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Il processo partecipativo di SicuriPerDavvero e i suoi risultati
di Mattia Bertin, Università luav di Venezia, Dipartimento di Cultura del Progetto, mbertin@iuav.it e Elena Ostanel, Università luav di Venezia, Dipartimento di Cultura del Progetto, eostanel@iuav.it
Il percorso
Il percorso SicuriPerDavvero avviato da ActionAid ha svolto un approfondito lavoro di confronto sui limiti dei processi di ricostruzione dopo i tre grandi terremoti italiani dell'ultimo decennio: L'Aquila 2009; Emilia Romagna 2012; Centro Italia 2016-17. Il progetto ha realizzato una carovana nazionale, che, attraverso una serie di tavoli di lavoro, ha fatto incontrare esperti, cittadini e cittadine e professionisti.
Dai tavoli, tanto quelli tematici quanto quelli generali, sono emerse una serie di importanti riflessioni e richieste, completamente allineate agli standard e alle pratiche internazionali su questo tema. Innanzitutto partiamo dal ruolo della partecipazione. Tanto la partecipazione diretta e non mediata alle decisioni in merito all'evoluzione sociale e territoriale quanto il diretto ed operativo coinvolgimento in una gestione non assistenziale della popolazione debbono essere la chiave riorientativa per le pratiche emergenziali e ricostruttive future del Paese.
Il primo merito di questo progetto è aver saputo stimolare ed ascoltare diverse comunità trasversali in varie località della Penisola per far emergere quanto già è nelle corde della collettività e farsi strumento per un cambiamento legislativo e processuale. Possiamo raccogliere i risultati del processo partecipativo in sette categorie, che verranno qui trattate separatamente: la necessità di spazi fisici comuni per l'incontro e la condivisione; una cultura della partecipazione e attivazione locale come chiave operativa; un quadro legislativo ed un soggetto istituzionale permanenti per la ricostruzione; una pianificazione urbanistica preventiva e partecipata; il monitoraggio da parte dei cittadini e l'effettiva realizzazione dei progetti in tempi certi; la ricostruzione dell'identità di luogo come strumento necessario; l'unitarietà e accessibilità dei dati territoriali.
Il primo risultato trasversale ai diversi tavoli di lavoro ed ai diversi territori, che interroga in maniera radicale innanzitutto l'esperienza aquilana, ma che non promuove nemmeno le esperienze successive, è la rivendicazione della necessità di spazi fisici comuni per l'incontro e la condivisione. Se è vero che in queste esperienze sono state realizzate tende, e nel terremoto del 2016-17 anche alcune strutture, dedicate alla comunità, è altresì vero che queste non sono mai state considerate come spazio di condivisione, attivazione e coinvolgimento della popolazione nei processi di gestione e ricostruzione. I cambiamenti nell'assetto urbanistico della città, la dispersione e la frammentazione del tessuto urbano, determinano non pochi cambiamenti nella maniera di vivere degli abitanti nella fase post sisma, nella tessitura delle reti relazionali, nelle dinamiche culturali ed economiche. Ma all'interno di questo contesto esistono potenziali spazi di sperimentazione interessanti. A partire dal momento in cui il disastro colpisce un territorio, le trasformazioni dello spazio fisico e i cambiamenti nelle reti sociali avvengono secondo dinamiche esterne alla sfera d'azione del singolo ma si riflettono in maniera pesantissima sull'organizzazione della vita delle persone colpite, generando inedite necessità, individuali e collettive. Il progetto nei diversi incontri rivendica la necessità di una autogestione degli spazi comuni da parte della popolazione ed un uso di questi come luoghi principe della decisione e dell'organizzazione. Il caso aquilano ha dimostrato ad esempio la creazione di spazi di rigenerazione urbana post sisma interessanti come l'ex-OP di Collemaggio, dove ancora oggi convivono realtà diverse e variegate, alcune molto attive sul territorio e con un ruolo di rilievo nelle trasformazioni urbane e sociali in corso.
