ANDREA BRANZI
La ricerca espressa in questo libro si occupa della produzione dei territori di Andrea Branzi e della sua interpretazione della città come concetto critico. Territori che vengono offerti dalla realtà così che il progetto possa agire e compiersi cognitivamente.
E = mc2 IL PROGETTO NELL’EPOCA ` DELLA RELATIVITA
Ogni passaggio presenta una declinazione antropologica precisa: dal concetto di civiltà merceologica degli anni Sessanta a quella immateriale della metropoli post-industriale, verso un territorio nel quale l’infinitamente piccolo e l’immensamente grande coincidono, al punto da generare ed oltrepassare anche la nostra comune immagine di città.
ANDREA BRANZI E = mc2 IL PROGETTO NELL’EPOCA DELLA RELATIVITÀ A CURA DI
ELISA C. CATTANEO
A CURA DI
ELISA C. CATTANEO
ANDREA BRANZI E = mc2 IL PROGETTO NELL’EPOCA DELLA RELATIVITÀ A CURA DI
ELISA C. CATTANEO
Curatore: Elisa C. Cattaneo Coordinamento editoriale: Elisa C. Cattaneo Ricardo Devesa Sartoria dei contenuti: Elisa C. Cattaneo Layout: Elisa C. Cattaneo Actar Publishers Traduzione: Elisa C. Cattaneo Stephanie Carwin Correzione di testi: Elisa C. Cattaneo Pietro Servalli Debora Vermi Lavoro di archivio: Elisa C. Cattaneo con: Studio Andrea Branzi Francesca Bovalino Daniele Macchi e con Francesca Balena Arista Marco de Santi Chiara Fauda Pichet Finanziamento: Graham Foundation Grant Program
Il completamento di questo progetto non sarebbe stato possibile senza la partecipazione e il contributo dei titolari dei diritti e senza il supporto di Graham Foundation. Esprimo il mio profondo senso di gratitudine a Francesca Bovalino, Daniele Macchi e Francesca Balena Arista, il cui aiuto ha contribuito enormemente allo sviluppo del progetto.
Indice
8 Charles Waldheim: Prefazione
SESSIONE 0 10 Elisa C. Cattaneo: Il sorriso senza gatto 14 Elisa C. Cattaneo: Architettura come fisica teorica 82 Andrea Branzi: E=mc2. Il progetto nell’epoca della Relatività 84 SESSIONE 1 LA CIVILTÀ MERCEOLOGICA IL MOVIMENTO RADICALE E LA STAGIONE DELLE MORTI ANNUNCIATE
86 A. Branzi, La civiltà merceologica
89 SCENARI La fine delle ideologie e la nuova contemporaneità: la critica al Movimento Moderno e il contesto italiano
90 A. Branzi, Il Crepuscolo degli Dei. La frattura con il Movimento Moderno, 2014 91 A. Branzi, Il pensiero negativo e le morti annunciate dell’arte, 2014 92 A. Branzi, Il verismo esistenziale: Microcatastrofi e Operaismo, 2014
94 Archizoom Associati, Dichiarazione al XVII Convegno Internazionale Artisti Critici Studiosi d’arte, Rimini, 1968 95 Archizoom Associati, Relazione del gruppo Archizoom al Convegno Utopia e/o Rivoluzione, In Marcatrè n. 50/55. Architettura e/o Rivoluzione, 1969 99 CONTESTI Firenze e la Scuola fiorentina. Megastrutture urbane e ibridazioni Pop 100 A. Branzi, Firenze, 2014 105 A. Branzi, La Scuola fiorentina, 2014 108 ANTEFATTI Individuazione di quanti di attrezzature per il tempo libero
109 A. Branzi, Luna Park permanente a Prato (Dentro un super-mercato), 1966 110 A. Branzi, Relazione Tesi di Laurea, 1966 134 A. Branzi, “Tempo morto”, in Casabella n. 366, 1972
136 1.1_La SuperArchitettura: 1966 Incursioni Pop e Nuovo Design
138 Archizoom Associati e Superstudio, Superarchitettura, 1966, Mostra Pistoia 140 Archizoom Associati e Superstudio, Superarchitettura, 1967, Mostra Modena 142 A. Branzi, Superarchitettura, 2014
144 1.2 _Il Movimento Radical: Una generazione esagerata
145 DEFINIZIONI: SCRITTI SUL MOVIMENTO RADICAL
146 G. Celant, “Untitled”, in Domus n. 496, 1971 148 A. Mendini, “Radical Design”, in Casabella n. 367, 1972 150 C. Jencks, “The Supersensualists”, in AD n. 1, 1972
3
Indice
158 161 165 168 170 175 181 189 196 203 204
A. Isozaki, “The Hot House. Italian New Wave Design”, MIT press, 1984 “Archizoom”, in L’architecture d’aujourd’hui n. 145, 1969 A. Branzi, Una generazione esagerata, 2014 TEORIE: SAGGI RADICALI Archizoom Associati, “Architettonicamente”, in Casabella n. 334, 1969 A. Branzi, Introduzione al libro Architettura Radicale, a cura di Paola Navone e Bruno Orlandoni, Casabella, 1974 A. Branzi, “L’Africa è vicina. Il ruolo dell’avanguardia”, in Casabella n. 362, 1972 A. Branzi, “La Gioconda Sbarbata. Il ruolo dell’avanguardia”, in Casabella n. 364, 1972 A. Branzi, “Abitare è facile. Il ruolo dell’avanguardia”, in Casabella n. 365, 1972 A. Branzi, “Crisi e protesi culturali”, in Casabella n. 385, 1984 A. Branzi, “Radical Architecture. Il rifiuto del ruolo disciplinare”, in Casabella n. 386, 1974
206 APPARATI: PER UNA CREATIVITÀ DIFFUSA
211 1.3_Prototipi di dissoluzione. Il pensiero negativo
207 A. Branzi, “Tecnologia o Eutanasia”, Global Tools, in Casabella n. 397, 1976 210 A. Branzi, “Compiti a casa. Ricordando Pasolini”, in Casabella n. 409, 1976
212 A_LA DISSOLUZIONE DELL’ARCHITETTURA FOTOMONTAGGI URBANI E DISCORSI PER IMMAGINI 214 Archizoom Associati, “Discorsi per Immagini”, in Domus n. 481, 1969 219 B_LA LIQUEFAZIONE DELL’OGGETTO COMPONENTI SITUAZIONISTE 220 Archizoom Associati, “La distruzione degli oggetti”, in IN n. 2-3, 1971 229 233 242
C_L’ELIMINAZIONE DELLA CITTÀ LIBERAZIONE DELL’HABITAT Archizoom Associati, “Distruzione e riappropriazione della città”, in IN n. 5, 1972 Archizoom Associati, “La città amorale”, in IN n. 7, 1972
245 246
D_CAMPO NEUTRO - SUPERFICIE NEUTRA PIANI REATTIVI E PAESAGGIO ARTIFICIALE Archizoom Associati, “L’invenzione della superficie neutra”, in Elementi: quaderni di studi, notizie, ricerche, Abet Laminati, 1973
250 253
E_AMBIENTI GRIGI E. Ambasz, Comunicato stampa Italy: The New Domestic Landscape. Achievements and Problems of Italian Design, The Museum of Modern Art, NY, 1972
257 G. Celant, “Sono partiti per New York”, in Domus n. 510, 1972
258 Archizoom Associati, “Italy: The New Domestic Landscape” in E. Ambasz, Italy: The New Domestic Landscape. Achievements and Problems of Italian Design, The Museum of Modern Art, NY, con Centro Di, Firenze, 1972
267 1.4_Microenvironments e Nuovo Design
268 273 278 279 281 288 289
Archizoom Associati, “Le stanze vuote e i gazebo”, in Pianeta Fresco n. 1, 1967 Archizoom Associati, “Teatro Impossibile”, in Pianeta Fresco n. 2-3, 1968 Archizoom Associati, “Il Centro di Cospirazione Eclettica”, in Domus n. 466, 1968 Archizoom Associati, “Il Pollo di Marmo”, in Casabella n. 325, 1968 E. Sottsass jr., “Gli Archizoom”, in Domus n. 455, 1967 Archizoom Associati, “Dressing Design”, in IN n. 8, 1972 Archizoom Associati, “Vestirsi è facile”, in Casabella n. 384, 1973
292
SESSIONE 2 NO-STOP CITY LA CITTÀ INFINITA IPOTESI DI LINGUAGGIO NON FIGURATIVO
293 A. Branzi, No-Stop City, 2014
Immagini: 295 Archizoom Associati, Diagramma abitativo omogeneo. Ipotesi di linguaggio architettonico non figurativo, 1970 299 Archizoom Associati, No-Stop City, Schema di montaggio di abitazioni temporanee, 1971 300 Archizoom Associati, No-Stop City, Città non discontinua e omogenea (o città futura), 1970 301 Archizoom Associati, No-Stop City, Modello, 1969 302 Manifesti 303 Archizoom Associati, “Città catena di montaggio del sociale, ideologia e teoria della metropoli”, in Casabella n. 350-51, 1970
313 Archizoom Associati, “Utopia della qualità, utopia della quantità”, in IN n. 1, 1971 314 Precendenti: Archizoom Associati, Fortezza da Basso Concorso, 1968
315 Archizoom Associati, “No-Stop City. Residential Parkings Climatic Universal System” in Domus n. 496, 1971
322 A. Branzi, ”No-Stop City”, in No-Stop City, Hyx, 2006
328 Post: Archizoom Associati, Progetto di concorso per l’Università di Firenze, in Domus n. 509, 1972
331 Radical Notes (Casabella 1972-1976)
332 333 334 335 336 337 338 339 340 341 342 343 345 346 347 348 349 350 351 352 353 354 355 356 357 358 359
