affrontare le difficolt`a di conciliazione delle varie versioni della teoria delle stringhe. Ma le lezioni di fisica sono utili a immergere il lettore in quel mondo fatato, ma profondamente umano, costituito di attese, riflessioni, idee improvvise, eccitazioni, macchinette del caff`e e turni infiniti di shifter nella control room. Molti concetti e termini sono solo accennati, quasi come a invitare il lettore ad approfondire da s´e, esattamente come Nuria alle prese con libri di divulgazione e pre-print di arXiv: un chiaro riferimento all’interesse sempre pi`u crescente nei confronti dell’Open Access. “L’energia del vuoto” e` in corsa per il premio Strega e recentemente e` stato nominato tra i primi 12 semifinalisti. E` un buon romanzo, che si legge rapidamente grazie a uno stile scorrevole e una lunghezza molto contenuta, anche se non e` perfetto: la parte iniziale che precede la prima svolta e` un po’ lenta e un tantino confusa, alcuni dialoghi tra fisici non sono del tutto credibili, il ruolo di Nuria si perde un po’ nell’ultima fase della vicenda. Credo per`o che i fisici, prima di tutti, dovrebbero dargli un’occhiata, per capire come il loro lavoro e la loro passione appaiano agli occhi di chi per mestiere racconta storie e persone e di come la scienza, anche quella difficile, quella dura, con i suoi protagonisti e le sue difficolt`a, possa essere raccontata a tutti, attraverso un romanzo. Con buona pace degli stringhisti, che, almeno in questo mondo di fantasia, non ci fanno una bellissima figura. Alessio Cimarelli (Studente del Master in Comunicazione della Scienza della SISSA di Trieste)
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I N BREVE Titolo Autore Editore Anno Pagine Prezzo ISBN
L’energia del vuoto Bruno Arpaia Guanda 2011 175 12.00 e 9788860884930
La rivista e` prodotta dal motore di composizione tipografica LATEX. I sorgenti sono sviluppati e mantenuti da Alessio Cimarelli e sono disponibili richiedendoli alla Redazione.
La rivista e` disponibile on-line all’indirizzo http://www. accastampato.it, navigabile sia da computer che da cellulare e scaricabile nei formati PDF ed ePUB.
Impaginazione ed editing: Alessio Cimarelli Copertina e banner: Silvia Mariani