Il policy lab tematico dedicato alla scuola supera questa riflessione arrivando a proporre un ripensamento del ruolo e della forma degli istituti scolastici. Senza entrare nel dettaglio del tema scuola è importante sostenere questa proposta, anche sulla scia di quanto operato da Edward Blakely nell'esperienza-guida di New Orleans. Il progetto di Blakely ha reso le scuole e le biblioteche spazi dedicati alla comunità, aperti al pomeriggio per la formazione continua, ed estremamente sicuri, così da essere i luoghi di riferimento in caso di emergenza per la comunità.
Il ruolo dello spazio quindi come leva per facilitare spazi di cittadinanza attiva per la cura dei territori nella fase di ricostruzione. Mettendo insieme la possibilità creata dalla discontinuità di sovvertire il normale funzionamento delle cose, la possibilità di rafforzamento del capitale sociale generata dalla crisi e il fatto che
in una città colpita da catastrofe il numero di vuoti e spazi senza una destinazione aumenta sensibilmente, i contesti post-disastro diventano un interessante campo d'azione su cui strutturare politiche pubbliche dedicate.
I tavoli di lavoro hanno segnalato la necessità di ripensare i processi emergenziali portando la partecipazione locale a chiave di volta dei processi. Esistono rarissimi casi di coinvolgimento delle professionalità locali nella gestione dei campi (ad es. non si capisce perché un cuoco professionista non possa occuparsi di cucinare per la sua comunità se è rimasto senza lavoro), ma i pochi testati hanno dato altissimi risultati in termini di riunificazione del tessuto sociale. Allo stesso modo, la popolazione, secondo i risultati del processo, dev'essere aiutata non in forma assistenziale ma in forma di supporto ed attivazione. Non solo questo è previsto e richiesto dalla legge italiana in materia di Protezione Civile, (DL 1, 2018) ma è anche fortemente sostenuto dai manuali di psicologia dell'emergenza come efficace strumento per il superamento del trauma. Un risultato di questo tipo nelle richieste dei tavoli di lavoro ha un grande valore perché segnala un'urgenza che associa le richieste del legislatore, le evidenze cliniche e la volontà popolare.
I tavoli di lavoro richiedono una legge quadro nazionale che definisca i processi ricostruttivi in termini di governance, di tassazione, di coinvolgimento della popolazione e via dicendo. Un quadro legislativo ex-ante sarebbe coerente con tutta l'infrastruttura normativa che anticipa ogni fenomeno gestionale, ordinario e straordinario. Le ricostruzioni sono un fenomeno davvero frequente nel Paese, tanto che è possibile fare uno studio trasversale tra tre diversi terremoti in dieci anni, oltre agli altri fenomeni emergenziali di tipo C accaduti nello stesso periodo. Per questo motivo la richiesta è più che mai opportuna. Allo stesso modo i tavoli richiedono la fondazione di un soggetto istituzionale permanente, nella forma del Dipartimento o dell'Agenzia, deputato alla gestione di questi processi. È da segnalare la contrarietà del tavolo dei decisori regionali a questa proposta. L'evento dedicato a Roma ai soggetti che hanno guidato le ricostruzioni negli ultimi tre terremoti effettivamente nega la necessità di un simile processo. Questa contrarietà però ci sembra agilmente spiegabile con i lavori di March e Luhmann sui fenomeni burocratici e la conservazione del potere. Dicono gli studiosi della burocrazia che la discrezionalità è il vero senso del potere d'ufficio, burocratico in senso etimologico e storico, e che difficilmente chi in questi soggetti si trova in condizione di potere accetta una cessione di questo a un sistema altro. A partire da un'analisi dei risultati di queste gestioni ci pare di poter affermare che, più che per difendere un'efficacia indiscutibile, la risposta sia legata al desiderio di mantenere un ruolo discrezionale per questi soddisfacente. Sarebbe interessante incardinare in questo tipo di soggetto anche le responsabilità nazionali sull'adattamento al cambiamento climatico. Solo per citare una delle tante ricerche sul tema, secondo i dati pubblicati dall'Economist nel 2017, dal 1970 al 2015 il numero di disastri nel mondo è quadruplicato e raggiunge i 400 episodi l'anno ma c'è anche da evidenziare che l'impatto in termini di vittime si è nel tempo sensibilmente ridotto (200.000 vittime nel 1970, meno di 30.000 nel 2011). Questi dati ci dicono che stiamo imparando a difenderci meglio, ma che abbiamo bisogno di misure di prevenzione e riduzione dei rischi sempre più efficienti e integrate.