n. 1, “Strategia dei tempi lunghi”, in Casabella n. 370, 1972 n. 2, “Il sogno del villaggio”, in Casabella n. 371, 1972 n. 3, “Pubblicazioni sulle avanguardie”, in Casabella n. 372, 1972 n. 4, “L’abolizione della Scuola”, in Casabella n. 373, 1973 n. 5, “Rock and Revolution”, in Casabella n. 374, 1973 n. 6, “La strada di Eindhoven”, in Casabella n. 376, 1973 n. 7, “Global Tools”, in Casabella n. 377, 1973 n. 8, “Elite e creatività di massa”, in Casabella n. 378, 1973 n. 9, “Piccolo, medio, grande”, in Casabella n. 379, 1973 n. 10, “Eccettuato il puro deserto”, in Casabella n. 380-381, 1973 n. 11, “Sporco e Pulito”, in Casabella n. 382, 1973 n. 12, “Si scopron le tombe”, in Casabella n. 383, 1973 n. 13, “Tecnica povera”, in Casabella n. 385, 1974 n. 14, “Alpinismo e Existenz Maximum”, in Casabella n. 388, 1974 n. 15, “Avanguardie e Fascismo”, in Casabella n. 389, 1974 n. 16, “Un plastico d’oro”, in Casabella n. 390, 1974 n. 17, “Louis Kahn Superstar”, in Casabella n. 391, 1974 n. 18, “Il ruolo della retro-guardia”, in Casabella n. 392-393, 1974 n. 19, “Apollo e Dioniso a Gallarate”, in Casabella n. 395, 1974 n. 20, “Architettura e modestia”, in Casabella n. 396, 1974 n. 21, “Architettura e libertà”, in Casabella n. 399, 1975 n. 22, “Design e culture minoritarie”, in Casabella n. 401, 1975 n. 23, “Urbanistica e Ordine (pubblico)”, in Casabella n. 402, 1975 n. 24, “La grande frenata”, in Casabella n. 403, 1975 n. 25, “Architettura e sesso”, in Casabella n. 407, 1975 n. 26, “Il sospetto”, in Casabella n. 411, 1976 n. 27, “Movimento Moderno?”, in Casabella n. 412, 1976
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Indice
360 SESSIONE 3 LA METROPOLI DEBOLE E DIFFUSA DELLA SECONDA MODERNITÀ
361 A. Branzi, Per un’Architettura Non Figurativa, 2006
364 A. Branzi, Dalla No-Stop City al Concetto di Infinito: La Città senza Architettura, 2016
366 3.1_Scenari della Seconda Modernità
367 369 370 371 373
A. Branzi, Un Secolo Forte, 2006 A. Branzi, Il Pensiero Fuzzy, 2006 A. Branzi, Una Modernità Liquida, 2006 A. Branzi, L’Uomo senza Quantità, 2006 A. Branzi, Tempo e Rete, 2006
374 3.2_Teorie di Urbanizzazione Debole
375 379 382 384 385
386 3.3_Definizioni: Le Metropoli Teoriche
387 395 396 397 399
401 3.4_Prototipi di Urbanizzazione Debole. La Metropoli Simbiotica
402 A. Branzi, Modelli di Urbanizzazione Debole, 2006
403 A_LA METROPOLI GENETICA
A. Branzi, Crisi dell Qualità,Crisi della Quantità e Spazio Relazionale, 1996 A. Branzi, I Territori dell’Immaginario, 1988 A. Branzi, Una Classicità Elastica, 2006 A. Branzi, Architectural Link, 2006 A. Branzi, Città senza Architettura, 2006
A. Branzi, La Genesi Latina delle Metropoli Teoriche, 1999 A. Branzi, La Metropoli Meccanica, 1990 A. Branzi, La Metropoli Omogenea, 1990 A. Branzi, La Metropoli Ibrida, 1988 A. Branzi, La Metropoli Fredda, 1990
404 A. Branzi, Metropoli Genetica, 2006
406 A. Branzi, Genetic Tales, 1998 406 A. Branzi, Introduzione, Genetic Tales, 1998
407 B_LA METROPOLI COME SECONDA NATURA
408 A. Branzi, The Solid Side: Agronica, 1995
411 A. Branzi, D. Donegani, A. Petrillo, C. Raimondo con T. B. David Agronica, La Metropoli Simbiotica, Domus Academy, 1995
414 A. Branzi, Tre Teoremi per un’Ecologia del Mondo Artificiale, 1990 416 A. Branzi, I. Rota, R. con E. Bouroullec, Parco Virgiliano, 2004
418 A. Branzi, Architettura e Agricoltura, 2006 419 A. Branzi, Un’Ecologia dell’Artificiale, 1988
421 A. Branzi, Bosco di Architettura, 2016
424 A. Branzi, Architettura e Agricoltura, 2005 426 A. Branzi, Agricoltura residenziale, 2007
428 C_LA METROPOLI REVERSIBILE
429 430 432 434
436 D_LA METROPOLI SENSORIALE
437 438 440 442
A. Branzi, Urbanesimo Reversibile, 2016 A. Branzi, Strade leggere, 2010 A. Branzi, Cielo e Terra, 2010 A. Branzi con E. Bartolini e L. Lani, Favela High-Tech, 2000
A. Branzi, La Rivoluzione Sensoriale, 2006 A. Branzi, Cattedrale Sensoriale, 1992 A. Branzi, Territorio Enzimatico, 2006 A. Branzi, Modelli di Urbanizzazione Umida, 2008
444 E_LA METROPOLI MERCEOLOGICA
445 A. Branzi, Cose e Case, 1988 450 A. Branzi, La Metropoli Merceologica (o Città reale), 2010
454 F_LA METROPOLI DEL LAVORO LIQUIDO
455 A. Branzi, I Luoghi del Lavoro Continuo, 1994 456 A. Branzi, Modelli di Corporate Identity, 1992
458 Nuove Forme di Impresa, 2006 460 A. Branzi, Lavoro continuo, 1994 462 A. Branzi, Continuous Garden, 2010
464 G_LA METROPOLI DELL’ARTE
465 A. Branzi, La Metropoli dell’Arte, 2016 466 A. Branzi, Metropoli dell’Arte, 1989
477 477 478 480
SESSIONE 4 TERRITORI PER UNA NUOVA DRAMMATURGIA URBANA A. Branzi, Interno Rupestre, 2015 A. Branzi, Il XXI Secolo e la Nuova Drammaturgia Urbana, 2014 4.1_La Metropoli Primitiva
480 A. Branzi, Pietre e Sassi, 2008 481 A. Branzi, La Metropoli Primitiva, 2014
484 A. Branzi, Campo Sacro, 2012-2013 485 A. Branzi, I Primitivi Siamo Noi, 1985 486 A. Branzi, Casa Madre. Modello di co-housing integrale, 2016 486 A. Branzi, Fondamentalismi, 2016 489 A. Branzi, Collezione Dolmen, 2013-2014
502 A. Branzi, Casa Madre, 2008 504 A. Branzi, Solid Dreams, 2014
515 A. Branzi, L’Arte come Religione Rivelata, 2008 516 A. Branzi, Chiesa Nera, 2014
517 A. Branzi, La Fine dell’Eurocentrismo, 2013 518 A. Branzi, Unitè tempestosa, 2014
520 A. Branzi, Neo Preistoria, XXI Triennale di Milano, 2016 521 A. Branzi, La Neo Preistoria: Cento Verbi, 2016
528 4.2_Dieci modesti consigli per una nuova Carta d’Atene
528 A. Branzi, A. Rui, Una nuova Carta d’Atene, 2014 532 A. Branzi, Dieci modesti consigli per una nuova Carta d’Atene, 2009
534 A. Branzi, Una Società senza Progetto, 2017
538 Contributi Critici 539 A. Branzi, Autobiografia probabile, 2017
548 P. V. Aureli, Un designer nell’età del tardo capitalismo. Note per una storia di Andrea Branzi 556 R. Merotra, F. Vera, L’ephemeral urbanism e le città deboli di Andrea Branzi 560 P. Ranzo, Il design come messa in scena. Teorie e opere di Andrea Branzi
Apparati 565 Andrea Branzi: Regesto delle principali opere 574 Crediti
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Indice
Prefazione di Charles Waldheim “[…] è il territorio a divenire protagonista privilegiato dell'economia postindustriale, come luogo di elaborazione delle energie deboli e diffuse di una produttività pulviscolare, che bene risponde alla realtà pulviscolare e cangiante dei mercati”. Andrea Branzi, 20061 Andrea Branzi è tra gli urbanisti più provocatori e preveggenti della nostra epoca. Il suo lavoro offre una rara linea di continuità che inizia dalla neo-avanguardia degli anni ‘60 e giunge ai nostri attuali interessi verso l’urbanesimo ecologico e l’urbanizzazione planetaria: i suoi progetti e i suoi testi offrono infatti previsioni feconde, anticipando gli attuali dibattiti sulla ricerca del progetto urbano. Negli ultimi cinquant’anni, Branzi ha costantemente e tempestivamente ideato progetti che sembrano riassumere, in una o due immagini o in poche centinaia di parole, il potenziale e i parametri che descrivono i nostri dilemmi culturali verso la città. Anticipando le nostre attuali preoccupazioni per l’ecologia, la geografia, il territorio e la campagna, nella sua pubblicazione del 2006 intitolata Modernità debole e diffusa, la sua prosa esatta descrive come la logica del capitale postindustriale renda il retroterra agricolo, un tempo marginale, un valore oggi centrale, il “protagonista privilegiato” dell’era postindustriale: prendendo in considerazione la produzione polverizzata dell’economia postindustriale – diffusa in terreni coltivabili – Branzi conferma un interesse di lunga data per un’urbanizzazione “debole”, della quale articola il potenziale attraverso progetti, fotografie e testi nell’ultimo quarto di secolo, ancorandosi parzialmente al concetto di pensiero debole di Gianni Vattimo e alla lettura dell’economia politica postmoderna2.
