Pandita Ramabai

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LA STORIA DI UNA GRANDE OPERA DI EVANGELIZZAZIONE, DI ISTRUZIONE E DI AIUTO SOCIALE COMPIUTA DA UNA SEMPLICE DONNA AIUTATA DA DIO ISBN 88-86085-36-2

PANDITA RAMABAI

“Pandita Ramabai, una cristiana dell’India moderna, narra la sua interessante storia: convertita dall’induismo al cristianesimo, accettò il battesimo che le venne impartito e frequentò la chiesa per otto anni conducendo una vita coerente con la sua nuova fede. Ma Pandita Ramabai non era ancora una credente “nata di nuovo”, non conosceva ancora Cristo come suo personale Salvatore. Aveva accettato il cristianesimo come un insieme di ottime dottrine, ma non il Cristo del cristianesimo. Venne il momento nella sua vita in cui si riconobbe una peccatrice perduta, bisognosa di un Salvatore, ed allora avvenne il grande cambiamento. Da quel momento la sua vita fu trasformata dall’azione potente dello Spirito Santo”. Oswald J. Smith

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Le vicende della vita di una ragazza indù, convertitasi a Cristo, che segnano un capitolo importante nella storia delle missioni, un nobile esempio di fede, di servizio e di santificazione.

Helen S. Dyer

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Titolo originale: “Pandita Ramabai” Helen S. Dyer Pickering & Inglis 14 Paternoster Row, London, E.C.4 229 Bothwell Street, Glasgow, C.2

Edizione italiana: Pandita Ramabai “Assemblee di Dio in Italia” Ente Morale di Culto D.P.R. 5.12.1959 n.1349 Legge 22.11.1988 n.517 © Servizio Pubblicazioni ADI-Media Via della Formica, 23 - 00155 Roma Tel. 06/22.51.825 - Fax 06/22.51.432 E-mail: adimedia@pelagus.it 1998 - Tutti i Diritti Riservati Traduzione: A cura dell’Editore Stampa: Piccole Arti Grafiche - ROMA ISBN 88-86085-36-2


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Introduzione

Q

ual era il “segreto del successo” di Pandita Ramabai? Chi ebbe il privilegio di conoscerla personalmente rispondeva senza esitazione: la sua infantile, eppure profonda, fede nella Bibbia quale Parola dell’Iddio vivente. Lei stessa riconobbe di essersi ispirata alla vita di George Muller e di Hudson Taylor, così come all’esempio ed agli scritti di altri missionari cristiani; ma la fede di Pandita non si fondava su Muller, su Taylor o su altri credenti, bensì esclusivamente su Dio e sulla Sua Parola. La sua fu una vita di fede e le sue opere lo testimoniano. Il grande cuore di Pandita Ramabai, che conosceva bene il deserto spirituale dell’induismo, palpitava continuamente per la sorte delle moltitudini che la circondavano. Ramabai si sentiva toccata dalle sofferenze, che colpivano il corpo ed erano pertanto più evidenti, di coloro che languivano a causa della malattia; ma, a differenza di altri, Pandita soffri©