Uno dei risultati più interessanti del percorso è la segnalazione della necessità di lavorare preventivamente a livello urbanistico in maniera partecipata. In primo luogo si chiede di operare coinvolgendo la cittadinanza nella scelta di aree da dedicare all'emergenza con una completa descrizione dell'urbanizzazione svolta o necessaria per attrezzare aree di accoglienza o ammassamento. In secondo luogo si chiede di decidere preventivamente, ed in maniera partecipata, come organizzare il rapporto tra la pianificazione d'emergenza e la pianificazione ordinaria. In terzo luogo si chiede di pianificare anticipatamente la ricostruzione. Questo terzo elemento, fortemente innovativo per il panorama europeo e in piena linea con le più interessanti sperimentazioni statunitensi, potrebbe effettivamente essere uno strumento di grande aiuto nella gestione post-emergenziale. È ormai consolidata la pratica di sviluppare piani di ricostruzione pre disastro negli Stati Uniti, in maniera tale da poter decidere senza le tensioni emotive dell'evento sulle pratiche e sulle scelte da preferire. Dati e scenari della pianificazione emergenziale, se ben sviluppati, possono effettivamente permettere di costruire una pianificazione ex-ante della ricostruzione che riduca il rischio di tempi lunghi e di decisioni verticistiche o poco virtuose. In questo senso ci preme ricordare l'importanza di alcuni fattori per una pianificazione preventiva e partecipata
nelle fasi di emergenza: i) l'attenzione che deve essere data alle differenze e alle diverse vulnerabilità che possono prevenire un effettivo coinvolgimento (barriere linguistiche, di conoscenza tecnica, etc.) ii) il capitale sociale e le competenze specifiche che alcune categorie sociali possono apportare (es. prospettiva femminile) iii) l'importanza dell'uso dei serious games e delle nuove tecnologie per favorire il coinvolgimento dei più giovani iv) l'importanza della progettazione dello spazio di deliberazione, come espresso nel punto 1 di questo documento.
Una richiesta forte che emerge da molte delle esperienze analizzate è quella di tempi certi di realizzazione dei progetti e del diritto dei cittadini al monitoraggio dei processi. Spesso si confonde, da parte di chi gestisce i periodi emergenziali, la necessità di processi rapidi privi di burocrazia con la possibilità di non rendere chiari alla cittadinanza i passaggi. Una lamentela trasversale da parte di chi ha esperito i tre grandi terremoti italiani dell'ultimo decennio è la difficoltà ad accedere a notizie certe, ed altrettanto la difficoltà nel realizzare i progetti pure virtuosi promossi dal basso e localmente. Una legge quadro sulle ricostruzioni che si prenda in carico un'attenzione seria al ruolo della cittadinanza deve saper descrivere regole chiare in merito al ruolo della collettività nel monitoraggio dei processi e dei progetti successivi alla catastrofe.
Anche in questo senso quanto affrontato nei punti precedenti è rilevante: per informare e tenere aggiornati sui temi certi di ricostruzione servono canali di informazione efficaci, on line e off line, tra cittadini e Istituzioni.