1. Andrea Branzi, Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo, Milano, Skira, 2006, p. 114. 2. Gianni Vattimo, Pier Aldo Rovatti. Il Pensiero Debole, Milano, Feltrinelli, 1983.
Nell’ultimo mezzo secolo, Branzi è stato straordinariamente coerente nel suo impegno per l’autonomia del progetto urbano a sostegno di un urbanesimo radicalmente “non figurativo”, espresso attraverso vari strumenti e modalità progettuali, ma sempre indelebilmente leggibile. Questo suo impegno per un progetto urbano non figurativo lo lega ad una lunga tradizione di urbanisti progressisti, i cui progetti urbani alternativi occupavano una posizione di autonomia culturale, come forma di resistenza alle condizioni sociali e all’economia politica della città contemporanea. Questa modalità di lavoro sull’urbano, che inizia da Ludwig Hilberseimer da un lato, attraversa la ricerca di Branzi e, più recentemente, si connette a quella di Pier Vittorio Aureli dall’altro: l’eccellente saggio in questo volume amplia questa genealogia minore e offre uno sguardo significativo sulle varie modalità con le quali Branzi si esprime nell’ultimo mezzo secolo. Nato e formatosi a Firenze, Branzi ebbe la propria formazione intellettuale all’interno dei contesti politici e culturali degli anni ‘60, coinvolgendo le questioni del lavoro operaio e di classe. La sua maturazione architettonica fu infatti consapevole e rappresentativa del milieu culturale degli scioperi studenteschi e delle occupazioni a sostegno del movimento dell’“Operaismo”. I suoi primi progetti in questo contesto contribuirono alla formulazione della “architettura radicale” fiorentina. Il suo lavoro ha costantemente descritto i meccanismi contemporanei di urbanizzazione e ha riprodotto i loro modi e metodi dominanti, ad absurdum, e i suoi progetti urbani assumono lo status culturale di un’architettura che considera l’autonomia del progetto come mezzo di critica culturale e politica. Iniziando con il suo contributo alla corale No-Stop City (1968-71) mezzo secolo fa e continuando con lo sviluppo di Agronica (1993-94) un quarto di secolo fa, Branzi ha coerentemente articolato le condizioni sottotraccia che determinano i processi di urbanizzazione, generando attraverso questo pensiero un cambiamento retorico dalla fabbrica alla fattoria, come metafora dei meccanismi alla base dell’economia politica contemporanea e dei suoi modelli di urbanizzazione. A questo proposito, i progetti di Branzi hanno presagito efficacemente il passaggio della teoria architettonica dall’architettura all’ambiente e dalla figura al campo: considerata questa traiettoria storica e la sua costante rilevanza per la cultura contemporanea, possiamo aspettarci che questa pubblicazione contribuisca alla nostra comprensione del progetto della città e alla specifica formulazione che Branzi propone. 9
Prefazione di Charles Waldheim
IL SORRISO SENZA GATTO di Elisa C. Cattaneo
Andrea Branzi è, all’interno della cultura architettonica internazionale, la personalità che più di altri è stata in grado di generare continui cortocircuiti di significato, e quindi di forma, nel mondo del progetto. Rigenerando in continuazione il senso della disciplina, e pertanto le cose della disciplina, la sua produzione si potrebbe definire un’operazione di continua rifondazione, in cui i progetti sono tutti prototipi, esperimenti, oggetti genetici con il potere di prefigurazione e di anticipazione. Come un fisico teorico, Branzi produce teoremi architettonici, che hanno un valore cognitivo prima che disciplinare e che si configurano come esplorazioni piuttosto che operazioni speculative. Come esperimenti prima che risoluzioni applicate. La specificità del suo linguaggio, che sintetizza sia la dissoluzione del noto disciplinare sia la sua rifondazione, schiva sempre la rappresentazione diretta del soggetto del progetto. Nella città dissolve l’architettura, nel design evita la funzione: è quindi una ricerca senza centro, come quella inaugurata da Ilya Prigogine sui sistemi periferici della fisica teorica.
Lontano dal trionfalismo esibizionista dell’architettura contemporanea, per Branzi la coincidenza tra reale e pensiero sul reale è totale ed il pensiero del progetto è progetto in sé, al punto che ogni passaggio progettuale diventa una formulazione di una teoria. Prassi che esercita producendo, in parallelo, scritti ed opere, equazioni teoriche e disegni, come elementi inscindibili per la formulazione della sua poetica. Lo spirito investigativo che lo caratterizza fonda nell’estetico una pratica conoscitiva che, per via teoretica, lo porta a slittare dall’arte alla gnoseologia verso una teoria della conoscenza autentica nella quale il progetto procede sempre alla ricerca del proprio compito, secondo un metodo in grado di sopravvivere anche all’assenza della pratica dell’architettura e dell’architettura in sé, intesa in senso comune ed edificatorio. Piuttosto, la trasforma in una vera scienza dello spazio, non riducendola ad una dottrina delle forme e delle variabili possibili. La continua ricerca di nuovi fondamenti coincide con la definizione di teorie universali, ma non secondo un metodo di sola rifondazione
disciplinare, piuttosto di continua rifondazione antropologica, che avanza interrogandosi rigorosamente sempre sui problemi del conoscere trasformando il progetto in una pratica ampia e cognitiva. Questo metodo non è fondato sul continuismo concettuale e/o nominale delle cose dell’architettura, piuttosto, avvicinandosi alla rottura epistemologica di Bachelard, si innesta nelle discontinuità concettuali che non inquadrano il progetto come strumento correttivo e di perpetuazione rispetto alla storia e alla stessa disciplina, della quale Branzi non tenta alcuna sopravvivenza. Il suo metodo intravede piuttosto nel modo di interpretare il problema del reale il vero spirito scientifico, incentrandosi sui limiti epistemologici dell’interpretazione del reale, e non su quelli fattuali, eliminando il carattere apodittico di ogni concetto a-priori. In questa luce si rafforza la sua “teoria del negativo” che, come in relazione alle rotture effettuate nel passaggio verso una fisica non newtoniana, o verso una geometria non euclidea, lo porta ad una architettura che si nega sia come forma sia come presupposto, ridefinendola piuttosto quale processo di immaginazione dell’impensato spaziale: mettendo in discussione l’anteriorità dell’architettura, la sua genesi ed origine, ne ridiscute necessariamente i caratteri endogeni, che trovano il proprio punto d’appoggio proprio su nuove origini immaginative. Ma non c’è paradigma in Branzi, piuttosto un procedere secondo quell’“effetto di superficie” deleuziano in grado di esplorare nuove realtà antropologiche momentanee attraverso la forma. Questo suo sentire in termini universali lo colloca in un piano che relativizza le condizioni storicocontestuali nelle quali lavora e che lo portano a giocare sempre d’anticipo con esse: il processo de-territorializzante dell’immagine acquisisce di fatto una forza universale e anticipatrice, tale da perdere le ragioni che determinano il progetto, verso un’anicografia nuova. Per questo, è possibile parlare del suo lavoro come tautologicamente immaginativo.