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Introduzione

va soprattutto per le anime che stavano perendo per la mancanza del Pane della Vita. Il grande lavoro svolto a favore delle vedove sarebbe stato sufficiente a farle guadagnare l’ammirazione della maggior parte dei cristiani, ma il suo amore appassionato per Cristo la spinse ad intraprendere altre opere di fede. Gruppi di donne furono scelte, preparate e mandate nei villaggi a predicare Cristo; migliaia e migliaia di Vangeli ed opuscoli furono distribuiti ai passeggeri dei treni, così che nessuna persona capace di leggere potesse perdere l’occasione di essere salvata per mancanza di conoscenza. Fu il profondo amore per il Libro di Dio che spinse Pandita Ramabai ad assumersi l’enorme impegno di tradurre l’Antico e il Nuovo Testamento dai testi originali nella lingua marathi (vedere glossario); e lo fece ad un’età e in condizioni di salute che avrebbero consigliato occupazioni più leggere. Dio le permise di terminare quest’opera d’amore poco prima di addormentarsi con Lui. Gli indiani di lingua marathi poterono leggere una traduzione delle Sacre Scritture di facile comprensione, grazie all’amore e alla dedizione di questa serva del Signore. Pandita Ramabai era sempre uguale: senza preoccupazioni, senza fretta, sempre abbondante nell’opera del Signore; generosa, cortese, interessata al benessere degli ospiti e di ogni persona con la quale veniva a contatto. Era una donna di ampie vedute e con un grande cuore, il cui obiettivo era la gloria di Dio, non il successo offerto dal mondo. W. M. C. Irvine – Editore de: “The Indian Christian” Belgaum, India ©

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Uno sguardo retrospettivo

N

el 1888, a Bombay, ebbi il grande privilegio di conoscere Pandita Ramabai, che era appena tornata da un lungo soggiorno in Inghilterra e negli Stati Uniti. Prima di lasciare l’India aveva già raggiunto una certa popolarità tra i suoi connazionali: era divenuta famosa per la propria cultura, cosa straordinaria per una donna indiana. I giornali, quelli britannici come quelli indiani, acclamavano ora il ritorno di Pandita Ramabai in India. Lo precedeva, infatti, la notizia della sua intenzione di aprire una scuola per donne di alta casta. A questo fine fu preso in affitto un edificio a Bombay, che portava l’insegna di Sharada Sadan, vale a dire “Dimora della Sapienza”. ©

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Una Breve Retrospettiva Storica

Sei anni prima Ramabai era una vedova indù che aveva lasciato l’India per trasferirsi in occidente, ma durante la sua assenza aveva subìto una magnifica trasformazione, tanto che si dichiarava pubblicamente una vera credente nata di nuovo. C’era un grande fermento tra i credenti di Bombay. Ramabai sarebbe stata solidale con loro o avrebbe, invece, fraternizzato con gli indù? Il fatto che fosse divenuta cristiana teneva a distanza tutti gli indù, tranne quelli del partito riformato; d’altro canto l’annuncio che la sua scuola avrebbe insegnato soltanto materie secolari non attirava tanto i cristiani di Bombay. Il più caloroso benvenuto a Pandita Ramabai venne dagli indiani riformati noti con il nome di Brahmo Samaj. I capi di questo gruppo erano per lo più il prodotto dell’istruzione missionaria. Avevano frequentato scuole missionarie, nelle quali si erano convinti dei benefici del cristianesimo e della sua “superiorità” secondo la considerazione che loro ne davano sul piano sociale - rispetto all’induismo. Non credevano più alle dottrine della loro religione, avevano, invece, adottato molte abitudini del cristianesimo. Ma non avevano, in ogni caso, accettato il Signore Gesù Cristo come loro personale Salvatore. Il risultato era una religione che consisteva in un miscuglio di cristianesimo e induismo; questo confondeva i giovani e rendeva insensibili le coscienze, come se fossero ancora nel laccio dell’idolatria e della superstizione. Le prime allieve della Sharada Sadan provenivano da questo gruppo sociale. I genitori volevano che le fi©

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glie godessero dell’istruzione superiore offerta da Ramabai, ma nutrivano per il cristianesimo un’avversione non molto dissimile da quella degli indù più bigotti. Qualche tempo dopo, Ramabai spostò la scuola a Poona, città nella quale la vita era meno cara e che si prestava meglio ai suoi scopi. Il Comitato Missionario degli Stati Uniti, che sosteneva la scuola, aveva approvato il trasferimento e aveva provveduto ai fondi per l’acquisto di un edificio, circondato da un vasto appezzamento di terreno. Ben presto iniziarono ad arrivare le studentesse, vere e proprie vedove indiane con teste rasate, indumenti color mattone e prive di gioielli. La casa era arredata in modo da consentire le abitudini di vita indiane. Ramabai stessa mantenne lo stile di vita del suo paese per quanto riguarda l’alimentazione e il vestiario; peraltro, essendo diventata cristiana, le era