Pur essendo chiara la letteratura sulla necessità di un profondo lavoro sulla ricostruzione di un'identità locale condivisa e contestualizzata, spesso si tratta di un elemento totalmente sottovalutato nella gestione post-emergenziale. L'assenza di processi dedicati alla riduzione della marginalità, attraverso la valorizzazione delle storie e delle specificità locali, non può far altro che accelerare quel processo di abbandono delle zone appenniniche e di Province maggiormente a rischio e già in spopolamento. Un serio progetto di preparazione del Paese a future emergenze di tipo C deve necessariamente passare per la valorizzazione delle esperienze di questo tipo. Una comunità locale abita uno spazio costruito, ma non è lo spazio costruito, e tutte le definizioni internazionali di disastro sottolineano quanto gli aspetti di identità locale abbiano almeno lo stesso peso di quelli fisici ed economici nella rigenerazione. Come si sostiene l'intervento professionale fisico della ricostruzione, così anche la ricostruzione dell'identità di luogo dev'essere una priorità dell'intervento, professionale e finanziata dallo Stato.
In linea con quanto anticipato nel punto 5, emerge dal percorso partecipativo la necessità di accedere ai dati sociali e territoriali da parte della cittadinanza e dalla comunità dei ricercatori prima, durante e dopo l'emergenza. A questo punto è dedicata un'altra sezione di questo lavoro, ma è importante richiamarne anche qui il valore fondamentale per la possibilità di realizzare i processi partecipativi qui descritti a partire da informazioni certe e aggiornate.
N.B. Una figura per il rischio locale
Il progetto arriva a proporre lo sviluppo di una figura di gestione dei rischi ai diversi livelli amministrativi, una sorta di risk manager, così descritta da chi la propone. Si tratta per certi versi di un'intuizione felice, che ci proponiamo però di rovesciare in forma di resilience manager. Questa seconda dizione, che prendiamo a prestito dalle esperienze C40 delle città globali resilienti, e già applicata dal Comune di Milano, permetterebbe di rovesciare l'approccio al rischio da una visione di difesa e ricostruzione, la prima, ad una di resilienza ed adattamento, capace sì di gestire i tempi emergenziali, ma anche di orientare i progetti locali verso una riduzione del rischio. Una figura di questo tipo potrebbe accorpare le necessità legate ai rischi classici con quelle connesse con il cambiamento climatico, inscindibili ormai, operando sia sulla pianificazione preventiva, sia sulle trasformazioni locali per anticipare il rischio. Lo stesso rovesciamento lo suggeriamo anche per quanto riguarda il soggetto istituzionale nazionale, sia esso Dipartimento o Agenzia, che si propone, e allo stesso modo, a nostro avviso, una struttura di questo tipo dovrebbe unire gli aspetti di rischio classici con quelli di adattamento al cambiamento climatico.
Conclusioni
Il progetto qui analizzato mostra l'altissimo valore di visione che vi è in chi ha esperienza diretta degli eventi emergenziali di grande portata, e come, con percorsi di partecipazione guidati con professionalità e competenza, si possa cogliere da esperienze simili spunto per una crescita collettiva. Spesso si sente dire che crisi è anche crescita, il nostro Paese ha chiaro questo per quanto riguarda la Protezione Civile, che ha saputo arrivare a livelli di eccellenza mondiale evento dopo evento. Altrettanto non si può dire degli aspetti legati alla ricostruzione, nascondendosi dietro alla scusa che ogni evento è diverso. Se diversi sono i territori, simili sono i processi e le lezioni che si possono apprendere. Un disegno di ripensamento del ruolo della popolazione e del sistema ricostruttivo e rigenerativo è quanto serve al Paese per ridurre spese ed insoddisfazione, migliorando notevolmente la qualità della vita di chi è sottoposto a simili eventi e la capacità economica del Paese nella sua interezza.
FOTO: CARMELO VEZZANA