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Il sorriso senza gatto di Elisa C. Cattaneo
La ricerca svolta in questo libro si occupa esclusivamente della produzione dei “territori” di Branzi e della sua interpretazione di città, e intercetta necessariamente determinate questioni relative all’oggetto di design, senza che quest’ultimo venga approfondito. Territori che non possono essere intesi elementarmente secondo condizioni scalari, ma secondo categorie concettuali, ossia attraverso spazi che vengono offerti dalla realtà così che il progetto possa agire e compiersi cognitivamente: in questo senso, la città è proposta come un concetto critico sia del reale che che dell’immaginario progettuale, in grado di oltrepassare la sua stessa immagine, scala e forma. Il legame che si è tentato di mettere a fuoco, è quindi quello – sempre presente – tra una definizione di società (o civiltà) e una spaziale (città), che tuttavia nel processo di “astrazione” acquisisce un valore di assoluta originalità e indipendenza dalle proprie ragioni, diventando un puro concetto estetico. E questo estetico è concetto teorico/progettuale con valore universale e rifondativo. Un principio di universalizzazione nella de-territorializzazione quindi, che sempre sottende l’opera di Branzi e che schiaccia anche il tempo del progetto in un momento simultaneo. Ogni capitolo seleziona i principali progetti di una produzione vastissima, iconografica e testuale, che si radicano in una declinazione antropologica precisa: dal concetto di civiltà merceologica a quella immateriale debole e diffusa; dal concetto di metropoli a quello di territorio antropologico, nel quale l’infinitamente piccolo e l’immensamente grande coincidono al punto da generare ed oltrepassare anche il nostro comune concetto di città. Gli oggetti diventano uno spazio concavo, immersivo e ampissimo, trasportandoci nell’infinitamente grande, verso una profondità universale. Come “pensiero dell’universo”1, essi entrano nello spessore oscuro del mondo e, decifrandolo, rifondano il pensato concettuale e spaziale della città, con la quale hanno un legame di propria sostituzione.
I progetti presentati racchiudono la sua ricerca a partire dalle prime fasi, fondate sulla crisi dell’unità disciplinare, sull’ampiezza del concetto di progetto, sul ripensamento delle sue categorie, in cui la realtà, liberata da ideologie e simboli, è privata di ogni connotazione metafisica e metaforica, ed è interpretata piuttosto secondo un principio di discontinuità rispetto a quello d’ordine, lasciando intravedere il pensiero negativo cacciariano. In questa prima parte della sua produzione, legata al gruppo Archizoom del quale è fondatore nel 1966 con Gilberto Corretti, Paolo Deganello, Massimo Morozzi, (movimento cruciale del Radical Design così come coniato da Germano Celant nel 1971), Branzi avanza nella critica ai sistemi esatti del Movimento Moderno e, incubati nella logica Pop, i suoi primi lavori mantengono sullo sfondo una visione critica alle ideologie sistematizzanti. Con la No-Stop City, annulla definitivamente l’architettura come medium determinante per la costruzione dello spazio urbano, ed elimina la figuratività come necessaria per la formulazione del progetto di architettura. Sovvertendo le categorie tipiche della città, ipotizza uno spazio senza alcun elemento distintivo, ma cibernetico e catatonico, totalmente altro rispetto alla tradizione storico-geografica della città europea, avvicinandolo piuttosto ad uno spazio potenziale e seriale coeso alle serigrafie di Warhol. Tendendo al grado zero della scrittura urbana, lavora nuove formulazioni nel glossario del progetto, quali spazio neutro, superficie neutra, ambienti grigi, ossia piani potenziali in grado di ospitare la creatività individuale dell’uomo e accogliere i nuovi soggetti che si affacciano nella società dei consumi: le merci. Lavorando continuativamente sul tema della città, anche nelle metropoli teoriche sviluppate negli anni Ottanta e Novanta – quali Agronica e La Metropoli Merceologica, radicate nelle nuove logiche fuzzy e nella liquidità baumanniana – Branzi rappresenta il nuovo stato di una metropoli debole e diffusa: reversibile, evolutiva, provvisoria, instabile, corrispondente ad una società fluida, non metafisica e post-ontologica, nella quale la metropoli è un giacimento genetico di informazioni
e di oggetti. Sono solo quest’ultimi infatti a diventare il collante tra le parti dell’urbano: la sua produzione genera il paradosso di costruire spazi senza consequenzialità scalare, passando dalla scala XS dell’oggetto a quella XL del territorio, eliminando il ruolo storico dell’architettura come mediatrice. Già nelle prime elaborazioni di Memphis ed Alchimia e nella proficua atmosfera generatasi dalla collaborazione con Ettore Sottsass, nelle opere di design dà compiutezza al proprio progetto teorico trasformando il generico (la merce) in un prodotto sublime, in cui l’oggetto iper-domestico e iper-connotato diventerà il nuovo soggetto di una città senza architettura: la dissoluzione dei confini disciplinari lascia spazio ad un design nel quale la de-specializzazione comporta una voluta ibridazione dei contenuti, continue sovrapposizioni etimologiche, realizzando un contro-design come manifestazione di un altro modo di pensare al prodotto d’uso e che sdogana definitivamente la relazione forma-funzione-ergonomia, liberando una nuova forza progettuale che rappresenta il massimo espressionismo della vita quotidiana. Questa sua opera di sovvertimento viene finalizzata anche nell’insegnamento: nel 1982 fonda la Domus Academy, la prima scuola postlaurea di design, che riformula il concetto di didattica attraverso la liberazione della creatività del soggetto-allievo, definendo così una disciplina del progetto che fuoriesce dalla produzione di massa e fa nascere una nuova idea di artigianato colto e d’élite. La produzione successiva, chiaramente intersecata con la filosofia post-strutturalista francese – in particolare quella deleuziana e foucaultiana – si inoltra in ibridazioni che aprono non solo nuovi rapporti tra gli opposti, ma innescano processi di sovrapposizione e contaminazione di tempi e forme. Con Grandi Legni (2008), cambia la scala dell’oggetto del design, che diventa un’istallazione ampia e animista come i temi antropologici ed esistenziali rappresentati, accavallando i demoni dell’antichità e miti della contemporaneità. Si affacciano composizioni più oniriche e complesse, meta-razionali, espresse compiutamente nei Solid Dreams (2014), nei quali gli oggetti diventano
iconografie monumentali che si relazionano con elementi della banalità del quotidiano, fondendo sublime e ordinario verso una nuova idea di “sacralizzazione” del design come nume tutelare, in grado di rifondare il nostro concetto di spazio: in una nuova coincidenza, l’oggetto diventa l’ologramma di un “tutto” antropologico che oltrepassa il nostro limite definitorio di città.
Anticipati dalla Metropoli Primitiva, l’eterogeneo e l’impossibile di Borges coincidono in Branzi, tanto che anche il tempo diventa dimensione ellittica e non lineare, nel quale l’uomo vive in un’unica “realtà integrata di natura, artificio, riti, miti, tecnologie, merci, narrazioni”. E, con il tempo, scardina la nostra idea di immagine, di forma, di rappresentazione, di scala.
Questo nuovo espressionismo trova atto nelle ricerche in corso, che rimandano ad una nuova drammaturgia del soggetto, nella sua battaglia tra tragedia e normalità. Le recenti opere di Branzi, come per Quintiliano giocate sulla retorica e sul continuo slittamento di senso, permettono nuove figurazioni della “catarsi negativa” dell’uomo contemporaneo e dei suoi spazi dove il filtro dell’architettura diventa, come nei Dolmen, una parete trasparente solo delineante un interno, inteso come interno del pensiero prima che come spazio. Sono nuovi estremismi quindi, fondamentalismi che generano – così come Foucault aveva anticipato nell’introduzione a Le parole e le cose in relazione a Borges nell’Enciclopedia degli esseri immaginari – un nuovo vocabolario di cui la tassonomia appartiene a più futuri anteriori: eventi già realizzati in un tempo non ancora accaduto.
Recentemente, Branzi inaugura quindi un progetto neo-primitivo attraverso la produzione di luoghi nuovamente archetipici e sovra-storici, scavallando il tempo in tutte le sue dimensioni canoniche, realizzando l’Aion deleuziano: senza fine e sovrapposto, compie la paradossale frase di Nabokov: “il futuro ha senso solo alla rovescia”.
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Il sorriso senza gatto di Elisa C. Cattaneo
La sua produzione, in continuo cortocircuito rispetto ai meccanismi tipici dell’architettura e che non rappresenta mai il soggetto del progetto, realizza quello che sempre Deleuze aveva già auspicato nella Logica del Senso: la necessità di eliminare l’oggetto specifico della designazione. E, come Deleuze spiega per Carroll, Branzi realizza il “sorriso senza gatto” in ambito architettonico. Il designato di un’altra designazione che non ha senso rappresentare attraverso una fenomenologia trasparente. Ma solo attraverso il potere falsificatorio dello specchio.