Alcune allieve di Pandita Ramabai a Sharada Sadan, Poona ©

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Una Breve Retrospettiva Storica

vietato mangiare con le studentesse indù e persino entrare in cucina o toccare il loro cibo, altrimenti così credevano gli indù - lo avrebbe contaminato. Da subito ci furono due categorie di studenti: le vedove e le figlie degli indù riformati, le Brahmas, che erano meno meticolose nel tenere le distanze, e che mangiavano con lei. Di quest’ultimo gruppo facevano parte anche alcune donne povere, che erano considerate figlie adottive di Ramabai, perché erano state salvate dal pericolo di una vita immorale e venivano da lei stessa sostenute. Ramabai trovò ben presto un valido aiuto in Soonderbai Powar, una vera credente indiana con la quale era da poco entrata in amicizia. Quest’ultima, su invito di Pandita, si trasferì alla Sharada. Le studentesse la chiamavano Akka, che significava “sorella maggiore”. Ramabai, invece, era chiamata semplicemente Bai, che significa “signora” e che è in generale il termine con il quale ci si riferisce alla padrona di casa, dal quale deriva la desinenza “bai”, dei nomi delle donne. Quando visitai Sharada Sadan nel 1892, in occasione della dedicazione ufficiale di un nuovo edificio, le studentesse erano una quarantina, compreso un vivace gruppo di bambine tra i dieci e i dodici anni. Era difficile credere che anche queste ultime fossero sotto la crudele scomunica della vedovanza. “Questo non è un istituto nel quale le stanze migliori sono riservate al corpo insegnante”, evidenziò Ramabai, mostrando la casa ad un gruppo di visitatori. “Le mie allieve sono libere di andare nel soggiorno, ©

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come in qualunque altra parte dell’edificio. La Sadan, con tutte le sue comodità, è stata istituita a loro beneficio. Provengono da famiglie nelle quali sono state emarginate; non hanno ricevuto amore, né agi. Voglio che vedano come le cose sono più belle quando regna l’amore. Desidero che conoscano il maggior numero di persone buone; che leggano e studino com’è il mondo; che godano delle meraviglie di Dio giocando in giardino, facendo ricerche con il microscopio o osservando il cielo dalla veranda sul tetto”. Questa dichiarazione, che rispecchiava la realtà, offre un’idea dell’atmosfera che si respirava nella Sharada Sadan. Dopo le ore di lezione le ragazze seguivano Ramabai, ronzandole attorno come api, mentre la stanzetta di Soonderbai era affollata di studentesse che andavano e venivano, sicure di trovare ascolto e aiuto per ogni difficoltà. Lo spirito d’amore che regnava nel luogo e l’energia contagiosa della piccola donna a capo della casa, furono le due caratteristiche dell’opera che più mi colpirono. In Ramabai non ci fu mai traccia del languore orientale: era tutta vita ed energia. I primi progetti di Ramabai nel fondare la Sharada Sadan non si estendevano oltre l’istruzione e l’emancipazione delle vedove della casta superiore. Nella sua visione iniziale scorgeva, però, anche in loro il desiderio di divenire pioniere di istruzione, compiendo in questo modo un’opera che sarebbe andata ben al di là della salvezza sociale della comunità indiana. Le vedeva aprire diverse scuole, e progressivamente far risplendere la luce dell’Evangelo in menti ottenebrate, come era avvenuto per lei. ©

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Una Breve Retrospettiva Storica