E = mc2
Il progetto nell’epoca della Relatività
Questa formula, elaborata da Albert Einstein nel 1915, costituisce, nella maniera più semplice ed elegante, la definizione della Teoria della Relatività Generale, un capolavoro destinato a cambiare per sempre la nostra conoscenza del mondo. Energia = massa per velocità della luce (al quadrato) supera la concezione immobile dello spazio di Newton, per sostituirla con una visione dinamica di uno spazio che si flette, si incurva, si storce. E con esso la luce e il tempo. Per noi che non siamo degli scienziati e non studiamo la fisica ma la cultura del progetto, è l’occasione per trarre alcune considerazioni importanti. La prima, e forse la più importante, consiste nel fatto che il progetto territoriale, l’architettura e il design non sono discipline separate e antagoniste, ma l’espressione di un’unica forza dinamica, costituita dall’energia di trasformazione del mondo così come esso si presenta. Ciò significa che il progetto di un oggetto domestico non è che la dimensione molecolare di questa energia e come tale concorre a modificare lo spazio del mondo. La seconda considerazione deriva dalla totale assenza di una unicità delle tendenze e delle modalità del progetto: non esiste “la teoria del progetto” ma un numero infinito di teorie, ognuna delle quali ha pieno diritto di esistere. Il fisico Carlo Rovelli fa a questo proposito un esempio molto calzante: due ebrei discutono su una questione e non trovando un accordo decidono di rivolgersi al Rabbino. Il Rabbino ascolta le ragioni del primo e conclude “Hai ragione”. Ascolta quindi le ragioni del secondo e conclude “Hai ragione”. La moglie del
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Rabbino, che in cucina ascoltava la loro conversazione, interviene dicendo “Non puoi dare ragione a tutti e due”. Il Rabbino conclude “Anche tu hai ragione”. Analogamente qualsiasi posizione teorica non può escludere le altre, perché non esiste una verità unica, ma una infinita declinazione di progetti diversi. Per questo motivo nel mondo non esistono due città uguali, due architetture uguali, due manufatti uguali tra di loro. Il mondo materiale è dunque costituito da uno spazio infinito, fluido, privo di perimetro perché privo di un fondamento unico; il tempo non è più costituito da un presente, un passato e un futuro, ma da una materia che si flette, attratta dalla massa del pensiero. Al contrario di ciò che la Modernità e i suoi dogmi ci hanno insegnato, il Principio della Relatività Generale non è estraneo al mondo del progetto, ma ne è una dimostrazione più chiara, un derivato quotidiano sul quale si basa l’energia infinita di una trasformazione dell’universo materiale. Occorre considerare tutte insieme, e non una alla volta, le azioni del progetto, come un fenomeno legato alla teoria della Fisica e non alla Composizione formale, allo stile o alla tecnica. Soltanto allora riusciremo a capire la Relatività delle nostre azioni, il nostro essere parte del mondo materiale e non soltanto della disciplina…
Andrea Branzi
83 E = mc2 Il progetto nell’epoca della Relatività
SESSIONE 1
LA CIVILTÀ MERCEOLOGICA
IL MOVIMENTO RADICALE E LA STAGIONE DELLE MORTI ANNUNCIATE
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A. Branzi, La civiltà merceologica, 2016 #_scenari: La fine delle ideologie e la nuova contemporaneità: la critica al Movimento Moderno e il contesto italiano. A. Branzi, Il Crepuscolo degli Dei. La frattura con il Movimento Moderno, 2014 A. Branzi, Il pensiero negativo e le morti annunciate dell’arte, 2014 A. Branzi, Il verismo esistenziale: Microcatastrofi e Operaismo, 2014 Archizoom Associati, Dichiarazione al XVII Convegno Internazionale Artisti Critici Studiosi d’arte, Rimini, 1968 #_contesti: Firenze e la Scuola fiorentina. Megastrutture urbane e ibridazioni Pop A. Branzi, Firenze, 2014 A. Branzi, La Scuola fiorentina, 2014 #_antefatti: Individuazione di quanti di attrezzature per il tempo libero A. Branzi, Tesi di Laurea Free-time Facilities a Prato, 1966 A. Branzi, Relazione Tesi di Laurea, 1966 A. Branzi, “Luna Park permanente a Prato. Tempo morto”, in Casabella 366, 1972 1.1: La SuperArchitettura: 1966. Incursioni Pop e Nuovo Design Archizoom Associati e Superstudio, Superarchitettura, 1966, Mostra Pistoia Archizoom Associati e Superstudio, Superarchitettura, 1967, Mostra Modena A. Branzi, Superarchitettura, 2014 1.2: Il Movimento Radical: Una generazione esagerata #_Definizioni: Scritti sul Movimento Radical G. Celant, “Untitled”, in Domus n. 496, 1971 A. Mendini, “Radical Design”, in Casabella 367, 1972 C. Jencks, “Supersensualist”, in AD n. 1, 1972 A. Isozaki, “The Hot House. Italian New Wave Design”, the MIT press, 1984 “Archizoom”, in L’architecture d’aujourd’hui n. 145, 1969 A. Branzi, Una generazione esagerata, 2014 #_ Teorie: Saggi Radicali Archizoom Associati, “Architettonicamente”, in Casabella n. 334, 1969 A. Branzi, Introduzione al libro Architettura Radicale, a cura di Paola Navone e Bruno Orlandoni, Casabella, 1974 A. Branzi,“L’Africa è vicina. Il ruolo dell’avanguardia”, in Casabella n. 362, 1972 A. Branzi,“La Gioconda Sbarbata. Il ruolo dell’avanguardia”, in Casabella n. 364, 1972 A. Branzi,“Abitare è facile. Il ruolo dell’avanguardia”, in Casabella n. 365, 1972 A. Branzi,“Crisi e protesi culturali”, in Casabella n. 385, 1984 A. Branzi, “Radical Architecture. Il rifiuto del ruolo disciplinare”, in Casabella n. 386, 1974 #_Apparati: Per una creatività diffusa A. Branzi, “Tecnologia o Eutanasia”, Global Tools, in Casabella n. 397, 1976 A. Branzi, “Compiti a Casa. Ricordare Pasolini”, in Casabella n. 409, 1976 1.3: Prototipi di dissoluzione. Il pensiero negativo
A: B: C: D: E:
La dissoluzione dell’Architettura. Fotomontaggi urbani e Discorsi per immagini La liquefazione dell’oggetto. Componenti situazioniste L’eliminazione della città. Liberazione dell’habitat Campo neutro - Superficie neutra. Piani reattivi e Paesaggio artificiale Ambienti Grigi
1.4: Microenvironments e Nuovo Design
Archizoom Associati, “Le stanze vuote e i gazebo”, in Pianeta Fresco n. 1, 1967 Archizoom Associati, “Teatro Impossibile”, in Pianeta Fresco n. 2-3, 1968 Archizoom Associati, “Il Centro di Cospirazione Eclettica”, in Domus n. 466, 1968 Archizoom Associati, “Il Pollo di Marmo”, documento inedito per il testo in Casabella n. 325, 1968 Archizoom Associati, “Vestirsi è facile”, in Casabella n. 384, 1973 E. Sottsass jr., “Gli Archizoom”, in Domus n. 455, 1967
#_Apparati: Radical Vs Tendenza: Mostre a confronto
85 Sessione 1
La Civiltà Merceologica non è stata una malformazione passeggera, ma l’inizio di un’epoca del tutto nuova. La Civiltà Merceologica infatti non è il risultato di fenomeni superficiali, come il consumismo, l’esibizionismo, l’insaziabile sete di acquisto e di rischio, il mito di un benessere materiale di massa. Essa comporta una mutazione che non riguarda soltanto il rapporto tra l’uomo e la merce, ma la nascita di una nuova economia e nuove relazioni umane. Il territorio urbano si identifica in un flusso molecolare ingovernabile, in una continua trasformazione, iperespressivo ma non riducibile a una immagine unitaria, la cui origine era rintracciabile nell’urgenza del mercato di soddisfare nella maniera più veloce il “diritto alla felicità dell’individuo”, senza nessun genere di mediazione o di filtro. Si trattava di un tipo di felicità che la Modernità aveva inutilmente cercato di soddisfare attraverso la “giustizia sociale”. Ma “utilità e giustizia” erano categorie che implicavano “certezza e stabilità” di un quadro di valori condivisi, che non esisteva più. La Civiltà Merceologica introduce nella società categorie sfuggenti, provvisorie e in continuo perfezionamento, prive di un orizzonte comune, basate su paradigmi imprevedibili che niente avevano in comune con le vecchie teologie del XX Secolo. Si tratta di un universo multiforme, che deve essere testato in tempo reale, direttamente sul campo.