Ramabai non immaginava che la sua opera avrebbe avuto un’influenza ancora maggiore. L’Iddio onnipotente, che all’epoca conosceva appena, aveva la Sua mano su di lei, stava per soddisfare il desiderio della sua anima con la Sua presenza e la stava guidando in un’opera più grande e benefica di quella che sino a quel momento aveva immaginato. Per quanto Ramabai si attenesse scrupolosamente al suo programma originale di completa libertà religiosa per gli studenti indù, non nascose mai il fatto di essere una cristiana nata di nuovo. Dal giorno della dedicazione della scuola, nella sua camera fu sempre tenuto un culto di famiglia, con la figlia e gli altri cristiani presenti nella casa. La porta non era chiusa, e le studentesse erano libere di entrare o di uscire, come il solito. Sulle prime, quando sentivano che si leggeva, origliavano alla porta, poi, una alla volta, si avventuravano nella stanza. Talvolta qualcuna si sedeva; tutte se ne andavano quando i credenti s’inginocchiavano. Dopo qualche tempo anche le ragazze iniziarono ad inginocchiarsi e ad aspettare con ansia l’ora della preghiera, che Ramabai concludeva con un bacio alla figlia e una carezza per tutti i presenti. Tra gli indù si sparse la voce che Ramabai avesse infranto il suo impegno ad insegnare soltanto materie non attinenti alla religione e stesse ora spiegando il cristianesimo. In realtà, lei si riservò il diritto di vivere il cristianesimo nella propria casa; si rifiutò soltanto di chiudere la porta alle ragazze, che erano libere di entrare in qualunque momento. Alle studentesse fu ©

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impedito di partecipare alle riunioni dai parenti o dagli amici; alcune ubbidirono, altre furono tolte dalla scuola. La fedeltà di Ramabai a Cristo la rese oggetto di una serie di contestazioni; nel frattempo, però, la presenza dello Spirito Santo, come una marea che continuava ad avanzare, divenne sempre più percepibile e l’opera della grazia iniziò in molti cuori. Molte delle “figlie adottive” di Pandita, che non erano legate a nessun parente indù, testimoniarono della conversione al Signore. Ad un incontro di preghiera tenutosi a Lanouli nel 1896, Ramabai partecipò con quindici di queste ragazze. Le considerava le sue figlie spirituali e gioiva per loro, ma il suo cuore ne desiderava molte altre. Elevò una meravigliosa preghiera al Signore, nella quale chiese che entro l’anno successivo il numero delle ragazze convertite salisse a duecentoventicinque. Umanamente parlando si trattava di una cosa impossibile. La scuola poteva accogliere circa sessanta alunne, alcune se ne sarebbero andate dopo le vacanze, e non c’erano in vista molte richieste di ammissione. Ma il Signore, che è l’Iddio di Abramo, Isacco e Giacobbe, ed è anche Colui che adempie le promesse, stava portando Ramabai sulla soglia di una nuova opera. Dio, infatti, rispose abbondantemente a questa preghiera e mantenne le Sue promesse, come si vedrà nei capitoli seguenti.

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“Pandita Ramabai, una cristiana dell’India moderna, narra la sua interessante storia: convertita dall’induismo al cristianesimo, accettò il battesimo che le venne impartito e frequentò la chiesa per otto anni conducendo una vita coerente con la sua nuova fede. Ma Pandita Ramabai non era ancora una credente “nata di nuovo”, non conosceva ancora Cristo come suo personale Salvatore. Aveva accettato il cristianesimo come un insieme di ottime dottrine, ma non il Cristo del cristianesimo. Venne il momento nella sua vita in cui si riconobbe una peccatrice perduta, bisognosa di un Salvatore, ed allora avvenne il grande cambiamento. Da quel momento la sua vita fu trasformata dall’azione potente dello Spirito Santo”. Oswald J. Smith

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Le vicende della vita di una ragazza indù, convertitasi a Cristo, che segnano un capitolo importante nella storia delle missioni, un nobile esempio di fede, di servizio e di santificazione.

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