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La sua felicità è la “felicità immediata” attraverso i beni di consumo: una strategia che punta a salvare insieme “status quo e a saturarlo il più possibile”, rischiando però di frantumarsi di fronte a quelle domande religiose, spirituali, antropologiche, a cui non è possibile dare una risposta commerciale. Necessità metafisiche che dividono il mondo in due parti contrapposte; tra chi produce “innovazione” e chi rifiuta l’“innovazione”; chi ricerca la felicità immediata e chi cerca la felicità eterna. Il primo Cavallo di Troia della Civiltà Merceologica dentro la fortezza razionalista europea arrivò dall’Inghilterra, apparentemente la nazione più conservatrice e uscita a pezzi, nonostante la vittoria, dalla seconda guerra mondiale. Rispetto al modello americano, che tendeva ad appiattire l’individuo nei modelli di massa, quello inglese prevedeva la creatività individuale. La Londra pragmatica, laburista e snob, fu la prima a chiedersi come stava davvero funzionando il nuovo mondo: la famosa mostra This is Tomorrow del 1956, organizzata da Alison e Peter Smithson, Eduardo Paolozzi, Richard Hamilton, Theo Crosby, presentava senza infingimenti il mondo delle periferie industriali, i quartieri operai e l’inarrestabile crescita del consumismo. Andrea Branzi, 2016
87 Sessione 1_La civiltà merceologica
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SCENARI
Congresso Utopia e/o Rivoluzione, Manifesto, Torino, 1969
La fine delle ideologie e la nuova contemporaneitĂ : la critica al Movimento Moderno e il contesto italiano
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Il crepusculo degli Dei: La frattura con il Movimento Moderno Andrea Branzi, 2014 ///////////////////////////////////////////////////////////////// Quella degli anni Sessanta é stata una generazione che non ha rivoluzionato né la politica né la cultura del progetto, ma li ha deformati attraverso programmi volutamente esagerati, spesso ironici ma anche preveggenti. Una architettura, la nostra, più “amorale” che pratica, del tutto diversa dal “moralismo” possibilista dei razionalisti: una generazione segnata dalla constatazione della fine dell’unità teologica e la nascita di un nuovo positivismo. Fuori dalle ideologie e fuori dal qualunquismo. Il Movimento Radical era quindi anche un modo per reagire alla autoreferenzialità del progetto Moderno, che continuava ad imitare se stesso e, a differenza di tutte le altre pratiche culturali (arte, musica, letteratura), aveva attraversato due guerre mondiali, il conflitto nucleare, lo sterminio razziale, le grandi dittature di destra e di sinistra, senza che il suo codice linguistico risentisse del minimo turbamento. Sicuro del proprio fondamento oggettivo, il Razionalismo aveva sempre garantito il “lieto fine” della società industriale, un futuro nell’ordine e nella giustizia sociale. Questa indifferenza verso la “storia reale” a favore di una “storia disciplinare”, aveva spinto l’architettura verso un totale isolamento, impegnata a salvare se stessa dalle tragedie del XX secolo, nella certezza che la propria sopravvivenza coincidesse con la salvezza dell’intera umanità. Noi reagivamo a questo isolamento attraverso un isolamento ancora più radicale: una autonomia aggressiva contro la prudenza del progetto. Questa frattura interna al progetto moderno è stata una delle principali intuizioni del Movimento Radical, realisticamente antitetica all’utopia razionalista di una armonia spontanea “dal cucchiaio alla città”, verso un futuro nell’ordine della ragione, e che presupponeva una diversità oggettiva tra “città” e “cucchiaio”, una rigidità impraticabile e pericolosa, lontana dall’attuale molteplicità del futuro. Quella frattura prefigurava invece un sistema di futuri diffusi, nella complessità e nel caos del mercato mondiale. Testimoni di una modernità che stava perdendo il controllo del progetto indotto, si presentavano per noi due opzioni: spingere fino in fondo la disintegrazione del teorema moderno verso una superarchitettura fatta di oggetti e beni immateriali, oppure ricompattare un’architettura in grado di restaurare (anche in maniera traumatica) l’ordine sociale e formale del mondo. Dentro al Movimento Radical coesistevano tutte queste opzioni diverse (e anche molte altre). Iniziava quindi in quel periodo una nuova definizione di contemporaneità nella quale l’uomo vive in maniera conflittuale il proprio tempo, conservando sempre dei “gradienti critici diversi
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verso la contemporaneità stessa”: incompleta, imperfetta, inutile. Questa schizofrenia lo spinge a porsi fuori dalla storia per poter appartenere alla storia, come nella legge della prospettiva per cui l’osservatore deve porsi “fuori dalla scena” per rappresentarla sotto forma di teatro. Si stabiliva così un nuovo contratto tra progetto e storia, che prevedeva un’alleanza “critica” che non riguardava soltanto la politica quanto le grandi trasformazioni epocali che avvenivano nel buio della conoscenza: il progetto criticava la società, e la società criticava il progetto. Questa lontananza ha attraversato anche gli anni Ottanta, gli anni Novanta, la fine de secolo: per questo motivo ancora oggi la realtà del XXI secolo non è stata adeguatamente analizzata, perché questo conflitto non ha avuto (e forse non avrà più) soluzione. Se considero le diverse stagioni che ho attraversato, devo dire che ho sempre avuto l’impressione che esse fossero poste in un vuoto momentaneo, a cavallo tra due epoche diverse. Tra la fine della Modernità classica e l’inizio della post-modernità, la fine delle ideologie e l’inizio della libera contestazione.
Il pensiero negativo e le morti annunciate dell’arte Andrea Branzi, 2014 ///////////////////////////////////////////////////////////////// Gli anni ’60 furono un decennio di “morti annunciate”, che hanno influenzato la nostra generazione. Il Movimento Concettuale affermava la morte dell’arte e la sua sublimazione; il Gruppo 63 teorizzava la morte della letteratura e del romanzo; Tafuri e i Radical parlavano della morte dell’architettura; Carmelo Bene testimoniava la morte del teatro che Antonin Artaud aveva per primo profetizzato; i movimenti anarchici rivendicavano la morte della politica. A queste estreme diagnosi di fine vita non corrispondeva affatto la scomparsa dell’arte, della letteratura, dell’architettura, della politica, ma piuttosto il ribaltamento del ruolo ancellare dell’autore rispetto all’opera. In altre parole alla morte delle discipline sopravvivono gli artisti, i letterati, gli architetti, i militanti politici, adesso protagonisti centrali e indipendenti dell’esperienza (e della sopravvivenza) delle pratiche culturali. Il quadro storico in cui questi fenomeni prendono senso è quello del progressivo rifiuto del lavoro, che non coincideva con la fine della produttività, ma al contrario con la produzione intellettuale di massa che all’inizio del secolo successivo, nel quadro della globalizzazione, prese forma e teoria nell’espansione del lavoro post-fordista, come produttore mondiale di innovazione.
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Questo coagulo di avanguardie, tra loro scoordinate, che negli anni ’60 lavoravano a disintegrare ogni forma di produzione disciplinare destrutturandola dal suo interno, in realtà affermavano un principio nuovo e importante: se la creatività esiste allora tutti possono essere creativi. Non esiste più quindi una differenza tra il professionista della cultura e il suo utente: tutti i bambini sono creativi ma soltanto l’1% diventa (per i casi della vita) professionista dell’arte. Il problema non era più quello di produrre una “cultura in più” ma piuttosto una “cultura in meno”, che permettesse di rimuovere i teoremi qualitativi preesistenti a favore di una espansione sociale della creatività di massa. In questo quadro strategico di liberazione sociale e politica della cultura, il Movimento Radical proponeva una super-architettura, indipendente da qualsiasi committenza, corrispondente a un libero processo progettuale che non doveva rispondere a nessuno del proprio operato. Parimenti i poeti, gli artisti, i militanti politici, dietro la parola “morte” immaginavano una sorta di super diffusione della cultura e della politica, espressione incontrollabile di un nuovo panteismo diffusivo (se il sacro esiste allora tutto è sacro), che rompeva i circoli chiusi nei quali tutto fino ad allora si era svolto. Questa spinta distruttiva delle nuove avanguardie, fungeva dunque da rifondazione positiva del modo di intendere e praticare la libera attitudine creativa di ciascun individuo. Non si trattava di una utopia ma del presagio che il sistema capitalistico stava maturando: trasformare la società in una moltitudine di liberi consumatori creativi, dove la libertà del singolo si identificasse nella liberalità dell’intero sistema. Una società dove la corrosività delle avanguardie fungesse da solvente del sistema molecolare di un nuovo statuto sociale di consumatori professionisti.
Il Verismo esistenziale: Microcatastrofi e Operaismo Andrea Branzi, 2014 ///////////////////////////////////////////////////////////////// L’Italia è l’unico paese che non ha mai fatto una Rivoluzione. Per questo motivo ha maturato una grande abilità nell’arte di gestire le proprie contraddizioni, senza risolverle mai completamente. Questa è la ragione per la quale la categoria dell’“esagerazione” è diventata una strategia utile a dilatare, senza arrivare mai al punto di rottura, la convivenza conflittuale tra le parti sociali, tra la propria storia e il proprio presente, tra i suoi meriti e i suoi difetti. Secondo la sapiente tradizione elastica e cattolica che al peccato fa sempre seguire il perdono.
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Un paese, il nostro, che è stato in grado, a cominciare dai Futuristi, di immaginare una modernità diversa perché nei fatti la modernità reale non si è mai realizzata; capace di recuperare il proprio ritardo rispetto agli altri paesi portandosi improvvisamente avanti a loro, senza mai essere uguale a loro. Non saprei individuare quale è stato il microevento che ha scatenato la catastrofe che ha coinvolto quella generazione di esagerati di cui ho fatto parte, e che si è formata durante gli anni Sessanta, quando il nostro mondo era schiacciato tra la Guerra Fredda e il Miracolo Economico. Per superare questo contrasto mastodontico, una piccola minoranza di noi, che prese il nome Radical, cominciò ad usare il conflitto politico non come categoria ideologica, ma come tema figurativo, che coinvolgeva anche la cultura Pop ed era in grado di rendere visibile l’impossibilità dei tempi e insieme la loro potenza orgonica, repressa dalla minaccia di una distruzione cosmica, che tutti sapevano impossibile. Una delle esagerazioni più caratteristiche della mia generazione fu comunque il mito della Rivoluzione. Dal Che Guevara alla Rivoluzione Culturale Cinese, sembrava che il mondo fosse sull’orlo di una mutazione globale. Ma in Europa questa ipotesi non ha mai dato seguito a un programma politico adeguatamente strutturato: la Rivoluzione di cui si parlava corrispondeva piuttosto ad un’aspirazione generica, a rivolte occasionali, a una categoria mediatica o a uno slogan rivolto a sottolineare la portata dei problemi in corso, e insieme all’impossibilità di risolverli. Nel vocabolario degli intellettuali e degli studenti la Rivoluzione rimase una categoria concettuale e non operativa, una frattura simbolica del clima politico ma anche espressione di un desiderio di diventare interlocutore ufficiale di quel Potere Politico che volevano teoricamente abbattere.
“La Classe Operaia: rude razza pagana, senza ideali senza fede, senza morale. Che vuole soltanto guadagnare di più e lavorare meno (...)” M. Tronti, Operai e Capitale, 1966
Classe Operaia n. 1, 1964, copertina
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Archizoom Associati, Dichiarazione al XVII Convegno Internazionale Artisti Critici Studiosi d’arte, Rimini, 1968
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RELAZIONE DEL GRUPPO ARCHIZOOM
In Marcatrè n. 50/55. Architettura e/o Rivoluzione, 1969
È abbastanza caratteristico il fatto che la classe intellettuale, dopo il lungo e penoso travaglio cominciato nell’immediato dopoguerra, sia giunta al punto attuale di porsi il quesito di fondo, e cioè se il suo rapporto con le forze operaie viene ufficialmente consacrato da una adozione, o se piuttosto quello di oggi non è l’atto ufficiale di morte per incapacità di sopravvivenza al contatto di una prassi esclusivamente rivoluzionaria. In pratica cioè bisognerebbe capire se è avvenuto il licenziamento in blocco, per esaurito compito, del Giovanni Battista che gridava nel deserto “Preparate le strade alla Rivoluzione!”, o se questi otterranno un dignitoso ruolo di alta rappresentanza all’interno della lotta in atto. Prima di dare una risposta ad un così globale enigma non sarebbe male rilevare come sia caratteristico degli anni ’60 il porsi simili quesiti, caratteristico diremmo, ma anche molto poco politico. Per agganciare infatti una forma così globale di discorso non sarebbe male analizzare il grado attuale di sviluppo del sistema, e le forme che l’opposizione operaia sta adottando. Ne risulterebbe in maniera immediata che ambedue le ipotesi, Utopia e/o Rivoluzione, risultano mal poste. 1. In questi anni stiamo constatando come sia in atto la progressiva ed inarrestabile scomparsa della distinzione tra due settori tipici del sistema: produzione e circolazione delle merci (…) 2. Come dice Tronti la lacrimuccia umanitaria versata sulle inumane condizioni di lavoro in fabbrica, ha fatto il suo tempo (…) La verità è che oggi il Sistema può fare benissimo a meno di un atto progettuale che lo rappresenti, perché il Sistema si rappresenta benissimo da solo.
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Quaderni Rossi n. 2, 1962, copertina Contropiano n. 1, 1968, copertina Manifesto, Le Corbusier, Mostra a Palazzo Strozzi, Firenze, 1962
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Sessione 1_ La civiltĂ merceologica
[scenarios] : The Criticism of the Modern Movement
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CONTESTI Firenze e la Scuola Fiorentina Megastrutture urbane e ibridazioni Pop
Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Massimo Morozzi, Cristiano Toraldo di Francia, Ali Navai con Sergio Pastorini e Pietro Spagna: Città Estrusa: Produzione, Accumulazione, Meccanica, Facoltà di Architettura di Firenze, 1964
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Firenze Andrea Branzi, 2014 ////////////////////////////////////////////////////////////////// Molte volte ci hanno chiesto, e ci siamo chiesti, come mai il Movimento Radical ebbe origine a Firenze, città non particolarmente moderna, invece che a Milano, capitale riconosciuta del design. La risposta potrebbe essere paradossale: per lo stesso motivo per il quale il Rinascimento nacque a Firenze, città di origine etrusca, e non a Roma patria dell’architettura classica. Paradossalmente Firenze si è rivelata nel tempo una città in grado di generare movimenti culturali che si alimentavano proprio dalla sua sostanziale estraneità, sia dalla tradizione classica che da quella moderna. Una sorta di laboratorio neutro che ha permesso di “inventare” sia una nuova classicità che una nuova modernità. Firenze è sempre stata una città di grandi contraddizioni e di conflitti interni: le guerre tra Guelfi e Ghibellini, la rivolta dei Ciompi, la Congiura dei Pazzi, Savonarola contro i Medici, le polemiche tra modernisti e innovatori, gli scontri sulla nuova stazione di S. Maria Novella, fino alla Battaglia di Firenze tra partigiani e fascisti, e negli anni Settanta i sindaci letterati a Palazzo Vecchio, e il “mostro di Firenze” nelle campagne. Una città dunque che ha sempre reso difficile le mediazioni di qualsiasi genere. Questa diversità ha alimentato non solo il suo difficile approccio verso la modernità, ma ha reso difficile anche un rapporto corretto con la propria storia. Le difficoltà ambientali che l’architettura moderna vi ha sempre incontrato, l’hanno spinta a cercare di rompere il proprio isolamento attraverso un percorso fatto da esagerazioni ed esasperazioni formali. Per i suoi precedenti storici, la realtà fiorentina era interpretata come “naturalmente moderna”, che poteva quindi fare a meno dei materiali moderni, riciclando quelli antichi, dentro a un paesaggio indifferente alle stagioni. Come un nuovo Partenone, fatto di ulivi e cipressi che non perdono mai le foglie. Questo atteggiamento è anche effetto del pessimismo italiano nei riguardi della modernità e della sua capacità di costruire nuovi capolavori, di cui però si sentono eredi. Nel 1951 fu organizzata a Palazzo Strozzi una grande mostra sull’opera di F. L. Wright, che ospite della città ipotizzò di trasferirsi a Fiesole, dove già nel 1910 si era progettato una villa in via Verdi. Ma la faccenda non ebbe seguito. Negli anni Cinquanta Jackson Pollock donò un suo quadro per un erigendo Museo di Arte Moderna (mai realizzato), ma la sua opera, del tutto incompresa, finì in un anonimo ufficio comunale e quindi distrutta. Anche Le Corbusier, nel 1962 in occasione di una sua mostra, fu invitato dal sindaco La Pira a fare una proposta per Firenze, ma il suo progetto cadde nel vuoto. E la Facoltà di Architettura, dopo una lunga riflessione, decise di non conferirgli la Laurea Honoris Causa, prevista dal programma.
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Paolo Deganello, Carlo Chiappi Marliani: Struttura urbana per 70.000 abitanti a Brozzi FacoltĂ di Architettura di Firenze, 1963-64
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Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Massimo Morozzi, Cristiano Toraldo di Francia, Ali Navai con Sergio Pastorini e Pietro Spagna, Città Estrusa: Allegoria morale della Città Estrusa, e Il nastro della produzione industriale, Facoltà di Architettura di Firenze, 1964
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Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Massimo Morozzi, Cristiano Toraldo di Francia, Ali Navai con Sergio Pastorini e Pietro Spagna CittĂ Estrusa: Produzione, Accumulazione, Meccanica, FacoltĂ di architettura, Firenze,1964
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La scuola fiorentina Andrea Branzi, 2014 /////////////////////////////////////////////////////////////// La giovane Facoltà di Architettura di Firenze (orfana di Giovanni Michelucci che l’aveva abbandonata nel 1948), diventò una sorta di Accademia dell’“espressionismo organico fiorentino”, rappresentato soprattutto da Leonardo Savioli e Leonardo Ricci. Come ha notato Paolo Portoghesi, il movimento in realtà non aveva nessun rapporto né con l’opera di Wright né con quella di Alvar Aalto, ma piuttosto con i limiti locali di un Moderno senza modernità, dove non esistevano né il contesto sociale né le tecnologie adeguate. Quindi un modo di progettare schematico, basato sull’uso di materiali poveri come la pietra, il cotto, il ferro battuto, come se questi fossero le matrici di una modernità autosufficiente. Ma tra il 1962 e il 1966 la Facoltà di Architettura di Firenze ha vissuto un momento particolarmente felice, per la presenza di molti docenti di grande livello, come appunto Ludovico Quaroni e Adalberto Libera, Leonardo Benevolo, Gillo Dorfles e Umberto Eco, e anche per la presenza di un movimento studentesco che nel 1965 organizzò la prima occupazione del Rettorato in Italia. Molte volte mi hanno chiesto qual’è stata l’influenza di Ricci e Savioli rispetto alla nascita del Movimento Radical. Personalmente credo che non siano stati loro ad avere una influenza su di noi, ma forse siamo stati noi ad influenzare loro. Un’influenza sicuramente maggiore l’hanno avuta sulla nostra formazione altri docenti, come Ludovico Quaroni, architetto intellettuale, urbanista problematico, e anche Adalberto Libera, progettista duro e rigoroso di grande lucidità.
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Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Massimo Morozzi, Cristiano Toraldo di Francia, Ali Navai con Sergio Pastorini e Pietro Spagna, CittĂ Estrusa: Machina Proiectionis FacoltĂ di Architettura di Firenze, 1964
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1.3
PROTOTIPI DI DISSOLUZIONE
IL PENSIERO NEGATIVO
Nelle pagine seguenti: Archizoom Associati, “Fotomontaggi urbani: Unità di Abitazione sulla Piazza Rossa”, 1969 Archizoom Associati, “Fotomontaggi urbani: Giochi d’acqua nello stretto di Messina”, 1969
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Sessione 1_Prototipi di dissoluzione
A LA DISSOLUZIONE DELL'ARCHITETTURA Fotomontaggi urbani e discorsi per immagini
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Sessione 1_Prototipi di dissoluzione
Archizoom Associati, “Fotomontaggi urbani: Grattacielo con foglie di ficus a New York�, 1969
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Archizoom Associati, “Discorsi per immagini�, in Domus n. 481, 1969
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Sessione 1_Prototipi di dissoluzione
Discorsi Per Immagini Archizoom Associati, 1969 //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// Sono ormai cinque o sei anni che si è cominciato a rendersi conto della impossibilità manuale e mentale a rappresentare il Sistema dentro il quale viviamo (cioè a ricondurlo ad un' unica immagine simbolica), non tanto a causa della sua dimensione mondiale, ma piuttosto per uno strano capovolgimento delle reciproche posizioni tra Lui e la Cultura. Se all'inizio del secolo infatti l'Intellettuale si batteva per un'arte tutta logica metodologica, contro la continua tendenza alla cultura della forma e dell'apparenza da parte del Mondo, adesso le posizioni si sono invertite ed il Sistema è diventato solo e soltanto impalpabile razionalità funzionale di metodo, di igiene e di efficienza, mentre la cultura si spinge disperata ad afferrarlo, in una forma e in un’immagine, prendendolo in giro con ritratti-barattolo di conserva, facendoci una magra figura, tra l'altro, con i business-men molto più corinzi ed apollinei di Rosenquist. C'è da aggiungere inoltre questo, che dopo tanti anni di cocenti delusioni, del cuore e della mente, dopo le violente iniezioni di adrenalina causate dal quotidiano tradimento, l'Intellettuale oggi è finalmente troppo triste e stanco per poter credere ancora in tutte quelle cose che dieci anni fa permettevano a Le Corbusier e a tutti gli altri di fare dell'architettura, e si rifiuta di correre incontro ai bambini che sorridono. Non crede più nel sole, nel verde, nella fruizione strutturale, nel radicalismo didattico, cioè in pratica non crede più nella FELICITA DELL’UOMO.
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Del resto noi viviamo in una società che si fonda sul la ferrea certezza che la FELICITA DELL’UOMO sia raggiungibile solo nel binomio concertato "più soldi-meno lavoro”- sulla cui forza universale di convinzione si appoggia qualsiasi seria ipotesi rivoluzionaria; non ci sembra sinceramente il caso di andare a scovarne un'altra, escluso che ne esista una più travolgente. In una simile situazione ci sembra oltremodo doveroso mettere in guardia contro assunzioni di impegni sociali, che il Sistema sarebbe ben felice di incoraggiare, per sistemare certe ultime sbavature alla sua perfetta adesione all'intera Società, non necessitandogli più il persuasore occulto, subdolo ma lento e incerto, quando con il Piano il Consorzio Umano può divenire tout-court un sistema di produzione. In questa prospettiva, certamente è facile cadere nella esagerazione: se anche l'intellettuale non produce beni non ha diritto all'esistenza sociale. Ma è anche vero che oggi l'unica attività cerebrale che abbia un senso è quella politica, (da non confondersi con il vecchio engagement) e quindi produttiva. Così vanno scomparendo naturalmente, per la sottile ironia della inutilità, moltissime delle tradizionali attività dello Spirito. Ciò nonostante l'architettura continua ad esistere, forse solo come problema fisico, probabilmente in virtù del proprio infimo (almeno in Italia) livello di integrazione su tutti i piani, da quello industriale a quello di servizio. Ma è anche vero che a ben guardare proprio nel mondo delle cose architettoniche la posizione del Sistema non è così solida come sembrerebbe. È certo infatti che le città e tutti i sistemi connettivi territoriali, magari giganteschi per estensione e altezza, sono dotati di un equilibrio che si basa su certi standard elementari, tipo la profondità degli edifici e le tipologie, elementi questi che sono rimasti stranamente ancorati a equilibri spontanei: illuminazione e sereazione naturale, e superficie procapite, che sono il risultato di una immagine di vita equilibrata con gli elementi na- turali e con le condizioni generali dell'economia. Viene spontaneo chiedersi con quale faccia tosta si richieda all'individuo il rispetto di queste due condizioni così remote e quotidianamente smentite! Proviamo sfacciatamente a rifiutare, ed il Cervello del Sistema comincerà ad impazzire. Infatti, invece di continuare ad immaginare una società migliore e più giusta, in cui le case siano più belle, proviamo ad interessarci al fatto che queste case siano sempre più grandi. Cioè in pratica proviamo a battere il Sistema sul suo terreno, senza coinvolgerlo nel la Crociata contro il Male, ma piuttosto sul piano della Utopia Quantitativa. Per la Cultura probabilmente questa sarebbe l'ultima occasione di continuare ad operare dentro le cose…, cercando di evitare la continua spinta alla sua estromissione. Bisognerebbe davvero imparare ad essere meno educati (a parte nei riguardi di questa insopportabile igiene, che poi non è altro se non razzismo ideologico) ma anche nei riguardi di questo implacabile e continuo auto-collocamento critico e storico dei prodotti culturali e provare a seminarli dove e quando capita, al di fuori di sistemazioni metodologiche. Fare dell'autobiografismo senza riguardi e una scalciante e charlottesca serie di invenzioni come liberazione psico-motoria. Per noi infatti che siamo i figli traditi del "razionalismo esaltato” occorrono continuamente idee guida, cioè immagini formali alle quali riportare il nostro agire architettonico. Queste immagini, che possono essere invenzioni architettoniche o altro, servono a dare il contenuto narrativo al nostro progettare, come contenuti esterni al metodo compositivo stesso. In un Sistema che ha realizzato se stesso, e, come direbbe il filosofo, ha raggiunto il proprio dover essere, o meglio ancora, in una realtà dove il noumeno e il fenomeno si sono identificati, potremmo anche, con tutta legittimità nei riguardi della storia, tornare a pensare l’azione estetica non implicata direttamente nella prassi di progettazione, ma semplicemente indaffarata a sistemare simmetricamente le cose o a disporle in ordine decrescente. Proviamo, in questo mondo delle funzioni, ad andare in giro collocando su ciò che già esiste le foglie di palma, e si scoprirà come la decorazione crei bellissimi ordini su di una realtà così compromessa.
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Sessione 1_Prototipi di dissoluzione
Archizoom Associati, "Fotomontaggi urbani: Grattacielo a Manhattan", 1969
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Archizoom Associati, Sequenza di dissoluzione di oggetti geometrici, 1971
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B LA LIQUEFAZIONE DELL'OGGETTO Componenti situazioniste
Sessione 1_Prototipi di dissoluzione
Archizoom Associati, “La distruzione degli oggetti,� in IN n. 2-3, 1971
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Sessione 1_Prototipi di dissoluzione
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Sessione 1_Prototipi di dissoluzione
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Sessione 1_Prototipi di dissoluzione
Archizoom Associati, La liquefazione dell'oggetto, 1971
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ANDREA BRANZI
La ricerca espressa in questo libro si occupa della produzione dei territori di Andrea Branzi e della sua interpretazione della città come concetto critico. Territori che vengono offerti dalla realtà così che il progetto possa agire e compiersi cognitivamente.
E = mc2 IL PROGETTO NELL’EPOCA ` DELLA RELATIVITA
Ogni passaggio presenta una declinazione antropologica precisa: dal concetto di civiltà merceologica degli anni Sessanta a quella immateriale della metropoli post-industriale, verso un territorio nel quale l’infinitamente piccolo e l’immensamente grande coincidono, al punto da generare ed oltrepassare anche la nostra comune immagine di città.
ANDREA BRANZI E = mc2 IL PROGETTO NELL’EPOCA DELLA RELATIVITÀ A CURA DI
ELISA C. CATTANEO
A CURA DI
ELISA C. CATTANEO